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LEZIONE 8

Parlando della Primavera Hitleriana dobbiamo tenere a mente 2 cose essenziali: la nota di Montale che
ci dà direttamente il momento storico e anche il luogo, quindi una designazione spazio-temporale
importante che ci riporta al 9 maggio 1948 quando Hitler e Mussolini arrivano a Firenze. Vengono
accolti al teatro comunale. Sull’Arno, una nevicata di farfalle bianche: da una sorta di foto quasi
surreale a questo elemento, è una sorta di festa di farfalle bianche che annunciano una primavera, da cui
il titolo primavera hitleriana. La primavera è anche la primavera di Hitler cioè è il momento più
esaltante per ciò che riguarda la guerra. I tre momenti importanti della lirica sono riassunti qui, non è
riassunto il quarto elemento che è altrettanto importante e che è il rapporto intimo Irma-Eugenio. La
lirica è divisa in 3 lasse, la terza è molto lunga. Il verso a scalino divide in due parti la terza lassa,
dedicata ai rapporti fra Irma ed Eugenio. La prima e la seconda parte fa da contorno, con riferimenti di
tipo metaforico e non di tipo realistico. Nella terza lassa compare Clizia, è un’affermazione da prendere
alla lettera infatti al v33 per la prima volta troviamo il nome Clizia. Il nome Clizia si capisce grazie
all’esergo. Né quella ch’a veder lo sol si gira… DANTE (?) a Giovanni Quiriniè una citazione da
Dante, ma non Dante sicuramente Dante, c’è un punto di domanda. Da dove poteva aver preso questa
citazione Montale? Siamo all’inizio degli anni ‘40 con questo testo. Il testo che siamo certi che Montale
prese è l’edizione Rime di Gianfranco Contini, Giulio Einaudi editore, Torino, 1939. Il 1939 è l’anno di
addio di questa lirica. Questa lirica ha una doppia datazione nella rivista Inventario 1939-1946 e quindi
l’edizione Rime di Contini che esce nel ‘39 presenta esattamente questa rima fra le rime dubbie di
Dante. Questa è la serie che si inaugurava proprio nel ‘39 (Nuova raccolta di classici italiani annotati)
che veniva affidata alle Rime curata da Gianfranco Contini. Opera capitale per la nostra filologia. Nel n
74 delle rime dubbie c’è questo sonetto con soprascritto carteggio poetico con il veneziano Giovanni
Quirini. Se leggiamo la prima terzina qui c’è scritto: né quella che a veder lo sol si gira e ‘l non mutato
amor mutata serba. Se torniamo al testo della Bufera né quella ch’a veder lo sol si gira, è la citazione
del v9 di questa lirica che poi continua con ‘l non mutato amor mutata serba che ritroviamo al v34 che
il non mutato amor mutata serbi. Montale usa due versi consecutivi della rima dubbia di Dante, una in
esergo e una la incastona all’interno di questa poesia. Contini nella nota ai vv. 9-10 scrive:

Quindi questo sonetto dantesco incastona una citazione diretta di Ovidio in riferimento all’episodio
della ninfa Clizia. Contini regalò una copia di questa prima edizione a Montale e Montale qui prese
l’idea di questo esergo, non solo dell’esergo, ma dell’idea stessa di questa ninfla Clizia che ama il sole e
si rivolge al sole per tutto il giorno, finchè il sole non parlò. È un mito ripreso da altri come Lorenzo de’
Medici. Montale si rifà all’edizione Contini. Clizia è come dice Contini l’eliotropio o girasole, sono due
parole analoghe- una grecizzante (eliotropo) e latinizzante (girasole). È colei che guarda in alto fino a
che non si abbacina, cioè addirittura consuma la sua luce in lui, per cui Clizia è colei che è capace di
guardare il sole, cosa che agli uomini non è concesso. Il sole Dio per esempio. Basta al povero poeta, a
Montale, guardare lei per vedere indirettamente il sole. Lei quindi è una mediatrice fra il sole e gli
uomini. Assume qui le caratteristiche di una ninfa, cioè le caratteristiche di una storia mitologica antica.
