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ORAZIO

Quinto Orazio Flacco nacque a Venosa nel 65 a.C., da famiglia umile ma benestante. Suo padre era un liberto che
aveva ottenuto delle terre e si era poi trasferito a Roma, per assicurare la migliore istruzione al figlio, che poi mandò
in Grecia per studiare filosofia. Nel periodo in cui Orazio si trovava ad Atene, si arruolò negli eserciti di Bruto e
Cassio combattendo nella battaglia di Filippi (42 a.C.); dopo aver perso tornò in Italia, grazie all’amnistia concessa
agli sconfitti, ma scoprì che il podere del padre era stato sottratto, trovandosi obbligato a trasferirsi a Roma, dove
ottenne l’incarico di scriba quaestorius (=segretario dei magistrati addetti alle finanze).

Nel 38 a.C. venne presentato da Virgilio e Vario (il tizio che ha pubblicato postuma l’Eneide) a Mecenate, facendolo
via via accostare alle ideologie augustee, permettendogli di entrare nel ristretto circolo. Lo stesso Mecenate donò ad
Orazio un podere in Sabina, simbolo della loro amicizia, nonostante il poeta volle sempre mantenere uno spazio di
autonomia (rifiuta la proposta di Augusto, che lo voleva come suo segretario).

Nel 17 a.C. il poeta venne incaricato di scrivere un inno agli dèi per celebrare la gloria di Roma e chiederne la
protezione. Il carmen saeculare fu l’opera che rese Orazio il cantore* del principato augusteo.

Nel 8 a.C. muore (due mesi dopo Mecenate).

*Orazio nel proemio del primo libro delle Odi si definisce lyricus vates, ossia ‘poeta lirico’, ciò è particolarmente
significativo poiché vates significa letteralmente ‘indovino’ o ‘ profeta’, colui che ha una funzione sacerdotale,
riprendendo dunque la concezione arcaica della letteratura, ovvero vista come prodotto divino. Egli si pone come
intermediario tra l’uomo e la divinità, esplicitando l’alta concezione che aveva della sua figura, come persona degna
di considerazione, poiché in possesso dell’ingenium. Orazio si autoproclama guida morale per la comunità.

EPODI – 30 a.C.

Si tratta dei primi testi composti da Orazio, quando era ancora un giovincello. Sono 17 componimenti compresi in
una raccolta chiamata epodon libri, questo nome deriva dalla forma metrica dei testi, basata su una struttura in cui
un verso più lungo è alternato a uno più breve, chiamata epodos; in realtà Orazio li aveva chiamati iambi, giacché il
metro più presente è il giambo.

La raccolta come già era stato fatto e nella poesia alessandrina è ordinata secondo il criterio metrico.

Anche la scelta del giambo non era casuale, esso infatti nella poesia greca arcaica era tipico della poesia di invettiva;
lo stesso Orazio si vanterà poi di aver introdotto per primo nel Lazio i metri e i toni aggressivi di Archiloco (uno di
quelli che scriveva poesia aggressiva), ma non l’argomento o il linguaggio, infatti se Archiloco poteva scagliarsi contro
personaggi del suo tempo liberamente, Orazio (a cui era stata già concessa l’amnistia) non poteva prendersi questa
libertà e dunque decise di criticare figure inventate e fittizie, che incarnano tipologie umane.

Oltre alla ricchezza di metri differenti, vi è anche una varietà di temi che comprende epodi di contenuto amoroso,
moraleggiante, politico (guerre civili)…

Lo stile degli Epodi è caratterizzato dalla sovrabbondanza e dall’eccesso, forse a causa dell’immaturità artistica
dell’autore o del senso di emarginazione.

SATuRaE – 35-33 a.C. (primo libro) + 30 a.C. (secondo libro)

Orazio si è sempre dedicato al genere della satira, dell’elemento moraleggiante e discorsivo, il cui esponente
principale era Lucilio. Egli aveva ideato il genere senza prendere spunto da precedenti greci, strettamente legato alla
realtà e appartenente ad un filone di letteratura ‘bassa’. Orazio si considera inferiore a Lucilio in termini di originalità
ma lo critica aspramente sulla scarsa cura formale, senza che venga dato peso al senso della misura e al lavoro del
labor lime.

Orazio, inoltre, modera i toni, evitando gli attacchi ad personam, facendo una più pacata critica dei vizi umani,
riconducibili a un campionario di tipi. La riflessione prende spunto da un’osservazione della società che gli permette
una ampia varietà tematica. L’autore non si presenta come giudice, ma osserva la realtà con distaccata ironia
cercando di individuare la migliore morale da seguire. (Lucilio poteva attaccare le singole persone perché era vissuto
nel II secolo a.C. durante l’età repubblicana).
Le saturae, il cui nome deriva da sature lanx, un piatto ricco di diversi cibi che rispecchia la varietà dei temi trattati,
sono divise in due libri, scritti in versi esametri, il primo comprende dieci componimenti, il secondo otto. L’autore si
riferisce spesso alle sature come sermones (=conversazioni), infatti essi si presentano come dialoghi tra amici.

Orazio si ispira a concetti filosofici greci che tuttavia erano molto diffusi anche nella cultura romana:

- autarkeia= autosufficienza inferiore, che limita i propri desideri


- metriotes= la ricerca della misura nei comportamenti e nelle azioni, l’evitare gli eccessi e seguire la via di
mezzo

su questi concetti Orazio basa la propria etica, ricavata molto dalla dottrina epicurea di cui era seguace.

