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VIRGILIO
I luoghi di Virgilio:
La poesia Virgiliana non contiene riferimenti autobiografici tali da consentire l’individuazione precisa dei
luoghi legati all’autore.
Però ci sono delle eccezioni per esempio nelle Bucoliche lo scenario arcadico rivela caratteristiche proprie
del Mantovano, luogo di origine di Virgilio. Si tratta di un paesaggio su cui il poeta proietta anche le ombre
della storia (guerra civile e gli espropri), sperimentata in prima persona.
Luoghi evocati e costruiti dalla fantasia Virgiliana sono invece quelli incontrati da Enea nelle sue
peregrinazioni, dalla fuga di Troia, ormai conquistata dai nemici Greci, alla sosta a Cartagine, presso la corte
di Didone, fino all’approdo sulle sponde del Lazio.
Di Roma l’Eneide non restituisce impressioni dirette dell’autore, ma solo immagini coerenti con
l’impostazione generale del poema. Virgilio quindi non descrive la Roma contemporanea in forma diretta,
ma la evoca assumendo il punto di vista dei primi abitanti del territorio che voi avrebbe visto nascere l’Urbe
(sinonimo di città) e prefigurando in prospettiva futura i luoghi della tradizione che la propaganda augustea
avrebbe opportunamente valorizzato.
I temi di Virgilio:
1. Il mondo bucolico: Virgilio crea un mondo bucolico idilliaco e ameno, popolato da pastori che
cantono i loro amori e i loro sentimenti, la serenità e la piacevolezza delle abitudini di vita. Dal loro
canto traspare però l’eco della storia: essa appare quasi esterna al loro universo, ma non manca di
far sentire i suoi effetti
2. Il mondo georgico: agricoltura, allevamento, apicoltura sono le attività che Virgilio dedica le
Georgiche. Il poeta celebra il valore della labor e della poesia utile, assecondando gli orientamenti
della politica augustea che mirava a promuovere le attività agricole della tradizione italica.
3. La pietas: è un sentimento di devozione e rispetto che si manifesta nei confronti della divinità, dei
genitori e della patria. Nella figura di Enea diventa una sorta di accettazione incondizionata,
conseguita con abnegazione, del ruolo imposto all’eroe dal fato: portare a compimento la sua
missione dei padri e fondare Roma.
4. Il fato: il tema del fato domina l’intera Eneide e condiziona profondamente le vicende dei
personaggi, di Enea in primo luogo: la sorte di Roma è già scritta e si configura come un disegno cui
le azioni e le scelte dei singoli individui non possono che conformarsi.
5. I vinti: l’Eneide non celebra soltanto il destino trionfale di Roma, ma canta anche le vittime di
questa missione: i vinti della storia, cui Virgilio dedica versi sinceramente partecipati, suasi a
compensare, con il dono della poesia, la tragedia della loro sorte.
La vita
Le fonti
Le fonti più importanti della vita di Virgilio sono alcune biografie tarde. La principale è la Vita Vergilii di Elio
Donato, grammatico e commentatore di Virgilio vissuto nel IV secolo d. C.; abbiamo inoltre la breve vita di
Probo e la biografia che accompagna il commento Virgiliano di Servio.
Un mantovano a Napoli
Publio Virgilio Marone nacque a Mantova, il 15 ottobre del 70 a.C. da una famiglia abbastanza agiata di
piccoli proprietari terrieri. Studiò grammatica a Cremona e retorica a Milano; proseguì gli studi a Roma e a
Napoli, dove frequentò lezioni dal filosofo epicureo Sirone.
Le guerre civili e lo spettro degli espropri
Dopo la battaglia dei Filippi (42 a.C.) fu deciso un esproprio di terre nel mantovano a favore dei veterani,
Virgilio come narra Donato riuscì a conservare le sue proprietà grazie all’appoggio di alcuni amici potenti
come Pollione, Varo, Gallo e forse Ottaviano.
Gli esordi poetici e l’incontro con Mecenate
Tra il 42 e il 39 a.C. scrisse le Bucoliche o Ecloghe: 10 componimenti in esametri, dove compaiono numerosi
echi del travaglio politico di quel periodo. Intorno al 38 a.C. entrò a far parte della cerchia di Mecenate.per
sollecitazione dello stesso Mecenate compose tra il 37 e il 30 a.C. le Georgiche poema in esametri
sull’agricoltura, diviso in 4 libri, per molti aspetti vicino al programma politico di Ottaviano.
La stesura particulatim dell’Eneide
Nel 29 a.C. cominciò la stesura dell’Eneide, poema epico di 12 libri in esametri, celebrativo della storia di
Roma e della gens Iulio, cui Ottaviano apparteneva. La composizione di cui ci parla la biografia di Donato
procedette in singoli episodi (particulatim) spesso uniti tra loro da gruppi di versi provvisori, che Virgilio
diceva di porre come puntelli e sui quali sarebbe probabilmente ritornato se avesse potuto dedicarsi a
un’ultima revisione dell’opera. I libri II, IV, VI furono completati per primi e perciò furono letti di fronte ad
Augusto e alla sua famiglia.
La morte di Virgilio e la sopravvivenza dell’Eneide
19 a.C. Virgilio si recò in Grecia per lavorare alla stesura definitiva del poema. Ammalatosi durante il
viaggio, decise di tornare in Italia, ma morì poco dopo lo sbarco a Brindisi, il 21 settembre del 19 a.C.
Prima di morire consegnò il manoscritto dell’Eneide agli amici Vario Rufo e Plozio Tucca perché lo
bruciassero, dal momento che l’opera sembrava ancora imperfetta.
Augusto si oppose alla distruzione dell’opera e incaricò Vario Rufo di curarne la pubblicazione. Vario
apportò al testo solo correzioni indispensabili, tanto da lasciare 58 versi incompleti (emistichi) e da non
porre mano alle pur numerose incongruenze che testimoniano lo stato di incompiutezza dell’opera.
Le bucoliche
Prima opera poetica di Virgilio e furono composte tra il 42 e il 39 a.C..
Si tratta di 10 ecloghe cioè poesie scelte in esametri (dal greco ekloghè —> scelta, selezione).
L’argomento era pastorale (ecco spiegato il significato di bucoliche che in greco vuol dire pastore).
Il motivo unificante di questi brevi componimenti (il più lungo è composto di 111 versi) è un mitico
paesaggio campestre, stilizzato secondo le convenzioni della poesia bucolica greca (fondatore poesia
bucolica greca: Teocrito).
Il mondo teocriteo
Virgilio fu il primo autore latino a scrivere i canti pastorali. Nell’ecloga VI afferma che ha preso spunto da
Teocrito.
La musa virgiliana simboleggiata da Thaila avrebbe dunque assunto il verso del siracusano Teocrito per
rivestire i propri contenuti di tipo pastorale.
Il rapporto con Teocrito è richiamato tramite citazioni, riferimenti intertestuali.
Il contenuto delle Bucoliche
I egloga: dialogo fra pastori Titiro e Melibèo —> il primo grazie ad un potente protettore può continuare a
vivere nelle sue terre mentre il secondo è costretto a lasciarle a causa degli espropri che stanno colpendo le
campagne
II egloga: il pastore Coridone canta il suo amore infelice per il bel giovinetto Alessi
III egloga: è una gara poetica in forma amebea cioè versi alternati a botta e risposta tra i pastori Menaica e
Dameta
IV egloga: celebrazione in forma poetica di un misterioso puer e dell’avvento di una nuova era cioè un
nuovo inizio felice per l’umanità e per l’intero universo
V egloga: i pastori Menaica e Mopso lamentano la morte del pastore/cantore Dafni e ne vantano l’apoteosi
VI egloga: il vecchio Sileno, catturato per gioco dai pastori Cromi e Mnasillo, canta l’origine delle cose e i
principi della natura secondo la dottrina epicurea
VII egloga: il pastore Melibeo racconta una gara svoltasi in forma amabea tra i pastori Tirsi e Coridone
VIII egloga: è divisa in due parti, la prima il pastore Damone si lamenta perché la fanciulla Nisa ha preferito
il rivale Mopso; nella seconda parte Alfesibeo impersona una donna che vuole ricondurre a sé, mediante
incantesimi, l’amato Dafni.
IX egloga: è un dialogo tra pastori Licida e Meri con riferimenti ad espropri di terre. In questa ecloga sono
inseriti versi appartenenti a poesia incompiute di Virgilio
X egloga: è un carme consolatorio, che Virgilio rivolge all’amico Cornelio Gallo, abbandonato dall’amata
Licoride.
Le peculiarità della poesia Virgiliana
Differente tra poeta greco Teocrito e poeta latino Virgilio:
Virgilio ha un timbro più lirico, malinconico e interiorizzato. Allude spesso a personaggi reali con riferimenti
alla sua vita privata e alle vicende del suo tempo. Inserisce all’interno del canto bucolico valori che
investono il senso della storia, della vita e della poesia. Il mondo pastorale è presentato da Virgilio come un
locus amoenus ossia un rifugio di pace, sereno e protetto da contrapporre al disordine del mondo esterno,
ancora dilaniato dalle guerre civili. Il canto bucolico quindi è visto come strumento rasserenante per
alleviare i dolori e le passioni nocive.
La poesia bucolica: Teocrito e Virgilio
TEOCRITO VIRGILIO
Vita: mancano riferimenti Vita: sono presenti riferimenti alla vita
autobiografici privata
Mondo bucolico: Mondo bucolico:
mancano riferimenti diretti e Sono presenti allusioni a
personaggi contemporanei personaggi contemporanei e
configura una alternativa al reali
mondo cittadino è una forma di È un locus amoenus cioè un
recupero del contatto con la rifugio di pace da contrapporre
natura al disordine del mondo esterno
Canto bucolico: ricco di guerre civili
Ha contenuti contingenti, Canto bucolico:
spesso collegati alla sfera Ha significati che investono il
amorosa, ma in genere di senso della storia, della vita e
impronta realistica della poesia
L’intonazione è serena e solare Propende al lirismo e alla
Funge da filtro per nobilitare i malinconia
soggetti e i contenuti del canto È sentito come strumento
rasserenante per alleviare
dolori e passioni nocive
Le georgiche
Il poema sull’agricoltura e la commissione di Mecenate
Le Georgiche furono composte fra il 37 e il 30 a.C. quando Virgilio era già entrato nella cerchia di Mecenate
e nella sfera di influenza politica di Ottaviano: lo stesso Virgilio riconosce che l’opera di sollecitata da inviti
piuttosto pressanti di Mecenate. Di Ottaviano in particolare egli celebra la figura di trionfatore e
pacificatore nel proemio del libro I e nell’epilogo del libro IV, mentre nel proemio del III, enuncia il progetto
di cantarne le imprese vittoriose contro i popoli orientali e l’Egitto.
…e la politica di Ottaviano
Le Georgiche risentono del clima che precedette la battaglia di Azio: lo scontro con Antonio era presentato
da Ottaviano anche come affermazione di un progetto politico volto a fare dell’Italia il fulcro dell’impero,
rivalutando e la cultura e le tradizioni e restaurando, dopo il disordine della tarda età repubblicana, i valori
tradizionali del lavoro, della devozione agli dei, della solerzia contadina, degli antichi e parchi costumi italici.
Il tutto in opposizione all’Oriente, il cui influssi era considerato una delle cause della crescente corruzione
dei costumi.
La macro-struttura del poema
Il poema, composto in esametri, appartiene al genere didascalico ed è diviso in 4 libri dedicata al lavoro dei
capi, all’arboricoltura, all’ allevamento del bestiame e all’apicoltura.
Ogni libro contiene un proemio e digressioni che ne rendono più variato l’argomento. Ricordiamo come
significati l’excursus posti nella parte conclusiva del libro: libro 1 parte finale dedicata alle guerre civili, libro
due l’arte finale elogio della vita campestre, libro tre parte finale dedicata alla peste degli animali del Norico
e libro quattro parte finale presenta le storie intrecciate di Aristeo e Orfeo.
Contenuto delle Georgiche
I libro:
Esposizione argomento dell’opera
Dedica a Mecenate
Invocazione agli dei della campagna ed elogio ad Ottaviano
Lavori agricoli ordinati secondo le stagioni
Nascita del lavoro del volere di Giove dopo la fine dell’età dell’oro
Scoperta varie arti
Insegnamenti della dea Cerere e la descrizione degli strumenti agricoli (aratro)
Come costruire un’aia
Come prevenire l’esito di un raccolto
Come avere buone sementi
Come osservare le stelle per averne indicazioni utili per i lavori campestri
Lavori ai campi a seconda delle stagioni, del calendario lunare, delle ore due giorno
L’inverno, la caccia, la previsione dei temporali
Presagi delle guerre civili, annunciati con l’oscurarsi del sole
Preghiere agli dei per Ottaviano e per salvezza del popolo romano
II libro:
Invocazione a Bacco
Esposizione della materia —> coltivazione degli alberi
Allocuzione a Mecenate
Gli innesti
Le varie specie di alberi e in particolare di viti
Diversità delle piante secondo i paesi
Elogio all’Italia
La natura dei terreni
La viticoltura con una digressione sulla primavera
La coltivazione degli olivi e degli alberi da frutto
Elogio alla vita campestre
III libro:
Invocazione alle divinità pastorali per innalzare un tempio in onore di Ottaviano sulle rive del
Mincio
Precetti per ottenere dalle pecore buona lana, buon latte e formaggio
Celebrazione gesta di Ottaviano
L’allevamento dei buoi e dei cavalli
Violenza del desiderio amoroso negli uomini e negli animali
Allevamento delle capre e delle pecore con una digressione sulla vita dei popoli nomadi dell’Africa
e degli Sciti
Sui cani da guardia e da caccia
I mezzi di difesa nei conformati dei rettili
Gli animali nocivi e le malattie pericolose per il bestiame
L’epidemia di peste bovina del Nòrico, regione tra Danubio e Alpi occidentali
IV libro:
Apostrofe a Mecenate
L’apicultura (la cura dell’alveare, combattimenti tra i re delle api)
I giardini e gli orti
Le abitazioni delle api, le api partecipano all’anima divina del mondo, la raccolta del miele, le
malattie delle api
La riproduzione degli sciami dei cadaveri di bestie in putrefazione, secondo quanto ha insegnato
Aristeo
La favola di Aristeo e il mito di Orfeo
Dopo Virgilio
La popolarità di Virgilio iniziò quando il poeta era ancora in vita e proseguì in modo durevole, come prova
anche l’elevato numero di imitatori: dai poeti della cosiddetta Appendix Vergiliana ai compositori di carmi
bucolici, agli autori di centoni.
Il nome di Appendix Vergiliana fu dato dall’umanista francese Giuseppe scaligero che nel 1573 creò una
raccolta di componimenti poetici tramandati come opere giovanili di Virgilio, in appendice alle opere
maggiori dell’autore. Si tratta in realtà di poesie e poemetti per lo più composti da imitatori di Virgilio,
vissuti in epoche diverse.
Tra i primi a riconoscere la grandezza di Virgilio vi fu il poeta elegiaco Properzio che annunciò con
entusiasmo intorno al 25 a.C. l’imminente nascita dell’Eneide.
La fortuna di Virgilio è del resto confermata anche dalla diffusione della sua opera nelle scuole.
OVIDIO
I temi di Ovidio
- L’ars amatoria
Ovidio rappresenta l’apice e insieme il superamento della poesia elegiaca latina: l’amore non è più
soltanto una esperienza individuale e totalizzante ma diviene una tecnica che nasce dalle
esperienze amorose vissute e conosciute da un praceptor amoris che può comunicarle e insegnarle
agli amanti inesperti.
