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La Calandria

L'opera fu scritta da Bernardo Dovizi da Bibbiena nel 1513.

Bernardo Dovizi da Bibbiena

Vita riassunto:
-1470: Nasce a Bibbiena;

-1492 entra nella cancelleria Medicea;

-1494 prende parte all'ambasciata fiorentina presso Alessandro VI: è poi a napoli
come ambasciatore presso re Alfonso; diventa l'uomo di fiducia di Piero de' Medici e
del cardinale Giovanni de' Medici.

-1513 Giovanni de' Medici è eletto al soglio papale con il nome di Leone X e Bibbiena
diventa Cardinale. Nello stesso anno, ad Urbino, viene rappresentata la Calandria;

-1515 accordo sottoscritto tra il papa, l'imperatore Massimiliano, la Svizzera,, Milano e


Genova contro la Francia. In questo il ruolo di Bibbiena è cruciale;

-1518 si reca in Francia per promuovere una crociata contro i turchi; gli viene
assegnato l'arcivescovado di Costanza, che cede all'amico Pietro Bembo;

-1519 rientra a Roma;

-1520 muore a Roma, probabilmente di malattia, anche se qualcuno parla di


avvelenamento.

Vita scritta in modo dettagliato:


Bernardo Dovizi da Bibbiena (Bibbiena, 2 agosto o 4 settembre 1470 – Roma, 9 o 11 novembre 1520) è stato un
cardinale, diplomatico e drammaturgo italiano.

Bernardo nacque dalla famiglia dei Dovizi, signori di Bibbiena, capoluogo del Casentino aretino, per questo fu
chiamato anche Cardinal Bibbiena o più semplicemente il Bibbiena. Potente uomo della corte medicea, legò il
suo destino alla famiglia ducale di Firenze anche quando Piero de’ Medici, primo figlio di Lorenzo il Magnifico,
venne esiliato da Firenze nel 1494 al tempo della calata del re di Francia Carlo VIII in Italia, anche per la politica di
Girolamo Savonarola che spinse i fiorentini alla costituzione di una repubblica che meglio si adattava al
controllo del potere da parte del partito savonaroliano sulla città.

Bernardo seguì, come segretario, il cardinale Giovanni de’ Medici, futuro papa Leone X, nell’esilio presso la corte
di Guidobaldo da Montefeltro a Urbino. Proprio ad Urbino, passata sotto la signoria di Francesco Maria I della
Rovere, il Bibbiena ebbe l’occasione di conoscere e frequentare i maggiori artisti di quella corte come Francesco
di Giorgio Martini, il Laurana, ma soprattutto stringere amicizia fraterna con Baldassarre Castiglione che
contribuì alla buona riuscita scenica della sua unica commedia La Calandria recitata ad Urbino nel 1513.

Il Bibbiena compare anche nell’opera più importante di Castiglione “Il Cortegiano” come uno degli interlocutori
principali.

Fu legato alla marchesa di Mantova Isabella d’Este, il cui figlio Federico II Gonzaga venne inviato a Roma alla
corte papale in pegno della liberazione del padre Francesco II Gonzaga e venne protetto dal cardinale stesso.[1]

Dopo l’elezione di Leone X, il Bibbiena seguì il Papa a Roma. Fu investito della porpora cardinalizia nel concistoro
del 23 settembre 1513, ricevendo la berretta e la diaconia di Santa Maria in Portico il 29 settembre successivo.
Come amico e collaboratore di Leone X (che lo chiamava scherzosamente Alter Papa), al Bibbiena furono
affidate la corrispondenza papale e delicate missioni diplomatiche. Fu, tra le altre responsabilità che tenne,
Legato in Francia nel 1515, nel 1518 e di nuovo nel 1520. Fu legato dell’Umbria nel 1517.

Di ritorno da Parigi, Bernardo Dovizi da Bibbiena morì a Roma, forse avvelenato, nel 1520. Fu sepolto nella Basilica
di Santa Maria in Aracoeli.

La Calandria è un'opera commissionata da Francesco Maria della Rovere, nipote adottivo di Ippolito d'Este.

L'opera è importante per il teatro del 500, in quanto è l'esempio del nuovo tipo di
teatro che sta prendendo piede nelle corti italiane durante il rinascimento.

