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PERSONAGGI ILLUSTRI IN TERRA D’ABRUZZO

PUBLIO OVIDIO NASONE


(43 a.C. – 18 d.C.)
Poeta e letterato latino

Sulmo mihi patria est, gelidis uberrimus undis,/ milia qui novies distat ab Urbe decem
“Mi è patria Sulmona, ricchissima di fresche acque, / distante novanta miglia da Roma”
(Tristia IV, 10, 3-4)

BIOGRAFIA
Publio Ovidio Nasone (in latino Publius Ovidius Naso)
nacque a Sulmona il 20 marzo del 43 a.C.; le uniche cose che
sappiamo della sua vita le apprendiamo dal poeta stesso, che
parla di sé in un’elegia, la quarta dei Tristia, di natura
prettamente autobiografica. È considerato l’ultimo, in ordine
cronologico, dei poeti elegiaci romani; è Ovidio stesso a
confermarlo: successor fuit hic tibi, Galle, Propertius illi; /
quartus ab his serie temporis ipse fui (“egli [Tibullo] successe a
te, o Gallo, Properzio a lui; / quarto dopo questi fui io stesso in
ordine di tempo”, Tristia IV, 10, 53-54).
Nato da una famiglia facoltosa appartenente al rango dei
cavalieri, a 12 anni (31 a.C.) si recò a Roma con il fratello Lucio
(di un anno più grande), per completare gli studi; a tale scopo
frequentò le lezioni di grammatica e retorica dei più insigni
maestri della capitale, in particolare Marco Arellio Fusco e
Marco Porcio Latrone. Il padre desiderava avviare Ovidio ed il 1. Ovidio immaginato da Anton
von Werner.
fratello alla carriera forense, ma mentre Lucio, che morì
prematuramente, avrebbe seguito volentieri il consiglio del genitore, Publio si sentiva più portato
per la poesia, sorretto in questo da una straordinaria facilità nel comporre d’istinto versi ingegnosi e
brillanti o, per dirla con le sue stesse parole, “ciò che tentavo di dire era già in versi” (et quod
temptabam dicere versus erat, cfr. Tristia IV 10, 26); non a caso Seneca il Vecchio (Controversiae
II, 8-12) ricorda che Ovidio declamava raramente, e per lo più suasoriae (orazioni che riprendevano
vecchie “tesi” nelle quali l’aspirante oratore doveva calarsi in una situazione storica o mitica e
persuadere un determinato personaggio a compiere o meno l’atto chiave della sua esistenza,
sostenendo in due distinti discorsi tutte le possibili argomentazioni a favore o meno di una presa di

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posizione).
Dopo un lungo viaggio in Grecia ed Asia Minore
(d’obbligo a quei tempi per perfezionare gli studi e
completare la formazione culturale), al ritorno del quale fu
anche in Egitto e per un anno in Sicilia in compagnia
dell’amico Emilio Macro, a 18 anni Ovidio rientrò a Roma,
dove intraprese la carriera pubblica esercitando però solo
qualche magistratura minore: fu uno dei decemviri stlitibus
iudicandis e poi fece parte dei tresviri capitales (funzionari di
polizia), ma non aspirò mai al Senato, pago della propria
dignità equestre ed alieno sollicitae… ambitionis. Pertanto,
contro il parere del padre, si dedicò agli studi letterari e la sua
vocazione poetica fu alimentata con l’avvicinamento al 2. Ritratto di Ovidio presente nel
volume di Giovanni Pietro Bellori
circolo di Marco Valerio Messalla Corvino, in cui conobbe, Imagines veterum philosophorum
(1685).
tra gli altri, Tibullo, la prematura morte del quale (19 a.C.) lo
commosse profondamente. L’esperienza nel “Circolo di Messalla” lo indusse risolutamente ad
abbandonare la carriera pubblica e a seguire senza ulteriori esitazioni la vocazione per le lettere e la
poesia. Più tardi ebbe contatti anche col circolo di Mecenate e conobbe quindi i maggiori poeti
dell’epoca, quali Orazio, Properzio, Gallo e, per poco tempo, Virgilio (morto nel 19 a.C.). Tale
ambiente aiutò Ovidio, dandogli la serenità e l’incentivo necessari per esprimersi e produrre: fu così
che il peligno divenne in poco tempo il “poeta ufficiale” e alla moda in una società che, dopo essere
uscita dall’incubo dalle guerre civili, assaporava i frutti della pace abbandonandosi al lusso e al
consumismo, vogliosa soltanto di vivere e di godere; cantore galante in circoli raffinati, grazie alla
sua sensibilità, allo spirito aperto e alla signorilità, fu proprio Ovidio a fornire a questa società un
prodotto letterario che ne rispecchiava fedelmente i modelli di comportamento e per questo riscosse
un successo immediato e strepitoso, diventando, appena ventenne, il protagonista indiscusso dei
salotti mondani di Roma, inclusi quelli vicini ad Augusto.
Per quanto riguarda la sua vita privata, all’età di trent’anni Ovidio aveva già alle spalle tre
matrimoni e due divorzi: dopo i primi due legami sfortunati con donne delle quali si sa poco o nulla
(da una di loro ebbe anche una figlia, Perilla), sposò una giovane fanciulla della gens Fabia, che fu
fedele consorte nella gioia e nel dolore, restandogli accanto sino alla morte; Ovidio amò Fabia
teneramente e, nelle sue opere, traspare un ricordo commosso dell’ultima moglie.
Pur avendo ottenuto in breve tempo fama e ammirazione, però, Ovidio si muoveva su un
terreno minato, perché tutto ciò di cui parlava liberamente nei suoi scritti cozzava vistosamente con

