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Luigi Pulci

La vita
Luigi Pulci nasce a Firenze nel 1432 ed entra ben presto a far parte della cerchia di Lorenzo de’
Medici, malgrado non sia un umanista colto al pari degli altri personaggi del circolo laurenziano.
Il suo ruolo diventa sempre più marginale quando, grazie a Marsilio Ficino e Angelo Poliziano,
si diffonde la filosofia neoplatonica. Le considerazioni negative sulla sua persona accrescono a
causa della fama di miscredente, infatti si dedicava spesso a pratiche di magia e veniva
considerato irrequieto, irriverente e poco ortodosso. Nel 1476 è costretto a lasciare Firenze e
poi presta servizio presso la corte di Roberto Sanseverino, abile condottiero, fino alla morte,
pervenuta a Padova nel 1484. A causa del suo comportamento eretico venne sepolto in terra
sconsacrata.

Le opere
Nella corte medicea, dove occupa una posizione di prestigio per lungo tempo, Pulci sviluppa una
poesia in lingua volgare ludica e scanzonata e il ciò costituisce un tratto distintivo della cultura
popolaresca toscana. La sua concezione di letteratura influenza tutto l’ambiente intellettuale,
goliardico e spregiudicato che ruota attorno la figura di Lorenzo, difatti lui è patrocinatore di uno
stile burlesco e giocoso. A Lorenzo, autore della Nencia da Barberino, risponde con una satira
del mondo pastorale, la Beca da Dicomano.
Egli però è noto per il Morgante che gli viene commissionato nel 1461 da Lucrezia Tornabuoni,
per l’esaltazione dei temi del ciclo carolingio e delle imprese dei paladini al fianco di Carlo
Magno. Egli accetta, pertanto, di comporre un’opera con tutta la propria vena laica e irriverente
e di rielaborare i temi di una tradizione classica. Possiede due redazioni:
- 1478, in 23 canti;
- 1483, in 28 canti.
Egli rielabora la tradizione dei cantari adattandola a quella della poesia comico-realistica che
vede Cecco Angiolieri come massimo esponente. Qui il tema cavalleresco ha intenti
dissacratori, infatti la comicità si abbina all’inverosimiglianza delle opere raccontate, al
carattere furfantesco dei personaggi in azione e alla varietà espressiva del linguaggio adottato.
Il poema, scritto in ottave, narra della storia del gigante Morgante che, convertitosi al
cristianesimo, segue il paladino Orlando, il quale aveva abbandonato la corte di Carlo Magno a
causa delle calunnie de cugino Gano di Magonza. Da questo momento si susseguono eventi
eroici, gesta iperboliche e incontri stravaganti: uno di questi è con il mezzo gigante Margutte.
Degno di nota è il modo in cui i due personaggi muoiono:
- Morgante: morso da un granchio;
- Margutte: risata fragorosa a causa del rubo dei suoi stivali;
- Orlando: vittima di un'imboscata dei saraceni a Roncisvalle.
La trama disordinata e confusa rispecchia la concezione del mondo descritta da Pulci, ossia
come vorticoso, informe e confuso. I personaggi, inoltre, sono emblema dell’irrazionalità,
ovvero i loro comportamenti violenti, il loro essere fanfaroni, si oppone alla visione dell’uomo
descritta dagli umanisti e identifica una visione satirica e materialistica della realtà. Il mondo alla
rovescia descritto da Pulci esalta l’eccesso, la deformazione, l’iperbole e ciò viene scandito da un
linguaggio sovrabbondante e caricaturale, espresso nel rigoroso lessico. È come se le parole
rubassero la scena alla storia, infatti inventa dei neologismi, inserisce espressioni popolari e
dialettali, paragoni tratti dalla vita quotidiana, ossimori irridenti. Il suo “credo” spregiudicato
basato sui piaceri del gioco e della gola, scaturirà l’indignazione di Girolamo Savonarola che
arderà al rogo quel “libro scellerato” di Pulci. Per evitare le condanne di eresia, egli, nell’ultimo
periodo di produzione, inserisce la figura di Astarotte, un diavolo filosofo che discute circa il
libero arbitrio dell’uomo, l’ideale di tolleranza religiosa e di umiltà, ma soprattutto propone
un rifiuto al dogmatismo.
