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archetipi, miti, temi


La figura dell’inetto
Egli invece si sentiva incapace alla vita. Qualche cosa, che
1. GLI “INETTI” DI SVEVO
di spesso aveva inutilmente cercato di comprendere, glie-
la rendeva dolorosa, insopportabile. Non sapeva amare e
Il personaggio dell’“inetto” si affaccia sulla ribalta del non godere; nelle migliori circostanze aveva sofferto più
romanzo europeo tra gli ultimi anni dell’Ottocento e che altri nelle più dolorose. L’abbandonava senza rim-
i primi del Novecento. Un inetto era in effetti il titolo

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pianto. Era la via per divenire superiore ai sospetti e agli
inizialmente concepito da Italo Svevo (1861-1928) odii. Quella era la rinunzia ch’egli aveva sognata. Biso-
per il romanzo poi intitolato Una vita (1892), che per gnava distruggere quell’organismo che non conosceva la
primo propone questo nuovo tipo di eroe. Figure ana- pace; vivo avrebbe continuato a trascinarlo nella lotta
loghe si trovano poi nel secondo romanzo dello stes- perché era fatto a quello scopo. Non avrebbe scritto ad
so Svevo (Senilità, 1898), nei romanzi di Federigo Toz- Annetta. Le avrebbe risparmiato persino il disturbo e il
zi (1883-1920) – e specialmente in Ricordi di un im- pericolo che poteva essere per lei una tal lettera.
piegato, pubblicato nel 1920 ma concepito una deci-
na di anni prima – e nella narrativa di Franz Kafka L’impianto di Una vita (titolo che riprende significati-
(1883-1924). vamente quello di un romanzo di Maupassant) è di ti-
Alfonso Nitti, protagonista di Una vita, è un giovane po naturalistico, e in effetti nella fisionomia del-
provinciale che ha trovato a Trieste un impiego in ban- l’“inetto” confluiscono alcuni modelli della letteratu-
ca, ma che sin dall’inizio è vittima di una duplice sof- ra di fine Ottocento. L’inchiesta realista e naturalista
ferenza: quella di non saper godere della vita e sui diversi ambienti della società, e la predilezione per
quella di sentirsi escluso dagli altri che ne godono. quelli più direttamente legati alle forme economiche
Per colmare questo deficit, Alfonso punta tutto sul- e sociali della modernità urbana (il commercio, la bu-
l’amore e sulla letteratura, concentrando in essi il de- rocrazia), avevano favorito l’irruzione sulla scena let-
siderio di risarcimento della vita che gli sfugge. Così teraria dell’impiegato, come emblema tragicomico
nutre velleità letterarie e al tempo stesso crede di po- della mediocrità piccolo-borghese, a cominciare da
tersene servire per corteggiare Annetta Maller, figlia Gli impiegati (Les employés, 1837) di Balzac fino a
del direttore della banca. Queste ambizioni e questi Quelli dalle mezze maniche (Messieurs les Ronds-de-
desideri sono però vanificati dall’azione corrosiva e Cuir, 1893) di Georges Courteline (1858-1929), pas-
dolorosa di un’autocoscienza che lo mette conti- sando per Zola e Maupassant. Anche nella narrativa
nuamente di fronte all’immagine della propria infe- italiana di ispirazione naturalista e verista l’impiegato
riorità rispetto al rivale (incarnato ora dal signor Mal- e il suo mondo trovano ampio spazio, dalle novelle di
ler, padre di Annetta, ora da Macario, il giovane bril- Pirandello al romanzo Demetrio Pianelli (1889) di Emi-
lante con cui Annetta finisce per fidanzarsi); l’anta- lio De Marchi (1851-1901), fino alla ripresa un po’
gonista, visto come un essere naturalmente aggressi- tardiva delle Resultanze in merito alla vita e al carat-
vo e predatorio, sembra essere costituito per quella tere di Gino Bianchi (1915) di Piero Jahier (1884-
“lotta” (termine di origine darwiniana che figura co- 1966). Nel caso di Demetrio Pianelli è già in parte pre-
me un Leitmotiv del romanzo) a cui Alfonso si sente sente uno spostamento del baricentro narrativo che
del tutto impreparato. Così, dopo la morte della ma- si attuerà in modo decisivo in Svevo: il punto di vi-
dre, l’abbandono di Annetta e la sfida a duello rice- sta della narrazione, che nel romanzo naturalista ten-
vuta dal figlio del signor Maller (che ha interpretato de all’impersonalità e inquadra la società nel suo in-
come un ricatto una sua lettera ad Annetta), il suici- sieme, diventa qui in parte interno al personaggio,
dio si presenta come una via d’uscita logica da una convogliando su di lui la simpatia morale del lettore.
lotta impari, e insieme come un estremo risarcimento Questo spostamento del baricentro narrativo dal
fantasticato nell’alveo rassicurante dell’immaginario mondo sociale al mondo interiore, che sarà uno dei
letterario (per le sue modalità e per la sua collocazio- fenomeni caratteristici del romanzo primonovecente-
ne finale, questo suicidio fa di Alfonso una sorta di sco in genere, rinvia a sua volta a modelli romantici in
nuovo Werther piccoloborghese): generale, e in particolare a quelle figure della narrati- 1

