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CANTO VI PARADISO

Siamo nel secondo cielo, il cielo di Mercurio e le intelligenze motrici sono gli arcangeli. Nel cielo di
Mercurio ci sono gli spiriti attivi per gloria terrena, ossia coloro che si sono adoperati per ottenere gloria
sulla Terra.
Sono le anime che operavano il bene per ottenere fama personale sulla Terra. Si presentano come
splendori, sono più luminosi rispetto al cielo precedente, cantano e danzano sono beati e colmi di gioia, si
muovono come una sorta di pesci in una peschiera. Il cielo di Mercurio si presenta come una sfera
luminosa.
Nel momento in cui fa il suo ingresso Beatrice in compagnia di Dante, il cielo acquista maggiore luminosità
(Beatrice è stata mandata dal signore).
SINTESI
Quasi tutto il canto è occupato dalla figura dell’imperatore Giustiniano. Tutti i canti sesti della Commedia
dantesca hanno la stessa tematica: sono tutti canti politici. Dante aveva incontrato Ciacco nel sesto
dell’Inferno, aveva incontrato Sorbello nel sesto del Purgatorio, incontrerà Giustiniano nel sesto del
Paradiso. Il tema si amplia sempre di più perché: il canto sesto dell’Inferno aveva evidenziato, tramite
Ciacco, quale fosse la situazione politica di Firenze; nel canto sesto del Purgatorio, nella prima parte del
dialogo l’attenzione era stata rivolta all’Italia e solo nell’ultima parte si ha un richiamo a Firenze; nel sesto
canto del Paradiso, invece, la prospettiva si amplia perché si va a guardare la situazione dell’Impero.
Giustiniano parla un po’ della sua storia, spiega a Dante il momento in cui l’insegna imperiale
simboleggiata dall’immagine dell’aquila, giunse nelle sue mani; narra della sua conversione al
cattolicesimo; ricorda la maggior parte delle opere che ha compiuto, tra cui Il Corpus Iulis Civilis, che è il
primo esempio di codice di leggi che poi diventerà un modello per tutta la legislazione successiva.
Dal verso 89 al 96, c’è una lunga sequenza che descrive la storia dell’aquila (simbolo imperiale) a partire
dal mito (ossia dal momento in cui Enea giunse in Italia per fondare questa nuova città), passa in rassegna
poi tutta la storia di Roma relativa alla Repubblica e all’Impero, e si fermerà storicamente fino all’età di
Carlo Magno; Carlo Magno è visto come un difensore della cristianità. Qui si sottolineerà il fatto che
l’Impero romano è voluto dalla provvidenza divina. In particolare c’è un elogio soprattutto dell’Imperatore
Augusto che è riuscito a riportare la pace dopo gli anni tristi delle guerre civili. Con questo lungo excursus
Dante vuole dimostrare il valore dell’imperatore, quindi la necessità che ci sia questo potere imperiale, nel
tempo storico nel quale l’autore si trova a vivere.
Successivamente (dal verso 112 circa) c’è la presentazione delle anime del Cielo di Mercurio. Queste
anime si trovano in questo cielo perché le loro azioni sono state rivolte all’ottenere una gloria terrena.
Anche qui, come già stato ribadito nel canto precedente, le anime sono appagate del luogo che occupano.
La loro felicità non è imperfetta, perché conformarsi alla volontà divina è per le anime il vero appagamento.
Nell’ultima parte c’è un personaggio, Romeo da Villanova che non parlerà con Dante. Storicamente è un
uomo che ha operato presso la corte di Provenza; Giustiniano lo definisce “un uomo accorto”, un uomo che
con la sua devozione nei confronti del signore di Provenza, è stata sempre una devozione giusta, si è
sempre adoperato per il bene della corte. Però poi condusse gli ultimi anni della sua vita lontano dalla
corte, in grande amarezza, a causa dell’invidia altrui.
Sembra strano che Dante dopo Giustiniano metta questo personaggio. In realtà c’è una sorta di analogia
tra la figura di Romeo Villanova e Dante Alighieri, perché è come se Dante citando questo personaggio
si
riconoscesse un poco in lui, come se volesse dire al lettore che lui si trova nella stessa condizione di Romeo
da Villanova perché ha operato bene nei confronti della sua città però probabilmente l’invidia altrui o non è
stato compreso per quello che ha fatto, ha portato al suo esilio. Quindi è anche come se ci fosse una sorta
di profezia nell’esilio che Dante di lì a poco dovrà patire.

