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Eugenio Montale (1896-1981)

Novecento

Vita
Eugenio Montale nasce a Genova il 12 ottobre 1896 da una famiglia benestante. Ha però
un’adolescenza difficile per problemi di salute e questo lo porta a trovarsi spesso solo e lontano
dalla vita borghese, ma allo stesso tempo lo rende molto attento al dolore che caratterizza la
condizione umana.
Dopo la Prima Guerra Mondiale, alla quale partecipa, Montale pubblica la sua prima raccolta
poetica sotto il titolo Ossi di Seppia(1925), opera che avrà un grande successo, e firma poi
il Manifesto degli intellettuali antifascisti, dichiarandosi quindi contrario alla dittatura.
Dal 1927 Montale si trasferisce a Firenze e qui passa degli anni molto impegnati e vivaci
collaborando con importanti riviste del tempo, tuttavia, nel 1938, viene allontanato dall'incarico:
il Fascismo domina in Italia e tutti coloro che non sono iscritti al partito vengono rimossi dalle
cariche pubbliche.
Nonostante questo ritiro sono anni molto importanti per il poeta: nel 1939 pubblica una nuova
raccolta, Le Occasioni, e conosce Drusilla Tanzi che sarà sua moglie e il grande amore di tutta la
sua vita. Dopo la guerra torna a Firenze, dove s'iscrive al Partito D’Azione e partecipa alla vita
politica che, però, presto lo delude spingendolo a un ulteriore ritiro. Trasferitosi a Milano, inizia a
collaborare con il Corriere della Sera e nel 1975 gli viene assegnato il Premio Nobel per la
Letteratura. Muore a Milano nel 1981.

Correlativo oggettivo
Il correlativo oggettivo è un procedimento poetico, inizialmente elaborato da Thomas Eliot e poi
autonomamente ripreso e sviluppato da Eugenio Montale, per cui una determinata sensazione o
emozione viene rappresentata sulla pagina attraverso oggetti concreti o una situazione particolare,
che dovrebbero suscitare nel lettore ciò che prova il poeta senza necessità di mediazione o di
spiegazione.
Il funzionamento del “correlativo oggettivo” viene spiegato come “una serie di oggetti, una
situazione, una catena di eventi” che hanno la funzione di evocare una “emozione particolare”.
Eugenio Montale recupera la funzione simbolica del “correlativo oggettivo” soprattutto nelle sue
due prime raccolte (“Ossi di seppia” e “Le occasioni”), in testi come “Spesso il male di vivere ho
incontrato”  o “Meriggiare palllido e assorto”, dove i dati sensibili della realtà sono la
concretizzazione materiale dell’inquietudine esistenziale del poeta.
Ossi di seppia
 Ossi di seppia è la prima raccolta di Eugenio Montale. Il titolo scelto dal poeta è espressione
del sentimento di emarginazione ed aridità nel rapporto con la realtà che caratterizza la prima
parte della sua opera poetica. Il rapporto dell’uomo con la natura non è più
simbiotico; Montale rifiuta la tradizione a lui antecedente della fusione tra l'io poetico e il mondo
naturale, così che il paesaggio ligure diventa nudo e desolato come un osso di seppia. Il sole è una
presenza costante che secca tutto ciò che raggiunge coi suoi raggi, e l'aspro paesaggio naturale ed
animale che l'occhio del poeta descrive è un trasparente simbolo di un suo profondo ed
inestirpabile disagio esistenziale.
Non si riesce più ad utilizzare la poesia per spiegare realmente la vita e il rapporto dell’uomo con
la natura: la realtà stessa appare incomprensibile e inesprimibile, ed il poeta non può che mettere
in evidenza questa percezione negativa del suo stare al mondo, scegliendo volutamente un
paesaggio aspro e scabro, e un linguaggio poetico che si modella su questa profonda inquietudine
personale. Solo di tanto in tanto intravediamo qualche guizzo di speranza, in cui sembra che, per
un breve momento, l’uomo possa scoprire la verità ultima che si cela dietro le apparenze del
mondo. Questi toni pessimistici e il connesso "male di vivere" montaliano si riflettono nello stile
prevalente delle poesie di Ossi di seppia, scritte all'insegna di un linguaggio antilirico e quotidiano,
che privilegia un lessico non aulico. Il recupero e la profonda rielaborazione formale e
contenutistica della tradizione letteraria italiana fanno sì che la prima raccolta montaliana - come
dimostrano emblematicamente alcuni testi, tra cui I limoni, Non chiederci la parola, Meriggiare
pallido e assorto - sia un punto fermo tra i più noti e penetranti della nostra poesia novecentesca.

