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CONCLUSIONI PROVVISORIE
Per le due conclusioni provvisorie si fanno più evidenti le tracce di Clizia. In ambedue queste liriche è
presente un segnale importante che è Iride. La parola Iride è presente tanto in Piccolo Testamento al
verso 8 quanto al plurale Iridi nel sogno di un prigioniero.
Ci sono alcuni aspetti particolari che ricondurrebbero più a Volpe che a Irma, anche se il tu dominante
è quello di Irma. Parlare di varie donne o persone amate può essere superfluo, perché la visione di M è
che l’amore per le donne o per Clizia ha sempre la stessa natura. Tutte le donne amate si possono
unificare in unico termine che è quello dell’amore. La presenza di Clizia domina perché lei ha
dominato nella vita amorosa dell’autore.
Le conclusioni provvisorie sono divise in tre tempi: un TEMPO PRIVATO, delle vicende personali,
TEMPO STORICO che fa da sfondo e che è stato soprattutto quello della guerra, ma anche del
dopoguerra, un TEMPO METAFISICO ovvero il tempo con la T maiuscola che rappresenta, come
Montale spesso ha detto, il male metafisico, l’apocalisse e qualcosa che riguarda l’esistenza umana.
A rendere più unitarie le due liriche ci sono alcuni echi da Eliot, agisce un ipotesto, un testo sotterraneo
che è La terra desolata di Eliot.
Piccolo testamento
POESIA pubblicata in Fiera Letteraria luglio ‘53 con titolo DI CONGEDO PROVVISORIO.
Il termine provvisorio era già presente inizialmente nel titolo originario di questa lirica e poi dopo
quando Montale inserisce questa poesia nella Bufera e altro accanto al il sogno di prigioniero utilizza il
titolo provvisorio per l’intera sezione settima finale.
La lirica viene pubblicata insieme a “una voce ci è giunta con le folaghe”. La data 12 maggio ‘53
confermata nelle note della bufera e altro. È una data precisa, con giorno mese e anno. Una data simile
era anche nei madrigali fiorentini in cui era in esergo, qui invece è nelle note finali. Giorno, anno e
mese di composizione è una novitàè una novità per M. Ci chiediamo allora perché Montale ha dato
un’indicazione così precisa. Non pare sia una data particolare: la data si rifà al titolo ovvero
testamento. Testamento olagrafo (=di mano del testatore, di chi fa il testamento) dal punto di vista
giuridico deve essere sottoscritto con il giorno, il mese e l’anno. È come dire ti lascio questo
testamento che io ho steso in questo giorno. Un’altra ragione è che Montale vuole fare riferimento a un
periodo storico preciso: siamo nel maggio ’53, il maggio del ’53 in Italia è un mese di campagna
elettorale: si voterà il 7 giugno del ’53. Le precedenti elezioni erano state nel ’48 quindi cinque anni
prima, ci sarebbero quindi state le nuove elezioni per i rappresentanti della Camera del Senato e la lotta
politica è molto forte fra i due fronti che si erano già presentati nel ’48: tra il fronte popolare (socialisti
e comunisti insieme) e la Democrazia Cristiana. Nella lirica ci sarà proprio un accenno ai colerici rossi
(fronte popolare) e neri (Democrazia Cristiana). Questa è la situazione in Italia in questo periodo, molto
bollente dal punto di vista politico e sociale anche perché c’è un tentativo di fare approvare la
cosiddetta Legge truffa, cioè quella legge che darebbe la maggioranza assoluta al partito che avrebbe
ottenuto una certa percentuale di voti. Montale si chiama fuori e in questa poesia fa una dichiarazione
che non è né partitica, né ideologica, mentre ribadisce la sua fede e la sua speranza insieme in qualcosa
di diverso dall’ideologia politica e quel qualcosa di diverso è la sua fede risiede nei lumi della ragione.
