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Raffaello Sanzio - Vita e Opere

Arte e territorio
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RAFFAELLO SANZIO
LA VITA
Raffaello è uno degli autori del Rinascimento Italiano più importanti. Era infatti conosciuto al
tempo come “Il Divino” perché tutti rimasero stupiti dalle sue capacità pittoriche ed inoltre lui
era una persona dolce e piacevole, diplomatico e gentile. Così tanto amato che i suoi rivali
erano molto invidiosi di lui.
Raffaello nasce il 31 marzo o il 6 aprile 1483 ad Urbino, sede della corte dei Montefeltro. Già
con Federico Da Montefeltro si cerca di spingere e commissionare molte opere d'arte nel
tentativo di ampliare e di rendere ancora più visibile la forza della corte stessa. L’arte è
sempre stata uno strumento propagandistico per i potenti. Nasce da un pittore stimato dalla
corte di Federico Da Montefeltro di nome Giovanni Santi. In merito alla data di nascita,
sicuro è l’anno di nascita 1483, meno il giorno di nascita. Secondo una famosa leggenda, lui
è nato e morto il giorno del venerdì santo, dando così una sorta di cerchio perfetto, dalla
nascita alla morte. Il cerchio è sinonimo di perfezione e così si ricollega alla natura divina
riconosciuta a Raffaello. Il padre, Giovanni Santi, sarà fondamentale per la sua formazione.
Lo stesso Piero Della Francesca fu ospite di Giovanni Santi nel momento in cui transitò da
Urbino, quindi Giovanni Santi aveva risentito dell’influenza di Piero Della Francesca, che
rimase nell’anima di Raffaello. Il padre si occupa solamente di una formazione iniziale
perché muore prematuramente, e Raffaello continua la sua passione pittorica dietro
consiglio dello zio recandosi da un grande artista dell’epoca, Il Perugino, entrando nella sua
Bottega e iniziando una nuova formazione, creando un rapporto con lui quasi osmotico,
perché arriva un punto nel quale Perugino riconosce il talento di Raffaello e i due iniziano a
collaborare. Perugino era molto amato all’epoca, aveva molte commissioni e bisogno di
diversi collaboratori. Raffaello prese quindi l’incarico diretto di alcuni suoi lavori e qui si crea
l'ambiguità: non si riesce ancora oggi ad assegnare l’attribuzione di alcune opere a Raffaello
o al Perugino. In ogni modo, giovanissimo, a 17 anni, Raffaello prende in mano la propria
vita, prendendo la bottega del padre e guidarla affiancandosi da una serie di collaboratori di
suo padre. Era già definito “Magister” già un maestro, già formato, capace di gestire e
organizzare il lavoro con importanti committenze. Abbandona Urbino e si trasferisce con
questa bottega a Città Di Castello, dando inizio al suo maestoso percorso. Nel 1504, già in
Umbria come d’altro canto a Firenze e in tutta la Toscana, l’abilità di Raffaello era molto
conosciuta. Si parlava di lui e delle sue opere straordinarie. Infatti ottenne committenze che
andavano al di là di Citta Di Castello, viaggiando prima in direzione di Firenze, poi
successivamente verso Roma, e poi anche verso Siena. Soprattutto a Siena ricordiamo la
collaborazione col Pinturicchio all’interno della Chiesa della Cattedrale di Siena nella
Biblioteca Piccolomini. Il Pinturicchio è un altro grande importante dell’epoca che ha voluto
Raffaello.
Nel 1504 si trasferisce a Firenze, perfetta per ambire una carriera stellare, ma lui aveva
anche un secondo fine: viene presentato al gonfaloniere Soderini di Firenze grazie ad una
lettera di raccomandazione scritta da Giovanna Feltria della Rovere, che diverrà la musa
ispiratrice di alcune opere di Raffaello, come la famosa Muta. In questa lettera, Giovanna
Feltria chiede al gonfaloniere Soderini di accogliere Raffaello. In realtà lei dimenticava che
tra Firenze e Urbino non correva buon sangue, per cui il gonfaloniere vista la firma della
Rovere, ignorò questa raccomandazione. Nonostante stesse lavorando in un ambiente che
non conosceva, Raffaello crea una rete di contatti importantissimi, altri con molti autori ed
artisti dell’epoca, e di commissioni molto interessanti. Ma il motivo nascosto di Raffaello è
che non sapeva che a Firenze vi erano i due più grandi maestri del Rinascimento italiano:
Leonardo e Michelangelo, che si stavano scontrando nella decorazione delle pareti della