Matteo Maria Boiardo
La vita
Matteo Maria Boiardo nasce a Scandiano, presso Reggio Emilia nel 1441. Orfano di padre,
cugino di Pico della mirandola, nel 1476 si trasferisce a Ferrara, presso la corte di Ercole I.
Diventa un importante personaggio politico, tuttavia ciò che lo impegna di più è la sua vocazione
letteraria dal 1476 con l’Innamoramento di Orlando. Scrive l’opera nel periodo della calata di
Carlo VIII in Italia, della quale allude con alcuni riferimenti e sperando che per essa si possa
accendere uno spiraglio, il quale da lui vorrà esser raccontato. Tuttavia non avrà modo di farlo
perché improvvisamente morirà nel 1494.

Le opere
Boiardo era parecchio apprezzato nella corte ferrarese e sin da giovane si diede alla stesura di
opere latine e greche, una serie di carmi ed egloghe di carattere encomiastico. Molto apprezzato
è il canzoniere di liriche in volgare, Amorum libri tres (Tre libri degli amori). Si costituisce di
180 testi poetici, tra cui sonetti e canzoni, scritti in onore di Antonia Caprara, una dama molto
conosciuta a Reggio Emilia. Si descrive l’amore della donna in tre tappe differenti:
- la gioia per il sentimento ricambiato;
- la sofferenza per il tradimento e la crescente indifferenza della donna;
- la rassegnazione e il pentimento.
I temi trattati si pongono in continuità con il Canzoniere petrarchesco, tuttavia la sua originalità
sta nella delineazione della schietta sensualità che influisce sui personaggi, aspetto molto
lontano dalla poesia trecentesca
L’Orlando Innamorato Il poema nasce come “L’Innamoramento di Orlando”, ma l’analogia con
lo scritto di Ariosto successivo, ha fatto prevalere l’altra versione del titolo. Si tratta di un’opera
incompiuta, la cui lettura si interrompe al nono canto del terzo libro, mentre i primi e due (29
canti-1°, 31 canti 2°) sono stati pubblicati interamente nel 1483. Nel 1495 viene pubblicata
un’edizione complessiva dei tre libri e che ebbe notevole successo, mentre nel Cinquecento
viene effettuata una riedizione denominata “Trivulziano”.
Il poeta riprende la tradizione dei cantari, passando agevolmente da un argomento all’altro e
rivolgendosi direttamente agli ascoltatori. Questi non sono più i personaggi della piazza, bensì gli
uomini e le dame della corte di Ferrara. Non è l’unico aspetto che appare diverso dalla
letteratura canterina, infatti anche la materia viene nobilitata, riprendendo quell’atmosfera
umanistica. Boiardo aggiunge una novità al suo poema, infatti raccomandando ai <<Signori e
cavallier>> attenzione per <<la bella istoria che’l mio canto muove>> annuncia che udranno
cose piacevoli e mai ascoltate prima, infatti Orlando, prode paladino di Carlo Magno, sarà
travolto dall’amore come un uomo comune. Quindi anche in questo caso diventa il motore
d’azione dei personaggi.
Riassumere la trama è quasi complesso perché appare quasi indisciplinata e caotica, una sorta di
intreccio, inserito al fine di incrementare l’attenzione degli uditori nei confronti degli episodi
narrati. In un ambiente pervaso da fughe, inseguimenti e peregrinazioni, assistiamo al tentativo
dei paladini, sia cristiani che pagani, di conquistare la splendida Angelica, principessa del Catai
(la Cina), la quale aveva intenzione di offrirsi a colui che avrebbe disarcionato il fratello Argalia.
Lui viene ucciso a sorpresa da un pagano e dopo comincia lei comincia a fuggire in una foresta.
Le due fontane, dispensatrici di odio e amore, invertono d’un tratto i ruoli: Il cavaliere di turno
(Rinaldo beve dalla fontana del disamore) si scopre nemico di Angelica, proprio quando lei
invece lo ama (beve dalla fontana dell’amore), e viceversa. A rimanere folgorato dalla sua
bellezza è Orlando che arriverà a lottare a duello contro uno dei suoi pretendenti, ovvero Rinaldo.
In tale circostanza interviene Carlo Magno che promette Angelica a chi si sarebbe mostrato
valoroso nella battaglia contro i saraceni, che al momento assediano Parigi. Da qui il racconto si
interrompe e viene portato avanti da Ariosto.
