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GABRIELE D’ANNUNZIO

La Vita
L’ESTETA
Nato nel 1863 a Pescara da famiglia borghese e studiò nel collegio Cicognini di Prato.
Il suo esordio poetico fu molto precoce: nel 1879 pubblicò Prime Vere (libretto di versi) che
riscontrò un discreto successo anche da famosi letterati. Nel 1881, dopo aver preso il diploma, si
trasferisce a Roma per frequentare l’università, ma l’abbandona presto attratto dai divertimenti
della città. Per alcuni anni si dedica alla professione di giornalista, collaborando a vari giornali
con articoli di cronaca mondana (eventi di certo interesse, feste, ricevimenti, eventi relativi alla
vita pubblica di personaggi famosi). Nei primi anni novanta si sposta a Napoli per scrivere sul
“Mattino”, giornale nazionale. Diventa famoso nel campo della letteratura sia grazie alla
produzione di versi e sia per opere di narrativa, che a volte suscitavano scandalo per i contenuti
erotici e anche per la sua vita fatta di avventure galanti, lusso, duelli. Qui d’Annunzio si crea
la maschera dell’esteta, che rifiuta con disgusto i valori della mentalità borghese e principi della
morale corrente, rifugiandosi in un mondo di pura arte.

IL SUPERUOMO
La sua fase estetizzante termina però all’inizio degli anni Novanta, in seguito alla lettura di
Nietzsche. Alla ricerca della sua nuova ispirazione letteraria, lo scrittore elabora il mito del
superuomo, caratterizzato dalla vocazione della bellezza, dall’energia eroica e attivistica.
Continua però a costruire l’immagine di una vita eccezionale (“il vivere inimitabile”), sottratta
alle norme del vivere comune. Nel 1895 comincia una relazione con Eleonora Duse (insieme
10 anni).
Si trasferisce a Settignano, nei pressi di Firenze dove vive come un principe rinascimentale.
Questa sua esibizione di lussi e stravaganze era fatta per mettersi in mostra nell’attenzione
pubblica per vendere meglio la sua immagine e i suoi prodotti letterari. Gli editori gli
pagavano somme molto alte, ma quel denaro non era mai sufficiente. Quindi,
paradossalmente, il culto della bellezza e del “vivere inimitabile” erano finalizzati a ciò che lui
cercava di disprezzare: denaro e esigenze del mercato: lui era contro al mondo borghese ma
era anche legato alle sue leggi, lui spregiava la massa ma era costretto a lusingarla e a
soddisfarne i bisogni. Questo quindi è una contraddizione.

LA RICERCA DELL’AZIONE: LA POLITICA E IL TEATRO


Comincia ad elaborare progetti di attivismo politico, perché voleva creare una nuova
immagine del superomistico dentro di sé. Nel 1897 diventa deputato dell’estrema destra,
in coerenza con le idee espresse nei romanzi, ovvero: disprezzo per i principi democratici
ed egualitari. Nel 1900 passa allo schieramento di sinistra. Cercando uno strumento per
diffondere il suo messaggio di “vate” ad un pubblico più vasto, egli avvia anche un’intensa
produzione di testi per il teatro. La fama dello scrittore si trasforma in vero e proprio
divismo (il pubblico lo prende come modello) e il fenomeno del dannunzianesimo
(imitazione del “vate” nelle idee, nel parlare...).
Nel 1910 è costretto però a fuggire dall’Italia a causa di creditori inferociti. Trova riparo in
Francia (tra Parigi e Arcachon), si adatta e scrive pure opere teatrali in francese.

LA GUERRA E L’AVVENTURA FIUMANA


L’occasione per l’azione eroica, tanto attesa, gli fu offerta dalla Prima Guerra Mondiale, allo
scoppio torna in Italia e forma un’intensa campagna interventista, che accende l’entusiasmo
dell’opinione pubblica ed ebbe un peso enorme nello
spingere l’Italia in guerra. Si arruola volontario nonostante i suoi 52 anni, non combatte nelle
trincee ma nell’aeroplano.
Nel dopoguerra, all’Italia viene negata l’annessione di alcuni territori e dunque d’Annunzio si fa
interprete dei rancori per questa “vittoria mutilata”. Verso la fine del 1919 si mette a capo di
una marcia di volontari di Fiume, dove instaura un dominio personale (la Regenza italiana del
Carnaro) sfidando lo Stato Italiano.
Viene scacciato con le armi nel 1920 e spera di diventare “duce”, ma viene superato da
Mussolini. Il fascismo lo esalta ma lo guarda anche con sospetto, motivo per cui si ritira nei
pressi di Brescia (nella villa di Gardone Riviera). Muore qui nel 1938.
Dato che il suo esordio si ha in tenera età, d’Annunzio ha influenzato oltre cinquant’anni di
cultura con la sua produzione sovrabbondante, influenza inoltre anche la politica, poiché
elabora ideologie, atteggiamenti e slogan di propaganda, lascia un’impronta anche sul
costume, dando vita al fenomeno del dannunzianesimo, che segnò il comportamento di
intere generazioni borghesi, ispira anche i romanzi di consumo e il cinema.