Poesie (da Ossi di seppia)

Non chiederci la parola:


Parafrasi:

Interpretazione
La poesia, che fornisce il titolo alla raccolta, costituisce un’importante dichiarazione di poetica.
Rivolgendosi a un “tu” imprecisato, che potrebbe essere il lettore, Montale parla a nome della
categoria dei poeti.
In un dialogo immaginario egli afferma la funzione esclusivamente “negativa” della poesia,
strettamente collegata alla negatività dell’esistenza: il poeta non ha certezze da trasmettere o
punti di riferimento da indicare.
Proprio per il suo messaggio, questo componimento è stato scelto dall’autore come primo della
raccolta in cui è stato incluso. Questa poesia, come molte altre di Montale, non ha l’indicazione del
titolo e, per convenzione, viene indicata con il suo primo verso per esteso, o in parte.

Figure retoriche
La poesia si compone di tre quartine di versi liberi in cui prevalgono gli endecasillabi, regolari e
non. Le prime due strofe hanno rime incrociate (ABBA; CDDC), l’ultima alternate (EFEF).
 Enjambement (che migliora la coesione interna dell’unico periodo in cui sono
sintatticamente organizzati i versi).
 Allitterazione (di consonanti dure, «r» e «t», nella prima e nella terza strofa, in cui
altrettanto aspro è il messaggio del contenuto)
Meriggiare pallido e assorto:

Parafrasi:
Interpretazione
“Meriggiare pallido e assorto” una delle più celebri poesie di Eugenio Montale.
Del meriggio estivo, in questa poesia, sono fissate qui alcune impressioni, frutto di una attenta
osservazione piena di entusiasmo. Si ritrovano quelle esperienza di un fanciullo che, negandosi il
riposo nelle ore più calde, segue assorto il muoversi delle formiche, le voci delle cicale e degli
uccelli, la visione di un paesaggio. Ma ciò che stupisce è la triste conclusione alla quale il poeta
giunge, espressione di un suo travaglio; cioè il paragonare la propria vita a un continuo faticoso
andare lungo una muraglia, nell’anelito di superarla per vedere cosa ci sia di là: inutile sforzo
perché la muraglia ha la cima orlata di cocci taglienti. È un’amara osservazione, si direbbe la
conclusione di un pessimista, che si sente vinto dagli ostacoli della vita.
Ma forse è una fugace impressione giustificata dal peso di un’ora afosa e non le dobbiamo
attribuire che un significato contingente.

Figure retoriche
La lirica è costituita da quattro strofe nelle quali si alternano novenari, decasillabi e endecasillabi.
Le prime tre strofe sono costituite da quattro versi, l’ultima da cinque. Alcune delle figure
retoriche che poesia presenta sono:
 Allitterazioni (come le varie combinazioni della r con altre consonanti, che servono a creare
una musicalità)
 Onomatopee (parole che riproducono i suoni che indicano
 Enjambements (finire la frase al verso successivo tra versi 9 e 10 e tra versi 10 e 11)
 Metafora (versi 16 e 17)

Spesso il mare di vivere ho incontrato


Parafrasi

Interpretazione
L’argomento principale che fa capolino dai versi è il dolore, il male di vivere che non risparmia
neppure la natura: sia gli elementi inanimati che quelli vivi (come le piante e gli animali)
sperimentano il male e la sofferenza. Si nota subito un parallelismo esistente tra le due strofe che
aprono la lirica: il poeta utilizza sapientemente alcuni oggetti simbolici per spiegare l’affermazione
iniziale: “Spesso il male di vivere ho incontrato “.
Nella prima strofa, che corrisponde ad una quartina, il termine principale è “male “; intorno a
questo ruotano le immagini: il ruscello che non riesce a scorrere, la foglia inaridita che si
accartoccia su sé stessa, il cavallo sfinito che stramazza a terra.
Nella seconda strofa (anche questa una quartina) il poeta mette in risalto i simboli del “bene”: la
statua che si erge silenziosa, la nuvola sospesa nel cielo, il falco in volo in uno spazio indefinito e
lontano. Al “bene” il poeta affianca un altro stato d’animo che contraddistingue l’esistenza umana:
l’indifferenza. Montale parla di indifferenza attribuendole la maiuscola perché secondo il suo
punto vista rappresenta l’unico rimedio al male di vivere. Il restare indifferenti dinanzi alle
difficoltà e al male della vita permette di non soffrire, adottando il giusto grado di distacco verso gli
accadimenti.
Il male di vivere che Montale descrive in questa lirica è lo stesso di cui parla Leopardi con il suo
“pessimismo cosmico“, ma qui il linguaggio è ridotto all’essenziale e piuttosto scarno. Poiché “il
vivere stesso è il male” non esistono soluzioni per combatterlo, tranne che adottare la
“miracolosa” indifferenza di cui abbiamo detto prima.