Dall’altra parte dell’intreccio ci sono le peripezie di Ruggiero, paladino pagano che, dopo aver
sposato l’eroina cristiana Bradamante, si converte al cristianesimo; si dice che da loro trarrà
origine la casa d’Este. Ecco l’intento encomiastico dell’opera che porta in questo modo, un
gratificante omaggio dinastico. In realtà egli, prima, sarà voluto dal pagano Agramante che
intende portarlo via perché sarà determinante per la vittoria dei saraceni, tuttavia Ruggiero è
protetto dal mago Atalante e soltanto un anello magico permetterà ai saraceni di condurlo a
Parigi. Nel mentre, invece, Orlando avrà pericolose avventure con la pericolosa seduttrice
Origille e poi verrà sottoposto alle prove della fata Morgana.
Lo scopo di Boiardo è quello di esaltare l’esuberanza giovanile dei suoi eroi e per dare questo
effetto egli non replica soltanto il canovaccio, ormai usurato, delle imprese cavalleresche, dunque
decide di fondere alcuni elementi del ciclo carolingio (il valore individuale, il coraggio dei
protagonisti, lo sfondo guerresco tra cristiani e musulmani) con quelli del ciclo bretone
(avventure, magie e fiabe).
Al contrario di Pulci, non svilisce il tipico comportamento cavalleresco attraverso
quell’atteggiamento parodico, anzi i paladini praticano quel sistema di valori, andato incontro a
un processo di laicizzazione. Inoltre l’amore rende più nobili i personaggi, abbandonando la
visione che era professata nelle canzoni di gesta. Non a caso, i personaggi sono uomini
rinascimentali, padroni del proprio destino e connotati da una certa libertà e di proprie virtù.
L’obiettivo di Boiardo non era quello di esaltare la drammaticità dell’amore, bensì inserire i
personaggi in un’epica sorridente e serena, riflesso di una visione ottimistica del mondo. in cui
l’uomo grazie alle sue virtù riesce ad avere la meglio sulla fortuna.
Riguardo allo stile, il poeta attinge a diverse tecniche: si pone in continuità con l’uso delle
ottave, ma d’altra parte utilizza anche uno stile popolare, influenzato da una sintassi semplice e
un lessico dominato dal padano e ferrarese. Questa soluzione ibrida però entra in contrasto con
i valori tendenti all’uniformità e classicheggianti del Cinquecento, che non ammettevano le
influenze dialettali e l’uso di latinismi ed espressioni popolari. Solo nell’Ottocento si potrà
ammettere il pregio, anche stilistico, dell’opera di Boiardo.
Ludovico Ariosto
La Biografia
Ludovico Ariosto nasce a Reggio Emilia nel 1474 ed è il primogenito di dieci fratelli, da
Niccolò e da Daria Malaguzzi Valeri. A Reggio il padre diventa capitano di cittadella, anche se
era già nobile funzionario della famiglia d’Este. Inizia i primi studi grammaticali e di
giurisprudenza a Ferrara, quando poi capisce la sua vocazione letteraria. Nel 1500 il padre
muore e sarà costretto a sostenere i dieci fratelli, infatti intraprende la carriera militare,
divenendo capitano di Canossa. L’anno successivo entra al servizio del cardinale Ippolito
d’Este. Quindi in questo periodo dovrà contendere la carriera militare e quella poetica che lo
vedrà interessato nella prosecuzione dell’Orlando innamorato del conterraneo Boiardo. Nel 1513
a Firenze incontra Alessandra Benucci, moglie di Tito Strozzi. Quando due anni dopo lei
rimarrà vedova, intratterranno una storia e poi si sposeranno in segreto.
Nel 1516 pubblica la prima edizione dell’Orlando furioso, che riscontra un così tale successo
da esser tradotto anche in altre lingue, poi dopo compone le Satire e le quattro commedie.
Ariosto, visto il successo dell’opera, non ama più stare al servizio del cardinale, tant’è che
quando nel 1517 egli diventa vescovo di Buda, in Ungheria, si rifiuta di seguirlo. Troppe cose
lo legavano a Ferrara, ciò non toglie la profonda ammirazione provata nei confronti del cardinale
al quale aveva dedicato l’opera, consacrandone il nome nei secoli futuri. Quando Ippolito d’Este
tornerà a Ferrara per morirvi, scrive un testamento per tutti i personaggi a lui più cari, tra cui
anche i servitori più umili, tuttavia esclude Ariosto.