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battaglia di Anghiari e Cascina. Raffaello ruba le innovazioni di Leonardo: il doppio busto, la
prospettiva aerea, la gestualità. Studia anche lo stile di Michelangelo. Raffaello fece propri
tutti i segreti degli altri, coniugando l’arte di Leonardo e di Michelangelo, insieme a quella di
Piero Della Francesca e del Perugino, dando vita alla sua arte divina ed indimenticabile.
Ottenuta una certa fama, Raffaello decide di ripartire. Anche Giulio II Della Rovere lo
chiama, affidandogli piccoli incarichi e innamorandosi della sua arte, dandogli uno degli
incarichi più incredibili: occuparsi delle Stanze Vaticane. Raffaello così arricchisce ancora di
più la sua arte, ottenendo committenze straordinarie, in ambito pittorico e architettonico, ma
la sua vita si interrompe bruscamente all’età di 37 anni. Vasari ci dice che muore facendo
riferimento ai piaceri amorosi. Vi è la vicenda della Fornarina, questa donna figlia di un
fornaio. Raffaello si innamora di questa donna e le dedica molte opere e, colto dall’impeto
per questa donna, ma avendo trascorso una vita amorosamente forte, probabilmente è
morto di sifilide. Era così amato a livello politico che è stato sepolto a Roma nel Pantheon
accanto a quella dei sovrani d’Italia. C’è una bellissima citazione di Pietro Bembo: “Qui è
quel Raffaello da cui, fin che visse, Madre Natura temette di essere superata da lui e quando
morì temette di morire con lui”.
Perfino Madre Natura lo temeva.

SPOSALIZIO DELLA VERGINE (1504)


L’opera “Lo sposalizio della vergine”, datato 1504, è un'opera che chiude il periodo di
formazione di Raffaello: ricordiamo brevemente che dopo essere nato ad Urbino aveva poi
creato una sua bottega a Città di Castello dopodiché si trasferirà nel 1504 a Firenze, ma
prima di andare via da Città di Castello realizza questa meravigliosa opera che è stata
realizzata per la chiesa di San Francesco proprio nella città di Castello. Nella realizzazione
dello Sposalizio della Vergine il giovane Raffaello decide di avere un punto di riferimento che
non può non essere che il suo grande maestro Perugino: vi troviamo due sue opere "la
consegna delle chiavi", nel mezzo, dove notiamo che Cristo sta consegnando le chiavi a San
Pietro(la chiave del potere temporale, la chiave del potere spirituale) con affianco una serie
di personaggi fra cui anche lo stesso Perugino. La “consegna delle chiavi” è una delle opere
che il Perugino realizza all'interno della cappella Sistina, si trova all'interno del Vaticano,
all'interno della dei Musei vaticani(ambiente sacro), noi sappiamo quando viene nominato il
papà come il conclave si sigilla all'interno di questa stanza per prendere le dovute decisioni,
ricordiamo che questa stanza fu affrescata da una serie di grandi artisti del 400, soprattutto
Fiorentino, inviati da Lorenzo il magnifico tra cui proprio il Perugino, anzi si dice che sia stato
proprio Perugino e non Botticelli, come si è pensato fino a qualche decennio fa, a
sovraintendere lavori, a fare il capomastro e gestire ed organizzare il lavoro di tutti quanti
collaboratori. L'altra opera a cui sicuramente Raffaello fa riferimento è Lo sposalizio di Caen,
nel quale l'autore ripropone proprio lo stesso soggetto: vediamo che anche in questo caso i
personaggi sono disposti soprattutto in primo piano all'interno di una piazza e con il
sacerdote, la Vergine, San Giuseppe ed altri. Notiamo ora gli elementi comuni: col Giudizio
di Caen anche se la tavola di Raffaello è più piccola ripropone proprio quella che è la forma
centinata, che significa arcuata nella parte alta; allo stesso tempo ripropone anche la
collocazione dei personaggi, come d'altro canto anche la consegna della chiave, all'interno
di uno spazio di una grande piazza la cui la cui disposizione prospettica viene resa evidente
proprio attraverso le linee della pavimentazione che, se nel Perugino sono molto minimali,
invece Raffaello crea come delle forme rettangolari che si riducono procedendo in
profondità, che animano anche a livello cromatico tutta quanta la scena. Il punto di fuga è

