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LEZIONE 14

CONCLUSIONI PROVVISORIE
Per le due conclusioni provvisorie si fanno più evidenti le tracce di Clizia. In ambedue queste liriche è
presente un segnale importante che è Iride. La parola Iride è presente tanto in Piccolo Testamento al
verso 8 quanto al plurale Iridi nel sogno di un prigioniero.
Ci sono alcuni aspetti particolari che ricondurrebbero più a Volpe che a Irma, anche se il tu dominante
è quello di Irma. Parlare di varie donne o persone amate può essere superfluo, perché la visione di M è
che l’amore per le donne o per Clizia ha sempre la stessa natura. Tutte le donne amate si possono
unificare in unico termine che è quello dell’amore. La presenza di Clizia domina perché lei ha
dominato nella vita amorosa dell’autore.
Le conclusioni provvisorie sono divise in tre tempi: un TEMPO PRIVATO, delle vicende personali,
TEMPO STORICO che fa da sfondo e che è stato soprattutto quello della guerra, ma anche del
dopoguerra, un TEMPO METAFISICO ovvero il tempo con la T maiuscola che rappresenta, come
Montale spesso ha detto, il male metafisico, l’apocalisse e qualcosa che riguarda l’esistenza umana.
A rendere più unitarie le due liriche ci sono alcuni echi da Eliot, agisce un ipotesto, un testo sotterraneo
che è La terra desolata di Eliot.

Piccolo testamento
POESIA pubblicata in Fiera Letteraria luglio ‘53 con titolo DI CONGEDO PROVVISORIO.
Il termine provvisorio era già presente inizialmente nel titolo originario di questa lirica e poi dopo
quando Montale inserisce questa poesia nella Bufera e altro accanto al il sogno di prigioniero utilizza il
titolo provvisorio per l’intera sezione settima finale.
La lirica viene pubblicata insieme a “una voce ci è giunta con le folaghe”. La data 12 maggio ‘53
confermata nelle note della bufera e altro. È una data precisa, con giorno mese e anno. Una data simile
era anche nei madrigali fiorentini in cui era in esergo, qui invece è nelle note finali. Giorno, anno e
mese di composizione è una novitàè una novità per M. Ci chiediamo allora perché Montale ha dato
un’indicazione così precisa. Non pare sia una data particolare: la data si rifà al titolo ovvero
testamento. Testamento olagrafo (=di mano del testatore, di chi fa il testamento) dal punto di vista
giuridico deve essere sottoscritto con il giorno, il mese e l’anno. È come dire ti lascio questo
testamento che io ho steso in questo giorno. Un’altra ragione è che Montale vuole fare riferimento a un
periodo storico preciso: siamo nel maggio ’53, il maggio del ’53 in Italia è un mese di campagna
elettorale: si voterà il 7 giugno del ’53. Le precedenti elezioni erano state nel ’48 quindi cinque anni
prima, ci sarebbero quindi state le nuove elezioni per i rappresentanti della Camera del Senato e la lotta
politica è molto forte fra i due fronti che si erano già presentati nel ’48: tra il fronte popolare (socialisti
e comunisti insieme) e la Democrazia Cristiana. Nella lirica ci sarà proprio un accenno ai colerici rossi
(fronte popolare) e neri (Democrazia Cristiana). Questa è la situazione in Italia in questo periodo, molto
bollente dal punto di vista politico e sociale anche perché c’è un tentativo di fare approvare la
cosiddetta Legge truffa, cioè quella legge che darebbe la maggioranza assoluta al partito che avrebbe
ottenuto una certa percentuale di voti. Montale si chiama fuori e in questa poesia fa una dichiarazione
che non è né partitica, né ideologica, mentre ribadisce la sua fede e la sua speranza insieme in qualcosa
di diverso dall’ideologia politica e quel qualcosa di diverso è la sua fede risiede nei lumi della ragione.