Questa traccia di lume e di ragione che troviamo fin dall’inizio nella traccia madreperlacea di lumaca
al verso 3, è qualcosa di labile, che quasi non si vede, ma che esiste. Il lascito di Montale allora è
proprio questa traccia di fede nella ragione. L’ understatement montaliano siede anche nell’aggettivo
piccolo, ovvero ridotto all’osso. Testamento, invece assume un significato di lascito poetico spirituale
(è una poesia che è collocata alla fine della raccolta) e dobbiamo vederci come indica Scaffai nella
presentazione di questo testo dice che c’è un richiamo biblico ricordiamo il Vecchio e il Nuovo
Testamento della Bibbia e Testamento è un patto con Dio. Qua non ci sono dei richiami di carattere
biblico, non c’è un patto con la divinità, c’è un richiamo alla dimensione del sacro che ha
accompagnato molte liriche della Bufera e che Montale ha identificato soprattutto con una donna prima
Irma e poi Maria Luisa.
Non è facile capire a chi è indirizzata la lirica, sicuramente a un tu al verso 9 un Tu “lasciarti”
lasciare a te e al v. 26 “ritrovarti”. Il tu quindi c’è, è molto probabilmente un tu femminile, come
sempre in Montale. L’indizio è al verso 13 in cui si dice di conservare questa eredità di fede nel lume
della ragione Conservane la cipria nello specchietto. Lo specchietto è un oggetto femminile, dunque
il tu è sicuramente femminile. Ma chi è Irma o Clizia? Probabilmente sono tutte e due con prevalenza
di Clizia.
Elementi a favore di Maria Luisa, la musa meno provante:
In questo caso ci aiutano le lettere di Montale scritte in questo periodo a Maria Luisa Spaziani. Quindi
sono elementi extra testuali (gli elementi testuali ci riconducono piuttosto a Irma).
Elementi extra-testuali.
Scrive così Montale ho scritto un’altra poesia per te, è la lettera che ti manderò in punto di morte
In un’altra lettera vivo nella speranza di non essere ancora la cenere del tuo porta cipria. -cita lo
specchietto del porta cipria che compare anche nella lirica. Questa poesia sarebbe, da queste
affermazioni di Montale extra-testuali, un testamento spirituale del vecchio Montale per la giovane
donna..
Per Clizia si tratta di una poesia dedicata perché nella nota finale del volume a Iride Montale diceva
così il personaggio è quello del Giglio rosso e di tutta la serie di Finisterre. Ritorna nella Primavera
hitleriana, in varie Silvae e nel Piccolo testamento. Quindi già nella nota a Iride, Montale ci aveva
detto che questa donna rientra e torna anche in questa poesia.
Iride verso 8 senhal di Clizia solo quest’iride posso lasciarti.
Non può fallire nel ritrovartiv 26. Il verbo ritrovarti (ritrovare te) è da ricollegare forse a una persona
perduta che non può che essere Clizia per la banale constatazione che Maria Luisa Spaziani in quel
momento non era perduta. Montale non doveva ritrovare nulla nei confronti della più giovane delle due
donne. Abbiamo ancora una volta una stratificazione del femminile: al primo posto Irma, ma qui Volpe
potrebbe rappresentare anche una sorta di esecutrice testamentaria: colei che deve realizzare il
testamento di Montale.
Secondo Scaffai con questa poesia si chiude il Canzoniere d’amore iniziato nelle Occasioni con il
primo mottetto, che era sicuramente una poesia dedicata a Irma. In quella poesia si parlava di un segno
smarrito: quando lei parte, Montale disperato cerca forse nelle tasche un segno smarrito. In piccolo
testamento invece si parla di un segno ritrovato (verso 25-26). Questo legame fra il mottetto e questa
poesia attraverso il senhal legato alla parola segno può essere indicativo di questa proposta di Scaffai. È
chiaro che questo ritrovamento non può più avvenire in una dimensione reale, Clizia-Irma è per
definizione una donna assente, lontana. Si troveranno, o Montale spera che possano trovarsi, in una
dimensione altra come confermerà la poesia successiva, il sogno del prigioniero. Dimensione onirica,
ultraterrena.
