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1 | LA VITA
Marco Anneo Lucano nasce a Cordova nel 39 d. C., figlio di Marco Anneo Mela, nonché fratello di Lucio
Anneo Seneca. Lucano era quindi nipote di Seneca. Fu condotto giovanissimo a Roma perché potesse
ricevere un’accurata e raffinata educazione: fu allievo del filosofo stoico Anneo Cornuto e condiscepolo di
Persio, altro grande scrittore latino. Come era consuetudine per i rampolli dell’aristocrazia romana, andò
ad Atene per completare la sua formazione e al suo ritorno, divenne subito intimo amico di Nerone con cui
condivideva la passione per la poesia. Gli si aprirono le porte del successo: Nerone fece sì che il suo amico
ottenesse, prima dell'età legale, la carica di questore e l'ingresso nel collegio degli auguri, una carica molto
prestigiosa. Nel 60 d. C., in occasione dei Neronia, gare poetiche a cadenza quinquennale, Lucano ottenne
la palma del vincitore con una Laudes Neronis. Ma Nerone cominciò a sentirsi minacciato da tutti.
Terminarono rapidamente gli anni in cui Nerone aspirava a comportarsi da sovrano illuminato e con
altrettanta rapidità Lucano perse il suo favore e cadde in disgrazia. Lasciò la corte di Nerone negli stessi anni
in cui anche lo zio fu costretto a farlo. Di questa rottura gli antichi parlavano di una gelosia letteraria:
supposero infatti che Nerone fosse invidioso delle capacità poetiche dell’amico, più abile e ammirato da
tutti: alcuni studiosi moderni suppongono invece interpretarla sotto una chiave politica, indicando la
probabile causa nella posizione filorepubblicana assunta da lucano nel Bellum Civile.
Nel 65 Lucano decise di aderire alla congiura dei Pisoni, della quale fu uno dei promotori, ma la congiura
fallì. Fu arrestato e, pur di salvarsi, si macchiò dell’infamia di denunciare gli altri cospiratori e, tra questi, sua
madre –con la quale aveva un pessimo rapporto-. Ciò fu inutile. L’ordine del suicidio arrivò e nel 65 d. C.,
quando non aveva ancora compiuto ventisei anni, e proprio come lo zio si aprì le vene e si lasciò morire.
Lucano incominciò fino dall'adolescenza a comporre scritti di vario genere, molte delle quali non ci sono
pervenute: l'unico rimasto è infatti il poema epico-storico Bellum Civile.
3 | I PERSONAGGI
Il Bellum Civile è un poema senza eroe, ossia senza un personaggio positivo che sorregge le vicende
dall’inizio alla fine, come Enea in Virgilio. Emergono però tre personalità: Cesare, figura del tutto negativa,
Pompeo, in cui ravvisiamo alcune tracce della virtùs, e Catone, unica figura del tutto positiva ma troppo
poco presente per diventare protagonista.
Cesare domina a lungo la scena, con la sua malefica grandezza e la sua frenetica brama di potere,
incarnazione del 'furor', cioè la furia distruttiva con cui si getta in un’impresa scellerata, - tratto
caratteriale appartenente anche al Catilina di Sallustio-. Lucano esprime sempre su Cesare giudizi
fortemente negativi, animato da una sorta di smania distruttiva che lo spinge a sovvertire ogni
legge umana e a perseguire i suoi scopi. Viene descritto anche come un nano che gode nell’imporre
la sua volontà facendo leva sul terrore, attraverso l’ira e la crudeltà; Cesare è un antieroe con una
spiccata tendenza a porsi in posizione superiore allo Stato stesso. È un tiranno feroce e sanguinario
che non esita a far trionfare le forze dell’irrazionale e del magico pur di appagare la sua sete di
potere. Viene descritto anche come anti-Enea, mancante di pietas, sia verso la patria (attraverso il
Rubicone), sia verso gli dei (abbatte un bosco a Marsiglia).
Pompeo al contrario è l’eroe passivo, apatico in confronto alla frenetica energia di Cesare. Ma la
sua senilità politica e militare sarà proprio lo strumento con cui Lucano mitiga le sue responsabilità
politiche. È l’iperattività negativa di Cesare, la sua tracotanza che lo portano a decretare il tracollo
di Roma. Pompeo è un eroe tragico, un Enea sfortunato. All’inizio del poema la Fortuna gli è amica
e compagna, ma man mano finisce per abbandonarlo: Pompeo perde autorevolezza in campo
militare e politico ma trova riscatto in quello familiare e affettivo, in netto contrasto con
l’egocentrismo di Cesare. Pompeo, abbandonato da tutto e tutti, comprende che la morte in nome
di una causa giusta è l’unica via di riscatto morale.
Catone, infine, è un personaggio totalmente positivo, campione della legalità repubblicana e
incarnazione del sapiens stoico, vuole impegnarsi a fondo, disposto a tutto pur di affermare I valori
della virtus. Anche in lui manca l’amor fati, avversa e giudica I giudizi del fato. La morte prematura
di Lucano gli ha impedito di narrare il suo momento più glorioso: il suicidio eroico.
4 | LO STILE
Lo stile di Lucano si caratterizza per una spiccata tendenza al pathos e al sublime, oltre che per un
incalzante ritmo narrativo. Molto frequenti sono, nel poema, le apostrofi e gli interventi del poeta a
commento di ciò che sta narrando:l’io dell’autore è dunque onnipresente per giudicare o spesso per
condannare indignato ciò che sta raccontando. Nelle riflessioni personali e nelle apostrofi molto vi è dello
stile senecano, per la presenza di forti antitesi e per il martellare di brevi e incisive sentenze, delle vere e
proprie frasi a effetto che mirano a colpire il lettore. La concettosità è uno dei tratti stilistici più vistosi di
Lucano. Infatti, le massime lucanee hanno spesso un carattere spiccatamente intellettualistico: sono basate
sulla trovata ingegnosa, sorprendente, paradossale; mirano inoltre ad intensificare il pathos –questo viene
accentuato fino all’esasperazione-. Lo scopo principale di Lucano è quello di generare nel lettore una
tensione che non allenta mai: ne deriva un tono costantemente alto e teso, pieno di enfasi e
magniloquenza e con ricorso ai moduli tipici della tragedia. Sotto questo aspetto lo stile di Lucano è vicino a
quello del Seneca tragico, accomunati da: atmosfere cupe, gusto per l’orrido, il macabro e il raccapricciante.
L'amaro pessimismo del poema contrasta sul piano ideologico con l'adesione di Lucano allo
stoicismo, pur evidente da molti indizi, come l'ideale della virtus, la celebrazione di Catone,
incarnazione di un saggio stoico, l'esaltazione del suicidio, visto come eroica sfida contro la sorte
avversa e suprema affermazione di libertà.