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Ludovico Ariosto

- 1474 nasce a Reggio Emilia, primo figlio di Niccolò Ariosto, militare al servizio degli
Estensi e governatore della stessa città di Reggio Emilia;
- Il piccolo si trova quindi, fin dalla più tenera età, a respirare il clima della corte
estense intorno a cui suo padre opera, passando un’infanzia e una giovinezza
spensierate, senza subire direttamente l’influenza dei regnanti;
- Studia prima giurisprudenza a Ferrara, poi abbandona la facoltà di Legge per
passare alle Lettere e comincia a comporre le sue prime poesie;
- Alla morte del padre però, nel 1497, Ludovico Ariosto sente forti le pressioni
economiche, e per mantenere se stesso e la famiglia deve seguire l’esempio
paterno e mettersi alle dirette dipendenze della casata d’Este, alternando gli
incarichi imposti alle sue produzioni poetiche;
- Diventa un uomo di corte a tutti gli effetti sotto il cardinale Ippolito d’Este da cui
ebbe diversi benefici e per cui svolse numerosi incarichi, forse troppi, ma riuscì a
portare a compimento il suo capolavoro, l’Orlando Furioso;
- Ludovico lamenta spesso i compiti difficili e impegnativi che Ippolito d’Este gli
impone, soprattutto quelli che lo portano a Roma per placare le tensioni che
insorgevano spesso fra il cardinale Ippolito e papa Giulio II;
- Quando il cardinale, nel 1517, si reca in Ungheria per reggere un vescovato di cui
era titolare, Ludovico si rifiuta di seguirlo: per lui adesso è troppo e non può più
sopportare tutti questi incarichi;
- Fra il cardinale e Ariosto si rompono quindi i legami ma Ludovico resta comunque
dipendente della corte estense, anche se con Alfonso I, il duca, i rapporti sono
molto più freddi di quanto non succedeva con Ippolito;
- Dal 1522 al 1525 Ludovico Ariosto è governatore della Garfagnana, una nuova
regione appena annessa ai domini degli Este, desolata e semiselvaggia, che tenta
di reggere con estremo rigore;
- Finalmente, dopo questo incarico, può godersi la vita desiderata. Sciolto dagli
impegni diplomatici e dalle mansioni pratiche della corte, Ludovico Ariosto si ritira
dopo il periodo in Garfagnana, a vita privata, vivendo con sua moglie e lavorando
alla terza e ultima edizione dell'Orlando Furioso, edita nel 1532;
- L’anno dopo Ludovico Ariosto muore.
Le Satire
-Vengono composte fra il 1517 e il 1525, modellate sulla satira classica di Orazio e
molto apprezzate sia dagli studiosi che dai contemporanei di Ariosto;
- Le Satire sono scritte infatti in un periodo in cui in Italia è vivo il dibattito sul sistema
dei generi letterari: si cercano cioè modelli, classici o contemporanei, a cui rifarsi
per comporre opere;
- Ludovico Ariosto diventa con questi componimenti un modello per la stesura delle
satire successive.
- Quando parliamo di Satire di Ludovico Ariosto parliamo di sette componimenti di
natura autobiografica in cui l’autore immagina di dialogare, polemizzando, con
esponenti della sua cerchia sociale e culturale;
- Scrive ai suoi fratelli, immaginando con loro appunto uno scambio di idee, scrive a
Pietro Bembo e al segretario del duca Alfonso I d’Este per cui Ludovico Ariosto si
trovò a lavorare;
- I temi più scottanti e divertenti di queste satire sono quello del matrimonio, della vita
ecclesiastica dei suoi contemporanei, della stanchezza per i troppi lavori che gli
Este commissionavano ad Ariosto.