L’estetismo e la sua crisi


PRIME OPERE
Decide di ispirarsi ai letterari del tempo, infatti Primo Vere (1879) e Canto Novo (1882) si
rifanno alle Odi Barbare di Carducci, mentre la raccolta di novelle Terra vergine (1882), trae
ispirazione da Vita dei campi di Verga.
Il Canto Novo presenta una metrica barbara, d’Annunzio ricava da Carducci anche l’ispirazione
ad una vita sana e virile, in armonioso rapporto con natura solare e vitale (visione classica e
pagana). Questi temi sono portati al limite estremo e anticipano il panismo (fusione
dell’individuo e della natura) nelle opere più mature. Non mancano però spunti diversi,
stanchezza che fanno intuire come il vitalismo sfrenato celi sempre in sé il fascino ambiguo
della morte.
Nelle novelle di Terra Vergine, d’Annunzio presenta figure e paesaggi della terra d’origine. Si
tratta di una rappresentazione fortemente idealizzata, sullo sfondo di una natura rigogliosa
e sensuale vengono descritte le passioni primordiali di uomini che possiedono una
concezione magica e superstiziosa della realtà. La tecnica narrativa utilizzata è quella
tradizionale con il narratore onnisciente che spesso commenta i fatti. Sul piano delle
tecniche narrative, questo compiacimento per la violenza e la barbarie si esprime in una
continua intromissione della soggettività del narratore (opposto Verga). Sulla stessa linea
troviamo: Il libro delle vergini (1884) e San Pantaleone (1886), riunite nelle Novelle della
Pescara.
In questi testi non ritroviamo “la lotta per la vita” di Verga, lo riprende soltanto nella forma e
nell’interesse regionale in tutti i suoi aspetti, anche linguistici; come oggetto si collega alla
matrice irrazionalistica del Decadentismo.

I VERSI DEGLI ANNI OTTANTA E L’ESTETISMO


La stessa matrice è evidente nei versi degli anni Ottanta, che abbandona la linea del vitalismo
pagano del Canto Novo e rivela l’influenza profonda dei poeti decadenti francesi ed inglesi.
L’Intermezzo di Rime è giocato sulla confessione della stanchezza sensuale, della sazietà degli
istinti che inseguono il vizio. Isaotta Guttadauro è un raffinato esercizio di recupero delle forme
poetiche quattrocentesche. La Chimera insiste su temi della sensualità perversa che si
concretizzano in immagini di donne fatali e distruttici.
Queste opere sono frutto di una fase che si chiama l’estetismo dannunziano e che si può
riassumere in “il Verso è tutto”. Secondo questa concezione, l’arte è il valore supremo e ad
esse devono essere subordinati tutti gli altri valori; la vita si sottrae così alle leggi del bene e del
male e si sottopone alla legge del bello. Sul piano letterario tutto ciò dà origine ad un vero
culto religioso dell’arte e della bellezza. La poesia non nasce dall’esperienza vissuta, ma da
altra letteratura. Il personaggio dell’esteta, che si isola nella realtà meschina della società
borghese in un mondo
ideale di pura arte e bellezza, rappresenta una risposta ideologica alle trasformazioni
economiche sociali in atto nell’Italia postunitaria, le quali tendevano a declassare e ad
emarginare l’artista. Il giovane d’Annunzio non si rassegna a questa situazione poiché vuole il
successo e la fama. Perciò si preoccupa di produrre libri di successo, che vendano bene nel
mercato. Adeguandosi ai meccanismi della produzione capitalistica propone un’immagine
nuova di intellettuale, si pone fuori dalla società borghese.

