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Eugenio Montale nasce nel 1896 a Genova. Si diploma in ragioneria.

Nel 1916 pubblica la prima


poesia “Meriggiare pallido e assorto” nel 1918 partecipa alla Prima Guerra Mondiale e successivamente
nel 1920 conosce Anna Degli Uberti, che lo ispirerà in alcune poesie. Nel 1925 firma il “Manifesto
antifascista” e pubblica “Ossi di seppia”. Dopo la caduta del fascismo, si iscrive al Partito D’Azione e
partecipa al comitato di liberazione Nazionale antifascista. Successivamente inizia a lavorare per il
Corriere della Sera. Nel 1967 viene nominato senatore a vita per meriti culturali e nel 1975 riceve il
premio Nobel per la letteratura. Muore a Milano nel 1981. PENSIERO: OSSI DI SEPPIA Ossi di seppia è la
prima raccolta di Eugenio Montale. L’opera vede una prima pubblicazione nel 1925 per mano dell’amico
editore Gobetti, ed è successivamente rieditata nel 1928 con l’aggiunta di alcune poesie, che non
mitigano il tono esistenzialista e filosoficamente "negativo" della prima edizione. Il titolo ricorda
l’immagine marina egli ossi di seppia (già presenti nell’Alcyone di D’Annunzio). Essi possono rimandare
ad un’immagine di felicità naturale, oppure ad un’immagine più triste in quanto gettati sulla spiaggia
come inutili relitti. I simboli dominanti sono quelli del mare e della terra; il mare rappresenta un luogo di
beatitudini, mentre la terra è il luogo della sofferenza e del sacrificio. I luoghi sono paesaggi liguri
descritti nella loro asprezza e aridità, che rappresentano la vita dominata dall’angoscia, dalla mancanza
di ottimismo, dalla consapevolezza del “mal di vivere” e dalla sconfitta dell’uomo. Secondo Montale, la
poesia non è più capace di indicare la via della salvezza, ma può solo esprimere la condizione negativa
dell’uomo. Ossi di seppia si suddivide in quattro sezioni, che si intitolano “Movimenti”, “Ossi di seppia”,
“Mediterraneo”, “Meriggi e Ombre”. • La prima sezione è basata su un gioco di opposizioni (Mare-Terra;
Natura-Città; Infanzia-Maturità). • Nella seconda sezione domina il motivo dello scarto, dell’osso di
seppia abbandonato. Il messaggio del poeta vuole essere negativo. VERSO: “Codesto solo oggi possiamo
dirti, […] ciò che non siamo, ciò che non vogliamo. • Nella terza sezione, la prima parte descrive il mare
come patria sognata, mentre la parte finale descrive il distacco da esso. • Nella quarta e ultima sezione,
il poeta accetta il proprio destino di sconfitta. Ossi di seppia, rappresenta la poesia della negatività per
eccellenza. Gli ossi sono una delle tante “forme della vita che si sgretola”, gli inutili rigurgiti che il mare
abbandona sulla riva con il suo continuo rifluire.Il titolo, che propriamente spetta a un gruppo di brevi
liriche poste al centro del volume, vuole significare l’essenzialità cui il poeta mirava e richiamarsi insieme
al paesaggio marino della Liguria, ispiratore della maggior parte delle poesie della raccolta.Il paesaggio
ligure infatti, aspro e sassoso, è contemplato e descritto da Montale in tutta la sua aridità e pietrosità. l
paesaggio ligure, scarno e sassoso, ha dunque nella raccolta un significato preciso perché correlato a
sentimenti di aridità e di solitudine che abitano l’io dell’uomo. Montale infatti indicando oggetti concreti
e reali, stabilisce fra di essi una trama di relazioni complesse. I LIMONI A questa lirica, composta a
cavallo tra 1921 e 1922, Montale affida, insieme alla precedente In limine e alla successiva Non chiederci
la parola, alcune fondamentali dichiarazioni programmatiche In questa poesia viene espresso il concetto
di poeti laureati.Ma chi sono per Montale? Secondo Montale i poeti laureati nelle loro liriche utilizzano
immagini particolari,come viene riportato dal poeta ad esempio piante poco conosciute;mentre i poeti
