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EUGENIO MONTALE

VITA
Montale nasce a Genova in Liguria il 12 ottobre 1896, ultimo di sei fratelli, da un'agiata
famiglia della media borghesia. Dal 1905 trascorre le estati alle Cinque Terre, dove il
padre ha costruito una villa: il paesaggio marino di Monterosso, fondamentale per
l'ideazione di Ossi di seppia, da allora s'incide per sempre nella sua memoria.
Nel 1915 si diploma ragioniere, si forma da autodidatta e conosce i simbolisti francesi e la
poesia dell'Avanguardia. Dopo un corso per ufficiali a Parma parte per il fronte ma la
guerra, a differenza per quanto avviene per Ungaretti, non lo segna in modo profondo. Il
disagio che lo spinge a scrivere è infatti esistenziale e individuale, non legato a questo
tragico evento storico. Nel 1925 pubblica “Ossi di seppia”, a Torino.
Nel 1927 Montale si trasferisce a Firenze, città che gli appare non solo come la culla
dell'Umanesimo, ma anche come l'epicentro delle lettere e della civiltà, valori da difendere
contro l'incivile volgarità del regime fascista. Mentre Dante rimane sempre un punto di
riferimento per lui. Nel 1939 pubblica “le occasioni”.
La Seconda guerra mondiale, più della Grande guerra, è per Montale una terribile
catastrofe, un dramma storico e personale che conferma il dolore di esistere e la sfiducia
nella storia umana. La terza stagione di Montale (dopo la Liguria e dopo Firenze) è legata
al trasferimento a Milano e all'ingresso nel mondo del giornalismo. Nel 1975 riceve il
premio Nobel per la letteratura e muore nel 1981.
POETICA
La poesia di Montale ha offerto lo specchio e l'interpretazione della società italiana e
internazionale mai disposto a rinunciare alla lotta per un mondo più umano e più civile, ma
neppure disposto a farsi troppe illusioni. Montale non si schiera per la difesa della
tradizione intesa come decoro formale, ma per un'idea di tradizione intesa come civiltà,
come decoro umano e civile, perciò la poesia montaliana cerca un linguaggio concreto,
comunicativo.
Le poesie di Ossi di seppia nascono dunque non da un rifiuto della tradizione, ma da una
sua originale rielaborazione. Per gettare le basi di una nuova poesia è necessario
attraversare d'Annunzio, presente come mondo seducente e inautentico, che Montale
rifiuta. Montale vuole smascherare l'inganno delle false celebrazioni ideologiche e
artistiche. Per questo desiderio di autenticità e di verità, Montale esplora il disagio
esistenziale avvertito come ineliminabile fin dalla giovinezza; il sentimento di inadattabilità
al mondo trascorre dal piano individuale a quello storico e si chiarisce come decisa
negatività dell'esistenza, come coscienza del “male di vivere”.
Alla propria poesia Montale chiede di rispecchiare questa condizione di disagio e di
malessere, con adesione alla concreta materialità del giorno per giorno. La poesia di
Montale è oggettuale, cioè fatta di cose e oggetti concreti. La condizione di negatività e
disarmonia spinge il poeta a rifiutare la parola elegante, esornativa, pittoresca e a preferire
la parola scabra e ruvida, Montale accoglie nei suoi versi gli oggetti comuni, familiari e
dimessi  ma queste «piccole cose» non sono viste, come in Pascoli, con gli occhi
incantati e innocenti di un «fanciullino». La concreta realtà naturale, paesaggio e oggetto,
è in Montale riflesso emblematico d'una condizione esistenziale, espressione d'un destino
individuale e collettivo, che non può offrire certezze né illusioni.
Per Montale, le cose sono immagini emblematiche della verità  correlativo oggettivo,
=evocare un’idea o una sensazione indicandola con gli oggetti, le cose (con riferimento
alla poetica di Thomas Stearns Eliot e in opposizione a Ungaretti). Un esempio chiaro di
questo procedimento è “spesso il male di vivere ho incontrato”: la definizione della
negatività esistenziale è qui presentata non in forma concettuale, ma come incontro
diretto, accadimento reale: «il male di vivere» è il «rivo strozzato», l'«incartocciarsi della
foglia», il «cavallo stramazzato». Gli oggetti parlano da soli e diventano la «formula»
adatta a significare l'angoscia esistenziale del poeta.