Clizia, al v.34 che il non mutato amor mutata serbi “tu che servi l’amore che hai verso gli uomini,
che è sempre invariato, ma la conservi anche adesso che sei cambiata”, in particolar modo è cambiata
per Montale. non è più Irma. Questo amore, che deriva da Dio e fa di Clizia quella che si sacrifica per
tutti gli uomini, porta Clizia al sacrificio di sé. Quindi in questa poesia questa donna assume una
fattezza mitologica e al tempo stesso eternizzata, cioè più che essere la donna amata da Montale, è la
donna che diventa essa stessa una sorta di nuovo Cristo che si sacrifica per lui. È il debito che Montale
paga per cercare di risolvere dentro se stesso i conflitti legati a questo mondo. È grazie a questa
mitizzazione dell’io, a questa santificazione della donna, che Montale riesce a elaborare il lutto per
questa perdita definitiva, come se anche questa fosse morta. Tuttavia mentre Annetta la fa morire, qui
sembra che sia la donna che fa morire Montale, contrariamente per Anna. Quindi questa costruzione di
Clizia è anche una costruzione mentale di autodifesa psicologica, oltre a essere una grandissima
invenzione poetica furiera di molte immagini legate a questa donna. Irma non gradì tanto di essere
chiamata Clizia, come riusciamo a sapere dopo diversi anni da alcune righe nel suo diario in inglese e
tradotto in italiano a sprazzi qualche anno fa. È un’annotazione abbastanza recente, del 1980 (anno
prima della morte di Montale):

Irma dice: piuttosto io assomiglio a Leucotoe che a Clizia perché a dover ritirarmi sono stata io. Clizia
diventa la musa di Montale per eccellenza.
C’è una complessa struttura temporale in questa poesia perché nella prima lassa abbiamo un presente
storico, quindi si usa il presente per indicare un passato. Nella seconda lassa si usa il passato prossimo, è
una rievocazione di avvenimenti passati da poco, appena accaduti. Non per niente la seconda lassa
comincia con il verbo temporale: da poco, non è molto tempo che. Nella terza strofa c’è nella prima
parte prima del verso a scalino il passato del ricordo e poi nella seconda parte c’è un presente pro
futuro, cioè si usa un presente per rivolgersi ai tempi che verranno. È proprio questa complessa
situazione temporale è espressa bene in quelle due date di composizione della poesia 1939, che è il
periodo in cui probabilmente Montale comincia a scrivere questa poesia e 1946, cioè dopo la guerra ci
riconduce l’ultima parte della lassa dove si fa una sorta di profezia dell’arrivo dello sbarco degli alleati
in Sicilia e quindi dell’inizio della liberazione italiana dal nazifascismo. È chiaro che Montale nel ‘39
non lo poteva sapere, lo sa nel ’45 quando lo sbarco è già avvenuto. Quindi ci sono nei tempi verbali
della poesia insiti i tempi di composizione della poesia. Sono tre lasse di 24 versi divisi in due parti:
sono 10 versi e mezzo e 13 versi e mezzo. Il mezzo si riferisce ai due emistichi del v3. È una poesia che
ha un’ampia solennità dovuta alla scelta metrica, perché non c’è nessun verso breve. Sono tutti
endecasillabi o versi superiori all’endecasillabo. Nelle prime due strofe abbiamo versi lunghi doppi, per
esempio ottonari più quinari/senari che danno una sorta di parvenza di metro barbaro (o di struttura
esametrica) a questa poesia. Ci sono poche rime per cui sono facili e si intravedono, però l’unica rima
che spicca è una rima interna: v.32-v33, morte v32-sorte v33. Questa è una poesia che si presta molto
bene a essere scandita come prosa poetica, ed è una prosa che non ha particolari rovesciamenti, è una
sintassi naturale.

Giallo l’inizio: c’è un’inversione sintattica. Nel linguaggio quotidiano diremo: la folta nuvola bianca. La
poesia resa prosa è una prosa assolutamente lineare.