(Il viaggio è stato fatto nel 1300 e l’opera è stata scritta dopo il viaggio. Più o meno a partire dal 1302/1303,
lui comincia quella fase dell’esilio. Quindi è come se lui qui anticipasse quella condizione di esule che poi
caratterizzerà gli ultimi anni della sua vita. Lui fu costretto a spostarsi presso le corti dei vari signori d’Italia,
e dovette chiedere la loro protezione che gli fu accordata in cambio del fatto che Dante fosse già un poeta
famoso, quindi con la sua presenza dava lustro presso le corti in cui veniva ospitato).
Con questo riferimento a Romeo da Villanova, si chiude il canto. Quindi gli uomini che sulla terra sono
stati così crudeli nei confronti di quest’uomo, il bene quell’uomo affatto ha fatto sì che la provvidenza
divina lo premiasse e si trova tra i beati del secondo cielo.

Esordio solenne: attraverso l’immagine dell’aquila, Giustiniano ricostruisce tutta la storia di Roma.
VERSI 1-9

parla Giustiniano.
Fa prima riferimento a Costantino che nel 330 d.C. aveva traferito la capitale dell’impero romano, di cui
appunto l’aquila era simbolo, dall’Italia a Bisanzio, chiamata in suo onore Costantinopoli. Oggi Bisanzio è
Istanbul. Quindi aveva spostato l’aquila da ovest verso est. Quando fa riferimento ad Enea, dice che lui
l’aveva portata da est verso ovest (da Troia in Italia). Nel momento in cui passa nelle mani di Giustiniano
(527) sono passati più di 200 anni.

Verso1: aquila, metafora per dire l’impero romano


Verso 7: ombra de le.., metafora
VERSI 10-27
Verso 10: Cesare fui e son Iustiniano, chiasmo. Cesare: antonomasia, sta per imperatore. Fui e son:
antitesi,
questa scelta verbale serve a ricordare che gli onori e le glorie mondane non hanno più valore dopo la
morte. Ciò che vive dopo la morte è l’individualità dell’anima, quindi la sua essenza. Infatti lui dice io sono
Giustiniano, non cita più le opere compiute.
Nel presentarsi a Dante, Giustiniano si qualifica attraverso l’opera meritoria che ha composto, ossia il
CORPUS IURIS CIVILIS, il quale può essere considerato proprio una sintesi del patrimonio giuridico
dell’antichità e ancora oggi il diritto occidentale ne tiene conto.