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va borghese ottocentesca in cui si era incarnata una tivo, i contatti con gente sempre diversa, contatti mai
forma di disagio esistenziale, di inappetenza vitale e durevoli e mai cordiali. All’inferno tutto quanto!». Sen-
di estraneità ai riti della società capitalistica moderna: tendo un lieve prurito nella parte alta del ventre, ap-
si pensi, tra l’altro, a Oblomov (1858) del russo Ivan poggiandosi sulla schiena si spinse lentamente più su
A. Gončarov (1812-1891) o anche, in Italia, a Deca- verso il capezzale, per poter meglio sollevare la testa;
denza (1894) di Luigi Gualdo (1844-1898). scoprì allora il punto che gli prudeva: era coperto di tan-
In Svevo, dunque, l’impiegato e l’uomo incapace di ti puntini bianchi che lui non sapeva spiegarsi; provò a
vivere si fondono, per dar luogo, secondo la formula toccarlo con una delle zampette, ma dovette ritrarla im-
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di Giacomo Debenedetti, a un «salariato della vita». mediatamente, perché a quel contatto provò brividi di
Sulla falsariga di Una vita si svolge anche la vicenda di freddo.
Senilità, il cui protagonista, Emilio Brentani, è un im-
piegato con le stesse velleità artistiche di Alfonso, Se nella Metamorfosi l’incompatibilità tra l’individuo
ugualmente provvisto di rivali troppo forti e domina- e la realtà è simboleggiata dalla regressione biolo-
to dalla donna che vorrebbe dominare (la popolana gica del personaggio umano allo stadio di un’anima-
Angiolina). lità inferiore e ripugnante, nei romanzi Il processo
(Der Prozess, 1925) e Il castello (Das Schloss, 1926) si
ritrovano le figure della società piccoloborghese im-
2. KAFKA: IL DIFFICILE RAPPORTO piegatizia (l’impiegato di banca Joseph K., l’agrimen-
TRA INDIVIDUO E BUROCRAZIA sore K.), ma il dislivello incolmabile tra l’individuo e la
realtà è figurato modificando la natura del secondo
L’impiego alienante in una grande struttura burocra- termine: la società contemporanea con i suoi ap-
tica diventa una sorta di oggettivazione della relazio- parati (il mondo del tribunale e quello del castello) è
ne alienata dell’individuo con la vita e della sua inca- rappresentata nella forma di spazi inaccessibili e di
pacità di essere soggetto del proprio destino. Con l’o- architetture labirintiche, popolate da creature oniri-
pera di Franz Kafka (1883-1924) il conflitto tra l’in- che e rette da leggi tanto implacabili quanto incom-
dividuo “inadatto” e la società incomprensibile e prensibili. Non è un caso che il triestino Svevo e il pra-
ostile raggiunge un livello ulteriore di simbolizzazio- ghese Kafka abbiano scelto il mondo della banca e
ne, diventando allegoria di una realtà metafisica, di della burocrazia come scenario dell’alienazione del-
un enigma che si annida nel cuore dell’Essere. Nella l’individuo: la scelta riflette le esperienze biografiche
Metamorfosi (Die Verwandlung, 1915) il protagoni- dei due scrittori e, attraverso queste, il dominio stori-
sta, Gregor Samsa, è un commesso viaggiatore che ri- co di tali istituzioni nella società mitteleuropea tra fi-
calca il profilo tipico dell’impiegato stritolato nei mec- ne Ottocento e primo Novecento. Il sociologo e filo-
canismi disumani dell’apparato burocratico-capitali- sofo tedesco Max Weber (1864-1920) ha descritto
stico: sin dall’inizio, però, Kafka opera un salto verti- la costruzione dei grandi apparati burocratici del tar-
ginoso nel livello di simbolizzazione, trasformando l’i- do Ottocento come l’affermarsi (promosso dall’e-
netto in scarafaggio, e dando alla sua inadeguatezza stensione dei compiti dello Stato di fronte alla società
rispetto alla vita una risonanza e una profondità tan- capitalistica di massa) di un potere razional-legale che
to più spaventose, quanto più lo stile della narrazio- trascende l’ordine dei valori individuali e diventa un
ne è neutro e sembra accettare la metamorfosi del- sistema autonomo, un meccanismo funzionante se-
l’uomo in insetto come un fatto che non ha nulla di condo una logica autonoma e che sfugge ai suoi
straordinario: utenti.