Figure retoriche
 Anafora (versi 2-3-4-6-7, “era”)
 Allitterazione (versi. 2-3-4 “era il rivo strozzato che gorgoglia, /era l’incartocciarsi della
foglia/riarsa, era il cavallo stramazzato” verso 8 “…e il falco alto levato “)
 Enjambement (versi 3-4; versi 5-6; versi7-8)
Cigola la carrucola del pozzo

Parafrasi

Interpretazione
Nella poesia Montale sembra voler indicare che il passato è inesorabilmente destinato a svanire,
annichilito dal trascorrere del tempo. Il cigolio della carrucola avvia la rievocazione del ricordo
evanescente di un volto, di un’immagine del passato del poeta. Il secchio colmo d’acqua si fonde
con la luce (il momento luminoso della rievocazione), un ricordo dai contorni incerti (trema) affiora
alla memoria, emerge dal pozzo profondo dell’oblio. L’immagine di un volto sorridente sembra
farsi più nitida e il poeta cerca di baciarne le labbra, di afferrarla, ma subito essa si allontana,
deformata inesorabilmente dal trascorrere del tempo e il ricordo svanisce. Quell’immagine che era
affiorata alla memoria ripiomba verso il buio profondo del pozzo-tempo. Il tempo passato separa
inesorabilmente il poeta da quella fugace visione. La poesia descrive l’impossibilità del recupero
memoriale: l’illusione di poter sottrarre al tempo un frammento del proprio passato, un brandello
di felicità ormai lontana, è destinata a svanire. L’immagine, accompagnata dallo stridore della
carrucola, sprofonda nel buio rappresentato dal trascorrere del tempo, che ci separa
inevitabilmente da quel che siamo stati.
Figure retoriche
 Assonanze (ricordo/ ricolmo [v.3])
 Allitterazioni (delle consonanti “R” e “C”)
 Onomatopee (cigola [v.1], ride [v.4])

Poesie (da Le Occasioni)


Non recidere forbice quel volto: Parafrasi:

Non recidere, forbice, quel volto,


solo nella memoria che si sfolla,
non far del grande suo viso in ascolto
la mia nebbia di sempre.
Un freddo cala… Duro il colpo svetta.
E l’acacia ferita da sé scrolla
il guscio di cicala
nella prima belletta di Novembre.

INTERPRETAZIONI
In questa poesia è evidente la tecnica del correlativo oggettivo. La lirica si basa su uno dei temi
fondamentali della poetica di Montale e cioè l’angoscia dello sfaldarsi dei ricordi, della memoria
che non riesce a custodire l’immagine fedele della persona amata.  La poesia si articola in due
tempi scanditi dalle due quartine: la prima quartina di carattere intimistico si incentra sul tema
della memoria e il Poeta si augura che un volto caro, ancora vivo nella memoria, non venga
tagliato dalle forbici del tempo, che attenua e confonde i ricordi, la seconda di carattere descrittivo
mostra un giardiniere che mentre è intento a tagliare la cima di un’acacia fa cadere nel fango un
guscio di cicale (labile ricordo dell’estate) che era rimasto attaccato a un ramo. Il poeta accosta
all’immagine iniziale delle forbici del tempo che recidono i ricordi l’azione di una forbice reale che
taglia una pianta. 
La lirica rappresenta simbolicamente, al di là della vicenda personale, la condizione universale
della fatale precarietà della condizione umana.
Figure retoriche:
 Personificazione: forbice che sarebbe il tempo, che "taglia" il ricordo del volto di una persona
amata da Montale.
 Metafora: guscio di cicala
La casa dei doganieri:
Tu non ricordi la casa dei doganieri
sul rialzo a strapiombo sulla scogliera:
desolata t’attende dalla sera
in cui v’entrò lo sciame dei tuoi pensieri
e vi sostò irrequieto.
Libeccio sferza da anni le vecchie mura
e il suono del tuo riso non è più lieto:
la bussola va impazzita all’avventura
e il calcolo dei dadi più non torna.
Tu non ricordi; altro tempo frastorna
la tua memoria; un filo s’addipana.
Ne tengo ancora un capo; ma s’allontana
la casa e in cima al tetto la banderuola
affumicata gira senza pietà.
Ne tengo un capo; ma tu resti sola
né qui respiri nell’oscurità.
Oh l’orizzonte in fuga, dove s’accende
rara la luce della petroliera!
Il varco è qui? (Ripullula il frangente ancora sulla balza che scoscende… ).
Tu non ricordi la casa di questa
mia sera. Ed io non so chi va e chi resta.