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i propositi di restaurazione morale che


costituivano uno dei punti fondamentali del
programma del principe e, infatti, nell’8 d.C.
(anno in cui, secondo gli ultimi studi, andrebbe
collocata anche la morte del suo protettore
Messalla Corvino), il poeta, all’apice del
successo, fu colpito da un ordine di Augusto
(ratificato poi dal successore Tiberio), che lo
relegava nella lontana Tomi, un piccolo centro
costiero del Ponto Eusino (l’attuale Costanza, in
Romania). Tomi, allora ai confini estremi
dell’impero, era sede di un avamposto militare
romano: un luogo inospitale, circondato da gente
barbara (gli Sciti) che viveva di rapine, dove
nessuno comprendeva il latino e, secondo la 3. Busto di Ovidio conservato alla Galleria degli
Uffizi di Firenze.
tradizione il poeta era costretto ad usare i gesti. Si
trattò, però, di una relegatio e non di un exilium (ben più grave), in quanto non prevedeva la perdita
dei diritti civili e la confisca dei beni; tuttavia i suoi libri vennero condannati pubblicamente come
immorali e, di fatto, nonostante le suppliche sue, della moglie e degli amici, Ovidio fu costretto a
rimanere isolato in una terra selvaggia e inospitale, nella più cupa tristezza, sino alla morte,
avvenuta nel 17 o nel 18 a.C.; non tornò in Italia neanche da morto e venne sepolto a Tomi.
Ignoti restano i motivi del rigido provvedimento di Augusto, anche se Ovidio stesso vi
accenna, enigmaticamente (forse allo scopo di non irritare ulteriormente l’imperatore), in un’elegia,
nella quale parla di due colpe che l’avrebbero perduto: Perdiderint cum me duo crimina, carmen et
error / alterius facti culpa silenda mihi (Tristia II, 1, 207-208). Nel “carmen” deve essere allusione
all’Ars amatoria, il suo trattato sull’amore libertino che, contemporaneamente alla condanna, venne
ritirato dalle biblioteche pubbliche; il libro era manifestamente in contrasto col coevo programma
augusteo di restaurazione morale dei costumi, tuttavia la critica moderna rifiuta di credere che
l’opera rappresentasse il motivo principale che determinò la relegatio, poiché tra la pubblicazione
della stessa ed il provvedimento vero e proprio passarono circa nove anni nei quali aveva potuto
circolare liberamente ed essere letta da molte persone. Quindi, presumibilmente, l’accusa
mascherava più vere ragioni personali, cioè quello che Ovidio chiama error: l’ipotesi più verosimile
è che il poeta sia stato coinvolto, più o meno involontariamente, come testimone o addirittura
complice, in uno scandalo di corte, che l’imperatore aveva tutto l’interesse a mantenere segreto; la

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circostanza sarebbe confermata dalla simultanea relegatio alle isole Tremiti di Giulia minore
(Vipsania Giulia Agrippina), nipote di Augusto e moglie di un influente personaggio (Lucio Emilio
Paolo), accusata di adulterio con un giovane patrizio (Decimo Giunio Silano). Il poeta, infatti, si
esprime in merito così: “Perché vidi? Perché resi colpevoli i miei occhi? / Perché dalla mia
imprudenza fu conosciuta una colpa?” (Cur aliquid vidi? Cur noxia lumina feci? / Cur imprudenti
cognita culpa mihi?, cfr. Tristia II, 103-104). Secondo alcuni storici il poeta, in amicizia con Silano,
l’amante di Giulia minore, aveva favorito gli incontri clandestini dei due, fornendo loro una buona
copertura; neppure da escludere è l’eventualità che gli adulteri fossero stati colti in flagranza di
reato proprio in casa di Ovidio che, così, si era trovato direttamente coinvolto nella scabrosa
vicenda. Per la storica dell’antichità Marta Sordi l’error di cui parla Ovidio sembra da collegare più
che coi costumi licenziosi di Giulia, con la partecipazione a incontri politici dell’opposizione
antiaugustea che faceva capo agli amici di Giulia e di Germanico, desideroso di succedere ad
Augusto al posto di Tiberio.
Il fatto stesso che Ovidio abbia attribuito il suo esilio, in maniera molto vaga in realtà, ad un
error, ha favorito il proliferare di interpretazioni diverse, spesso molto fantasiose, riguardo alla
reale entità di questo “sbaglio”: secondo alcuni, per esempio, Ovidio avrebbe avuto illecite relazioni
con l’imperatrice Livia Drusilla, che sarebbe da identificare nella donna cantata negli Amores con lo
pseudonimo di Corinna; per altri, avrebbe scoperto
illeciti rapporti di Augusto a corte o avrebbe
curiosato imprudentemente sulla condotta privata e
sulle abitudini intime proprio dell’imperatrice
Livia; per altri ancora, potrebbe aver assistito agli
sfoghi di ira cui era soggetto Augusto, in
particolare dopo l’annientamento dell’esercito
guidato da Publio Quintilio Varo nella selva di
Teutoburgo da parte dei Germani; secondo altri,
infine, avrebbe partecipato alla congiura di
Agrippa Postumo, pretendente al trono, contro
Tiberio, sostenuto dalla madre Livia, o avrebbe
preso le difese di Germanico contro Augusto.
Per quanto riguarda il suo stile, si può dire
che Ovidio, vero poeta della Roma del suo tempo,
4. La statua di Ovidio situata nel centro storico di “realizza una sua [originale] letteratura
Sulmona, città natale del poeta.

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dell’immaginario e del misteriosofico: non curò la pensosità filosofica di Lucrezio, giacché, a


proposito delle origini del mondo, si rivela un ‘superficiale’ narratore di miti; non l’innovativa
sensibilità di Catullo; non la rappresentazione dell’arcano di Virgilio e di Tibullo; non infine la sana
ironia di Orazio. Ovidio compie il miracolo dell’affabulazione e rappresenta le cose in divenire, le
persone nel mistero dei sentimenti: fu sempre poeta pronto a replicare con la sua grande teoria della
icasticità immaginaria. Sono caratteristiche [invece] in lui la prontezza del verso, la fluidità e il
ritmo della metrica, le riflessioni gnomiche, le ridondanze di espressione, il gioco delle figure e dei
colori, il modo retorico che raffina la mancanza della lima. E’ Ovidio, infine, a dare la definitiva
sistemazione al distico elegiaco, venuto a perfezione attraverso l’opera dei suoi predecessori,
soprattutto Tibullo” (G. Fiordalisi).

5. La statua di Ovidio a Costanza (Romania).

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OPERE
La produzione di Ovidio è vastissima e comprende varie opere di carattere amoroso come gli
Amores, le Heroides, l’Ars Amatoria, i Remedia Amoris; di argomento mitologico come le
Metamorfosi e i Fasti; di carattere personale come i Tristia e le Epistulae ex Ponto, scritte
dall’esilio per impietosire Augusto e cercare invano di ottenere la revoca del grave provvedimento.
La sua produzione, dunque, può essere facilmente divisa in tre gruppi:
1. le opere giovanili o amorose;
2. le opere maggiori o della maturità;
3. le opere dell’esilio;
cui vanno aggiunte altre opere minori (4.) e alcuni scritti erroneamente attribuiti ad Ovidio (5.).