- Il mito d’amore
Le Heroides (lettere di eroine) presentano sotto una luce originale le grandi storie d’amore del
mito, a cui i poeti si erano spesso rivolti alla ricerca di exempla: l’elegia stessa viene qui trasferita
nel mito, applicando comportamenti, emozioni, stati d’animo e perfino cliché elegiaci alle eroine
dei miti d’amore
- La metamorfosi
Le metamorfosi sono il capolavoro narrativo Ovidiano: il poema incarna il principio stesso della
trasformazione, che si manifesta nell’incessante successione di miti, germoglianti l’uno dall’altro
con una abile tecnica poetica, ma sempre evocati con fantasia eccezionale, grande potenza visiva e
tecnica cinematografica
- L’esilio
Ovidio finì i suoi giorni relegato a Tomi, per irrevocabile decisione di Augusto. Questo
provvedimento causò l’abbandono degli affetti più cari e l’allontanamento da Roma, ossia da quel
mondo di sfavillante mondanità che il poeta aveva saputo vivere e descrivere con lucida
partecipazione.
La vita e le opere
La formazione di un eques di Sulmona
La maggior parte di notizie di Publio Ovidio Nasone è ricavabile dalle sue opere e in particolare da una
elegia dei Tristia.
Nato a Sulmona nel 43 a.C. da una famiglia benestante del ceto equestre, Ovidio si trasferì a Roma dove
studiò retorica con Marco Aurelio Fusco e Marco Porcio Latrone per intraprendere una carriera forense e
politica. A completamento degli studi si recò in Grecia e al ritorno ricopri alcune modeste cariche, ma ben
presto preferì abbandonare l’attività politica per dedicarsi alla poesia.
La consacrazione poetica
Entrato nella cerchia di Massalla Corvino frequentò anche l’ambiente di Mecenate e strinse amicizia con
molti poeti del tempo, da Orazio a Properzio. Come poeta, Ovidio raggiunse rapidamente il successo con la
pubblicazione della prima edizione in 5 libri degli Amores, dopo il 20 a.C. e con la tragedia Medea. Verso l’1
d.C. fu allestita una seconda edizione degli Amores in 3 libri (che è quella che poi ci è pervenuta) per
rendere più agevole la lettura dell’opera.
…e la produzione erotico-didascalica
La successiva produzione erotica contribuì a consacrare Ovidio come uno die poeti più letto e acclamati: le
Heroides (elegie in forma epistolare) furono composte dal 20 o dal 15 a.C. in poi;
I 3 libri dell’Ars Amatoria in distici elegiaci furono pubblicato intorno al 1 a.C. e il 1 d.C. e nello stesso
periodo risolvano anche i Remedia amoris (breve trattato di 814 versi in distici elegiaci) sugli antidoti contro
le pene d’amore e i Medicamina Faciei femineae (operetta di 100 versi, in distici elegiaci) sui cosmetici delle
donne.
La fase impegnata e l’allontanamento da Roma
Concluso il ciclo della poesia erotica e brillante Ovidio intorno ai 40 anni diede inizio a una produzione più o
impegnata e in sintonia con le direttive della politica culturale augustea.
Nell’8 d.C. aveva appena terminato la composizione delle Metamorfosi poema epico in esametri diviso in
15 libri iniziato nel 2 d.C. e stava lavorando ai Fasti (illustrazione e celebrazione del calendario romano in
distici elegiaci) quando però fu colpito da un improvviso provvedimento preso da Augusto contro di lui: per
ragione non del tutto chiare fu relegato a Tomi (in Romania), sul Mar Nero. I Fasti, che prevedevano 12 libri
nel piano originario, rimasero incompiuti al sesto libro.
Gli anni del confino a Tomi
Ovidio non si rassegni all’esilio in quella terra, da lui descritta come Barbara e inospitale, ma non riuscì mai
ad ottenere la revoca della pena nonostante le suppliche rivolte all’imperatore. A Tomi scrisse le sue ultime
opere che registrano la sua desolata condizione e nostalgia di Roma: le Epistolae ex Ponto (elegie in forma
epistolare divise in 4 libri), i Tristia (elegia in 5 libri composte dall’8 al 12 d.C.) e l’ibis (un poemetto di
invettive in 642 versi in distici elegiaci).
Morì nel 17 d.C.
Le opere perdute e dubbie
Sono andate perdute diverse opere come la Medea, una tragedia destinata forse alla sola lettura, di cui
restano due versi; due poemetti di Augusto dei quali uno nella lingua dei Geti; i Phaenomena un poemetto
astronomico in esametri, di cui restano cinque versi.
Opere spurie, o di dubbia autenticità invece sono gli Halieutica un poemetto in esametri sui pesci del Mar
Nero. La consolatio ad Liviam per la morte di Druso e la Nux una elegia contenente il lamento di un albero
di noce.
La poesia impegnata
La metamorfosi, il grande poema delle trasformazioni
Poema in esametri dattilici di oltre 12.000 versi diviso in 15 libri, composto tra il 2 e l’8 d.C. L’idea iniziale
era di un poema unitario incentrato sul tema della metamorfosi cioè la trasformazione di personaggi mitici
o di uomini in piante, sassi, animali, fonti, astri ecc.
L’opera inizia con la nascita dell’universo dal caos primogenito e con l’origine dell’umanità per giungere con
gli ultimi due libri alla venuta di Enea nel Lazio e alle più antiche leggende romane fino al regno di Numa.
Nella parte finale è narrata la divinizzazione di Cesare ed è espresso l’auspicio che anche Augusto, dopo la
morte, venga assunto fra gli dei.
Si narrano inoltre le più famose leggende mitologiche greche e romane concluse con straordinarie
trasformazioni di esseri umani, animali e cose. Opera ricca di immagini varie e suggestive.
Si tratta di un poema epico-mitologico molto ampio. Infatti il principale generale delle metamorfosi è quello
epico, come mostra la scelta dell’esametro. Però Ovidio si distacca dal genere epico per trattare altri generi
come quello didascalico, ellenistico o anche l’elegia romana. I principali modelli ovidiani sono Omero,
Esiodo e soprattutto poeti ellenistici. In ambito latino Ovidio si misurò con poeti neoterica, che già avevano
trattato temi sulla metamorfosi, ma anche grandi modelli epici come Ennio, Lucrezio, Virgilio. Volle
soprattutto contrapporsi a Virgilio per contrapporre all’eneide un poema di diversa impostazione.
Le Metamorfosi appaiono prive di ogni fondamento ideologico forte o di un centro ideale anche se l’autore
si preoccupa di fornire al suo poema una giustificazione che vada oltre l’interesse eziologico- erudito,
proprio dei modelli alessandrini, e sia invece fondata su una visione filosofica unitaria.
Le Metamorfosi si presentano come una sfida in campo epico, al quale Ovidio voleva dare nuove vie
quando l’epica romana sembrava aver trovato un traguardo insuperabile con l’Eneide di Virgilio. Ovidio va
oltre: unisce raffinatezza dello stile ad una favolosa potenza narrativa, introducendo una serie quasi infinita
di immagini e motivi, un paese delle meraviglie nel quale il lettore è guidato ad immergersi completamente,
e dove tutto è possibile; un mondo illusionistico in cui la metamorfosi è la chiave dell’esistenza, dove
nessuna forma è certa e stabile, dove tutto, in un istante, può tramutarsi in altro. La vita stessa, alla fine,
tende a smarrire il confine tra realtà e finzione.
Qui Ovidio dà voce ai miti e alle storie più disparate, dalle remote origini del mondo fino alla Roma di
Augusto. Vicende amorose si alternano a scene cosmiche, catastrofi, passioni, esempi di amore coniugale e
storie di amori infelici.
Un effetto di vertigine trasporta il lettore in un mondo in cui Ovidio, comunque, non fa perdere di vista le
piccole cose quotidiane, che raffigura con grande realismo e con simpatia, senza mai dimenticare che il
protagonista assoluto è l’uomo, con le sue passioni, nobiltà e grandezze.
Messaggio delle Metamorfosi: tutto muta (mondo, uomini, ogni cosa), perennemente, e si trasforma in
altro. Ed ecco che subentrano le apparenze, le quali ci circondano e che sono simbolo di un destino incerto.
È il relativismo ovidiano. La metamorfosi sfuma i confini tra realtà e apparenza, tra concretezza delle cose e
mutevolezza di ombre e fantasmi. Prende così vita un mondo incerto, sfuggente, espressione di una
profonda crisi spirituale.
Le numerose leggende che compongono l’opera sono spesso collegate tra loro non in base alla successione
temporale, ma ad espedienti narrativi di derivazione ellenistica, come il racconto a cornice o a incastro, in
cui il personaggio di una vicenda ne narra a sua volta un’altra o una serie di altre, talvolta con il succedersi
di incastri a scatola cinese, cioè la narrazione di una storia effigiata su un quadro o un ricamo, la
digressione, il raggruppamento di miti per analogia o per antitesi. Si ha un continuo proliferare di storie è
un moltiplicarsi di punti di vista narrativi: il racconto cambia continuamente forma e sembra soprattutto
sottoposto alla legge universale della metamorfosi. Questo ovviamente produce l’effetto di un mondo non
soggetto al progredire lineare di tempo storico, ma di un mondo in cui passato presente e futuro
coesistono.
Ovidio quindi attinge con l’incontro del narratore che vede in essi anzitutto eventi mirabili e prodigiosi,
leggende avvolte dell’aura del meraviglioso è fantastico, cioè materia di favola e di racconto.
L’atteggiamento del poeta, ora ironico e distaccato, ora partecipe e commosso, sottolinea la distanza tra la
letteratura e la realtà, ma non manca di proiettare nella finzione del poema passioni e situazioni che
toccano intimamente la sua sensibilità.
Le opere di Tomi
Le tristi elegie del confino
La produzione dell’esilio:
- Tristia (raccolte di elegie, composte fra l’8 e il 12 d.C.); il libro comprende 11 elegie, che narrano la
dolorosa partenza di Ovidio da Roma e il lungo viaggio verso il Ponto Eusino, con la traversata
dell’Adriatico d dell’Egeo, agitati dalle tempeste invernali. Tema centrale dell’opera è la tristezza
dell’esilio. Si dà voce allo sconforto del poeta: il paese in cui è stato relegato si trova ai confini del
mondo civile; gli abitanti sono rozzi, semibarbari, non conoscono il latino ed è quindi impossibile
comunicare con loro; il territorio è minacciato continuamente da pericolose incursioni dei barbari e
gli inverni sono gelidi. Il poeta è tormentato dalla nostalgia di Roma, dal rimpianto di una vita dolce
e agiata di un tempo. Ovidio si sente come un morto e sottolinea spesso l’equivalenza esilio-morte.
I paesaggi che descrive sono squallidi, una sorta di terra infera abitata da ombre spente e
demoniache, una terra dai colori lividi. Ovidio però ripercorre i motivi che hanno determinato la sua
rovina, ringrazia gli amici che tentano di aiutarlo, recrimina chi gli è ostile e rivolge suppliche ad
Augusto perché revochi, o almeno mitighi, il provvedimento preso contro di lui. Nei Tristia domina
l’insistita ed evidente letterarietà: Ovidio ricorre a procedimenti espressivi. Ovidio inoltre lamenta
anche la perdita del suo pubblico, quel pubblico romano, vivo e presente, che tante volte lo aveva
acclamato. Ora il poeta non può che rivolgersi ad un destinatario incerto e indefinito.
- Expustulae ex Ponto (raccolta di elegie in forma epistolare, in quattro libri, in cui l’ultimo apparso
postumo); i temi sono sempre quelli dell’infelicità del poeta in terra di esilio, con la conseguente
richiesta di aiuto, rivolta ai destinatari in nome della propria nuova fede e dei principi di amicizia.
Molto spazio è dedicato alla celebrazione dei personaggi ed eventi della famiglia di Augusto: il tono
è palesemente adulatorio, o comunque rivolto a conquistare la benevolenza del principe, per
ottenere la revoca del provvedimento di confino, o una attenuazione della condanna. Con le opere
dell’esilio Ovidio torna alla forma elegiaca delle opere giovanili, ma ribaltandone lo spirito;
all’ispirazione sensuale, erotica sostituisce un’intonazione sconsolata.
- Ibis è un poemetto in distici elegiaci contro un detrattore: il poeta è intitolato Ibis dal nome di un
uccello considerato immondo, in quanto abituato a frugare con il becco tra i propri escrementi. Il
poemetto deriva da un omonimo componimento, a noi non pervenuto, che Callimaco aveva rivolto
contro un suo nemico. Nell’opera ovidiana il carattere aggressivo delle imprecazioni sembra
richiamare i modi più della poesia giambica, che di quella elegiaca.
Le opere dell’esilio rivelano una particolare compattezza di argomentazione. Ovidio canta la nostalgia di
Roma e degli affetti cari, l’abbandono in una terra speditamente, il rimpianto per la felice vita nella capitale.
Spesso il poeta allude ai motivi della condanna, implora la benevolenza di Augusto. Di spirito polemico, in
particolare, si anima nell’Ibis, che comprende una sequenza di invettive e maledizioni rivolte ad un
misterioso avversario del poeta.
Le novità di Ovidio:
egli è il primo poeta davvero “moderno” della letteratura latina. Affermava di essere soddisfatto di vivere
nel presente, e non nel passato celebrato dai poeti precedenti. La sua era una letteratura piacevole, adatta
a lettori meno selezionati rispetto al pubblico della poesia tradizionale, e quindi Ovidio si rivolgeva ad un
pubblico più largo, desideroso soprattutto di intrattenimento.
Lo stile:
- elegante e piacevole
- ricco di immaginazione
- espressione chiara ed efficace
- notevoli abilità tecniche nel costruire i versi (Ovidio è un grande narratore in versi)
TITO LIVIO
I temi di Livio
Ah urbe condita libri
I libri Liviani si presentavano come racconto della storia di Roma dalla sua fondazione sino all’epoca
contemporanea: alle origini dell’urbe sono dedicati in particolare i primi libri, che trattano i miti relativi ai
sette re e alla definizione delle principali istituzioni politiche, religiose e militari romane.
La res publica
Livio riserva particolare spazio agli eventi che segnarono la fine della monarchia, con la cacciata dei
Tarquini, e la nascita della res publica: un passaggio delicato e turbolento, oltre che diluito nel tempo e
caratterizzato da numerosi episodi di assestamento interno e di difesa da minacce esterne alla stabilità del
giovane stato moderno.
Il mos maiorum
Gli ideali e i principi che Livio celebra nelle azioni dei suoi eroi coincidono con i cardini del mos maiorum:
quell’insieme di attitudini e disposizioni comportamentali che si inserivano nel solco della tradizione
romana e rappresentavano i valori su cui Roma aveva costruito la sua grandezza.
La vita e le opere
Tito Livio nacque nel 59 a.C. a Padova e vi morì nel 17 d.C. da una famiglia abbiente.
Si trasferisce ancora giovane a Roma, dove entra in contatto con Augusto; forse assume l’incarico di
precettore del futuro imperatore Claudio.
Negli anni successivi alla battaglia di Azio (31 a.C.) inizia a comporre la sua opera storica, a cui si dedicherà
sino alla morte.
L’opera
Gli Annales o libri ab Urbe condita sono una storia di Roma dalla sua fondazione all’anno 9 a.C. ( o forse al 9
d.C.), in 142 libri. Dell’opera originario forse progettata in 150 libri, ne sono sopravvissuti solo 35: i libri I-X
dalle origini di Roma alla fine della terza guerra sannitica nel 293 a.C. e i libri XXI-XLV dall’inizio della scenda
guerra punica, nel 218 a.C., alla vittoria di Pidna, nel 168 a.C.
Il contenuto di quasi tutti i libri perduti è ricostruibile grazie alle Periochae cioè riassunti apprestati nelle
scuole di retorica tra il III e il IV secolo d.C.