«O Mio Dio!», pensò, «che mestiere faticoso mi son


scelto! Dover andare avanti e indietro in treno tutti i gior- 3. L’INETTITUDINE DELLA GIOVINEZZA
ni... L’attività commerciale mi procura preoccupazioni E IL RAPPORTO COL PADRE
molto maggiori che se lavorassi in proprio in negozio, e
per giunta mi è imposta questa tortura del viaggiare, con Il rapporto tra individuo e burocrazia non è però che
2 l’affanno per le coincidenze, il mangiare irregolare e cat- uno dei temi che si intrecciano intorno alla figura del-

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l’inetto. Nel personaggio di Gregor Samsa, la condi-


4. L’INETTITUDINE E L’ARTE
zione di inferiorità è doppiamente segnata (prima
ancora della metamorfosi soprannaturale) dallo sta-
Infine, l’inetto sveviano, sospeso tra arte e patologia,
tuto di impiegato e dal ruolo di figlio sottomesso
è un parente neppure troppo lontano di grandi perso-
a un padre dominatore. Il rapporto con un padre
naggi del romanzo decadente, come il giovane tuber-
divoratore più che castratore, che inibisce ogni im-
colotico Hans Castorp e il vecchio scrittore Gustav von
pulso vitale e condanna il figlio a un’esistenza larva-
Aschenbach, protagonisti rispettivamente della Mon-
le percorsa da fremiti di sorda violenza interiore, è al

