Marco Anneo Lucano Nasce nel 39 d.C. a Cordoba (Spagna) dall’illustre famiglia degli Annei, fra cui si ricordano Seneca il retore, suo nonno, e Seneca il filosofo, suo zio. In gioventù studia prima a Roma alla scuola stoica di Anneo Cornuto, che predicava: o la bontà della provvidenza divina: il mondo è governato in modo perfetto e logico da un’unico Dio; o il primato della virtù: il dovere, e non il piacere, fondano la morale; o l’atarassia: il saggio è imperturbabile e nessuna passione/emozione può trascinarlo o l’eroica sopportazione del dolore: i mali accadono ai cattivi e ai buoni, ma sono occasioni di fortificazione interiore; o l’omologazione e non l’opposizione al proprio destino: «il destino guida chi lo accetta e trascina chi è riluttante» (Seneca); o la partecipazione alla vita politica; o una visione positiva del suicidio, concepito come eroica fuga dai mali del mondo. Poi perfezione la sua cultura letteraria in Grecia, ad Atene. Tornato a Roma, è accolto da Nerone nella sua cerchia di amici, letterati, filosofi e poeti; viene fatto questore dall’imperatore prima di compiere 25 anni; nel 60 compone e recita le Laudes Neronis durante i Neronia Neanche due anni dopo il poeta cade in disgrazia presso Nerone, che gli vieta di recitare in pubblico i suoi versi. L’inimicizia sembra derivare da invidia artistica: Nerone, infatti, poeta egli stesso, aveva composto un poema sulla caduta di Troia intitolato Troikà, opera che non reggeva il confronto con l’Iliacon di Lucano, che trattava lo stesso argomento. Lucano reagisce componendo un carme diffamatorio nei confronti dell’imperatore, e, soprattutto, aderisce, forte anche di convinzioni politiche aristocratico- senatoriali, alla Congiura di Pisone (62-65 d.C.) volta a eliminare il tirannico imperatore per ristabilire la libertà repubblicana. Scoperto e interrogato, il poeta tentò di incolpare la madre Acilia, ma ogni tentativo fu vano: giunta la sentenza di condanna a morte, Lucano preferì il suicidio, si recise le vene e morì recitando versi della sua opera. Così scrive lo storico romano Tacito: «E allorché costui, mentre il sangue usciva dalle vene, sentì che i piedi e le mani si facevano freddi e lo spirito vitale se ne andava poco a poco dalle estremità, ma la mente restava ancora lucida e pulsava vitale il cuore, si rammentò dei versi che aveva composto, nei quali aveva descritto un soldato ferito che moriva nello stesso modo; li volle recitare e furono le sue ultime parole». Il Bellum Civile o Pharsalia È l’unica opera a noi pervenuta di Lucano. Grande innovazione: argomento del poema non è l’universo mitologico fatto di dei ed eroi tipico dell’epica virgiliana, ma la storia degli uomini (sulla scia dei primi poeti epici latini Nevio ed Ennio), e in particolare la sanguinosa guerra civile tra Cesare e Pompeo, un’infinita serie di battaglie e spargimenti di sangue che, con la battaglia di Farsalo, siglerà la sconfitta della libertà repubblicana difesa dagli optimates pompeiani e la vittoria dei populares, cui seguirà l’ascesa al trono del primo tirannico imperatore di Roma, Giulio Cesare. Comprende 10 libri ed è quasi sicuramente incompiuto: si arresta a metà del decimo libro e di solito i poemi epici contavano 6, 12 o 24 libri. Concepita prima che i rapporti con Nerone degenerassero, nacque probabilmente come un poema celebrativo dell’imperatore, una nuova Eneide volta a glorificare il nuovo monarca; dopo lo scontro insanabile tra i due l’opera assunse un tono antimonarchico e repubblicano. I primi 3 libri, di cui si svolse una lettura pubblica nel 60, propongono una visione positiva di Nerone, addirittura lodato come principe superiore ad Augusto, e le cruente guerre civili sono il prezzo da pagare per vivere ora la perfetta pace del quinquennio felice (i primi cinque anni del principato neroniano, dove di fatto governò in modo saggio e pacifico il filosofo Seneca). Negli altri 7 libri, pubblicati postumi dalla moglie Pollia Argentaria a causa del veto opposto da Nerone, la prospettiva si ribalta e diventa chiaramente antineroniana e filorepubblicana. È inoltre probabile che prima di morire Lucano abbia corretto i primi 3 libri in ottica antiimperiale. Trama Libro I: Lucano depreca le guerre civili; seguono l’elogio di Nerone, dedicatario del poema, forse ironico; e l’esposizione delle cause della guerra. Presentazione di Cesare, tirannico e sacrilego condottiero che sottometterà la patria, e Pompeo, eroe stoico e difensore dell’aristocrazia senatoriale e della libertà della vecchia repubblica. Inizia la narrazione: Cesare passa il Rubicone, confine della Repubblica romana, che gli appare sotto forma di fantasmagorica