Questa traccia di lume e di ragione che troviamo fin dall’inizio nella traccia madreperlacea di lumaca
al verso 3, è qualcosa di labile, che quasi non si vede, ma che esiste. Il lascito di Montale allora è
proprio questa traccia di fede nella ragione. L’ understatement montaliano siede anche nell’aggettivo
piccolo, ovvero ridotto all’osso. Testamento, invece assume un significato di lascito poetico spirituale
(è una poesia che è collocata alla fine della raccolta) e dobbiamo vederci come indica Scaffai nella
presentazione di questo testo dice che c’è un richiamo biblico ricordiamo il Vecchio e il Nuovo
Testamento della Bibbia e Testamento è un patto con Dio. Qua non ci sono dei richiami di carattere
biblico, non c’è un patto con la divinità, c’è un richiamo alla dimensione del sacro che ha
accompagnato molte liriche della Bufera e che Montale ha identificato soprattutto con una donna prima
Irma e poi Maria Luisa.
Non è facile capire a chi è indirizzata la lirica, sicuramente a un tu al verso 9 un Tu “lasciarti”
lasciare a te e al v. 26 “ritrovarti”. Il tu quindi c’è, è molto probabilmente un tu femminile, come
sempre in Montale. L’indizio è al verso 13 in cui si dice di conservare questa eredità di fede nel lume
della ragione Conservane la cipria nello specchietto. Lo specchietto è un oggetto femminile, dunque
il tu è sicuramente femminile. Ma chi è Irma o Clizia? Probabilmente sono tutte e due con prevalenza
di Clizia.
Elementi a favore di Maria Luisa, la musa meno provante:
In questo caso ci aiutano le lettere di Montale scritte in questo periodo a Maria Luisa Spaziani. Quindi
sono elementi extra testuali (gli elementi testuali ci riconducono piuttosto a Irma).
Elementi extra-testuali.
Scrive così Montale ho scritto un’altra poesia per te, è la lettera che ti manderò in punto di morte
In un’altra lettera vivo nella speranza di non essere ancora la cenere del tuo porta cipria. -cita lo
specchietto del porta cipria che compare anche nella lirica. Questa poesia sarebbe, da queste
affermazioni di Montale extra-testuali, un testamento spirituale del vecchio Montale per la giovane
donna..
Per Clizia si tratta di una poesia dedicata perché nella nota finale del volume a Iride Montale diceva
così il personaggio è quello del Giglio rosso e di tutta la serie di Finisterre. Ritorna nella Primavera
hitleriana, in varie Silvae e nel Piccolo testamento. Quindi già nella nota a Iride, Montale ci aveva
detto che questa donna rientra e torna anche in questa poesia.
Iride verso 8 senhal di Clizia solo quest’iride posso lasciarti.
Non può fallire nel ritrovartiv 26. Il verbo ritrovarti (ritrovare te) è da ricollegare forse a una persona
perduta che non può che essere Clizia per la banale constatazione che Maria Luisa Spaziani in quel
momento non era perduta. Montale non doveva ritrovare nulla nei confronti della più giovane delle due
donne. Abbiamo ancora una volta una stratificazione del femminile: al primo posto Irma, ma qui Volpe
potrebbe rappresentare anche una sorta di esecutrice testamentaria: colei che deve realizzare il
testamento di Montale.
Secondo Scaffai con questa poesia si chiude il Canzoniere d’amore iniziato nelle Occasioni con il
primo mottetto, che era sicuramente una poesia dedicata a Irma. In quella poesia si parlava di un segno
smarrito: quando lei parte, Montale disperato cerca forse nelle tasche un segno smarrito. In piccolo
testamento invece si parla di un segno ritrovato (verso 25-26). Questo legame fra il mottetto e questa
poesia attraverso il senhal legato alla parola segno può essere indicativo di questa proposta di Scaffai. È
chiaro che questo ritrovamento non può più avvenire in una dimensione reale, Clizia-Irma è per
definizione una donna assente, lontana. Si troveranno, o Montale spera che possano trovarsi, in una
dimensione altra come confermerà la poesia successiva, il sogno del prigioniero. Dimensione onirica,
ultraterrena.

Metro: 30 versi endecasillabi, classico del M dall’ anguilla in poi. Incipit è un ottonario. Ritmo
cadenzato.
Ci sono poi 4 decasillabi, verso 16 alessandrino sdrucciolo, verso 14 settenario sdrucciolo, verso 6 “che
alimenti” quaternario però se lo leggete insieme anche a “chierico rosso nero” viene fuori un
decasillabo.