antiaulici, di cui si sente far parte lo stesso Montale,nelle loro liriche utilizzano immagini umili e
quotidiane: pozzi, anguille, limoni... I poeti laureati vengono detti tali perché sono i poeti più acclamati
per le loro liriche tradizionali, scritte con un linguaggio difficile e prezioso.Uno di questi poeti era
D’Annunzio. Nella seconda strofa ci sono elementi circostanti che suscitano nel poeta un’impressione di
dolcezza inquieta e sono: il mormorio dei rami degli alberi di limoni e il profumo di questi che si espande
sulla terra. Nella terza strofa c’è l’immagine che dà l’illusione che nella realtà sia presente il divino ed è
quando nel silenzio della sera l’uomo ha l’illusione di vedere una figura che si allontana, una divinità
misteriosa. Nella quarta strofa vi è un contrasto che si articola ed è la figura caotica della città e quindi la
tristezza dell’animo rinfrancato dalla visione, di un portone semi-chiuso, di limoni che simboleggiano la
speranza. Non chiederci la parola Nella prima strofa il poeta si rivolge al lettore abituato ad ascoltare
formule sicure e valori assoluti e lo invita a non domandargli parole che diano certezze, come aveva
potuto fare il poeta tradizionale, e versi che svelino la complessità del suo animo. Nella seconda strofa
constata che ci sono uomini fiduciosi nella vita, che non si soffermano a riflettere, non si curano dei
dubbi e delle incertezze esistenziali, di quanto di oscuro c’è dentro di loro (rappresentato dall’ombra
proiettata su un muro scalcinato): costoro non sono consapevoli della precarietà del vivere (di cui
l’ombra nella sua inconsistenza è metafora) e ostentano una sicurezza che è solo indizio di superficialità.
Nella terza strofa il poeta ribadisce di non possedere formule magiche capaci di infondere fiducia al
lettore, svelandogli i misteri della vita e dell’universo. Può solo esprimere il sussurro di una forma
poetica scarna ed essenziale (qualche storta sillaba e secca come un ramo): oggi possiamo sapere solo
«ciò che non siamo, ciò che non vogliamo». La conclusione esprime la crisi degli ideali e delle certezze.
Suoni aspri e ritmi nuovi La lirica presenta i moduli espressivi tipici di Montale. L’imperativo negativo dei
versi i e 9 pone in rilievo la negazione, che nell’ultimo verso è in corsivo. La sintassi è semplice e i periodi
coincidono con le strofe. Il lessico presenta suoni aspri allitteranti (perduto, polveroso prato, stampa
sopra, scalcinato, storta sillaba e secca), per esprimere il tema della negatività e definire l’adozione di un
linguaggio scabro. La mancanza di armonia dei suoni si ripropone a livello metrico per la presenza della
rima ipermetra amico I canicola, cioè di una parola piana (amìco) e di una sdrucciola (cànico-la), della
quale non si conta l’ultima sillaba. Meriggiare Pallido e assorto Il poeta si trova, nelle ore calde intorno al
mezzogiorno, presso il muro di un orto, arroventato dai raggi del sole, ed ascolta i rumori della natura:
tra rovi e arbusti i merli emanano i loro versi secchi e i serpenti si muovono con un fruscio a mala pena
percettibile. Nelle crepe del suolo riarso e lungo gli steli delle piante rampicanti selvatiche si vedono file
di formiche rosse che poi s`intrecciano sulla sommità di piccoli formicai. Tra le fronde, si scorge lontano
il mare dalla superficie tremolante, mentre, dalla sommita di rocce spoglie, si leva il tremolante finire
delle cicale. Il titolo allude a un aspetto temporale della poesia, durante il quale il poeta trascorre le ore
del pomeriggio a pensare. Trascorrere le ore del pomeriggio, assorto e pallido a causa della luce
accecante e della calura, presso il muro rovente di un orto, a sentire tra le spine degli arbusti e i rami
