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Orlando è un personaggio storico di cui si sa solo che fu Governatore della Marca di Bretagna e
che morì a Roncisvalle nel 778. La leggenda ne fece un valoroso e saggio paladino di Carlo Magno.
Il personaggio venne utilizzato come protagonista di romanzi cavallereschi di cui il più importante
nella letteratura italiana è l’Orlando innamorato di Boiardo a cui Ariosto si ricollega elaborando,
con il suo poema Orlando furioso la continuazione delle avventure di Orlando partendo proprio dal
punto in cui l’Orlando innamorato si era interrotto.
PROEMIO DELL’ORLANDO FUROSO
Le ottave sono costituite da otto versi endecasillabi;
lo schema della rima è ABABABCC (primi sei versi in rima alternata e ultimi due versi in rima
baciata)
Seconda ottava
Dirò d’Orlando in un medesmo tratto
cosa non detta in prosa mai né in rima:
che per amore venne in furore e matto,
d’uom che sì saggio era stimato prima;
se da colei che tal quasi m’ha fatto,( INVOCAZIONE DONNA AMATA :BENUCCI A.)
che ’l poco ingegno ad or ad or mi lima,
me ne sarà però tanto concesso,
che mi basti a finir quanto ho promesso.
PARAFRASI
Al tempo stesso, racconterò di Orlando
cose che non sono state mai scritte, né in prosa né in versi:
che a causa dell’amore diventò furioso e pazzo,
da uomo che in passato era ritenuto molto saggio;
se da colei, che mi ha reso quasi come lui,
dato che, a poco a poco, consuma il mio scarso ingegno,
mi sarà però concesso,
me ne lascerà quanto me ne occorre per terminare ciò che ho promesso.
Terza ottava
Riassunto e analisi
I primi dodici versi del proemio (la prima ottava e i primi quattro versi della seconda) introducono
due dei tre principali argomenti dell’opera: la guerra tra Carlo Magno e Agramante e la pazzia di
Orlando. I secondi quattro versi della seconda ottava sono invece un’invocazione alla donna amata
(Alessandra Benucci); questo è sicuramente un elemento innovativo notevole perché, classicamente,
l’invocazione era rivolta alla Musa. La terza ottava è costituita dalla “dedica”; sostanzialmente è la
glorificazione del casato estense. In particolare, questi versi sono dedicati al cardinale Ippolito
d’Este; l’espressione “erculea prole” fa riferimento al fatto che Ippolito era figlio di Ercole I d’Este.
Non sfugge il tono ironico del poeta; Ariosto fu al servizio del cardinale come suo segretario per
molti anni, dal 1503 al 1517. Vale la pena ricordare che il rapporto fra Ludovico Ariosto e il
cardinale non fu semplice; Ippolito lo considerò sempre un “cortigiano”, mentre Ludovico avrebbe
desiderato fortemente essere apprezzato come poeta, come artista. Il rapporto si concluderà nel
1517 con il rifiuto di Ludovico di seguire il suo signore in Ungheria.
Drammaturgia comica in volgare: La passione per lo spettacolo nasce, in Ludovico, dall’intenso fervore
teatrale della corte ferrarese tra gli anni Ottanta e Novanta del Quattrocento. Nel 1508 e nel 1509, Ariosto
scrive due commedie, rappresentate nel Palazzo ducale di Ferrara in occasione del carnevale (del 1508 e del
1509), a cui spetta un primato storico: sono le prime commedie posse in un toscano di alta dignità letteraria
e inaugurano il nuovo teatro moderno. Queste due commedie sono, rispettivamente:
- “La Cassaria” = che presenta un mondo furfantesco, animato da due scaltri servitori;
- “I supposti” = la cui vicenda è legata a due bambini nati e subito abbandonati, quindi scambiati in modo
da creare una movimentata serie di equivoci.
Terminato il periodo della giovinezza, Ariosto riprenderà la scrittura teatrale soltanto negli anni della piena
maturità. Di questo “periodo” fanno parte le seguenti commedie:
- “Il Negromante” = iniziata nel 1520 e poi ripresa e rappresentata nel 1529. Ambientata a Cremona, vede
in scena le complicate disavventure di due coppie d’amanti, con la presenza pittoresca d’un mago
impostore che si prende gioco della credulità altrui. - “La Lena” = composta nel 1528, è la più brillante
dell’intero repertorio. Presenta, sullo sfondo cittadino ferrarese, un intreccio amoroso a lieto fine, con
protagonista una ruffiana, cinica e arrivista.
N.B. Con la pubblicazione di “Prose della volgar lingua” di Bembo (in cui si canonizza il modello
petrarchesco per la poesia), Ariosto si concentra su una revisione toscanizzante della lingua.
L’edizione del 1516 si presenta, strutturalmente e linguisticamente, vicina alla tradizione padana
“municipale”, radicata a una solida cultura locale, con componenti di vigoroso espressivismo regionale, con
fervore di progettazione sperimentale e con fiducia nel ruolo politico preminente della corte estense.
Nell’edizione del 1532, le componenti locali e “municipali” sono cassate in vista di una proiezione
nazionale, mentre ormai sono chiari i segni di crisi della situazione cortigiana in Italia di fronte all’invasione
straniera. Nel 1545 viene pubblicato, in appendice a una ristampa dell’“Orlando Furioso”, un inedito con il
titolo “Cinque canti”. Questo inedito dai toni cupi e drammatici viene composto, con molta probabilità, tra
il 1518 e il 1519 e poi viene toscanizzato intorno al 1526. Tuttavia, Ariosto non lo fa mai entrare
nell’organigramma dell’“Orlando Furioso”, probabilmente perché è caratterizzato da toni asprigni, quindi,
non amalgamabile col tono più disteso e pacato dell’“Orlando Furioso”.
Buon lavoro….v.v.b