Orlando Furioso
- Ludovico Ariosto lavorò per decenni all’Orlando Furioso. Comincia a comporlo nel
1503, e lo pubblica per la prima volta nel 1516 a Ferrara. Ci saranno poi due
successive revisioni e riedizioni, una nel 1521 e la definitiva nel 1532;
- La versione definitiva è quella del 1532 e consta di quarantasei canti in ottava rima
e, a differenza delle prime due edizioni pensate per la corte estense e per un
pubblico padano, questa edizione elimina i tratti linguistici locali per appoggiare la
riforma linguistica di Bembo che prediligeva l’uso del fiorentino trecentesco come
lingua letteraria;
- Ludovico Ariosto comincia a comporre la sua opera partendo da un precedente
poema cavalleresco lasciato incompiuto, l’Orlando Innamorato, di un altro autore
ferrarese, Boiardo;
- Il poema di Boiardo terminava con la fuga di Angelica dal campo cristiano di Carlo
Magno, che è impegnato in una guerra contro i saraceni che minacciano Parigi. I
più valorosi paladini cristiani, Orlando e Rinaldo, si contendono l’amore di Angelica
e abbandonano l’esercito per seguire la ragazza e riportarla indietro;
- Anche Ruggero, cavaliere musulmano, è stato rapito da uno stregone e
Bradamante, la guerriera cristiana innamorata di lui, lascia anche lei in campo per
cercare il suo amato;
- Dall’amore di Ruggero e Bradamante nasceranno gli antenati degli Estensi: il
poema di Ariosto serve anche per celebrare i suoi signori attribuendogli nei natali
illustri;
- La trama è articolata, complessa, e segue la tecnica definita dell’intrecciamento: ci
sono diverse narrazioni che si alternano e si intrecciano una all’altra;
- Da un punto di vista stilistico, Ariosto nell’edizione definitiva utilizzò una lingua che
avesse un respiro nazionale, e quindi si affidò alle teorie di Bembo che proponeva
come modello il fiorentino scritto di Boccaccio e Petrarca. Abbiamo quindi un
linguaggio dai toni medi pronto a impennate sublimi, tanto quanto a discese pacate
nel comico. Il metro usato nell'Orlando Furioso è l'ottava, tipica del poema epico-
cavalleresco.

Trama
- Angelica è in fuga dall’accampamento cristiano, i più valorosi paladini cristiani di
Carlo Magno e i più valorosi paladini musulmani di Agramente, il re africano
condottiero dei saraceni, sono innamorati di lei e abbandonano la guerra per
cercarla. Angelica però, a causa di un filtro amoroso, si innamora del più misero e
insignificante personaggio del poema: Medoro;
- Orlando, venuto a conoscenza della notizia impazzisce, si spoglia nudo, fugge per i
boschi tagliando alberi e tutto quello che trova sul suo cammino. Sarà Agilulfo che,
recandosi sulla Luna in sella al cavallo alato, l’ippogrifo, recupera il senno di
Orlando per riportarlo sulla terra e far tornare il cavaliere a combattere (e vincere) la
guerra contro i saraceni;
-
Bradamante e Ruggero, nonostante i continui ostacoli che si mettono fra loro,
riusciranno a coronare il loro amore, sposandosi dopo la conversione al
cristianesimo di Ruggero, per dare origine alla casata degli Este;
- Per parlare dei temi veicolati dalla trama dell'Orlando Furioso dobbiamo pensare
prima di tutto che quest’opera fonde insieme personaggi e narrazioni già contenuti
nei romanzi cavallereschi medievali;
- In queste opere, per lo più francesi ma poi passate anche in Italia (e qui integrate
con altri personaggi e vicende originali) attraverso le forme poetiche popolari dei
cantari franco-veneti o attraverso versioni in prosa toscane, si trovano due filoni
diversi comunemente noti come ciclo bretone e ciclo carolingio:
o Nel ciclo bretone (di Bretagna, luogo in cui viveva Artù) i temi fondamentali
sono l’amore e la magia. Le vicende coinvolgono i personaggi della corte di
re Artù ed è presente mago Merlino;
o Il ciclo carolingio (da Carlo Magno) coinvolge invece Carlo Magno e i suoi
paladini e si occupa esclusivamente di battaglie e della fede cristiana che
combatte contro i peccatori saraceni;
- nell'Orlando Furioso tutti questi elementi si intersecano perfettamente. Abbiamo
quindi amore, magia, battaglie e fede;
- Non manca poi anche un certo grado di ironia e di grottesco: Ariosto descrive i
paladini e i saraceni a volte come delle caricature, li prende in giro e li mette in
ridicolo mostrando come ormai l’ideale cavalleresco esista solamente in storie
lontane e inverosimili.
- Esiste anche un filone encomiastico (cioè di lode) nel Furioso. Ariosto fa discendere
la casata degli Este dai valorosissimi Ruggero e Bradamante: la famiglia d’Este
diventa così l’ereditiera di tutti i valori di cortesia e coraggio di cui è simbolo la
coppia.

