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Tardo di mente (rivolto a se stesso): lento nel capire e nel prendere decisioni
piagato (nel fisico) dolorante dal pungente giaciglio si deve buttare su un giaciglio che
evidentemente è un pagliericcio che punge.
mi sono fuso 20 col volo della tarma :ho finito per identificarmi col volo della tarma che abita le
prigioni dove si trova il poeta [quindi con l’unico volo possibile in quella situazione]. La tarma è
un animale insignificante che può essere considerato qui per il fatto che vola, quindi può essere
semplicemente un alter-ego, un sostituto dell’uomo stesso.
che la mia suola sfarina sull’impiantito: quella tarma che una volta a terra inavvertitamente
schiaccio, quindi è un volo che dura poco e limitato all’interno di quella cella. Che la mia suola
rende farina una volta calpestata sul pavimento (impiantito).
[mi sono fuso] coi kimoni cangianti delle luci sciorinate all’aurora dai torrioni: kimoni cangianti
delle luci è una metafora piuttosto forte. Il termine kimono deriva dal giapponese, qui di per sé
sono degli abiti sgargianti. Kimoni cangianti delle luci si riferisce ai vari colori delle luci che
cambiano. Torrioni: torri di vedetta di cui parla al v1. Sciorinate è un verbo che solitamente si
utilizza per i panni stesi al sole. Quindi: luci che si mostrano all’aurora dai torriori.
ho annusato nel vento il bruciaticcio dei buccellati dai forni, siamo di fronte a una serie di
sensazioni che sono inizialmente visive e poi qui diventano olfattive. Buccellati è un biscotto
tipico della zona di Lucca. Quindi arriva l’odore di bruciato di questi biscotti dai forni (che non si
sa dove siano). Questi forni non possono non ricordare l’olocausto e cioè i forni nazisti. Questo
va detto perché ci sono alcuni riferimenti nella strofa precedente che iniziava con la purga dura
da sempre con riferimento indiretto, ma evidente alle purghe staliniane, ai crimini della sinistra.
Qui siamo di fronte ai crimini della destra. In ogni caso qui sinistra e destra non hanno modo di
essere, semplicemente sono delle tirannie che provocano disastri e vittime. Riferimento implicito,
ma piuttosto evidente ai forni crematori.
mi son guardato attorno: non può fare altro che guardarsi all’interno di queste pareti della cella.
ho suscitato iridi su orizzonti di ragnateli e petali sui tralicci delle inferriate: Ho fatto nascere
(con la fantasia) (suscitare) iridi (richiamo sicuro a Clizia visto che c’è la poesia Iride che è legata
a Irma. Iride è iris che nella mitologia classica è l’arcobaleno)arcobaleni su orizzonti (limiti
della cella, quindi stretti orizzonti, sui confini della ragnatela della nostra cella) laddove c’erano
delle ragnatale e ho fatto nascere fiori sui tralicci delle inferriate (tralicci delle inferriate sono
quelli che impediscono di uscire dalla prigione) ho trasformato questi tralicci che mi chiudono
dentro in piante da fiore. È un riferimento alla capacità della poesia poesia che fa nascere fiori
dove fiori non ci sono. La sottolineatura sul pronome personale io ho suscitato grazie alle mie
capacità di uomo e in questo caso grazie alla poesia.
[come uomo] mi sono alzato, sono ricaduto: ho tentato molte volte di superare questa situazione,
ma non ce l’ho sempre fatta. Nel fondo: sembra essere ricaduto in un pozzo senza fondo,
nell’estrema profondità dell’esistenza.
dove il secolo è il minuto: Dove il minuto dura un secolo (v30).
Trattino al v30: chiude il trattino aperto al v8, si chiude la lunga parentetica e si riprende la realtà
della prigionia.
e i colpi si ripetono ed i passi, e ancora ignoro se sarò al festino farcitore o farcito Continua a
sentire questi rumori, questi colpi che potevano essere di qualsiasi cosa, quindi si ripetono i colpi
e i passi evidentemente di questi guardiani che si sa che esistono semplicemente quando aprono
lo spioncino e guardano dentro la cella. e i colpi si ripetono ed i passi: è un’epifrasi, ed i passi
viene aggiunto dopo. Per non essere epifrastica avrebbe dovuto essere: e i colpi ed i passi si
ripetono. Tra i due elementi della coppia si inserisce il verbo. Dal punto di vista metrico si
sottolinea la presenza di e congiunzione (e i colpi ed i passi perché e da una parte ed
dall’altra?) fatto perché la scansione delle sillabe sia corretta.
e ancora ignoro se sarò al festino farcitore o farcitoNon so bene ancora, nonostante gli anni
passati in questa prigione, se alla festa finale sarò il cuoco (farcitore) o il cibo preparato dal
cuoco. L’attesa è lunga, il mio sogno di te non è finito. L’attesa della fine o di un evento
definitivo è lunga, il mio sogno di te (della donna) non è finito. Questa donna diventa simbolo di
una speranza un po’ com’era a Silvia di Leopardi, anche se Silvia muore e muore la speranza essa
stessa. Se il sogno di lei, di questa donna, dell’amore, della speranza non sono ancora finiti, cioè
un barlume esiste. La poesia non ha un finale negativo. A proposito di e ancora ignoro se sarò al
festino farcitore o farcito Montale nel ’38 in una delle ultime lettere scritte a Irma aveva scritto
ero l’agnello e ciascuno pensava che io fossi il macellaio. Il mio sogno di te non è finito: finisce
anche con un recupero di Calderon de la Barca toda la vida es sueno.