Esso appare ispirato ai modelli di Plauto e Terenzio (Merecmi di Plauto importante


per la Calandria) ma è arricchito di elementi della cultura contemporanea. Era
pratica dell'epoca, infatti, recuperare i testi classici greci e latini (rinascimento) per
poi riadattarli alla realtà dell'epoca. Uno dei primissimi a tradurre testi classici fu
Ercole I d'Este che non aveva una formazione classica ma affida la traduzione a dei
dotti per poi far rappresentare le opere. Ciò è noto grazie alla lettera che scrive a
suo genero, Francesco Gonzaga che richiede una parte dei testi tradotti ma lui
risponde che non può inviarli perchè sono ormai copioni per gli attori e quindi gli
invia delle prose. La prima rappresentazione di un testo classico è quello dei Merecmi
di Plauto, rappresentata in onore del carnevale. L'opera parla di due gemelli identici e
dei seguenti equivoci che la somiglianza scaturisce, ma gli eventi della rappresentati
Contesto storico sono anche usati per volgere una critica alla corte estense dell’epoca.

Altra opera che parla di scambi di persone è l'Anfitrione di cui è famoso il prologo
che ha come protagonisti gli dei in persona che raccontano le vicende dell’opera.

In tutta la tradizione teatrale, il prologo ha una valenza importantissima: a recitarlo è


un personaggio della scena, una divinità apparsa ex machina, una personificazione
del prologo stesso oppure di un'allegoria oppure ancora un personaggio che
incarna il ruolo dell'autore, che si rivolge agli ascoltatori in un monologo destinato a
svelare l'antefatto, cioè a introdurre l'azione scenica prima del suo vero e proprio
inizio, a chiarire degli avvenimenti. Inoltre, poteva dare delle informazioni sull'autore,
sull'originale greca (nelle commedie Romane) e il suo autore, o poteva avere la
funzione di difendere l'autore dalle critiche.

Ercole I d'Este viene, inoltre, messo a confronto con l'Ercole classico in quanto ha
adempiuto all'impresa di far trionfare di nuovo il teatro in Italia. In più, Ercole aveva
un altro vantaggio da tutto ciò, in quanto ha trovato un modo per riportare dalla sua
parte la corte dopo la perdita di Rovigo in una delle guerre italiane. In questo caso è
evidente la grande importanza che il teatro poteva avere per la politica e viceversa
(Pellegrino Presciani → Spettacula → utilità del teatro per la politica). L'argomento
viene ripreso anche da Ariosto che, nel 30 canto dell'Orlando furioso, sottoliena che
spesso gli autori non sono liberi di scrivere quello che vogliono per assoggettati al
duca della corte che li ospita e finanzia.

La commedia è divisa in cinque atti e, come ribadisce il prologo, è in volgare e non in latino. Rappresenta la
ripresa umanistica del teatro classico ma insieme unisce elementi della novellistica di Boccaccio. Nella
commedia non viene rappresentata direttamente la realtà ma viene filtrata attraverso modelli letterari ben
riconoscibili da parte del pubblico a cui è rivolta.

Il 1513 è un anno importante per Urbino, in quanto è l'ultimo anno di autonomia politica del ducato, poi assediata
dalle truppe pontificie.

Lo spettacolo allestito per la rappresentazione della Calandria è spettacolare, mirata a valorizzare la potenza
del duca di Urbino che aveva reso la città colta e raffinata. Una seconda rappresentazione ci sarà per Leone X
in onore di Isabella d'Este, un evento che contribuisce a consolidare la commedia in volgare e l'uso della scena
prospettica della città.

Il prologo della commedia con la quale è stata pubblicata non è di Bibbiena, bensì di Castiglione, probabilmente
scritta per aprire lo spettacolo del 1513. Come motivazione, in una lettera a Ludovico di Canossa, Castiglione
afferma che il prologo dell'autore sia arrivato troppo tardi, per cui è stato usato uno dei suoi che piaceva molto
agli attori e che è stato usato nelle rappresentazioni successive.

Nel prologo Castiglione si concentra sulle novità dell'opera, prima fra tutte il fatto che l'opera è in volgare e non
in latino. L'argomento era molto dibattuto all'epoca: molti lettorati si interrogavano su quale lingua fosse quella
giusta da diventare lingua letteraria; il latino ormai apparteneva solo alla chiesa e alle persone più dotte e
l'opera si presenta come un tentativo di innalzare la lingua volgare al pari del latino e del greco.

