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LEZIONE 6

L’orto
Prima edizione nella Fiera Letteraria nell’aprile del 1946, poesia che ha alcune varianti d’autore
rispetto alla redazione pubblicata nella Bufera e altro del 56. Il titolo l’orto è una parola chiave
fin dal primissimo Montale, fin dagli Ossi di Seppia. L’orto per cui si intende una sorta di
giardino più che un orto nel senso odierno del termine (coltivazione degli ortaggi). L’orto qui è
soprattutto un giardino. Fra l’altro la prima poesia che Montale scrive Meriggiare e pallido
assorto doveva intitolarsi inizialmente fra gli orti e in effetti la parola orto compare fin da
meriggiare e pallido assorto (muro d’orto). Richiamare un termine come orto all’altezza della
Bufera (aprile del 46 siamo appena finita la guerra), questo richiamare significa ricollegarsi al
luogo per eccellenza della fanciullezza di Montale, cioè Monterosso. L’orto come già in
Meriggiare e pallido assorto assume una simbologia che si continua per tutto Montale. L’ORTO
è sia l’ortus conclusus del letterato e cioè è quel terreno delimitato della poesia, ma è anche
l’orto recintato da un muro oltre il quale è impossibile passare. Quindi l’orto che reca con sé
l’idea di muro e quindi di recinto è qualcosa che costringe, impedisce in sostanza il gesto di
libertà, dell’andare oltre. In questa poesia siamo nel ‘46, meriggiare e pallido assorto era del
16 c’è un cambiamento perché l’ortus non è più conclusus, non è più recintato, ma fa
intravedere un varco che qui viene chiamato l’oltre. L’orto quindi non è più un reliquiario. Il
termine reliquiario compare nella prima poesia degli Ossi di seppia, in limine, poi si dice che
l’orto è un reliquiario cioè è una sorta di cimitero e poi Montale sempre in limine sottolinea che
quell’orto è anche un morto viluppo di memorie come a dire che nella simbologia iniziale di
questo tema, l’orto era legato a delle memorie passate, superate. Qui invece l’orto è ripensato
dinamicamente. Oggi diremo forse diacronicamente perché confrontato il passato di
Monterosso con quello che sarebbe successo poi all’io poetico, cioè con la vita successiva e
questo significa per Montale in particolar modo confrontare 2 donne: la donna di Monterosso
che non può essere che Arletta anche se qui forse viene fuori a un certo punto Paola Nicoli.
Quindi si confronta Monterosso cioè Anna degli Uberti con la donna venuta dopo cioè Irma.
Per usare una terminologia di Auerbach, autore del secolo scorso, filologo romanzo e dantista,
ci ha lasciato uno dei saggi più profondi sulla Commedia intitolato Figura in cui dice che nella
Commedia i personaggi incontrati da Dante sono figura di loro stessi, cioè il personaggio che
era vivo una volta morto adempie completamente a quello che era in vita. Quindi abbiamo due
termini: il personaggio vivo che prefigura quello che sarà il personaggio morto e il personaggio
morto che non altro che la realizzazione completa del personaggio che era in vita. Come dire
che Anna e Irma sono viste come una la figura dell’altra, cioè Anna è una sorta di
presentimento, di preparazione della seconda che è la vera figura cioè è la realizzazione
completa dell’immagine della donna che è prefigurata prima. Il punto d’arrivo è Irma-Clizia che
è la figura adempiuta e completa di tutte le altre donne precedenti, in particolar modo di Anna.
In questa poesia si ripetono tutte le caratteristiche note di Clizia fin dal primo verso: io non
sono messaggera che scende messaggera è un angelo come Iride che scende dal cielo sulla
terra, è figura di Cristo, è anche colei che unifica le due religioni il cristianesimo di Montale e
l’ebraismo della famiglia stessa di Irma. Irma tra l’altro si era impegnata al ritorno degli ebrei
nella Terra promessa, cioè verso la creazione di quello che poi sarà lo Stato d’Israele. Clizia è
anche colei che avrebbe potuto dare una svolta al destino di Montale, ma così non è stato, tanto
che il poeta si chiede quanto abbiano influito in lui la libertà di scelta e il destino, cioè la
necessità, quello che era già stabilito da sempre. Forse le cose avrebbero potuto andare
diversamente. La poesia è scritta quando non c’è più la guerra, quindi la situazione rispetto a
Iride che era del ‘44, questa è già una poesia che ci porta al dopoguerra. La guerra non incalza
più, la donna angelo di prima, colei che salvava il mondo durante la bufera, colei può tornare a
investire un ruolo personale com’era all’inizio nelle Occasioni, ma ormai non si torna più
indietro. Questa Clizia che può tonare da dea, può tornare a incarnarsi di nuovo dopo essersi
disincarnata, questa donna non c’è più per sempre per Montale, non si torna più indietro.