INTERPRETAZIONI
La poesia è incentrata sul tema della memoria. A distanza di anni il poeta è tornato a visitare la
casa di Monterosso, paese delle Cinque Terre dove da ragazzo trascorreva le vacaze estive;
riaffiora così alla mente del poeta l’incontro in quella casa con la giovane Arletta, il cui vero nome
è Anna degli Uberti, conosciuta negli anni della gioventù. Rivedendo la casa, il poeta è assalito dai
ricordi di quell’amore lontano, ma la donna non solo se n’è andata, ma anche, travolta dalle
vicende della vita, non ricorda più nulla. Egli deve dolorosamente constatare che solo lui ha ancora
in mano «un capo» del «filo» del ricordo: quella che allora era una ragazza, oggi è una donna,
lontana, non si sa dove: neppure la memoria può far rivivere il passato.
La prevalenza dei correlativi oggettivi è netta: «la bussola», «il calcolo dei dadi», «l’orizzonte in
fuga», «la banderuola», «la luce della petroliera», che indicano l’inesorabile scorrere del tempo
che nessuno può controllare a suo piacimento (la bussola infatti «va impazzita alla ventura») e che
lascia l’uomo solo e smarrito.
Figure retoriche:
 Personificazione (la casa che «t’attende»)
 Metafora («lo sciame dei tuoi pensieri»).

Poesie (da Satura)

Ho sceso, dandoti il braccio:


Parafrasi:
Ho sceso, dandoti il braccio, almeno un milione di scale
e ora che non ci sei è il vuoto ad ogni gradino.
Anche così è stato breve il nostro lungo viaggio.
Il mio dura tuttora, né più mi occorrono
le coincidenze, le prenotazioni,
le trappole, gli scorni di chi crede
che la realtà sia quella che si vede.

Ho sceso milioni di scale dandoti il braccio


non già perché con quattr'occhi forse si vede di più.
Con te le ho scese perché sapevo che di noi due
le sole vere pupille, sebbene tanto offuscate,
erano le tue.

INTERPRETAZIONI
Montale rievoca il lungo e intenso percorso di vita e di amore insieme alla moglie. Camminandole
accanto e scendendo con lei milioni di scale, il poeta l’accompagna e le resta accanto dandole il
braccio: era lei a condurre lui. Come altre donne nella poesia di Montale, Mosca ha la capacità di
distinguere una realtà diversa, fatta di una conoscenza che va oltre l’apparenza materiale. Fatto
tesoro dell’insegnamento per cui la realtà non è quella che si vede, Montale a questo punto è in
grado di camminare ed andare avanti da solo senza cadere in inganni o illusioni.
Figure retoriche:
 Iperbole: “Ho sceso almeno un milione di scale”, figura retorica che consiste nell’esagerare la
descrizione di un qualcosa tramite espressioni che l’amplifichino, per eccesso o per difetto.
 Ossimoro: breve/lungo, Montale contrappone due termini di significato opposto, vuole far
capire che la vita insieme alla moglie, anche se effettivamente durata tanti anni, adesso
sembra brevissima.
 Metafora: “il nostro viaggio”, il viaggio è una metafora per indicare la vita dell’uomo sulla
terra.
 Anafora: “Ho sceso… Ho sceso”, questa figura retorica consiste nel ripetere a inizio di due versi
diversi la stessa parola (o le stesse parole). L’effetto che il poeta vuole rendere è quello di un
pensiero ripetitivo che torna sempre in testa e quindi di un dolore costante.

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