secchi i rumori improvvisi prodotti dai merli e dalle serpi. Spiare le file di formiche rosse nelle crepe del
terreno o sulle pianticelle erbacee, file che si dividono e si intrecciano sulla sommità di mucchietti di
terra accanto ai formicai. Osservare tra le fronde il mare che, illuminato dal sole, sembra fatto di scaglie
luccicanti come squame di pesci, mentre dalla sommità delle alture desolate si leva il frinire delle cicale,
simile a uno scricchiolio.E andando verso il sole che abbaglia, capire con triste stupore com'è tormentata
la vita, come il cammino lungo una muraglia invalicabile, a causa dei cocci aguzzi di bottiglia. Spesso il
Male di Vivere 1916 Parafrasi: Ho sperimentato spesso il dolore dell’esistenza: era il ruscello che [come
in un lamento] gorgoglia, perché il suo fluire è ostacolato, era la foglia rinsecchita e bruciata dalla calura
era il cavallo crollato dalla fatica. Non ho mai sperimentato il bene se non nella condizione prodigiosa
concessa da un distacco superiore: era la statua nella silenziosa calma pomeridiana, la nuvola e il falco
che vola solitario in cielo. I temi: L’esistenza contrassegnata dal dolore non è un tema nuovo alla poesia
italiana, che vanta un precedente illustre in Giacomo Leopardi, in particolare in componimenti come
L’ultimo canto di Saffo e il Canto notturno di un pastore errante dell’Asia, in cui il “male” è assolutizzato
e individuato come il tratto distintivo della vita stessa. In questo caso a prevalere non è però il tono
ragionativo, sebbene sia molto tipico di altre poesie di Montale e contraddistingua invece lo stile
leopardiano, quanto un complesso procedere per immagini che in un crescendo individua il dolore in
tutta la natura (il rivo strozzato, la foglia / riarsa, il cavallo stramazzato…). L’unica possibilità di sottrarsi
alla legge del dolore è la divina Indifferenza, che ribalta parzialmente l’assunto leopardiano: qui
l’indifferenza è un privilegio raro per l’uomo e indica il distacco, il disincanto che pone al riparo dalla
sofferenza; in Leopardi è la crudele natura a essere indifferente alle sorti dell’uomo. Alcuni critici hanno
fatto notare che il secondo verso, era il rivo strozzato che gorgoglia, riecheggia un passo del VII canto
dell’Inferno, quello degli accidiosi, costretti a espiare le loro pene nella melma: “Quest’inno si gorgoglia
nella strozza”, in riferimento al fatto che i dannati con i loro sospiri e la loro ira, che durante la vita
hanno covato dentro di sé, fanno gorgogliare la melma in cui sono gettati. Cigola la Carrucola del Pozzo
Parafrasi La carrucola del pozzo cigola nel salire alla superficie, l’acqua del secchio sembra fondersi con
la luce.Nell’acqua del secchio,quasi magnificamente si delineano i contorni di un’immagine che
ride.Avvicino il Eugenio Montale: vita, opere, pensiero, confronto pessimismo Leopardi-Montale., Sintesi
di Italiano Italiano 4.7 3 recensioni EUGENIO MONTALELA VITAEugenio Montale nasce nel 1896 a
Genova. Si diploma in ragioneria. Nel 1916 pubblica la prima poesia “Meriggiare pallido e assorto” nel
1918 partecipa alla Prima Guerra Mondiale e successivamente nel 1920 conosce Anna Degli Uberti, che
lo ispirerà in alcune poesie. Nel 1925 firma il “Manifesto antifascista” e pubblica “Ossi di seppia”. Dopo
la caduta del fascismo, si iscrive al Partito D’Azione e partecipa al comitato di liberazione Nazionale
antifascista. Successivamente inizia a lavorare per il Corriere della Sera. Nel 1967 viene nominato
senatore a vita per meriti culturali e nel 1975 riceve il premio Nobel per la letteratura. Muore a Milano
nel 1981.PENSIERO:OSSI DI SEPPIAOssi di seppia è la prima raccolta di Eugenio Montale. L’opera vede
una prima pubblicazione nel 1925 per mano dell’amico editore Gobetti, ed è successivamente rieditata
nel 1928 con l’aggiunta di alcune poesie, che non mitigano il tono esistenzialista e filosoficamente
