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LEZIONE 9

Metro: 5 strofe di endecasillabi, 5 settenari, poi vv 1 alessandrino, 4 alessandrino e 5 dodecasillabo


o endecasillabo ipometro. Poche rime, andamento sublime di prosa poetica molto ampia e nella
sezione Silvae dominano gli endecasillabi. L’endecasillabo è la forma più aulica che Montale sa
usare. L’ombra ci riconduce alla voce del titolo perché Montale assiste a un colloquio fra la voce
di Irma e il padre morto che non parla. L’unica a parlare è Irma e parla rivolgendosi al padre di
Montale, con una serie di considerazioni che riguardano il figlio soprattutto nell’ultima parte della
lirica dove ci si sofferma sulla memoria.
La prima stanza è una stanza di contestualizzazione Montale ci dice che sta percorrendo un
sentiero difficile che lo porta al cimitero dov’è sepolto il padre. La prima stanza appunto è dedicata
all’ombra del padre. Ombra in senso dantesco: è un defunto e quindi non ha più consistenza
corporea. Voce giunta con le folagheVoce: si tratta di una scorporazione o di un suono che
giunge a Montale senza che sia presente fisicamente questa voce cioè colei che parla, colei è Irma.
Folaghe: la folaga è la fulica in latino, la fuliga americana. L’aggettivo americana è fondamentale
per ricondurci a Irma che è colei che dall’America più volte è venuta in Italia e quindi più volte ha
fatto la traversata dell’Oceano come fa di solito la fuliga americana che compie lunghe distanze
per venire in Europa. La frase reggente è al v6: eccoti fuor dal buio che ti teneva, padresi
rivolge a un tu e il tu è la figura paterna.
Poiché la via percorsa, se mi volgo, è più lunga del sentiero da capre e che mi porta dove ci
scioglieremo come cera,: Dal momento che la via percorsa se mi guardo indietro è più lunga,
quella passata, la strada che ho seguito finora è più lunga di quella che mi aspetta (metafora
dantesca nel mezzo del cammin di nostra vita della vita come viaggio. Montale dice sono a un
punto della vita in cui la strada che ho percorso è più lunga di quello che dovrò percorrere, sono
già avanti con l’età). Dal momento che la vita che ho vissuto finora se mi guardo indietro è più
lunga del sentiero da capre che mi porta al cimitero dove noi esseri umani dotati di corpo ci
scioglieremo come la cera cioè finiremo per lasciare il nostro corpo. L’idea che il corpo umano sia
paragonabile alla cera indirettamente si ritrova anche nella Commedia dantesca. La via che mi
rimane da coprire è paragonata a un sentiero da capre cioè non è una via maestosa e facile, ma è
una strada stretta, impervia, quella che di solito sanno percorrere le capre in montagna.
Evidentemente ha passato da tempo il mezzo del cammino della sua vita. Il riferimento al sentiero
da capre ha un duplice senso: da una parte le difficoltà degli ultimi anni della vita dell’uomo che
sono gli anni più difficili (la vecchiaia) e anche dal punto di vista geografico il sentiero da capre
individua il sentiero che di solito bisogna percorrere a Monterosso per andare al cimitero dov’è
sepolto il padre di Montale e infatti è un sentiero che si inerpica sulla collina. Con il sentiero da
capre c’è anche un riferimento all’Inferno dantesco canto 19esimo vv 131-132 Dante parla dello
scoglio sconcio ed erto, lo scoglio nell’Inferno è il ponte di roccia che unisce le varie bolge. Lo
scoglio sconcio ed erto che serve alle capre duro varco (Dante). Questo termine fu usato da
Montale nella traduzione del canto di Simione di Eliot in cui si diceprenderanno il sentiero delle
capre, è un termine che Montale recupera da Eliot. Poiché quello che mi resta da vivere è molto
poco ed è paragonabile a un sentiero da capre come quello che porta al cimitero di Monterosso.