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proprio nell’apertura all'interno del grande tempio, lo stesso punto di fuga è anche nello
Sposalizio della Vergine di Caen, come d'altro canto anche nella Consegna delle chiavi. I
personaggi in tutte e tre le opere sono disposti in primo piano quindi possiamo dire che
Raffaello si rifà al suo maestro Perugino anche nella disposizione il primissimo piano dei
personaggi di cui narra la storia. Nel mezzo troviamo il sacerdote, a sinistra la raffigurazione
della Vergine, a destra quella di San Giuseppe. Raffaello ci vuole raccontare il momento in
cui il viene inserito e quindi consegnato l'anello da San Giuseppe alla vergine; notiamo
appunto che l'elemento di congiunzione è proprio il sacerdote che unisce i due futuri sposi
per l'eternità. Per quanto riguarda i personaggi ai lati, a sinistra vediamo un gruppo di donne
abbigliate ben vestite che osservano la scena, a destra invece vediamo un gruppo un
pochino più turbolento: si tratta di uomini che hanno tutti quanti in mano un bastoncino,
perché secondo la descrizione che ci viene fornita dai vangeli si sarebbe scelto il futuro
sposo della Vergine proprio attraverso il ramoscello, o meglio colui con il quale il ramoscello
sarebbe fiorito nella parte finale sarebbe stato poi lo sposo della Vergine; infatti tutti gli altri
uomini non hanno il ramoscello fiorito tranne proprio San Giuseppe. Si può notare anche un
uomo innervosito dall' aver perso questa competizione, che arriva persino a rompere il
ramoscello: c’è quindi una contrapposizione fra una situazione a sinistra molto calma serena
con questi i abiti opulenti che ricadono e che danno proprio una presenza molto volumetrica
i personaggi e a destra invece c'è un maggiore dinamismo. Parliamo ora della figura del
sacerdote: a destra nell'opera di Perugino il sacerdote divide simmetricamente tutta quanta
la scena, mentre a sinistra il sacerdote, nell'opera di Raffaello, è sì nel mezzo della
composizione, ma è leggermente sbilanciato da un lato; come d'altro canto se i 6 personaggi
dello Sposalizio di Caen sono disposti in fila l'uno di seguito all’altro in primo piano, invece
Raffaello crea una sorta di movimento: si crea come una sorta di arco fra di essi che lascia
allo spettatore lo spazio necessario per poter inserirsi all'interno della scena. Per quanto
riguarda invece le differenze tra le due opere il tempio nella nell'opera di Perugino è un
tempio 8 facce quadriportico(non vediamo 3 portici ma sicuramente intuiamo la presenza
nella parte retrostante), mentre il tempio realizzato da Raffaello è un tempio molto più affine
alla forma circolare, si tratta di un tempio a 16 facce, oltretutto non troviamo 4 Portici
separati gli uni dagli altri ma un unico porticato che ruota intorno alla parte centrale
dell'edificio stesso cilindrica creando una sorta di movimento di rotazione; questa forma
circolare, quindi gli edifici a pianta centrale che tanto erano apprezzati da Raffaello per lui
erano un punto di riferimento, come un obiettivo fondamentale per le sue ricerche
architettoniche. D'altro canto vediamo che il tempio di Raffaello ci racconta anche qualcosa
in più: innanzitutto il tempio di Raffaello non è una visione sommaria ed abbozzata, si riesce
benissimo infatti ad identificare ogni più piccolo elemento, dal capitello, alle arcate fino alle
volte che troviamo all'interno proprio del corridoio che circola intorno al cilindro centrale.
Poniamo ora l’attenzione su una piccola epigrafe con scritto Raphael Urbinas ed anche la
data di realizzazione dell’opera(1504); vi troviamo quindi un'epigrafe autografa da parte
dell'autore che stabilisce categoricamente quella che è la sua paternità dell'opera e anche il
momento nel quale è stata realizzata.

LA PALA BAGLIONI
Ci troviamo nei 1507 quando Raffaello ottiene una committenza importante: la famiglia
Baglioni, una delle famiglie più importanti di Perugia, gli commissiona una pala d'altare che
doveva essere collocata nella chiesa di San Francesco al prato a Perugia. Possiamo notare
come ancora Raffaello sia legato alla committenza Perugina: ricordiamo che nel 1504
Raffaello abbandona Città di Castello e si trasferisce a Firenze, ciononostante comunque la