"negativo" della prima edizione. Il titolo ricorda l’immagine marina egli ossi di seppia (già presenti
nell’Alcyone di D’Annunzio). Essi possono rimandare ad un’immagine di felicità naturale, oppure ad
un’immagine più triste in quanto gettati sulla spiaggia come inutili relitti. I simboli dominanti sono quelli
del mare e della terra; il mare rappresenta un luogo di beatitudini, mentre la terra è il luogo della
sofferenza e del sacrificio. I luoghi sono paesaggi liguri descritti nella loro asprezza e aridità, che
rappresentano la vita dominata dall’angoscia, dalla mancanza di ottimismo, dalla consapevolezza del
“mal di vivere” e dalla sconfitta dell’uomo. Secondo Montale, la poesia non è più capace di indicare la
via della salvezza, ma può solo esprimere la condizione negativa dell’uomo. Ossi di seppia si suddivide in
quattro sezioni, che si intitolano “Movimenti”, “Ossi di seppia”, “Mediterraneo”, “Meriggi e Ombre”.•La
prima sezione è basata su un gioco di opposizioni (Mare-Terra; Natura-Città; Infanzia-Maturità).•Nella
seconda sezione domina il motivo dello scarto, dell’osso di seppia abbandonato. Il messaggio del poeta
vuole essere negativo. VERSO: “Codesto solo oggi possiamo dirti, […] ciò che non siamo, ciò che non
vogliamo.•Nella terza sezione, la prima parte descrive il mare come patria sognata, mentre la parte
finale descrive il distacco da esso.•Nella quarta e ultima sezione, il poeta accetta il proprio destino di
sconfitta. Ossi di seppia, rappresenta la poesia della negatività per eccellenza. Gli ossi sono una delle
tante “forme della vita che si sgretola”, gli inutili rigurgiti che il mare abbandona sulla riva con il suo
continuo rifluire.Il titolo, che propriamente spetta a un gruppo di brevi liriche poste al centro del
volume, vuole significare l’essenzialità cui il poeta mirava e richiamarsi insieme al paesaggio marino della
Liguria, ispiratore della maggior parte delle poesie della raccolta.Il paesaggio ligure infatti, aspro e
sassoso, è contemplato e descritto da Montale in tutta la sua aridità e pietrosità. l paesaggio ligure,
scarno e sassoso, ha dunque nella raccolta un significato preciso perché correlato a sentimenti di aridità
e di solitudine che abitano l’io dell’uomo. Montale infatti indicando oggetti concreti e reali, stabilisce fra
di essi una trama di relazioni complesse. I LIMONIA questa lirica, composta a cavallo tra 1921 e 1922,
Montale affida, insieme alla precedente In limine e alla successiva Non chiederci la parola, alcune
fondamentali dichiarazioni programmaticheIn questa poesia viene espresso il concetto di poeti
laureati.Ma chi sono per Montale? Secondo Montale i poeti laureati nelle loro liriche utilizzano immagini
particolari,come viene riportato dal poeta ad esempio piante poco conosciute;mentre i poeti antiaulici,
di cui si sente far parte lo stesso Montale,nelle loro liriche utilizzano immagini umili e quotidiane: pozzi,
anguille, limoni...I poeti laureati vengono detti tali perché sono i poeti più acclamati per le loro liriche
tradizionali, scritte con un linguaggio difficile e prezioso.Uno di questi poeti era D’Annunzio.Nella
seconda strofa ci sono elementi circostanti che suscitano nel poeta un’impressione di dolcezza inquieta
e sono: il mormorio dei rami degli alberi di limoni e il profumo di questi che si espande sulla terra.Nella
terza strofa c’è l’immagine che dà l’illusione che nella realtà sia presente il divino ed è quando nel
silenzio della sera l’uomo ha l’illusione di vedere una figura che si allontana, una divinità misteriosa.Nella
quarta strofa vi è un contrasto che si articola ed è la figura caotica della città e quindi la tristezza
dell’animo rinfrancato dalla visione, di un portone semi-chiuso, di limoni che simboleggiano la speranza.