ed i giunchi fioriti non leniscono il cuore ma le vermene, il sangue dei cimiteri Giunchi fioriti:
ci riconducono all’infanzia. Quindi: sono a un periodo della mia vita in cui non ho più i fiori che
alleggeriscono (leniscono) il cuore, la pianta tipico di questo momento della mia vita sono le
vermene. Vermene: sono le piante da cimitero. Anche vermena è un termine dantesco dell’Inferno
13 quando i suicidi che vengono trasformati in piante vengono buttati sul terreno del girone dei
suicidi, il seme da cui nascerà la loro pianta è detto vermena, cioè il loro seme sorge come la
pianta della vermena che è un cespuglio. Qui è detto sangue dei cimiteri, apposizione di vermena
come se la vermena fosse caratteristica del suo colore rosso dei cimiteri, quindi quasi presentasse
una reincarnazione dei morti (sangue dei cimiteri). Una volta detto tutto questo con termini molto
concentrati ecco che dice: eccoti fuor dal buio (buio della memoria o del luogo-non luogo in cui
lui si trova come ombra) [quel buio che ti teneva o padre] che ti teneva quando eri in vita o padre
attento alle prime luci dell’alba (barbagli). Senza scialle e berrettoIl padre di Montale ci era
stato dipinto nella prosa poetica Dov’era il tennis con lo scialle, il padre teneva per tutto l’anno,
anche durante la stagione calda, lo scialle e il berretto, che qui si trovi senza scialle e berretto ci da
l’idea che non è più il padre che viveva, il padre vivo, sono simboli che ha lui da vivo, ma che ora
non ha più. Il padre compare nella memoria del poeta in uno scorcio di vita, ma con caratteristiche
che non ha più e che aveva quando era vivo: gli mancano lo scialle e il berretto da cui non si
staccava mai, che aveva quando era in vita. È un segno che è un padre-ombra.
Al sordo fremito che annunciava nell’alba 10 chiatte di minatori dal gran carico semisommerse,
nere sull’onde alteAd ascoltare il sordo fremito (rumore sordo dei motori) delle chiatte dei
minatori che erano semisommerse dal grande carico e si vedevano nere queste chiatte in alto mare,
sulle onde alte. Si intravedevano queste chiatte molto scure, forse recavano con sé qualche
minerale. La prima stanza ci riconduce alla memoria del padre morto e di un Montale ormai
anziano che torna, non sappiamo se fisicamente o col pensiero, nel cimitero dov’è sepolto il padre
a Monterosso.

L’ombra che mi accompagna alla tua tomba, vigile, e posa sopra un’erma  quest’altra ombra è
di Irma, è un’ombra diversa da quella del padre. Sembra che Montale si sia recato nel cimitero di
Monterosso. Clizia è diventata ormai un’ombra perché lontana, perduta x Montale, ma è un’ombra
vigile, non è l’ombra di un morto, ma è l’ombra di una viva. È l’immagine della memoria che
Montale ha di Vlizia. Io sono andato a trovare un’ombra accompagnato da un’ombra viva (ombra
assonante e in rima con tomba) e riposa, sembra sedersi (posa) sopra una statua sepolcrale (erma,
in gioco con Irma). Ed ha uno scarto altero della fronte che le schiara gli occhi ardenti ed i duri
sopraccigli è il solito movimento che già conosciamo di Irma, quello della frangia dei capelli
per cui muove di scatto il volto in modo tale che la frangia sembra quasi sollevarsi. Questo scarto
della fronte è uno scatto altero, sembra quasi un movimento di superbia. Questo scatto della fronte
mette in mostra gli occhi ardenti (frangia arriva quasi sopra gli occhi e lei si sposta la frangia dagli
occhi). Ardenti: ci riconduce alla sfera dei sentimenti, quindi una donna ancora innamorata. Duri
sopraccigli: corrucciati, con una sottolineatura della caratteristica di inflessibilità, durezza,
coerenza di Irma. Da un suo biocco infantile Biocco: ciuffo di capelli.
L’ombra non ha più peso della tua da tanto seppellita, i primi raggi del giorno la trafiggono 
Ripete il soggetto ombra. Quest’ombra è incorporea e non pesa più di quella del padre (della tua)
sepolto da tanti anni. Il padre era morto da una quindicina di anni, nel 1931. I primi raggi del sole
la trafiggono: sempre riferito all’ombra di Irma. I raggi del sole passano attraverso di lei perché è
un’ombra che non ha corpo. Farfalle vivaci l’attraversano: è la stessa idea di quest’ombra che non
ha corpo e quindi all’interno del suo corpo possono passare delle farfalle. La sensitiva la sfiora e
non si rattrappisceSensitiva: tipo di mimosa le cui foglie si chiudono appena toccate. Se passa
Irma che è puro spirito, la sensitiva non si racchiude in sé, quindi non sente la presenza fisica di
qualcuno.