Varie rime, alcune importanti es verso 9 testimonianza con 11 speranza. Rima interna baciata versi 22-
23 memoria-storia e una rima sdrucciola che collega un verso di metà poesia con la fine del verso della
poesia: lucifero-fiammifero.
Commento e parafrasi:
Titolo Piccolo Testamento: c’è la solita espressione di riduzione delle proprie affermazioni. È il titolo
minimale, ridotto ai minimi termini.
Questo che a notte balugina nella calotta del mio pensiero Questo (si comincia con un deittico, la cui
spiegazione è l’apposizione traccia madreperlacea di lumaca o smeriglio di vetro calpestato). Questa
traccia, questo smeriglio [=questo] di vetro che nel buio [anche in senso storico-esistenziale,
ricordiamo il buio della ragione] si fa appena vedere (balugina, baluginare=emettere un lieve chiarore)
nella mia calotta celebrale dove si formano i pensieri.
Questa che è una traccia madreperlacea di lumaca una traccia di lumaca è quella bava che lascia la
lumaca che si vede appena ed è madreperla (sembra traslucida) oppure sembra smeriglio (minerale con
cui si forma la carta vetro o carta smerigliata, qui ridotto in polvere, però essendo di vetro essendo un
minerale, quindi avendo un’apparenza vetrosa riflette la luce appena)
Insomma quello che io ho nella mia testa, che è una traccia di luce minimale non lume di chiesa o
d'officina che alimenti chierico rosso, o nero [questo lume che ho in testa e che guida la mia vita da
intellettuale], non appartiene nè alla chiesa (quindi non appartiene né alla Democrazia Cristiana) nè
all’officina (qui in generale per fabbrica con riferimento al Fronte Popolare) Questo lume non è
alimentato/ non è tenuto acceso/non è tenuto vivo nè da un chierico rosso nè da un chierico nero. Il
chierico qui inteso anche in senso tradizionale del termine, anche medievale: Clericus vagantes ovvero
gli intellettuali che appartengono a due partiti differenti, contrapposti.
Fin da ora sottolinea l’indipendenza del suo pensiero dalle correnti dominanti nel paese in quel periodo.
Solo quest'iride posso lasciarti compare il tu a cui si rivolge. Posso lasciare a te, per testamento,
soltanto questa iride (di per sé è una sorta di arcobaleno, di luce rifratta nei suoi colori, la traccia
iridescente della lumaca) (la struttura riprende quella di NON CHIEDERCI LA PAROLA, mottetto
occasioni)
a testimonianza d'una fede che fu combattuta, d'una speranza che bruciò più lenta di un duro ceppo
nel focolare testimonianza (dobbiamo notare che testimonianza appartiene allo stesso campo
semantico di testamento. È quindi un testamento-testimonianza. Questo mio lascito è un lascito
intellettuale, piccolo, però evidente, visibile ed è testimonianza di una fede (dei lumi della ragione) che
fu combattuta, e di una speranza (sempre nella ragione) che ha resistito a lungo come quando mettiamo
nel caminetto un grosso pezzo di legno che brucia lentamente aspettando che si consumi. La fede e la
speranza potrebbero anche essere fede nella poesia. Sta sempre parlando Montale del suo lascito
intellettuale e spirituale.
Conservane la cipriaConserva la cipria di questa fede, di questa speranza ( la cipria è qualcosa di
palpabile, poteva dire anche la cenere visto che ha parlato del ceppo che brucia nel focolaio)conserva
la cenere ciò che resta di questa fede, di questa speranza nello specchietto ( cioè nella trousse di trucchi
-> donna) quando spenta ogni lampada( ogni lume di ragione) la sardana (è un ballo, Montale non ha
un rapporto positivo con i balli. Sono tutti elementi usati in senso negativo. Riprende il fandango) si
farà infernale e arriverà addirittura un Lucifero scuro nero (Lucifero ombroso: è ossimoro evidente,
come fa uno che porta la luce a portare ombra. Lucifero era uno dei nomi di Satana prima di diventare
Satana. Era il più bello e il luminoso degli angeli. Lucifero che porta la luce. Poi si ribella a Dio
diventando il più brutto degli angeli, temuto, oscuro e ombroso. Comunque dio del male, anti ragione.