Non chiederci la parolaNella prima strofa il poeta si rivolge al lettore abituato ad ascoltare formule
sicure e valori assoluti e lo invita a non domandargli parole che diano certezze, come aveva potuto fare il
poeta tradizionale, e versi che svelino la complessità del suo animo.Nella seconda strofa constata che ci
sono uomini fiduciosi nella vita, che non si soffermano a riflettere, non si curano dei dubbi e delle
incertezze esistenziali, di quanto di oscuro c’è dentro di loro (rappresentato dall’ombra proiettata su un
muro scalcinato): costoro non sono consapevoli della precarietà del vivere (di cui l’ombra nella sua
inconsistenza è metafora) e ostentano una sicurezza che è solo indizio di superficialità.Nella terza strofa
il poeta ribadisce di non possedere formule magiche capaci di infondere fiducia al lettore, svelandogli i
misteri della vita e dell’universo. Può solo esprimere il sussurro di una forma poetica scarna ed
essenziale (qualche storta sillaba e secca come un ramo): oggi possiamo sapere solo «ciò che non siamo,
ciò che non vogliamo». La conclusione esprime la crisi degli ideali e delle certezze.Suoni aspri e ritmi
nuoviLa lirica presenta i moduli espressivi tipici di Montale. L’imperativo negativo dei versi i e 9 pone in
rilievo la negazione, che nell’ultimo verso è in corsivo. La sintassi è semplice e i periodi coincidono con le
strofe. Il lessico presenta suoni aspri allitteranti (perduto, polveroso prato, stampa sopra, scalcinato,
storta sillaba e secca), per esprimere il tema della negatività e definire l’adozione di un linguaggio
scabro. La mancanza di armonia dei suoni si ripropone a livello metrico per la presenza della rima
ipermetra amico I canicola, cioè di una parola piana (amìco) e di una sdrucciola (cànico-la), della quale
non si conta l’ultima sillaba.Meriggiare Pallido e assortoIl poeta si trova, nelle ore calde intorno al
mezzogiorno, presso il muro di un orto, arroventato dai raggi del sole, ed ascolta i rumori della natura:
tra rovi e arbusti i merli emanano i loro versi secchi e i serpenti si muovono con un fruscio a mala pena
percettibile. Nelle crepe del suolo riarso e lungo gli steli delle piante rampicanti selvatiche si vedono file
di formiche rosse che poi s`intrecciano sulla sommità di piccoli formicai. Tra le fronde, si scorge lontano
il mare dalla superficie tremolante, mentre, dalla sommita di rocce spoglie, si leva il tremolante finire
delle cicale.Il titolo allude a un aspetto temporale della poesia, durante il quale il poeta trascorre le ore
del pomeriggio a pensare. Trascorrere le ore del pomeriggio, assorto e pallido a causa della luce
accecante e della calura, presso il muro rovente di un orto, a sentire tra le spine degli arbusti e i rami
secchi i rumori improvvisi prodotti dai merli e dalle serpi. Spiare le file di formiche rosse nelle crepe del
terreno o sulle pianticelle erbacee, file che si dividono e si intrecciano sulla sommità di mucchietti di
terra accanto ai formicai.Osservare tra le fronde il mare che, illuminato dal sole, sembra fatto di scaglie
luccicanti come squame di pesci, mentre dalla sommità delle alture desolate si leva il frinire delle cicale,