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sua fama resta così forte e ben sentita che continuerà ad ottenere committenze anche dalla
sua possiamo dire zona di origine; in più i Baglioni costituiscono una famiglia molto
importante di Perugia in lotta con un'altra famiglia che commissionerà un'altra opera molto
importante di Raffaello, la famosa Pala Oddi e quindi si presta ad una sorta di competizione
fra queste due famiglie. Perugia sta affrontando degli anni molto difficili nei quali è iniziata
una lotta fratricida: la stessa committente dell'Opera che si chiama Atalanta Baglioni chiede
a Raffaello di realizzare questa pala proprio con l'intento di ricordare l'assassinio del figlio
che si chiamava Grifonetto che morì intorno al 1500 durante la lotta fratricida che era sorta
per la conquista della signoria di Perugia. Si tratta di una pala molto articolata: era
sormontata da una cimasa, da una predella e tutto questo complesso di elementi era ed è
stato qui negli anni smembrato e oggi alcuni frammenti di questa grande Pala sono
conservati ai Musei vaticani: ricordiamo infatti che la pala Baglioni rimase nella cappella che
prende il nome della famiglia fino al 19 marzo 1608. Al giorno d’oggi conosciamo la data
grazie ad un avvenimento molto importante per la comunità cittadina: il Papa Paolo Quinto
ho visto l'opera ed essendone rimasto incantato decise di toglierla dalla chiesa in cui era
collocata per regalarlo a suo nipote; ovviamente i Perugini si sentirono privati di una delle
opere più belle mai realizzate da Raffaello e per questo subentrò una dura contestazione nei
confronti della pontefice che si placò soltanto nel momento in cui Paolo Quinto escogitò uno
stratagemma, cioè quello di far realizzare una copia dell'Opera e poi posizionarla al posto di
quella originale di Raffaello; questa copia fu realizzata da un altro importante artista di nome
Lanfranco. Il tema al quale Raffaello si vuole a tenere è quello del compianto del Cristo
morto, che ricordiamo essere uno dei temi iconografici di tutta la storia dell'arte
particolarmente frequente, ciononostante però Raffaello trasforma l'opera, infatti,
quest’opera non viene chiamata Il compianto del Cristo morto ma si chiama Il trasporto di
Cristo morto o Deposizione Borghese per via della sua collocazione odierna perché è
conservato nella galleria borghese quindi l'intento è quello di rivoluzionare lì con l'iconografia
tradizionale. Sappiamo che Raffaello lavorò moltissimo per questa opera, infatti realizzò
moltissimi disegni preparatori che dimostrano proprio tutti i suoi ripensamenti e tutti i
cambiamenti che poi adopera nel tempo. Ricordiamoci che Raffaello è stato allievo del
Perugino che nel 1495 aveva realizzato proprio un’opera con la stessa tematica: si tratta del
famoso Compianto che si trova nel palazzo Pitti, dove se notiamo Cristo è disteso per terra.
La pala Baglioni è la prima pala d'altare in cui vi è un soggetto narrativo: solitamente nella
Pala d'altare vi era soprattutto la raffigurazione del soggetto religioso e sul lato dalla sua
narrazione quindi dalla sua raffigurazione biografica nello specifico trovavamo il santo, la
Madonna, trovavamo il Cristo crocifisso ma invece qui ci viene proprio raccontata una storia,
ecco quindi una grande novità di Raffaello. Esaminiamo ora la scena: si tratta ovviamente
della montagna del Golgota, il Cristo viene portato al sepolcro sorretto da due personaggi,
quello a sinistra è la rappresentazione di Giuseppe di Arimatea mentre dal lato opposto
quindi questo giovane ragazzo anche particolarmente pressante (centrale) è in realtà la
raffigurazione di Nicodemo. In realtà ricordiamo che questa è un'opera che è stata
commissionata da Atalanta Baglioni ed aveva lo scopo di realizzare una pala che potesse in
qualche modo parlare del suo dolore e della sua sofferenza come madre per la morte di suo
figlio(che tra parentesi è stato ucciso dal cugino quindi dopo aver grifonetto ucciso da un
altro elemento della famiglia poi finisce lui stesso vittima di un agguato per mano del cugino)
ma ovviamente Raffaello non può non tenere in conto quella che è la volontà di della sua
committente, per cui deve parlare di questa vicenda attraverso la pala, e lo fa proprio
attraverso le fattezze di Nicodemo: questa capigliatura bionda riccioluta in realtà richiama
secondo ovviamente tutti gli studi effettuati proprio quella di grifonetto, che secondi diversi