1. Opere giovanili o amorose

AMORES
Gli Amores (“Amori”), in 3 libri (una prima
edizione era però composta da 5 volumi), furono
composti tra il 23 e il 14 a.C. (il poeta ne iniziò la
composizione, dunque, intorno ai vent’anni). Si
tratta di 50 carmi elegiaci che si strutturano in una
sorta di romanzo amoroso, teso a narrare l’amore
per una donna chiamata Corinna, pseudonimo
(nome di una poetessa greca) dietro il quale si cela
forse un personaggio puramente letterario,
certamente lontanissimo dalle donne intensamente
vagheggiate dagli altri poeti d’amore latini, secondo
lo stile e le convenzioni dell’elegia amorosa: il
poeta è asservito alla domina (signora, padrona),
soffre per le sue infedeltà, è geloso degli altri
6. Ovidio immaginato dalle Cronache di
ammiratori e contrappone la vita militare alla vita Norimberga (XCIII).
amorosa. Ma Ovidio non soffre drammaticamente
come Catullo e mantiene sempre un certo distacco intellettuale: vede l’amore come un gioco e
questa concezione amorosa si traduce e si esplica in un ribaltamento degli atteggiamenti e dei temi
tradizionali (Ovidio giunge ad amare anche due donne contemporaneamente, chiede all’amata non

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di essergli fedele ma di nascondergli i tradimenti affinché lui possa fingere di non sapere); ad
alimentare la fantasia ovidiana è la precedente produzione elegiaca, con una serie di “luoghi
comuni” (come il lamento davanti alla porta dell’amata, il servizio d’amore inteso come
“milizia”...), mentre l’epigramma ellenistico d’amore e l’intera società romana, brillante e festosa,
gli suggeriscono variazioni sul tema pressoché infinite. Ciò che sorprende, sin d’ora, è l’attitudine
del poeta a scavare entro le pieghe riposte della psicologia femminile, abilità che troverà
compiutezza nelle Heroides, la composizione delle quali è forse contemporanea a quella degli
Amores.

ARS AMATORIA
L’Ars amatoria (o Ars amandi, “L’arte di
amare”), un trattato sull’amore composto tra l’1
a.C. e l’1 d.C., consta di 3 libri in distici elegiaci. I
primi due libri sono indirizzati agli uomini, ai
quali Ovidio insegna come cercare e conquistare
(I), nonché conservare (II) l’amore di una donna;
nel III, composto in un secondo momento, il poeta
rivolge gli stessi consigli alle donne. Il titolo (che
forse più opportunamente sarebbe da tradurre
“arte della seduzione”) deriva dal primo verso
dell’opera, e riecheggia – in modo ironico – da un
lato le coeve artes oratoriae, dall’altro le “arti
d’amare” dei filosofi greci. Dunque, anche l’Ars
amatoria si propone come un genere nuovo,
laddove presenta, nella formale struttura 7. Ovidio in un’antica raffigurazione.
“didascalica”, i contenuti caratteristici del più
smaliziato mondo poetico ovidiano: di qui un contrasto sottile, che offre al poeta l’occasione per
istituire un suo gioco, intellettualistico e ironico, su quell’eterno gioco che è l’amore (egli si
definisce infatti praeceptor Amoris). L’opera, che si colloca all'apice di tutta l’elegia latina
precedente e, secondo il latinista Concetto Marchesi, si tratta del “capolavoro della poesia erotica
latina”, vuol essere un vero e proprio un vero e proprio codice e galateo dell’amore e della
seduzione e perciò espone in maniera organica quei precetti, che più di una volta, anche se in forma
isolata, erano già apparsi negli Amores (qualche spunto “precettistico” era, del resto, anche in
Tibullo e in Properzio), condendoli però con arguzie e piacevolezze; infatti si tratta di una

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precettistica molto poco austera, giacché ogni situazione d’amore resta solo frivola avventura,
arricchita da digressioni, gustosi riferimenti al mondo del mito o alla storia o alla leggenda (in
alcuni “affreschi” mitici è già prefigurato quello che sarà il mondo delle Metamorfosi).

HEROIDES
Le Heroides (“Eroine”, ma il nome originale doveva essere quello di Epistulae heroidum,
“Lettere di eroine”) sono ventuno lettere d’amore in metro elegiaco, indirizzate da donne famose, in
genere del mondo del mito, ai loro amanti. In particolare le prime 14 sono lettere di eroine mitiche
(Penelope a Ulisse, Fillide a Demofonte, Briseide ad Achille, Fedra a Ippolito, Enone a Paride,
Ipsipile a Giasone, Didone a Enea, Ermione a Oreste, Deianira a Ercole, Arianna a Teseo, Canace a
Macareo, Medea a Giasone, Laodamia a Protesilao, Ipermestra a Linceo); la quindicesima è l’unica
lettera di un personaggio non mitologico, ma storico: quella della poetessa Saffo a Faone; le ultime
sei, riunite a coppie e forse composte dal poeta successivamente, sono lettere di eroi alle loro amate,
cui segue la replica di queste (Paride a Elena, Leandro a Ero, Aconzio a Cidippe). Si tratta di un
genere completamente nuovo per la letteratura latina (anche se indubbio precedente è la missiva
properziana di Aretusa a Licota, due pseudonimi che però celavano personaggi reali) ed Ovidio può
a ben diritto considerarsene l’inventore: l’epistola erotica in versi è dominata dalla forma retorica
delle suasoriae, discorsi fittizi rivolti a personaggi mitici o storici per persuaderli o dissuaderli in
determinate circostanze, in questo caso a ricambiare un amore. Vi sono numerosi parallelismi con
l’epica e con la tragedia (in particolare i monologhi delle eroine euripidee), ma non mancano
rivisitazioni e riscritture di alcuni miti (come nel caso della lettera di Fedra a Ippolito, nella quale la
matrigna veste i panni di una scaltra seduttrice piuttosto che quelli di una donna disperata).

MEDICAMINA FACIEI FEMINEAE


Medicamina faciei femineae (“Medicamenti per il viso femminile”), trattato di cosmetica
incompleto costituito da un centinaio di versi in metro elegiaco, è anch’esso un’opera a carattere
precettistico. È diviso in due parti, la prima delle quali è una difesa dell’eleganza della vita di città,
in confronto all’antica semplicità campagnola dei costumi, mentre la seconda consiste in una serie
di ricette di cosmetici (5), atti a permettere alle donne di conservare o rendere più attraente la loro
bellezza.