Verso 14: una natura..credea, fa riferimento all’eresia monofisita . Secondo questa teoria in Cristo vi era
soltanto la natura divina, mentre nella concezione religiosa cristiana si pensa che Dio abbia due nature:
quella umana e quella divina.
Verso 16: papa Agapito (533-36), colui avrebbe fatto convertire Giustiniano all’ortodossia cattolica.
Versi 19-20: una volta giunto in paradiso, Giustiniano prende consapevolezza che il messaggio del papa era
giusto, in Dio ci sono due nature.
Verso 21: ogni contraddizione., ricorda il principio di non contraddizione, ossia uno dei postulati della
logica
scolastica, secondo il quale di due affermazioni opposte una è necessariamente vera e l’altra è falsa, non c’è
via di mezzo. Ad esempio: se dico Dio esiste, Dio non esiste, è chiaro solo una può essere vera.
Verso 24: alto lavoro, è la compilazione del corpus iuris, in realtà in questo corpus fu riordinato e
codificato
tutto il diritto pubblico e privato di Roma. Per fare questo tipo di lavoro impegnativo, decise di affidare il
comando dell’esercito a Belisario, un comandante di fiducia, che condusse importanti vittorie e da questo
capì di dover lasciare il comando militare e dedicarsi totalmente al corpus.
Verso 25: commendai, latinismo, da commendare, significa affidare.
Verso 26: la destra del cielo, metafora per dire il favore del cielo.
Verso 28-29: questione prima, Dante aveva chiesto all’anima come prima cosa chi fosse (nel canto
precedente); il contenuto della sua risposta però lo induce a parlare dell’aquila e dell’impero e ovviamente
sottolinea quanto ancora oggi ci siano persone che operano in maniera ingiusta nei confronti dell’aquila,
poiché c’è chi ne fa simbolo di partito, senza comprenderne il valore, e chi invece vi si oppone, sostenendo
il papa, fa sempre riferimento a Guelfi bianchi e neri, guelfi e ghibellini.
Verso 32: sacrosanto segno, fa riferimento all’aquila simbolo dell’impero.
Verso 33: chi si appropria del segno sono i Ghibellini, questo appropriarsi del simbolo è qualcosa di
improprio, perché in realtà l’aquila ha un valore universale. Chi si oppone sono i Guelfi.
Verso 36: Pallante. Giustiniano comincia a fare la storia dell’aquila dalla storia mitica, quindi da Enea e
arriverà fino a Carlo Magno. Pallante è il figlio del re Evandro, una volta che Enea giunge nel Lazio si allea
con lui per combattere contro Turno. Pallante muore combattendo. In realtà il fatto che lo cita, conferisce al
concetto del potere romano un carattere sacro e virtuoso, già all’inizio c’è stato un sacrificio in questo caso
Pallante.
VERSI 37-39
Questi versi sintetizzano la preistoria di Roma, cioè quando l’aquila e il suo potere si insediarono per tre
secoli nella città di Albalonga con i discendenti di Enea.
Tu sai che esso (il segno dell’aquila) si insediò ad Albalonga per più di 300 anni fino al momento decisivo
quando i tre Orazi e i tre Curiazi si combatterono ancora per lui.
L’episodio dei tre a tre: fa riferimento al combattimento tra i tre Orazi e i tre Curiazi, questi
rappresentavano Albalonga e Roma, per la futura capitale del regno, Roma prende il potere.
VERSI 40-48
È Giustiniano che parla rivolto a Dante. A partire dal verso 40, in una sola terzina (40-42) viene raccontata
l’intera storia della Roma monarchica. Gli anni in questione sono gli anni 753 a.C. - 509 a.C. Sì parla del
ratto delle Sabine, di cui ci parla anche Tito Livio nel Urbe de condita libri; e il dolore di Lucrezia fa
riferimento all’episodio conclusivo della storia monarchica perché l’oltraggio a Lucrezia fatta dal figlio di
Tarquinio il superbo, comportò la cacciata dei Tarquini e quindi la fine della monarchia (509). Nel verso 42 si
sintetizzano tutte le azioni politiche compiute da Roma, grazie alle quali si afferma sul territorio
circostante divenendo la città più importante rispetto alle altre del Lazio.
Lucrezia fu violentata dal figlio del re Tarquinio il superbo. Questa donna si uccise per l’oltraggio subito
(visto anche con Livio) e quindi poi il marito e il padre la vendicheranno scacciando i Tarquini.
Brenno, che aveva conquistato Roma nel 390 a.C., rimanda all’impresa che i romani compirono contro i
Galli.
Pirro fa riferimento alla guerra tarantina, alla guerra che Pirro (re dell’epiro) alleato con i tarentini, fece
contro Roma (280-275). (Quindi Roma impegnata in questa guerra contro Taranto. Taranto chiede aiuto a
Pirro.)

Verso 45: “Principi e collegi’’ sta parlando dell’organizzazione delle popolazioni italiche che erano
organizzate o in principati (monarchie) o governi collegiali (repubbliche).
Verso 46: “Torquato” è colui che fu vincitore sui galli e sui latini, Quinzio= Quinzio cincinnato, nome dato
da questa particolare capigliatura che aveva (era ricciuto).
VERSI 49-63
La terzina v.49-51 è dedicata al ricordo delle guerre puniche, che Roma combatté contro Cartagine e la
conseguente sconfitta di quest’ultima. Annibale, seguito dai cartaginesi, varcò le Alpi

