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Ariosto

Nacque a Reggio Emilia l’8 settembre 1474, di famiglia nobile. Tra l’89 e il 94 seguì contro voglia, per volere
del padre, studi giuridici presso l’università di Ferrara. Partecipava intanto alla vita della corte di Ercole I,
dove scrisse un’opera perduta. Lasciati gli studi giuridici, approfondì i suoi interessi verso la letteratura, e ila
latino. I suoi interessi letterari trovavano molti punti di riferimento a Ferrara, dalla vivace vita teatrale alla
filosofia insegnata all’università, ai testi di Platone. Nel 1497 entrò a far parte dei cortigiani del duca. Alla
morte del padre, dovette assumere la tutela dei fratelli minori e occuparsi dell’amministrazione del
patrimonio familiare. Intorno al 1503 esse un figlio, Giambattista. Nel 1509 ebbe un secondo figlio, Virginio.
Nel 1503 entrò al servizio del cardinale Ippolito d’Este, figlio di Ercole: e proprio questo lo indusse a
diventare chierico. Egli pensava che il suo lavoro letterario costituisse un contributo essenziale alla vita
della corte e desiderava che ne venisse riconosciuto il valore, visse così un conflitto tra l’attività letteraria e
le condizioni materiali ed economiche della vita cortigiana. Dopo la morte di Ercole I (1505), il potere del
figlio Alfonso I fu minacciato da una congiura familiare ordinata da don Giulio e da Ferrante d’Este, che fu
repressa con durezza. In questi anni iniziò la stesura dell’Orlando Furioso, e nello stesso periodo si impegnò
nel teatro di corte, scrivendo e mettendo in scena due commedie, Cassaria e I Supposti. I burrascosi
rapporti tra Ferrara e papa Giulio II, costrinsero Ariosto a recarsi come ambasciatore a Roma. Morto papa
Giulio II ed eletto papa Leone X, Ariosto si recò a Roma nel 1513 a felicitarsi con lui, sperando di ottenere
qualche incarico che gli permette una vita più tranquilla. Ritornando a Firenze si dichiara alla donna della
sua vita, Alessandra Benucci. Nell’aprile del 1516, uscì la prima edizione dell’Orlando, dedicata al cardinale
Ippolito, che non dimostrò alcuna gratitudine e lo voleva portare con sé per l’Ungheria, Ariosto rifiutò e
passò al servizio di duca Alfonso, sperando di ottenere una vita più tranquilla. L’epistolario aristotelico offre
immagini immediate e concrete, mostra una realtà quotidiana incalzante e tumultuosa. Morì il 6 luglio 1533
a Mirasole.