REMEDIA AMORIS
Remedia amoris (“Rimedi all’amore”), 800 distici elegiaci composti per aiutare a guarire dalle
pene d’amore, è una sorta di antidoto dell’Ars amatoria: a ben vedere, si tratta di una risposta

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scanzonata e pungente alle critiche che, da parte dei moralisti, erano state rivolte alla sua
precettistica d’amor galante; Ovidio, in definitiva, si diverte mostrando di ritrattare, ma con infinito
garbo, i suoi precedenti insegnamenti. In questo libro, infatti, il poeta intende spiegare come evitare
le insidie di Cupido, in che modo liberarsene dopo essere caduti nel tranello d’amore e come lenire
gli effetti nefasti degli amori sfortunati. Con fine ironia, simile a quella dell’Ars amatoria, il poeta
invita l’amante infelice a considerare i difetti dell’amata, a fuggire la solitudine e, insomma, a
“distrarsi”. Importante è poi ostacolare la mala passione quand’è all’inizio, prima che col tempo
abbia modo di prender forza (non infrequenti, a tal proposito, sono i motivi desunti anche dalla
topica filosofica d’ispirazione stoica).

2. Opere maggiori o della maturità

METAMORFOSI
Le Metamorfosi (in latino Metamorphoseon libri XV) sono l’opera più importante e
impegnativa di Ovidio: il “poema delle trasformazioni”, che l’autore iniziò a comporre intorno al 3
d.C. ed ultimò poco prima dell’esilio, si articola in 15 libri di esametri (unica opera, nella sua
produzione, scritta in questi versi tipici della poesia epica), nei quali sono esposti circa 250 miti
uniti tra loro dal tema della trasformazione: partendo dal racconto del Caos primitivo nel Cosmo,
seguono poi miti e leggende riguardanti gli astri, le fonti, le pietre, le piante e gli animali fino a
giungere all’uomo. Ecco quindi le leggende e i miti di Giove, Deucalione e Pirra, Dafne ed Apollo,
Giunone, Io ed Europa, Bacco, Perseo, Eco, Ermafrodito, Medusa, Andromeda, Minerva, Aretusa;
seguono le imprese di Ercole, le vicende di Orfeo agli inferi, le disavventure di re Mida, fino alla
guerra troiana con la controversia tra Aiace e Ulisse e le peregrinazioni nel Lazio di Enea; per
chiudere con l’ultimo libro con un accenno al filosofo Pitagora e alle lodi di Cesare trasformato in
stella e a quelle non meno ossequiose rivolte ad Augusto. In pratica nelle Metamorfosi si trova tutta
la storia mitica del mondo, ma riorganizzata in una serie di racconti continuati, il cui criterio
generale di compilazione segue l’ordine cronologico, molto spesso variato da Ovidio con
l’introduzione di eventi anteriori o posteriori al fatto narrato, o con collegamenti tra le storie in base
a rapporti familiari piuttosto che secondo affinità o diversità. Insomma si tratta di un racconto
mosso e articolato, talvolta al limite dell’artificio, che mostra l’abilità stupefacente del poeta di
legare tra di loro storie che apparentemente non hanno un filo logico comune: l’unico principio
unificatore è, infatti, la metamorfosi. Un espediente particolarmente amato dal poeta è il racconto
nel racconto, grazie al quale il poeta trasforma i personaggi “narrati” in personaggi “narranti” che

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raccontano vicende proprie o altrui. Numerose


possono essere considerate le “fonti” ovidiane:
raccolte di miti circolavano in repertori che Ovidio
deve aver certamente conosciuto; il tema della
trasformazione, poi, era caro alla letteratura
alessandrina (basti pensare a Callimaco e a
Eratostene, e poi alle Trasformazioni di Nicandro di
Colofone e di Partenio di Nicea), ma era stato trattato
pure nel mondo latino da Emilio Macro e,
occasionalmente, da Catullo e da Virgilio (nella
poesia omerica era poi il modello di ogni
trasformazione: quella, operata dalla maga Circe, dei
compagni di Ulisse in porci). E tuttavia il risultato
dell’operazione ovidiana è completamente nuovo
rispetto ai suoi precedenti, sviluppandosi all’insegna
della più fervida e colorita fantasia, con uno stile e un
8. Ovidio in un’antica raffigurazione.
metro che con la loro sapientissima “facilità”
sembrano mirabilmente accompagnare la perpetua vicenda delle mutazioni e l’illusorietà delle
forme, soggette a continui cambiamenti, in una continuità quasi organica che lega l’uomo alla
natura. Benché ad una prima lettura possano apparire come un’opera disorganica e “barocca”, frutto
quasi di un’obbedienza eccessiva alle norme della varietas, le Metamorfosi rivelano la loro unità
nella concezione di una natura animata, fatta di miti divenuti materia vivente, partecipe di un tutto
che si trasforma: una natura intesa come archivio fremente di storie trascorse, ove è possibile
avvertire la presenza di una creatura mitica in un albero, in una fonte, in un sasso. Sebbene prima di
lasciare Roma Ovidio avesse dato alle fiamme il manoscritto delle Metamorfosi ritenendolo
imperfetto (lo racconta lui stesso nei Tristia), l’opera fu poi pubblicata, dietro incarico del poeta
stesso da Tomi, a cura d’un amico, che ne possedeva fortunatamente una copia personale; tuttavia
l’opera non fu molto nota fino al XII secolo, quando, grazie ad una serie di codici conservati in
biblioteche arabe sorte in Spagna, alcuni esemplari tornarono alla luce: fu così che, grazie alle
Metamorfosi, gli occidentali riscoprirono tutta la mitologia greca e l’opera ebbe una vastissima
incidenza culturale, tanto da ispirare ed influenzare l’opera di molti grandi scrittori, dal primo
Rinascimento in poi (Ariosto, Cervantes, Lope de Vega, Shakespeare, Milton, Goethe, Swimburne,
Swift, Shaw, d’Annunzio), e da far meritare ad Ovidio un posto nel Limbo dantesco accanto ad
Omero, padre della letteratura occidentale. Non sono da dimenticare poi le opere degli artisti, pittori

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e scultori, che da queste descrizioni mitologiche hanno preso negli ultimi ottocento anni ispirazione
per i loro grandi capolavori e, infine, le innumerevoli opere musicali, liriche e sinfoniche, come
quelle di Monteverdi, Haendel, Cherubini.