IL PIACERE E LA CRISI DELL’ESTETISMO


Ben presto però, si rende conto della debolezza di questa figura e dell’ideologia su cui è basata:
l’esteta non ha la forza di opporsi realmente all’ascesa della borghesia, che a fine secolo si
avvia sulla strada dell’industrialismo. Egli avverte tutta la fragilità dell’esteta in un mondo
lacerato da forze e conflitti così brutali: il suo isolamento sdegnoso, considerato prima come
un privilegio, non può che diventare allora sterilità ed impotenza. Il culto della bellezza si
trasforma in illusione e menzogna e la costruzione dell’estetismo entra definitivamente in
crisi.
Il primo romanzo scritto da d’Annunzio, Il Piacere, è la testimonianza più esplicita di questa
nuova consapevolezza. Al centro del romanzo vi è la figura di un esteta, Andrea Sperelli, un
giovane e raffinato aristocratico che rappresenta un alter ego di d’Annunzio stesso e riflette
perciò la fragilità e l’insoddisfazione dell’autore. Il principio fondamentale dell’estetismo che
impone di “fare la propria vita, come si fa un’opera d’arte”, diventa per Andrea una forza
distruttrice, che lo priva di ogni energia morale e creativa. La crisi emerge nel rapporto con la
donna. L’eroe è infatti attratto da due figure femminili opposte: Elena Muti, la donna fatale,
che incarna l’erotismo lussurioso, e Maria Ferres, la donna pura, che rappresenta ai suoi occhi
l’occasione di un riscatto e di un’elevazione spirituale. Andrea si rivolge verso Maria solamente
perché Elena continua a respingerlo. Appena Maria si concede, il giovane la chiama per sbaglio
con il nome dell’altra donna, causando quindi la fine del loro rapporto e restando solo con il suo
vuoto e la sua sconfitta.
Lo scrittore mostra un atteggiamento bivalente verso il protagonista, da un lato pronuncia
duri giudizi nei suoi confronti attraverso la voce narrante, ma dall’altro lato non riesce a
nascondere una forte attrazione per il suo gusto raffinato e per il suo stile di vita ricercato e
senza freni.
Dunque, Il Piacere non rappresenta il definitivo distacco di d’Annunzio dalla figura dell’esteta.
Nel suo impianto narrativo il romanzo risente ancora della lezione del realismo ottocentesco e
del Verismo; è infatti evidente il tentativo di d’Annunzio di delineare un quadro sociale, di
costume, popolato di figure tipiche di aristocratici oziosi e corrotti. Seguendo anche le correnti
francesi, lo scrittore mira a creare un romanzo psicologico, in cui contano i processi interiori del
personaggio, complessi e tortuosi, indagati con una sottile capacità analitica. Nel Piacere
compare un’altra tendenza, che sarebbe quella di costruire al di sotto dei fatti concreti una
sottile trama di allusioni simboliche.

I romanzi del Superuomo


D’ANNUNZIO E NIETZSCHE
La fase della “bontà” rappresenta una soluzione provvisoria che si esaurisce molto presto.
Intorno al 1892, infatti, d’Annunzio troverà poi uno sbocco alla crisi dell’estetismo grazie alla
lettura del filosofo tedesco Friedrich Nietzsche, resta colpito da: rifiuto del conformismo
borghese, dei principi egualitari che schiacciano e livellano la personalità; l’esaltazione dello
spirito “dionisiaco”, cioè di un vitalismo gioioso, libero dai limiti imposti dalla morale comune; il
rifiuto dell’etica, della pietà, dell’altruismo; l’esaltazione della “volontà di potenza” dello spirito
e dell’affermazione di sé; il mito del superuomo, un nuovo tipo di umanità finalmente
realizzata, libera e gioiosa.
D’Annunzio banalizza questi aspetti, li modifica e li adatta al proprio sistema ideologico,
accentuandone la connotazione anti-borghese. Egli si scaglia violentemente contro il nuovo
Stato unitario di stampo borghese, poiché ritiene che i principi democratici e egualitari, il
parlamentarismo e lo spirito imprenditoriale abbiano contaminato il senso della bellezza. Spera
quindi nell’affermazione di una nuova aristocrazia, che sappia tener schiava la moltitudine
degli esseri comuni ed evolversi in una forma di vita superiore attraverso il culto del bello. In tal
modo la stirpe latina (gli italiani) attraverso un processo, arriverà a toccare la sua forma più
compiuta.
Il motivo nietzschiano del superuomo, d’Annunzio lo interpreta come un diritto di pochi esseri
eccezionali ed affermare sé stessi senza tener conto delle regole imposte dalla morale
comune.
Il dominio questi esseri privilegiati al di sopra delle masse è finalizzato ad imporre una nuova
politica aggressiva allo Stato Italiano per consentirgli di superare la sua condizione di
mediocrità e di recuperare il ruolo di supremazia sul mondo intero.