La seconda lassa è dedicata all’ombra di lei. La terza è dedicata a tutte e due. L’immagine è quella
di due ombre, una viva e una morta, che si parlano fra loro.
L’ombra fidata (sempre rivolta a Irma. L’ombra di cui mi fido) e il muto (il padre, da molti anni
non parla più alla memoria del figlio e infatti risorge nella memoria) che risorge, quella che
scorporò l’interno fuoco (perifrasi x indicare Irma. Quella che l’interno fuoco (soggetto) scorporò,
cioè quella che l’amore smaterializzò, rese ombra. Si può rendere con: l’ombra che l’interno fuoco,
il sentimento d’amore, scorporò o anche colei che smaterializzò l’interno fuoco cioè fece vedere il
suo sentimento d’amore. E colui (il padre) che lunghi anni d’oltretempo (lunghi anni passati
dell’oltre tempo, è una dimensione che Montale non sa definire, non fisicamente valutabile. Sono
valutabili queste dimensioni soltanto per chi è vivo. Infatti dice: lunghi anni passati in una
condizione fuori dal tempo) (anni per me pesante anni per me [che ho un corpo e che valuto in
anni il passare del tempo] che sono pesanti ) disincarnano (rendono evanescente nella memoria).
Colui che lunghi anni passati in questa dimensione fuori dal tempo disincarnano, cioè rendono
evanescente.
Queste due ombre si scambiano parole che (attenzione interito e non intèrito) io invece irrigidito
(irritito), fermo immobile, sul margine della tomba (del padre) io non odo, quindi loro parlano ma
io non riesco ad ascoltare. L’una (l’ombra vigile di Clizia) forse ritroverà la forma umana (visto
che era diventata angelo) in cui bruciava l’amore divino (amor di Chi la mosse) e non di sé. Quindi
Clizia era mossa da un amore superiore, divino e non un amore egoistico. Era mossa da un amore
altruistico che proveniva da Dio e quindi forse ritroverà quella forma che sembra aver perduta da
angelo in cui si era trasformata. Amor di chi la mosse: richiamo dantesco, inferno II, 32 amor mi
mosse e mi fa parlare Beatrice a Virgilio. Quindi: forse all’ombra femminile sarà dato di non
essere più ombra, ma di ritornare a essere totale, spirito e corpo. Ma l’altro sbigottisce e teme che
la larva di memoria in cui si scaldaMa l’altro: il padre, è una situazione diversa x l’altra ombra
che non può ricongiungersi al corpo. Ma l’altro sbigottisce, cioè si turba e ha paura, teme che per
un semplice susseguirsi di anni (balzo) o per qualche colpo della vita, la sua memoria nei figli sia
perduta per sempre. Quindi l’altra ombra, quella del padre, sa che vive soltanto in quel residuo, in
quella larva, in quella parvenza, in quel poco di memoria che è presente nei figli. Una volta che
questa memoria per un balzo del tempo, del destino, si spegne questa ombra muore
definitivamente, non può nemmeno vivere di quella non vita che è la larva di memoria nei figli.
Abbiamo letto due lasse di seguito perché Montale non ha dato una distinzione sintattica alla fine
della penultima lassa che prosegue al v45 con l’inizio dell’ultima lassa con puntini, trattino e verso
a scalino. C’è un verso a scalino in cui comincia in sostanza l’ultima lassa. Tutta la penultima lassa
è occupata da un discorso diretto che finisce proprio per dare maggior rilievo alle ultime parole,
finisce all’inizio dell’ultima lassa, sono le parole più importanti, quelle che si rivolgono a Montale
anche se dette dall’ombra di Irma all’ombra del padre. Discorso fra trattini: finisce a metà del v.45,
è l’unica volta in cui ascoltiamo in diretta la voce di Irma, per quanto non rivolta direttamente al
poeta, ma al padre.