Nel parco
Aprile ’46 nella rivista Lettere e arti. La costruzione della poesia è abbastanza diversa dalla
precedente. Il titolo ci riporta a un luogo aperto: la serra era di per sé un luogo chiuso con
sospetto di un correlativo oggettivo di qualcosa, nel parco ci riporta a un luogo aperto. A questo
luogo aperto si riferirebbe la magnolia dell’incipit, magnolia che è stata oggetto di uno studio di
Stefano Carrai intitolato la Magnolia di Montale, è un articolo uscito nel 2020, un volume
miscellaneo per un collega che andava in pensione. Carrai poi ha ripubblicato questo e molti altri
suoi interventi su Montale in Volume che si intitola Nell’ombra della magnolia. Torna questa
magnolia e torna l’ombra della magnolia che è presente all’inizio di questa poesia. Carrai
legherebbe l’immagine della magnolia a Firenze e dunque a Clizia. La magnolia che nella poesia
la Bufera era citata da subito e simboleggiava protezione, resistenza, ma anche la poesia che è
una via di fuga, una protezione contro i tempi bui riesce a proteggere. Siamo però nel ’46: la
guerra è finita e quindi la magnolia come simbolo di resistenza e di speranza nel futuro ha
esaurito la sua funzione. Diversa ambientazione ricavabile dal titolo Nella serra-nel parco. Il
sogno è presente nella serra, nel parco non sembra esserci il sogno, ma una visione che a un certo
punto ha più caratteri di incubo.
La prima immagine: freccia di cerbottana che sfiora il poeta, il termine freccia anticipa l’anguilla
in cui si parla dell’amore come freccia d’amore in terra. Il termine freccia in Montale all’altezza
della Bufera è connotato dall’amore, è la freccia di eros. Quella freccia è un segno dell’amore.
Questa freccia viene paragonata a una foglia di pioppo nella seconda quartina. Probabilmente
parla di pioppo perché le sue foglie assomigliano a una freccia, è sempre la freccia dell’amore.
Quella freccia d’amore è tirata da una mano di qualcuno, ma ipotizziamo sia meglio qualcuna. È
tirata da eros, ma dietro eros c’è lei. Nelle due quartine successive più il verso finale si affermano
dei segnali negativi: un riso che non mi appartiene è un riso che non è quello del poeta e che
non è più suo, quindi qualcosa che è diventato estraneo, poi si parla di un trillo al v12 cioè un
suono acuto che ferisce il poeta, cioè punge le vene, se punge le vene ne uscirà sangue quindi è
un suono acuto che sembra quasi far sanguinare il poeta. Vv13-14: l’ombra è l’ombra della
magnolia che di solito crea un’ombra circolare, ma qui invece la ruota è deforme quindi
evidentemente è un’ombra che non protegge più di tanto. L’aggettivo deforme è sicuramente
negativo. Poi si parla delle radici ossute della magnolia, ossute è un’antropomorfizzazione
dell’aggettivo e anche questo ci riconduce a immagini quasi funeree. C’è poi quest’immagine
meno negativa del poeta che punge con fili di paglia il viso di lei: potrebbe essere un’immagine
di intesa fra i due. Pungere v16: viene ripetuto due volte in questa lirica, v12 un trillo che punge
le vene, v16 pungo con fili di paglia. La prima azione riguarda l’io poetico e la seconda riguarda
la donna che viene punta. Pungere qui ha un significato petrarchesco che è quello di ferire, ferire
con una punta, di solito è una lama, qui è la punta di freccia di cui ha parlato inizialmente. Mentre
la donna ferisce veramente il poeta, un trillo che punge le vene, lo fa quasi sanguinare, questi (il
poeta) le restituisce dei leggeri colpi con fili di paglia, non è così severo l’atteggiamento del
poeta. Sembra una situazione amorosa sbilanciata e questa situazione amorosa sbilanciata
potrebbe essere riferita a Irma, ma qui il verbo pungere ci riconduce ad Annetta e alla poesia
Annetta del diario del ’71-72 ai vv 38-39 Montale si domanda: mi domando che cosa rappresentò
questa donna per me? E risponde: rappresentò una punta che feriva quasi a sangue. Questa
immagine è vicina al trillo che punge le vene della poesia nel parco. Quindi il verbo pungere e il
termine punta, che è un termine petrarchesco e riguarda la poesia amorosa, si attaglia meglio ad
Annetta che a Irma. Nel Parco viene rappresentato il riaffacciarsi visionario dell’antico amore per
Anna avvertito sempre nelle sue valenze di sofferenza e di morte, avvertito sempre nei suoi
elementi negativi. Se accettiamo quest’ipotesi si direbbe che questo dittico sarebbe dedicato il
primo a Irma, il secondo ad Anna, cioè alle due donne più importanti per il poeta fino a quel
momento. Irma sognata in positivo, Anna ricordata attraverso una visione negativa nel tentativo
di esorcizzare quest’immagine che continua a tormentare il poeta ancora molti anni dopo.