PARAFRASI E COMMENTO:
Folta la nuvola bianca delle falene impazzite turbina intorno agli scialbi fanali e sulle spallettequi è
la situazione descritta da Montale, una nevicata di farfalle bianche sull’Arno, probabilmente indotta e
non naturale. Farfalle che vengono liberate quasi in segno di festa, però agli occhi di Montale queste
farfalle hanno un simbolo inquietante. Folta: molto nutrita la nuvola bianca delle farfalle (falene)
impazzite (perché liberate insieme e perché sono attirate dalla luce dei fanali che sono dei proiettori che
erano stati messi per l’occasione quasi per rendere la serata illuminata). Scialbi: bianchi. Bianchi fanali
e bianche le falene impazzite. Bianca è un aggettivo centrale perché ritorna nel penultimo verso della
poesia. Questa nuvola bianca molto compatta di farfalle bianche gira[no] (turbina) verso i proiettori e
sugli argini bassi dell’Arno (spallette),
[questa nuvola] stende a terra una coltre su cui scricchia come su zucchero il piedestende a terra una
coltre: molte di queste falene andando addosso ai riflettori bruciano le ali, quindi finiscono per terra e
formano per terra una sorta di coltre, di tappeto, su cui il piede passandoci sopra scricchia come quando
si pesta dello zucchero, che da un senso quasi di brivido. Ed è questo l’effetto che Montale vuole
sottolineare. Fin dall’inizio c’è questa situazione innaturale delle falene che finiscono per cadere a terra
mezze morte e che vengono schiacciate dal piede con effetto rabbrividente. Zucchero: rimanda alla
grana di zucchero della Bufera, era una piccola granella di zucchero presente negli occhi di Irma e
rappresentava la ragione che ancora sopravviveva. Qui è il piede che pesta lo zucchero, quindi sembra
quasi che la ragione che doveva condurre, sia soffocata, calpestata dai piedi.
l’estate imminente sprigiona ora il gelo notturno che capiva nelle cave segrete della stagione morta,
negli orti che da Maiano scavalcano a questi renai L’estate che sta per arrivare [siamo al 9 maggio]
sprigiona in questo momento [ora] effetto invernale. Sembra che l’estate che sta per arrivare provochi
freddo invernale: le persone che ragionano con la loro testa sono raggelate da quello che sta accadendo.
Il freddo è un freddo metafisico, il gelo notturno [anche metaforico, notturno perché è sera] che era
nascosto (capiva] nelle caverne (cave) dell’inverno (della stagione morta). Questo freddo che si era
nascosto adesso si fa sentire. Capiva-cave: se noi togliamo la p troviamo cava che è ripreso da cave
successivo. Questo freddo che capiva era nascosto nei giardini che da Maiano (fuori Firenze, verso
Fiesole) scavalcano, vengono giù dalla collina verso le zone di sabbia lungo l’Arno (renai).
Da poco sul corso è passato a volo un messo infernale da poco, avverbio temporale. È quasi una
cronaca, è sera, si sta vedendo lo spettacolo rabbrividente delle falene impazzire che vengono pestate
dai presenti, un freddo insolito per la stagione che arriva, che arriva da nord, è un freddo che arriva dalla
Germania. È passato da poco sul corso quasi volando di corsa (volo un messo infernale: è un angelo al
contrario, è un angelo diventato demone. Un messo infernale è un’espressione dantesca: Dante e
Virgilio all’inizio dell’inferno vengono respinti dai diavoli. Hanno bisogno di un messo che viene dal
cielo, quello è un messo angelico, questo è infernale). Messo infernale: è un messaggero infernale, è un
angelo nero, quindi Hitler. Tra un alalà: segno di saluto ripetuto tre volte verso Mussolini e Hitler.
Scherani sono gli scheletri cioè i fascisti, la popolazione che è fascista.
Un golfo mistico acceso e pavesato di croci a uncino l’ha preso e inghiottito: un golfo mistico (di per sé
è una parte di teatro. Nel teatro c’è il palco, sotto al palco c’è il luogo in cui si mette solitamente
l’orchestra. Il luogo dell’orchestra si chiama golfo mistico, è un termine tratto dal tedesco. Indica il
teatro comunale di cui ci parla la nota di Montale, ma dà anche l’idea di questo osanna attribuito a
Hitler come fosse una divinità. Acceso e pavesato di croci a uncino l’ha preso e inghiottito un golfo
mistico acceso quindi un teatro esaltato e ornato di croci a uncino (sono le bandiere del Reich) va nel
teatro comunale e la folla lo acclama, il teatro sembra quasi inghiottirlo.