Nelle opere di Orazio spesso gli elementi comici vengono utilizzati con funzione morale, come era tipico della
‘diatriba’, una forma di dialogo filosofico per un pubblico basso con toni polemici e aggressivi. L’autore non ne
riprende gli elementi anticonformisti e provocatori, ma solo la struttura ironica e dialogica.

Sul piano strutturale si alternano nella raccolta satire narrative e satire ideologiche, fondendo episodi di vita
quotidiana con riflessioni filosofiche. Nelle satire narrative vengono raccontati eventi storici, spesso autobiografici
con la discussione di un tema morale sviluppato come un colloquio; altri testi hanno la forma di dialogo tra più
personaggi con struttura quasi teatrale (principalmente nel secondo libro).

Il tono generale è medio, spesso si riportano conversazioni colte senza escludere espressioni del parlato colloquiale
(sermo cotidianus) tuttavia questo non impedisce un’accurata rifinitura formale, vengono evitati gli eccessi di
grecismi e viene privilegiata la paratassi.

Orazio si ispira ad uno stile elegante, ma senza eccessi che si rifà al canone neoterico della brevitas.

ODI – 23 a.C.

Il titolo originale della raccolta è ‘carmina’, tre libri comprendenti 88 liriche (38 nel primo, 20 nel secondo e 30 nel
terzo), vari per temi e metri. Solo dopo essersi consacrato poeta-vate, come richiesto da Ottaviano aggiunse un
quarto libro, composto di 15 Odi (alcune erano un lecchinaggio ad Augusto).

Lo scopo del poeta è richiamare la tradizione della lirica greca arcaica e anche in questo caso rivendica
orgogliosamente il merito di essere stato il primo ad aver scritto in latino le immagini e i metri della poesia greca,
adottandola al contesto romano (specialmente nell’Ode 30 del terzo libro). Anche Catullo si era ispirato ai modelli
greci, ma Orazio era riferito alle radici stesse della tradizione lirica occidentale, reinterpretandole con originalità. Non
manca neanche la forte ispirazione alla poesia alessandrina, specialmente nella raffinatezza formale.

Nel libro primo le prime nove liriche sono scritte tutte in metri diversi – facendo uno sfoggio di tecnica –, in generale
i metri più utilizzati sono la strofe saffica, la strofe alcaica e i vari tipi di quella asclepiadea; anche i temi sono
estremamente vari ma fanno sempre ricorso ad un repertorio della tradizione letteraria.

Molti carmi hanno lo scopo di celebrare Augusto e più in generale Roma, essi vengono detti ‘Odi romane’ (prime sei
del libro III); nei suoi versi non viengono citate spesso le battaglie, quanto più il valore della pace, possibile grazie ad
Augusto. Altro tema ricorrente è l’amore, cantato con toni sereni e distaccati e concepito in modo leggero e
disimpegnato; il poeta contempla le sue avventure e disavventure con una progressiva crescente malinconia con lo
svanire della giovinezza. Orazio segue anche il tema del simposio, testo ricorrente nella lirica greca di carattere
politico-religioso, riprendendolo in maniera assolutamente laica. Il ‘bere insieme’ diventa occasione di riflessione
sull’esistenza (argomento gnomico), evidente soprattutto nel ricorrere del ‘carpe diem’.

Per Orazio è necessaria la sapientia, che deriva dalla consapevolezza della fugacità dell’esistenza e dalla conseguente
necessità di viverla giorno per giorno, senza lasciarsi andare ad uno sfrenato egoismo, sempre alla ricerca di una vita
moderata consapevoli dei propri limiti.

L’ultimo compinimento lirico di orazio risale al 17 a.C. ed è il carmen seculare, composto in occasione dei ludi
seculares. Esso è scritto in metro saffico e dedicato ad Apollo e Diana, invocando la protezione divina sul popolo
romano ed esaltando la grandezza di Roma.
EPISTULAE – 20 a.C.

Orazio pubblicò un libro contente 20 componimenti in esametri in cui il poeta si rivolge ad un interlocutore, in
quanto si tratta di comunicazione epistolare; i toni, più pacati e quasi depressi, riflettono l’età ormai avanzata
dell’autore.

Qualche anno dopo Orazio compone un secondo libro, comprendente due sole lunghe epistole, dedicate a
tematiche letterarie. È da aggiungere poi un’altra ultima epistola ad Pisones, più nota come Ars poetica, che
costituisce un trattato di estetica a sé stante.

Nel primo libro vi è una riflessione esistenziale. I temi sono simili a quelli delle saturae, ma i Tony diversi. Lo stile è
medio e lascia spazio ad una pensosa tristezza.

Il secondo libro è invece completamente incentrato sul dibattito sulla poesia.

L’ars poetica è il più lungo dei componimenti oraziani e conta 476 esametri. Orazio segue uno stile tripartito
parlando prima dello stile poi dell’argomento e infine della struttura della poesia. Per ultimo, traccia il ritratto del
vero poeta, individuando il fine della poesia: questo dovrebbe avere l’ingenium (la dote innata) e l’ars (abilità tecnica
e formale).

Gran parte del componimento è dedicato al teatro – stranissimo! –. Nella prima epistola del secondo libro aveva
infatti detto ad Augusto che secondo lui non era possibile resuscitare il teatro classico, ma ora sembra quasi abbia
ceduto alle insistenze del princeps.

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