Ho pensato per te: io (Clizia) ho pensato per te (padre di Montale) e ho ricordato per tutti (quindi
Clizia ha una memoria che non si cancella. Ora tu, padre di Montale, ritorni al cielo
completamente libero da legami con la terra, quel cielo che ti trasforma definitivamente in ombra
senza più residui terreni, cioè compie il ciclo della tua vita. Ricordiamo Proda di Versilia come
cominciava i miei morti che prego che preghino per me…Montale pregava perché ai morti
fosse possibile il compimento della vita e il compimento della vita vuol dire proprio realizzare la
vita del nulla, perdersi nel nulla, il chiudere definitivamente con la vita. Ora ritorni al cielo
liberoadesso puoi tornare nella tua dimensione che qui è il cielo generico che ti trasforma
definitivamente in ombra, che permette il compiersi della tua vita. La rube è la rube di Monterosso.
Ancora questa rupe ti tenta?-->Ancora sei tentato dai ricordi terrestri? Ancora sei attratto dalla vita
da vivo? Si, la battigia (dove il mare va e viene) è la stessa di sempre (come dire che il mare
continua a muoversi nel suo moto incessante, cioè il tempo continua a scorrere, la vita di chi è vivo
continua a scorrere). Il mare non si dissolve il mare come espressione della natura, il mare non
sparisce, continua a vivere, non si dissolve come invece è capitato a te che sei rispetto al mare una
creatura finita. Quel mare che ti univa ai miei lidi (detto da Irma sono i lidi degli Stati Uniti) prima
che io avessi l’ali (questo mare ti univa a me quando ero una creatura in carne e ossa, prima che mi
trasformassi per la mia missione angelica). Io le ricordo (rammento) bene quelle mie prode, cioè la
mia terra d’origine. Eppure sono giunta volando (con le folaghe) così come si spostano gli uccelli
dagli Stati Uniti all’Europa, e sono venuto a distaccarti dalle tue prode. Detto al padre significa:
voglio che tu finisca di ricordare o essere ricordato nella vita, voglio per te il compimento della
vita. Detto al padre è chiaro che è detto anche al figlio. Sono giunta per distaccarti dal ricordo di
me. Sono giunta, o Eugenio, perché tu chiuda con il ricordo di me Irma. Infatti ora c’è una
conclusione aforismatica i cui si parla in generale. La memoria non è peccato finché giova la
memoria non è qualcosa di negativo finché è utile: ricordare può essere utile e quindi la memoria
ha una funzione positiva, una volta che la memoria perde la sua carica di positività diventa un
letargo di talpe. La memoria dopo è soltanto qualcosa che non serve a nulla, è un sonno profondo,
è una cecità. Letargo di talpe: condizione di cecità assoluta. Abiezione che funghisce su sé La
memoria diventa depravazione che si autoalimenta come i funghi che sono una pianta parassita. È
una memoria parassita che vive di qualcosa d’altro. Quindi c’è una memoria positiva rivolta al
futuro che può essere utile e una memoria assolutamente passiva che consiste nel rimuginare, nel
continuare sempre sulle stesse memorie, ed è negativa, non aiuta. È la memoria di Montale nei
confronti di Irma, è una memoria che non lo abbandona e non lo aiuta x il futuro, non è produttiva
x la sua vita. Le parole di Irma sono lapidarie e significano dimenticami, è ora di chiudere il
nostro rapporto che è un rapporto solo di memoria. Chiuso il discorso si ritorna alla situazione
iniziale.
Il vento del giorno: il vento può anche muovere la voce, sembra sia la voce del giorno che fa
confondere la voce di uno e quella dell’altra ovvero le due ombre che non sono corpi, sono
semmai corpi aerei che possono essere mossi dal vento. Quindi questo vento del giorno confonde
tanto l’ombra viva e vigile di Irma e l’altra è l’ombra del padre morto che è ancora riluttante, cioè
è ancora in dubbio perché Irma l’ha pregato di chiudere con la memoria, di tornare nell’oblio
completo e così di compiere la sua vita. Quest’ombra è riluttante a compiere questo passo. Un
mezzo: sarà l’aria. Un mezzo che dovrebbe unire tutti quanti, fare da tramite fra le due ombre e il
vivo. Mezzo che respinge le mie mani perché Montale non riesce ad abbracciare e toccare queste
ombre, un po’ come Dante quando vuole abbracciare le anime e non riesce. Quindi le braccia
ritornano al corpo, si chiudono sul petto, quindi sottolinea l’aspetto di lui vivo che non può avere
contatto con queste due ombre. Un mezzo, sostanza aerea, che mi impedisce di toccarle (respinge
le mie mani) e il respiro mi si rompe nel punto dilatato, nella fossa che circonda lo scatto del
ricordo la fossa può essere quella della tomba che racchiude il padre e più in generale è il punto
dilatato che circonda lo scatto del ricordo è la fossa del ricordo. Il respiro mi si rompe, sembra
quasi che gli manchi il respiro nel momento in cui il ricordo sta per svanire e questo gli toglie il
respiro. Vorrebbe toccarle, vorrebbe fare sue queste ombre, ma non ci riesce.