Una cosa simile aveva fatto Ariosto nella Cassaria in cui, nel prologo, attraverso una captatio benevolentiae
verso il pubblico, aveva parlato delle possibili reazioni del pubblico davanti ad un nuovo tipo di teatro, che si
discosta da quello classico, e davanti all'uso della lingua volgare che definisce migliorabile attraverso dei “giochi”.

La Calandria è una commedia che superava la tradizionale ispirazione plautina o terenziana che sino a quel
momento era stata la norma degli umanisti che si erano dedicati al recupero degli antichi testi drammatici
greco-romani modernizzandoli ma lasciando inalterato il contenuto e le trame.

Sin dal titolo il Bibbiena si distacca dalla tradizione classica avvicinandosi invece alla novellistica medievale: il
nome del protagonista richiama, sia per il nome che per la beffa che viene perpetrata ai suoi danni, il
personaggio boccaccesco di Calandrino che compare più di una volta nel Decameron. La stessa messinscena,
in collaborazione con il più celebre scenografo del suo secolo Girolamo Genga, introduce la cosiddetta scena di
città con una scenografia prospettica e dove appaiono, per la prima volta, quinte praticabili con vedute della
città di Roma dove la commedia è ambientata. Sino alla Calandria la scenografia dei testi drammatici si
risolveva in una serie di edicole d'ispirazione medievale ancora molto simili a quelle del teatro dei Misteri, ossia le
sacre rappresentazioni con gli ambienti divisi da tende.

La storia di Calandro ricalca i temi della beffa amorosa che sarà un archetipo della commedia cinquecentesca
da quelle di Ariosto a quelle Niccolò Machiavelli: travestimenti, agnizioni, ambigui giochi di parole dei servi che
anticipano di qualche anno l'apparizione degli zanni della Commedia dell’Arte.

Un'altra novità fu anche l'introduzione di intermezzi, che in seguito contribuiranno alla nascita del melodramma:
tra un cambio di scena e l'altro gli spettatori assistono a effetti speciali, carri trionfali e balli.

ANALISI DETTAGLIATA

Prologo Castiglione:
Il prologo presenta l'opera del Bibbiena sottolineando, fin da subito, il suo distacco con il linguaggio delle
commedie antiche: per la rappresentazione non viene usato il latino, bensì il volgare, in quanto, in base a quello
che dice Castiglione, l'autore l'ha scritta per tutti, non soltanto per i dotti, perciò è giusto che sia capita anche da
chi il latino non lo parla. Inoltre il volgare, a differenza di come l'aveva considerato Ariosto, è visto come una
lingua al pari con le lingue classiche, ha solo bisogno di essere esaltata e osservata.

La commedia, inoltre, parla delle cose “familiarmente fatte e dette” per questo è inutile usare il verso. Inoltre
l'opera è nuova ed è giusto che sia così per le opere “vecchie” vengono considerate noiose. Importante
sottolineare l'aggettivo possessivo usato per definire la lingua volgare: prima era la lingua “vostra”, ora è la
“nostra”, poiché il pubblico deve stare in silenzio per permettere agli attori di recitare, per cui c'è un richiamo al
silenzio del pubblico.

Si conclude, poi, con una raccomandazione al pubblico, ovvero quella di non pensare che l'autore abbia
ricopiato Plauto, in quanto le sue opere sono fatte per dare ispirazione agli autori successivi a lui. Nel prologo
viene anche introdotto uno dei personaggio dell'opera, importante perché da esso trae il suo nome, Calandro. È
descritto come un personaggio sciocco e viene fatta una similitudine con Martino uno sciocco proverbiale,
citato anche in altre commedie dell’epoca: Martino riteneva, nella sua dabbenaggine, di detenere poteri magici
e di poter trasformarsi a suo piacimento in ogni cosa.

Prologo del Bibbiena


Al primo prologo della Calandria ne è stato aggiunto un altro, ritrovato postumo (1861) da Isidoro del Lungo tra
alcuni autografi di Bibbiena nella biblioteca nazionale di Firenze. L'ipotesi di questo studioso è stata messa in
dubbio da Giorgio Padoan che ritiene che sia il prologo del Castiglione che quello del Bibbiena siano dei prologhi
"pass-par-tout". Ciò vuol dire che il prologo del Castiglione non è stato scritto apposta per l'opera perché quello
del Bibbiena non arrivava, ma che fosse un testo ben conosciuto dagli attori e apprezzato dal pubblico.