Orlando Furioso, Canto I


- Come tutti i poemi epici l’Orlando Furioso inizia con un proemio. Nella prima e
seconda ottava troviamo la protasi, ovvero la presentazione dell’argomento, e
l’invocazione ad Alessandra Benucci, la donna amata, nella terza e quarta la dedica
al cardinale Ippolito d’Este, fratello del duca Alfonso e signore di Ariosto;
- Ruggero il cavaliere di cui si parla nella quarta ottava è un eroe saraceno che si
converte al cristianesimo e sposa Bradamante, dal loro matrimonio avrà origine la
casata degli Estensi;
- Il poeta spera che la sua donna, che ha quasi fatto impazzire anche lui, gli conceda
di portare a termine l’opera. La dedica è ad Alfonso d’Este, cardinale, fratello del
duca di Ferrara Alfonso I d’Este e signore di Ariosto; il poeta spera che egli sappia
apprezzare l’opera. In essa si lodano le imprese di Ruggero, capostipite degli
Estensi;
- L’azione ha inizio sul campo di battaglia “sotto i gran monti Pirenei”, da una parte
l’esercito cristiano di Carlo Magno, dall’altra gli infedeli, guidati da Marsilio, re di
Spagna, e Agramante, re di Africa. Ma Orlando e Rinaldo, i più valorosi cavalieri
dell’esercito cristiano, non pensano alla battaglia, ma ad Angelica, la bella
principessa, che Orlando ha condotto dal lontano Oriente e di cui entrambi sono
innamorati. Il re Carlo per convincere i due a combattere ha affidato la principessa
al vecchio duca Namo di Baviera, promettendola a chi dei due avesse ucciso in
battaglia più nemici;
- Quel giorno però l’esercito cristiano viene sconfitto, il duca Namo viene preso
prigioniero e Angelica rimasta sola nella tenda, balza in sella a un cavallo e fugge;
- Entra in un bosco e incontra un cavaliere, vestito di tutto punto, con corazza, elmo,
lancia e scudo che corre a più non posso. Angelica lo riconosce subito e più veloce
di una pastorella di fronte a un serpente velenoso, si ferma e volta indietro il
cavallo. È Rinaldo, signore di Montalbano, a cui poco prima era fuggito il cavallo
Baiardo; anche lui ha immediatamente riconosciuto Angelica, la bella donna che lo
tiene prigioniero nella rete di Amore;
- Angelica fugge “a tutta briglia” per la selva, senza più guidare il cavallo, lascia che
sia l’animale a farsi strada. Dopo lungo girare giunge a un fiume, dove vede un
cavaliere tutto sporco e sudato. È Ferraù, un nobile cavaliere saraceno anche lui
innamorato di Angelica; per lei ha sfidato Argalia, fratello di Angelica, e lo ha ucciso
prendendogli l’elmo; ora sta cercando nel fiume proprio l’elmo che gli è caduto
mentre beveva. Angelica arriva gridando forte e Ferraù la riconosce subito anche
se è pallida e turbata per la paura. Sguainata la spada, come se avesse in testa
l’elmo, che invece ha perso nel fiume, il prode cavaliere corre minaccioso verso
Rinaldo. Iniziano a combattere dandosi colpi fortissimi che neppure un’incudine
reggerebbe;
- Intanto Angelica fugge (ottave 14-17).
- Dopo aver combattuto per un bel po’ Rinaldo si rende conto che qualcosa non va,
mentre loro combattono “la bella donna … se ne va via”, meglio prima prenderla e
poi decidere con la spada di chi debba essere. Ferraù accetta la proposta e i due,
montati insieme sullo stesso cavallo, si mettono alla ricerca della bella Angelica.
Sono rivali, hanno fedi diverse, sono tutti dolenti l’uno per i colpi dell’altro e se ne
vanno tranquilli insieme per la selva oscura;
- Arrivano a un bivio e non sapendo quale strada abbia preso Angelica, si separano e
ciascuno prende una via. Dopo lungo girare per il bosco, Ferraù si ritrova al punto
di partenza sul fiume e riprende a cercare l’elmo perduto.

