Sei sulla pagina 1di 2

LUCANO

Lucano dovette tentare di mantenere stabile il rapporto con l’imperatore, rapporto che, però,
venne meno per due ragioni principali: da una parte Lucano si dimostrò più bravo di Nerone nella
produzione poetica, e questo avrebbe suscitato poi la gelosia dell’imperatore; dall’altra, secondo
alcune fonti storiografiche, il poeta avrebbe preso parte alla congiura dei Pisoni, un progetto di
rivoluzione contro il potere di Nerone e che si rifaceva a simpatie repubblicane. Queste prese di
posizione sono evidenti anche, e soprattutto, in una delle opere più importanti di Lucano:
Pharsalia.
Pharsalia, tramandata anche con il nome di Bellum civile, tratta come argomento lo storico
scontro della guerra civile tra Pompeo e Cesare. L’aspetto epico, però, è solo formale: la sostanza,
infatti, è tragica, perché è forte la visione catastrofica di una Roma che ormai deve dire
definitivamente addio all’antica res publica senatoria, e questo è evidente fin dall’incipit.La
guerra viene vista come empia, come se fosse un canto di lutto (threnos) verso Roma in
decadenza.
È un fatto risaputo che il poema epico per eccellenza nella cultura latina è l’Eneide di Virgilio. In
tale opera si tratta di un passato eroico (le avventure di Enea) dove a governare tutto il racconto è
un disegno provvidenziale, dove le guerre civili vengono viste come una parentesi generosa ma
necessaria, in modo da mettere ancora di più in risalto la positività dell’ascesa di Augusto. Ecco,
tutto ciò nella Pharsalia di Lucano viene rovesciato: tutto quello che nell’Eneide viene esaltato,
perché positivo e luminoso, nella Pharsalia viene reinterpretato attraverso elementi ed atmosfere
cupi, macabri e di orrore. L’orrore delle guerre civili veniva visto, specialmente nella produzione
bucolica della prima età imperiale, come una giustificazione del principato di Nerone; nell’opera
poetica di Lucano, al contrario dell’Eneide, il potere imperiale viene visto come una sorta di
tirannide.
• L’argomento del poema e l’apostrofe ai cittadini romani→ i primi 7 versi contengono
l’esposizione dell’argomento e fanno seguito ad un’apostrofe di biasimo ai cittadini romai, l’elogio
a Nerone e l’analisi delle cause della guerra. Il carattere antiepico emerge dai primi versi, in cui
all’immagine della guerra viene legata ad una legge fondata sul delitto e ad un popolo che si
colpisce da solo. Il conflitto infatti non è solo civile ma coinvolge due contendenti legati da vincoli
di parentela. Secondo Lucano il sangue versato con lo sciogliemento del primo triumvirato poteva
giovare solo per la conquista dei territori.
• Una scena di necromanzia→ rappresenta un vistoso esempio della predilezione per le atmosfere
lugubri e per i particolari macabri. Nel passo costringe a profetare un soldato morto. Molto
efficace è l’immagine dell’anima del defunto che teme di dover rientarre nel suo corpo straziato.
Lucano conosce molto bene il modello virgiliano, lo cita, ma lo ribalta; questa caratteristica è
evidente soprattutto nel rito di necromanzia, che risulta essere il rovesciamento del sesto libro
dell’Eneide, in particolare il punto in cui Anchise profetizza ad Enea la futura grandezza di Roma
(vv.756-892). In questo passo di Lucano si può vedere una maga che celebra un rito empio e
terribile (il timore per l’elemento magico sostituisce l’elemento divino e provvidenzialistico
dell’Eneide): apre le ferite di un soldato insepolto, le riempie di elementi magici e misteriosi, poi
evoca gli dei dello Stige, affinchè questi ultimi facciano ritornare l’anima nel corpo del soldato e
che questo sveli il futuro. Il paesaggio presagisce l’elemento orrorifico di questa natura, e tutto
questo si traduce, dal punto di vista stilistico, in un asianesimo esasperato, che potrebbe riportare
alla memoria le tragedie di Seneca. Inoltre, ritornando al verso 729, si parla di qualcosa di empio:
le grida mostruose contrastano con il silenzio tipico del regno dei morti; nell’Eneide la Sibilla
decide di escludere la parte orrorifica dell’oltretomba per la difesa di Enea (siccome non lo fa
Virgilio, ci pensa qui Lucano). Per di più, intorno al 769 è importante notare l’elemento blasfemo:
sembra che la maga sfidi la Morte e le sue divinità, sostenendo di essere lei a dare la morte. Non
bisogna, però, dimenticare la visione negativa sul destino di Roma, opposto al progetto
provvidenziale dell’Eneide, è soprattutto concentrato intorno al verso 780, ma anche nei versi
seguenti.
• I ritratti di Pompeo e Cesare → nell’ultima parte del proemio Lucano analizza le cause della
guerra suddividendole in sovrastoriche, contingenti, sociali e morali. Nella parte delle cause
contingenti (il primo triumvirato, la morte di Crasso e di Giulia, l’ambizione di Cesare e di
Pompeo) sono inseriti i ritratti di Cesare e Pompeo (il parallelismo occupa 14 versi e mezzo
ciascuno e a metà c’è in entrambi i casi una similitudine)