Gli oggetti esprimono in modo figurato il senso del destino umano. Ungaretti in “Il porto
sepolto” propone la destrutturazione del verso tradizionale e insieme riscopre la forza della
singola parola, cui affida il compito di attingere la verità, l'assoluto. Per Montale invece, tra
l'individuo e l'assoluto c'è, ineliminabile, la fisicità del mondo, la realtà dei fenomeni e delle
apparenze, la concretezza della natura e della storia: in questi termini materiali si traduce
l'assoluto, ovvero il destino di negazione e dolore che è riservato all'umanità.
La parola, con la sua musica e il suo silenzio, non può aspirare a raggiungere la verità
respingendo la fisicità del mondo, ma deve confrontarsi con la realtà, la sola materiale
espressione del segreto dell'esistenza. L'uso dell'analogia, proprio di Ungaretti, per
Montale non è proponibile. In Montale la parola non allude, non rinvia a un'altra realtà, ma
indica con precisione oggetti definiti e concreti; non suggerisce, ma esprime lo sforzo di
penetrare oltre ciò che appare materialmente per scoprire il significato ultimo della realtà.
OSSI DI SEPPIA
Ossi di seppia comprende poesie composte tra il 1916 e 1924, viene pubblicata con una
prima edizione nel 1925 e una seconda edizione nel 1928 con nuovi sei componimenti
composti tra il 1926-27. Nel libro è centrale la presenza del paesaggio ligure:
 da un lato il mare azzurro e invitante. L'orizzonte del mare è il luogo dell'avventura,
dell'illusione, della sognata felicitànatura positiva che dà vita.
 dall’altro la terra scabra, dura, desolata. La terra è la sede della razionalità, della
consapevolezza, del rapporto civile e sociale: significa accettazione della serietà
della vita, rifiuto dell'avventura e del sogno terra come immagine di privazione del
mare e della vita.
 Gli ossi di seppia, tormentati dalla mareggiata, riarsi dal sole, abbandonati sul litorale,
sono i rifiuti, rifiuti lasciati dalle onde marine sulla spiaggia e, in senso figurato, la
rappresentazione concreta (il "correlativo oggettivo") della durezza e dell'aridità del vivere.
Essi sono costretti a vivere estraniati sulla terra, in un’esistenza che avrebbero dovuto
vivere in mare. Si stacca dal mare e accetta la terra perché unica possibilità di salvezza
per recuperare la dignità umana (chi esce dal mare ed è costretto ad adattarsi ad una vita
che non è propria).
Ossi di seppia è diviso in 5 sezioni: movimenti, ossi di seppia, mediterraneo, meriggi e
ombre, sono concretamente elementi di un orizzonte spaziale. Montale parte dalla
concretezza degli oggetti e cerca di andare oltre e dare una proposta adeguata all’epoca.
La poesia non cambia la realtà ma aiuta a conoscerla nei suoi lati quotidiani, meno eroici e
meno esaltanti: di qui il coraggio di un'opera che si dichiara incapace di comunicare
positive certezze e trasmette l’accettazione del male di viverecerca l’esperienza nel
mondo senza illusione.
Ma la poesia degli Ossi di seppia, dichiara di rifiutare l'avventurosa seduzione
dell'irrazionale, ma si mostra al tempo stesso esposta alle suggestioni d'imprevisti
trasalimenti che possono regalare rari istanti d'illusione, in quanto infrazioni alla norma del
«male di vivere»: essi rivelano un barlume di salvezza e segnano un'interruzione della
razionalità.
 Spesso il male di vivere ho incontrato p.1056
La poesia è stata composta nel 1924 e pubblicata nel 1925. È composta da due quartine
di endecasillabi a rima incrociata secondo lo schema ABBA CDDA. Questa forma metrica
delle quartine e dell’endecasillabo indicano l’avvicinamento di Montale alla tradizione
italiana. Anche la sintassi rispetta la scansione metrica, si ha una simmetria tra le due
quartine con uno stesso schema sintattico.
L'ultimo verso rima con il primo e il quarto, creando una forte circolarità di suono. Il v. 5 è
l'unico escluso dallo schema rimico, ovvero è irrelato: anche se «prodigio» è unito da una
rima imperfetta con «meriggio». Isolando la parola «meriggio» come rima interna, lo
schema metrico si può trasformare così: ABBA CDDCA, ovvero nessun verso è irrelato.
Figure retoriche: enjambement tra il terzo e il quarto verso di ciascuna strofa,
onomatopee v.2 - gorgoglia; v.3 – incartocciarsi; v.4 – stramazzato. Anafora vv.2, 3, 4
ripetizione verbo era; antitesi vv.4, 8 – stramazzato/levato; personificazione v.6
– Indifferenza.