IL SUPERUOMO E L’ESTETA
Il nuovo personaggio del superuomo creato da d’Annunzio (quindi aggressivo, energico,
vitalistico) non nega la precedente immagine dell’esteta, ma la ingloba in sé, conferendo
al culto della bellezza una diversa funzione. Gli eroi del romanzo dannunziano non si
allontanano più dalla vita per contemplare la bellezza in una dimensione più appartata, ma
attraverso le loro attività artistica e intellettuale devono aprire la strada al dominio di una
nuova élite raffinata e violenta, di cui fanno parte, ponendo fine al caos del liberalismo
borghese, della democrazia, dell’egualitarismo. Si potrebbe dire che il mito del superuomo
rappresenti il tentativo di reagire al processo di declassamento e di emarginazione
dell’intellettuale all’interno della società capitalistica moderna; è un tentativo molto più
ambizioso di quello dell’esteta, poiché l’artista superuomo assume la funzione di “vate”,
profeta di un nuovo ordine sociale (missione politica). La figura del superuomo mostra
atteggiamenti che si accordano perfettamente con le tendenze dell’epoca (imperialismo,
militarismo, colonialismo).

Le Laudi
IL PROGETTO
In seguito all’elaborazione dell’ideologia superomistica d’Annunzio comincia a progettare vaste
ambiziose costruzioni letterarie in grado di diffondere il messaggio di “vate”; concepisce
numerosi cicli di romanzi (della “Rosa”, “Giglio” e “Melograno) che però non porterà mai a
termine. Nel campo della lirica vuole affidare la sua visione dlla vita e dell’arte ai sette libri
delle Laudi del cielo del mare della terra degli eroi, in cui avrebbe dovuto trovare spazio per
tutto.
Ma in realtà rimane incompiuto, tra il 1903 e il 1904 vengono pubblicati i primi tre: Maia,
Elettra, Alcyone (nome dagli astri della costellazione delle Pleiadi). Il quarto, Merope, viene
messo insieme nel 1912 raccogliendo le Canzoni della gesta d’oltremare (impresa colon. in
Libia). Il quinto è Asterope che comprende poesie ispirate alla Prima Guerra Mondiale. Gli ultimi
due, Taigete e Celeno non furono mai scritti.

MAIA
Il primo libro è un lungo poema unitario di oltre ottomila verso, viene pubblicato nel 1903
con quel titolo e sottotitolo di Laus vitae (lode della vita). Intento principale: celebrare la
pienezza vitale che l’uomo può raggiungere attraverso la fusione con la natura. L’opera è
caratterizzata da un tono constantemente enfatico e profetico che si adatta
all’atteggiamento del panismo.
Non vi sono più le rigide norme della metrica tradizionale ma vi è il verso libero (alternanza di
vari tipi diversi e uso delle rime senza schema fisso). L’opera si apre con la narrazione di un
viaggio in Grecia, compiuto veramente da d’Annunzio nel 1895. Il poeta si sente come un
nuovo Ulisse pronto a spezzare ogni limiti per arrivare alle sue mete; questo viaggio sta a
rappresentare l’immersione in un passato mitico, alla ricerca di un vivere sublime, divino
all’insegna della forza. Dopo questa esperienza ritorna nella realtà moderna, le “città terribili”, le
metropoli industriali orrende. Attraverso il mito classico questa realtà viene trasformata in una
nuova forza e bellezza, equivalente a quella della Grecia Antica. Il poeta arriva ad esaltare il
capitale, la finanza internazionale, i capitani d’industria e le macchine poiché racchiudono
forza ed energia in sé che possono essere indirizzate a fini eroici e imperiali. D’Annunzio arriva
perfino a rivalutare l’importanza delle masse operaie (grande serbatoio di energia).