Il secondo prologo, comunque, si presenta pieno di immagini che hanno come sfondo una notte fiorentina. Le
varie vicende narrate sono viste con uno sguardo prudentemente malizioso del protagonista e sono
caratterizzate da una tipica comicità rinascimentale velata dal decorum cortigiano. Ai suoi occhi vengono
svelati capricci e virtù delle donne, che lui considera, però, futili, perché il modo di imbellettarsi delle donne non
le rende affatto più belle ma solo più "decadenti" prima del tempo. Nel testo sono inseriti molti richiami agli
spettatori e ad una veglia ed è presente la tipica escusatio finale ripreso dai Menecmi di Plauto e dal prologo del
Castiglione, ma ciò non lo vincola ad una rappresentazione teatrale. Difatti, secondo Carlo Fanelli, autore del
saggio che ho letto relativo al saggio, il testo si presenta come uno svagato racconto con spunti metateatrali. È
l'atmosfera onirica creata dal sogno e dal sonno che rende questo prologo non più soltanto un prologo ma,
come appuntava Padoan, qualcosa tra commedia e novella che valica la funzione asseganta alla tipologia
drammaturgica.

Il soggetto dal prologo rimanda ai poemi cavallereschi di Boiardo e di Ariosto. Il tema dello spazio familiare, del
tradimento, delle rapporti generazionali non era nuovo allora, in quanto già presenti nella drammaturgia latina.
Tuttavia è giusto sottolineare che tutte queste scene non venivano mai rappresentate sul palco, ma si era soliti
usare rimandi indiretti, allusioni. Difatti, nonostante la grande influenza che la vita domestica aveva sulla

rappresentazione, si tendeva a rappresentare sempre azioni su strade, piazze o usci di case, lasciano al pubblico
l'immaginazione.

Lo stile narrativo del prologo fa entrare il pubblico in una dimensione comica che anticipa quella della
commedia.

(Bibbina è solito usare battute ironico-comiche per il testo e nessuna indicazione sul movimento e
atteggiamento degli attori/personaggi. Tuto emenrge dalle battute che pronunciano. Inoltre i personaggi di
presentano privi di spessore, per cui è evidente che Bibbiena utilizzi le maschere fisse, come quella del servo,
molto cara a Plauto in Merecmi.

Argumento
Si descrive l'antefatto della commedia, cosa che non è stata affidata al prologo. Si racconta di questi due
gemelli che sono identici e molto spesso vengono scambiati. Nascono a Modone e, quando muore il padre e la
città viene presa dai turchi, i due devono separarsi: Santilla si traveste da Lidio e scappa insieme alla nutrice e al
servo Fannio credendo che il fratello fosse morto. In realtà, Lidio non lo era e scappa da Modone insieme al suo
servo Fessenio.

I primi vengono venduti come schiavi a Perillo, un mercante italiano e si trasferiscono a Roma, i secondi
scappano in italia dove Lidio impara la lingua e i costumi e si innamora di Fulvia, a causa della quale si traveste
spesso da donna per riuscire ad entrare in casa sua e stare con lei di nascosto dal marito.

Nell'argumento, infine, si dice che tutto si svolge a Roma ma, dato che i personaggi non possono spostarsi per
loro, la città si è fatta così piccola da entrare ad Urbino.

Atto Primo
Scena I

Troviamo Fessenio solo che ci spiega quello che è successo dopo l'arrivo di Lidio in Italia. Quando ha sentito che
la sorella era viva si è precipitato a Roma a cercarla e adesso sono 4 mesi che sono li, tempo in cui si è
innamorato di Fulvia e Fessenio fa da servo a lui, lei e a suo marito per orchestrare al meglio le visite che fa
Lidio (vestito da donna) a Fulvia.la scena finisce con l'arrivo di Polinico, precettore di Lidio.

Scena II

Nella scena, Polinico cerca di dissuadere Lidio ad amare Fulvia, in quanto ha la sensazione che andrà male: le
donne che amano uomini più ricchi sono lodate, gli uomini che amano donne più ricche no. Fessenio protegge il
suo padrone e nasce uno scontro verbale tra i due che vede Fessenio fare delle battute sciocche sull'età del
precettore e quest'ultimo si difende dicendo che Fessenio non ha diritto di parlare e che sicuramente lo porterà
alla rovina. Lidio non da ascolto al precettore, dicendo che all'amore non si può comandare e che, se il
precettore è ormai vecchio, lui deve avere il diritto di fare quello che vuole.