Il poeta documenta la presenza del male di vivere come realtà ordinaria della condizione
umana, che si può incontrare ogni giorno: il ruscello ingorgato, la foglia accartocciata, il
cavallo stramazzato a terra ne sono tangibili incarnazioni. Il solo bene raggiungibile è
l'indifferenza, il distacco, la resistenza di fronte al male: come la statua nel meriggio, la
nuvola e il falco che vola alto nel cielo, sopra le miserie terrene. Il male di vivere interessa
ogni essere vivente, non solo l'uomo (visione profondamente negativa dell'esistenza).
Con il procedimento del correlativo oggettivo il male è rappresentato/oggettivato in
immagini fisiche e concrete come gli oggetti dell’unico bene che il poeta considera
irraggiungibile: l’indifferenza di fronte ai casi della vita la poesia di Montale è una poesia
di immagini concrete e oggetti, il male del vivere non è un concetto astratto ma una
condizione riconoscibile nelle cose di questo mondo.
Possiamo dividere le due quartine:
o La prima quartina esprime il male del vivere e dove si incontra.

Al primo verso l’autore registra la presenza del male di vivere come componente
ineliminabile dell'esistenza, una condizione oggettiva dell’esistenza che resta immutabile.
Questo male di vivere è celato nei fenomeni più comuni della natura, nei tre regni
dell’esistente, in 3 realtà, 3 emblemi del male:
 Il rivo strozzato, l’acqua incastrata e viene ostacolata dal suo fluire, gorgoglia
come se soffrisse (elemento dell’acqua)
 La foglia secca e accartocciata, perché priva di acqua (elemento vegetale)
 Il cavallo stramazzato, abbattuto, accasciato (elemento animale)
climax ascendente (disporre più elementi del discorso secondo un ordine basato sulla
crescente intensità del loro significato).
Sono immagini ruvide e vigorose, che ben si prestano a diventare il correlativo oggettivo
del sentimento di cui rivelano l'essenza: non sono semplicemente immagini di morte, ma
hanno in più il senso della deprivazione, dell'energia vitale repressa, dello slancio
soffocato, della volontà e della pulsione impedite nella loro manifestazione.
o La seconda quartina parla invece del bene.
Il bene non esiste, se non per eccezioni: lo si può conoscere soltanto attraverso
l'indifferenza, se si accetta di rinunciare a ogni coinvolgimento emotivo. Il bene è raro
come un evento prodigioso e può essere concesso solo dalla capacità di distaccarsi dalle
cose della vita. Le immagini sempre in climax ascendente sono:
 La statua della sonnolenza (elemento minerale)
 La nuvola (elemento atmosferico)
 Il falco alto levato (elemento animale)
Il bene è raro e consiste in uno svuotamento sentimentale, nella rinuncia alle passioni e al
gusto della vita, nel ridursi a una statua, a una nuvola, a un falco lontanissimo da terra.
Vivere, al contrario, significa provare emozioni e dunque soffrire. Al male si contrappone il
bene che non può essere conosciuto e non è mai stato conosciuto. Montale non nega
l’esistenza del tutto ma dice che può conoscere solo una parte, la divina indifferenza.
La divina indifferenza è l’atteggiamento della statua, è il sapere stare al di sopra delle
cose. Non da però nessun tipo di possibilità di migliorarsi e comprendersi. Il male di vivere
non può essere annullato ma può essere alleggerito attraverso il distacco dalla realtà e
quindi dal dolore. L’indifferenza viene definita divina perché propria degli Dei, o secondo
un’altra interpretazione, perché “dono degli Dei”, e considerata prodigiosa in quanto rara
ed eccezionale come un prodigio, un miracolo, uno spiraglio nella dolorosa realtà.
 Anche simbolicamente si può notare questa spartizione: tutte le immagini legate al male
di vivere richiamano la dimensione bassa e terrena dell'esistenza (la foglia, il rivo e il
cavallo sono legati al suolo). Mentre le immagini legate al bene, il luogo naturale della
statua, alta sul piedistallo, della nuvola e del falco, richiamano per loro natura creature
celesti. C’è una divisione tra questo mondo destinato alla sofferenza, e la dimensione altra
e inconoscibile, cui ci si può forse avvicinare solo per via negativa, con un distacco
indifferente e "divino".