Dal titolo stesso traspare l’impostazione dell’opera Liviana che abbandona la forma monografica adottata
per esempio da Sallustio, per risponditore l’impostazione annalistica, propria della traduzione romana. Tra
le fonti ci sono gli Annales Maximi e i testi degli annalisti più recenti come Anziate, Quadrigario, Macro, ma
anche gli Annales di Ennio o le Origines di Catone, come pure le storie del greco Polibio. Non pare che libro
abbia operato personali ricerche d’archivio, preferendo piuttosto selezionare il materiale fornito dai suoi
predecessori e talora incorrendo in contraddizioni. Livio mostra però una rigorosa imparzialità nel riferire in
caso di discordanza le diverse opinioni o tradizioni di un evento.
I temi
Per Livio la storia di Roma costituisce l’attuazione di una missione stabilita dal fato, che ha
individuato nel popolo romano l’agente di un progetto divino: austro progetto è stato realizzato
grazie alle virtutes di cui Roma si è fatta promotrice e anche grazie alla pietas che è sempre stata
dimostrata, soprattutto nei riguardi degli dei tradizionali romani. La storia di Roma è dunque la
storia dell’intero popolo romano, che si esplica però nell’esempio paradigmatico di grandi
personalità, portatrici di valori radicati nell’intera comunità.
Livio non manca di far trapelare anche una valutazione personale delle vicende storiche: sono
evidenti sia il giudizio positivo sulle epoche antiche sia il progressivo peggioramento della
valutazione delle epoche moderne e dell’epoca contemporanea, sconvolta dalle lotte e dalla
corruzione. Anche l’adesione al programma augusteo che pure mostra evidenti punti di contatto
con la celebrazione del passato propria dei libri, non sembra essere stata pacifica: augusti stesso
definiva scherzosamente lo storico con l’appellativo di Pompeianus.
Lo stile
Lo stile di Livio è drammatico e coinvolgente, incline al pathos secondo i canoni della storiografia tragica
greca e di epoca ellenistica. I fatti non sono esposti in forma asettica e impersonale, ma emergono nella
loro attuazione, come prodotto dell’azione di persone agenti e interagenti tra loro; i personaggi della storia
Liviana sono fortemente caratterizzati, nelle loro doti e nei loro difetti, nelle loro capacità e nelle loro
manie: uomini che, in tal modo, assurgono all’altezza di figure esemplari, paradigmi umani e
comportamentali additati come modelli da seguire o da respingere. Nel tracciare queste figure e nel
descrivere eventi anche coinvolgenti Livio evita, comunque, gli eccessi e riesce sempre a contenere la
narrazione, evitando di scadere nel manierismo.
Divergenze:
- Apprezzamento della - Conservazione soltanto
repubblica e delle formale delle istituzioni
istituzioni repubblicane repubblicane e reale
- Percezione della storia accentramento del
come decadimento che postere nelle mani del
non risparmia neppure il princeps
presente - Presentazione dell’epoca
augustea come una
nuova età dell’oro
Opera principale:
Le Historie (Historie ab Urbe condita) contavano in origine 142 libri, di cui ce ne rimangono solo 35.
Livio adotta il modello storico annalistico, raccontando anno per anno l’intera storia di Roma, a partire dal
mitico sbarco di Enea in Italia. Il racconto, sintetico all’inizio, si fa più analitico via via che si avvicina all’età
contemporanea. Si ipotizza che l’opera sia rimasta interrotta per la morte dell’autore.
Accertare la verità non è la prima preoccupazione di Livio. Il suo scopo è scrivere un racconto avvincente sul
piano letterario, dal quale il lettore possa ricavare insegnamenti morali e civili.
Conclusione:
Diversamente da Cesare e Sallustio, Livio è uno storico-letterato, dedito a tempo pieno alla sua funzione di
studioso e intellettuale. Si occupa solo di storiografia. È uno storico-scrittore che si rivolge al popolo per
insegnare qualcosa.
Lo stile è fluido, armonioso e non cade nell’eccesso di ricercatezza retorica
Livio sa adeguare il linguaggio alle varie circostanze, come sa adeguare il lessico che va dal quotidiano al
solenne.
SENECA
Seneca ebbe in comune con molti personaggi celebri dell’epoca l’origine spagnola. Era nato a Cordova, nella
Spagna Betica.
Processato per presunto adulterio commesso con la più giovane delle sorelle di Caligola, Seneca venne
condannato da Claudio all’esilio in Corsica, dove soggiornò in condizioni di grande disagio per ben 8 anni,
dal 41 al 49 a.C.
L’occupazione romana della Corsica aveva avuto inizio durante la prima guerra punica nel 259 a.C. ma era
stata sempre ostacolata da ribellioni e lotte per l’indipendenza. L’isola che Seneca si trovò di fronte era
dunque un luogo austero e ostile e spesso inaccessibile. Dalla Corsica, Seneca continua a studiare e a
scrivere e a far giungere nuove opere a Roma, in cui offre testimonianza di un animo logorato e infiacchito
dall’abbandono in una terra selvaggia. È in particolare nella Consolatio ad Helviam matrem che il filosofo
definisce l’isola in cui è relegato come la terra più inospitale per gli uomini. Ciò nonostante, il filosofo ceca
di neutralizzare la propria sofferenza è quella della madre di fronte all’esilio ricordando che nessun
isolamento può privare l’uomo dei beni più preziosi, quali la natura e la virtù personale.
La vita
4-1 a.C. figlio di Seneca il vecchio, nasce a Cordova da famiglia ricca e aristocratica
31 d.C. dopo un soggiorno in Egitto, inizia il cursus honorum a Roma
41 d.C. è relegato in Corsica su provvedimento di Claudio (istigato da Messalina)
49 d.C. è richiamato a Roma da Agrippina, che lo incarica dell’educazione del figlio, il futuro
imperatore Nerone
54 d.C. una volta che Nerone è divenuto imperatore, Seneca assume la guida dello stato, insieme
ad Agrippina e al prefetto del pretorio Afranio Burro
59 d.C. Nerone assume personalmente il governo dell’impero
62 d.C. dopo la morte di Afranio Burro, sena si ritira gradualmente a vita privata
65 d.C. condannato con l’accusa di aver partecipato alla congiura dei Pisone, si toglie la vita.
Intellettuale attivo nella vita politica, trovò la sua vera vocazione: quella di scopritore
dell’interiorità. Rimase sempre sostanzialmente indeciso tra otium e negotium (vita contemplativa
e vita attiva). Compiaciuto dalla quiete dell’otium, però, era sempre sensibile ai richiami della vita
mondana e del potere.
L’opera
L’ampio corpus degli scritti conservati di Seneca è tradizionalmente distinto in opere filosofiche e in opere,
più genericamente letterarie.
Dieci scritti filosofici furono riuniti, dopo la morte di Seneca, in dodici libri di Dialogi: ciascun trattatello è
compreso in un libro, tranne il De Ira, se si estende per tre libri. Le dieci opere sono completamente
indipendenti l’una dall’altra, e sono state composte in un periodo di circa venti anni. Ai Dialogi si
aggiungono tra le opere filosofiche il De Clementia, in tre libri, dedicato al giovane Nerone e le naturales
quaestiones ampio trattato di scienze naturali in sette libri frutto della tarda maturità.
Dell’autore restano anche delle tragedie di argomento greco, le sole conservate integre di tutto il teatro
latino. Di autenticità dubbia è l’Oetaeus: la tragedia è forse opera di un imitatore di Seneca come se,Bra
indicare l’eccessiva lunghezza e il faticoso procedere dello stile. L’Octavia non è una opera di Seneca che è
l’unica tragedia romana giunta fino a noi interamente conservata.
Di Seneca non conserviamo nessuna delle orazioni, con le quali ottenne inizialmente prestigio e successo.
Particolarmente grave è la perdita dell’opera di ampio respiro cui Seneca stesso afferma: I moralis
philosophiae libri.
Seneca è dunque autore di molte opere filosofiche he che trattano argomenti morali e fanno di lui uno tra i
più celebri e influenti moralisti del la letteratura latina europea. Nei Dialoghi e nelle altre opere filosofiche
si può dire che Seneca affronti la gran parte degli argomenti che sono al centro della filosofia moderna, ma
quella di Seneca è stata anche una grande lezione di stile letterario: la sua prosa, intensa ed efficace, si è
imposta essa stessa come modello di espressione morale e filosofica.
Le opere principali
Opere filosofiche:
Dialogorum libri XII: raccolta di dieci scritti filosofici in dodici libri (leggere sul libro i 12 libri).
Il gruppo dei Dialoghi (Dialogorum libri), composto di 10 opere, tra cui il De otio, in cui l’autore
spiega che il sapiente può giovare agli altri sia nella vita attiva, sia dedicandosi all’otium. Quindi
abbiamo la scelta per la vita contemplativa e ritirandosi a vita privata il saggio potrà dare il suo
contributo alla causa politica più vera e più alta, quella dell’umanità intera.
De Clementia: trattato filosofico in tre libri dedicato a Nerone (restano solo il libro I e l’inizio del
libro II). Seneca fornisce una giustificazione filosofica della monarchia, ma teorizza la necessità che
l’agire politico dell’imperatore sia improntato alla virtù.
La clemenza è la principale virtù di un buon monarca. Il tema dell’opera è la volontà di influire sulle
vicende dello stato attraverso la formazione di un principe saggio. Seneca lo scrisse per inculcare
nel giovane Nerone i modelli di giustizia e soprattutto della clemenza. Seneca in questo caso, si fa
consigliere del sovrano ed è una figura necessaria al princeps saggio, ovvero un princeps che nel
prendere importanti decisioni non dimentica mai le sue responsabilità. L’illusione, l’utopia, era che
formando un buon princeps si potesse risolvere i problemi dello stato. All’inizio sembrò funzionare:
Nerone governò, nei primi anni, con moderazione, docile ai suggerimenti di Seneca. Più avanti però,
purtroppo, divenne un tiranno.
De beneficiis: trattato filosofico in sette libri. Fornisce una casistica dettagliata del beneficio, inteso
come azione lodevole e utile dal punto di vista sociale e umano. Il De beneficiis, su come fare e
ricevere atti di benevolenza nella società. Donare pensando all’utilità pratica di tale gesto o ai
vantaggi che ciò produrrà, quindi non è un vero donare.
Epistualae morales ad Lucilium: 124 lettere filosofiche suddivise in venti libri e indirizzate a Lucilio,
amico di vecchia data. In esse i riferimenti alle esperienze quotidiane fungono da spunto
all’argomentazione filosofica, che affronta di volta in volta svariati argomenti e mostra una raffinata
capacità di scrutare le più profonde pieghe dell’animo umano.
Le Epistulae morales ad Lucilium (Lettere morali a Lucilio), raccolta di lettere filosofiche indirizzate
all’amico e discepolo Lucilio, per insegnargli ad avvicinarsi alla filosofia e alla virtù. È il capolavoro di
Seneca, scritto negli ultimi anni, quando l’autore abbandona l’impegno politico per dedicarsi
completamente alla scoperta di se stesso e all’interiorità. In queste lettere Seneca vuole favorire
nel destinatario l’abitudine alla riflessione filosofica, che si avvia dall’esame di sé, dall’esame di
coscienza. C’è una grandissima attenzione all’io (tratto modernissimo e impensabile per molti
contemporanei di Seneca). Le lettere delineano un percorso filosofico che gradualmente conduce
Lucilio all’autocoscienza e alla libertà interiore, intesa, alla maniera, stoica, come accettazione del
proprio destino. Seneca diventa una guida morale e ogni epistola costituisce un gradino verso la
sapientia.
Opere scientifiche:
Naturales questiones: trattato di scienze naturali in sette libri. L’opera rivela intenti divulgativi e
morali: secondo la dottrina stoica, infatti, la comprensione scientifica della natura e della realtà
costituiva un presupposto essenziale per comprendere regole e valori dell’agire umano. Tratta di
fenomeni atmosferici, celesti e terrestri, ma Seneca va oltre le cause fisiche dei fenomeni, per
orientarsi verso la loro causa ultima, ovvero quella ratio divina che muove il cosmo.
Le tragedie:
Tragedie: le nove cothurnatae attribuite a Seneca costituiscono le sole tragedie di argomento greco
interamente conservate di tutto il teatro latino. L’autore focalizza prevalentemente le componenti
psicologiche e morali dei personaggi, intesi forse come rappresentazione visiva dei vizi e delle virtù
indagati nella produzione filosofica.
Nove tragedie cothurnatae, tra cui ricordiamo Hercules furens, Medea, Phaedra, Oedipus, Agamennon…
(la decima, Octavia, non è attribuita all’autore).
Le tragedie di Seneca sono le uniche cothurnatae giunte a noi per intero di tutto il teatro latino. I soggetti
sono tutti ricavati dai miti greci e viene rappresentato lo scatenarsi delle passioni e i loro effetti deleteri
sulla psiche di uomini e déi. Seneca tende ad essenzializzare le vicende, anche attraverso la soppressione di
personaggi di contorno. Inoltre indaga soprattutto nei personaggi femminili (Medea, Fedra…).
I modelli a cui si ispira Seneca per la tragedia sono i drammi greci. I temi principali sono la rappresentazione
di un mondo dominato da passioni perverse, l’interesse le riflessioni sulla natura del posteremo in
particolare quello tirannico e l’attenzione prestata allo studio psicologico dei personaggi. Lo stile è
declamatorio e espressionistico.
Ancora ci si chiede se le tragedie siano state scritte per la lettura o la rappresentazione scenica. A favore
della lettura deporrebbero le scene di uccisioni, difficilmente rappresentabili in teatro. I lunghi monologhi
sembrano veri e propri “pezzi di bravura” destinati alla declamazione.
Caratteristica delle tragedie è il loro pessimismo. Situazioni atroci, sofferenze, perverso “gusto del male”
(cioè la decisione intenzionale di operare il male), sono caratteri di cui personaggi come Medea sembrano
essere preda.
Fortissima è la componente passionale. Odio, violenza, sangue e infelicità sono i padroni della scena.
Seneca rappresenta tutto il contrario della virtus e mette in luce, senza schermi, tutto il male di questo
mondo. Le vicende si svolgono nel palazzo del potere e i protagonisti sono sempre re, eroi e condottieri (il
popolo è perennemente assente): sono tutti vittime del furor regni dei tiranni.
Il male viene esplorato e viene data una diagnosi (ma non una terapia). L’insegnamento che ne consegue
appare in controluce: abbandonando la ratio, e quindi la virtus, ci si allontana dalla salvezza.
Divi Claudii Apokolokìntosis: è una satira menippea in prosa e versi. L’opera consiste in una
distorsione ironica dell’apoteosi dell’imperatore, con cui Seneca ridicolizza difetti e manie del
defunto Claudio e al tempo stesso sfogare il proprio risentimento verso chi lo aveva esiliato.
I temi
In ogni opera di Seneca tornano i temi più cari alla riflessione del filosofo: la consapevolezza del
senso della vita e delle modalità del suo trascorrere, il senso del tempo e la percezione della morte,
il valore della virtù e la sua applicabilità alle comuni situazioni di vita, la natura del vizio e
l’ineluttabilità dell’errore, la capacità del saggio di far fronte alle avversità della vita.
La riflessione Senecana abbraccia ogni aspetto della vita umana. Seneca si interroga su quanto
l’uomo debba sacrificare se stesso di fronte alla politica o ai compromessi richiesti delle circostanze,
su quale sia il limite accettabile a cui giungere nel libero sfogo delle proprie passioni, sul modo con
cui sia utile affrontare i casi e le situazioni imposte dalla sorte.
Lo stile
Lo stile è essenziale. Riesce a dire grandi cose con naturalezza e forma apparentemente umile. Troviamo
infatti molte frasi ad effetto. Il linguaggio è anticlassico perché Seneca rifiuta il modello del classicismo con i
suoi periodi eleganti e preferisce l’asianesimo: asimmetrico, emotivo, drammatico nel dire. Di tale stile
asiano o “barocco” Seneca fu uno dei massimi rappresentanti.
È pieno di elementi in conflitto. Lo stile è “drammatico”, nervoso. Si poggia sulla sententia, ovvero la misura
più breve della frase. È qui che si accumulano tensioni e contraddizioni. Seneca è l’autore più moderno
della letteratura latina.