Poi ci sono dei riferimenti all’esterno, cosa succede fuori dal teatro comunale.
Si sono chiuse le vetrine, povere e inoffensive benché armate anch’esse di cannoni e giocattoli di
guerra i negozi hanno chiuso, le vetrine sono povere e inoffensive però anch’esse armate di cannoni e
giocattoli di guerra. Vetrine qui si riferisce a negozi di giocattoli. I giochi che sono in vetrina sono
quelli che preannunciano la guerra, il clima è quello di una guerra imminente.
ha sprangato il beccaio che infiorava di bacche il muso dei capretti uccisiil beccaio: il macellaio. Ha
sprangato il suo negozio: quindi ha chiuso. Quel beccaio che anche lui prima di chiudere aveva una
vetrina dove esponeva dei capretti uccisi, messi a esposizione in vetrina con delle bacche. Le bacche
con cui si poteva cuocere il capretto stesso. Il riferimento ai capretti uccisi sono indiretti riferimenti a
questa guerra che sta per arrivare. Sono correlativi oggettivi per quanto il minore di quello che sta
succedendo, quel grande sacrificio umano di sangue.
La sagra (festa) dei miti dei carnefici che ancora ignorano il sangue (sono detti miti perché questa
gente non ha ancora ucciso nessuno, ma si prepara a uccidere nella guerra che verrà. Per adesso sono
miti). Questi carnefici infatti ancora ignorano il sangue (non hanno ancora assaggiato il sangue umano)
perché la guerra non è ancora iniziata. S’è tramutata in un sozzo trescone d’ali schiantate, di larve sulle
golene, e l’acqua séguita a rodere le sponde e più nessuno è incolpevole il trescone di per sé è un
ballo. I balli di Montale specie nella Bufera sono balli che hanno delle componenti negative. Infatti qui
un ballo sozzo, lurido. D’ali schiantate sono quelle delle falene impazziste. Quindi questa festa poi
sembra tramutata in una sorta di uccisione di tutte queste farfalle (di larve sulle golene. Le golene sono
le sponde, delle spallette di cui aveva parlato al v2). L’acqua è quella dell’Arno che continua il suo
percorso, continua cioè ad andare avanti. Secondo tradizione antica lo scorrere del tempo è dato dal
fluire dell’acqua nei fiumi, come dire che si va avanti in ogni caso. Questo è il tempo che ci tocca
vivere. L’acqua continua a rodere le sponde dell’Arno, il tempo continua a passare e però tutti siamo
colpevoli di quello che sta succedendo (più nessuno è incolpevole).
Tutto quello che è avvenuto fra noi era del tutto inutile?--> quel tutto è una parola che riassume un
elenco di cose. L’elenco in questo caso segue con due trattini che fungono da parentetica. Notiamo
anche che dentro i trattini c’è una frase fra parentesi tonde. Quindi abbiamo mysinebime. Questo tutto
consiste in – e le candele romane (termine tecnico per indicare un tipo di fuoco ad artifizio), a San
Giovanni (24 giugno, patrono di Firenze, si sparano fuochi d’artificio.), che sbiancavano lente
l’orizzonte questa giornata di festa viene vista anche come il giorno dell’addio fra Irma ed Eugenio,
anche se non è il 24 giugno in cui Montale e Irma si lasciano. Siamo nel ’38, quindi è l’anno in cui Irma
torna per l’ultima volta. Questi lunghi addii sono anticipati dalla festa del patrono di Firenze. I fuochi
artificiali nel giorno di patrono di Firenze che illuminavano lentamente l’orizzonte (primo elemento:
fuochi artificiali) e le promesse (pegni) e i lunghi addii seri come fossero dei patti sacri (un battesimo.