Metro: 4 strofe di 13 versi ciascuno, è la misura classica delle stanze di Montale. Per Montale
stanze sono strofe che hanno lo stesso numero di versi. Questa che vediamo possiamo anche
definirla stanze, stanze che in Iride aveva anche una parte finale per cui avevamo parlato di
congedo e di una possibile struttura di canzone. Un po’ tutte le principali liriche di Silvae
possono essere intese come canzoni in senso lato. Questa sarebbe una canzone senza congedo.
Siccome la canzone è il metro per eccellenza dello stile alto della nostra letteratura, qui in
questa sezione Silvae in cui tocchiamo livelli alti dello stile di Montale, qui possiamo parlare di
strutture a canzone. Sono endecasillabi e settenari, ma ci sono anche degli alessandrini e c’è
qualche ipometro per es verso 13 l’ultimo della prima stanza è un decasillabo o il verso 18
novenario. Se noi stiracchiamo questo verso inducendo delle dialefi questo novenario potrebbe
diventare un decasillabo.
In questa poesia domina l’anafora: la ripetizione accumulativa di una serie di termini in
particolar modo l’anafora più evidente è quella di “io non so…se” (v1-v3; v6-v14; v17-v23).
Quest’anafora riguarda la prima e la seconda strofa, nella terza questo meccanismo si ferma ed
è formata da un unico periodo come la prima e la seconda. Nella terza l’anafora è l’ora…che
(v27,v29). Possiamo anche quasi dire che al v34 che comincia con l’opera, questa parola
contiene l’ora, e quindi abbiamo l’ora v27, 29, 34 con un’ora nascosto. Anche la quarta strofa è
di un unico periodo e l’anafora questa volta è molto breve ed è del vocativo o. Ci sono varie
rime, specie nella terza strofa.
PARAFRASI E COMMENTO:
L’orto: per noi e per Montale è soprattutto quell’orto, cioè il giardino della casa di Monterosso.
VV 1-2: Io non so, messaggera che scendi: c’è un’apostrofe, si rivolge direttamente a una
donna. Il termine messaggera: angelo che viene dal cielo sulla terra. Questa apostrofe non c’era
nella prima redazione, quindi Montale ha voluto calcare ancor di più fin dall’inizio il fatto che
questa poesia è rivolta a Clizia. Il testo inziale diceva: io non so, prediletta del mio Dio
quindi l’apostrofe costituita da “tu che sei prediletta del mio Dio”. Nei vangeli prediletta è un
aggettivo rivolto a Maria. Prediletta del mio Dio diventa qui un’apposizione del primo
messaggero.
(Del tuo forse): del mio Dio sì, del tuo Dio forse sei prediletta. La distinzione qui è quella fra
l’ebraismo di Irma e della sua famiglia e il cristianesimo della tradizione italiana. Parla di due
religioni appartenenti a due popoli diversi.
Prima di se nel chiuso nella prima redazione era scritto così: che ti posi a capo sui gradini
scoscesi. Molto probabilmente i gradini possono essere anche quelli di una chiesa, però a meno
che la chiesa non sia in abbandono, solitamente non sono scoscesi. Quindi questi gradini
scoscesi stanno meglio se intesi come i gradoni delle Cinque Terre. Evidentemente l’ha
eliminato perché questa designazione era troppo geograficamente connotata.
Se nel chiuso dei meli lazzeruoli ove si lagnano i lui nidaci, estenuanti a sera: accumulazione in
anafora. Se nel chiuso: il chiuso ci riporta all’ortus conclusus cioè all’orto che è chiuso da un
muro. Dei meli lazzeruoli: con riferimento indiretto nella memoria di Montale ai meli di
Monterosso. Sono un tipo di mela selvatica, sono molto diffusi in Liguria, appartengono alla
famiglia delle rosacee. Fra questi meli si lamentano (si lagnano) i passeri (lui) stanziali (nidaci
perché fanno il nido, quindi stanno fermi, non emigrano). Il fatto che si parli di lamenti di lui e
si parli di nidaci, con riferimento al nido, probabilmente fa riferimento ai gridi quasi lamentosi
dei piccoli che chiedono di mangiare e quindi tutto il giorno si lamentano. Si lamentano tanto
che arrivati verso sera non se ne può più di sentire questi lamenti perché durano dal mattina fino
a sera (estenuanti a sera).
