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La figura dell’inetto
va borghese ottocentesca in cui si era incarnata una tivo, i contatti con gente sempre diversa, contatti mai
forma di disagio esistenziale, di inappetenza vitale e durevoli e mai cordiali. All’inferno tutto quanto!». Sen-
di estraneità ai riti della società capitalistica moderna: tendo un lieve prurito nella parte alta del ventre, ap-
si pensi, tra l’altro, a Oblomov (1858) del russo Ivan poggiandosi sulla schiena si spinse lentamente più su
A. Gončarov (1812-1891) o anche, in Italia, a Deca- verso il capezzale, per poter meglio sollevare la testa;
denza (1894) di Luigi Gualdo (1844-1898). scoprì allora il punto che gli prudeva: era coperto di tan-
In Svevo, dunque, l’impiegato e l’uomo incapace di ti puntini bianchi che lui non sapeva spiegarsi; provò a
vivere si fondono, per dar luogo, secondo la formula toccarlo con una delle zampette, ma dovette ritrarla im-
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di Giacomo Debenedetti, a un «salariato della vita». mediatamente, perché a quel contatto provò brividi di
Sulla falsariga di Una vita si svolge anche la vicenda di freddo.
Senilità, il cui protagonista, Emilio Brentani, è un im-
piegato con le stesse velleità artistiche di Alfonso, Se nella Metamorfosi l’incompatibilità tra l’individuo
ugualmente provvisto di rivali troppo forti e domina- e la realtà è simboleggiata dalla regressione biolo-
to dalla donna che vorrebbe dominare (la popolana gica del personaggio umano allo stadio di un’anima-
Angiolina). lità inferiore e ripugnante, nei romanzi Il processo
(Der Prozess, 1925) e Il castello (Das Schloss, 1926) si
ritrovano le figure della società piccoloborghese im-
2. KAFKA: IL DIFFICILE RAPPORTO piegatizia (l’impiegato di banca Joseph K., l’agrimen-
TRA INDIVIDUO E BUROCRAZIA sore K.), ma il dislivello incolmabile tra l’individuo e la
realtà è figurato modificando la natura del secondo
L’impiego alienante in una grande struttura burocra- termine: la società contemporanea con i suoi ap-
tica diventa una sorta di oggettivazione della relazio- parati (il mondo del tribunale e quello del castello) è
ne alienata dell’individuo con la vita e della sua inca- rappresentata nella forma di spazi inaccessibili e di
pacità di essere soggetto del proprio destino. Con l’o- architetture labirintiche, popolate da creature oniri-
pera di Franz Kafka (1883-1924) il conflitto tra l’in- che e rette da leggi tanto implacabili quanto incom-
dividuo “inadatto” e la società incomprensibile e prensibili. Non è un caso che il triestino Svevo e il pra-
ostile raggiunge un livello ulteriore di simbolizzazio- ghese Kafka abbiano scelto il mondo della banca e
ne, diventando allegoria di una realtà metafisica, di della burocrazia come scenario dell’alienazione del-
un enigma che si annida nel cuore dell’Essere. Nella l’individuo: la scelta riflette le esperienze biografiche
Metamorfosi (Die Verwandlung, 1915) il protagoni- dei due scrittori e, attraverso queste, il dominio stori-
sta, Gregor Samsa, è un commesso viaggiatore che ri- co di tali istituzioni nella società mitteleuropea tra fi-
calca il profilo tipico dell’impiegato stritolato nei mec- ne Ottocento e primo Novecento. Il sociologo e filo-
canismi disumani dell’apparato burocratico-capitali- sofo tedesco Max Weber (1864-1920) ha descritto
stico: sin dall’inizio, però, Kafka opera un salto verti- la costruzione dei grandi apparati burocratici del tar-
ginoso nel livello di simbolizzazione, trasformando l’i- do Ottocento come l’affermarsi (promosso dall’e-
netto in scarafaggio, e dando alla sua inadeguatezza stensione dei compiti dello Stato di fronte alla società
rispetto alla vita una risonanza e una profondità tan- capitalistica di massa) di un potere razional-legale che
to più spaventose, quanto più lo stile della narrazio- trascende l’ordine dei valori individuali e diventa un
ne è neutro e sembra accettare la metamorfosi del- sistema autonomo, un meccanismo funzionante se-
l’uomo in insetto come un fatto che non ha nulla di condo una logica autonoma e che sfugge ai suoi
straordinario: utenti.
La figura dell’inetto
La figura dell’inetto
soggetto che se ne distingua), si può considerare lo no: l’avvocato, poeta-non poeta, che vorrebbe vivere
stadio evolutivo successivo dell’inetto e del giovane la vita borghese ma finisce sempre per scegliere la fin-
smarrito di qualche decennio prima: zione letteraria; il «vile» pattinatore su ghiaccio di In-
vernale, schiacciato dalla vitalità femminile; l’autore-
Egli stava ritto dietro i vetri d’una finestra e attraverso il cluso Totò Merumeni («Gelido, consapevole di sé e
filtro verde-chiaro del giardino guardava la strada nera- dei suoi torti, / non è cattivo. È il buono che derideva
stra; e da dieci minuti contava, orologio alla mano, le au- il Nietzsche: / “... in verità derido l’inetto che si dice /
tomobili, le carrozze, i tram e le facce dei passanti dila- buono, perché non ha l’ugne abbastanza forti...”»);
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vate dalla lontananza che mulinavano indaffarati dentro o l’anonimo venticinquenne, il reduce che rispecchia
la sua rete visiva; valutava la velocità, gli angoli, le forze nella propria foto una vita non vissuta in In casa del
vive delle masse che fulmineamente attirano l’occhio, lo sopravvissuto.
trattengono, lo abbandonano, che per un tempo non mi- Assolutamente alieno dai toni apertamente patetici,
surabile costringono l’attenzione a resister loro, a ribel- Gozzano disegna la condizione di figlio che non rie-
larsi, a passare ad altro e gettarglisi dietro; in breve, do- sce a diventare adulto, inadeguato rispetto alle aspet-
po essersi dedicato per un poco ai suoi calcoli mentali, in-
tative della famiglia, vecchio senza essere mai stato
tascò l’orologio ridendo e decise che era un’occupazione
giovane, cioè vitale: il sogno di una vita modellata sul-
assurda. Se si potessero misurare i balzi dell’attenzione,
la letteratura lo allontanava dalla vita, averlo abban-
il lavoro dei muscoli oculari, i moti pendolari dell’anima e
donato è quasi risanamento. Ma il reduce rimane so-
tutti gli sforzi ai quali un individuo che cammina per la
speso, come i fiocchi di neve che impediscono la vi-
strada deve sottoporsi per non essere travolto, si otter-
sione fuori dalle finestre e ribadiscono la condizione
rebbe probabilmente – questo egli aveva pensato, e ave-
di autoescluso: sospeso fra la vita e lo morte, rifiu-
va tentato per gioco di calcolare l’incalcolabile – una
tato dalla vita, che gli nega l’amore, e dalla morte, che
quantità in confronto alla quale la forza impiegata da
non lo ha voluto con sé. Amore e morte, piacere e
Atlante per sostenere il mondo è poca cosa, e si potreb-
dolore: estremi che il vitale Leopardi poteva ancora
be giudicare l’immane fatica compiuta oggigiorno anche
invocare («Cose quaggiù sì belle / altre il mondo non
da un uomo che non fa nulla.
ha, non han le stelle»), dai quali invece il «coso gui-
dogozzano» si sente ingannato e respinto.
5. IL “SOPRAVVISSUTO” DI GOZZANO