• Il discorso di Catone → Lucano assegna a Catone l’Uticense il compito di difendere la legalità


della repubblica e di incarnare il saggio stoico. Nelle parole di Catone emerge l’orrore per le
guerre civili, l’esaltazione della matrice stoica della virtus e la difesa della libertà.

• Il ritratto di Catone →elogia le virtù di Catone che coincidono con quelle degli Antichi Romani
e con quelle proprie del perfetto sapiens stoico. Egli mette la propria moralità al servizio della
difesa della res publica e della libertà repubblicana. Tra tutti i personaggi che popolano l’opera di
Lucano, sicuramente il più idealizzato è Catone, che rappresenta in modo teorico la virtus stoica,
considerata premio a se stessa. Di fronte ad un destino ormai catastrofico, il saggio, non più in
grado di mantenere la propria imperturbabilità, vede come unica salvezza la morte, unico modo
per rimanere fedele al suo attaccamento ai valori stoici. Questo principio, presente in Lucano,
avrà larga fortuna durante l’impero: la gloria di un martirio ostentato (ambitiosa mors) contro il
potere del principato diventerà una posizione diffusa presso i circoli filosofici. Tale scelta verrà
fortemente criticata da Tacito, storico romano, nella sua opera Agricolae, in cui venne trattata la
vita e le imprese dell’omonimo suocero: quest’ultimo, pur dovendo operare sotto un imperatore
tirannico, non ha mai espresso esplicita opposizione contro il potere, attraverso queste forme
narcisistiche di suicidio, ma non per questo il suo atteggiamento si è ridotto ad una forma di
vergognoso servilismo. La scelta di vita di Agricola è, dunque, “mediana”, nel senso che si cerca di
evitare posizioni estreme, cercando di portare avanti quel poco di buono che ancora è possibile
fare. Tacito condanna le ambitiosae mortes in quanto di nessuna utilità alla res publica; Agricola,
pur non volendosi macchiare di servilismo, aveva però sempre saputo servire lo stato con fedeltà
e competenza, anche sotto un principato repressivo come quello di Domiziano.
• Cesare affronta una tempesta →varie fonti raccontano la navigazione da Durazzo a Brindisi per
condurre lì i rinforzi. Il timoniere spaventato propose di tornare indietro ma il condottiero lo
esortò a continuare perché stava trasportando Cesare e la Fortuna era con lui. Lucano propone
questo evento come esempio dell’attivismo e dell’indole tirannica di Cesare, che bussa alla
capanna di Amiclate e pretende che lo porti a Brindisi. Cesare con la sua presunzione senza limiti
lo sprona a proseguire. Dante nel canto XI del Paradiso citerà Amiclate come massima
espressione della povertà che conosce paure.

Potrebbero piacerti anche