Io non so se nell’orto dove le ghiande piovono e oltre il muro si sfioccano: Io non so se
nell’orto dove le ghiande cadono (piovono) e oltre il muro (il muro è un termine quasi chiave in
Montale, il muro è quello che delimita l’orto ed è quello di Monterosso) si sfaldano (si
sfioccano), leggere come l’aria (aerine), le inflorescenze a grappolo (ghirlande) che si staccano
dai carpini e indicano (accennano) lo spumoso confine dei marosi, cioè oltre il muro vanno a
finire verso il mare (lo spumuso confine dei marosi). Bisogna sottintendere: le ghirlande dei
carpini che accennano lo spumoso confine dei marosi, che accennano una vela tra le corone…
termine transitivo. Accennano cioè indicano una vela.
una vela tra corone di scogli sommersi e nerocupi o più lucenti della prima stella che trapela:
vela (simbolo di salvezza) tra corone di scogli sommersi e nerocupi o più lucenti: in mezzo agli
scogli di quella zona che sono sommersi sotto l’acqua e per questo sono neri oppure sono più
lucenti gli scogli che affiorano. Della prima stella che trapela: si fanno vedere più lucenti delle
prime stelle della sera.
Continua nella seconda strofa lo stesso periodo e non abbiamo ancora trovato il verbo reggente.
Io non so se il tuo piede attutito il cieco incubo onde cresco alla morte: il tuo piede attutito non
può che essere quello di Irma-Clizia perché nei Mottetti compare spesso il passo felpato. Il
piede attutito in questo senso, è un piede che si muove senza far rumore. Il cieco incubo è lei
che rappresenta un incubo cieco, in questo caso l’incubo rappresenta l’amore che nella
redazione finale è definito cieco mentre nella prima redazione era definito dolce, è un cambio di
prospettiva che ci riconduce al sentimento dell’amore. Dolce è già in Petrarca un connotato
dell’amore che di solito è dolce e amaro, preso in ossimoro. Cieco in Petrarca è anche il cieco
labirinto d’amore. Quindi questo cieco incubo, anche con la variante precedente, è conferma
del fatto che quell’incubo è l’incubo amoroso. Onde cresco alla morte dal giorno che ti vidi: in
seguito a questo amore, lui dice, cresco la morte dal giorno che ti vidi, quindi da quando ti vidi
il mio vivere è un lento morire (cresco alla morte). L’amore è come un morire continuo.
io non so se il tuo passo che fa pulsar le vene: fa pulsare le vane fa battere forte il cuore
quando ti avvicini a me.
se s’avvicina in questo intrico: intrico dell’orto, ma anche della vita: una serie di fatti che non si
capiscono. Non so se il tuo passo che mi fa battere il cuore forte quando tu ti avvicini a me , è è
quello che mi colse un’altra estate: è quello che mi ha colto anche prima di conoscere Irma,
un’altra estate, un’estate precedente non so se tutte queste cose e sostanzialmente l’amore che
ho per te, non mi abbia visitato anche prima, quindi con Annetta.
Prima che una folata [di vento] radente contro il picco irto del Mesco infrangesse il mio
specchio: il Mesco è il promontorio vicino a Monterosso. La folata è la folata di vento radente
contro il picco irto del Mesco questo è quasi un recupero di una situazione presente negli
Ossi e in particolar modo nella poesia Vento e bandiere, poesia aggiunta nella seconda
redazione degli Ossi di seppia del ‘28, è l’ultima poesia della sezione intitolata movimenti ed è
sicuramente scritta per Annetta. In Vento e bandiere, Montale scrive: La folata che alzò
l’amaro aroma del mare alle spirali delle valli, e t’investì, ti scompigliò la chioma. Questa
folata di vento è quella ricordata in Vento e bandiere per Anna degli Uberti.
SostanzialmenteNon so se questo sentimento d’amore sia lo stesso che mi ha colto tanti anni
prima di incontrare Irma, a Monterosso, prima che arrivasse questo vento che poi ha distrutto
quest’amore per Anna, prima che il vento infrangesse questa folata. Una folata di vento che ha
infranto il mio specchio (lo specchio di me come in Ballata scritta in una clinica è lei, è la
personata amata che è specchio di chi la ama e viceversa. La prima redazione di questa poesia
in questo verso diceva: infrangesse il tuo specchio cioè l’immagine che io avevo di te, ma è la
stessa cosa. è una variante intercambiabile detta anche variante adiafora.