La ricca vita teatrale nella corte Ferrarese, stimolò il gusto di Ariosto per lo spettacolo, aveva un interesse
verso i testi comici, sempre più numerosi erano i volgarizzamenti di commedie latine, e tentava
l’elaborazione di nuove commedie volgari. Le prime commedie volgari di alto livello letterario sono le due
che Ariosto scrisse e fece rappresentare nel palazzo di Ferrara, la Cassaria e i Suppositi. Scritte in prosa.
Queste commedie in volgare, si reggono sul conflitto tra i giovani e i vecchi, con vari stratagemmi i primi
cercano di realizzare i loro amori contro la volontà dei secondi, alla fine trionfano i giovani. Gli eventi si
svolgono in ambienti borghesi, Ariosto è attento al rapporto tra struttura teatrale e immagine urbana. La
guerra del 1509 interruppe l’attività teatrale di Ariosto, che la riprese dopo l’Orlando, e passò dalla prosa al
verso. Verso endecasillabo sdrucciolo, somigliante al senario giambico. La commedia poteva affidarsi a un
linguaggio medio, capace di filtrare la realtà, di amplificarla e deformarla. Al 1509 risale la prima ideazione
de Il negromante, su cui ritornò più tardi modificandolo e pubblicandolo nel 1529. Rappresenta la vicenda
di 2 coppie d’amanti, nella quale appare la figura del falso mago mastro Iachelino, essa sviluppa i temi della
magia e della follia. La commedia più riuscita è la Lena, probabilmente scritta nel 1528, anch’essa costruita
su intreccio di amori di conflitti familiari. Dopo l’Orlando Ariosto provò un nuovo genere poetico, la satira.
Fissò i caratteri di questo genere in volgare con la metrica in terza rima. Tra il 1517 e il 1525 scrisse 7 satire
indirizzate a amici o parenti, ordinate in seguito e pubblicate nel 1534. La prima è rivolta al fratello di
Alessandro Ariosto e a Ludovico da Bagno, segretario del cardinale Ippolito, in essa giustifica il rifiuto di
seguire il cardinale in Ungheria. La seconda, indirizzata al fratello Galasso, in essa esprime il rifiuto di
intraprendere la carriera ecclesiastica. Nella terza, scritta al cugino Annibale Malaguzzi, il poeta dice che il
nuovo lavoro gli consente una maggiore autonomia individuale. Nella quarta, destinata a Sigismondo
Malaguzzi, descrive la propria difficile via di governatore in Garfagnana. Nella quinta, è rivolta ad Annibale
Malaguzzi, in procinto di sposarsi, riprende alcuni motivi sulle difficoltà e sui rischi del matrimonio. Nella
sesta, indirizzata a Pietro Bembo, finge di chiedere consigli per l’educazione del figlio e svolge alcune
riflessioni sull’educazione umanistica. Nella settima, scritta al segretario ducale Bonaventura Pistofilo,
giustifica il proprio rifiuto di diventare ambasciatore estense a Roma. Si intrecciano temi secondari sulla via
dei discorsi morali, spunti comici e riflessioni sul passato. L’io del poeta tesse un perenne colloquio con i
destinatari e con altri possibili ascoltatori, può confrontare continuamente la propria vita, le scelte e i suoi
ideali. Intorno al 1505 iniziò l’Orlando furioso, in questa opera la celebrazione degli Estensi si somma alla
passione per il romanzo cavalleresco che a Ferrara aveva trovato la massima espressione nell’Orlando
innamorato del Boiardo. Egli concepì questa sua opera come continuo dell’Orlando innamorato. Il suo
poema mirava a imporsi all’intera società letteraria italiana, a confrontarsi con i classici, con le prospettive
della cultura umanistica e con i nuovi modelli che si stavano elaborando. L’Orlando furioso è la prima
grande opera della letteratura moderna ad essere pensata, curata dal suo autore in vista di un’ampia
diffusione attraverso la stampa. Dopo la seconda edizione Ludovico rielaborò il testo in maniera più ampia,
la lingua del poema fu rivista secondo il nuovo modello suggerito da Bembo, e furono composti nuovi
episodi. La terza edizione fu composta da 46 canti. L’Orlando furioso presenta una serie di nuove
avventure, che Ariosto scrisse servendosi di una profonda conoscenza del repertorio romanzesco.
L’Orlando furioso non si configura come libera e imprevedibile successione di peripezie, ma si organizza in
un accurato disegno globale: i molteplici episodi si intrecciano tra loro secondo una serie di rispondenze,
sospensioni e riprese. Ariosto porta avanti il racconto di più storie tra loro contemporanee o vicine,
troncandole e riprendendole variamente, per dare un effetto di suspence. Un ruolo importante lo hanno gli
esordi dei singoli canti, in cui l’autore si concede uno spazio di riflessione morale e di dialoghi con i lettori.
Le vicende del poema si possono ricondurre a tre diversi nuclei:

1) La guerra
2) La passione di Orlando per Angelica e la ricerca dell’amata: da cui si nota la follia di Orlando, e il
successivo rinsavimento
3) L’amore di Ruggiero e Bradamante

Questi 3 nuclei sono strettamente intrecciati. Il primo nucleo, fa da polo di attrazione per tutto il poema, il
cui centro è Parigi, da qui prende avvio la fuga di Angelica con cui inizia il poema, e a Parigi ha luogo il
duello conclusivo tra Ruggiero e Rodomonte.