Orlando Furioso, Canto XXXV


- Astolfo, osservando il lavoro delle parche, vede un batuffolo che luccica più dell’oro
e spicca per bellezza tra tutti gli altri presenti. L’evangelista Giovanni gli dice che
appartiene ad un uomo che non avrà eguali in terra per valore, il cardinale Ippolito
d’Este;
- Usciti all’aperto, il cavaliere e l’evangelista vedono nuovamente il vecchio, il Tempo,
intento a scaricare le piastrine nel fiume Lete, il fiume dell’oblio, della dimenticanza,
che scorre vicino al palazzo. Molte piastrine vanno subito a fondo in quelle acque
torbide, poche vengono momentaneamente prese nel becco da degli uccellacci (le
persone che vivono alle spalle di altri) per poi finire inevitabilmente ancora nel
fiume; pochissime vengono invece salvate da due bianchi cigni (gli scrittori) che le
portano a riva, dove una ninfa le preleva per poi affiggerle ad una colonna del
tempio dell’Immortalità;
- L’evangelista Giovanni sottolinea quindi quanto sia importante sostenere i poeti e
gli scrittori ed averli in amicizia, se si vuole che il proprio nome rimanga in modo
positivo nella storia;
Torquato Tasso
- 1544 nasce a Sorrento e studia presso i gesuiti di Napoli fino al 1554;
- Nel 1565 viene chiamato alla corte di Ferrara, dapprima come cortigiano di Luigi
d’Este, e, dal 1572 del duca Alfonso d’Este. Qui gli vengono affidati compiti di
rappresentanza e, soprattutto, culturali;
- È un periodo di grande attività letteraria: nel 1573 Tasso compone l’“Aminta”,
mentre nel 1575 termina la composizione della “Gerusalemme liberata”;
- Tuttavia, è ossessionato dall’idea di aver scritto un poema non allineato ai nuovi
dettami religiosi della Controriforma e teme di essere colpevole di eresia, al punto
da sottoporre l’opera al giudizio di revisori, che ne criticano i contenuti,
- Il suo malessere cresce: si allontana da Ferrara per farvi ritorno nel 1579, quando
aggredisce il duca durante il suo matrimonio. Di fronte a questo nuovo eccesso, il
duca fa rinchiudere Tasso in un ospedale per pazzi, in cui rimane fino al 1586
quando viene mandato a Mantova dai Gonzaga;
- In questo periodo viene anche pubblicata, a sua insaputa, la Liberata, cosa che gli
provoca grande disagio perché la considerava ancora in fase di revisione;
- Abbandona Mantova nel 1587 per trascorrere gli ultimi anni della sua vita a Napoli e
poi a Roma: qui compie un profondo lavoro di revisione del suo poema che
pubblica in versione definitiva nel 1593 con il titolo di “Gerusalemme conquistata”.
Muore a Roma nel 1595.

- Il primo lavoro letterario del Tasso di cui si ha notizia è il “Gierusalemme”, un


incompiuto poemetto epico che racconta la presa di Gerusalemme nella prima
crociata; nel 1562, all’età di diciotto anni, pubblica invece il “Rinaldo”, un’opera
completa che narra le gesta del famoso cavaliere;

L’Aminta
- Composta nel 1573 per essere rappresentata alla corte del duca Alfonso d’Este
viene rimaneggiata diverse volte ed arriva ad una stesura definitiva solo nel 1590.
Si tratta di un’opera in versi che riunisce il genere bucolico e quello cortigiano:
infatti, sullo sfondo di un’ambientazione pastorale, si svolge una trama in cui si
rispecchia la vita di corte,
- Narra, infatti, la storia del pastore Aminta, innamorato della ninfa Silvia che però lo
rifiuta. A questi due giovani personaggi se ne affiancano due più anziani, Tirsi e
Dafne: il primo, saggio e ormai soddisfatto dei lussi di corte, è una proiezione
autobiografica dello stesso Tasso; Dafne è invece una dama di corte, esperta di
questioni amorose;