Una sorta di promessa quasi religiosa fra i due di tornare insieme) nella lugubre attesa dell’orda dei
soldati della guerra (ma una gemma [probabilmente è la fontana pirotecnica che butta fuori una sorta di
luce, di fuoco. Quindi uno di questi fuochi rigò l’aria. Questa fontana sembra partire da Firenze e
rivolgersi verso l’America. Stillando: perché questa fontana di luce è fatta quasi a gocce di luce. Sui
ghiacci: l’America del nord è connotata spesso da elementi freddi. Sappiamo che i tuoi lidi sono quelli
americani. Sembra quasi unire Firenze all’America, sembra contenere
gli angeli di Tobia, i sette, la semina dell’avvenire: riferimenti alla Bibbia, lei era ebrea,. Nel Vecchio
testamento si parla del libro di Tobia, dei setti angeli che stanno dinanzi al Signore. Quindi gli angeli di
Tobia sono messaggeri di Dio, figure positive. Sono 7 questi angeli. La semina: che si fa per il futuro,
sperando di avere un buon raccolto. Quindi è un termine positivo, la semina dell’avvenire è simbolo di
speranza. È una speranza che si rivolge verso la terra dove lei è o dove andrà, quindi è una speranza
legata a lei, una speranza divina legata agli angeli messaggeri che è rivolta al futuro. Terzo elemento
che costituisce quel tutto: eliotropi nati dalle tue mani. Questo termine eliotropi indica i girasoli cioè
Clizia, termine utilizzato nella nota a Contini. Ecco che qui viene anticipato il mito di Clizia, come se
dalle mani di lei nascessero dei fiori che sono i girasoli, queste creature nelle sue mani che guardano
costantemente verso l’alto. Tutto arso e succhiato da un polline che stride come il fuoco e ha punte di
sinibbio..-->Tutto quello che ci siamo detti (tutto riprende il v.20) bruciato e risucchiato da un polline
che stride come il fuoco. Ancora una volta c’è il riferimento a queste falene. Il polline: riferimento a
queste falene schiacciate che stridono sotto il piede come il fuoco e ha punte di sinibbio. Il sinibbio è un
vento pungente che viene dal nord, è un’altra immagine della Bufera che da il nome al libro. Quindi
tutto quello che ci riguarda sembra quasi distrutto dai venti di guerra. Ci sono dei tre puntini di
sospensione e il verso a scalino che significa che si cambia argomento o registro.
Oh la piagata primavera è pur festa se raggela in morte questa morte  La primavera ferita (piagata)
rimane comunque una festa se è capace di raggelare questa morte in morte cioè di trasformare la morte
protratta da Hitler in morte, quindi se si riesce a fermare questa primavera hitleriana.
Guarda ancora in alto, CliziaE poi l’invito a Clizia: guarda ancora in alto, con questo ancora che è
interattivo continua a guardare verso l’alto, vero il sole-dio, tu Clizia perché questa è la tua sorte, il
tuo destino, quello di guardare in alto. Tu che il non mutato amor mutata serbi Tu che servi l’amore
verso il poeta, ma anche verso tutta l’umanità, quest’amore non mutato che conservi pur essendo
mutata, pur non essendo più te stessa. È un’altra Irma, un’altra Clizia. Questo verso è il verso che
continua quello dell’esergo. Fino a che il cieco sole che in te portiFino a che il cieco sole, è il sole
che lei ha nel suo animo, che è l’amore nascosto sia per Montale, sia per gli altri uomini, quindi è la
luce divina data a Clizia e che solo pochi vedono. Si abbàcini nell ’Altro e si distrugga in Lui  Questo
cieco sole che in te porti si confonda (si abbacini) nell’Altro, cioè nel sole divino, in Dio. L’amore di
Irma-clizia è lo stesso amore divino per tutti. Infatti questo amore deve confondersi con quello più alto,
più grande di Dio e deve sacrificarsi, distruggersi in Dio, per il bene di tutti gli uomini. Questa nuova
Clizia ha una missione molto alta. Irma non vedrà di buon occhio questo nome dato da Montale, ma
capiamo che il senso di questo nome è quello di una missione molto alta.