Il progetto politico:
Seneca non guarda solo alla res publica ma, secondo un progetto utopistico, ad una civitas universale, che
comprende tutti gli uomini filosoficamente considerati.
Il sapiens senecano:
Seneca era prevalentemente stoico, ma non era greco. Era romano. Per cui era dotato di uno spirito
concreto. Dunque evita l’idea dell’antica dottrina stoica, secondo cui il sapiens è immune perfino dal dolore
fisico o psicologico (l’atarassia e l’aponìa greche, assenza di turbamento e di dolore). Per Seneca la vera
grandezza sta non nel disprezzare il dolore, ma nel dominarlo con la ragione. A tale scopo il sapiens deve
allenarsi all’autocontrollo e alla meditazione. Dovrà purificarsi man mano, tappa dopo tappa. Le tappe
dell’ascesi del sapiens sono tre:
1- trionfo sulle passioni; in particolare dolore e paura
2- conquista della consapevolezza di essere parte del logos, il cui progetto sul mondo e sugli uomini è
il nostro destino
3- accettazione di questo destino
Il fine ultimo, per Seneca, non è la sapienza, ma la libertà interiore che appartiene al saggio. Un libertas che
si raggiunge grazie alla sapienza.
LUCANO
La vita:
39 d.C. Nasce a Cordova; suo zio paterno è il filosofo Seneca
40 d.C. Si trasferisce a Roma, dove compie studi di retorica
60 d.C. In occasione dei Neronia recita delle Laudes Neronis
65 d.C. Partecipa alla congiura dei Pisone e, costretto a confessare, è obbligato al suicidio.
L’opera:
L’opera Lucanea di maggiore impegno è l’unica giunta fino a noi è un poema epico in esametri
dattilici, Bellum Civile o Pharsalia, composto tra il 59 e il 65 d.C. e rimasto incompiuto. Il poeta
descrive la girerà fa Cesare e Pompeo: si apre con la narrazione dell’attraversamento del Rubicone
(gennaio del 49 a.C.) e si chiude con l’uccisione di Pompeo, l’arrivo di Cesare in Egitto e l’incontro
con Cleopatra: è probabile che il progetto originario prevedesse un’estensione del poema sino a
dodici libri (come l’eneide) e come episodio finale il suicidio di catone uticense (46 a.C.) o
l’assassinio di Cesare (44 a.C.).
Il Bellum civile: poema noto anche con il titolo di “Pharsalia” (i fatti di Farsalo => località dove si combatté
lo scontro decisivo tra Cesare e Pompeo). I fatti narrati iniziano con il passaggio del Rubicone da parte di
Cesare e si interrompono con l’arrivo di Cesare in Egitto. L’opera è interrotta, a causa della morte
dell’autore (che ricevette l’ordine di suicidarsi come lo zio Seneca).
In quest’opera spicca una visione pessimistica. Se l’Eneide cantava il mito di Roma, il Bellum civile canta un
“antimito”: la prospettiva dell’inarrestabile crollo dell’Urbe, e del mondo con essa. Il vero tema del poema
è la morte della res publica e con essa della libertà. Si trattava della distruzione dello stato da parte di un
tiranno: Cesare.
Il conflitto tra Pompeo e Cesare si traduce nella lotta tra bene e male. Lucano si schiera dalla parte di
Pompeo e della repubblica e polemizza contro il regime imperiale.
Cesare viene trattato come una sorta di eroe del male, che trama per mandare l’Urbe in rovina.
Pompeo invece è un condottiero in declino, avviato verso la sconfitta, che però comprende che si può
morire per una giusta causa.
Lucano cambia le coordinate del poema epico, che non ha più lo scopo di celebrare le glorie nazionali, ma
diventa un atto di accusa contro la recente storia di Roma (la battaglia di Farsalo e la vittoria di Cesare sul
senato).
Non crede, come invece spicca nell’Eneide virgiliana, che l’impero di Augusto era voluto dal fato. Per
Lucano il potere imperiale si fonda sull’inganno e sulla violenza.
Il genere: lo stile
L’opera lucanea instaura un articolato e complesso sistema di rimandi all’Eneide. La ripresa di
motivi, distrazioni e persino espressioni del modello Virgiliano avviene per lo più in chiave
oppositiva e antifrastica. Come l’Eneide costituisce la celebrazione poetica del progetto e
dell’ideologia augustea e appare dominata dalla fiduciosa con visione di un disegno divino in corso
di attuazione, così la Pharsalia descrive il tracollo di questo progetto e mostra la vinificazione delle
speranze riposte nel principato: nell’episodio cruciale delle guerre civili Lucano non riconosce
l’origine di una nuova e provvidenziale forma di governo (il principato), capace di rinnovare il uomo
del senato, ma piuttosto il segnale della fine effettiva delle libertà repubblicane e l’avvio della
progressiva esautorazione dell’istituto senatorio.
Lucano concede anche largo spazio ai personaggi non allineati con l’ideologia dell’impero: il poeta,
in conformità alla sua condanna dell’avvento del principato, fa delle voci dei vinti (e soprattutto di
Catone) il simbolo stesso della sconfitta della giustizia e del trionfo della prevaricazione. Il
ribaltamento della prospettiva si verifica inoltre nella completa esautorazione sleale sfera divina. Gli
dei del poema lucaneo non fungono più, come in Virgilio, da figure attive nel racconto, ma sono
semplici nomi, svuotati di sostanza e funzione narrativa: nel mondo della Pharsalia dominano solo il
caso e la cieca fatalità.
Il poema di Lucano ha un taglio monografico e, nella scelta del tema storico, presuppone il ricorso a
precise fonti letterarie, come ad esempio Livio e Asinio Pollione. La condivisione dell’ideologia
senatoria e repubblicana è palese, infatti, all’interno della Pharsalia e influenzò inevitabilmente
l’apprezzamento di Nerone: nei primi tre libri, he devono essere stati composti in un clima di
accordo con l’imperatore, traspaiono le speranze di pacificazione e di condivisione del potere
nutrite da lucano come da tutti gli esponenti della classe senatoria, che vedevano in Nerone il
potenziale garante della scomparsa definitiva delle guerre civili. Il successivo e rapido esacerbarsi
dei rapporti tra senato e imperatore, tuttavia, determinò sia l’incupimento dei toni del poema sia
l’inevitabile condanna, da parte dell’imperatore, dei contenuto della Pharsalia e, soprattutto, del
suo autore.
Per veicolare questi contenuti, Lucano adotta un linguaggio molto senso e espressivo, ricorrendo
spesso a effe incaci sententiae e mostrando una particolare propensione per l’innovazione stilistica
a fini espressionistici.
PETRONIO
I temi di Petronio:
Eros: la presenza dell’eros appare soprattutto nelle avventure di Encolpio e Gitone, coppia di
amanti omosessuali infedeli, sono in prevalenza di stampo erotico. Encolpio è, non a caso,
perseguitato da Priapo, il Dio che controlla l’istinto e la forza sessuale maschile, oltre che la fertilità
della natura.
I liberti: uno dei bersagli satirici petroniani è il ceto dei liberti, di cui Trimalchione è un esponente
paradigmatico. Il desiderio di auto affermazione attraverso il denaro agisce potente in uomini come
lui: tuttavia, il parvenu non ha l’educazione necessaria per essere quel gentleman che sogna, e la
sua mirabolante cena ne mostra l’irrimediabile volgarità, che ricalca i gusti del suo ambiente di
origine.
Il banchetto: il banchetto di Trimalchione mette in scena le abitudini pacchiane e le chiacchiere
vacue della classe incolta dei liberti: è il cibo a dominare sulla parola e a farsi materia di spettacolo.
Piatti elaboratissimi concorrono all’ostentazione del lusso da parte del padrone di casa, che si
avvale dei propri schiavi per presentare scenograficamente le portate.
La morte: dalla figura del liberto, di Trimalchione e dall’intera vicenda emerge un senso di
precarietà e insicurezza, una visione della vita dominata da una fortuna imprevedibile, e oscurata
dal pensiero sempre incombente della morte.
La vita
Il Petronius Arbiter menzionato nei manoscritti del Satyricon e nelle citazioni antiche sembra
coincidere con il personaggio della corte di Nerone, descritto da Tacito negli Annales.
62/63 d.C. è nominato console dopo aver ricoperto la carica di proconsole in Bitinia
66 d.C. Accusati da Tigellino, cade in disgrazia presso Nerone e si suicida.
L’opera
Il Satyricon è la sola opera attribuita a Petronio. È una narrazione romanzesca composta di prosa e
di versi: il titolo va interpretato come un genitivo plurale greco, con sotto inteso libri, nel senso di
libri di storie satiriche. Il testo è pervenuto in forma assai incompleta: da alcune testimonianze è
possibile supporre che i brani in nostro possesso appartenessero ai libri XIV-XVII. I 141 capitoli
sopravvissuti consentono di ricostruire una vicenda articolata.
Capitoli 1-99: le vicende nella Graeca urbs. Encolpio incontra il retore Agamennone presso una
scuola di retorica e intavola con lui una discussione sulla decadenza dell’oratoria… capitoli 100-114
e capitoli 115-141… vedere trama pagina 229.
Quest’opera appare come una parodia del genere romanzo, fiorito nella Grecia ellenistica. Rispetto
al romanzo greco ci sono elementi di novità, scelti per conferire all’opera un carattere parodico:
- scelta di una coppia omosessuale
- mancanza di serietà e moralità dei personaggi
- assenza di castità nelle vicende narrate
I personaggi sembrano spesso ridere di se stessi, e appaiono privi di valori morali; tutti protesi verso il
soddisfacimento del piacere; le vicende presentano, per la maggiore, una forte connotazione erotica che
serve soprattutto a mettere in evidenza il carattere corrotto e privo di scrupoli del mondo rappresentato.
Le tematiche principali dell’opera sono tre:
1- sesso: tutti i personaggi ne sono ossessionati e vogliono continuamente soddisfarne il bisogno.
2- denaro: tutti lo cercano, pronti a procurarselo con ogni mezzo, avidi nel custodirlo. Il denaro
diventa un valore di riferimento per gli uomini, che vengono in base ad esso apprezzati o meno.
3- morte: l’unico dato certo con cui devono confrontarsi non solo i personaggi del romanzo, ma
l’intera umanità. In tutto il resto opera la mutevole fortuna, mentre la morte tocca tutti, prima o
poi, e il solo pensiero ossessiona, mette paura; altre volte la morte, invece, è desiderata o è oggetto
di una curiosità quasi morbosa.
L’atteggiamento di Petronio:
egli guarda il mondo che racconta con distacco e scetticismo. Ha un atteggiamento distaccato e quasi
superiore rispetto alle vicende narrate. Il suo distacco ha un fine: indicare ai suoi contemporanei quale
potrebbe essere la società romana del tempo se i valori e i comportamenti da lui narrati nel Satyricon
dovessero realizzarsi e attuarsi nella vita reale. Petronio, dunque, delinea un “mondo alla rovescia”, che è la
proiezione in negativo della società del suo tempo, quella che lui mai vorrebbe che fosse e che anche solo
ad ipotizzarla nel suo romanzo gli provoca un profondo scetticismo.
Il “realismo” di Petronio:
Petronio non è né un poeta comico né satirico, perché non ha l’intento di suscitare il riso a tutti i costi
(come fa il comico), ma non ha nemmeno l’intento satirico di bollare i costumi.
Egli crea situazioni e personaggi che inducono, dopo averne riso o sorriso, a riflettere su alcune costanti
proprie dell’uomo, tra le sue bassezze e le sue insoddisfazioni. Petronio proietta tutto nel mondo del
quotidiano, tra modeste locande e case di malaffare. Petronio pare, per certi versi, essere il precursore del
realismo moderno e contemporaneo.
PERSIO
I temi di Persio
La rusticitas: definendosi poeta semipaganus Persio rivendica per la sua satura la qualifica di
rusticitas, ossia quella schiettezza e grossolanità che manca ai poeti raffinati contemporanei, e che
consente di aggredire violentemente le coscienze, nell’intento di redimerle. Persio rifiuta dunque la
poesia dei vati che si dichiarano ispirati dalle Muse e si presenta come un poeta semplice, capace di
cantare solo temi legati alla realtà.
Il verum: in polemica con la poesia contemporanea, vuota di contenuti, Persio colloca la propria
produzione sotto il segno del verum: la sua poesia nasce dall’esigenza di rappresentare in modo
diretto e non artefatto la vita degli uomini. Il taglio realistico delle descrizioni e l’uso di un
linguaggio vicino a quello di tutti i giorni aprono brevi squarci sulla vita quotidiana: immagini su una
vita familiare, credenze popolari, rituali religiosi o superstiziosi.
Il vizio: emblematici sono i termini di cui Persio si serve per indicare la demistificazione della realtà
compiuta attraverso la scrittura: radere, defigere, revellere esprimono la chiara intenzione due
poeta di sferzare i costumi, bollare i vizi, levare la crosta delle ipocrisie ad una società corrotta. In
conformità con i principi del mos maiorum e della filologia stoica, la sua satira denuncia i vizi come
mali radicati negli individui e nella società.
L’esame di coscienza: una satira con toni aspri e aggressivi come quella di Persio non trova facile
destinatario: la difficoltà di rapportarsi con un interlocutore spinge il poeta a ripiegarsi su se stesso.
Gli ammonimenti di Persio finiscono così per prendere la forma di un esame di coscienza, di
esercizio utile soltanto al poeta e al suo percorso filosofico.
La vita
34 d.C. Aulico Persio Flacco nasce a Volterra, da famiglio di ceto equestre
46 d.C. Si trasferisce a Roma e compie studi grammatici presso Remmio Palemone
Frequenta gli ambienti stoici raccolti attorno alle figure di Seneca e Peto
62 d.C. Muore, colpito da una malattia di stomaco
L’opera
Della produzione di Persio è sopravvissuto soltanto il libro delle satire, edito postumo. Il libro
comprende sei testi in esametri dattilici, preceduti da uno componimento con funzione di prologo,
formato da 14 trimetri giambici scazonti ( o choliambi). Nei choliambi Persio denuncia la decadenza
della letteratura contemporanea, priva di contenuti e pretenziosamente alta.
La sua raccolta di Saturae (Satire) comprende sei testi:
- i falsi poeti suoi contemporanei
- i falsi devoti
- i giovani dissipati
- gli ambiziosi
- gli schiavi delle passioni
- gli avari
La prima satira tratta della decadenza della letteratura contemporanea. La seconda satira, che prende le
mosse dalla celebrazione del compleanno dell’amico Macrino, sviluppa una aspra critica della morale
utilitaristica così diffusa tra gli uomini. La terza satira rappresenta viva c’è mente la vita dissoluta di un
giovane ricco, che si abbandona i vizi respingendo tutti gli ammonimenti di un amico, in cui si riconosce la
voce dell’autore. Nella quarta satira è immaginato un dialogo tra Socrate e Acibiade, che viene esortato a
non cedere alle lusinghe di un successo dovuto a bellezza e ricchezza, ma a mirare piuttosto alla conoscenza
di se stesso. La quinta satira è rivolta all’amico Cornuto e costituisce un articolato elogio della libertà. La
sesta satira infine che si rivolge a Cesio Basso, imitatore dei Carmina, contiene una esaltazione dell’aurea
mediocritas intesa come capacità di adeguamento tra i desideri e le proprie possibilità.
L’intento morale è quindi di denunciare la decadenza dei valori e polemizzare contro i disonesti. Il tutto è
ricco di pensosità interiore e candida coscienza morale. Lo scopo è smascherare il vizio.
PLINIO IL VECCHIO
La vita
Nacque a Como nel 23/24 d.C. da una ricca famiglia di rango equestre; fu zio materno e padre
adottivo di Plinio il giovane, con il quale fu spesso confuso già nell’antichità e poi nel medioevo.