L’Orlando furioso reca la dedica al cardinale Ippolito d’Este. Tale omaggio connette l’opera con la corte
estense, il Furioso vuole esaltare la famiglia di Ferrara, il suo passato e presente. Questo poema si rivolge
spesso direttamente al duca Alfonso o in genere alla corte ferrarese. Egli vuole delineare un grande modello
eroico e dar vita a un supremo ideale di equilibrio e di controllo sul mondo. Da tante storie romanzesche
intende ricavare valori luminosi da proporre alla società contemporanea, per questo il furioso è pieno di
richiami a situazioni della realtà in cui Ariosto si trova a vivere e che è segnata dalle guerre d’Italia. I valori
eroici emergono attraverso un confronto con ciò che ad essi si oppone, con l’errore, la follia, si scopre
infatti che dietro ogni cosa si celi il suo contrario. Alla fine, egli propone il motto Pro bono malum, il male in
cambio del bene, per sottolineare la natura contraddittoria di ogni scambio tra gli uomini. Alla funzione
cortigiana ed eroica del furioso si accompagna una funzione opposta, una critica ai valori eroici. Questa
critica scaturisce dall’intervento, dell’autore stesso, alludendo anche alla propria persona, ai propri desideri
e affetti, ai propri contrasti con la vita di corte. Tutto è toccato da questa ambivalenza che ha come suo
fondamentale l’ironia, con essa Ariosto mette in dubbio ogni condizione e credenza e scopre il rovescio di
ogni comportamento. Secondo Hegel, l’ironia ariostesca tenderebbe a dissolvere il mondo cavalleresco,
svuotando il valore di tutta la tradizione medievale, mostrando il suo carattere di finzione, riducendo i suoi
modelli eroici a pura invenzione narrativa. Ma questa ironia tende non tanto a dissolvere, quanto a
mostrare la legittimità e il valore di punti di vista tra loro opposti. La sua ironia ha l’obiettivo le incoerenze
dell’agire umano. Attraverso le vicende dei suoi eroi, ci mostra l’ambivalenza dei modi di essere dell’uomo.
Nel tema dell’eroismo il poeta tocca le corde del terribile e del sublime, esaltando i valori dell’onore, del
coraggio e della forza, evidente è la distinzione tra i cavalieri e le masse anonime, semplice carne da
macello, altra distinzione è tra il mondo negativo dei pagani e quello positivo dei cristiani. All’eroismo si
affianca la pazzia. In primo piano è la follia di Orlando, colpisce il cavaliere savio per eccellenza, ma anche
altri personaggi, essa coincide con il perdersi, con il lasciarsi trascinare da illusioni che impediscono di
riconoscere le cose nella loro realtà. Alle radici di questa, è il carattere costitutivo dell’uomo, c’è il desiderio
di oggetti irraggiungibili e del desiderio amoroso. Angelica è l’immagine più fascinosa del desiderio, è
l’oggetto amato che sempre si sottrae all’amante. Al ruolo della pazzia e del desiderio si collega la magia,
nel poema ci sono personaggi capaci di creare immagini ingannevoli, che provocano follia, ma il loro
intervento è facilitato dalla disponibilità di farsi illudere degli umani. Angelica possiede capacità magiche,
esempio è il castello incantato di Atlante, in cui i cavalieri restano imprigionati e rincorrono l’oggetto del
desiderio. Il potere della magia nasce dal fatto che i rapporti umani sono dominati da false immagini e
apparenze, in cui ciascuno si lascia facilmente irretire. La vita è un susseguirsi di sogni e un continuo
perdersi, come mostra il viaggio di Alfonso sulla luna, là insieme al senno di Orlando, si trova tutto ciò che
gli umani smarriscono, quel paesaggio e il rovescio della Terra. La follia domina ogni momento
dell’esistenza, e la vera saggezza sta nella consapevolezza che la follia è inevitabile. Anche nei rapporti
amorosi il possesso totale dell’oggetto amato è irrealizzabile, non si può avere certezza della sua fedeltà.
Confermando la sua ambivalenza, il furioso ci propone immagini di fedeltà, di rapporti teneri e fiduciosi.
Come nella vita, nel poema non si dà una realtà unica e oggettiva, i punti di vista cambiano, anche
contrastanti.

L’Orlando è scritto in ottava, Ariosto libera però questo metro dagli schemi ripetitivi, gli dà una nuova vita,
adattandolo ai toni più vari, da una incalzante drammaticità a una svagata indifferenza. L’ottava diventa il
naturale canale di scorrimento di un linguaggio fuso e disteso. Seguendo Bembo, nella terza edizione del
furioso, egli adegua il poema al nuovo modello vincente della letteratura italiana, il fiorentino letterario e
petrarchesco, ma non è un adeguamento totale, perché a differenza di Bembo, Ariosto si rifà sì al Petrarca,
ma lascia spazio a materiali linguistici di altra origine, armonizzandoli con il fiorentino letterario. La
definizione del furioso più diffusa è quella data dal Croce nel 1918, che ne fa il poema dell’armonia e lo
presenta come un oggetto di supremo e assoluto splendore. Il poema nasce come atto di fedeltà e di amore
verso una tradizione culturale e un ambiente cortigiano, ma si scosta nettamente dall’entusiasmo ingenuo
e appassionato del Boiardo. Ariosto confronta quella tradizione e quell’ambiente con un mondo divenuto
più mobile e complesso. Il furioso comunica l’intera società colta italiana, con la nuova società letteraria che
si stava formando nella penisola. Nel furioso le tensioni e le contraddizioni non si annullano, esse animano
il suo ritmo narrativo e sostengono la ricca tematica, fino a toccare i fondamenti della parola poetica. La
natura della poesia conferma che non è possibile accertare la verità una volta per tutte, che ogni cosa può
essere messa in discussione e rovesciata bel suo opposto.

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