Io non so se la mano che mi sfiora la spalla è la stessa che un tempo sulla celesta rispondeva a
gemiti d’altri nidi, da un fólto ormai bruciato: io non so se questa mano che mi sfiora la spalla
adesso (non è una presenza fisica, sembra quasi una mano immaginaria) sia la stessa (mano di
Clizia) che mi ricorda colei che un tempo suonava la celesta (strumento a tastiera). Questo
riferimento ci riporta a una poesia degli Ossi di Seppia e in particolar modo a un osso breve che
comincia con tentava la vostra mano la tastiera ed è rivolto a Paola Nicoli. Sembra quasi che
Montale faccia delle donne di Monterosso un’unica donna. Quindi è la stessa che un tempo
sulla celesta, su questo pianoforte rudimentale, faceva eco a gemiti provenienti da nidi diversi
rispetto a quelli dei nui, quindi era uno strumento che rispondeva ad altri scopi, da un giardino
(folto) ormai arido/ secco (bruciato) nella memoria.
L’ora della tortura e dei lamenti (linguaggio che si riferisce alla guerra) l’ora nel senso del
periodo in cui sono durati la tortura e i lamenti. Usa il passato perché questi lamenti sono finiti.
È un riferimento più o meno diretto a un inno ecclesiastico cioè il dires ire, giorno dell’ira. Qui
si dice fra le altre cose: l’ora della tortura e dei lamenti. È un calco del dies ire che troveremo
anche dopo. L’ora della guerra che s’abbatté sul mondo usa il passato perché evidentemente
sono finiti i lamenti e la tortura. , l’ora che tu leggevi chiara come in un libro-->l’ora che tu
potevi leggere nel libro del futuro (prima redazione: l’ora che tu leggevi come un libro aperto. Il
libro aperto è quello dell’apocalisse, della fine del mondo. Ma lei, già nelle Occasioni, si da
l’immagine di Irma che sa quello che succederà nel futuro) fissando (figgendo) i tuoi occhi
cristallini, ma anche forti e duri come il cristallo (il duro sguardo di cristallo). Il cristallo si
rivolge anche a una specie di sfera di cristallo dove lei legge il futuro, una sorta di profetessa.
Quindi gli avvenimenti che tu avevi già prefigurato grazie ai tuoi occhi che sanno guardare a
fondo delle cose (bene in fondo v.31 occhi che sanno guardare a fondo delle cose).
là dove acri tendìne di fuliggine di fuliggine alzandosi su lampi di officine celavano alla vista
l’opera di Vulcano: continua questo discorso che è sempre scollegato dal verbo principale,
quindi è ancora un discorso di accumulazione, di aggiunte di particolari. Acri tendine (nella
prima redazione era cortine)c’è un richiamo a Nuove stanze dove si diceva che anche grazie
alla donna la realtà poteva essere nascosta in qualche modo ai mortali. Acri tendine perché
fanno lacrimare gli occhi visto che si parla di fuliggine cioè di fumo. Alzandosi su lampi di
officine: che si alzando sui lampi di fabbriche militari (officine sono fabbriche) che celavano
alla vista l’opera di Vulcano Vulcano è il fabbro degli dei, in particolar modo di Giove, a cui
prepara le saette. Quindi i riferimenti vanno a quando si stanno preparando per la guerra e lei
l’aveva già intuito, ma c’erano queste acri tendini fumose che ancora impedivano alle persone
normali, alla gente, nel futuro. Acri tendine di fuliggine è un ricordo proprio del dies ire.
Il dì dell’Ira che più volte i l gallo annunciò agli spergiuri qui c’è il riferimento all’atto
evangelico. Quando Cristo stava per essere preso, Pietro rinnegò per tre volte di conoscere
Cristo e Cristo aveva detto “prima che il gallo canti, mi rinnegherai tre volte.” Pietro era uno
spergiuro.
v.35 Il dì dell’Ira: il giorno del giudizio che le scritture avevano annunciato da tempo agli
uomini (spergiuri) non ti ha impedito (ti divise verbo reggente) di condividere il sacrificio
con gli altri uomini, anima integra (anima indivisa), dal supplizio disumano (inumano. È quello
del sacrificio di Cristo), non ti fuse nel fuoco della guerra (caldana), cuore d’ametista (l’
ametista è una pietra dura, quindi cuore inscalfibile che non si piega a compromessi. È
un’immagine della donna che è incorruttibile, che sa vedere nel futuro e che preannuncia il
sacrificio di tutti e in particolar modo il suo personale). Sono apposizioni del tu.