Scena III: la scena prima si conclude con Fessenio che dice di dover raccontare a Lidio qualcosa che lo
rallegrerà dopo l'incontro con Polinico. Gli racconta che qualche giorno prima Calandro (marito di Fulvia) si è
innamorato di lui vestito da donna. Lidio scoppia in una risata e capisce certi gesti dell'uomo. Infine Fessenio dice
che, data la grande stupidità del l'uomo e dato l'aiuto che quest'ultimo gli ha chiesto per fare sua Lidio femmina,
la cosa potrà andare a loro vantaggio. La scena si conclude con l'arrivo di Calandro.

Scena VI

Fessenio si incontra con Calandro che gli chiede se ha chiesto a Santilla se lo ama. All'inizio Fessenio lo prende
in giro (sono suoi la veste i guanti ecc..) poi gli lascia intendere che lei parla di lui. Infine, Calandro esce di scena
con la promessa di Fessenio e quest'ultimo vede da lontano la serva di Fulvia, Samia, abbastanza infervorata e
le si avvicina.

Scena V

Fessenio e Samia parlano e lei gli dice che Fulvia ha voglia di trasdullarsi con Lidio e lei sta andando da un
negromante per far fare al ragazzo quello che vuole la sua padrona. Con la promessa che Fessenio non dirà
nulla, si salutano.

Scene VI-VII

Samia trova Ruffo, il negromante e lo porta da Fulvia, ma egli spera che non sia perché anche lei crede che sia
un negromante. Nella scena successiva, Fessenio inconra di nuovo Calandro che gli chiede di Santilla. Fessenio
(dopo un intro in cui crede che Amore e Cupido abbiano messo un cuor gentil in Calandro per burlarsi di lui), si

prende gioco di lui, dicendogli che ha buon gusto per le donne. Fessenio dice che quando avrà la donna la
"mangerà" e da li parte una beffa da parte di Fessenio che gli fa credere che una donna si beve perché
quando la si bacia si "succhia" e gli fa credere che lui sia molto savio, cosa che fa aumentare la fiducia di
Calandro per lui.

Scena VIII

Ruffo parla solo in scena. Dice che Fulvia crede davvero che ha uno spirito a sua disposizione e che avrebbe
pagato profumatamente affinché Lidio si travestisse da donna e facesse quello che vuole

lei. Ruffo dice di conoscere Lidio (che viene dalla Grecia come lui) e dice che prima ha bisogno di parlarci.
Tuttavia, il Lidio a cui si riferisce non è Lidio ma Santilla vestita da uomo che sta a casa di Perillo, un ricco
mercante che l'ha comprata insieme ai servi.

Atto II
Santilla racconta la sua storia e di essersi sempre vestita da maschio perché la vita degli uomini è più tranquilla
di quella delle donne. Difatti, se fosse stata donna, i turchi non l'avrebbero venduta e Perillo non l'avrebbe
comprata. Ora, il mercante la ama così tanto che vuole darle in sposa sua figlia Virginia, poiché crede da
sempre che lei sia un maschio. Sfoga la sua paura con la nutrice e Fannio, suo servo. Si avvicina a loro Samia,
mandata da Fulvia perché credeva di aver visto Lidio dalla finestra, e la invita ad andare dalla padrona. Santilla
non capisce quello che dice, in quanto non conosce Fulvia e Samia se ne va infervorata, incredula che Lidio
faccia finta di non conoscerla e spera che il negromante faccia il suo lavoro. Alla fine della scena, Fannio
riconosce Samia e così anche Santilla. Di seguito, va da loro Ruffo che le racconta cosa vuole da lui/lei Fulvia.
Quando Ruffo le racconta che deve andarci vestita da donna rimane incredula ma il negromante la vede come
un modo per poter far soldi. Santilla, che non vuole mettersi in mezzo a queste cose, dice a Ruffo che, quando
avrà parlato Fannio deciderà se incontrare Fulvia più tardi. È Fannio che convince Santilla ad accettare la
proposta del negromante come si evince dalla scena seguente (scena quarta).

Nella scena quinta, Fessenio va da Fulvia e le dice, come pattuito con Lidio, che quest'ultimo è in procinto di
partire per andare a cercare sua sorella. Fulvia, disperata, prega il servo di non farlo partire e gli promette che
quando Lidio avrà trovato Santilla la darà in sposa a suo figlio Flaminio. La scena si chiude con Fessenio che
vede Calandro e decide di andargli a parlare.