Scenderà sulla riva di uno di questi fiumi, del Tamigi, dell’Hudson, della Senna (fiumi di Londra, New
York e Parigi) scuoterà le ali nere e pesanti (bitume),semi-mozze dalla fatica: proprio perché pesano, è
il peso del male, allora la fatica fa quasi schiantare le sue ali con questo semi-mozze. Scenderà a dirti
che è l’ora della fine del mondo, della civiltà quello che sarà.
Non è un’eredità: (il non compare da qui alla fine molto spesso) (eredità perché non ha valore materiale
e non è un portafortuna che può reggere venti forti [saranno gli eventi della storia, gli eventi negativi
come quelli della bufera), sul fin di ragni della memoria (non te lo lascio come se fosse un’eredità
ricordo, come se fosse una memoria labile) ma una storia può durare soltanto nella cenere, solo quando
è finita, quando muore (riprende concetti di voce giunta dalle folaghe, tra l’altro le due liriche vengono
pubblicate insieme) e persistenza è solo l’estinzione solo l’estinzione è persistenza dunque solo la
morte dura.
Giusto era il segno (ovvero la traccia madreperlacea della lumaca, la fede della ragione e della poesia)
che ti ho indicato era giusto, chi ha riconosciuto questo segno non può sbagliare nel ritrovarti
(costruzione in litote), ritrova te, soprattutto Clizia e tutto ciò che lei ha rappresentato o tutto ciò che lei
continua ad avere in comune con lui. Ognuno riconosce i suoi simili (simile a lui e lei, chiunque essa
sia). L’orgoglio non era fuga dai doveri, l’umiltà non era vigliaccheria (vile), il bagliore (che è sempre
quello della calotta del suo pensiero) tenue, una piccola luce strofinato laggiù (non sappiamo dove,
laggiù però ci riconduce a Irma che è laggiù negli Stati Uniti rispetto a lui e Maria Luisa che non è
lontana) non era un fiammifero ovvero una luce fugace di poca durata, era come la fiamma del ceppo
del focolaio che ha continuato a brillare.

IL SOGNO DEL PRIGIONIERO


Pubblicato nel Ponte di Calamandrei nel novembre del ‘54 e poi nella rivista il Caffè.
Il titolo, intanto il sogno, ci fa capire che siamo in una dimensione diversa dalla realtà, siamo in una
dimensione onirica e la realtà è quella del prigioniero. Montale come uomo si sente prigioniero. È una
prigionia esistenziale.
SOGNO, contrapposto alla realtà che è quella del prigioniero.
Nell’intervista dialogo sulla poesia del ‘60 Montale scrive così: il mio prigioniero può essere un
prigioniero politico, ma può essere anche un prigioniero della condizione esistenziale. Quindi il
prigioniero può essere tanto un riferimento alla realtà politica in generale e non solo italiana, ma è
anche metafora dell’uomo incarcerato, fin dagli ossi di Seppia, uomo che vive dentro un muro e non sa
uscire da quel muro, quell’uomo che vive dentro le mura di una prigione e non sa nulla sul suo destino,
intravede quello che c’è al di fuori, ma lo sa appena. L’unico modo che ha quest’uomo di scappare
dalla prigione è quello di Volare con la fantasia, di sognare.
Finisce con “Il mio sogno di te non è finito” dove il tu è femminile indica che il sogno dell’amore è un
sogno che non finisce mai, che non è ancora finito perché è l’unica cosa che sostiene l’individuo.
Quindi la donna e l’amore, pur illusori, sanno trasformare l’esistenza in qualcosa che vale la pena di
essere vissuto. È una conclusione inaspettatamente positiva pur in un contesto negativo (l’uomo
prigioniero e che non sa nulla del suo destino), però è un uomo che sogna. Quindi la vita fino alla fine
si sostiene sulla speranza derivata dal sogno. È una posizione quasi leopardiana, in particolar modo
vengono a mente o le Operette Morali e il dialogo di Torquato Tasso e del suo genio familiare dove
Torquato Tasso è chiuso in prigione e l’unico modo che ha per evadere dalla prigione è il sogno.