Il rendersi conto di questo fatto toglie il respiro. Allo stesso modo si svela prima di legarsi a
immagini a parole cioè si tratta di un pensiero non ancora razionale. Oscuro senso reminiscente:
come una sensazione oscura di cui non so dire l’origine e di cui possediamo un vago ricordo
(reminescente). Il vuoto inabitato: vuoto che abbiamo occupato e che ci aspettava prima di nascere
e che ci aspetta dopo la morte, come dire che durante la vita abbiamo occupato un vuoto che era
destinato a noi prima che nascessimo e che si recupera questo vuoto dopo la morte. Allo stesso
modo in cui aveva ricordato queste due ombre si rivela dentro di noi come fosse una sensazione di
cui possediamo un vago ricordo e prima che questa sensazione diventi qualcosa di
razionalizzabile, così si rivela a noiintuiamo improvvisamente quella che è stata la nostra vita
che è una vita fatta di vuoto, un vuoto che ci aspettava prima di nascere e che ci aspetta finché non
moriremo (fin ch’è tempo di colmarsi di noi, di ritrovarci). È la sensazione che la vita umana è
fatta di nulla e così com’è fatta di nulla quell’ombra paterna, così è fatta la nostra vita, ed è una
cosa che possiamo solo intuire e non esprimere razionalmente. Intuizione che siamo nulla e che
torneremo a essere nulla, è il ricordo indirettamente cristiano: concezione del corpo che è cenere e
che ritorna a essere cenere. La cenere è qualcosa di fisico.
Montale dice a se stesso immaginando un’Irma che parla al padre: devi chiudere ogni ricordo di
questa donna.
L’ombra della magnolia
Questa poesia fu pubblicata nella rivista Tre Venezie nel 1947 con data 1946 con un sottotitolo:
altra lettera non scritta che è un chiaro richiamo a una poesia di Finisterre su una lettera non
scritta, la terza lirica di Finisterre. Quindi “altra” del sottotitolo significa “ne avevo già scritta
un’altra o delle altre che anzi non avevo mai scritto e questa è un’altra.” Fin dal sottotitolo la
destinataria era Clizia che compare al v6 con un vocativo, con il nome che avevamo visto nella
primavera hitleriana e che qui compare per la seconda e ultima volta. Se la poesia è rivolta a Clizia
è inevitabile, l’addio del verso finale è un verso a scalino e l’addio qui risulta molto rilevato.
Mettendo insieme l’addio finale e l’allocuzione a Clizia è chiaro che è una poesia di comminato
definitivo. Il poeta chiude i conti con lei: Irma continua a rimanere nella memoria del poeta, questo
addio è un addio che dovremmo rivolgere al poeta, è un addio che il poeta da a Irma-clizia nella
sua poesia, magari non nella vita. La lirica è solcata da una serie di metafore che cogliamo o
abbiamo colto altre volte in Montale. ai vv.3-4 vetta è la cima di un albero. La cicala fin da
meriggiare e pallido assorto rappresenta la poesia, il poeta che canta. Mentre la formica lavora, la
vita contemplativa è tipica di chi non agisce, la cicala è collegabile direttamente alla poesia,
all’attività del poeta. I vv.20-21 la lima che sottile incide: questa lima nel contesto va interpretata
come il lavoro di lima del poeta, il poeta come dicono gli antichi dopo aver scritto ha bisogno di
rielaborare, di usare il labor limae (ORAZIO), occorre dunque perfezionare questa poesia. Quando
dice che la rima che sottile incide si riferisce al fatto che la poesia deve tacere e deve tacere
l’attività del poeta che lavora i suoi versi. La vuota scorza: è sempre quella della cicala, già trovata
nelle Occasioni in Non recidere forbice col volto dove si parlava del vuoto guscio di cicala che
cadeva insieme all’albero. Il vuoto guscio di cicala è un riferimento alla poesia e quindi la vuota
scorza di chi cantava sarà presto polvere perchè le cicale d’inverno muoiono e resta solo una vuota
scorza di loro. Riferimento di nuovo alla poesia. Questi riferimenti meta-poetici presenti in questa
lirica vogliono significare probabilmente che non la memoria di Clizia, ma la poesia per Clizia
deve tacere, non per nulla qui siamo nel ’47, poco dopo nel ’49 subentrerà un’altra musa dal punto
di vista biografico e quindi alla poesia per Clizia subentra la poesia per Volpe.