Educato a Roma, intraprese ben presto la carriera equestre, prestando servizio come cavaliere le
campagne militari al confine germanico in due lunghi periodi, tra il 46 e il 58 d.C.
Rientrato a Roma, dopo la morte di Claudio si astenne dalla vita pubblica, probabilmente perché
estraneo alle simpatie di Nerone, da lui più tardi definito nemico del genere umano. A questo
periodo risale il suo massimo impegno nell’avvocatura. Con vespasiano intraprese la carriera di
procuratore imperiale, che lo portò a mansioni di notevole rilievo: divenne consigliere particolare
dell’imperatore. Sotto il principato dello stesso vespasiano si dedicò alle due sue opere maggiori: la
storia romana A fine Aufidii Bassi e la Naturalis historia.
L’ultimo incarico ne decise anche il destino: prefetto della flotta imperiale distanza a Miseno in
campagna, si trovò ad affrontare l’emergenza della terribile eruzione del vulcano Vesuvio, che
seppellì Ercolano, Stabia, Pompei. Imbarcatosi immediatamente con quattro navi, morì a Stabia per
soffocamento nel 79 d.C.
Le opere perdute
La produzione letteraria di Plinio il vecchio fu abbondante e varia, scrisse di storia, di tecnica bellica, di
retorica, di grammatica, e soprattutto di scienze, a testimonianza dei suoi interessi e della sua infaticabile
attività di studioso, ma è andata quasi Interamente perduta.
Nei 31 libri ‘a fine aufidi bassi’ composti tra il 70 e il 77 d.C., erano narrate le vicende della storia romana a
partire dalla morte di Caligola, fino ai tempi dell’autore. L’opera dovette incontrare notevole favore presso
il pubblico contemporaneo, ma fu presto soppiantata dalla produzione storiografica di Tacito.
Mentre nei Libri a fine aufidi bassi sembra aver adottato la formula della successione annalistica, i 20 libri
dei Bella Germaniae sulle guerre tra romani e germani fino al tempo dell’autore, si inscrivono nel genere
della monografia storica: via avevano particolare risalto le imprese dello sfortunato Druso, fratello di
Tiberio il padre di Germanico. Tra le opere storiche può essere incluso il de vita Pomponio secundi in due
libri dedicata all’autorevole amico e protettore.
Risalgono vero similmente all’età nero in Jana, quando Plinio si ritirò dalla scena politica ed esercitò
l’avvocatura, le opere di interesse tecnico grammaticale. Ricordiamo il Dubius sermo, trattato in otto libri su
i più rilevanti casi di incertezze grammaticali e linguistiche. Lo studiosus Era invece un manuale in tre libri
sull’educazione dell’aspirante oratore, che però Quintiliano giudicava pedante: in un frammento dell’opera
noi pervenuto Plinio, con un caratteristico gusto per il dettaglio, insegna all’oratore come acconciarsi
capelli.
Le Naturalis Historia
Fu autore di diverse opere, non pervenuteci, su svariati argomenti. Ci è giunta la Naturalis historia. Si tratta
di una vasta enciclopedia scientifica in 37 libri, dedicata a Tito, figlio di Vespasiano (nella prefazione
dell’opera troviamo la dedica a Tito). Vuole essere una summa del sapere scientifico antico. La Naturalis
historia, che è l’unica opera pliniana giunta a noi, si presenta innanzitutto come un monumentale ricettario
del sapere scientifico antico, in cui l’autore, senza porsi grandi questioni stilistiche, vuole in particolare
organizzare e catalogare la propria sete di sapere, con un occhio di riguardo per l’applicazione pratica della
conoscenza. Spicca così l’attenzione di Plinio per una scienza che sia utile al soddisfacimento dei bisogni
dell’uomo, in particolare quelli di natura pratica o connessi alle attività economico-produttive. Se la filosofia
stoica ha postulato l’esistenza di un dio razionale sotteso alla Natura, Plinio è più interessato a indagare la
“legge” generale che regola il mondo attorno all’uomo, affinché quest’ultimo possa conoscerlo e
governarlo. Quest’indole pratica porta Plinio a rifiutare nella maggior parte dei casi le spiegazioni magiche e
soprannaturali degli eventi. L’organizzazione dello sterminato materiale della Naturalis historia segue un
criterio per materie e infine c’è una digressione sull’arte antica. Il principio espositivo va dal più importante
al meno importante: così, ad esempio, nella sezione dedicata agli animali la suddivisione per classi comincia
dall’uomo, mentre in quella dei metalli il primo è l’oro, il secondo l’argento e il terzo il bronzo. In accordo
con la concezione della scienza a Roma, rilevante è la piega o la declinazione pratica di ogni sapere e
nozione. Grazie alla Naturalis historia, spesso ridotta, compendiata e sintetizzata, Plinio il Vecchio rimase
un’auctoritas per tutto il Medioevo e almeno fino al Rinascimento.
Lo stile e la lingua
Plinio è stato definito il peggiore scrittore latino. L’autore stesso, del resto, si scusa con il lettore per il fatto
di trattare argomenti umili e di essere costretto, per motivi di accuratezza, a ricorrere a termini rustici,
oppure stranieri. Di fatto, la ricchezza della terminologia della sua opera risulta sterminata, sia per
l’adozione di parole greche o di origine orientale sia per il nuovo impiego di parole latine.
L’intento di Giovare il lettore giustifica un’opera così ampia da toccare ogni parte dello scibile e al tempo
stesso permette a Plinio di non spendere energie preziose nell’ abbellimento retorico della sua prosa.
Concentrando la propria attenzione e attività sulla pratica e sui fatti, più che sulle astrazioni fantastiche
concettuali, Plinio mantiene la propria immagine di uomo dedito al dovere, che sa accantonare la gloria
personale in vista del pubblico interesse, che in questo caso consiste nell’immediatezza e nella fruibilità
linguistica.
STAZIO
La vita
Publio Papinio Stazio nacque a Napoli tra il 40 e il 50 d.C. Ebbe come primo maestro il padre,
cittadino di ceto equestre, poeta di fama riconosciuta tanto in greco che latino, che tende una
scuola grammaticale della stessa Napoli e successivamente a Roma, dove il giovane Stazio lo seguì.
Dopo gli incoraggianti inizi, in giovanissima età, cominciò a ottenere notevoli successi di pubblico e
di critica, anche grazie al favore di Domiziano.
Nel corso degli anni compose una pantomima per il celebre attore Paride, favorito dell’imperatore.
Verosimilmente amareggiato dal non successo di una sua opera e sentendosi ormai vecchio Stazio
progetto di ritornare a Napoli dove morì nel 96 d.C., pochi mesi prima che Domiziano venisse ucciso
e quando aveva da poco iniziato a lavorare All’Achilleide.
Le silvae
Le Silvae sono una raccolta di 32 poesie in cinque libri, pubblicate dal 92 al 94 d.C. L’ultimo libro è
probabilmente postumo. Con questo titolo, Stazio doveva esprimere, non senza qualche civetteria, una
caratteristica identificante della sua raccolta poetica: L’aspetto di improvvisazione, di grezzo, l’idea cioè di
componimenti dettati dal calore dell’aspirazione, nell’imminenza di un’occasione specifica, ma che
richiederebbero ulteriori rifiniture. Anche il metro non è uniforme, sebbene prevalga, segnare la continuità
con la produzione epica, l’esametro dattilico. Sembra che il poeta vuole dimostrare di saper scrivere nella
medesima forma metrica dell’epos solenne. I destinatari dei carmi sono illustri appartenenti alla nuova Élite
colta dell’età di Domiziano.
(Trama vedere a pagina 312)
Si osserva una studiata disposizione di componimenti all’interno del singolo libro. Il criterio generale è
quello della variatio: il poeta induce nel lettore aspettative destinate talvolta a essere disattese, talvolta
inaspettatamente soddisfatte più avanti.
Le poesie, legate a una specifica occasione, rispondono a tipologie definite nell’ambito della retorica
contemporanea, per noi testimoniata soprattutto da tarde raccolte di trattatisti greci.
Lo stile e la lingua
Importante, per Stazio, fu la lezione di Ovidio, che soprattutto nelle metamorfosi aveva mostrato come
curare l’efficacia narrativa di ogni episodio: l’immediatezza del racconto è ottenuta con l’uso abbondante
del presente storico, o con la soppressione del verbo essere copulativo. Numerose le apostrofi finalizzate a
destare l’attenzione del lettore ascoltatore, mentre le sententiae caratteristica dell’epica Lucanea, sono
relativamente rare. Notevole risulta l’ampiezza lessicale, mentre il ricorso agli arcaismi risulta limitato.
VALERIO FLACCO
La vita
Sulla figura di Valerio Flacco possediamo pochissimi dati certi. La stessa scelta di una forma poetica
oggettiva, l’epos eroico, non ha permesso all’autore che rarissime allusioni alla propria persona. Inoltre se
si esclude Quintiliano e forse gli altri due epici di età Flavia, il poeta fu praticamente ignorato dai
contemporanei. La morte di Valerio Flacco è stimata intorno al 95 d.C. Nel Proemio della sua opera più
importante dedicata a Vespasiano cioè Argonautica, si ricava che Valerio dovesse ricoprire una rilevante
carica sacerdotale.
L’opera
L’unica opera di Valerio Flacco di cui si abbia notizia sono gli argonautica, poema in esametri, di argomento
epico mitico e diviso in otto libri. L’ottavo libro, incompleto, si ferma al verso 467: l’ipotesi
dell’incompiutezza permette di spiegare alcune incongruenze, che l’autore, in una fase finale della
revisione, avrebbe probabilmente eliminato, ma non si può escludere che il poema ci sia giunto incompleto
per un guasto nella tradizione manoscritta. In ogni caso, l’opera doveva fermarsi alla lunghezza di otto libri,
il doppio dei libri rispetto al modello greco di Apollonio Rodio.
Vedere trama opera a pagina 314
Valerio Flacco sceglie una tematica che permette una prospettiva particolarissima: quella di un’epoca
moderna e post Virgiliana, ma ambientata in un tempo remotissimo, preistorico. Ricordiamo che la
missione degli argonauti precede la stessa guerra di Troia. Argo, la prima nove, rappresenta nella
tradizione una tappa del processo di civilizzazione umana; in particolare l’impresa si presenta come una
anticipazione mitica delle grandi esplorazioni di Roma, in particolare quelle compiute dai grandi generali
dell’età Flavia.
L’autore ha scelto di confrontarsi sistematicamente con il poema in quattro libri di Apollonio Rodio, le
argonautiche, che a Roma era già stato tradotto e riadattato nell’opera di Varrone Atacino, poeta dell’età di
Cesare. Tuttavia si può desumere che Valerio Flacco non abbia tenuto molto conto del suo predecessore
romano, se non, eventualmente, per variarne le scelte di stile e di interpretazione narrativa.
Rispetto ad Apollonio, il poeta sceglie di raddoppiare il numero dei libri, da quattro a otto, mantenendo
però lo stesso numero totale di versi. In generale, nel rapportarsi con il modello greco, e li utilizza, nella
concretezza del racconto epico, diverse possibilità: dalla traduzione fedele, all’espansione o alla
soppressione. Spesso Valerio Flacco tende a sopprimere le digressioni e i dettagli eruditi, in particolar modo
etnografici, geografici ed eziologici del modello: il lungo catalogo degli eroi, che apriva l’opera di Apollonio,
segnalandone immediatamente al lettore il carattere dotto, è, ad esempio, spostato e notevolmente
alleggerito.
Rispetto ad Omero, Apollonio si era proposto una sorta di alleggerimento della tematica più propriamente
guerresco eroica cioè Iliadica: con le Argonautiche Apollonio puntava piuttosto all’elemento avventuroso
cioè odissiaco, con l’aggiunta di una componente che si potrebbe definire erotico romanzesca.
Se Valerio Flacco decide di rivalutare l’elemento Iliadico è anche perché ha di fronte l’Eneide, che aveva
saputo assommare in sé tanto l‘Iliade che l’odissea. Inoltre, rispetto ad Apollonio, Valerio Flacco presenta
un apparato divino di stampo virgiliano: gli dei sono una presenza continua e talvolta invadente nell’azione
e determinano direttamente le vicende e il destino dei personaggi.
Dall’insieme delle Argonautiche risulta chiaro che per Valerio Flacco la scelta del genere epico a un alto
significato morale. L’intento moralizzatore agisce soprattutto sui personaggi. Se il Giasone di Apollonio
rodio è un eroe incerto, inconcludente, nostalgico della patria lontana, Flacco fornisce al suo protagonista
una ben diversa legittimazione. L’innovazione per esempio del personaggio di Stiro che, ricalcando il
virgiliano Turno, aspira alla mano della principessa Medea e guida i combattenti locali contro lo straniero,
permette a Giasone (esemplato su Enea) di far risaltare le proprie virtù guerriere più di quanto facesse nel
poema di Apollonio. Anche rispetto all’amore questo Giasone è virgiliano, e, come per Enea nei confronti di
Didone, a prevalere il lui è l’aspetto di puro esecutore di una superiore volontà divina. Perfino l’azione di
Medea è perfettamente legittimata: Valerio Flacco insiste sul ruolo determinante giocato da Venere, che,
sotto le mentite spoglie di Circe, le ispira lo sfortunato amore per Giasone, mirando probabilmente ad
assimilare la propria eroina alla Didone Virgiliana.
Per riassumere:
Gli Argonautica (Argonautiche) , dedicati a Vespasiano, sono l’unica sua opera a noi giunta. Si tratta di un
poema epico che costituisce una “riscrittura” e ampliamento del poema “Argonautiche” di Apollonio Rodio
(una delle opere più celebri della letteratura greco-ellenistica). L’autore inserisce un paragone fra l’impresa
degli argonauti e la spedizione in Britannia compiuta da Vespasiano.
L’autore vuole riavvicinarsi al modello virgiliano, dopo che Lucano se ne era invece allontanato.
Il tema è mitologico e l’intervento degli dei nella storia umana è ben presente.
La lingua
Valerio Flacco si esprime in una lingua difficile. Su di una base Virgiliana, il poeta opera con iperbati, dizioni
straniate e talvolta vicini al concettismo, allo scopo di tener desta l’attenzione del lettore. I passaggi logici
sono soppressi, in una lingua sintetica che sfiora l’oscurità e talvolta richiama le espressioni più audaci dello
stile tacitiano.
SILIO ITALICO
La vita
Quel poco che sappiamo di Tiberio Cazio Asconio Silio Italico lo si ricava da una epistola di Plinio il giovane,
scritta alla morte, avvenuta a Napoli, del poeta ormai 75 enne. Dalla lettura di Plinio, si può dedurre che
Silio visse tra il 25 e il 29 o il 101 e 104 d.C. Da giovane fu avvocato. Efficiente e temuto delatore al servizio
di Nerone, fu console nel 68 d.C. Fu in rapporti di amicizia con Vitellio e dovette essere un uomo politico in
vista anche con la dinastia Flavia: Nel 77, sotto vespasiano, fu proconsole della provincia d’Asia. È probabile
che abbia dato inizio alla composizione del suo poema, i Punica, intorno all’80 d.C. ritirandosi negli ultimi
anni in Campania, conservò comunque un certo ruolo nella vita culturale romana. Quando scoprì di avere
un male incurabile, si lasciò morire di fame.
L’opera
Diversamente da Stazio e Valerio Flacco, Silio non si confronta con l’epica mitologica, ma trae il soggetto dal
suo poema dalla storia. L’argomento dei punica è infatti la seconda guerra contro Cartagine: il racconto
parte dal famoso giuramento al di Romano di Annibale e giunge fino alla vittoria di Scipione a Zama.
L’opera di Silio è il più lungo poema della letteratura latina: è composto da 17 libri, per un totale di 12.000
versi circa. Non è facile tuttavia, identificare una struttura ben definita del poema: la suddivisione libri non
corrisponde, in genere, a una precisa suddivisione in episodi. Si è anche supposto che il progetto dei punica
prevedesse 18 libri e che il poema ci sia giunto incompiuto a causa della morte del poeta.