O labbri muti (sono le labbra di Clizia, sono muti perché ormai non parlano più), queste labbra
sarebbero diventate aride a seguito del lungo viaggio celeste fatto d’aria, perché è un viaggio di
lei dal cielo alla terra, che vi sostenne (prima redazione: sentiero fatto d’aria su cui scendesti).
Un riferimento a quelle labbra e poi un riferimento alle sue membra, quindi stiamo parlando di
elementi fisici. Che distinguo a stento dalle mie: le membra che erano tutt’uno con le mie (si
parla qui di amore fisico, si è identificato con lei totalmente), o mani (diti) che consolano la sete
dei morenti, che sanno consolare chi ha bisogno di consolazione (espressione di carattere
cristiano), ma sa anche infuocare di un fuoco d’amore colui che è in vita (vivi infocano). Mani
che sanno benedire chi muore e che sanno fare innamorare chi resta. Labbra, mani, membra.
Dal v40: c’è una sterzata di significato perché mentre prima o labbri muti, o membra, o diti si
riferivano fisicamente a Irma. Adesso lo sguardo va a o intento che hai creato e quindi alla
creazione. O intento (è la volontà divina) che hai creato le sfere del quadrante fuor della tua
misura (le sfere del quadrante si riferisce alle sfere dell’orologio, quindi dire che hai creato le
sfere del quadrante significa dire che hai creato il tempo fuori dalla tua misura cioè al di fuori di
quello che sei tu. La divinità si espande (nonostante noi siamo uomini limitati nella vita,
nonostante questo tu Dio entri nel tempo umano, con riferimento al fatto che Dio si è incarnato.
Tu o Dio, che sei infinito e che hai creato noi finiti, hai voluto essere con noi finiti nello spazio
e nel tempo e persino hai voluto essere presente tu come Dio nell’umanità turpe e in quella più
nobile.
Ti espandi in furie di dèmoni incarnati, in fronti d’angiole precipitate a volo i demoni
incarnati saranno gli uomini peggiori. Demoni incaranti: diavoli che hanno preso la fattezza di
uomini, vengono incarnati, ma ci sono anche fronti d’angiole precipitate a volo cioè
incarnazione umana dell’angiola cioè lei, Irma. Questo vocativo è rivolto a una divinità che si è
incarnata e che sa entrare a far parte degli uomini, i peggiori e i migliori che ci siano.
Se la forza che guida il disco di già inciso fosse un’altra se la contingenza (forza), la forza
della necessità che governa il mondo, che guida il disco già inciso (il disco qui è proprio il disco
di vinile. È già inciso perché noi ci troviamo a vivere una vita con un destino segnato fin
dall’inizio.) Se la forza della necessità che impone (guida) a un disco già inciso, che è quello
della nostra vita, fosse diversa (un’altra), cioè non ci conducesse a una predestinazione della
nostra vita, se avessimo potuto incidere la vita come avremmo voluto io e te avremmo avuto un
unico disco, un unico solco cioè la stessa vita.
Qui Montale incolpa il destino dicendo che era già tutto scritto e quindi non poteva che andare
così. È anche una sorta di tentativo di auto scusarsi per le sue non decisioni.
È una poesia che parte da lontano, dall’amore per Anna, anche se si fa un cenno a Paola e ci si
chiede se quest’amore conosciuto in giovinezza non sia lo stesso che ha conosciuto dopo. Esalta
Irma e le sue capacità prima della guerra di sacrificarsi per gli altri, di pensare o di profetizzare
una guerra imminente e poi però finita la guerra è finito del tutto anche il rapporto con lei.
Quindi non c’è più vicinanza fisica e c’è questo grande rimpianto di aver costruito una vita
comune che non è stato possibile.