FASTI
I Fasti (titolo che potremmo tradurre con “calendario”), sono un’opera erudita di carattere
eziologico (mirante cioè a spiegare le cause di un determinato evento), che originariamente doveva
prevedere dodici libri, uno per ogni mese dell’anno: oggi ce ne rimangono la metà, quelli relativi ai
mesi che vanno da gennaio a giugno, perché la composizione dell’opera (contemporanea a quella
delle Metamorfosi) fu interrotta alla fine del sesto libro a causa della relegazione a Tomi (8 d.C.).
Durante l’esilio, l’opera, in distici elegiaci, fu rivista da Ovidio (in particolare il primo libro) e
dedicata a Germanico, figlio adottivo di Tiberio, dopo la morte di Augusto (14 d.C.). Nelle
intenzioni dell’autore l’opera doveva illustrare (secondo un procedimento simile a quello utilizzato
da Callimaco negli Aitia) le feste religiose e le ricorrenze varie del calendario introdotto da Cesare,
che vengono presentate spiegando le origini sia delle stesse festività sia delle leggende, delle
tradizioni e delle usanze civili e religiose col ricorso ad aneddoti, favole, episodi della storia di
Roma; allo stesso tempo Ovidio impartisce anche nozioni di astronomia, spiegando usanze e
tradizioni popolari. A tale scopo, il poeta si avvalse di varie fonti, soprattutto di Varrone e Verrio
Flacco, nonché di Livio (da notare che i Fasti, per la loro documentazione, restano tra l’altro una
delle più preziose testimonianze di antiquaria latina). Tuttavia, pur nell’intento di comporre
un’opera che voleva cantare la religione romana, in sintonia col severo programma augusteo di
restaurazione, Ovidio manca di autentiche motivazioni interiori, tanto che lo scopo celebrativo
rimane tutto esteriore, non essendo supportato né da un interesse storico-religioso, né dal senso
patriottico della grandezza di Roma; ai riti, alle feste, alle sacre istituzioni di Roma antica, Ovidio
s’accosta con spirito disincantato, ancora con quel gusto di raccontare proprio delle Metamorfosi, e
con una curiosità ironica nei confronti del divino.

3. Opere dell’esilio

TRISTIA
I Tristia (“Tristezze”), raccolta di elegie (componimenti poetici in distici elegiaci) in cinque
libri, furono scritti tra l’8 e il 12 d.C. Sono incentrati sull’amara esperienza dell’esilio e scritti in
tono lamentoso ed afflitto, al fine di ottenere il ritorno a Roma: il primo libro narra il doloroso

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distacco da Roma, mentre nel secondo (costituito da un’unica elegia di 600 versi diretta allo stesso
Augusto), Ovidio chiede perdono per il famigerato carmen ed invoca un luogo di relegazione meno
triste e lontano; gli altri tre libri trattano dell’innominabile error e sono destinati al pubblico
romano, per cercare di riguadagnare quel sostegno e consenso necessari al poeta per rientrare in
patria (i nomi delle persone cui sono dirette le elegie sono occultati, eccetto quelli della moglie e
della figlia Perilla, per evitare di compromettere qualcuno vicino al principe). Ovidio intese qui
riprendere un tratto tipico della poesia elegiaca, quello del lamento e ridotto ormai a scavare entro
se stesso, Ovidio lasciò prima di morire, con la X elegia del IV libro dei Tristia, una confessione
che è anche bilancio di tutta una vita e di un’eccezionale esperienza artistica.

EPISTULAE EX PONTO
Le Epistulae ex Ponto (“Lettere dal Ponto”), in quattro libri, costituiscono un vero e proprio
epistolario comprendente lettere in versi, indirizzate ad amici e familiari, i cui nomi sono qui
chiaramente indicati. La composizione dei primi tre libri risale al 12 d.C., mentre il quarto libro, più
lungo, fu pubblicato postumo. In quest’opera vengono affrontati gli stessi temi dei Tristia tra
disperazione, pianti e suppliche al fine di ottenere il ritorno a Roma; spesso queste elegie ripiegano
su stanchi luoghi comuni, ma è lo stesso Ovidio ad avvertire il lettore come quando, in un passo
toccante, lo invita a volerlo comprendere e giustificare, considerando le circostanze che avevano
accompagnato la composizione di quei versi: egli, ormai, si dedica alla poesia solo per un conforto e
non più per trarne gloria.

IBIS
Sotto il nome di Ibis conosciamo un carme imprecatorio in 322 versi (distici elegiaci), rivolto
contro un anonimo romano, di origine africana, prima amico e poi avversario e calunniatore di
Ovidio dopo la relegatio: al nemico viene augurato ogni male con una serie di dirae (imprecazioni),
attingendo da esempi tratti dal mito e dalla storia (ad esempio, si augura all’anonimo di essere ferito
come Filottete, trascinato da cavalli come Ettore e accecato come Fenice). È la terza opera scritta da
Ovidio durante il suo esilio a Tomi ed il titolo allude ad un uccello egiziano, che già il Levitico
considerava un animale impuro, e cui la fantasia popolare degli antichi attribuiva costumi perversi
(per esempio cibarsi di rettili e di rifiuti); Ovidio lo riprende da quello, identico, di un omonimo
poemetto perduto, scritto dal poeta alessandrino Callimaco contro Apollonio Rodio.

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4. Altre opere minori o non pervenute

Sulla base di varie allusioni che lo stesso poeta fa in alcuni passi delle Epistulae ex Ponto, si
può affermare che Ovidio scrisse altre opere minori di vario genere, tra le quali:
1 un carme in lingua getica, in onore di Augusto e della famiglia imperiale (DE CAESARE);
2 un carme, sempre in lingua getica, in onore di Tiberio, vincitore degli Illiri;
3 un elogio in morte di Messalla Corvino;
4 un epitalamio (canto che veniva eseguito durante le nozze) per l’amico Paolo Fabio
Massimo.
Da Plinio il Vecchio conosciamo il titolo di un poemetto didascalico sulla pesca e sui vari tipi
di pesci del Ponto (HALIEUTICA, cioè Piscatoria, come dice Plinio), del quale possediamo un
lungo frammento di 135 esametri, conservato in un codice del IX secolo ritrovato da Jacopo
Sannazzaro. Molti studiosi dubitano della sua autenticità, ma è lo stesso Plinio il Vecchio a
testimoniare che il poeta “cominciò quest’opera sul finire della vita, più per passatempo che per
vero interesse alla tematica affrontata”.
Ci restano poi cinque versi (esametri) di un poema astronomico (PHAENOMENA, “I
fenomeni atmosferici”) e due versi di una tragedia, MEDEA, a noi non pervenuta ma che dovette
avere enorme fortuna nel I sec. a.C. poiché viene molto lodata dai contemporanei. Niente, invece, ci
rimane di un’altra opera, il poema epico GIGANTOMACHIA, composto in gioventù da Ovidio.