Trama opera pagina 317
La prima guerra punica tra il 264 e il 241 a.C. era stata l’argomento del Bellum Poenicum di Nevio, l’antico
poema in versi saturni. Oltre però ad essere iscritto in un metro diverso, il poema Neviano doveva essere di
dimensioni ben più ridotte rispetto a quello di Silio. Le guerre contro Cartagine erano state cantate in
esametri anche da Ennio come uno spazio più ampio riservato proprio alla seconda guerra punica. Tuttavia
anche la narrazione annalistica di Ennio concedeva una estensione tutto sommato limitata a un episodio
della storia di Roma, tra i più importanti e drammatici. Silio, concentrando la sua attenzione su questo unico
argomento, amplia il racconto di Ennio con una narrazione distesa e più articolata, piena di digressioni
storiche e mitiche.
Uno degli aspetti più importanti della sua poesia è lo spiccato gusto per l’erudizione. Le battaglie mettono
in particolare risalto la propensione del poeta per l’antiquaria: esse sono sempre precedute da una
descrizione geografica dei luoghi, con particolari sulle popolazioni e sulle tradizioni locali e non senza
digressioni sui miti più antichi.
I punica intrecciano suggestioni dell’epica storica di lucano con quella leggendaria Di Virgilio, oltre che a
risentire della storiografia solenne di Livio. La fonte storica principale è lo stesso Livio, che aveva trattato la
seconda guerra punica. Si riscontrano, tuttavia, alcune divergenze dovute o all’utilizzo anche di altri fonti
storiche o alla libera invenzione poetica del poeta oppure all’influsso di Ennio.
Per quanto riguarda, il rapporto con la tradizione poetica, il poeta mostra di conoscere bene oltre a Virgilio,
anche Omero. In genere privilegia la rielaborazione e fusione di motivi attinti da più modelli.
L’osservanza dei dettami dell’epica omerica è segnalata dalla presenza attiva delle divinità, tanto più
accettabile credibile per i lettori dell’epoca, quanto più i fatti narrati risalgono a tempi remoti. In particolare
Giunone è la tradizionale protettrice di Cartagine e i suoi interventi mirano alle persecuzioni dei discendenti
di Enea. Giovedì invece, la smessa l’imparzialità che gli attribuisce Virgilio nell’Eneide, è schierato con
Venere dalla parte dei romani. Non mancano, in ogni caso, accanto alle divinità dell’Olimpo e agli dei italici,
le personificazioni tanto care a lucano e all’epica tradizionale.
Il conflitto punico che il poeta afferma nel Proemio, metteva di fronte due città il lotta per il dominio
universale con Annibale, per la prima volta dal tempo dell’invasione gallica Un nemico minacciava
direttamente a Roma. Nei punica la lotta tra Roma e Cartagine si trasferisce sul piano etico e diventa
contrapposizione tra categorie morali come Fides e perfidia. Proprio l’inosservanza della fides da parte dei
cartaginesi è considerata la causa scatenante della seconda guerra punica. Evidente è tendenza del poeta a
un recupero dell’etica tradizionale, che ben doveva accordarsi con il progetto di restaurazione morale caro
a vespasiano.
Per riassumere:
I Punica (Puniche): unica opera a noi giunta. Poema epico-storico che tratta della seconda guerra punica.
Procede anno per anno.
Manca la figura dell’eroe singolo, perché l’autore vuole elevare l’intero popolo romano a protagonista
dell’eroica vittoria su Cartagine.
Importanti sono gli elementi sovrannaturali: frequentissimo è l’intervento degli dei, anche troppo
frequente, rischiando spesso di svalutare il significato delle azioni umane.
Il risultato è, complessivamente, artisticamente modesto.
Lo stile
I versi del poeta ripropongono spesso espressioni e sintagmi virgiliani, talvolta intere clausole. Non
mancano le riprese di lessicali anche da altri poeti, come Ovidio e Catullo, nonché effetti di stilistici
espressionistici alla maniera di Lucano e Seneca tragico. Il linguaggio è molto ricercato, ma privo di
espressioni difficili o di immagine audaci: costante è la ricerca di chiarezza.
QUINTILIANO
I temi di Quintiliano
Il buon maestro: Quintiliano pone al centro di tutto il processo educativo la figura dell’insegnante.
Per formare un oratore perfetto occorre un maestro dotato di profonda cultura, umanità e
rettitudine morale, capace di capire i ragazzi e di stimolarli all’amore per lo studio. Il buon maestro
è sempre misurato nelle reazioni, e consapevole di non dover solo impartire nozioni, ma anche
educare nel senso più completo del termine.
L’oratore ideale: nell’istitutio oratoria Quintiliano fornisce un ritratto dell’oratore ideale, ricco di
umanità e di sicura integrità morale, secondo la definizione catoniana del retore come vir bonus
cioè non solo un professionista ma anche un cittadino legato alle radici morali e culturali di Roma è
mossa da un senso del dovere nei confronti dello stato.
La scuola: lo studio deve contribuire allo sviluppo armonico della persona, integrata nell’ambiente
sociale: per questo motivo Quintiliano prende una decisa posizione a favore della scuola e
sconsiglia il ricorso a un precettore privato. Secondo l’autore, infatti, la socialità stimola
l’intelligenza e la dinamica del lavoro di classe facilita l’apprendimento attraverso il dialogo, il
confronto, la gara con i compagni.
La corrupta eloquentia: Quintiliano addita le cause della corrupta eloquentia alla generale
degradazione dei costumi, ma soprattutto alle carenze formative dei giovani oratori e all’uso
perverso degli esercizi di declamazione da parte dell’insegnanti: solo una scuola rinnovata può
permettere la rinascita di una oratoria sana, nella quale la tecnica retorica finalizzata all’attività
pubblica sia espressione anche di una superiore moralità.
La vita
35- 40 d.C. Marco Fabio Quintiliano nasce a calagurris nella Spagna terragonese
Si trasferisce a Roma, dove segue le lezioni del grammatico Palemone
68- 88 d.C. insegna retorica e ottiene da vespasiano una cattedra di eloquenza con lo stipendio
statale
Domiziano gli affidò l’educazione dei suoi due nipoti e gli assegna gli ornamenta consularia
Muore nel 96 d.C.
L’opera
De causis corruptae eloquentiae: un trattato in prosa andato perduto risalente all’88 d.C. circa, di
cui è possibile intuire le linee contenutistiche dall’istitutio oratoria. Diversamente dal tacitiamo
Dialogus de oratoribus, Quintiliano riteneva che la decadenza dell’oratoria dipendesse soprattutto
dal decadimento delle scuole, a cui solo una riforma dell’istruzione avrebbe potuto porre un freno.
Istitutio oratoria: pubblicata nel 96 d.C., è un’opera didattica finalizzata alla formazione dell’oratore
in particolare nei brani uno e due. Gli argomenti sono distribuiti in 12 libri: l’istruzione elementare
nel libro uno, i fondamenti dell’insegnamento retorico e i metodi didattici nel libro due, le fasi
dell’attività dell’oratore: l’inventio nel libro tre e così via. Inoltre abbiamo le figure di pensiero e di
parola nel libro nove, gli autori greci e latini di cui è consigliata la lettura nel libro dieci, la moralità e
la professionalità dell’oratore e i suoi rapporti con il princeps nel libro dodici.
Institutiones oratoriae (la formazione dell’oratore) è dedicato a Marcello Vittorio (oratore e
cavaliere), allo scopo di istruirne il figlio Geta.
Opera in 12 libri in cui l’autore tratta il tema pedagogico dell’educazione in famiglia e dell’istruzione
elementare presso il grammatico, poi dell’istruzione secondaria presso il rhetor e poi si occupa di
questioni tecniche, tra cui i vari tipi di oratoria e le diverse parti del discorso. Poi offre una
panoramica critica sugli scrittori greci e latini da leggere e imitare e tratteggia il tipo ideale
dell’oratore. Questo testo contribuì in seguito alla rinascita della pedagogia, quando venne
ritrovato da Bracciolini nel Monastero di San Gallo nel ‘400 e fu fatto circolare.
Il “progetto politico” delle istitutio oratoriae: formare una classe dirigente di buona preparazione
culturale e capaci di amministrare lo stato (ciò di cui l’impero aveva necessità). Aspirazione
dell’epoca era infatti formare un ceto di buoni amministratori e funzionari responsabili, come
anche restituire prestigio ai grandi modelli culturali del passato (Cicerone in primo luogo) e
adattarsi alle circostanze (“servire temporibus”).
Compito delle Institutiones oratorie: “fare” un oratore, seguendolo fin dall’infanzia tappa dopo
tappa. Dunque, per quanto sia importante l’eloquenza, Quintiliano spiega che sono molto
importanti anche le altre discipline, come la musica, la matematica e la ginnastica perfino. Questo
per ottenere una formazione globale, completa, dell’individuo (quella formazione che già Cicerone
desiderava per il suo orator).
Occorreva creare l’uomo, prima che l’oratore. Si doveva alimentare la virtus, la morale, che era
importante tanto quanto il sapere e la formazione culturale. Si rispolvera in questo senso la famosa
frase “vir bonus, dicendi peritus” che era stata precedentemente ripresa da Cicerone per il suo
orator.
Non è pervenuta nessuna delle orazioni forensi scritte da Quintiliano. Sotto il suo nome sono
pervenute due raccolte di Declamationes: le 19 declamationes maiores sono sicuramente spurie,
mentre è possibile che le 145 minores appartengano effettivamente in qualche misura alla
produzione dell’autore o della sua scuola.
I temi
Sebbene i fondamenti precettistica dell’Istitutio denuncino una chiara derivazione delle manuali
tecniche greche, l’autore rileva una spiccata predilezione per il modello retorico presentato nelle
opere di Cicerone. Lo stile di Cicerone incarna il perfetto compromesso fra le soluzioni estreme
dell’atticismo e quelle dell’Asianesimo, E costituisce una valida alternativa lo stile frammentato
della prosa di Seneca, condannata dall’autore stesso in modo risoluto.
Diversamente da Cicerone, però, l’autore ritiene meno fondamentale la formazione filosofica
dell’oratore, che anzi dovrebbe concentrarsi soprattutto sulla propria cultura letteraria. Per
questo motivo, oltre all’esercizio pratico, riduca azione dell’oratore richiede anche l’ausilio di
validi i maestri e di efficaci esempi. Il perfetto oratore in tal modo finisce per coincidere con la
figura di un uomo integro dal punto di vista etico e morale ma non necessariamente partecipa alla
vita politica. Questa figura di oratore, dunque, può giovare allo stato solo nell’esercizio della sua
attività quindi l’avvocatura o la declamazione, ma senza intralciare, e in ciò il disegno di
Quintiliano mostra una piena aderenza la situazione politica dell’epoca, la sola ed efficacia attività
politica che quella del princeps.
Cicerone e Quintiliano
Tuttavia la figura di oratore che esce dall’opera di Quintiliano è diversa da quella delineata da Cicerone.
Come mai? Perché era allineata alle esigente di un mutato contesto sociale e politico. Ora non c’è spazio
per l’oratore che si pone troppe domande sul senso delle cose e degli avvenimenti, perché una tale
sensibilità lo renderebbe scomodo al potere. Quintiliano accetta il principato e lo vede come unica
possibilità attuabile. Non vede alternative possibili al principato. Il suo è realismo politico.
L’oratore che forma è ideologicamente non problematico, ben diverso dall’uomo politico ciceroniano.
L’oratore di Quintiliano ha buone maniere culturali ma è privo di una visione veramente critica e proprio
per questo potrà essere più gradito al potere.
L’educazione del fanciulli e del ragazzo è molto importante per Quintiliano, ecco perché egli analizza la
psicologia infantile ed adolescenziale. Inoltre sottolinea l’importanza del coinvolgimento della famiglia
perché sa che da casa un allievo porta molto a scuola. Poi spiega che il maestro deve evitare le percosse;
anzi, deve essere come un padre affettuoso per i suoi allievi, meritandosi la loro stima e fiducia senza
ricorrere alle punizioni corporali. Perciò il maestro va scelto con cura!
Quintiliano propone una rassegna con giudizi critici di autori latini e greci da imitare, suddivisi per generi.
Egli è convinto che l’imitazione sia fondamentale in ogni tipo di apprendimento. Bisogna però affidarsi a più
modelli e non ad uno soltanto.
La crisi dell’eloquenza: per Quintiliano dipende dallo scadimento della scuola. Egli non crede che il degrado
sia inarrestabile.
PLINIO IL GIOVANE
La vita
Gaio Plinio Cecilio Secondo è detto il giovane: lo si distingue così dallo zio il grande naturalista Plinio il
vecchio, fratello di sua madre. Plinio nacque a Como tra il 61 e 62 d.C., e morì intorno al 113 e 114 d.C.
Rimasto orfano dal padre all’età di otto o nove anni, fu inizialmente accolto sotto la tutela di Virginio Rufo.
In seguito fu adottato dallo zio materno e di cui ereditò il sostanzioso patrimonio.
L’educazione di Plinio si svolse in provincia sotto la guida dello zio. Successivamente si trasferì a Roma dove
ebbe maestri quali Quintiliano e Sacerdote espandendosi all’Asianesimo. Dalla formazione Quintilianea,
Plinio trasse la tendenza a Cicerone, ma l’influenza di Sacerdote gli trasmise la propensione verso il
sublime.
Plinio intraprese una brillante carriera forense, che gli apri la strada di quella politica: dall’81 d.C. divento
giudice in processi riguardanti la condizione di uomo libero, tribuno militare in Siria e questore, tribuno
della plebe, pretore, infine una sorta di Ministro del tesoro. Si sposò tre volte e la terza moglie pare nutrisse
una particolare interesse per l’attività letteraria del marito, tanto da imparare a memoria tutti gli scritti e
metterne in musica e versi.
Le agiate condizioni economiche gli consentirono di donare una biblioteca la sua città natale, Como, è un
tempio odierno città di castello, dove possedeva una delle sue vile. Sappiamo inoltre che offri una rendita di
30.000 sesterzi ad una fondazione, istituita dall’imperatore Nerva, a favore dei ragazzi poveri ma di nascita
libera.
L’opera
L’epistolario di Plinio conserva non solo molti dettagli relativi alla vita ma anche testimonianze relativa la
produzione letteraria dell’autore: perduti sono diversi epigrammi, brevi poesie d’occasione, molti orazioni,
alle quali Plinio pensava di affidare la propria fama di scrittore.
Tra le orazioni pronunciate in tribunale ricordiamo quelle in difesa di Giulio basso, accusato di concussione,
e contro il governatore Marco Prisco, accusato di malversazione dai provinciali da fica. Plinio te neanche
discorsi in Senato e in pubbliche adunanze.
Istituì inoltre Recitationes delle sue orazioni pronunciate in foro e difese questa nuova pratica contro quanti
ritenevano che esse si addicessero solo alla storia e alla poesia.
Il Panegirino: E la sola ora azione di Plinio a essere sopravvissuta, sebbene contenga
rimaneggiamenti posteriori alla prima recitazione ed effettuati dall’autore in vista della
pubblicazione. Il titolo stesso non è probabilmente è quello originale. Fu pronunciato da Plinio
nell’atto di assumere il consolato per rendere grazie l’imperatore, al quale di solito spettava
un’indicazione sulla nomina dei magistrati, che era di competenza del Senato: Si tratta quindi di un
discorso e encomiastico che esprime la riconoscente gratitudine nei confronti dell’imperatore e per
gli imperatori a venire, paradigma di saggezza di onestà e di moderazione.
la lode dell’imperatore Traiano si associa intenti più marcatamente biografici alla volta di
individuare un vero e proprio modello comportamentale, che si basi sulla accordo fra imperatore,
Senato, ceto equestre , dal quale provenivano soprattutto i componenti la burocrazia
dell’amministrazione. Loro azione rivela quindi lo scopo, non secondario rispetto all’elogio, di
guidare E educare il principe nel rispetto dell’istituzione del Senato e soprattutto di indicare un
esempio valido anche per i successivi imperatori.