Proda di Versilia
Pubblicato per la prima volta nel 1946 nella rivista Società senza titolo, il titolo era
semplicemente l’incipit, però aveva un sottotitolo: Viareggio, 1946. Viareggio è in Versilia
dove Montale quando era in Toscana passava spesso le estati. Questa poesia fu pubblicata
insieme a Ezekiel saw the wheel, anche questa con l’incipit. Queste due poesie avevano però un
titolo in comune ed era: due motivi. Sappiamo che prima di essere due motivi, il titolo era un
altro, due motivi era inserito nelle bozze da Montale, prima il titolo era “due tempi” di ***
(asterischi come a dire un nome che non vi dico). Due tempi diventano due motivi, anche questi
motivi andrebbero intesi in senso musicale come il tempo di una sinfonia. Il motivo è una parte
tematica caratteristica di un componimento musicale. Gli asterischi stanno per nome di donna
probabilmente. Molto più probabilmente si parla o di Clizia o di Annetta e questi dubbi ce li
avremo anche per la successiva Ezekiel saw the wheel.
TitoloProda significa riviera, questo sostantivo ci riconduce all’ultima poesia degli ossi di
seppia che si intitola Riviere. Per antonomasia riviera-proda dovrebbe essere quella delle
Cinque Terre, solo che qui è scritto proda di Versilia, quindi sono altre prode, quelle del
Montale adulto. La proda di Versilia sarà un paesaggio aperto rispetto a quello delle Cinque
Terre che sono orizzonti chiusi, più familiari, ristretti. Proda di Versilia perché questa poesia
contrappone il presente della Toscana (ricordiamo il sottotitolo Viareggio 1946), il presente
dell’età adulta al passato delle Cinque Terre che viene identificato con l’infanzia. Qui Montale
torna sul tema caro che è il contrasto fra il tempo infantile e il tempo adulto, tema già caro a
Leopardi. In questa poesia c’è una contrapposizione polare fra la Versilia e Monterosso e quindi
fra il presente e il passato. Il presente rappresenta la negatività e il passato la positività. Visto
con gli occhi di un adulto è chiaro che il periodo dell’infanzia, qualunque sia stato, è felice
rispetto al presente dell’età adulta. Il presente può essere disumano, duro/aspro, irrazionale,
falso. Sono tutti elementi negativi. Il passato delle Cinque Terre è connotato in senso positivo:
umano, autentico, ragionevole, comprensibile non falso.
In questa poesia ci sono vari richiami: da una parte richiami a Leopardi perché il tema
dell’infanzia contrapposto all’età adulta è uno dei temi fondanti della sua poesia e poi ci sono
degli echi delle Ricordanze dei canti di leopardi. Verso la fine c’è anche qualcosa che ci riporta
all’Infinito di Leopardi fino a che non s’aperse questo mare infinito naufragar veloce in
questo mare (Leopardi). L’altro grande autore presente in questa lirica è Dante, in particolar
modo Dante del Purgatorio cioè di una cantica che non è quella dell’Inferno che Montale tiene
presente molte volte per indicare i mali di vivere o la guerra. Non è paradiso che spesso
Montale avvicina al linguaggio utilizzato per Clizia. Qui è il Purgatorio dello stile mediocre,
elegiaco. I richiami al Purgatorio si ritrovano nella prima strofa dove si parla di morti che
tornano e che ci riconducono a certe atmosfere tipiche del Purgatorio dantesco per esempio i
vivi che pregano per i morti, i morti che si raccomandano dicendo “fate pregare per noi”, nello
scopo del Purgatorio di arrivare prima al Paradiso. Al v9 dove si parla di astore celestiale è un
calco dantesco, Dante parla di astori celestiali.
Metro: abbiamo 4 lasse, non stanze perché hanno un numero di versi differenti. Quindi abbiamo
4 lasse di 52 versi totali: 50 endecasillabi, settenario al v37, un alessandrino al v6. Non ci sono
molte rime, proprio come nelle Ricordanze di Leopardi in cui Leopardi usa l’endecasillabo
sciolto. Quindi qui il metro è quello delle Ricordanze di Leopardi, cioè degli endecasillabi
liberi. L’aspetto stilistico-retorico più importante di questa poesia è la ripetizione verbale, non
tanto l’anafora, quanto proprio l’insistenza sugli stessi termini più o meno coniugati, esempio il
poliptoto che è la figura in cui si ripete uno stesso verbo però in un modo o tempo verbale
differente (es preghi-preghino). Queste ripetizioni verbali danno un tono solenne al dettato e al
tempo stesso queste ripetizioni un po’ mimano l’andare e venire dei ricordi, delle ricordanze.
Quindi è un’insistenza anche su termini quasi uguali.

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