Titolo: su quest’ombra c’è un richiamo quasi intertestuale con tutte le opere della precedente
poesia, solo che qui l’ombra non è più di un essere vivente, ma è l’ombra vera, fisica di un albero,
della magnolia. Fin dalla prima poesia della bufera in La bufera sule foglie dure della magnolia
la magnolia è un albero simbolo di protezione. Quella magnolia non è più la solita che Montale
che conosceva con ampie fronde che servivano anche a riparare. Magnolia simbolo di protezione,
ma anche simbolo laico, dei propri cari. Questa magnolia sta partendo le foglie non è più marzo
(Bufera), ma è invece autunno-inverno. Tutto è cambiato e cambia in questo modo anche la poesia
x Clizia. La poesia di Montale dunque sembra quasi suicidarsi, sostenere cioè che è ora di finirla,
di dare addio ai versi che lui aveva speso x la donna amata. Arriveranno altre muse nella tarda
poesia della sua ultima raccolta in cui parlerà delle molte muse che hanno avuto visi diversi ma
che si riconducono a una sola. Siamo nel ’47, si affaccerà fra poco la Spaziani, ma Montale non lo
sa a quest’altezza cronologica. Interessante la nota di contini e Bettarini nell’Opera in versi a
questa poesia: fra le poesie databili Clizia arriva nella bufera fino al 1947. Quindi abbiamo la
comparsa finale, estrema di Clizia. Dopo il ’47 clizia sembra tacere, non essere più presente nella
poesia di Montale. La poesia è formata da un’unica strofa di 26 versi endecasillabi regolari, a
dimostrazione che Montale ha abbracciato l’endecasillabo come verso aulico, sublime. Molti sono
sdruccioli, anche questa è una caratteristica stilistica che conosciamo in Montale, es v12 morbida,
v14 fragile, v19 arretrano, v22 polvere, 23 livida, 25 cefalo. C’è anche un endecasillabo tronco al
v4 non è più, quindi v4 ha 10 sillabe e gli altri v sdruccioli ne hanno 12, ma sono sempre
endecasillabi. Poche rime, quella che maggiormente si intravede al v10 ora con v17 adora, quindi
rima esposta ed è anche inclusiva.
Commento e parafrasi:
L’ombra della magnolia giapponese si sfoltisce or che i bocci paonazzi sono caduti magnolia
giapponese è quella che perde le foglie e fa fiori rosa-violacei. Paonazzi nel senso della
colorazione di questi fiori. È diversa dalla magnolia europea che è un sempreverde. È una
magnolia questa che è destinata a perdere l’ombra perché cadono le foglie e quindi è destinata a
perdere il suo significato di protezione, di resistenza e anche di memoria di persone care. Diventa
meno folta (si sfoltisce) perché non è più il tempo della bufera. Vibra intermittente in vetta una
cicala.--> su questa ombra della magnolia una cicala continua a vibrare intermettente, cioè non è
un suono continuo. Se noi lo riferiamo alla poesia x Clizia ci da l’idea che la poesia di Montale
sempre meno è dedicata a Clizia e infatti lo dice. O Clizia, non è più il tempo dell’unìsono vocale,
Clizia o clizia non è più il tempo del suono, canto comune che univa me e te, della tua voce che
segue la mia o della tua che segue la mia., non è più il tempo dell’accordo dei sentimenti. Non è
più il tempo o del nume illimitato che divora e rinsangua i suoi fedeli questo dio sconfinato,
infinito, scritto con la n minuscola (nume). Non è il dio infinito dei cristiani, è un dio terreno che
annichilisce e resuscita i suoi fedeli. O c’è un riferimento contingente (ma i tiranni non ci sono più,
quindi non è probabile anche perché quei numi nel senso di tiranno divorano solo e non danno la
vita ai suoi seguaci). Nume da intendersi in senso erotico: è eros, il dio dell’amore, il dio che
divora ma può anche far guarire i propri fedeli ed ha un potere illimitato. Non è più il tempo
dell’amore fra di noi. Spendersi era più facile, morire al primo batter d’ale, al primo incontro col
nemico, un trastull parole che sembrano rivolgersi alla situazione precedente, cioè quella della
guerra infatti usa l’imperfetto. Un tempo per noi era più facile sacrificarsi, era più facile morire al
primo batter d’ale (ali di angelo di lei), era quasi un gioco morire al primo incontro con il nemico.