Forse le sirene, i rintocchi: sono quelli delle campane che suonavano a festa in quella serata e anche le
sirene, sempre come simbolo di festeggiamento. Questi rintocchi sono ricordati da Montale già nella
poesia Nuove Stanze del 39 in cui si cita la campana che si trova a Firenze nel Palazzo Vecchio, una
campana che suonava solo in casi eccezionali per lo più di pericolo. Forse le sirene, i rintocchi delle
campane che salutano i mostri (Hitler-Mussolini) nella sera della loro riunione (tregenda: di per sé è una
riunione, un ammasso. Il termine di solito si riferisce a un convegno di spiriti malvagi, diavoli, di esseri
del male. Tutti elementi negativi legati a questo avvenimento). Forse questi rintocchi di campane si
confondono già con un suono che arriverà più avanti che liberatosi dal cielo, un suono voluto dal cielo
(forse la tromba dell’angelo dell’Apocalisse, forse più realisticamente gli aerei degli alleati che arrivano
dal cielo ad annunciare la liberazione), che scende sulla terra e vince gli altri suoni (quelli del male).
Suoni che si confondono con quello che avverrà più avanti. Questo suono forte con il respiro di un’ alba
(quindi di un giorno nuovo. Respiro vuol dire aria nuova, per un giorno nuovo) che nel futuro (domani)
per tutti si riaffacci questo giorno nuovo, bianca (splendente di sole, luminosa) come il bianco delle
falene iniziali. Una luce nuova che non è il biancore di quella serata dell’arrivo di Hitler e Mussolini.
Bianca= luminosa, ma senz’ali di raccapriccio che sono le ali delle falene. Si riaffaccerà quest’alba,
questo giorno di speranza, nel futuro sulle spiagge battute dal sole del meridione d’Italia. Qui è evidente
si tratti di una prospettiva post-factum dell’arrivo degli alleati in Sicilia e quindi l’inizio della
liberazione. Si inizia dal momento dell’arrivo di Hitler e finisce con la fine della guerra.
Voce giunta con le folaghe
Passiamo a una situazione completamente intima legata ai due Irma ed Eugenio, fra cui si inserisce
anche la figura del padre morto di Montale. Poesia che viene pubblicata nella rivista Immagine nel
giugno 1947 con un titolo leggermente diverso: una voce è giunta con le folaghe. Poi il titolo sarà
prosciugato. C’è una nota di Giovanni Macchia che accompagna questa poesia nella rivista. C’è questa
pubblicazione una voce è giunta con le folaghe,, la nota di Giovanni Macchia, un facsimile di un
autografo incompiuto di Montale, è una poesia del ’26 che risale alla crisi con Annetta e che comincia
con “il sole d’agosto…” Sempre in Immagine erano presenti oltre a questo testo anche due traduzioni di
Montale di due sonetti di Shakespeare. Tutto questo, cioè testo, più la nota editoriale di Giovanni
Macchia, più la nota editoriale di Montale, più il congedo provvisorio della poesia che oggi si intitola
Piccolo testamento e che si ritrova nella parte infondo della Bufera, viene pubblicato nella Fiera
Letteraria del 1953, 6 anni dopo con un titolo modificato: una voce CI è giunta con le folaghe (una voce
è giunta qui con le folaghe) Questo nuovo titolo è endecasillabico, quindi un endecasillabo sdrucciolo
che poi viene prosciugata nel titolo semplificato VOCE GIUNTA CON LE FOLAGHE nel testo del ‘56
della Bufera e altro. Questo titolo non è più rivolto a una voce che sarebbe quella voce, ma è più
generico ed è una vox, non è una presenza fisica. È la presenza soltanto di una voce e non della figura di
lei e lo capiamo fin dal titolo. La folaga è un uccello, una varietà si chiama fulga, americana. Per lui
folaga indica qualcosa che viene dall’America. La fulaga attraversa l’Oceano Atlantico per arrivare
dall’America in Europa. Irma qui è solo una voce, è un’ombra, puro spirito, è un’ombra viva che è
diversa dall’ombra morta del padre che è il terzo elemento della poesia. Questa ombra di Irma si
incontra con un’altra ombra nel contesto del cimitero di Monterosso adombrato all’inizio di questa
poesia. Questa ombra si incontra e può parlare con l’ombra di un defunto: Domenico Montale, padre di
Montale, morto da tempo. L’occasione dei versi è data dal ritorno di Montale a Monterosso a visitare la
tomba del padre a Monterosso. In questo ritorno Montale assiste muto e sordo cioè senza parlare a un