Abbiamo in questa poesia una duplice realtà: quella della vita reale e quella del sogno (che è una realtà
illusoria, ma reale anch’essa di per sé perché sostiene la vita). È una duplice realtà che viene
rispecchiata in questa duplice struttura di questa lirica. È una struttura a incastro in cui importanti sono
i due trattini che vediamo uno al verso 8 supposti-, che viene poi chiuso al verso 30. Identificano una
parentetica:
-verso 1 al primo emistichio del verso 8
-versi 31/34 fino alla fine sono versi che descrivono la realtà della vita del prigioniero -ciò che c’è nel
mezzo trai trattini descrivono la realtà del sogno: uno spazio interiore che si oppone a uno spazio
esterno.
-ultimo verso: mescola i due piani della realtà e del sogno.
Calderon dice toda la vida es sueno e potrebbe essere una delle fonti di questa poesia. è stato
dimostrato che forse l’ipotesto più probabile in questa poesia è di un autore: Agrippa Dubigne ( autore
già visto fin dall’esergo della bufera, tratto dal poemetto les tragiques) e in questo modo sembra quasi
chiudere il cerchio che passa tra la prima poesia la bufera e l’ultima poesia della raccolta. L’esergo
iniziale era contro i tiranni e anche in sogno del prigioniero c’è un richiamo ai tiranni, richiama la
condizione politica dell’uomo citando i forni (lessico basso in questa poesia) e i bucellati (biscotto) e
poi usa anche la parola la purga.
Forni e purga rinviano nella realtà del secondo dopo guerra a due elementi precisi di carattere storico-
politico. I forni= rimandano a quello che è successo nei campi di sterminio e purga=ricorda le purghe
staliniane dell’Unione Sovietica. Stalin era morto nel ’53, l’anno prima di questa poesia e si era venuto
a conoscenza dopo la sua morte di tutti i misfatti compiuti in nome del comunismo o comunque della
dittatura personale dell’Unione Sovietica. Si parla in questa poesia in generale di condizione
dell’uomo, ma si accenna anche a dei fatti storico- politici ben precisi e sono fatti negativi. C’è una
condanna di tipo politico dell’uomo, ma c’è anche una condanna di tipo esistenziale che è la condizione
precaria dell’uomo che si sente prigioniero della vita.
Linguaggio abbastanza nuovo di tipo ESPRESSIONISTICO cioè c’è un realismo molto sottolineato.
Dietro questo realismo c’è prima di tutto la lezione dantesca. Dante è per tutte le raccolte di Montale
forse il poeta più tenuto presente nella raccolta. In questa poesia c’è un lessico culinario molto
evidente, usato anche da Dante nell’Inferno nella bolgia dei barattieri immersi nella fece bollente e
Dante fa il paragone con i cuochi che nelle cucine hanno delle grandi pentole dove con degli uncini
spinge giù le carni. Il lessico culinario già usato da Dante è ripreso da Montale. Borgia delle
malebolgie. È espressionistica anche la serie dei rilievi sensoriali, cioè legati ai sensi. Ed è il fatto che il
prigioniero è rinchiuso in una cella e per cercare di capire dove si trova, di riconoscere la realtà che lo
circonda usa tutti insieme i suoi sensi, per orientarsi e capire qualcosa. L’udito si fa sentire nel crac di
noci schiacciace, un oleoso sfrigolìo di girarrosti, nei colpi e nei passi. Quindi uno dei sensi più
sviluppati di quest’uomo è l’udito.
Tatto= si verifica attraverso un filo d’aria polare che arriva da una sorta di balconcino dal quale vede
l’esterno. La vista=del rincorrersi dei giorni, incorrerei di albe e notti/giorno, lo zig zag degli stormi, lo
spioncino in cui appare l’occhio del capo guardia, i chimoni (termine straniero importato ovvero colori
delle luci all’alba). L’ olfatto= sente bruciaticcio dei brucellati arriva un odore di bruciato dal forno,
bruciato di biscotti o qualcosa di simile. Il gusto= in riferimento al patè verso 16, scritto in corsivo.
Come dire che i 5 sensi sono la modalità più importante che ha l’uomo per conoscersi, conoscere la sua
situazione esistenziale su cui può meditare.