simile a uno scricchiolio.E andando verso il sole che abbaglia, capire con triste stupore com'è tormentata
la vita, come il cammino lungo una muraglia invalicabile, a causa dei cocci aguzzi di bottiglia.Spesso il
Male di Vivere 1916Parafrasi:Ho sperimentato spesso il dolore dell’esistenza:era il ruscello che [come in
un lamento] gorgoglia, perché il suo fluire è ostacolato,era la foglia rinsecchita e bruciata dalla caluraera
il cavallo crollato dalla fatica.Non ho mai sperimentato il bene se non nella condizioneprodigiosa
concessa da un distacco superiore:era la statua nella silenziosa calmapomeridiana, la nuvola e il falco
che vola solitario in cielo.I temi: L’esistenza contrassegnata dal dolore non è un tema nuovo alla poesia
italiana, che vanta un precedente illustre in Giacomo Leopardi, in particolare in componimenti come
L’ultimo canto di Saffo e il Canto notturno di un pastore errante dell’Asia, in cui il “male” è assolutizzato
e individuato come il tratto distintivo della vita stessa. In questo caso a prevalere non è però il tono
ragionativo, sebbene sia molto tipico di altre poesie di Montale e contraddistingua invece lo stile
leopardiano, quanto un complesso procedere per immagini che in un crescendo individua il dolore in
tutta la natura (il rivo strozzato, la foglia / riarsa, il cavallo stramazzato…). L’unica possibilità di sottrarsi
alla legge del dolore è la divina Indifferenza, che ribalta parzialmente l’assunto leopardiano: qui
l’indifferenza è un privilegio raro per l’uomo e indica il distacco, il disincanto che pone al riparo dalla
sofferenza; in Leopardi è la crudele natura a essere indifferente alle sorti dell’uomo. Alcuni critici hanno
fatto notare che il secondo verso, era il rivo strozzato che gorgoglia, riecheggia un passo del VII canto
dell’Inferno, quello degli accidiosi, costretti a espiare le loro pene nella melma: “Quest’inno si gorgoglia
nella strozza”, in riferimento al fatto che i dannati con i loro sospiri e la loro ira, che durante la vita
hanno covato dentro di sé, fanno gorgogliare la melma in cui sono gettati. Cigola la Carrucola del
PozzoParafrasiLa carrucola del pozzo cigola nel salire alla superficie, l’acqua del secchio sembra fondersi
con la luce.Nell’acqua del secchio,quasi magnificamente si delineano i contorni di un’immagine che
ride.Avvicino il curano dei dubbi e delle incertezze esistenziali, di quanto di oscuro c’è dentro di loro
(rappresentato dall’ombra proiettata su un muro scalcinato): costoro non sono consapevoli della
precarietà del vivere (di cui l’ombra nella sua inconsistenza è metafora) e ostentano una sicurezza che è
solo indizio di superficialità.Nella terza strofa il poeta ribadisce di non possedere formule magiche capaci
di infondere fiducia al lettore, svelandogli i misteri della vita e dell’universo. Può solo esprimere il
sussurro di una forma poetica scarna ed essenziale (qualche storta sillaba e secca come un ramo): oggi
possiamo sapere solo «ciò che non siamo, ciò che non vogliamo». La conclusione esprime la crisi degli
ideali e delle certezze.Suoni aspri e ritmi nuoviLa lirica presenta i moduli espressivi tipici di Montale.