Alcyone

LA STRUTTURA, I CONTENUTI E LE FORMA


Comprende 88 liriche composte tra il 1899 e il 1903 e ordinate in base ad un disegno organico,
come una sorta di diario ideale di una vacanza estiva, che descrive le tappe di un viaggio dai colli
fiesolani alle coste tirreniche in compagnia della donna amata dal poeta. L’estate è fondamentale
perché vista come la stagione che più di tutte consente il raggiungimento della pienezza
vitalistica: l’io del poeta si fonde col fluire della vita del Tutto, si identifica con le varie presenze
naturali, animali, vegetali... trasfigurandosi e potenziandosi all’infinito in questa fusione, fino ad
avvicinarsi a una condizione divina. L’opera sembra avere caratteristiche diverse dalle opere
precedenti, non ci sono discorsi politici, celebrativi e polemici ma vi è il tema lirico della fusione
panica con la natura e in opposto agli impulsi verso l’azione energica subentra un atteggiamento
di evasione e contemplazione. Sul piano formale elabora un nuovo stile poetico basato sulla
ricerca della sottile musicalità e sull’impiego del linguaggio analogico, per questo veniva
considerata “pura”, libera dall’ideologia superomistica e dalle finalità di propaganda politica.

IL SIGNIFICATO DELL’OPERA
L’esperienza panica cantata non è che una manifestazione del superomismo: solo al
superuomo, creatura d’eccezione, è concesso di superare ogni limite umano ed elevarsi ad una
condizione quasi divina grazie al contatto con la natura; solo il poeta-superuomo
attraverso la magia della parola può cogliere ed esprimere l’armonia segreta della natura e
rivelare l’essenza delle cose attraverso una fitta trama di corrispondenze simboliche. Vi sono
anche dei motivi ideologici: l’esaltazione di una violenza vitalità “dionisiaca”, la
prefigurazione di un glorioso futuro imperiale, la smania di vivere tutte le esperienze al di là di
ogni limite. Nei passi in cui compaiono questi temi, il linguaggio cambia, subentra la tensione
retorica, la gonfiezza enfatica fatta di interrogazioni, esclamazioni. Questo libro offre dei
risultati più alti della poesia dannunziana, grazie alla straordinaria intensità suggestiva delle
soluzioni musicali, della magia verbale e del gioco analogico. Per questo motivo è diventato
uno dei modelli fondamentali per la lirica italiana del Novecento.

IL PERIODO “NOTTURNO”
Dopo la pubblicazione di Forse che si forse che no (1910) d’Annunzio smette di scrivere romanzi
e si dedica alla sperimentazione di una prosa lirica, evocativa, di memoria, frammentaria.
Quest’ultima stagione di scrittura viene definita “notturna”, dal titolo dell’opera più significativa,
il Notturno composto nel 1916 in un periodo in cui lo scrittore era obbligato ad un’assoluta
immobilità e al buio totale per un trauma agli occhi provocato da un incidente di volo. A causa
della perdita temporanea della vista, tutta l’esperienza vitale si concentra sugli altri sensi o
nell’esplorazione della propria interiorità. Impressioni, visioni, ricordi vengono annotati
rapidamente su lunghe strisce di carta. (Esempio pagina 273).
Come si vede dall’esempio, l’opera conserva l’originario carattere dell’annotazione
frammentaria, come se fosse un “flusso di coscienza”. L’unico obiettivo dell’autore è quello
di riportare sulla pagina le proprie impressioni. Lo stile è più agile, secco, nervoso.
Non vi è più la prosa aulica ma periodi brevissimi, rapidi, incalzanti, spesso in forma nominale
(no verbi). Oltre al Notturno (1921) fanno parte di questo periodo anche la Contemplazione
della morte (1912), Le faville del maglio (1924-28) e il Libro Segreto. Sono tutte opere
diverse ma accomunate dal taglio autobiografico, memoriale e da un registro stilistico più
misurato.
Era un’ispirazione finalmente genuina e sincera, senza le solite fastidiose finalità
ideologiche. Queste prose presentano una materia nuova: ricordi d’infanzia, sensazioni
fuggevoli, confessioni soggettive, un ripiegamento ad esplorare la propria interiorità
tormentata da inquietudini e perplessità e soprattutto dal pensiero della morte.
L’abbandono delle ampie architetture romanzesche e la tendenza al frammentismo sono
due fenomeni che caratterizzano tutto il primo Novecento. Per certi aspetti d’Annunzio
percorre questi nuovi orientamenti ma per altri aspetti subisce l’influenza dei suoi stessi
“discepoli”. Critiche più recenti: presenza di pose narcisistiche, di autocelebrazioni del
proprio “vivere inimitabile” e della propria sensibilità d’eccezione.