 Anche sul piano fonosimbolico la separazione tra le due parti della poesia appare molto
netta. I suoni dei primi quattro versi sono quelli aspri, secchi, striduli mentre degli altri
quattro sono distesi e cantabili, essi si sostanziano di parole dalla sonorità dolce, aperta,
ribadita alla fine dall'assonanza delle ultime tre parole («fàlco, àlto, levato»).
I riferimenti di Montale ad un mondo di realtà naturali, cose, oggetti, animali è strumentale
ad affermare il concetto che sta alla base della lirica. Gli oggetti, anche i più banali e
insignificanti, non significano solo se stessi ma diventano simbolo di una sensazione, di
un sentimento, di una situazione esistenziale in cui tutti possono riconoscersi (correlativi
oggettivi). Simmetricamente il poeta contrappone a tre emblemi del male, tre immagini del
bene, tre immagini che si elevano verso il cielo, immagini-simbolo dell’immobilità e quindi
dell’indifferenza:
o la statua si caratterizza per la sua fredda, marmorea staticità inerte, completamente
insensibile;
o la nuvola per la sua inconsistenza con cui si staglia nel cielo;
o il falco perché afferma la sua libertà volando alto al di sopra della miseria del
mondo.
 Non chiederci la parola che squadri da ogni lato
Scritto nel 1923 è composto da tre quartine composte da versi di varia misura. Per
Montale l’unica poesia che egli può offrire è in forma negativa, espressa con parole storte
e secche adeguata a una visione anticonsolatoria. Il poeta può arrivare alla verità solo per
via negativa.
Non è possibile chiedere ai poeti una poesia che definisca precisamente il loro stato
d’animo. Beati quelli che non pensano a nulla e se ne vanno tranquilli e inconsapevoli per
le vie del mondo, senza dare un senso alla propria esistenza, l’uomo sicuro di sé e
fiducioso negli altri che non si cura di come appaia la propria ombra sul muro. Il poeta, al
contrario non ha formule per spiegare il mondo; la sua poesia è senza certezze, è
consapevolezza del dolore.
L'opera del poeta, nata in un momento storico di crisi, non può offrire illusioni o certezze,
non può eliminare i dubbi e le contraddizioni. Se fosse così, essa sarebbe inautentica, un
inganno, fuori luogo come un fiore luminoso in un prato grigio e brullo. Ciò che può fare è
comunicare soltanto poche drammatiche parole, riflesso di una coscienza critica che ha
scelto di rifiutare ogni illusoria mistificazione, non può quindi trasmettere alcun conforto,
alcuna soluzione ideale.
L'autore guarda con diffidenza, con un misto di pietà e di invidia, quanti uomini possiedono
un orgoglioso ottimismo e non avvertono l'inquietudine che incombe sull'esistenza.
 Una disposizione simmetrica degli elementi tale da porre in risalto la negazione «non»
collocata all'inizio della prima e dell'ultima strofa e ripetuta per due volte, in corsivo,
nell'ultimo verso. Montale nega la possibilità stessa di chiedere, sul piano concettuale e
sul piano pratico, un saldo sistema di valori che dia sicurezza e stabilità all'esistenza.
Montale introduce immagini concrete e tangibili per esprimere e materializzare il proprio
pensiero (procedimento del correlativo oggettivo): la strada inautentica, relativa a una
poesia declamatoria, celebrativa, pretenziosa, è espressa dal «croco» (v. 3), fiore
peregrino e splendente, isolato in mezzo al «polveroso prato», che è invece emblema del
la dura aridità della vita. La dolorosa condizione umana è rappresentata dallo «scalcinato
muro» arroventato dal sole del mezzogiorno. Quanti vivono alla giornata e attraversano la
vita senza porsi domande, disinteressati alla propria ombra, cioè al loro posto nel mondo,
orgogliosi e spavaldi, immuni da ogni incertezza, sono ritratti nell'«uomo che se ne va
sicuro», convinto di sapere tutto.
Il “noi” non sappiamo a chi si riferisce, probabilmente poeti. Il poeta deve togliere l’illusione
incarnata da questo uomo che non vede la sua ombra sul muro, che è felice. Il poeta
mostra invidia nei confronti della sua sicurezza (= parola concreta è l’ombra sul muro che
rappresenta la sicurezza).