Nella scena sesta, troviamo Fessenio che parla con Calandro in merito all'amore che lui prova per Santilla
(Lidio). Il servo lo convince che la ragazza/o prova qualcosa per lui e che lo sta aspettando nella sua casa per
consumare. Per arrivarci, però, Calandro deve entrare in un baule per non essere scoperto. La scena è in chiave
comica: Fessenio fa dire una “formula magica” a Calandro, che però non la sa pronunciare, per entrare nel
baule e per staccarsi delle parti del corpo per entrarci.

Nella scena settima vediamo Samia che si lamenta per la scelta di Lidio di andarsene e crede che nessuno
sospetti nulla del suo amore. Vede, poi, Lidio che parla con un servo, poi viene chiamata da Fulvia.

Nella scena seguente si vede Santilla che parla con Fannio, appena tornato da Tiresia. Dice che il matrimonio
tra lei e Viriginia è quasi pronto e Santilla comincia a maledirsi per la situazione in cui si trova. Fannio la
rassicura, dicendo che forse fare quello che dice Ruffio potrebbe aiutarla. Poi escono dalla scena dicendo che
sarà Ruffo ad aspettarli.

Nella scena ottavia abbiamo di nuovo Fessenio e Calandro: è chiaro come Bibbiena usi questi due personaggi
per creare scene di immediata comicità. Fessenio ha portatoil baule in cui dovrà mettersi Calandro che gli
chiede se ci dovrà entrare vivo o addormentato. Il servo gli dice che dovrà farlo da morto: gli rivela un segreto
per resuscitare ogni volta (che comporta movimenti comici in scena) e lo provano subito, provocando la felicità
e lo sgomento di Calandro. L'atto si conclude con Calandro che dice alla moglie Fulvia (probabilmente da una
finestra) che andrà in campagna per una battuta di caccia, mentre, in realtà, si vedrà con Santilla (Lidio).

Atto III
Si apre con un monologo di Fessenio che prova a “vendere” il baule con dentro Calandro.

Sottolinea di nuovo il suo piano: Calandro vedrà Santilla, ovvero Lidio, ma consumerà con una prostituta che ha
ingaggiato. Alla fine della scena, la donna arriva. Nell'ultima frase troviamo una metafora dell'atto sessuale.

Nella seconda scena, la donna si avvicina a Fessenio e dietro di lui c'è il baule portato da un facchino. Dopo aver
ripassato il loro piano, si avvicinano al terzetto degli sbirri di dogana che chiedono di controllare il baule. (il
facchino ha un accento bergamasco perché di solito sono loro che hanno quegli incarichi) e Fessenio, con
astuzia, fa credere che lì dentro c'è il marito della donna (la prostituta) che è morto di peste. Segue dicendo che
lo butteranno in acqua. Calandro, per la paura che si avero, si ridesta e tutti scappano. Nella terza scena
troviamo Fessenio e Calandro. Quest'ultimo vuole picchiare il servo per quanto è successo ma Fessenio gli
spiega che se non avessero fatto così, le guardie avrebbero preso il baule. Calandro si convince di questo e
chiede della donna che è andata via. Il servo lo convince che quella era l morte che stava con lui nel baule, poi
gli dice che ormai non potrà più vedere Santilla. Lui si dispera e il servo lo fa travestire da facchino, dicendo che
dopo essere morto non lo riconoscerà nessuno, e architetta le sue prossime mosse. Incontra, infine, Samia e ci
va a parlare. Si scambiano qualche battuta sui loro padroni e su Ruffo, poi Samia torna a casa da Fulvia.

Nella scena seguente, infatti, Samia rivela a Fulvia che lo spirito che ha chiamato Ruffo non ha risposto in modo
chiaro e che Lidio non la ma più e che si è dimenticato di lei. (aveva incontrato Santilla, prima). La donna si
dispera e alla fine dice a Samia di travestirla da uomo perché così potrà parlare con Lidio senza essere
riconosciuta.

Nelle quattro scene seguenti, troviamo Samia che pensa che la sua padrona sia impazzita per amore, poi nella
scena successiva vediamo Fulvia travestita da uomo che saluta Samia e le dice di tenere la porta della casa
chiusa.

Poi, nella scena seguente, continua ad esternare la sua disperazione e la sua determinazione. Nella scena dopo,
Samia rivaluta il gesto della donna e si chiude a casa della padrona con il suo amante. Infine, nell'ultima scena,
Fessenio comunica che il piano si sta svolgendo e che vuole raccontare tutto a Fulvia. Nella decima scena
Fessenio va a casa di Fulvia ma trova Samia: la scena è di carattere boccaccesco, e Samia gli dice che la
padrona è andata a casa di Lidio.