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tagna incantata (Der Zauberberg, 1924) e di Morte a
centro dei Ricordi di un impiegato (che in un’altra re-
Venezia (Der Tod in Venedig, 1912) di Thomas Mann.
dazione si intitolavano Ricordi di un giovane impie-
La malattia in Thomas Mann metaforizza un’incom-
gato), come pure di altri testi di Federigo Tozzi (in
patibilità tra arte e vita vista ancora nell’ottica della
particolare Con gli occhi chiusi, 1919). La condizione
grande borghesia ottocentesca, e cioè come dissidio
filiale, e più in generale quella giovanile, appare sul-
tra la ricchezza dello spirito e la corruttibilità del mon-
le soglie del Novecento come carica di ansia e mi-
nacciata dai soprusi e dalla violenza dei padri. Non do materiale, tra il prestigio della tradizione borghese
per nulla è proprio in questi anni che maturano le e la meschinità della società mercantilizzata e massifi-
scoperte rivoluzionarie della psicanalisi freudiana, tra cata; tuttavia, già in Mann (e specialmente nella Mon-
cui quella capitale del “complesso di Edipo” (la pri- tagna incantata), tale conflitto si risolve in quello smi-
ma attestazione è in una lettera di Freud a Wilhelm surato allargamento del campo della coscienza che è il
Fliess del 1897). Il difficile rapporto col rivale pater- carattere più rappresentativo del romanzo del primo
no (sia esso impersonato dal padre, dal rivale amo- Novecento.
roso, o dal genitore della donna amata) è ugual- In effetti, i personaggi paralleli (e a volte sovrapposti)
mente presente nella narrativa di Svevo (i romanzi già dell’impiegato inetto, del giovane disadattato, del fi-
ricordati e il più maturo La coscienza di Zeno, 1923), glio schiacciato, dell’artista malato, facendo irruzione
di Luigi Pirandello (Il fu Mattia Pascal, 1904 e Uno, nel romanzo, creano le condizioni per la rivoluzione
nessuno e centomila, 1926), di Alberto Moravia (Gli formale che produce, negli anni Venti, le monumen-
indifferenti, 1929). Il terzo romanzo di Kafka, Ame- tali anomalie che sono capolavori, quali Alla ricerca
rica (Amerika, 1927; ma Kafka lo indica nel suo dia- del tempo perduto di Proust (A la recherche du temps
rio anche col titolo Lo scomparso, Der Verschollene), perdu, 1913-27), Ulisse di Joyce (Ulysses, 1922), L’uo-
ha per protagonista il diciassettenne Karl Rossmann, mo senza qualità di Musil (Der Mann ohne Eigen-
espulso dalla famiglia per aver sedotto una domesti- schaften, pubblicato in parte tra il 1930 e il 1933) e
ca, e che nel corso delle sue avventure tenta invano anche per certi versi Thomas Mann (La montagna in-
di far valere un criterio di giustizia in un mondo adul- cantata), Svevo (La coscienza di Zeno) e Pirandello
to di cui gli sfugge ogni regola. Il tema della gio- (Uno, nessuno e centomila): non è un caso, evidente-
ventù come inettitudine si presenta, inoltre, ine- mente, che gli autori che intorno ai primi del Nove-
stricabilmente intrecciato con quello della gioventù cento scrivono storie di “inetti” siano in gran parte gli
come turbamento, scoperta agghiacciante delle zo- stessi poi protagonisti della rivoluzione degli anni
ne oscure dell’anima, al centro del romanzo giovani- Venti. La costellazione dell’“inetto”, spostando il cen-
le di Robert Musil (1880-1942) I turbamenti del gio- tro del romanzo dai “fatti” della logica naturalista al-
vane Törless (Die Verwirrungen des Zögling Törless, la “coscienza”, comincia a costruire lo squilibrio – su
1906); o ancora, combinato con la rappresentazione cui si basa appunto il grande romanzo novecentesco
del giovane che aspira all’arte ma intanto è diso- – tra la minuziosa vacuità degli avvenimenti esteriori
rientato nella vita, motivo presente, come abbiamo e la proporzione gigantesca e la natura pullulante del-
detto, nei romanzi di Svevo, e al centro di opere co- le loro risonanze interiori. Così, Ulrich, l’uomo senza
me Tonio Kröger (1903) di Thomas Mann (1875- qualità musiliano, la cui coscienza si è allargata al
1955) e Ritratto dell’artista da giovane (A Portrait of punto da inghiottire il mondo e da rendere quindi im-
the Artist as a Young Man, 1916) di James Joyce possibile ogni individuazione del soggetto (dove non
(1882-1941). c’è più realtà oggettiva non ci può essere neppure 3