La Gerusalemme Liberata
- L’idea di un poema eroico che ha come tema la prima crociata occupa tutta la vita
di Tasso;
- Poema epico, in venti canti strutturati in ottave, composto tra il 1564 e il 1575 e
pubblicato la prima volta a Venezia nel 1580 in un’edizione parziale in sedici canti
non autorizzata dall’autore e con il titolo di Goffredo;
- Seguirono, con il titolo di Gerusalemme liberata, altre edizioni, sia parziali sia
complete, nessuna delle quali riconosciuta da Tasso, che continuò ossessivamente
a correggere il testo per quasi vent’anni finché, nel 1593, autorizzò la pubblicazione
di una versione profondamente modificata dell’opera, in 24 canti e con il titolo di
Gerusalemme conquistata;
- Il testo della Liberata diventa subito oggetto di approvazione o di critiche da parte
degli intellettuali italiani che in quel momento discutono sul tema della lingua
italiana;
- Tasso dà forma ad un racconto plurale in cui i due schieramenti sono
completamente separati: da un lato i crociati sostenuti dall’intervento divino,
dall’altra i pagani sostenuti dalle forze infernali;
- Tasso scrive il suo poema, pregno di riferimenti religiosi, nel pieno della
Controriforma ed è ossessionato dall’idea che l’opera debba essere corretta anche
dal punto di vista teologico. Temendo di essere caduto in errore nel 1577 si
autoaccusa come eretico al tribunale dell’Inquisizione che però lo giudica
innocente;
- Il capolavoro tassiano s’inserisce nel dibattito cinquecentesco sulla riforma del
genere epico e, soprattutto, nella questione della lingua: è in questo periodo, infatti
che letterati e intellettuali, alcuni dei quali riuniti nell’ “Accademia della Crusca”, si
pongono il problema di dare una struttura definita alla lingua italiana;
- Nei tre libri dei “Discorsi dell’arte poetica” Tasso espone i punti fondamentali della
sua elaborazione teorica sulla struttura del poema epico: l’obiettivo dell’opera è
quello di tracciare le linee per la scrittura di un poema in grado di meravigliare il
lettore e competere con l’epica antica di Omero e Virgilio;
- L’autore deve quindi lasciare pochi spazi all’ambito fantastico ed essere
essenzialmente ancorato alla realtà e inoltre, per incuriosire il lettore dev’essere
scritto secondo i criteri dell’unità mista per cui l’azione principale dev’essere
arricchita con digressioni ed episodi che provochino lo stupore del lettore;
- Tasso è convinto che per suscitare la meraviglia nel lettore sia necessario
adoperare uno stile linguistico magnificente, elegante e ricco: esattamente quello
che adopera nella Liberata;
- Egli si rifà sia ai modelli classici di Omero e Virgilio che a quelli volgari di Dante e
Petrarca, facendo parecchio uso delle figure retoriche e di soluzioni liriche che
rendono il linguaggio dell’opera grandioso ma anche molto elaborato e oscuro,
allontanandolo decisamente dal parlare comune;

Niccolò Machiavelli
- 1469 nasce a Firenze ed ebbe un’educazione umanistica, ma non comprese il
greco;
- Nel 1498 concorse alla segreteria della seconda cancelleria del Comune, ma non
ottenne il posto finché non morì il candidato del partito savonaroliano che lo aveva
superato in graduatoria. In seguito, divenne segretario della magistratura dei “Dieci
di libertà e pace”;
- Aveva molte responsabilità sulle decisioni di politica estera e interna, missioni
diplomatiche e una fitta rete di corrispondenze, così ebbe una grande esperienza
diretta della realtà politica e militare;
- Nel 1499 a Pisa riconquistò la città ribelle, nel 1500 considerò la monarchia di Luigi
XII un modello da seguire. Nel 1502 compì una missione presso Cesare Borgia,
duca Valentino, che con l’appoggio del padre, Papa Alessandro VI, aveva
conquistato Urbino. Egli restò colpito da Cesare tanto da citarlo come modello nel
Principe: vide la sua capacità politica nel 1503, quando spietatamente uccise i
partecipanti di una congiura contro di lui;
- Nello stesso anno morì Alessandro VI: successivamente avverrà la caduta di
Cesare;
- Nel 1511 ci fu lo scontro tra Francia, alleata di Firenze, e la Lega Santa del Papa. I
Francesi furono sconfitti così anche i Fiorentini e Machiavelli dopo il ritorno dei
Medici fu licenziato. Nel 1513 fu accusato di aver preso parte di una congiura e fu
torturato e imprigionato, liberato in seguito grazie alla venuta del Papa Leone X;
- Si dedicò agli studi ad Albergaccio, mantenne però i contatti con la vita politica
grazie all’amico Francesco Vettori. In questo periodo scrisse il Principe, i Discorsi
sopra la prima deca di Tito Livio e la commedia La Mandragola;
- Tentò un riavvicinamento alla politica tramite i Medici, dedicando a Lorenzo il
Principe, e tramite un gruppo di aristocratici che si riuniva nel giardini del palazzo
Rucellai, a due di essi Buondelmonti e Cosimo Rucellai dedicò i Discorsi;
- Morto Lorenzo, salì al potere Giulio (che divenne poi Papa Clemente VII) che lo
incaricò di scrivere la storia di Firenze, ottenne poi incarichi in collaborazione con
Guicciardini. Nel 1527 si instaura la Repubblica è per il suo riavvicinamento ai
Medici, Machiavelli fu emarginato;
- Morì improvvisamente il 1527.
L’Epistolario
- Le lettere ad amici e parenti sono scritte in vista di una pubblicazione (come in
Petrarca) anche se scritte con grande immediatezza. Si alternano argomenti e toni
vari: riflessioni politiche, analisi sui problemi contemporanei, scherzi e motti in tono
beffardo;
- Egli è consapevole di questa varietà tonale e la giustifica in una lettera a Francesco
Vettori (imitata la natura che è varia). Tra le lettere spiccano quelle a Vettori dopo la
perdita degli incarichi politici che sono riflessioni e spunti autobiografici. Famosa è
quella del 10 dicembre 1513, dove descrive le sue future occupazioni durante il
giorno;