Nella scena undicesima Fessenio è ammirato dal coraggio di Fulvia ma è preoccupato del fatto che sta
andando a casa di Lidio dove si trova Calandro. Difatti, nella scena successiva, troviamo uno scontro verbale tra
Calandro e Fulvia: lui lo accusa di averla tradita ma afferma che non solo lui è in grado di farlo, mentre lui
compara la moglie a Santilla, dicendo che quest'ultima è meglio di lei. Anche qui troviamo molti riferimenti a
Boccaccio.

Nella scena 13 Fessenio fa di nuovo un monologo su quanto l'amore (intesa come divinità) possa architettare
storie incredibili (richiamo a Boccaccio). Chiude la scena dicendo che andrà a parlare con Fulvia.

Nella scena successiva li troviamo in compagnia di Samia. La donna spiega tutto a Fessenio e poi gli chiede di
Lidio. Il servo afferma di aver visto tutto e poi che Lidio non partirà presto e che potrà parlarci. Poi Fulvia manda
Samia a parlare con il negromante.

Nella scena 15 Samia e Ruffo si parlano: la prima è sospettosa che il lavoro del secondo non sia efficace, poi
incontrano Santilla e Fannio e Ruffo la indirizza da loro. In questo modo capirà se i due sono d'accordo o no.
Scena 16: Samia e Santilla (Lidio) si parlano: Santilla chiede scusa alla serva per non averla riconosciuta e poi le
dice che andrà all'incontro con Fulvia vestita da donna. Nel frattempo, Ruffo era rimasto a guardare la scena.
Dopo che Samia è andata via, Ruffo si avvicina a Santilla e a Fannio. Prima, però, c'è uno scambio tra Santilla e il
suo servo, in cui Fannio capisce che la ragazza è stata scoperta Samia, prima, aveva detto a Santilla di vestirsi
come di consetuo per andare da Fulvia. Una volta che il mago li raggiunge, Santilla va a vestirsi da donna,
lasciando soli i due uomini. Fannio gli rivela una cosa che non può dire per lo scalpore che susciterebbe: Lidio
(santilla) è ermafrodita e, dato che Fulvia l'ha richiesta vestita da donna, ci andrà anche con il sesso di donna.
Anche il servo ci andrà vestito da donna.

Difatti, nella scena seguente ( 21), Ruffo e Fannio si incontrano e il primo sembra non riconoscere il secondo. Poi,
dopo aver fatto i complimenti a Santilla, si incamminano verso la casa di Fulvia.

(22) Fessenio e Fulvia parlano: il primo dice alla donna che Lidio andrà presto a casa sua e la scena si conclude
con la felicità di Fulvia (che deve far uscire di casa il marito) e Fessenio che va via per non essere visto da
Calandro.

Nell'ultima scena del terzo atto, troviamo sia Lidio sia Santilla ma essi non si accorgono della presenza dell'altro:
Bibbiena fa presentare la scena a Calandro che non sa come salutare Santilla ma non sa quale delle due è
quella vera. Alla fine quando Lidio (travestito da femmina) lo vede, decide di tornare a casa e di tornare dopo da
Fulvia, mentre Santilla viene vista dalla donna che la invita ad entrare.

Atto Quarto
Nella prima scena troviamo Fulvia che chiama Samia per far arrivare il negromante, dato che il suo Lidio è in
realtà una femmina: crede, infatti che lo spirito abbia fatto troppo e vuole consolazione da Ruffo.

Nella scena seguente i due parlano e Ruffo le dice che è normale la situazione perché lei non è stata chiara
nelle sue richieste allo spirito. Le dice, poi, che lo spirito è in grado di convertire il misfatto e la donna lo ringrazia
e gli promette tanti denari. Ruffo, rimasto solo, è scioccato dall'innocenza della donna che crede che uno spirito
sia in grado di fare una cosa simile. Vede poi Santilla e Fannio e si avvicina loro: il negromante spiega la
situazione e il servo accetta di tornare di nuovo a casa di Fulvia.