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soggetto che se ne distingua), si può considerare lo no: l’avvocato, poeta-non poeta, che vorrebbe vivere
stadio evolutivo successivo dell’inetto e del giovane la vita borghese ma finisce sempre per scegliere la fin-
smarrito di qualche decennio prima: zione letteraria; il «vile» pattinatore su ghiaccio di In-
vernale, schiacciato dalla vitalità femminile; l’autore-
Egli stava ritto dietro i vetri d’una finestra e attraverso il cluso Totò Merumeni («Gelido, consapevole di sé e
filtro verde-chiaro del giardino guardava la strada nera- dei suoi torti, / non è cattivo. È il buono che derideva
stra; e da dieci minuti contava, orologio alla mano, le au- il Nietzsche: / “... in verità derido l’inetto che si dice /
tomobili, le carrozze, i tram e le facce dei passanti dila- buono, perché non ha l’ugne abbastanza forti...”»);
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vate dalla lontananza che mulinavano indaffarati dentro o l’anonimo venticinquenne, il reduce che rispecchia
la sua rete visiva; valutava la velocità, gli angoli, le forze nella propria foto una vita non vissuta in In casa del
vive delle masse che fulmineamente attirano l’occhio, lo sopravvissuto.
trattengono, lo abbandonano, che per un tempo non mi- Assolutamente alieno dai toni apertamente patetici,
surabile costringono l’attenzione a resister loro, a ribel- Gozzano disegna la condizione di figlio che non rie-
larsi, a passare ad altro e gettarglisi dietro; in breve, do- sce a diventare adulto, inadeguato rispetto alle aspet-
po essersi dedicato per un poco ai suoi calcoli mentali, in-
tative della famiglia, vecchio senza essere mai stato
tascò l’orologio ridendo e decise che era un’occupazione
giovane, cioè vitale: il sogno di una vita modellata sul-
assurda. Se si potessero misurare i balzi dell’attenzione,
la letteratura lo allontanava dalla vita, averlo abban-
il lavoro dei muscoli oculari, i moti pendolari dell’anima e
donato è quasi risanamento. Ma il reduce rimane so-
tutti gli sforzi ai quali un individuo che cammina per la
speso, come i fiocchi di neve che impediscono la vi-
strada deve sottoporsi per non essere travolto, si otter-
sione fuori dalle finestre e ribadiscono la condizione
rebbe probabilmente – questo egli aveva pensato, e ave-
di autoescluso: sospeso fra la vita e lo morte, rifiu-
va tentato per gioco di calcolare l’incalcolabile – una
tato dalla vita, che gli nega l’amore, e dalla morte, che
quantità in confronto alla quale la forza impiegata da
non lo ha voluto con sé. Amore e morte, piacere e
Atlante per sostenere il mondo è poca cosa, e si potreb-
dolore: estremi che il vitale Leopardi poteva ancora
be giudicare l’immane fatica compiuta oggigiorno anche
invocare («Cose quaggiù sì belle / altre il mondo non
da un uomo che non fa nulla.
ha, non han le stelle»), dai quali invece il «coso gui-
dogozzano» si sente ingannato e respinto.
5. IL “SOPRAVVISSUTO” DI GOZZANO

Il personaggio dell’“inetto” non popola solo il ro- Bibliografia essenziale


manzo del Novecento, ma è anche il protagonista di
tanta poesia dei primi decenni del secolo. In Italia i G. Guglielmi, La prosa italiana del Novecento (I-II), Ei-
poeti crepuscolari interpretano bene il tema della ri- naudi, Torino 1986-98; G. Debenedetti, Il personaggio uo-
mo, Garzanti, Milano 1998; Id., Il romanzo del Novecento,
nuncia alla vita con i toni dimessi e le atmosfere tri-
ivi; A. Cavaglion, Italo Svevo, B. Mondadori, Milano 2000.
sti delle loro poesie. Fra tutti spicca naturalmente il
personaggio autobiografico creato da Guido Gozza-

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