Nel 1518 Ludovico è alla corte di Alfonso I d’Este, personaggio da lui ammirato in quanto
meno esigente, inoltre gli affidò un incarico che lo allontanava di rado dalla città. Quando nel
1522 la Garfagnana tornerà nelle mani del duca, Ariosto è costretto ad andare a governarci da
“commissario”. Pratica difficile vista la violenza e rozzeria degli abitanti. Ciononostante riesce a
condurre esiti positivi. Dopo due anni torna a Ferrara dove conduce l’ultima parte della sua vita,
ritirandosi in una casa nel contado assieme alla moglie e al figlio Virginio, nato da una relazione
precedente. Muore nel 1533 a causa di complicazioni polmonari. Viene sepolto a Ferrara nella
chiesa di San Benedetto fin quando poi le sue spoglie nel 1801 non verranno travasate nella
Biblioteca Ariostea.

Le opere minori
L’ATTIVITÀ TEATRALE A CORTE In una grande sala del palazzo ducale di Ferrara erano
spesso allestiti degli spettacoli teatrali e Ariosto si propone di tradurre delle commedie dal
latino, ma non solo, infatti compone testi originali in volgare. Se in un primo momento
componeva in prosa, per conferire maggiore dignità letteraria, cominciò a redigere in
endecasillabi sciolti. Egli si ispira alle opere della commedia classica di Plauto e Terenzio e ci
abbina alcuni elementi della novellistica trecentesca e allusioni al presente. L’ambientazione è
Ferrara e i protagonisti appartengono a un ceto borghese. Ci sono giunte cinque commedie:
● La cassaria (due fidanzati che grazie a del denaro contenuto in delle casse riescono a
recuperare le amate schiave di un parassita);
● I suppositi (commedia degli equivoci basata sullo scambio di persona);
● Il Negromante (segue le vicissitudini di una coppia di amanti e introduce la figura del
falso mago negromante Iachelino, che sfrutta la credulità altrui);
● La Lena (la protagonista grazie al suo carattere di ruffiana, cinica e gretta, permette un
amore a lieto fine tra due giovani);
● Gli studenti (rimane incompiuta).
LA POESIA AMOROSA Ariosto è anche autore di liriche sia in latino (a tema amoroso e con
tono leggero) che in volgare. Per queste si ispira a Petrarca e Bembo, da cui il poeta trae la
centralità del tema erotico e la scelta di un lessico selezionato. Si ispira anche a Boiardo e agli
stilnovisti. Si tratta soprattutto di sonetti e madrigali, che verranno pubblicate dopo la morte con
il nome di Rime. Scrive delle lettere (circa duecento) che non sono raggruppate in maniera
sistematica e non sono incentrate sulla descrizione idealizzata dell’autore come in Petrarca, ma
descrivono situazioni reali, e rispondono a esigenze di comunicazioni concreta e hanno interesse
documentario. Grazie ad esse ci è nota la personalità di Ariosto e del suo ruolo di commissario
Garfagnana.
LE SATIRE La composizione delle Satire avviene tra il 1517 e il 1525, dal momento di rottura
col cardinale Ippolito d’Este al ritorno dalla carica di commissario presso Garfagnana. Verranno
pubblicate solo dopo la sua morte, quindi a partire dal 1534. Hanno la struttura di epistole in
versi endecasillabi a rima incatenata indirizzati ad amici e a parenti. Si tratta di una sorta di
“diario in pubblico” che mette in risalto la personalità dell’autore e la sua visione del mondo,
cui l’amore per la libertà, il rifiuto della menzogna e dell’adulazione, l’amore per gli studi,
l’affetto per i suoi maestri. Riguardo ai modelli riprende quella conversazione amichevole e
ironica del poeta Orazio, il concetto di vita sobria ma autonoma e lontana dai vizi umani, la
scelta delle amicizie. Inoltre introduce una forte riflessione morale all’interno dei suoi schemi,
utilizzando un tono medio e una forma prosastica. Da Dante riprende la struttura metrica e
alcune scelte espressive, per esempio quello di utilizzare suoni aspri in situazioni di vergogna e
disprezzo. I temi principali sono a sfondo morale e traggono spunto da occasioni particolari:
1. ideale di vita sobria e morigerata;
2. denuncia all’ipocrisia di corte e la rivendicazione di un’indipendenza;
3. il valore della cultura e della poesia;
4. le difficoltà dell’incarico a Garfagnana;
5. l’amore per Alessandra Benucci.

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