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Virgilio

Publio Virgilio Marone, noto semplicemente come Virgilio, è stato un

poeta romano, autore di tre opere, tra le più famose e influenti

della letteratura latina: Bucoliche, Georgiche e L’Eneide.

Il poeta nacque ad Andes, un piccolo villaggio sito nei pressi del

territorio dell'antica città di Mantua il 15 ottobre del 70 a.C. da una

benestante famiglia di coloni romani, figlio di Marone Figulo, un

piccolo proprietario terriero, arricchitosi considerevolmente con l'apicoltura,

l'allevamento e l'artigianato, e di Màgia Polla, figlia a sua volta d'un facoltoso mercante,

Magio, al cui servizio aveva lavorato il padre del poeta in passato.Virgilio frequenta la

scuola di grammatica a Cremona, poi la scuola di filosofia a Napoli, dove si avvicina alla

corrente filosofica epicureista grazie a Sirone e infine la scuola di retorica a Roma.Qui

conobbe molti poeti e uomini di cultura e si dedicò alla composizione delle sue opere.

Inoltre nella capitale portò a termine la propria formazione oratoria studiando

eloquenza alla scuola di Epidio, un maestro importante di quell'epoca. Lo studio

dell'eloquenza doveva fare di lui un avvocato e aprirgli la via per la conquista delle varie

cariche politiche. L'oratoria di Epidio non era certo congeniale alla natura del mite Virgilio,

riservato e timido, e dunque quantomai inadatto a parlare in pubblico. Infatti, nella sua

prima causa come avvocato non riuscì nemmeno a parlare. In seguito a ciò Virgilio entrò

in una crisi esistenziale che lo portò, non ancora trentenne, a spostarsi dopo il 42 a.C. a

Napoli, per recarsi alla scuola dei filosofi Filodemo di Gadara e Sirone per apprendere i

precetti di Epicuro.Gli anni in cui Virgilio si trova a vivere sono anni di grandi
sconvolgimenti a causa delle guerre civili: prima lo scontro tra Cesare e Pompeo,

culminato con la sconfitta di quest'ultimo a Farsalo (48 a.C.), poi l'uccisione di Cesare (44

a.C.) in una congiura, e lo scontro tra Ottaviano e Marco Antonio da una parte e i

cesaricidi (Bruto e Cassio) dall'altra, culminato con la battaglia di Filippi (42 a.C.). Egli fu

toccato direttamente da queste tragedie come testimoniano le sue opere: infatti la

distribuzione delle terre ai veterani dopo la battaglia di Filippi mise in grave pericolo le sue

proprietà nel mantovano ma sembra che, grazie all'intercessione di personaggi influenti

(Pollione, Varo, Gallo, Alfeno, Mecenate e dunque lo stesso Augusto), Virgilio sia riuscito

(almeno in un primo tempo) ad evitare la confisca.

Si spostò poi a Napoli con la famiglia e in seguito, nel 38 a.C., si fece assegnare da Mecenate

un podere in Campania come risarcimento per le proprietà perdute ad Andes. In Campania

avrebbe terminato le Bucoliche e composto le Georgiche, dedicate all'amico Mecenate, che

Virgilio frequentava.

Virgilio entrò dunque nel circolo del "primo ministro imperiale", che raccoglieva molti

letterati famosi d’epoca.Il poeta frequentava le tenute terriere di Mecenate, che egli

possedeva in Campania nei pressi di Atella e in Sicilia. Attraverso Mecenate, Virgilio

conobbe meglio Augusto. Divenne il maggiore poeta di Roma e dell'Impero e le sue opere

poetiche furono introdotte nell'insegnamento scolastico da Quinto Cecilio Epirota ancor

prima della sua morte, verso il 26 a.C.Dopo il 29 a.C. il poeta iniziò la stesura dell'Eneide, e tra

il 27 a.C. e il 25 a.C., l'imperatore Augusto richiese a Virgilio degli estratti del poema in corso

di stesura. Nel 22 a.C. il poeta lesse ad Augusto alcune parti dell'Eneide, tra cui quasi

sicuramente, il celebre VI libro.La fama del vate dopo la morte fu tale che egli fu
considerato una divinità degna di ricevere onori, lodi, preghiere, e riti sacri. Già Silio

Italico (appena un secolo dopo), che acquistò la villa e la tomba di Virgilio, istituì una

celebrazione in memoria del Mantovano nel suo giorno di nascita (le Idi di ottobre). In tal

modo questa celebrazione si tramandò anno per anno nei primi secoli dell'era volgare,

diventando un punto di riferimento importante soprattutto per il popolo napoletano che

vide in Virgilio ("Vergilius") il suo secondo patrono e spirito protettore della città di Napoli,

dopo la vergine Partenope. Egli divenne in particolare un simbolo dell'identità e della libertà

politica di Napoli: fu per questo che nel XII secolo i conquistatori normanni, col consenso

interessato della Chiesa di Roma, consentirono ad un filosofo e negromante inglese di

nome Ludowicus di profanare il sepolcro di Virgilio con lo scopo di rimuovere e asportare

il vaso con le sue ossa, al fine di indebolire e sottomettere Napoli al potere normanno

distruggendo l'oggetto di culto che era la base simbolica della sua autonomia. I resti di