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documenti era un uomo di bell'aspetto, viene raffigurato nel momento in cui sta sostenendo il
corpo di Cristo anche se egli soffrendo insieme a Cristo. Possiamo notare che però non si
tratta dell’unica scena raffigurata: sulla destra vi è infatti un’altra scena per noi essenziale, si
tratta invece della raffigurazione dello svenimento della Vergine, creando ancora una volta
un collegamento con Atalanta Baglioni. Allo stesso tempo nello svenimento della Vergine c'è
una sorta di movimento che ci spinge verso sinistra sbilanciando la scena da un lato, e
dall'altro opposto invece questo svenimento speculare che controbilancia ciò che accade nel
lato sinistro. Notiamo ora come Raffaello abbia cercato esporre la psicologia di ciascun
personaggio: in primis la raffigurazione proprio della Vergine, quindi la sua esternazione
della sofferenza cosa che insieme al paesaggio e in stretto collegamento con quelli che
erano gli studi dei moti dell'animo di Leonardo ma l'attenzione di accuratezza di Raffaello
nella resa di quest'opera e anche nello studio dell'incarnato attraverso la modulazione dei
colori e delle luci riesce perfettamente a farci capire i sentimenti dei personaggi. Notiamo ora
che il corpo di Cristo è molto più limpido rispetto quello degli altri personaggi e lo si vede
benissimo attraverso questa sovrapposizione di mani dove si evince come il corpo di Cristo
sia più biancastro perché defunto. Altra cosa molto importante da ricordare è legata proprio
al soggetto: abbiamo detto che Raffaello rivoluziona la tradizione del compianto però in
realtà ha nella sua mente un punto di riferimento, ovvero La morte di Meleagro, una
raffigurazione molto frequente soprattutto nei sarcofagi antichi e dove ritroviamo proprio la
situazione del trasporto quindi Cristo che come nella scena precedente viene sostenuto
attraverso un panno di lino e da parte di due personaggi, ovviamente in questo caso non
sarà Cristo ma proprio Meleagro. Non dimentichiamoci però che nulla nasce dal nulla e che
Raffaello si trasferì nel 1504 a Firenze proprio con l'intento di studiare i grandi maestri
fiorentini(Leonardo e Michelangelo) che nonostante fossero molto più avanti d'età rispetto a
lui, Raffaello fa un grosso un passo indietro molto umile, cercando di comportarsi come una
e carpire tutti i segreti di questi maestri.
Oltre che aver tratto spunto da Leonardo nello studio dei moti dell'animo e anche del
paesaggio, si ispira anche a Michelangelo nello studio famosissimo di quel braccio che
diventerà fondamentale, come un'icona ripetuta nel tempo; ci sono anche delle opere dove
quel braccio che è un riferimento evidente a Michelangelo ma non solo anche Caravaggio
stesso riprende proprio la postura di questo braccio abbandonato; ma non è l'unico elemento
infatti basta guardare al disegno preparatorio della Pala Baglioni nello specifico il riferimento
allo svenimento della Vergine che ci fa intuire lo studio che sta facendo Raffaello sulla
signora inginocchiata e che effettua una torsione sul busto: si dice infatti che questo
elemento sia un chiaro ed evidente riferimento al Tondo doni, una delle opere più celebri di
Michelangelo, da cui trae ispirazione anche per colori che diventano brillanti e vivaci certo
non come quelli di Michelangelo ma comunque amplifica la luminosità di ciascuno dei
personaggi. Raffaello nel 1508 riceve una lettera da parte di Papa Giulio II della Rovere il
quale chiede a Raffaello di raggiungerlo immediatamente a Roma perché è stato informato
da Bramante, altro grande maestro avversario e nemico di Michelangelo, di quelle che erano
le sue virtù artistiche e quindi viene immediatamente convocato; Raffaello viene chiamato
però con un intento ben preciso, cioè quello di occuparsi della decorazione delle stanze del
nuovo appartamento del papà, infatti, dopo aver dato una prima dimostrazione di quelle che
erano le capacità di cui era dotato, il papà rimane entusiasta al punto tale che decide di
affidare solo a Raffaello la realizzazione degli affreschi di tutte quante le sue stanze,
liquidando anche malamente tutti i vari autori che fino al 1508 già lavoravano lì. Giulio II era
diventato papà dopo Alessandro Borgia, tra i due c'è stata sempre una forte rivalità,
oltretutto papà Alessandro Sesto Borgia era un po' più volte accusato di non essere