Le epistole: l’epistolario di Plinio si compone di 10 libri, i primi nove furono scritti fra il 96 il 109 d.C.
e pubblicati in momenti differenti dall’autore, mentre il 10º libro che raccoglie tutta la
corrispondenza ufficiale fra Plinio e l’imperatore Traiano fu pubblicato postumo. L’ordinamento
delle lettere non è cronologico ma risponde a esigenze di varietà e di piacevolezza di lettura: la
forma e i toni della prosa pliniana rivelano in effetti una destinazione editoriale. A differenza
dell’epistolario di Cicerone le lettere di Plinio furono pensato in vista della pubblicazione. Rispetto
alla raccolta ciceroniana, inoltre, una lettera pliniana non tratta ogni possibile argomento di
interesse in base alle circostanze e alle concrete esigenze del momento, ma tocca un tema
particolare, ispirato da riferimento al destinatario ed da una problematica specifica. il destinatario
reale dell’epistolario di Plinio non è l’amico o il familiare cui è indirizzata la lettera, ma il pubblico di
lettori colti.
Quindi l’epistolario di Plinio costituisce un documento eccezionale per la conoscenza di molti fatti e
personaggi di età Flavia e di età traianea. Molte volte ci trasmette il ritratto di un uomo onesto ma
superficiale, smanioso di saltare le sue attività pubbliche, i suoi beni i suoi successi elettorali. Non di
rado gli aneddoti narrati costituiscono una fonte importante per la conoscenza e la vita pubblica la
città di Roma, dal governo di Domiziano a quello di Traiano, e ci informano anche su tanti uomini
politici, oratori, poeti di cui altrimenti non avremo notizie alcuna. Non mancano i resoconti di
avvenimenti importanti come eruzione del Vesuvio nel 79 d.C. descritta in due epistole a tacito.
Anche il carteggio con Traiano testimonia spesso questioni di ampie rilevante portata: in tal senso è
esemplare la corrispondenza fra l’imperatore il suo funzionario Plinio, allora governatore della
Bitinia, in merito al comportamento da assumere nei confronti del cristianesimo, nuova e dilagante
religione. In mancanza di una legislazione in materia di fronte alla continua denunce, Plinio chiede
a Traiano se si devono punire i cristiani semplicemente per la loro professione di fede oppure se sia
necessario intervenire solo qualora specifiche colpe risultino connesse con il loro credo religioso.
La risposta di Traiano dimostra la preoccupazione dell’imperatore di intervenire il meno possibile
delle questioni di ordine pubblico delle province, al fine di evitare di assumere una posizione decisa
in materia religiosa e liberarsi da ogni responsabilità di fronte al popolo.
Di particolare interesse sono le lettere di argomento letterario, che forniscono preziose indicazioni
sulle teorie retoriche stilistiche dell’autore e che descrivono un quadro piuttosto realistico delle
polemiche culturali in corso a quell’epoca. Plinio in una di queste epistole raccomando lo studio
della storia, delle poesie, anche dell’epistolografia perché generi utili all’oratore.
Lo stile e la lingua
Con Plinio l’epistola per te spontaneità e il tono di conversazione che possiamo osservare in Cicerone si
trasforma in una continua ricerca di eleganza formale. Plinio sostiene che l’oratore deve essere elevato e
Sabrina, prorompente, deve lasciarsi trascinare dalla passione: l’eloquenza e tanto più piacevole quanto più
azzarda. Le cose mirabili sono quelli inaspettate rischiose. Questa teoria trova la sua applicazione pratica in
tutta la sua opera, mediante largo impiego di metafore ardite, il ricorso alle Sententiae, L’abuso di mezzi
retorici. Plinio va oltre le concessioni di Quintiliano.
TACITO
I temi
I barbari: nell’integrità morale nella fierezza bellicosa e la forza fisica dei barbari tacito riconosce il
pericolo maggiore per un impero pervaso da lusso, servilismo e corruzione. Pur provando le guerre
di conquista, l’autore demistifica L’opera di civilizzazione promossa dall’imperialismo romano:
imporre la civiltà i barbari significa infatti trasmettere loro vizi da cui sono immuni.
Il declino dell’oratoria: la questione della Corrupta eloquentia È affrontata da tacito all’interno del
Dialogus de oratoribus —> qui la decadenza dell’oratoria è interpretata come una conseguenza
necessaria della pacificazione politica attuata dal principato. In un’epoca in cui sei nato il popolo
sono pronti a conformarsi con il parere di uno solo, e in cui è venuto meno il ruolo dei grandi
processi politici, non c’è più spazio per una grande eloquenza.
Il principe il Senato: nella visione di tacito il principato, ormai indispensabile per la stabilità dello
Stato, deve accompagnarsi a buone relazioni tra imperatore e Senato: di qui il sostegno al
principato dell’adozione, che consente ai senatori la scelta del migliore e di collaborare in maniera
costante al governo imperiale, laddove il dispotismo brutale e sanguinario di Nerone o di
Domiziano aveva ridotto il Senato a un organo privo di dignità, pronto a qualunque atto di
servilismo e di adulazione.
Le morti degli uomini illustri: L’opera storica di tacito comprende una grande galleria di exitus
illustrium virorum: L’autore non condivide la scelta di quanti si opposero a regime imperiale
affrontando deliberatamente la morte, ma sa ammirare il coraggio, l’indipendenza di giudizio e la
dignità di personaggi come Seneca: loro suicidio rappresenta un suo primo gesto di libertà.
La vita
55 d.C. circa Publio Cornelio tacito nasce forse nella Gallia Narbonese da una importante famiglia di
rango equestre
77 d.C. sposa la figlia di Giulio agricola
88 d.C. e non minato pretore ed entra nel collegio dei Quindecimviri sacrai faciundis
97 d.C. prende parte al Consilium principis in cui è decisa l’adozione di Traiano da parte di Nerva
112 113 d.C. rivestono importante incarico di proconsole nella provincia dell’Asia
120 d.C. circa muore
L’opera
Il de vita et moribus Iulii Agricolae o semplicemente Agricola nel 98 d.C. , e la biografia storica del
defunto agricola. L’opera, oltre ad offrire una accurata descrizione della sua campagna militare in
Britannia, celebra agricola come valente funzionario capace di espletare il proprio dovere nei
confronti dello Stato e di sottrarsi all’intrighi della corte di Domiziano.
Il de origine et situ Germanorum o semplicemente Germania, del 98 d.C., contiene descrizioni
geografiche ed etnografiche della regione germanica è un catalogo delle popolazioni che li si erano
insediate. L’opera rileva intenti politici e insieme etici: tacito insiste sulle connotazioni morali dei
barbari e sulla primigenia genuinità delle loro virtù, che stimolano un confronto con i valori di
romani delle origini e con i disvalori dominanti nella Roma contemporanea.
Nel dialogus de oratoribus, nel 100 d.C., Si discute dello stato dell’oratoria contemporanea e
soprattutto del ruolo delle funzioni degli oratori nella società imperiale. Tacito fornisce una lettura
politica dei fenomeni discussi e pur condividendo il modello di Cicerone, non manca di accettare e
apprezzare il principato nelle sue funzioni stabilizzanti e pacificatorie.
Le hostoriae, composte fra il 100 e il 110 d.C. E divise in 14 libri, narravano gli eventi della morte di
Nerone nel 68 d.C. e alla morte di Domiziano del 96 d.C.: sono sopravvissuti i libri. Dopo la morte di
Nerone, la crisi politica e militare dell’anno 69 d.C. aveva inaugurato una nuova epoca, a cui la
classe senatoria non sapeva far fronte. Ne era derivata l’affermazione dei Flavi. Allo stesso modo, la
crisi prodotta dalla morte di Domiziano avrebbe potuto degenerare in una Nuova tirannide se fossi
ancora prevalsa una linea politica miope e reazionaria e in seguito non fosse stata accolta
l’adozione di Traiano da parte di Nerva.
Gli Annales composti nel 113 d.C., sono divisi in 16 libri e narrano gli eventi dalla morte di Augusto
14 d.C. sino alla morte di Nerone. Protagonisti della narrazione sono i principi della dinastia Giulio
Claudia, di cui tacito fornisce dettagliata analisi psicologica. Nella generale depravazione umane
morale emergono so le figure dei grandi generali dell’impero estranei alla corte e capace di
perpetuare le virtù tradizionali di Roma.
I temi
La storia di Tacito si definisce come ricerca delle cause degli eventi in scandaglio delle motivazioni
che determinarono gli atti umani: tacito si ripromette di fornire una visione obiettiva dei periodi
trattati, evitando le parzialità degli storici precedenti. Tale giudizio presuppone un sostanziale
apprezzamento delle stabilità della propria epoca e, in particolare, della funzione pacificatore del
principato di Traiano: il potere assoluto di una sola persona si configura, infatti, come condizione
necessaria la salvaguardia dello stato romano e come unico strumento in grado di ovviare al
pericolo delle guerre civili.
Vi è, da parte di tacito, la lucida consapevolezza della fine dell’esperienza di pubblicare una, che si
esplica nell’individuazione di un nuovo sistema di valori politici: la probità dell’uomo può ancora
manifestarsi nel servizio lo Stato e abbandonare gli stati di tentativi di difesa a oltranza di un ideale
politico ( quello repubblicano) ormai privo di qualsiasi attuabilità.
Lo stile:
“drammatico”, “teatrale”, tendente al “barocco”. Fa ricorso, talvolta, all’ “orrido”.
Scrittore molto abile.
GIOVENALE
I temi
La clientela: Giovenale individua nella degradazione dell’istituto del patronato uno degli effetti più
gravi della corruzione dell’epoca. Intollerabili sono le ristrettezze in cui versa un povero e onesto
cliens come il poeta, che accetta ogni umiliazione in cambio anche di un semplice invito a cena
L’indignatio: Giovenale si dichiara incurante della qualità formale dei suoi versi, che pretendono si
essere lo sfogo diretto e immediato di un irrefrenabile moto di indignazione. Per scrivere satira non
occorrono ne arte né doti naturali di ispirazione: a dettare i versi è la stessa indignatio, che ha come
bersaglio una società intrisa di vizi estremi e irrimediabili.
L’idealizzazione del passato: la progressiva degradazione morale della Roma nel tempo induce
Giovenale a guardare con rimpianto al passato mitico dell’età dell’oro e a quello più concreto
mondo del mondo rurale italico: qui il poeta vede confinati sani valori della società arcaiche
contadina, quali al parsimonia, la fides e l’onestà morale.
L’immoralità delle donne: nella sua satira più lunga Giovenale denuncia l’impudicizia, la
prepotenza, la superbia, la litigiosità, la crudeltà delle donne romane. Al loro stile di vita di assoluta
libertà da regole e principi etici viene contrapposto quello delle spose e delle madri di una volta,
custodi del focolaio domestico, fedeli, pudiche e incorruttibili.
L’ostilità verso gli stranieri: giovenale individua la causa della decadenza culturale sociale del suo
tempo nel denaro nella flusso di stranieri. Per il poeta, essi rappresentano il diverso, che ha alterato
senza rimedio il tessuto sano della società romana.
La vita
50 e 60 d.C.: Decimo Giunio Giovenale nasce ad Aquino, nel Lazio meridionale
90 d. C. circa a Roma diviene amico di Marziale e pratica la professione di avvocato con scarso
successo.
96 d.C. dopo la Morte di Domiziano si dedica alla poesia satirica
Poco dopo il 127 d.C. muore
L’opera
Di Giovenale sono pervenute 16 satire in esametri, di varia estensione, suddivise in cinque libri
secondo una distribuzione forse risalente all’autore. L’ultima satira è incompleta della satira sesta
sono stati scoperti nel 1899 in un codice di Oxford, due nuovi spezzoni per un totale di 36 diversi
che si intende generalmente a considerare autentici.
Il genere
Nella satira I giovenale individua nel genere satirico il solo strumento letterario in grado di ovviare
alla ripetitività e la vacuità della letteratura contemporanea, ormai capace di replicarsi soltanto in
forme enfatiche e vuote
Giovenale rivela una elevata coscienza del valore letterario e morale della propria poesia satirica,
sia nel richiama precisi modelli come Lucilio e Orazio sia della consapevolezza della dimensione
sociale della critica a essa sottesa. La critica del poeta si volge al presente e addita il passato
repubblicano come un modello a cui tendere, ricorrendo di frequente all’inserimento di exempla
che attestano la formazione retorico declamatoria dell’autore, per supportare e chiarire il discorso.
I temi
Se la prima produzione satirica di Giovenale si caratterizza per l’aggressività dei toni e per il forte
senso di indignazione manifestato dal poeta alla descrizione dei vizi umani, le opere appartenenti
al secondo periodo mostrano un limitato ricorso a te mi volgare o scabrosi e una più serena
contemplazione di difetti che contraddistinguono la natura degli uomini
Nel secondo Giovenale si accentua il carattere educativo e morale che, pur tipico del genere
satirico, nelle prime esatti e risulta oscurato dal tono indignato aggressivo. Il poeta condanna
all’esasperazione tiranniche dei passati imperatori e difende un modello di onesto cittadino,
capace di fornire il proprio contributo, anche modesto, allo Stato. Un simile ideale si sconta
inevitabilmente con la realtà degradata di Roma, che agli occhi del poeta appare una città
multietnica e moralmente corrotta, dove ben poco spazio rimane per comportamenti improntati
all’onestà e giustizia.
Riassumendo:
Il sentimento che guida Giovenale è l’indignazione: il poeta condanna la società contemporanea.
Giovenale prende di mira le donne emancipate dei nuovi tempi, gli arricchiti, e non prova affatto
comprensione per loro, come non si fa illusioni: non si può cambiare gli uomini. Il suo compito di poeta,
però, è urlare la sua disapprovazione per un mondo che capovolge i valori, che premia chi non lo merita ed
emargina i buoni.
Stile:
Stile grottesco. Intreccia la lingua tra parole elevate e termini plebei, mischia immagini elevate con altre
basse e addirittura oscene.
SVETONIO
La vita
Gaio Svetonio Tranquillo nacque intorno al 70 d.C., il minuti sono in luogo di nascita e la data della morte.
Fu un importante funzionario di corte sotto Traiano e Adriano: dal primo fu preposto alle biblioteche
pubbliche, mentre con Adriano ebbe un incarico presso la cancelleria imperiale, come ha detto all’archivio e
alla corrispondenza del principe. Qualche notizia sulla vita e sulla carriera di Svetonio si ricava
dall’epistolario di Plinio il giovane che ne fu il protettore. In particolare in una lettera Traiano, Plinio
raccomanda Svetonio all’imperatore.
Alla morte di Plinio Svetonio si legò a Setticio Claro, figura di spicco della corte di Traiano, che di Plinio fu un
grande amico.
L’opera
Di Svetonio sono andati perduti numerosi scritti di varia natura e interesse.
Ricordiamo:
De viris illustribus: L’attività filologica di Svetonio fanno comunque luce su un aspetto fondamentale
nella sua produzione biografica. Nel mondo greco, in Italia e mistica, le biografie erano
generalmente raccolte ordinate in base alla categoria di appartenenza dei personaggi: così avevano
fatto, nel mondo romano, Varrone e Cornelio Nepote in omaggio a quella tradizione, e così fece
Svetonio in questa opera. Questa opera è una raccolta di biografie organizzati in cinque sezioni
secondo la tipologia dei soggetti considerati: poeti, oratori, storici, filosofi, grammatici e retori.
L’ultima sezione è la sola essere sopravvissuta quasi interamente: essa si compone di denti brevi
biografie di filologi e grammatici greci e latini, cui seguono cinque e delle 16 originarie biografie di
retori. Il libro riveste un ruolo di fondamentale importanza per le informazioni che fornisce non solo
sulle singole personalità ma anche sugli studi grammaticali sulla scuola Roma a partire dall’età
repubblicana.