Virgilio furono salvati dalla popolazione che li trasferì all'interno di Castel dell'Ovo, ma in

seguito vennero qui sotterrati e nascosti per sempre ad opera dei Normanni. Da allora i

napoletani ritennero che il potere protettivo del Poeta verso la città fosse

vanificato.Durante l'Alto Medioevo Virgilio fu letto con ammirazione, il che permise alle sue

opere di essere tramandate completamente. L'interpretazione dell'opera virgiliana

utilizzò largamente lo strumento dell'allegoria: al poeta fu infatti attribuito un ruolo di

profeta di Cristo, sulla base di un brano delle Bucoliche (la IV ecloga) annunciante la venuta

di un bambino che avrebbe riportato l'età dell'oro e identificato per questo con Gesù.La

presenza di Virgilio è costante nello svolgimento della letteratura italiana. L'eco della sua

poesia risuona sovente nelle opere dei nostri più grandi scrittori.Per Dante Alighieri,
l'Eneide diviene modello di alta poesia, fonte di ispirazione di tanti suoi versi. È vero, egli

avverte il fascino anche di altri grandi autori del passato, di "Omero, poeta sovrano" di "

Orazio satiro", "Ovidio", "Lucano", e poi "Tullio e Lino e Seneca morale" (Inferno, 4, 102 e

passim), ma è Virgilio la sua guida, Virgilio "l'altissimo poeta" (ibid.,80). Dante riconosce la

grandezza morale, il peso del pensiero antico e nella sua opera fa confluire insieme i valori

dell'umanesimo classico e quelli cristiani. Si può considerare pertanto il primo umanista

della nostra letteratura: un discepolo di Virgilio, al di là del pensiero medievale. Dalla lettura

delle sue opere apprese il senso di partecipazione al dolore universale, la pietas, intesa

quest'ultima nel senso morale di adesione al cielo sì, ma anche di attenzione ai valori della

terra. Egli si accosta al mantovano non solo per capire "come l'uom s'eterna", ma anche

per perfezionare lingua e stile.Con diversa e più moderna sensibilità si avvicina a Virgilio un

cultore degli studia humanitatis come Francesco Petrarca. Il dolore umano alla scuola del

poeta antico trova innumerevoli rivoli per elevarsi in una poesia soavemente malinconica.

Da lui deriva l'amore per le belle lettere, la nobiltà dei sentimenti e del pensiero, da lui l'arte

della perfezione stilistica. La lingua italiana diviene, come vuole de Sanctis, "la dolcissima

delle lingue".[29] Intuisce e tramanda ai posteri i più alti segreti della poesia del

mantovano. Virgiliano nell'anima, vive a lui unito nello spirito, gli dedica epistole. Petrarca

venne salutato come il nuovo Virgilio, modello di poeta, elegante, raffinato: si colloca tra i

più grandi lirici di tutti i tempi.Come stretto amico di personaggi di potere e di

grandissima influenza come l'imperatore Augusto, del governatore provinciale Gaio Asinio

Pollione e del ricco Gaio Cilnio Mecenate, secondo leggende medioevali di scarsa o nessuna

attendibilità, il grande poeta avrebbe potuto beneficare in molti modi la città di Napoli in
cui tanto amava risiedere.I suoi biografi medioevali infatti ci narrano che fu Virgilio a

proporre all'imperatore di costruire un acquedotto (proveniente dalle sorgenti nei

pressi di Serino, in Irpinia) che servisse questa e anche altre città, come Nola, Avella,

Pozzuoli e Baia. Inoltre avrebbe esortato Augusto a creare per Napoli una rete di pozzi e

fontane per l'approvvigionamento idrico, un sistema fognario di cloache e complessi

termali terapeutici a Baia e Pozzuoli, per cui fu anche necessario scavare un traforo nella

collina di Posillipo, l'odierna "Grotta di Posillipo", nota per tale motivo fino al XIV secolo

come "Grotta di Virgilio".

Infine, Virgilio, essendo grandemente appassionato di divinazione e del mondo della

religione in generale (come si nota dalle sue opere letterarie), avrebbe fatto installare

due sculture di teste umane in marmo, una maschile e allegra, l'altra femminile e triste, sulle

mura della città e precisamente ai lati della porta di Forcella al fine di fornire un presagio

casuale fausto o infausto (una sorta di innocua cefalomanzia minerale) per i cittadini di

passaggio.Con le modifiche fatte in epoca aragonese, le teste furono trasferite nella

lussuosa villa reale di Poggioreale, ma andarono poi perdute a causa della distruzione del

complesso. Come riportano i suoi più antichi biografi, Virgilio aderì al neopitagorismo,

corrente filosofica e magica allora molto diffusa nelle colonie della Magna Grecia, in

particolare a Neapolis, una delle poche poleis magnogreche che dopo la conquista romana

aveva conservato la sua vita culturale genuinamente ellenica.In quanto filosofo

neopitagorico e mago gli sono attribuite diverse immagini magiche e talismani volti alla

protezione della città di Napoli che tanto amò, secondo alcuni biografi medievali e

rinascimentali.

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