5. Opere erroneamente attribuite

Non sono di Ovidio, senza alcun dubbio, né il poemetto NUX (“Il noce”, elegia di 182 versi,
in cui un albero di noce si lamenta delle sassate che riceve ingiustamente dai passanti), né una
CONSOLATIO AD LIVIAM (“Consolazione per Livia”) di 474 versi, carme consolatorio alla
moglie di Augusto per la morte del figlio Druso (9 a.C.). Qualche tardo manoscritto li attribuisce ad
Ovidio, ma ragioni stilistiche e metriche, oltre che di contenuto, fanno pensare a qualche imitatore
posteriore.

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FORTUNA DI OVIDIO
La fama che accompagnò Ovidio in vita continuò anche
dopo la sua morte: malgrado l’ordine di Augusto che bandì le
sue opere dalle biblioteche pubbliche, l’influenza della sua
poesia arrivò fino al Medioevo che lo considerò non inferiore a
Virgilio; il XII secolo può essere considerato di fatto il
“rinascimento ovidiano”: in Italia, Francia e Germania, il poeta
sulmonese fu considerato il “chierico d’amore”, tanto che
Brunetto Latini scrive di lui: “e in un ricco manto / vidi Ovidio
maggiore, / che gli atti dell’amore, / che son così diversi, /
rasembra 'n motti e versi” (cfr. Il Tesoretto, 2358-62).
Testimoniano questa fortuna anche gli Integumenta super
Ovidii Metamorphoses, le traduzioni di Giovanni del Virgilio,
di Bonsignori e di Simintendi e l’Ovide moralisé. Dante stesso
era un ammiratore di Ovidio, e nella Divina Commedia lo
9. Francobollo emesso in occasione
colloca nel Limbo (I cerchio infernale) tra gli “spiriti magni” del bimillenario della nascita di
Ovidio (1957).
(cioè spiriti magnanimi), considerandolo una personalità
illustre, ma che non ha ricevuto il battesimo; è il segno di riconoscimento dell’Alighieri verso
Ovidio, cui si rifà in tutti i suoi scritti quando accenna alla mitologia classica.
La considerazione di Ovidio crebbe ancora nei secoli, suggestionando scrittori e poeti fino al
Rinascimento e oltre, da Giovanni Boccaccio a Ludovico Ariosto, da Pierre de Ronsard a William
Shakespeare a John Milton. Ebbe notevole influenza su Gaucher, così come su tutta la poesia
umanistica italiana e sullo stile dotto e sui carmi dei filologi franco-olandesi.
Nell’Ottocento due grandi estimatori di Ovidio furono Giacomo Leopardi e Giosue
Carducci, cui dobbiamo due definizioni dell’arte ovidiana: “l’arte di Ovidio di mettere le cose sotto
gli occhi non si chiama efficacia, ma pertinacia” (Leopardi); “non è difficile sentire come Ovidio
cozza profuso come quasi sempre e sia dilavato tal volta, e potremmo anche additare i versi ove egli
fallisce alle regole inventate di poi. Togliesi con ciò ad Ovidio di essere uno dei più copiosi scrittori
romani?” (Carducci).

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OVIDIO E SULMONA
A Sulmona, città natale di Ovidio, l’orgoglio per l’illustre concittadino si è manifestato in vari
modi nel corso dei secoli: per esempio, le iniziali del celebre emistichio Sulmo mihi patria est
figurano fin dal Medioevo nello stemma cittadino (SMPE). In città, poi, esistono due statue che
raffigurano il “cantore dei teneri amori”: la più antica si trova nel cortile del Palazzo della SS.ma
Annunziata e fu fatta realizzare nel 1474 da Polidoro Tiberti da Cesena, capitano della città; in essa
il poeta è rappresentato con corona d’alloro, abito fratesco e un grosso libro sotto i piedi (da questa
particolare iconografia è sorta la leggenda che Ovidio sapesse leggere con i piedi…). L’altra statua,
in bronzo, si trova in piazza XX settembre e fu realizzata nel 1925 dallo scultore Ettore Ferrari:
l’artista creò due statue gemelle per le due “patrie” di Ovidio e infatti una statua identica a quella di
Sulmona campeggia nella piazza dedicata al poeta a Costanza, in Romania.
Tra i sulmonesi si è diffusa (e spesso è ancora viva) una serie di racconti ispirati alla figura del
“poeta dell’amore”, a metà tra fantasia e realtà. Secondo alcuni di questi racconti, Ovidio, autore di
opere considerate licenziose se non addirittura scandalose, era un donnaiolo ma anche un mago,
artefice di un infallibile filtro afrodisiaco capace di risvegliare gli ardori, di unire o separare gli
innamorati. Grazie ai suoi poteri magici Ovidio si era costruito una villa piena di trappole e
meraviglie per allontanare i curiosi, all’interno della quale si trovava un pozzo tramite il quale il
“dannato” Ovidio parlava col diavolo in persona! Questa villa, da sempre identificata coi resti a
mezza costa del Monte Morrone (rivelatisi poi in realtà il santuario di Ercole Curino), ospitava,
ovviamente, un immenso tesoro che sarebbe stato rinvenuto, secoli dopo, dall’eremita Pietro
Angelerio (il futuro papa Celestino V), che l’avrebbe utilizzato in parte per costruire la grandiosa
Abbazia di Santo Spirito, che sorge proprio al di sotto della presunta villa; inutile dire che tutti i
tentativi di recuperare il resto del tesoro sono stati improduttivi!
Tuttavia, l’affetto che lega la gente peligna ad Ovidio è tanto forte che non pochi furono
coloro che cercarono di moralizzare la sua opera asserendo, con varie argomentazioni, che lo scopo
del poeta era stato quello di far conoscere il male per evitarlo: così, secondo alcuni, durante la sua
vecchiaia Ovidio, stanco di fare il mago, decise di convertirsi e fare penitenza sul Morrone,
bruciando il libro dei segreti e componendone un altro sulle virtù cristiane; addirittura sarebbe
diventato il capo dei monaci della Badia ed avrebbe insegnato, alle Marane, la dottrina cristiana ai
bambini!

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INIZIATIVE DEDICATE

1957: Bimillenario Ovidiano, celebrazioni in ricordo dei duemila anni dalla nascita di Ovidio;
emissione di un francobollo celebrativo da parte di Poste Italiane (Sulmona, 10 giugno1957).

1958: Convegno internazionale ovidiano, convegno di studi nell’ambito del bimillenario


ovidiano (Sulmona, maggio 1958).