La parola deve definire e determinare la realtà, non deve ne evocare (simbolisti) ne essere
eloquente (D’Annunzio).  correlativo oggettivo
Riassunto: a Montale, poeta del dubbio, del male di vivere non si può richiedere una
poesia che offra delle certezze e che permetta di risolvere i problemi, sarebbe una poesia
falsa. L’unica poesia possibile nasce dalla negazione ed ha una musica aspra e
dissonante.
 Meriggiare pallido e assorto
Composta nel 1916, presenta 4 strofe di novenari, decasillabi e endecasillabi. Le prime
strofe sono quartine, l’ultima è di 5 versi. I versi sono lunghi, ci sono le
punteggiaturecontrasto con Ungaretti. Nell’aridità di un paesaggio estivo, il poeta scopre
il triste senso della vita. Il paesaggio è quello ligure, su questo sfondo che è emblema
della desolata condizione umana, gli oggetti appaiono come pietrificati, anche grazie a un
linguaggio essenziale e concreto.
Si divide in due parti: parte realistica e descrittiva, definizione del paesaggio in modo
concreto (prime tre strofe) e la seconda parte (ultima strofa) si tratta di una riflessione etica
e storica. Gli animali rappresentati sono piccoli e umili, tipici del paesaggio ligure che non
è idilliaco ma reale, arido.
Il poeta passa le ore più calde del pomeriggio vicino a un muro, nella riarsa campagna
ligure: intorno a lui i suoni secchi e aspri della natura (il verso dei merli, il fruscio delle
serpi, il frinire delle cicale). Mentre accanto a sé vede il viavai delle formiche e osserva in
lontananza lo scintillio del mare, si rende conto che la vita è il tentativo, vano, di superare
un ostacolo insormontabile.
L'asprezza del paesaggio ligure è l'emblema della condizione umana, dolorosa e
tormentata. Il componimento è dominato dal lessico dell'aridità e, sul piano fonico, dal
gioco delle rime e delle consonanze dure.
Il testo presenta la desolata condizione esistenziale come un dato oggettivo, con una
spersonalizzazione dell'io che rende universale la riflessione sul significato della vita. Non
conta l'azione di un soggetto operante, bensì importa un modo di essere. Il tempo è
fermato nella sua durata permanente e ripetitiva, mentre il paesaggio e le presenze
naturali paiono immobilizzate.
Il muro è un'immagine caratteristica della poesia di Montale: la vita corre vicino a un
ostacolo invalicabile, che non consente l'accesso a un altro mondo, non permette di capire
il senso dell'esistere. La poesia è il momento di riflessione eticavivere entro i limiti
stabilitisofferenza della consapevolezza dell’impossibilità di superare il muro (Leopardi,
che invece aveva inserito il pensiero filosofico nella poesia). Montale con la tecnica di Eliot
segue l’esempio di Leopardi.
LE OCCASIONI
Montale pubblica Le occasioni nel 1939. È l’epoca in cui Montale vive a Firenze, dal 1927
fino alla fine della guerra. La consistenza della realtà esterna, di paesaggio e di
ambientazione, si è molto ridotta, dinanzi alla situazione sempre più cupa e insensata
della storia pubblica, nell'imminenza della nuova guerra, e in primo piano risaltano le
vicende della cronaca privata dell'autore, la sua volontà di dare un senso alla vita. Firenze
è la culla della cultura dove gli intellettuali si riuniscono in caffè come il caffè delle Giubbe
Rosse dove Carlo Bo esprime il concetto nel suo saggio del 1938 “letteratura come vita”:
letteratura è una condizione non una professione.
In quest’epoca ci sono due culture, la cultura d’azione, utilizzano i romanzi per la
propaganda politica, invece la cultura laboratorio, è quella degli intellettuali, non è letta da
molti, possono parlare finché non vanno contro il regime.
Si tratta di una lirica interiorizzata, una poesia ellittica, che cioè elide l'antefatto e rivela, in
modo tangibile, i «risultati oggettivi» in forma di oggetti concreti con valore allegorico
(come in Dante).
É presente un nuovo tema: opposizione tra esterno e interno, l’interno è una realtá positiva
della casa, dello studio, del laboratorio dell’intellettuale. L’esterno è invece negativo,
rappresenta la storia, Hitler, Mussolini e il regime.
Un ruolo importante spetta alla figura di Clizia, la donna amata che, è trasfigurazione di
Irma Brandeis. Le apparizioni di Clizia, donna-angelo di tradizione stilnovistica, rivelano, al
pari della Beatrice di Dante, splendore e luminosità: la luce che da lei discende significa
verità, ragione, umanità; ma è creatura lontana, che appare in qualche rarissimo istante.