METRO: 5 strofe, meglio lasse con la prima fatta da un verso isolato di apertura che sembra
un’epigrafe, ed è un tredecasillabo formato da un settenario sdrucciolo e un quinario.
19 endecasillabi, 4 ottonari, 1 decasillabo verso 10, 6 endecasillabi ipermetri a maiore e poi 3
tredecasillabi compreso il verso 1.
Numerose rime: verso 2 battifredi con 10 piedi, ali verso 3 con pestilenziali verso 17, ricaduto verso 29
con rima baciata verso 30 minuto. Farcito interno ultima lassa con finito ultimo verso. Le rime o quasi
rime interne interessanti perché alcune hanno rime straniere es
Zig zag in quasi-rima con crac parole onomatopeiche
Quasi-rima Oleoso con vinosa 6-9
Bruciaticcio quasi rima con tralicci 29-38 in quasi rima 11 perché con paté verso 16
Chimoni interna 22 con torrioni 23
PARAFRASI:
Albe e notti qui variano per pochi segniQui(deittico, indica la cella visto che il titolo è il sogno del
prigioniero, quindi chi parla è il prigioniero. La cella che poi assume il significato più generale di vita),
giorni e notti hanno pochi segni che le caratterizzano. Questi segni sono:
Il zigzag degli storni sui battifredi nei giorni di battaglia, mie sole aliIl (non lo, ma la prima ed della
bufera cominciava con lo zigzag, poi Montale decide di utilizzare l’articolo più aulico il nell’edizione
del ‘72) zig zag degli uccelli [che volano zigzagando], storni sui battifredi (torri di vedetta), nei giorni
di battaglia (evidentemente c’è una guerra in atto, un qualcosa di negativo, al di fuori c’è una battaglia
in atto, ed è il conflitto anche interiore dell’animo umano ), questo zigzag degli storni sono le sole ali
che ha questo prigioniero cioè non riesce a uscire dal luogo dove si trova se non con la fantasia ( zigzag
degli stormi mie sole ali: riferimento al canto 5 inferno e similitudini che introducono le figure dei
lussuriosi), un filo d’aria polare (avverte da fuori l’aria fredda), vede l’occhio del capo guardia dallo
spioncino, crac (rumore di noci schiacciate le noci potrebbero essere le ossa di altri uomini o torture),
un oleoso sfrigolìo dalle cave le cave sono dei sotterranei, da queste cave proviene un oleoso
sfrigolio d’olio come se stessero friggendo qualcosa. -TRATTINO qui comincia la parte più relativa
al sogno rispetto a una realtà molto tragica e indefinibile perché sono tutti rumori o suoni.
Manonostante queste avverse condizioni il pagliericcio dove dormo è oro, la lanterna che da una luce
color del vino, quindi non troppo brillante sembra un fuoco che riscalda se dormendo, dunque in sogno
mi credo ai tuoi piedi. (Di qualcuna).

La purga dura da sempreLa purga (condizione di prigionia, di patimenti e torture) durano da sempre.
Evidentemente è una condizione esistenziale dell’uomo. ( eccezione genere o condizione staliniana,
legata alla storia) senza un perché, non ci sono motivi speciali per cui l’uomo è costretto a subire delle
purghe. Dicono, si dice in generale (è un giravoce, non ci sono notizie certe sulla provenienza di queste
voci) che chi abiura (=rinuncia alle proprie idee) e sottoscrive (firma quest’abiura) forse chi abiura
cioè chi accusa se stesso e non fa la spia (vende carne d’altri cioè accusa altri) può salvarsi da questo
sterminio oche (oche riconducono al cibo, dal fegato d’oca si ricava il paté ripreso dopo, la vita umana
sembra uno sterminio d’oche, l’ uomo sembra un animale destinato a qualche mensa e la mensa viene
citata subito dopo), mensa riservata a questi Iddii pestilenziali (=capi pestiferi e addirittura cannibali)
Afferra il mestolo (cioè diventa cuoco, cambia la sua posizione, da vittima diventa carnefice, quindi fa
parte della schiera dei potenti). Invece di terminare nel patè, questo cibo, quasi il nettare degli dei
destinato a questi iddi.

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