personificazione e lo scongiura di fermarsi. Il guerriero si dirige verso Rimini e l’assedia. Poi marcia verso Roma, abbandonata dai pompeiani, per ultimare il colpo di stato. Il libro si conclude con la descrizione di tremendi prodigi naturali quali eclissi e apparizioni di spettri che anticipano la rovina del mondo per mano di Cesare. Libro II: Lucano ricorda l’antefatto dei sanguinosi scontri tra Mario e Silla, iniziatori della stagione delle guerre civili, e ne elenca le tremende conseguenze. Bruto si reca da Catone Uticense, grande eroe positivo del poema, e gli rivela la sua ostilità tanto a Cesare quanto a Pompeo, ma lo stoico Catone preferisce schierarsi con Pompeo a garanzia della legalità e della libertà romane. Cesare conquista Corfinio e Pompeo, in fuga dall’Italia, è raggiunto a Brindisi dal suo acerrimo nemico. Libro III: un orrorifico sogno premonitore manifesta la futura rovina Pompeo; durante il sonno gli appare la sua defunta moglie, nonché figlia di Cesare, Giulia, che lo avvisa del disastro incombente. Cesare si impossessa del tesoro pubblico a Roma, oltrepassa le Alpi ed espugna Marsiglia. Si schierano con Pompeo numerose popolazioni orientali, di cui Lucano redige un fantasioso catalogo. Libro IV: Cesare sconfigge in Spagna, presso Ilerda, le truppe di Pompeo, ma viene a suo volta vinto dai pompeiani in Illirico e in Africa, dove muore il generale cesariano Curione. Libro V: il Senato si affida a Pompeo e gli consegna le sorti di Roma. Cesare assume la carica di console e marcia su Brindisi. Si trasferisce poi in Grecia, nell’Epiro, dove attende l’alleato Antonio. Al ritardo di questi, Cesare s’imbarca, ma viene colto da una tremenda tempesta, da cui si salva miracolosamente riparando sulle coste dell’Epiro. Libro VI: dopo aver descritto lo scontro frontale in terra greca tra i due condottieri, Lucano conduce in tono fantastico una digressione geografico-mitologica sull’Ellade. Riprende la narrazione: Sesto, degenere figlio di Pompeo nonché predone senza scrupoli, si reca in Tessaglia e, fra le crudeli maghe del territorio, consulta la diabolica negromante Erittone, che, con empi riti, riesce a riportare in vita dall’Ade un soldato morto e a strappargli un vaticinio sul tremendo futuro che attende Pompeo: questi sarà sconfitto per mano di Cesare; lo stesso fantasma di Pompeo rivelerà ulteriori particolari a Sesto. La maga fa calare le tenebre e Sesto ritorna all’accampamento. Libro VII: Pompeo ha un sogno ingannatore, dove si vede acclamato a Roma, nel teatro che da lui prende il nome, acclamato da una grande folla. Così, presso Farsalo, dà inizio alla battaglia contro Cesare. Le truppe cesariane respingono la cavalleria pompeiana. Pompeo fugge verso Larissa. Vinta la decisiva battaglia, che sigla la definitiva sconfitta del leader repubblicano, i cesariani, sprofondati nel sonno, hanno terribili visioni di morte. Libro VIII: Pompeo, giunto a Mitilene dove lo attende la moglie Cornelia, si imbarca verso la Cilicia e decide infine di trovare rifugio in Egitto presso il faraone Tolomeo. Questi, tradendolo, lo fa decapitare. Il resto del corpo di Pompeo viene sepolto dal fedele seguace Cordo e il libro si chiude con un compianto funebre per l’eroe della Repubblica. Libro IX: l’anima di Pompeo si dirige verso il cielo, ma prima si ferma nel cuore di Bruto (futuro uccisore di Cesare) e dimora nell’animo di Catone, che ora diventa il vero eroe del poema, unica speranza per la libertà di Roma. Costui si mette in marcia attraverso il deserto africano per ottenere l’alleanza di Giuba, re della Mauritania. Durante l’ostile percorso Pompeo, in ossequio ai dettami stoici, si rifiuta di consultare i fraudolenti oracoli pagani e i letali serpenti e rettili di Libia, nati dal sangue del capo di Medusa reciso da Perseo, attaccano i poveri militi, che muoiono fra atroci dolori e spaventose deformazioni (alcuni ardono bruciati dal veleno, altri periscono disseccati da una sete irrefrenabile, alcuni si gonfiano fino a scoppiare, altri si liquefanno, altri ancora cadono in un fulmineo sonno di morte). Cesare visita Troia e onora gli spiriti dei suoi avi. Poco dopo giunge in Egitto, dove gli emissari del faraone gli consegnano la testa mozzata di Pompeo. Nascondendo la sua gioia, si finge addolorato. Libro X: Cesare entra ad Alessandria e visita la tomba di Alessandro Magno. Nella reggia della città e imbandito un suntuoso banchetto in suo onore, dove giunge la bellissima regina Cleopatra, sorella di Tolomeo, che seduce il condottiero. Segue una misteriosa digressione sulle sorgenti del Nilo. Intanto – e qui il libro si arresta – viene ordita una congiura dei cortigiani egiziani contro Cesare, che sfocia in un episodio di guerra nel quale il guerriero rimane assediato nella reggia. Probabilmente Lucano aveva l’intenzione di proseguire la narrazione fino alla morte di Cesare, ucciso da Cassio e Bruto in senato durante le Idi di marzo, o, addirittura, fino alla battaglia di Azio, ultimo sussulto delle guerre civili, in cui Ottaviano Augusto, figlio adottivo di Cesare, sconfigge in Egitto l’ex-cesariano Antonio e la sua compagna Cleopatra, diventando di fatto il primo imperatore di Roma. Un’anti-Eneide