(4) Santilla maledice Fannio per aver accettato una cosa così impossibile ma il servo spiega di avere un piano:
dato che Fulvia aveva portato Santilla in una stanza buia, quando ci ritorneranno e andranno di nuovo in quella
sala, Santilla deve far finta che deve dire una cosa al servo e, una volta uscita, darà i suoi vestiti a Fannio che
prenderà il suo posto. Il piano viene considerato geniale dalla donna che era preoccupata di dover svelare la
sua identità e far perdere credito a Ruffo.

(6) Samia torna a casa, dopo essere stato a casa di Ruffo che le ha dato una polizza, ovvero una lettera breve.
Incontra Fessenio e gli spiega tutta la situazione. Il servo, incredulo legge la lettera del negromante in cui c'era
scritto che lo spirito rimedierà al suo errore e che spera di essere pagato. Infine Samia va a consegnare la
lettera alla padrona e Fessenio vuole prima tastare con mano se è vero che Lidio è diventato una donna e va
verso casa.

Atto Quinto
Nella prima scena dell'atto quinto vediamo per la prima volta Lidio e Santilla nello stesso posto. I due non si
riconoscono: Lidio è vestito da maschio, mentre Santilla da donna. Samia ha una borda di fiorni da consegnare
a Lidio ma vedendoli, non sa chi è il vero Lidio. Comincia a fare delle domande per capirlo ma entrambi
rispondono insieme e bene alle domande che fa. Infine torna dalla sua padrona perché sia lei a decidere tr ai
due. I fratelli, rimasti soli, si interrogano sul perché si assomiglino tanto e poi Lidio decide di andare da Fulvia,
mentre Santilla aspetta Fannio che intanto era andato da Tiresia.

(2) Santilla si trova da sola e, disperata, si chiede se adesso sia meglio che si faccia chiamare Santilla. Fessenio si
avvicina a lei e sentendola dire questa cosa comincia a credere che la storia dello spirito sia vera e comincia a
tastare la donna, che si ritrae. Fessenio cerca di convincerla, poi, che è lui il suo padrone ma quando quella gli
risponde di no, non ci crede e crede che sia sia impossessato di lui lo spirito di sia sorella che gli ha fatto
dimenticare tutto tranne che di Fulvia. Arriva Fannio e comincia uno scontro verbale tra i due servi: entrambi
dicono di essere il servo della donna. Poi Fessenio vede da lontano Lidio e va da lui, nel frattempo Santilla e il
servo cominciano a capire, grazie ad alcune parole dette da Fessenio, che sia proprio lui Lidio. Fessenio
riconosce il suo vero padrone che nel frattempo va da Fulvia e il servo si avvicina di nuovo a loro per scusarsi di
aver sbagliato persona, ma la donna e il servo riconoscono che lui è un servo che era con loro a Medone e che
il suo padrone è il fratello della donna. Il servo riconosce, finalmente Santilla.

(4) Sami è venuta a sapere che i fratelli di Calandro hanno visto Fulvia con Lidio e adesso stanno arrivando per
svergognarla e per uccidere Lidio. Racconta tutto a Fessenio che cerca di risolvere la situazione. Samia gli dice
che Lidio è nella camera terrena con Fulvia e chiede a Samia di non far entrare nessuno. Inoltre rivela che
Fulvia vorrebbe chiedere al negromante di far tornare Lidio di nuovo femmina e scampare il pericolo. Per
Fessenio è una sciocchezza, manda via Samia e va da Santilla e Fannio e gli chiede di scambiarsi i vestiti. Poi,
attraverso un monologo di Lidio sappiamo che Fessenio è andato nella camera in cui c'erano i due amanti e
scambia i suoi vestiti con quelli di Lidio. Fulvia si trova da sola e affronta Calandro, infervorito da quanto è
successo ma lei nega tutto, invitandolo ad entrare nella camera per vedere chi c'è davvero.

Nella scena nona, Lidio si dice pronto ad intervenire nel caso in cui Calandro faccia del male alla moglie. Poi
incontra Fannio che gli chiede i suoi vestiti indietro ma Lidio non sa di che parla perché quei vestiti non sono i
suoi. Poi arriva Fessenio che fa capire che tutta la situazione con i fratelli è risolta perché hanno trovato Fulvia
con una donna. Poi fa incontrare Santilla e Lidio che si riconoscono: sono felici di vedersi, Santilla nemmeno si
aspettava che fosse vivo. Tutto si conclude con il matrimonio di Santilla con il figlio di Fulvia e poi, grazie
all'astuto Fannio, le nozze tra Lidio e la figlia di Perillo.

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