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propriamente puro nell'anima un ma era piuttosto ammesso al peccato, particolarmente
attaccato ai soldi e quindi come a voler prendere le distanze definitivamente da questo
personaggio Papa Giulio II decide che lui non vuole assolutamente vivere ed alloggiare nelle
stanze dove ha abitato il precedente papà e da qui appunto nasce la necessità di adibire e
rendere consoni alcuni ambienti che poi lui individua proprio per farle diventare le sue stanze
personali. Questa è un'idea che Giulio II incomincia ad avere non appena diventato papà e
per questo aveva richiamato già altri maestri ma visto Raffaello si innamora perdutamente
non sono del personaggio, poiché era una persona affabile, diplomatica e di bello aspetto,
ma allo stesso tempo si innamora della sua arte per questo manda via tutti quanti addirittura
fa rimuovere uno degli affreschi che erano stati realizzati all'interno delle stanze vaticane
persino da Piero della Francesca, quindi è abbastanza evidente quale fosse la passione di
Giulio II nei confronti di Raffaello, che continuerà anche con i suoi successori, proprio per
questo Raffaello viene definito l'artista dei papi, perché ha avuto la fortuna di essere tanto
apprezzato da quest'ultimi. Per quanto riguarda la decorazione delle stanze, dato che era un
lavoro molto imponente, Raffaello decide di farsi aiutare da una serie di collaboratori
ovviamente sempre sotto la sua direzione; è stato un grande anche per questo, per la sua
capacità di creare una scuola, di creare un team di valorosi artisti come Giulio Romano ed
anche una situazione pacifica e positiva nella quale tutti quanti i suoi collaboratori davano il
meglio di sé dietro però sempre la guida del maestro, inoltre confronto a Michelangelo ,
quest’ultimo non sarà mai come il giovane artista a causa del suo carattere brusco. Parliamo
ora delle stanze vaticane: sono quattro, la stanza della segnatura, la stanza di Eliodoro, la
stanza dell'incendio di borgo e la stanza di Costantino. La stanza della segnatura in realtà
era il tribunale supremo della curia che è rappresentato dal papà e che proprio in questa
sala si riuniva, ecco perché la stanza è stata chiamata proprio della segnatura in realtà era il
luogo nel quale il tribunale si riuniva però quotidianamente potremmo dire veniva utilizzato
da papa Giulio II come sua biblioteca personale; Papa Giulio II era veramente un uomo dalla
cultura enorme, un appassionato di scienze, di letteratura, di storia di arte, motivo per cui
ovviamente questa suo interessamento ha la necessità anche di creare un ambiente nel
quale dedicarsi alle proprie riflessioni personali e filosofiche. Essendo all'interno di un
contesto molto importante, alle spalle di questo lavoro c’è un grande studio da parte dei dotti
della chiesa, furono proprio dei teologi della chiesa a creare questo programma iconografico
che poi ovviamente grazie alla maestria di Raffaello prese vita. Nella stanza della segnatura
troviamo la raffigurazione della filosofia attraverso la scuola di Atene e quindi la filosofia che
viene considerata come una verità razionale che viene però posta di fronte a quella che
invece è la verità rivelata quindi attraverso la presenza e l'intervento di Dio, mentre sulla
parete opposta troveremo la teologia, quindi alla filosofia si oppone la teologia, che è
raffigurata nella disputa del Sacramento; sulle altre due pareti troviamo da un lato il Parnaso,
la sede del bello e della poesia, e di fronte due episodi storici legati all'istituzione del diritto
canonico e quello civile.

LA SCUOLA DI ATENE
La scuola di Atene è una delle opere più famose della storia dell'arte realizzata da Raffaello
all'interno delle stanze vaticane, e si tratta di un affresco. Quest'opera È collocata su una
delle pareti della stanza della segnatura, che ricordiamo essere oltre che il tribunale
supremo della curia, anche come biblioteca personale di Papa Giulio II, il quale era un
grande appassionato di arte, filosofia e di letteratura e per questo aveva deciso di realizzare
uno spazio all'interno delle camere proprio adibito a questa funzione. L'obiettivo di questo
affresco è raffigurare quelli che sono i più grandi pensatori del mondo mostrando quindi