Metro: 30 versi endecasillabi, classico del M dall’ anguilla in poi. Incipit è un ottonario. Ritmo
cadenzato.
Ci sono poi 4 decasillabi, verso 16 alessandrino sdrucciolo, verso 14 settenario sdrucciolo, verso 6 “che
alimenti” quaternario però se lo leggete insieme anche a “chierico rosso nero” viene fuori un
decasillabo.
Varie rime, alcune importanti es verso 9 testimonianza con 11 speranza. Rima interna baciata versi 22-
23 memoria-storia e una rima sdrucciola che collega un verso di metà poesia con la fine del verso della
poesia: lucifero-fiammifero.
Commento e parafrasi:
Titolo Piccolo Testamento: c’è la solita espressione di riduzione delle proprie affermazioni. È il titolo
minimale, ridotto ai minimi termini.
Questo che a notte balugina nella calotta del mio pensiero Questo (si comincia con un deittico, la cui
spiegazione è l’apposizione traccia madreperlacea di lumaca o smeriglio di vetro calpestato). Questa
traccia, questo smeriglio [=questo] di vetro che nel buio [anche in senso storico-esistenziale,
ricordiamo il buio della ragione] si fa appena vedere (balugina, baluginare=emettere un lieve chiarore)
nella mia calotta celebrale dove si formano i pensieri.
Questa che è una traccia madreperlacea di lumaca una traccia di lumaca è quella bava che lascia la
lumaca che si vede appena ed è madreperla (sembra traslucida) oppure sembra smeriglio (minerale con
cui si forma la carta vetro o carta smerigliata, qui ridotto in polvere, però essendo di vetro essendo un
minerale, quindi avendo un’apparenza vetrosa riflette la luce appena)
Insomma quello che io ho nella mia testa, che è una traccia di luce minimale non lume di chiesa o
d'officina che alimenti chierico rosso, o nero [questo lume che ho in testa e che guida la mia vita da
intellettuale], non appartiene nè alla chiesa (quindi non appartiene né alla Democrazia Cristiana) nè
all’officina (qui in generale per fabbrica con riferimento al Fronte Popolare) Questo lume non è
alimentato/ non è tenuto acceso/non è tenuto vivo nè da un chierico rosso nè da un chierico nero. Il
chierico qui inteso anche in senso tradizionale del termine, anche medievale: Clericus vagantes ovvero
gli intellettuali che appartengono a due partiti differenti, contrapposti.
Fin da ora sottolinea l’indipendenza del suo pensiero dalle correnti dominanti nel paese in quel periodo.
Solo quest'iride posso lasciarti compare il tu a cui si rivolge. Posso lasciare a te, per testamento,
soltanto questa iride (di per sé è una sorta di arcobaleno, di luce rifratta nei suoi colori, la traccia
iridescente della lumaca) (la struttura riprende quella di NON CHIEDERCI LA PAROLA, mottetto
occasioni)
a testimonianza d'una fede che fu combattuta, d'una speranza che bruciò più lenta di un duro ceppo
nel focolare testimonianza (dobbiamo notare che testimonianza appartiene allo stesso campo
semantico di testamento. È quindi un testamento-testimonianza. Questo mio lascito è un lascito
intellettuale, piccolo, però evidente, visibile ed è testimonianza di una fede (dei lumi della ragione) che
fu combattuta, e di una speranza (sempre nella ragione) che ha resistito a lungo come quando mettiamo
nel caminetto un grosso pezzo di legno che brucia lentamente aspettando che si consumi. La fede e la
speranza potrebbero anche essere fede nella poesia. Sta sempre parlando Montale del suo lascito
intellettuale e spirituale.