Viene dunque associata alla donn-angelo che arriva, visita e se ne va—> Clizia è l’amante
di Apollo, trasformata in un girasole, anche da fiore si rivolge sempre verso il sole, verso
Apollo. L'altra caratteristica della poesia di Montale nelle Occasioni è la presenza di piccoli
oggetti a cui è attribuito un magico potere di salvazione.
Montale rende testimonianza di sé e della propria vicenda esistenziale attraverso una
poesia di forte tensione concettuale, fatta di concretezza e di oggetti quotidiani; questi non
si dissolvono in musica, ma mantengono valore e peso, conservando il sapore realtà, della
vita vissuta, dell'esperienza storica e biografica.
Utilizza uno stile alto e nobile, in lui resta importante il modello di Dante, plurilinguistico e
pluristilistico. La componente prosastica e discorsiva non è più evidente come negli Ossi di
seppia, tuttavia è presente, inserita in una trama lessicale e metrica elegante e raffinata. A
prevalere sono l'endecasillabo, verso principe della tradizione letteraria italiana, e le forme
chiuse.
 La casa dei droghieri p.1078
Il testo appare nel 1930. In ideale colloquio con una figura femminile lontana nello spazio e
nel tempo, il poeta scava nella memoria e ne mostra la labilità.
Il poeta rivede la casa, sul mare, dove un giorno lontano la donna amata sostò con la sua
giovanile vitalità; ma la donna non c'è più, ha dimenticato questo luogo e il trascorrere del
tempo ha spento la gioia del suo sorriso. Ormai è incerto il senso delle loro stesse
esistenze. Sull'orizzonte notturno una luce lontana sembra ancora promettere la salvezza:
si tratta di una debole speranza e il poeta sente più acuta la propria solitudine.
Importante è il sentimento di cui la casa dei doganieri diventa emblema. Che la donna sia
morta o si sia allontanata, l'effetto sul poeta non cambia, ovvero lei ha dimenticato: «Tu
non ricordi», ripete poeta per tre volte (idea dell’allontanamento), con la drammaticità
esistenziale che questo comporta. La casa dei doganieri, a strapiombo sul mare, sulla
costa ligure, è infatti il luogo che evoca la memoria di una felicità trascorsa, ormai
irrecuperabile, e che insieme testimonia la desolazione del presente e la fuga rovinosa del
tempo.
Tema importante è quello della casa come realtà interna che si oppone alla realtà esterna,
oppure il tema dell’assenza mitigata dalla dimensione interna ovvero dal ricordo. La casa è
il luogo dove viene ambientato questo ricordo mentre all’esterno il poeta è soggetto al
tempo che scorre. Il “tu” è l’interlocutore che non è presente e non può ricordare. Mentre la
presenza della donna è solo nel ricordo.
Nello scenario cupo e scosceso della casa dei doganieri si consuma quindi lo scontro tra
lo scorrere inesorabile del tempo e la volontà del poeta, intenzionato a garantire stabilità e
senso alla propria vita, anche attraverso il ricordo.
Gli oggetti emblema di condizioni soggettive sono correlativi oggettivi di aspetti soggettivi
ed esistenziali che vengono rappresentati. L’oggetto è potenziato nella sua concretezza:
 la bussola che va all’avventura
 Il dado con il calcolo, la somma sempre errata
 la banderuola sul tetto che, ormai logorata, gira senza sosta
 Petroliera che varca l’orizzonte
Una sola possibilità resta al poeta e gli è offerta dal filo della memoria, di cui lui tiene tra le
mani un capo; ma è una speranza vana: la donna resta «sola», lontana, e il poeta ignora
«chi va e chi resta», cioè si sente disorientato, assalito dal dubbio e dallo sconforto.
La vita vera é quella dentro la casa ma il poeta è solo. Per la storia la vita vera è fuori,
quella falsa all’interno. Per gli intellettuali la vita vera è all’interno mentre quella falsa
all’esterno.
Nella dialettica tra passato e presente, vicino e lontano, alla casa dei doganieri sulla
scogliera battuta dalle onde incessanti del mare si contrappone l'orizzonte, luogo remoto
dove è forse possibile sfuggire alla dura necessità del contingente. In questa prospettiva,
la «rara luce della petroliera» sembra divenire emblema di una possibilità esistenziale
alternativa, una via di scampo, un varco aperto su una dimensione diversa e meno
angosciosa del vivere.

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