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come la filosofia sia intesa come verità razionale, ricordiamo inoltre che questa opera era
collocata esattamente di fronte alla Disputa del Sacramento, che invece era legata proprio
alla teologia. Il concetto alla base è proprio la verità, alla quale l'uomo arriva attraverso il suo
pensiero, il suo ragionamento e quindi attraverso la filosofia che poi ovviamente con
l'avvento del Cristianesimo e quindi di Cristo, si è passato in una verità di natura rivelata,
quindi Dio che rivela la verità assoluta. Guardando l'immagine vediamo una grande
scalinata all'interno di un edificio, dove vi sono circa 58 personaggi; secondo alcuni critici lo
spazio in cui Raffaello li ha collocati è un antico tempio che ricorda quello che Bramante
aveva ideato per la basilica di San Pietro, un grande architetto al quale verrà affidata la
realizzazione della nuova basilica di San Pietro che poi non potrà portare a termine perché
morirà e da lì subentrerà Raffaello, tra i due c'era sintonia intellettiva ed affettiva e infatti
Bramante cercherà sempre di sostenere l'attività di Raffaello: quindi probabilmente, come
omaggio a Bramante, il pittore l'ha collocato tra i personaggi all'interno di questo tempio. Ai
lati del tempio ci sono due grandi statue, una raffigura Apollo con la mano su una lira,
dall’altra parte troviamo invece Minerva con l'elmo, una lancia e uno scudo; vi sono anche
due rilievi in basso ad entrambe le statue. Se guardiamo attentamente l’edificio sembra
composto da due bracci coperti da volte a botte a lacunari, che sono esagonali e a forma di
rombo; in questo caso il riferimento è alla architettura classica e nello specifico alla basilica
di Massenzio, ricordiamo infatti che a Raffaello, una volta entrato nelle grazie del papà,
verranno assegnati degli incarichi importanti, come per esempio fare uno studio e un elenco
di tutte le opere romane di una certa rilevanza presenti proprio sul territorio Romano, per cui
una sorta di grande censimento al quale lui si appassionerà e ovviamente questo
approfondire l'argomento lo porterà a esserne influenzato. Capiamo anche che al di là di
questi due bracci vi è una cupola, che si intravede in alto ed anche una sorta di apertura.
Davanti a questo spazio troviamo questa meravigliosa scalinata dove vi sono questi 58
studiosi e filosofi che Raffaello ha raffigurato con un’abilità nella rappresentazione
fisionomica ed espressiva. Quelli che troviamo nel mezzo sono due sono due personaggi
della filosofia antica molto importanti e che vengono sottolineati proprio dall' essere collocati
con alle spalle un'apertura e quindi sono come incorniciati da questo arco alle loro spalle, si
tratta di Platone con una con una veste rossa e di Aristotele con una invece blu; Platone
come altri personaggi di quest'opera ha delle fattezze ben precise, ciò significa che Raffaello
ha deciso di dare un viso ai tanti personaggi della filosofia storica associandoli a dei
personaggi fondamentali importanti a lui contemporanei, infatti Platone ha il viso di Leonardo
da Vinci, in mano ha vuoi il famoso Timeo mentre con l'altra mano indica verso l'alto, questo
perché secondo la concezione platonica il bene risiede proprio nella sfera celeste e mondo
quindi non è altro che una brutta copia di quella che è la realtà ideale che è al di là; dall'altro
lato invece troviamo Aristotele, anche in questo ha delle fattezze reali, infatti si tratta di
Bastiano da Sangallo, anche in questo caso un grande artista contemporaneo di Raffaello,
quest'ultimo mano un libro dell'etica mentre il braccio destro è disteso in avanti e indica la
terra, questo perché vuole significare che l'unica realtà possibile è quella concreta, ovvero
quella che noi percepiamo attraverso i sensi. Quindi attraverso la gestualità Raffaello ci
racconta anche il pensiero filosofico di questi autori. Il ragazzo con il manto bianco che ci
osserva, secondo alcuni critici rappresenta la bellezza e la bontà greca, in realtà anche lui
ha un collegamento fisionomico contemporaneo perché secondo alcuni critici è il nipote di
Giulio II; ovviamente ce ne sono altri, quelli più importanti sono Euclide col compasso,
Zoroastro che regge il globo di acqua con affianco Apelle nei panni di Raffaello, la
rappresentazione di Diogene sdraiato su questa scalinata o anche lo stesso Eraclito nei
panni proprio di Michelangelo Buonarroti; e proprio in merito a questa figura, i critici

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pensano che Raffaello aggiunto successivamente Michelangelo perché dopo aver visto in
prima apertura la volta della cappella Sistina ne rimase così tanto colpito che decise di
collocarlo all'interno dei grandi della storia e dei grandi della filosofia, successivamente
possiamo dire che la raffigurazione di Eraclito serve anche per stringere il corridoio centrale
e d'altro canto il punto di fuga di tutta quanta l'immagine è ovviamente nell'apertura alle
spalle dei due personaggi al centro, ovvero un impianto prospettico che assolutamente
rigoroso che comunque rende la scena razionale e composta. Alcuni critici hanno cercato di
capire quale fosse la logica utilizzata da Raffaello nella distribuzione dei personaggi e
notiamo una distribuzione simmetrica con Platone e Aristotele nel mezzo, e poi alcuni
personaggi a sinistra ed altri a destra; secondo alcuni sulle scale a sinistra troviamo gli
studiosi e pensatori legati al mondo della natura e dei fenomeni naturali, mentre sulle scale a
destra troviamo gli intellettuali legati al mondo della geometria, vi troviamo da questa parte lo
stesso Bramante tanto ammirato da Raffello. Ricordiamo che Raffaello ideò questo
complesso pittorico grazie all'aiuto dei teologi della chiesa, ciò significa che doveva
celebrare il papato come erede della cultura classica e quindi come sede di sapienza.