L’imperativo negativo dei versi i e 9 pone in rilievo la negazione, che nell’ultimo verso è in corsivo. La
sintassi è semplice e i periodi coincidono con le strofe. Il lessico presenta suoni aspri allitteranti
(perduto, polveroso prato, stampa sopra, scalcinato, storta sillaba e secca), per esprimere il tema della
negatività e definire l’adozione di un linguaggio scabro. La mancanza di armonia dei suoni si ripropone a
livello metrico per la presenza della rima ipermetra amico I canicola, cioè di una parola piana (amìco) e
di una sdrucciola (cànico-la), della quale non si conta l’ultima sillaba.Meriggiare Pallido e assortoIl poeta
si trova, nelle ore calde intorno al mezzogiorno, presso il muro di un orto, arroventato dai raggi del sole,
ed ascolta i rumori della natura: tra rovi e arbusti i merli emanano i loro versi secchi e i serpenti si
muovono con un fruscio a mala pena percettibile. Nelle crepe del suolo riarso e lungo gli steli delle
piante rampicanti selvatiche si vedono file di formiche rosse che poi s`intrecciano sulla sommità di
piccoli formicai. Tra le fronde, si scorge lontano il mare dalla superficie tremolante, mentre, dalla
sommita di rocce spoglie, si leva il tremolante finire delle cicale.Il titolo allude a un aspetto temporale
della poesia, durante il quale il poeta trascorre le ore del pomeriggio a pensare. Trascorrere le ore del
pomeriggio, assorto e pallido a causa della luce accecante e della calura, presso il muro rovente di un
orto, a sentire tra le spine degli arbusti e i rami secchi i rumori improvvisi prodotti dai merli e dalle serpi.
Spiare le file di formiche rosse nelle crepe del terreno o sulle pianticelle erbacee, file che si dividono e si
intrecciano sulla sommità di mucchietti di terra accanto ai formicai.Osservare tra le fronde il mare che,
illuminato dal sole, sembra fatto di scaglie luccicanti come squame di pesci, mentre dalla sommità delle
alture desolate si leva il frinire delle cicale, simile a uno scricchiolio.E andando verso il sole che abbaglia,
capire con triste stupore com'è tormentata la vita, come il cammino lungo una muraglia invalicabile, a
causa dei cocci aguzzi di bottiglia.Spesso il Male di Vivere 1916Parafrasi:Ho sperimentato spesso il
dolore dell’esistenza:era il ruscello che [come in un lamento] gorgoglia, perché il suo fluire è
ostacolato,era la foglia rinsecchita e bruciata dalla caluraera il cavallo crollato dalla fatica.Non ho mai
sperimentato il bene se non nella condizioneprodigiosa concessa da un distacco superiore:era la statua
nella silenziosa calmapomeridiana, la nuvola e il falco che vola solitario in cielo.I temi: L’esistenza
contrassegnata dal dolore non è un tema nuovo alla poesia italiana, che vanta un precedente illustre in
Giacomo Leopardi, in particolare in componimenti come L’ultimo canto di Saffo e il Canto notturno di un
pastore errante dell’Asia, in cui il “male” è assolutizzato e individuato come il tratto distintivo della vita
stessa. In questo caso a prevalere non è però il tono ragionativo, sebbene sia molto tipico di altre poesie
di Montale e contraddistingua invece lo stile leopardiano, quanto un complesso procedere per immagini
che in un crescendo individua il dolore in tutta la natura (il rivo strozzato, la foglia / riarsa, il cavallo
stramazzato…). L’unica possibilità di sottrarsi alla legge del dolore è la divina Indifferenza, che ribalta
parzialmente l’assunto leopardiano: qui l’indifferenza è un privilegio raro per l’uomo e indica il distacco,
il disincanto che pone al riparo dalla sofferenza; in Leopardi è la crudele natura a essere indifferente alle
sorti dell’uomo. Alcuni critici hanno fatto notare che il secondo verso, era il rivo strozzato che gorgoglia,
riecheggia un passo del VII canto dell’Inferno, quello degli accidiosi, costretti a espiare le loro pene nella
melma: “Quest’inno si gorgoglia nella strozza”, in riferimento al fatto che i dannati con i loro sospiri e la
loro ira, che durante la vita hanno covato dentro di sé, fanno gorgogliare la melma in cui sono gettati.
Cigola la Carrucola del PozzoParafrasiLa carrucola del pozzo cigola nel salire alla superficie, l’acqua del
secchio sembra fondersi con la luce.Nell’acqua del secchio,quasi magnificamente si delineano i contorni
di un’immagine che ride

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