Virgilio ha cantato: Lucano canta invece:
la nobile origine di Roma • l’infame rovina di Roma attraverso un glorioso passato • attraverso gli orrori della storia (le guerre mitologico civili) che giustifica l’aureo presente • che denigra l’oscuro presente del della pax Augusta principato di Nerone celebrando la provvidenzialità • maledicendo una tremenda tirannia che dell’Impero ha distrutto la Repubblica romana, il senato, l’aristocrazia e la libertà. Proemio dell’Eneide Proemio della Pharsalia Canto le armi e l’eroe, che per primo Cantiamo guerre più atroci di dalle coste di Troia profugo per fato toccò quelle civili, combattute sui l’Italia e le spiagge lavinie, lui molto campi d’Emazia (Tessaglia), e il sbattuto e per terre e per mare dalla forza delitto divenuto legalità e un degli dei, per l’ira memore di Giunone popolo potente che si è rivolto crudele, e tribolato molto anche dalla contro le sue stesse viscere e, guerra, finché fondasse la città e infranto il patto della tirannia, portasse gli dei per il Lazio; donde tutte le energie del mondo (venne) la razza latina i padri albani e le sconvolto che lottano per un mura dell’alta Roma. Musa ricordami le comune misfatto e le insegne che vanno contro quelle cause, per quale divinità lesa o che avversarie e le aquile contrarie lamentando, la regina degli dei abbia alle aquile e i giavellotti spinto l’eroe famoso per pietà a minacciosi contro i giavellotti. dipanare tanti eventi, ad affrontar tanti Quale follia, o cittadini, quale dolori. Forse così grandi sono le ire per i sfrenato abuso delle armi offrire cuori celesti? il sangue latino alle genti nemiche? Un epos senza protagonista: se nell’Eneide è il pio Enea il vero e unico eroe di Roma, nella Pharsalia, fra l’altro sovraffollata di antagonisti e personaggi oscuri, solo due personaggi si mostrano particolarmente eroici (si noti comunque che entrambi moriranno e verranno sconfitti): Pompeo, difensore della Repubblica;
Catone Uticense, filosofo stoico e condottiero che
preferisce darsi la morte a Utica piuttosto che
soccombere alla tirannia di Cesare. Un mondo abbandonato dagli dei: l’Olimpo non soccorre più l’umanità come nell’Eneide, ma gli uomini combattono e muoiono soli, in balia dei propri istinti e delle proprie miserie; tuttavia, nonostante l’evidente pessimismo, non si può parlare di nichilismo; il mondo, infatti, per quanto sia una sanguinosa macelleria, è in qualche modo retto da un Dio giusto, che, tramite le sventure e i mali, mette alla prova ed esalta gli uomini buoni e valorosi come Pompeo e Catone. Come scrive Lucano: «La causa vincitrice piacque agli dei, ma quella sconfitta a Catone» (I 27). Uno stile horror: a ragion veduta Lucano può essere considerato il primo scrittore noir della storia della letteratura, lo Stephen King dell’antichità; invece di descrivere esaltanti battaglie e morti gloriose, Lucano infarcisce il poema di: battaglie cruente e morti sanguinose, descritte secondo il gusto per il macabro e l’orripilante tipico della letteratura neroniana e del teatro di Seneca; spettri, fantasmi, apparizioni (la personificazione della Patria, i fantasmi di Mario e Silla, lo spettro di Giulia); episodi di magia nera (Erittone) mostri orrendi quali i temibili serpenti di Libia; tremendi prodigi climatici; oscure profezie; incubi premonitori. Un gusto fantasy: il poema, privato del meraviglioso mitologico, è ravvivato da numerose digressioni geo- etnografiche che vogliono meravigliare e intrattenere lo spettatore con a un racconto fantasioso e immaginifico; le sue descrizioni sui popoli orientali, sulla Grecia, su Troia, sulla tomba di Alessandro non sono molto diverse, ad esempio, dagli excursus di Tolkien sugli Elfi, i Nani e gli Orchi, sulla Terra di Mezzo, sulle miniere di Moria… Uno stile barocco: reagendo al classicismo di Virgilio, i cui versi perfetti e bilanciati, senza un aggettivo di troppo o una parola fuori posto, erano il massimo esempio di equilibrio e misura, Lucano preferisce una scrittura pomposa, ipotattica, sovrabbondante di aggettivi, piena di figure retoriche, concettosa, fitta di «frasi a effetto» dette sententiae (Asianesimo).