L’INCENDIO DI BORGO
Questo affresco si trova nelle Stanze Vaticane e viene eseguito proprio nello stesso anno in
cui Raffaello viene nominato architetto della fabbrica di San Pietro a causa della morte di
Bramante, infatti il papà, dato che ormai provava ammirazione assoluta nei confronti di
Raffaello decide di affidargli anche questo incarico, che portò poi l’artista a studiare tanti
edifici antichi ovviamente classici presenti a Roma (tipo di studi lo ha influenzato
notevolmente). Raffaello attraverso quest'opera è chiamato a glorificare quelle che sono le
storie di Papa Leone III e Papa Leone IV che il papà contemporaneo Raffaello, cioè Papa
Leone X, considerava un po' come i suoi precursori. Ci troviamo nel 847 nel quartiere di
Borgo, un quartiere centrale di Roma vicino alla basilica vaticana, che noi vediamo all'interno
dell'immagine ed è una delle pochissime testimonianze di quel che era la basilica di San
Pietro prima del rifacimento che oggi ancora vediamo vedete; aveva una tipica affacciata
molto legata la cultura bizantineggiante con dei mosaici in facciata. Fu proprio questo il
quartiere colpito da un terribile incendio. Il tutto si risolse grazie all'intervento del pontefice
che dall'alto del suo balcone effettua una benedizione; Papa Leone X decide di fare questo
collegamento con Papa Leone IV in quanto voleva alludere a quello che era stato il suo
ruolo come pacificatore fra la guerra, e quindi in questo senso le fiamme/tumulto, di un
combattimento fra il re di Francia Francesco primo e Carlo Quinto. Il nostro occhio viene
subito condotto verso il fondo attraverso delle linee prospettiche della pavimentazione fino a
inquadrare la loggia, che si chiama serliana perché è composta di tre aperture con un arco
che sarà molto utilizzata proprio come decorativo tettonico anche nel periodo rinascimentale
dal quale il papa sta impartendo la sua benedizione. Abbassando lo sguardo troviamo la
figura di una donna bellissima che sta spalancando le braccia e quindi che ci inserisce
all'interno dell'opera con la giusta intensità emotiva, facendoci comprendere la drammaticità
del momento che stanno vivendo; accanto a lei un'altra famosissima figura tanto revocata
dagli autori successivi al Rinascimento, i manieristi, la famosa portatrice d'acqua che è
raffigurata di spalle e che anche lei sempre per richiamo a quella che era la tecnica giottesca
ci permette di all'interno della scena e sentirci quindi parte di quel che sta accadendo. A
sinistra vediamo da tutta una serie di elementi architettonici molto interessanti, delle specie
di rovine che sono un richiamo alle rovine del foro Romano come d'altro canto anche il
bugnato (questa facciata a Pietraviva) è d'ispirazione bramantesca quindi ancora una volta
un richiamo a Bramante. In questi diciamo in queste rovine architettoniche troviamo la

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riproposizione di quelli che sono gli organi architettonici (tuscanico, corinzio e lo Ionico che
riconosciamo nelle colonne venate sulla destra), mentre ovviamente dall'altro lato troviamo
l'ordine composito per le colonne scanalate. A sinistra di queste colonne troviamo delle
quinte sceniche: riusciamo ad intuire la fuga della popolazione romana dalle zone che sono
stati irrimediabilmente invase dalle fiamme. Ci rendiamo conto che la situazione non è
quieta, non è quella non soltanto per la gestualità, ma perché tutto è alimentato anche da
un’agitazione che potremmo definire trasparente: se guardate gli abiti delle donne ci aiutano
molto a intuire che il momento è drammatico perché le fiamme sono innescate e favorite per
la presenza del vento, che scompiglia i belli e che fa sì che le vesti si incollino in determinati.
Il testo letterario da cui attinge Raffello è l'incendio di troia, quindi guarda il testo omerico e
riprende proprio da lì quella che viene chiamata “pietas filiale”: vi troviamo la
rappresentazione del vecchio Anchise, che viene sostenuto dal figlio enea ed accompagnato
da figlio Ascanio, quindi la pietà familiare che si manifesta in un momento di tragicità; come
d'altro canto molto espressiva e drammatica è la scena di questa donna che ha il bambino
avvolto nelle fasce, quindi evidentemente un neonato, e lo abbandona nelle mani dell'uomo
al di là del muro per salvargli la vita (quindi tutto acquisisce un tono eroico e drammatico).
Quando quest'opera viene osservata nei dettagli gli potrebbe essere facilmente scambiata
con un opera di Michelangelo: a metterci in questo in questo errore grossolano è un
evidente del riferimento che Raffaello fa proprio al grande maestro Fiorentino, guardiamo
infatti la ricercatezza anatomica dei personaggi, Raffaello sta studiando la tensione
muscolare di ogni particolare anatomico, la stessa cosa vale per le donne, anch’esse
vigorose e possenti; si tratta di un errore che sorge dalla volontà di Raffaello di accostarsi
all'arte del suo più grande nemico, d'altro canto ricordiamo sempre che Raffaello era capace
di fare proprie le tecniche altrui, lo notiamo anche nei colori, come per esempio la veste
gialla della donna di spalle, sono accesi e ricordano molto quelle che sono le figure presenti
nella volta della Cappella Sistina.

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