Conservane la cipriaConserva la cipria di questa fede, di questa speranza ( la cipria è qualcosa di
palpabile, poteva dire anche la cenere visto che ha parlato del ceppo che brucia nel focolaio)conserva
la cenere ciò che resta di questa fede, di questa speranza nello specchietto ( cioè nella trousse di trucchi
-> donna) quando spenta ogni lampada( ogni lume di ragione) la sardana (è un ballo, Montale non ha
un rapporto positivo con i balli. Sono tutti elementi usati in senso negativo. Riprende il fandango) si
farà infernale e arriverà addirittura un Lucifero scuro nero (Lucifero ombroso: è ossimoro evidente,
come fa uno che porta la luce a portare ombra. Lucifero era uno dei nomi di Satana prima di diventare
Satana. Era il più bello e il luminoso degli angeli. Lucifero che porta la luce. Poi si ribella a Dio
diventando il più brutto degli angeli, temuto, oscuro e ombroso. Comunque dio del male, anti ragione.
Scenderà sulla riva di uno di questi fiumi, del Tamigi, dell’Hudson, della Senna (fiumi di Londra, New
York e Parigi) scuoterà le ali nere e pesanti (bitume),semi-mozze dalla fatica: proprio perché pesano, è
il peso del male, allora la fatica fa quasi schiantare le sue ali con questo semi-mozze. Scenderà a dirti
che è l’ora della fine del mondo, della civiltà quello che sarà.
Non è un’eredità: (il non compare da qui alla fine molto spesso) (eredità perché non ha valore materiale
e non è un portafortuna che può reggere venti forti [saranno gli eventi della storia, gli eventi negativi
come quelli della bufera), sul fin di ragni della memoria (non te lo lascio come se fosse un’eredità
ricordo, come se fosse una memoria labile) ma una storia può durare soltanto nella cenere, solo quando
è finita, quando muore (riprende concetti di voce giunta dalle folaghe, tra l’altro le due liriche vengono
pubblicate insieme) e persistenza è solo l’estinzione solo l’estinzione è persistenza dunque solo la
morte dura.
Giusto era il segno (ovvero la traccia madreperlacea della lumaca, la fede della ragione e della poesia)
che ti ho indicato era giusto, chi ha riconosciuto questo segno non può sbagliare nel ritrovarti
(costruzione in litote), ritrova te, soprattutto Clizia e tutto ciò che lei ha rappresentato o tutto ciò che lei
continua ad avere in comune con lui. Ognuno riconosce i suoi simili (simile a lui e lei, chiunque essa
sia). L’orgoglio non era fuga dai doveri, l’umiltà non era vigliaccheria (vile), il bagliore (che è sempre
quello della calotta del suo pensiero) tenue, una piccola luce strofinato laggiù (non sappiamo dove,
laggiù però ci riconduce a Irma che è laggiù negli Stati Uniti rispetto a lui e Maria Luisa che non è
lontana) non era un fiammifero ovvero una luce fugace di poca durata, era come la fiamma del ceppo
del focolaio che ha continuato a brillare.
La purga dura da sempreLa purga (condizione di prigionia, di patimenti e torture) durano da sempre.
Evidentemente è una condizione esistenziale dell’uomo. ( eccezione genere o condizione staliniana,
legata alla storia) senza un perché, non ci sono motivi speciali per cui l’uomo è costretto a subire delle
purghe. Dicono, si dice in generale (è un giravoce, non ci sono notizie certe sulla provenienza di queste
voci) che chi abiura (=rinuncia alle proprie idee) e sottoscrive (firma quest’abiura) forse chi abiura
cioè chi accusa se stesso e non fa la spia (vende carne d’altri cioè accusa altri) può salvarsi da questo
sterminio oche (oche riconducono al cibo, dal fegato d’oca si ricava il paté ripreso dopo, la vita umana
sembra uno sterminio d’oche, l’ uomo sembra un animale destinato a qualche mensa e la mensa viene
citata subito dopo), mensa riservata a questi Iddii pestilenziali (=capi pestiferi e addirittura cannibali)
Afferra il mestolo (cioè diventa cuoco, cambia la sua posizione, da vittima diventa carnefice, quindi fa
parte della schiera dei potenti). Invece di terminare nel patè, questo cibo, quasi il nettare degli dei
destinato a questi iddi.