Il Principe
- Il 10 dicembre 1513, in esilio in Albergaccio, compose un opuscolo De
Principatibus, dove trattava cosa fosse un principato. Si colloca la composizione tra
luglio e dicembre 1513 in un'unica stesura, posteriormente ci fu la dedica a Lorenzo
(1516);
- La dedica ai Medici testimonia un tentativo di avvicinamento e di collaborazione. Il
trattato non fu stampato e circolò in una cerchia ristretta, fu pubblicato postumo nel
1532, dando molto scalpore;
- Pur essendo un'opera rivoluzionaria nel pensiero, si collega alla tradizione della
trattatistica politica, anche nel medioevo erano diffusi trattati politici chiamati
specula princeps, in quanto dovevano fornire al principe lo specchio in cui riflettersi;
- Se da un lato il Principe di Machiavelli si riallaccia a questa tradizione, da un altro lo
rovescia: mentre i trattati davano un’immagine ideale, egli proclama di voler
guardare alla verità effettuale della cosa, propone al principe i mezzi per il
mantenimento dello Stato, consigliandogli anche la crudeltà e la menzogna quando
le esigenze lo impongono;
- Il Principe è un trattato breve di 26 capitoli, in forma concisa e incalzante e densa di
pensiero. La materia è divisa in diverse sezioni: capitoli 1-9 esaminano i vari tipi di
principato e i mezzi per conquistarlo, distingue quelli ereditari (2) e nuovi (3) che
possono essere misti (aggiunti come membri allo stato ereditario) o nuovi del tutto
(4 e 5), conquistati con le proprie armi (6) o grazie alla fortuna (7), ancora
conquistati con scelleratezza (8) e qui distingue la crudeltà bene e male usata (la
prima è per necessità, la seconda cresce col tempo per vantaggio del tiranno);
- Nel capitolo 9 tratta del principato civile, dove i poteri vengono conferiti dai cittadini;
nel 10 esamina la misurazione della forza dei principati. I capitoli 12-14 sono
dedicati al problema delle milizie, giudicando negativamente quelle mercenarie che
combattono per denaro e che sono causa della debolezza dello Stato;
- I 15-23 trattano i modi di comportarsi del principe con sudditi e amici, Machiavelli
invece che consigliare virtù, va dietro alla verità effettuale della cosa perché gli
uomini sono malvagi e il principe deve imparare ad essere non buono, guardando
al fine. Il 24 esamina le causa della perdita di alcuni stati, l’ignavia. Il 25 il rapporto
tra virtù e fortuna. Il 26 è un’esortazione al principe a liberare l’Italia dai barbari.