Formalmente sovrapponibili, ma ben distanti nei contenuti queste due poesie. Montale le tratta in
parallelo e assegna loro gli stessi spazi anche mentali. La diversità si coglie a livello metrico e
ritmico. Queste poesie non hanno né endecasillabi né settenari, metri dominanti in tutta la sezione
Silvae, queste sono due poesie che si pongono al di fuori di quell’uniformità metrica caratteristica
di Silvae, proprio qui abbiamo una diversità sostanziale dal punto di vista ritmico-metrico. A
ribadire il legame fra le due poesie è una stessa rima che si ripete dall’una all’altra: nella sera
abbiamo intriso che rima con viso al v11, nel parco abbiamo riso al v9 interna e viso che è
l’ultima parola.
Rime: m’appartiene-vene; calute-ossute; mi allungo-pungo.
Parafrasi e commento:
Nell’ombra della magnolia che sempre più si restringe, a un soffio di cerbottanala magnolia dà
un’ombra, però se quest’ombra si restringe (e visto che sotto è definita deforme, quindi
quest’ombra non è più folta e rigogliosa vuol dire che questa magnolia ha perso delle foglie
probabilmente perché è autunno) a causa della stagione. Sembra che da questa magnolia
provenga una freccia soffiata da una cerbottana. Questa cerbottana mi sfiora, quasi non colpisce il
poeta, e si perde lontano. È un segnale misterioso. La freccia è pur sempre la freccia d’amore.
Pareva una foglia caduta dal pioppo paragona questa freccia di cerbottana alla foglia del
pioppo. Abbiamo semplicemente un passaggio fra la freccia e una foglia di pioppo. Quella freccia
improvvisamente si anima e diventa qualcosa di concreto, legato a un corpo, la mano. (che) il
quale pioppo perde colori (si stringe) a un colpo di vento autunnale che fa cadere nuove foglie dal
pioppo. Dopo c’è il trattino che importa un cambio di situazione:
e fors’era una mano 8 scorrente da lungi tra il verde e forse era una mano che passava com’era
passata la freccia da lontano fra le piante.
Un riso che non m’appartiene trapassa da fronde canute fino al mio petto Un riso che ora non
mi appartiene più, quindi questa risata è qualcosa da riferire ad altri. Nella poesia due del
crepuscolo a un certo punto si dice riferito ad Anna degli Uberti il gesto già più non v’appartiene,
la non appartenenza sembra essere tipica di Anna.
Arriva da fronde canute (di per sé sono le fronde degli alberi incanutite perché è autunno, però
visto che canuto è un aggettivo antropomorfico potrebbero essere i capelli della donna ormai
imbiancati) e quindi questo riso trapassa fino al mio petto. Il petto secondo la tradizione lirica è il
cuore del poeta.
lo scuote un trillo che punge le vene: il trillo è un acuto di riso che scuote il mio petto, il mio
cuore e mi fa sanguinare le vene.
E rido con te sulla ruota: il riso primo era lontano cioè non apparteneva al poeta. Adesso è un
riso sulla ruota deforme dell’ombra. La ruota deforme dell’ombra è prima di tutto il cerchio
dell’ombra della magnolia che non è più pieno e rotondo visto che la stagione è autunnale. Ma
quando si parla di ruota parliamo della ruota del tempo, cioè del tempo lineare che trascorre ed è
un tempo però deforme questa volta. Quindi è un tempo forse non più misurabile e l’aggettivo
deforme si riferisce meglio all’atmosfera funerea e quindi ad Anna.
mi allungo disfatto di me sulle ossute radici che sporgono: disfatto di me oggi diremmo
distrutto, non più me stesso. Sembra quasi non riconoscersi e si allunga sulle radici della
magnolia, ma sono radici ossute che sporgono e quindi antropomorfizzate anche queste e anche
queste radici sono un correlativo della presenza di lei, il campo semantico è quello di una creatura
ridotta alle ossa, scarnificata come un cadavere.
Pungo con fili di paglia il tuo viso: pungere finale potrebbe essere anche un segnale di simpatia,
sembra un gesto esorcistico (es. gli aghi che vengono inseriti in qualche bambolina per
esorcismo, che qui diventa più semplicemente fili di paglia che pungono il viso di lei) quasi un
allontanare da sé un’immagine che lo perseguita.