Ora che non è più quella situazione che è quella della guerra finita, infatti dice: comincia adesso
che la guerra è finita, la strada più difficile. La frase principale che tiene unito tutto il periodo è:
flette il brivido del gelo il gelo che è caduto fra di loro ma che non riguarda te. Consunta dal
sole: con rinvio al girasole che rappresenta Clizia, l’eliotropo. Tu che sei quasi in ricordo del tuo
ruolo di girasole radicata come il fiore del girasole che ha radici. Sei una morbida cesena: cesena è
un uccello. Sei un uccello delicato che sorvola alto. Fiume: fiume di New York che identifica la
terra dove vive e lei sa ancora volare in alto sopra questo fiume, sopra il suo paese. Le fredde
banchine: gli Stati Uniti sono sempre legati con elementi legati al freddo. Freddo riconduce sempre
a BranAIS. Tu che sei fragile fuggitiva (= sostantivo) alla quale zenit nadir (zenit:punto in cui il
sole è più in alto nell’orizzonte, NADIR è IL CONTRARIO)), cancro e capricorno ci riconducono
ai tropici, come a dire che lei non fa distinzioni geografiche, non si cura del mondo nella sua
dimensione fisica. Il mondo qui è identificato con questi 4 sostantivi di natura geografica-
astronomica. Nadir e zenit sono parole di origine araba. Tu a cui la cura del mondo rimase
indistinta (=che non hai guardato in faccia a nessuno) affinché la guerra fosse dentro di te e in
colui che adora su di te (Montale) le stimme (= attributi cristologici, riferimento a Cristo,
indirettamente sembra che Clizia sia presentata come la chiesa che x tradizione è la sposa di
Cristo). Quindi il brivido del gelo, dell’inverno, che ha provocato lo sfoltimento dell’ombra della
magnolia, il freddo che sta x arrivare, che è un freddo metafisico, non ti fa muovere dal tuo essere
girasole (non ti flette), dal tuo essere angelo, dal tuo essere figura di Cristo. Gli altri (chi non ti ha
seguito, chi non ti ha adorato) arretrano e piegano. Lei sembra essere rimasta tale e quale. La lima:
potrebbe anche essere anche la lima del tempo che incide come un tarlo, ma non sembra essere la
spiegazione corretta. La spiegazione è quella del limio cioè l’azione della lima il suono della
cicala assomiglia al suono di uno che lima. Quindi il suono è quello della poesia per Clizia. Tacerà
il lavoro di lima della poesia. La vuota scorza della cicala di colui che cantava x te diventerà presto
polvere di vetro (immagine che ricorda l’inizio della primavera hitleriana con le falene che erano
morte e con il piede che scricchiolava su di loro), quindi resterà quasi nulla. L’ombra del giorno
ma anche l’ombra della magnolia scompare, scompare la luce, infatti dice: è l’autunno, è un’altra
stagione. È qualcosa che va oltre il cielo (probabilmente la morte o una dimensione metafisica che
conduce lei, è una dimensione in cui è lei, ma che il poeta non può raggiungere). Mi getto in
questa dimensione (oltre cielo) come se fossi un cefalo, quindi un pesce, che durante la luna
nuova, quindi in pieno buio lunare, salta fuori dall’acqua. È letteralmente l’immagine del pesce
fuor d’acqua destinato a soccombere. Quindi il poeta cerca questa dimensione, ma non riesce a
trovarla. È come un pesce fuor d’acqua. L’ultima parola è addio ed è un addio al mondo poetico
rappresentato da Clizia, un addio alla poesia x Clizia. È un altro tempo, non è più il tempo della
guerra, dell’unisono vocale. È un tempo in cui i due potevano essere sintonizzati l’uno sull’altro,
in particolar modo la poesia di Montale in questo momento sta per chiudere la sintonia con Clizia.
Quindi poesia meta-poetica.

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