Il Principe, Capitolo XVIII


- Il capitolo XVIII del Principe, (intitolato In che modo i Principi debbino osservare la
fede), prosegue la riflessione riguardante le caratteristiche e i comportamenti che il
regnante, secondo Machiavelli, deve adottare per riuscire a conservare il proprio
potere e lo Stato stesso. L’autore inizia la trattazione affermando nuovamente la
distanza che vige tra il piano ideale e quello reale;
- Machiavelli spiega come, benché sarebbe meraviglioso essere governati da Principi
che mantengano la propria parola e che vivano secondo i dettami dell’integrità
morale, in realtà i regnanti che hanno ottenuto "cose grandi" sono coloro che hanno
agito secondo l’astuzia. A questo punto Machiavelli distingue tra il modo di
combattere proprio degli uomini, fondato sull’utilizzo delle leggi, e quello degli
animali, che si esprime nell’uso della forza;
- Dato che per regnare e conservare il potere e lo Stato spesso la prima modalità,
quella umana, non risulta sufficiente, bisogna che il Principe sappia attingere anche
dalla seconda via; come dice l'autore: “Pertanto ad un Principe è necessario saper
ben usare la bestia e l’uomo”;
- Nell’attingere dal comportamento del regno animale, il Principe deve distinguere tra
l’atteggiamento della volpe e quello del leone, ovvero avvalendosi talvolta
dell’astuzia e talvolta della forza. Ritorna qui l’idea di Machiavelli secondo cui la
condotta del Principe va valutata di volta in volta e in base alla situazione concreta
che si trova ad affrontare;
- L'autore ci spiega però sottilmente come il fine sia giustificato dai mezzi solo agli
occhi del "vulgo", del popolo incapace di cogliere veramente la realtà delle cose. Il
piano della politica e quello della morale restano divisi tra di loro e mantengono
sempre una forte indipendenza, ma nessuno dei due ha la meglio sull’altro, e la
scelta risulta sempre complessa.

Il Principe, Capitolo VII


- Machiavelli, dopo aver analizzato nel capitolo precedente il rapporto tra repubblica
e principato ed aver indicato la virtù e la forza come caratteristiche necessarie al
principe per poter esercitare al meglio il suo ruolo, entra nel vivo della discussione
indicando esempi di regnanti cui i principi "nuovi" dovrebbero fare riferimento;
- Nel settimo capitolo infatti, De’ Principati nuovi, che con forze d’altri e per fortuna si
acquistano, l'autore mostra due esempi di potenti, entrambi tratti dalla storia a lui
contemporanea, a conferma ancora una volta del suo approccio empirico alla
riflessione politica: Francesco Sforza e Cesare Borgia, saliti al potere il primo per
virtù propria e il secondo per fortuna;
- Machiavelli sottolinea nuovamente come sia più complicato riuscire a mantenere un
potere ereditato, ottenuto quindi grazie all’azione di un altro, rispetto a una
posizione conquistata grazie all’applicazione della propria virtù e del proprio
impegno;
- L’autore si concentra dunque su questo secondo caso, e indica in Cesare Borgia il
modello per quei principi che hanno ottenuto il loro potere per fortuna e non per
virtù. Il Valentino, nonostante non sia riuscito a mantenere ciò che in sorte gli era
toccato, ha esercitato infatti tutta la virtù in suo possesso per far fronte agli eventi,
ed è dunque degno di lode e di rispetto agli occhi dell’autore;
- Il fallimento del Valentino è dovuto dunque, secondo Machiavelli, alla fortuna
avversa, riferendosi qui alla morte del padre Alessandro e alla malattia di Cesare
Borgia stesso, ma anche a un errore da lui compiuto, e cioè aver accettato
l’elezione di Giulio II al papato;
- L’individuazione dell’errore nel comportamento del Valentino permette a Machiavelli
di continuare la sua ricerca, finalizzata a fornire al principe regole certe per poter
istituire e mantenere un ordine nuovo.