1991: Die Rezeption der Metamorphosen des Ovid in der Neuzeit. Der antike Mythos in
Text und Bild, simposio internazionale sulla fortuna delle Metamorfosi nell’era moderna (Bad
Homburg, 22-25 aprile 1991).

1993: Aetates Ovidianae. Lettori di Ovidio dall’antichità al Rinascimento, convegno


organizzato dall’Università degli Studi di Salerno (Salerno-Fisciano, 25-27 gennaio 1993).

1994: Convegno internazionale di studi sulle Metamorfosi di Ovidio (Sulmona, 20-22


novembre 1994).

1998 – : Certamen Ovidianum Sulmonense, gara internazionale di traduzione di passi estratti


dalle opere ovidiane, organizzato dal Liceo Classico “Ovidio” di Sulmona.

2006: Dante e Ovidio, mostra sulle fonti ovidiane della Divina Commedia (Torre de’ Passeri,
16 ottobre – 30 novembre 2006).

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BIBLIOGRAFIA
(da www.uniurb.it/Filosofia/bibliografie/ovidio/sito%20nuovo_file/page0004.htm)

Ovidio, Ars amatoria (a cura di E. Pianezzola – G. Baldo – L. Cristante), Mondadori,


Milano 1991.
Ovidio, L’arte di amare (traduzione di E. Barelli), Mondadori, Milano 1991.
Ovidio, Remedia amoris (a cura di C. Lazzarini), Marsilio, Venezia 1986.
Ovidio, Medicamina faciei femineae (a cura di G. Rosati), Marsilio, Venezia 1985.
Ovidio, Heroides (a cura di G. Rosati), Rizzoli, Milano 1989.
Ovidio, Tristia (a cura di F. Lechi), Rizzoli, Milano 1993.
Ovidio, Ibis (a cura di A. La Penna), La Nuova Italia, Firenze 1957.
Ovidio, Halieutica (a cura di F. Capponi), Brill, Leida 1972.

F. Araldi, La retorica nella poesia di Ovidio, Paris 1958.


A. Barchiesi, Il poeta e il principe. Ovidio e il discorso augusteo, Roma-Bari 1994.
S. Battaglia, La tradizione di Ovidio nel Medioevo, Napoli 1960.
G. Bertoni, Poesie, leggende, costumanze del Medio Evo (l’Ars amatoria nei poeti francesi
del ‘200), Modena 1927.
F. Bessone, Sapere, non sapere, dire, non dire. Ignoranza, reticenza ed ironia nelle
Heroides, in “Quaderni del Dipartimento di filologia, linguistica e tradizione classica”,
Torino 1997, pp. 207-223.
G. Bretzigheimer, Ovids Amores. Poetik in der Erotik, Tübingen 2001.
M. S. Brownlee, The Severed Word. Ovid’s Heroides and the Novela Sentimental, Princeton
1990.
M. Buonocore, Nuove acquisizioni di manoscritti ovidiani: l’Epistula 15 delle Heroides,
Roma 1994.
F. Cairns, Ovidio, Amores 1.3: dipendenza letteraria vs indipendenza intellettuale, in
“Cultura, poesia, ideologia nell’opera di Ovidio” (Pubblicazioni dell’Università degli Studi
di Salerno – Sezione Atti, Convegni, Miscellanee 33), Napoli 1991, pp. 27-40.
S. A. Cecchin, Medea in Ovidio fra elegia ed eros, in: Atti delle giornate di studio su
Medea, Torino 1997, pp. 69-89.
G. B. Conte, L’amore senza elegia. I “Remedia amoris” e la logica di un genere, in “Generi
e lettori”, Milano1991.
L. C. Curran, Ovid Amores 1.10, Phoenix 1964.

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PERSONAGGI ILLUSTRI IN TERRA D’ABRUZZO

S. D’Elia, Ovidio, Napoli 1959.


M. H. T. Davidson, The Search for an alter orbis in Ovid’s Remedia Amoris, Phoenix 1996.
A. Day, The origins of Latin love-elegy, Oxford 1938.
R. Dimundo, L’elegia allo specchio. Studi sul I libro degli Amores di Ovidio, Bari 2000.
R. Dimundo, L’arte della seduzione e il doctus amator ovidiano, in “Bollettino di Studi
Latini”, 30 (2000), pp. 19-36.
J. Dion, Les secrets d’Ovide dans les Amours: de l’architecture de l’œuvre à Corinne, in
“Collection Latomus”, 266, Bruxelles 2002, pp. 158-170.
H. Fränkel, Ovid: a poet between two worlds, Berkeley 1956.
M. Guillemin, Le public et la vie littéraire à Rome, Paris 1937.
R. Heinze, Ovids elegische Erzählung, Berichte über die Verhandlungen der Sächsischen
Akademie der Wissenschaften, Leipzig 1919.
M. Labate, L’arte di farsi amare. Modelli culturali e progetto didascalico nell’elegia
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C. Marchesi, Un’arte di amare, quaderni A.C.I., Torino 1953.
S. Mariotti, La carriera poetica di Ovidio, Belfagor, anno XII, n. 6, Messina-Firenze 1957.
E. Merone, Studi sulle Eroidi di Ovidio, Napoli 1964.
E. Paratore, Bibliografia ovidiana, Sulmona 1958.
E. Ripert, Ovide, poète de l’amour, des dieux et de l’exil, Paris 1921.
G. Rosati, Narciso e Pigmanlione, illusione e spettacolo nelle Metamorfosi di Ovidio,
Firenze 1983.
N. Scivoletto, Musa iocosa. Studio sulla poesia giovanile di Ovidio, Roma 1976.
C. Segal, Ovidio e la poesia del mito. Saggi sulle Metamorfosi, Venezia 1990.
L. P. Wilkinson, Ovid recalled, Cambridge 1955.

OVIDIANA, Recherches sur Ovide, Publiées à l’occasion du bimillénaire de la naissance du


poète par N. I. Herescu, Paris 1958.
Contiene:
- D. Adamesteanu, Sopra il “Geticum libellum”.
- F. Arnaldi, La “retorica” nella poesia di Ovidio.
- L. Alfonsi, L’inquadramento filosofico delle Metamorfosi.
- B. Axelson, Der Mechanismus des ovidischen Pentameterschlusses.
- H. Bardon, Ovide et le baroque.
- R. T. Bruère, Color Ouiduanus in Silius Punica 1-7.

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PERSONAGGI ILLUSTRI IN TERRA D’ABRUZZO

- R. Crahay – J. Hubaux, Sous le masque de Pythagore.