Verso 52: sottolinea un particolare della legge romana: il trionfo militare non poteva essere celebrato
prima dei 30 anni. Scipione e Pompeo erano quindi ancora giovanissimi. Pompeo aveva appena 25 anni
quando ottenne la vittoria sui seguaci di Mario. Scipione è citato per la vittoria che i romani ebbero su
Annibale a Zama nel 202. Dante sottolinea ciò per dire che si tratta di personaggi particolarmente valorosi e
proprio grazie all’aiuto divino hanno fatto sì che questa aquila potesse trionfare nonostante questi due
personaggi non erano ancora giunti all’età per celebrare il trionfo militare.
Verso 53: “Colle”, colle di Fiesole, nei pressi di Firenze, patria di Dante. Qui si farebbe riferimento ad un
altro episodio storico: congiura di Catilina. Nel 62 in occasione di questa guerra contro Catilina, la città di
Fiesole sarebbe stata distrutta perché Roma procede con l’esercito contro Catilina che aveva tentato il
colpo di stato.
Verso 55-56: si lega un po’ la vicenda di Cesare alla vicenda di Ottaviano Augusto. E il cielo (Dio) già a
partire da Cesare volle ristabilire ordine e pace a Roma, ma soprattutto aveva già, nel progetto divino,
stabilito che Roma dovesse diventare il centro e il luogo di divulgazione del cristianesimo che poi avverrà
con Ottaviano Augusto.
Verso 58: sta facendo riferimento a tutte le imprese compiute da Cesare in Gallia. Quindi cita le imprese di
conquista di Cesare sulle gallie.
Verso 61: cita Ravenna. Cesare di ritorno dalle gallie e non si era fermato nei pressi del rubicone che era
considerato il limite invalicabile, andando contro la prescrizione da parte del senato romano. Sì racconta
che
di ritorno dopo aver superato il rubicone, prima di dirigersi con L’esercito su Roma, avesse dimorato a
Ravenna. Perciò viene citata Ravenna.
Le leggi romane prescrivevano che i comandanti non potevano oltrepassare il rubicone armati e con
l’esercito. Invece Cesare venne meno e da questo momento in poi l’episodio storico che lo vedrà
protagonista sarà la famosa guerra che fece contro Pompeo e si concluse a Farsalo.
La parte che segue è dedicata alle imprese di Ottaviano Augusto
VERSI 73-81
Dal verso 73 vengono indicate la guerra tra Bruto e Cassio e quella tra Antonio e Cleopatra, Augusto
dopodiché poté condurre l’impero ad un periodo di pacificazione. Si sottolinea la pace che derivò dalla
politica augustea, tant’è che nel testo dice “da quel momento in poi, con Augusto, fu chiuso il tempio di
Giano” proprio a sottolineare che da quel momento in poi ci fu un periodo di pace.

Verso 74: Bruto e Cassio, nell’ultima parte dell’inferno Lucifero sta conficcato nel ghiaccio; si
presentacome
un mostro a 3 teste, con 3 bocche, e in ognuna di queste bocche stritola un’anima: Bruto, Cassio e Giuda.
Bruto e Cassio sono gli uccisori di Cesare e si considerano coloro che per primi hanno fatto violenza nei
confronti del potere imperiale. Giuda è il traditore di Gesù. Quindi vengono tutti e 3 puniti nella parte più
bassa dell’inferno.
Verso 75: Modena e Perugia, vengono menzionate perché ricordano 2 vittorie riportate da Ottaviano
contro Marco Antonio nel 42 e 40 rispettivamente a Modena e a Perugia.
Verso 76: Cleopatra, si era alleata con Marco Antonio; su questo Ottaviano aveva fatto pressione con il
Senato romano mostrando Marco Antonio come colui che avrebbe voluto orientalizzare la cultura romana.
Questa pressione di Ottaviano fece sì che il Senato dichiarasse guerra non a Marco Antonio perché era un
romano, ma a Cleopatra; lo scontro si ebbe nel 31 a.C nella battaglia di Azio. Ottaviano ne esce vincitore;
Cleopatra e Antonio non muoiono subito sul campo di battaglia: Cleopatra si sia data alla morte per questo
morso del serpente, ma probabilmente questa notizia non è veritiera perché è probabile che si sia uccisa.

Versi 92-93: con la crocefissione si vendicò il peccato originale. Con la morte di Cristo gli uomini furono
redenti (?) e salvati. Viene ricordato Tito perché avrebbe vendicato Cristo di cui sono considerati
responsabili gli ebrei: la morte di Cristo in croce fu giusto e necessario sacrificio a Dio della natura umana
del peccato, ma i Giudei condannandolo a morte commisero sacrilegio nei confronti della sua natura divina
per cui l’impresa di Tito fu giusta vendetta.

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