Il de vita caesarum: questa opera è l’opera principale di Svetonio divisa in otto libri, di cui il primo è
mutilo, no reale vite di 12 imperatori da Giulio Cesare a Domiziano. Perduta è la dedica a Setticio
Claro, testimoniata da uno storico greco del VI secolo.
AMMIANO MARCELLINO
La vita
L’autore è l’ultimo grande storico di Roma. La sua opera non è una mera compilazione, ma possiede un
impianto di più vasto respiro ed è pervasa da un preciso ideale di storiografia che tenga la veridicità del
racconto e all’imparzialità del giudizio. Di origini greche, Marcellino nacque intorno al 325 il 330 in Siria. Fu
militare in Mesopotamia in Gallia. Nel 357 combattè contro i persiani e poi fu di nuovo in Mesopotamia,
questa volta a seguito di Giuliano l’apostata, alla cui morte fece ritorno in Siria. Dopo altri viaggi nel 378 si
stabilì a Roma dove morì intorno al 400.
L’opera
L’opera di Ammiano, da titolo Rerum Gestarum Libri, narrava la storia di Roma da Nerva a Valentiniano I e
Valente. Ci rimangono soltanto i libri dal 14º al 31º, con gli avvenimenti che vanno dal 353 altre 178: da ciò
risulta evidente come il maggior numero di libri sia dedicato agli avvenimenti contemporanei dell’autore.
Ma soprattutto è significativo il fatto che il racconto dell’autore abbia inizio la dove termina quello di tacito:
quest’ultimo non è semplicemente un modello di storiografia e di stile.
Ricollegarsi al più grande storico romano significa rifiutare sia un certo tipo di biografie smonto allora
molto diffuso, che indugia nel gusto per l’aneddoto, per la superficialità e la scarna schematicità del genere
dei compendi tratti da Livio.
Gli avvenimenti centrali sono quelli relativi a Giuliano l’apostata, dal 355 fino alla sua morte nel 363. Ma
Giuliano è la figura centrale di tutte le Res Gestae non soltanto per il numero di libri, ben 11, che sono
dedicati alle sue azioni militari di governo ma soprattutto perché l’autore in più luoghi mostra chiaramente
di condividere la sua politica restauratrice degli antichi valori etico religiosi. Questa opera fu composta
Roma: la scelta del latino, per uno scrittore di lingua greca si spiega con la volontà di far circolare l’opera
proprio tra quelli uomini di cultura vicini alla politica di Giuliano e profondamente intrisi dell’ideale di
rinascita pagana. In quest’opera vi sono pagine elogiative nei confronti di esponenti di quella di nascita.
L’impianto narrativo è di tipo annalistico, ma ampio spazio è dato alle notizie biografiche relativa
all’imperatore, nel rispetto di una tradizione della storiografia moralistica ti sto a spiegare attraverso il
carattere i motivi delle azioni politiche e militari.
Non mancano le digressioni erudite soprattutto descrizioni etno geografiche che indugiano spesso secondo
il gusto dell’epoca sui mirabilia Dei paesi più lontani e leggendari. Oltre a far ricorso alla diretta esperienza
di viaggi, l’autore rielaborò tradizioni orali e fonti classiche. La concezione della storia di Marcellino e il
desiderio di preservare le antiche situazione romane coincidono con la visione pessimistica e drammatica di
tacito. Marcellino non risparmia neanche personaggi politicamente più vicini asse. Concorda con gli ideali
dell’imperatore ma se ne discosta su alcune questioni particolari. Spesso indugia sulle immagini di
degenerazione E lusso a cui si abbandona aristocrazia romana. In certi casi, per esempio, si rivela con
chiarezza il giudizio fortemente critico di Marcellino verso la luna contemporanea, di cui fornisce una
rappresentazione ampia e comprendente tutte le classi sociali indistintamente associate del clima di
generale decadenza morale e culturale. Nel contempo Marcellino scorge anche una minaccia estera: I
barbari che premono le frontiere, e che devono essere respinti prima che possono essere causa di rovine
distruzione per l’impero. Questa visione della storia si traduce in potenti immagini, attraverso gli
appassionati di iscrizioni di una realtà violenta, spesso tendenti alla rappresentazione del grottesco
dell’orrido.
Il paganesimo di Marcellino è di tipo neoplatonico: si intravede nella sua opera la presenza di una somma
divinità Regolatrice delle vicende umane. Com’è il naturale della sua epoca, in ambienti culturali di matrice
neoplatonica, a questo genere di religiosità non sono estranei componenti logiche o comunque legate alla
credenza astrologiche. Nell’atteggiamento dello storico pagavano nei confronti del cristianesimo si possono
ravvisare sia un’ampia tolleranza sia uno ironico distacco verso le continue controversie dottrinali, talvolta
gravata dall’intervento imperiale, che ne laceravano la Compattezza culturale sociale. Marcellino inoltre
analizza gli effetti luminosi che in assenza di un’adeguata politica di gestione anche lo Stato avrebbe avuto
da tali divisioni all’interno della comunità dei cristiani.
Lo stile e la lingua
La narrazione delle Res Gestae contiene pochi discorsi diretti di imperatore condottieri non che è un
numero esiguo di documenti epistolari citati: in questi casi tuttavia l’autore ha l’ accortezza di avvertire
lettore che non si tratta di veri documenti vari discorsi fittizi secondo un omaggio alla tradizione
storiografica. Il vigore della narrazione e nelle descrizioni rende lo stile oratorio di Marcellino
particolarmente congeniale le pubbliche letture.
GEROLAMO
La vita
nasce in Dalmazia intorno al 347 d.C. Tra il 370 e il 373 d.C. è a capo di una piccola comunità ascetica ad
Aquileia, prima di ritirarsi nel deserto di Cialcide. Nel 379 d.C. è ordinato sacerdote ad Antiochia. Giunto a
Roma in occasione di un sinodo, viene scelto da Papa Damaso come segretario. Lo stesso Papa gli affida il
compito di realizzare una nuova traduzione latina della Bibbia. Nel 386 d.C. si stabilisce definitivamente a
Betlemme. Muore nel 420 d.C.
L’opera
La sua versione latino della Bibbia, la cosiddetta vulgata, è frutto di anni di studio e di un meticoloso
lavoro filologico, basato anche sul confronto con la versione ebraica dell’antico testamento.
Tra le opere di erudizione vi è il componimento Chronicon, una libera traduzione dell’omonima
opera storica di Eusebio di Cesarea. Nella sua rielaborazione, Girolamo estende la trattazione di
Eusebio fino al 378 d.C.
Altra opera è il De viris illustribus raccolta di biografie di 135 autori cristiani da Pietro allo stesso
Girolamo.
Girolamo è autore anche di un ricco epistolario, 154 lettere e di alcune opere di genere agiografico.
Nel suo epistolario troviamo:
- un ritratto del mondo ecclesiale del tempo
- i segni degli improvvisi cambiamenti d’umore e del cattivo carattere
Egli studia con grande passione gli autori del passato, convinto dell’importanza della cultura classica della
formazione umana. Nelle sue opere la tradizione classica si concilia con la fede e con i temi cristiani, tra
questi il rigore ascetico, l’allontanamento dei beni ed ai piaceri del mondo e la ricerca interiore di una più
intensa spiritualità.
L’amore per la cultura pagana porta Girolamo a cimentarsi molti generi letterari propri della tradizione
classica, come quello biografico. L’autore contribuisce a far rivivere in epoca cristiana anche il genere
dell’epistolografia, con grande varietà di temi.
Riassumendo:
Girolamo visse come una contraddizione interiore l’amore per i classici e la fede in Cristo. In una delle sue
lettere racconta di una visione che dà voce al suo senso di colpa e motiva la scelta di abbandonare la tanto
amata letteratura pagana. La sua è una scelta radicale ma alla fine confesserà di non essere riuscito a
mantenerne fede, incapace di abbandonare completamente la lettura di Cicerone e Virgilio.
Nella lettera racconta questo: per la Fede aveva tagliato via tutto dalla sua vita ed era andato a militare a
Gerusalemme, rinunciando a tutto per Cristo. Però non era riuscito a staccarsi dalle sue amate letture
pagane, come Cicerone. E se si metteva a leggere i libri dei Profeti, invece, gli veniva la nausea per il loro
stile. Poi, a metà Quaresima, lo assalì una terribile febbre. Rischiava di morire. Ad un tratto si ritrova davanti
al tribunale del Giudice divino, immerso da una potente luce. Gli viene chiesto chi sia e lui risponde “un
cristiano!”. Allora il Giudice, sul trono, esclama “bugiardo! Sei ciceroniano, tu, non cristiano!”, e ordina che
venga menato a vergate. Girolamo sente il forte senso di colpa e implora pietà. Il tribunale decide che gli
sarà data un’ulteriore punizione se lui tornerà ancora sulle scritture pagane. Gerolamo comincia a giurare
che mai più leggera gli scrittori pagani, così viene rimesso in libertà sulla Terra e si ritrova ad aprire gli occhi
inzuppati di lacrime. È sicuro che non sia stato un sogno: a lungo ha portato i lividi e le ferite delle percosse
sulle spalle. Da quel giorno dice di essersi messo a leggere le Sacre Scritture con un ardore che mai aveva
impiegato nelle letture pagane.
Lo stile
Lo stile é dotato di un raro calore umano. Il suo latino è puro e limpido. Girolamo ha anche grande
padronanza dei mezzi retorici.
Gli echi dei poeti classici, soprattutto Virgilio, Seneca e Cicerone, ritornano con frequenza. Le sue descrizioni
sono efficacissime e conoscono registri assai diversi.
AGOSTINO
I temi
Le due città: idea centrale del pensiero di Agostino e che gli uomini di ogni epoca, società e cultura
appartengono a due diverse città, quella terrena e quella di Dio. Della prima fa parte che impone
ogni egoistica speranza nella vita terrena, mentre della seconda che aspira unicamente obbedire
alla volontà di Dio. Città dell’uomo e città di Dio sono due modi di essere, che coesistono e si
contrappongono all’interno di ogni società, Stato e famiglia.
L’uomo come pellegrino: la vita umana è rappresentata da Agostino come un itinerario da
percorrere per arrivare a Dio. Questi rappresenta l’unica meta che l’individuo deve prefiggersi. Agli
occhi di Agostino, gli uomini appaiono come dei peregrini, degli stranieri nei luoghi che, anche con
grandi difficoltà, e si attraversano per giungere alla loro vera patria.
Il tempo: il tempo per Agostino è la dimensione tipica dell’uomo dopo la caduta nel peccato. È
quindi successione, mutevolezza e dolorosa percezione del cambiamento. Solo Dio, immutabile, è
fuori dal tempo che egli ha creato. È essenza atemporale e felicità assoluta. Per Agostino il tempo è
dunque misurato esclusivamente dalla coscienza umana che lo vide, lo anticipa e lo rievoca.
La memoria: Agostino rappresenta la memoria comunque grande palazzo, dove sono raccolti tesori
costituiti da innumerevoli immagini di cose, provenienti dalla percezione dei sensi e poi elaborate
trasformati dal pensiero. Egli riconosce alla memoria lo straordinario potere di far rivivere gustare
tutto ciò che si è vissuto, e vedi in essa il luogo in cui è possibile trovare Dio.
La vita
354 d.C. Agostino nasce in Numidia
374 d.C. apri una scuola di grammatica dopo aver compiuto gli studi a Cartagine
383 d.C. parto alla volta di Roma e poi di Milano, dove ottiene la cattedra di retorica e ha modo di
assistere alle prediche del vescovo Ambrogio
386 d.C. si converte al cristianesimo
387 d.C. viene battezzato dal vescovo Ambrogio e in seguito si trasferisce a Ippona dove diventa
prete e poi vescovo
430 d.C. muore a Ippona
L’opera
Agostino fu autore di 113 opere di vario genere tra cui scritti esegetici, apologetici, teologici e
filosofici. Adesso si aggiungono oltre 350 sermoni e più di 300 lettere.
Le confessiones sono un’opera autobiografica in 13 libri, composta tra il 397 e 401 d.C. Narrano la
storia di un‘anima quella dell’autore, che ricorda il passato la luce del presente e rivive le proprie
esperienze come una metamorfosi dà la colpa alla salvazione. Appartengono ad un genere
completamente nuovo: l’autobiografia spirituale. Le Confessiones sono la storia di un’anima e una
rivelazione dell’opera della grazia divina, che attraverso vie segrete conduce alla meta ultima della
salvezza. Agostino è il protagonista di questo faticoso cammino alla ricerca di Dio e non esita a
descrivere gli aspetti più oscuri della propria personalità. Non ha timore di mostrare la fragilità del
proprio animo. La sua è una storia che parla di lui e dei suoi peccati (come il furto delle pere in età
giovanile o la lotta contro le passioni della carne). Parlando dei suoi peccati vuole far capire quanto
sia misericordioso Dio nel perdono. La sua indagine interiore raggiunge livelli mai toccati prima.
È la storia della propria anima.
La profondità dell’esame che Agostino svolge sulla sua anima ne fa un testo modernissimo; il
lettore del V secolo era abituato a tutt’altro genere biografico (riportante notizie e dati oggettivi) e
dunque le Confessioni di Agostino risultavano sconvolgenti ai lettori del tempo.
Il de civitate dei è un’opera apologetica in 22 libri scritta tra il 413 e il 427 d.C. Agostino difende i
cristiani dalle accuse mosse nei loro confronti dai pagani, che ritiene responsabili del sacco di Roma
da parte dei Goti. Elabora inoltre un avere propria teologia della storia con cui viene rivisto
rapporto fra l’eterno progetto di Dio e l’esistenza temporale dell’uomo. opera in cui Agostino
difende il Cristianesimo dalle accuse pagane di aver causato il sacco di Roma del 410.
Si tratta di una grandiosa sintesi storica fondata sulla contrapposizione tra Babilonia, immagine
delle città terrene, e la Gerusalemme celeste, città eterna di Dio. Il cristiano vive da pellegrino in un
mondo che non rifiuta e a cui però non appartiene; vive dunque in Babilonia con lo sguardo sempre
rivolto a Gerusalemme. Dunque il fine ultimo di ogni uomo, senza distinzione di razza o ideologia, è
Dio.
I temi
Nelle Confessiones Agostino dimostra una capacità introspettiva, assolutamente originale del
panorama della letteratura antica. All’origine della sua riflessione si pone il desiderio di trovare Dio:
l’uomo, pellegrino e straniero sulla terra, cerca ansiosamente la strada per ricongiungersi
all’armonia originaria perduta.
Sviluppato pienamente nel De civitate dei, Ma presente in tutte le opere, è il tema della storia:
campo di azione degli uomini, essa è piena del male di cui l’umanità è preda finta il peccato di
Adamo e dall’assassinio di Abele. La storia è governata tutta via dalla provvidenza di Dio. Il male
rappresenta quindi una contingenza del tempo: il figlio dell’uomo è impossibile ricongiungimento
con Dio.
Agostino coglie nella storia lo sviluppo di due concezione dell’esistenza, chiamate metaforicamente
città, quella terrena e quella celeste. Esse si differenziano in base all’opposto interpretazione, da
parte degli uomini che le abitano, di cosa è essenziale utile, degno dei loro sforzi e fonte della loro
gioia. Gli abitanti della città terrena perseguono il potere, la ricchezza il piacere come se fossero
valori autonomi. La città celeste invece è costituita da coloro i quali la rivelazione ha aperto la
mente è indicato la retta via, e rappresenta l’anticipazione in terra della vera e unica città
dell’umanità, quella di Dio nei cieli.
Lo stile
specifico per ogni opera e argomento trattato. Conoscenza profonda dei vari strumenti linguistici.
Precisione, chiarezza, semplicità, logica, retorica. Ha le capacità di districarsi come vuole e in ogni tipologia
testuale.