- S. D’Elia, Il problema cronologico degli Amores.
- E. De Saint Denis, Le malicieux Ovide.
- F. Della Corte, Il Perseo Ovidiano.
- P. J. Enk, Metamorphoses Ouidii duplici recensione seruatae sint necne quaeritur.
- P. Ferrarino, Laus Veneris.
- P. Grimal, La chronologie légendaire des Métamorphoses.
- A. M. Guillemin, Ovide et la vie paysanne.
- N. I. Herescu, Avant-propos.
- N. I. Herescu, Le sens de l’épitaphe ovidienne.
- L. Herrmann, L’influence dOvide sur Octavie.
- H. Herter, Ovids Verhältnis zur bildenden Kunst.
- T. F. Higham, Ovid and Rhetoric.
- W. F. Jackson Knight, Ovid’s Metre and Rhythm.
- E. J. Kennedy, Nequitiae poeta.
- A. Ker, Notes on some passages in the Amatory Poems.
- S. Lambrino, Tomes, cité gréco-géte, chez Ovide.
- A. G. Lee, The Autorship of the Nux.
- F. W. Lenz, Das pseudo-ovidische Gedicht “De medicamin aurium”.
- E. Lozovan, Ovide et le bilinguisme.
- R. Marache, La révolte d’Ovide contre Auguste.
- D. Marin, Intorno alle cause dell’esilio di Ovidio.
- J. Marouzeau, Un procédé ovidien.
- F. Munari, Identificazioni di codici heinsiani delle Metamorfosi.
- E. Paratore, L’elegia autobiografica.
- F. Peeters, Ovide et les études ovidiennes actuelles.
- J. A. Richmond - O. Skutsch, Restorations in Halieutica.
- O. Seel, Von Herodot zu Ovid.
- W. C. Stephens, Two stoic Heroes in the Metamorphoses: Hercules and Ulysses.
- E. Thomas, Ovidian Echoes in Juvenal.
- L. P. Wilkinson, The World of the Metamorphoses.

Atti del Convegno internazionale ovidiano di Sulmona del 1958, Istituto di Studi romani,
Roma 1959.

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PERSONAGGI ILLUSTRI IN TERRA D’ABRUZZO

Contiene:
- F. Arnaldi, L’episodio di Ifi nelle Metamorfosi di Ovidio e l’XI libro di Apuleio.
- G. Baligan, L’esilio di Ovidio.
- H. Bardon, Sur l’influence d’Ovidie en France au 17ème siècle.
- B. Bilinski, Elementi esiodei nelle Metamorfosi di Ovidio.
- Y. Bouynot, Misère et grandeur de l’exil.
- G. Brugnoli, Ovidio e gli esiliati carolingi.
- V. Buescu, Trois aspects “roumains” d’Ovide.
- A. Campana, Le statue quattrocentesche di Ovidio e il capitanato sulmonese di
Polidoro Tiberti.
- R. Crahay, La vision poétique d’Ovide et l’esthétique baroque.
- G. D’Anna, La tragedia latina arcaica nelle Metamorfosi.
- S. D’Elia, Lineamenti dell’evoluzione stilistica e ritmica nelle opere ovidiane.
- L. Donati, Edizioni quattrocentesche non pervenuteci delle Metamorfosi.
- J. P. Enk, Disputatio de Ovidii Epistuliis ex Ponto.
- P. Fabbri, Ovidio e Dante.
- R. Giomini, Ricerche sulle due edizioni degli Amores.
- A. Gregorian, Discussioni intorno all’esilio di Ovidio a Tomi.
- A. Grisart, La publication des Métamorphoses: une source du récit d’Ovide.
- N. Herescu, Ovide, le Gétique.
- L. Herrmann, De Ovidianae Corinnae vita.
- L. Illuminati, Ovidii fletus, Ovidii funus, Ovidii fama.
- W. F. Jackson Knight, De nominum Ouidianorum Graecitate.
- A. G. Lee, The originality of Ovid.
- P. Lehmann, Betrachtungen über Ovidius im Lateinischen Mittealter.
- F. W. Lenz, Io e il paese di Sulmona.
- E. Lozovan, Réalités pontiques et nécessités littéraires chez Ovide.
- G. Lugli, Commento topografico all’elegia I del III libro dei Tristia.
- W. Marg, Zur Behandlung des Augustus in den Tristia.
- D. Marin, Intorno alle cause dell’esilio di Ovidio a Tomi.
- K. Marót, Ovidio, il poeta di tutti.
- A. Monteverdi, Aneddoti per la storia della fortuna di Ovidio nel Medioevo.
- E. Paratore, Orazione inaugurale.
- E. Paratore, L’evoluzione della “sphragís” dalle prime alle ultime opere di Ovidio.

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PERSONAGGI ILLUSTRI IN TERRA D’ABRUZZO

- F. Peeters, Temps fort et accent de prose aux V e VI pieds de l’hexamètre dactylique


dans les Fastes d’Ovide.
- G. B. Pighi, La poesia delle Metamorfosi.
- V. Poeschi, L’arte narrativa di Ovidio nelle Metamorfosi.
- C. Questa, I Tristia in un nuovo codice dell’XI-XII secolo.
- J. A. Richmond, On imitation in Ovid’s Ibis and in the Halieutica ascribed to him.
- Ant. Salvatore, Echi ovidiani nella poesia di Prudenzio.
- Arm. Salvatore, Motivi poetici nelle Heroides di Ovidio.
- O. Seel, De Ovidii indole, arte, tempore.
- E. Thomas, Some reminiscences of Ovid in Latin literature.
- V. Ussani jr., Appunti sulla fortuna di Ovidio nel Medioevo.
- S. Viarre, L’originalité de la magie d’Ovide dans les Métamorphoses.

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SITOGRAFIA

www.iconos.it/index.php?id=1 (portale curato dalla Cattedra di Iconografia e Iconologia


dell’Università di Roma “La Sapienza” nel quale è possibile compiere “un viaggio interattivo
nelle Metamorfosi di Ovidio”)

www.intratext.com/Catalogo/Autori/Aut281.HTM (sito che contiene l’opera omnia di


Ovidio in latino)

www.liceoclassicosulmona.it/certamen.htm (pagina del sito del Liceo Classico “Ovidio” di


Sulmona dedicata al Certamen Ovidianum Sulmonense)

www.progettovidio.it/ovidio.asp (portale che propone traduzioni integrali di alcune opere di


Ovidio)

www.thelatinlibrary.com/ovid.html (sito con i testi integrali in latino di Amores, Ars


amatoria, Epistulae ex Ponto, Fasti, Heroides, Ibis, Metamorphoses, Remedia amoris, Tristia)

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