dialogo fra l’ombra di Clizia e l’ombra del padre che verte sui ricordi. A un certo punto Montale riesce
a cogliere le esatte parole che Irma-Clizia dice a suo padre Domenico e sono le parole che troviamo
nell’ultima lassa al v34 in cui c’è un trattino di discorso diretto. Tutta la penultima lassa, più il primo
emistichio dell’ultima contiene un discorso diretto di Clizia. È la prima e l’ultima volta in cui vengono
registrate le parole in diretta di lei e lei parla al padre per parlare al figlio. Il padre è una sorta di
protezione del figlio e Irma parla come ombra all’ombra del padre per rivolgersi a quella che è
un’ombra in sé, non sembra quasi più vivo, cioè il Montale privo dei suoi affetti familiari, ma privo
soprattutto di lei. Lei dice alcune cose sulla memoria che sono fondamentali per il futuro, per
l’evoluzione del rapporto poetico, fra Eugenio e Irma. Ci sono due tipi di memoria, dice Irma-Clizia: c’è
una prima memoria che giova, che è utile come un tesoro da sviluppare nel tempo, qualcosa che serve in
prospettiva futura. Un ricordo attivo, positivo. C’è un altro ricordo inutile, depravato, che consiste nel
continuo ripensare nel passato, che continua a pensare al passato e questo ripensare è inutile e dannoso,
non porta nulla di nuovo, è tutto rivolto al passato. È quest’ultima la memoria coltivata da Montale,
quella inutile che continua a ritornare sul passato e sul rapporto fra lei e lui e lei stessa a dire: guarda
lascia perdere, dimenticami, questa memoria ti rovina, non serve a nulla né per te, né per il tuo futuro.
Montale sottolinea come sia necessario smettere di pensare a quella donna, come sia necessario
chiudere con quel passato, andare avanti. Voce giunta con le folaghe è una poesia che predica, che
annuncia, che sottolinea la necessità di distaccarsi dai propri morti e dalle proprie ossessioni, in questo
caso l’amore per Irma. Non sarà un caso che nella lirica successiva questo distacco diventi definitivo
Addio. È un addio definitivo all’amore. Questa poesia rappresenta uno spartiacque fondamentale
all’interno della Bufera, oltre che all’interno della vicenda sentimentale e privata di Montale stesso
perché riprende e chiude definitivamente un tema portante, cioè il tema della memoria dei propri cari e
la memoria di Irma-Clizia. In questo modo può sgombrare la strada e prepararla per altri possibili amori
come in effetti sarà. Questa è una lirica fin dal titolo percorsa da echi danteschi. L’inizio accenna alla
via percorsa e cioè siamo come all’inizio della Commedia: nel mezzo del cammin di nostra vita. Qui la
via percorsa è più del mezzo. Dice superata oltre la metà del cammino della mia vita, devo decidere
qualcosa. Gli tocca una via difficile. La metafora inizialmente è quella dell’inizio della Commedia.
Clizia puro spirito diventa una sorta di guida del poeta un po’ come Beatrice nel Paradiso. Beatrice era
morta, più viva che mai nel paradiso. Qui Irma non è morta, è un’ombra vigile. Anche la sostanza aerea
con cui si confondono le due ombre fa sì che Montale non possa abbracciare queste ombre perché sono
ombre, un po’ come accade nel Purgatorio quando Dante sottolinea più volte che vuole abbracciare
un’anima che è un corpo aereo, non riesce ad abbracciarla perché ha le fattezze della persona ma non ha
consistenza fisica. Anche molto lessico ci riporta a Dante: v4 giunchi (inizio del Purgatorio Virgilio
recinge Dante con un giunco, quindi è un simbolo dantesco). Anche al v5 c’è un’altra pianta molto più
infernale, non è una pianta del Purgatorio, ma è una pianta in cui si trasformano le piante dei sucidi,
appena si uccidono, in Dante, viene gettato un seme, l’anima diventa un seme. Ombra: termine per
indicare Clizia e anche il padre. La parola mezzo al v47 è un’altra parola dantesca che indica il medium,
è un termine aristotelico-dantesco che indica qualcosa di incorporeo. L’espressione al v30 amor di Chi
la mosse e non di séè un’ espressione calcata sull’Inferno quando Beatrice dice a Virgilio: amor che
mi mosse e che mi fa parlare, sembra quasi che Clizia in questa poesia parli per il bene di lui.

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