La Mandragola
- La Mandragola di Machiavelli, commedia scritta nel 1518, è considerato il
capolavoro del teatro del '500. È un testo che fa un uso moderno della tecnica della
contaminazione, già usata dagli autori latini, che prevedeva un riuso di testi teatrali
di altri autori. Machiavelli tiene sempre presente, infatti, i due modelli latini, Plauto e
Terenzio, operando una profonda modificazione del modello di riferimento in senso
moderno;
- Egli innesta tematiche e spunti presi dalla tradizione novellistica italiana: la trama
stessa risente, infatti, della vicenda narrata nel "Decameron" di Giovanni Boccaccio
nella sesta novella della terza giornata (Ricciardo Minutolo);
- La Mandragola si presenta con una struttura complessa, in cui si sviluppano due
intrecci: una struttura d'amore il cui portatore è il personaggio Callimaco,
l'innamorato di Lucrezia, moglie di messer Nicia; e una struttura della beffa, il cui
portatore è il personaggio di Nicia, il marito ingannato dalla trama creata per
consentire a Callimaco di diventare amante di Lucrezia;
- Due strutture con elementi innovativi: nel primo intreccio amoroso Callimaco è un
innamorato che, rispetto alla tradizione, non svolge l'azione per raggiungere il
proprio obiettivo. Si lascia infatti guidare da colui che organizza l'inganno a Nicia, il
parassita Ligurio;
- Callimaco è un personaggio in cui si intrecciano due dimensioni della tradizione
amorosa letteraria: sia gli elementi propri dell'amore profano, legati al desiderio
fisico, sia gli elementi dell'amore sacro. Callimaco è caratterizzato quindi da una
certa passività e da un amore completo.
- Nicia è il portatore invece dell'intreccio della beffa. È presentato come un borghese,
ossessionato dalla volontà di avere figli, lasciandosi così abbindolare dal falso
medico Callimaco. Nicia non è cosciente dei propri limiti e si crede superiore alle
sue effettive possibilità. Egli offre un'immagine della realtà fiorentina e italiana,
caratterizzata da inettitudine e inconcludenza;
- Accanto questi due personaggi che portano avanti le due strutture si trovano diversi
personaggi-tema: Ligurio, colui che organizza l'inganno; Fra Timoteo, il confessore
di Lucrezia che la persuaderà a concedersi a Callimaco; Lucrezia, colei che subisce
la trama della beffa, ma che poi la farà sua e la sfrutterà lei stessa.

La Mandragola, Atto III


- Nell’atto terzo della Mandragola, e più specificatamente nelle scene decima e
undecima, appaiono la tragicità e l’ambiguità dei personaggi del Machiavelli,
esplicitate nelle figure di Sostrata, la madre di Lucrezia, e di Fra' Timoteo;
- Nella scena decima la ragazza, infatti, si rifiuta di considerare come soluzione alla
sterilità (che pregiudica i rapporti fra lei e il marito, messer Nicia) la proposta di
Callimaco, celato sotto le sembianze di un rispettabile medico;
- Egli infatti le aveva suggerito, al fine di giacere con lei, di assumere una bevanda a
base di mandragola e accoppiarsi con un servo, che poi sarebbe morto dopo aver
consumato il rapporto sessuale. Qui interviene allora la madre della giovane,
preoccupata per le sorti della figlia che nel caso fosse rimasta vedova senza aver
dato alla luce un erede non avrebbe goduto di alcun diritto;
- In primo piano in questa parte dell’opera è quindi la delicata condizione della
donna, del tutto dipendente dal marito, al tempo del Machiavelli. La madre fa quindi
pressione affinché la figlia acconsenta alla proposta del falso dottore, affermando
che se pure Fra' Timoteo, un uomo di chiesa, la consiglierà in questo senso,
Lucrezia dovrà assolutamente acconsentire;
- Così le due donne vanno da Fra' Timoteo che, già a conoscenza del fatto poiché
informato da messer Nicia, tranquillizza la giovane sposa dicendole che studiando
vari libri ha trovato delle risposte al loro caso;
- Sostrata dal canto suo sottolinea quanto sia precaria la condizione di una donna
che non ha dato eredi al proprio marito;
- Lucrezia, sempre perplessa sul da farsi ma fiduciosa nei confronti di due figure
insospettabili come una madre e una guida religiosa, si appresta allora a
trascorrere la notte con il servo;
- Questi estratti sono esemplari per comprendere i personaggi del Machiavelli: la
psicologia di ognuno è tenuta in grande considerazione, ed ogni loro azione è
conseguente alle loro attitudini d’animo. Inoltre, tutti le figure della Mandragola sono
personaggi ambigui, senza una morale definita ma in balia degli eventi e dei fatti
mondani: una madre che, per paura che la figlia non erediti i diritti della vedovanza,
la spinge a giacere con un uomo che non sia suo marito e un prete che, pagato e
corrotto, aizza all’adulterio Lucrezia sostenendone persino l’innocenza a mezzo di
argomentazioni teologiche;
- L’autore riesce ad esprimere, fissandola nei protagonisti della sua amara
commedia, tutta la crisi morale che investe il suo tempo.

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