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Satyricon di Petronio Arbitro

I sec. D.c.
Relazione di Matteo Lais
Trama commentata
Il romanzo narra la storia e le disavventure di giovani studenti squattrinati senza scrupoli e senza
punti di riferimento morale, che errano senza meta.
La loro odissea potrebbe richiamare l’eroe omerico ma non c’è un’Itaca che li attende e ben diverso
è il contesto. Ulisse è perseguitato da Nettuno ed è un eroe valoroso. Encolpio, il protagonista
dell’opera è perseguitato da Priapo, il dio fallico dell’erotismo e della sessualità a cui forse in tempi
non narrati ha fatto uno sgarbo.
Il tempo in cui l’azione si svolge potrebbe essere quello dell’impero di Nerone.
I luoghi che fanno sfondo all’azione sono le città della Magna Grecia, del litorale campano, poi il
mare aperto e infine Crotone.
Encolpio, protagonista del romanzo, narra in prima persona alternando storie colte con episi
avventurosi ed erotici.
Bisogna tenere presente che noi nel Satyricon soltanto una lunga parte centrale perché sia l’intizio
che il finale sono andati perduti.
Il primo dialogo del romanzo è di una certa attualità. Encolpio discute con un professore di retorita
sulla funzione della scuola e polemizza con gli insegnanti del tempo incapaci di insegnare ai
giovani:
Et ideo ego adulescentulos existimo in scholis stultissimos fieri, quia nihil ex his, quae in usu
habemus, aut audiunt aut vident, ….
(Ed è per questo, a parer mio, che nelle scuole i ragazzi rimbecilliscono perché non vedono e non
sentono niente di quello che abbiamo sotto mano).
Encolpio ha come amante un bellissimo adolescente, suo schiavo, Gitone. Questi è pronto a farsi
adescare da altri partner, come Ascilto altro studente senza scrupoli. I tre giovani, gelosi l’uno
dell’altro, si scontrano per le loro esperienze sessuali che danno piacere ma anche insoddisfazione.
Spesso vanno in giro senza meta per le stradine della città, smarrendosi come in un labirinto e
venendo a contatto con il degrado di una città corrotta.
Così cadono nella trappola di Quartilla, sacerdotessa di Priapo che vuole far scontare la colpa di
Encolpio sottoponendolo insieme agli amici ad estenuanti e mortificanti orge sessuali.
I tre giovani riescono a fuggire dal sadismo erotico della sacerdotessa, ma cadono in un’altra
trappola, una gabbia dorata da cui è difficile uscire, la casa di Trimalchione.
La cena di Trimalchione rappresenta la parte più importante del romanzo. Il padrone di casa è un
liberto arricchito e cafone che fa sfoggio dei suoi averi con sfarzo e cattivo gusto. Con una tecnica
teatrale Petronio, l’arbiter elegantiae, descrive con ironia i momenti della suntuosa cena, le portate
che nascondono sorprese spettacolari, mentre gli invitati fanno commenti triviali.
Quando Trimalchione si allontana per soddisfare i suoi bisogni corporali, i suoi commensali
possono parlare liberamente rivelando un mondo meschino e corrotto da cui i protagonisti
riescono con difficoltà a fuggire.
Dopo una serie di disavventure compare in scena un altro personaggio, un poeta esibizionista di
nome Emolpio. Si ricompatta un nuovo terzetto formato da Gitone (il giovane adolescente),
Encolpio e Emolpio.
Tutti e tre si imbarcano per andare verso oriente. Ma una terribile tempesta provoca un naufragio.
I tre si salvano e sono costretti a sbarcare a Crotone dove cercano di arricchirsi imbrogliando i
cittadini con falsi testamenti.
Encolpio, che nel frattempo vuole sperimentare rapporti eterosessuali, perseguitato da Priapo, è
diventato impotente. Cerca di guarire affidandosi ad arti magiche e con l’aiuto di megere, ma solo
l’intervento di Mercurio gli restituisce la virilità: questo potrebbe essere un lieto fine.
Diverso è il destino di Emolpio che aveva fatto credere a tutti di essere molto ricco e di attendere
l’arrivo di una nave carica d’oro. Emolpio fa testamento lasciando ai Crotonesi tutte le sue presunte
ricchezze ma inserisce nel documento una strana clausola: potranno godere dei suoi beni soltanto
coloro che mangeranno a pezzetti il suo cadavere.
Edulpio muore dopo una cena orgiastica e così il Satyricon che noi conosciamo si conclude con un
banchetto cannibalistico forse insaporito dalle spezie: assetati di oro i creduloni cittadini di Crotone
partecipano a questo macabro banchetto coi resti di un cadavere, ultimo simbolo della caducità
della vita e dei suoi beni.
L’opera che è un prosimetro (parti in prosa e parti in rima) presenta delle digressioni, richiami a
testi poetici classici e narrazioni di favole da parte dei personaggi durante la cena di Trimalchione e
anche dopo.
Una delle più interessanti, tra queste favole, è quella della Matrona di Efeso che parla di una donna
pudica e dopo la morte del marito sembra una donna inconsolabile ma non può resistere dopo
l’attrazione sessuale dopo un periodo di astinenza. A questo proposito bisogna riflettere sulla
concezione di Petronio sulle donne. Spesso sono delle megere o delle maghe, assatanate dal sesso
o personaggi futili amanti più del lusso e della ricchezza. Fortunata, ad esempio, la moglie di
Trimalchione, maltrattata e rimproverata dal marito davanti ai commensali. Le giovani donne
spesso sono trattate come merce e vendute come oggetto di piacere. E anche la Matrona di Efeso
ricordata come donna pudica, retta, fedele, anch’essa si lascia trascinare dalla passione, disposta a
sacrificare la memoria e il corpo del marito per un amore e per il piacere.
Riflessioni finali
Due banchetti, uno sfarzoso e l’altro macabro e raccapricciante, sottolineano il senso dell’opera. Il
Satiricon rivela la crisi di un’epoca osservata e descritta da un autore certamente stravagante, ma
anche capace di sottile ironia e raffinato realismo.
L’autore ha svuotato l’idealismo del romanzo greco in cui i protagonisti erano giovani amanti
eterosessuali, offrendoci storie di sesso, piacere, omosessualità, pedofilia, senza sottigliezze
sentimentali.
Petronio è l’interprete lucido della società romana del I secolo e guarda con distacco e cinismo i
costumi corrotti e l’avidità del popolo.
L’arbiter elegantiae guarda con amarezza il crollo del buon gusto della classicità e con tono
scanzonato e con realismo, quasi alla Pasolini, descrive personaggi senza scrupoli, ignoranti e
arricchiti con espedienti facili.
Le due cene descritte, quella di Trimalcione e quella cannibalesca finale rivelandola consapevolezza
della caducità di ogni bene.
L’autore ha una concezione cinica della vita. Mi sembra pertinente l’interpretazione che Hegel dava
della storia nella Fenomenologia dello Spirito: dopo l’affermazione della libertà espressa dallo
stoicismo e nel mondo romano da Seneca, maestro di Nerone (proprio durante l’impero di Nerone
sembra che avvengano le vicende narrate), per un rapporto dialettico si afferma lo scetticissimo,
che assolutizza l’individualità negando ogni certezza e che trova nel mondo solo instabilità e
irrazionalità.

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