I 3 TESTI:
 Un ritratto allo specchio: Andrea Sperelli ed Elena Muti
 La sera fiesolana
 La pioggia nel pineto

UN RITRATTO ALLO SPECCHIO: ANDREA ED ELENA


La donna amata da Andrea tronca la relazione e scompare, quando torna è sposata con un
individuo ripugnante.
•Nei primi paragrafi attraverso il discorso indiretto libero si capisce l’interiorità del personaggio. Il
narratore introduce il suo punto di vista in modo da prendere le distanze.
•Critica all’estetismo: viene superata la menzogna di Andrea che aveva passato la vita tra
costrizioni estetiche accostando ogni cosa che vedeva a una favolosa opera d’arte. Eppure dietro
questa funzione si creano gli impulsi sensuali più materiali e volgare.

LA SERA FIESOLANA
La poesia La sera fiesolana, la prima di Alcyone ad essere stata composta, rappresenta una sorta di
rilettura laica e dionisiaca di San Francesco d’Assisi: il misticismo francescano viene riproposto in
modo esteriore, con espressioni come “laudata sii”, “fratelli ulivi”; “pura morte”, inserite però in
un contesto totalmente diverso.

•La sera è il momento della fusione panica con la natura e rappresenta l’attesa del rapporto
d’amore con la propria donna: dopo la sera ci sarà una notte d’amore, ma il poeta preferisce
descriverne l’attesa, attraverso procedimenti irrazionali, in particolare la sinestesia e l’analogia.

•Vuole evocare più che descrivere razionalmente le scene. Si tratta di una sera di giugno dopo la
pioggia al crepuscolo, un momento di passaggio e di metamorfosi, fatto di trasformazioni quasi
impercettibili, un momento carico di attesa e di suggestione. Come la sera ‘muore’ spegnendosi
lentamente nella notte, così la primavera muore trascolorando nell’estate.

•D’Annunzio si rivolge ad un “tu” indeterminato, una figura femminile di cui non viene esplicitato
il nome, ma ogni strofa costituisce sostanzialmente un nucleo a sé stante. A fungere da
collegamento stanno i tre ritornelli in cui è lodata la sera, che assume sembianze umane, di una
donna amata, celebrata per il viso perlaceo, le vesti profumate e la cintura indossata.

•Nella prima strofa, originariamente intitolata Natività della luna, il tema centrale è il sorgere della
luna: essa è tutta costruita su una serie d’immagini che si richiamano l’una con l’altra per analogia:
il suono delle parole “fresche” richiama il “fruscio” delle foglie del gelso e queste corrispondenze
assumono un valore allusivo quasi magico, acuito dall’allitterazione onomatopeica e dalla
sinestesia. Questi versi introducono la nascita della luna, una sorta di teofania che solo le parole
del poeta-vate sono in grado di descrivere; ma non è descritto il sorgere vero e proprio della luna,
bensì il momento, magico e sospeso, che lo precede. La luna ha il potere di produrre il refrigerio
necessario a far rifiorire la vita laddove c’era l’aridità, ma l’idea del “fresco” la connette
allusivamente anche alle “fresche” parole del poeta, che quindi assumono le medesime
prerogative salvifiche.

•Nella seconda strofa, originariamente intitolata La pioggia estiva, si presta ancora più attenzione
al suono delle parole, che sono scelte innanzitutto per la loro musicalità e per la trama fonica che
formano. Di nuovo, si insiste sull’idea dell’acqua e su momenti ambigui di passaggio, in particolare
tra la primavera e l’estate, col grano non maturo, ma non più verde e il fieno tagliato che sta
lentamente ingiallendo.

•Nella terza strofa, dal titolo originario L’immagine delle colline, giunge al massimo l’esaltazione
irrazionale dell’innamoramento: si crea una dimensione favolosa in cui le parole servono non a
denotare ma ad evocare. Si giunge ad una sensualità panica, ad una forza erotica che pervade la
natura e di cui anche l’uomo partecipa: nell’atmosfera magica e misteriosa dei “reami d’amor”,
persino le colline si trasformano in sensualissime labbra.

LA PIOGGIA NEL PINETO


Composta nel 1902. Si tratta di una lirica composta fra luglio e agosto 1902 e inserita nella raccolta
Alcyone, sezione dell'opera più grande delle Laudi. Il metro è libero e la tematica dominante è
quella del Panismo, ovvero della completa fusione dell'uomo con la natura. Villa La Versiliana.
TEMATICHE:

• L'amore per Eleonora Duse, D’Annunzio ebbe una relazione con questa bellissima attrice ed è lei
ad ispirare non solo questo componimento ma l’intera raccolta. Qui la donna amata accompagna il
poeta durante una passeggiata estiva in campagna finché un temporale non li sorprende,
lasciandoli soli e intimi nel pineto, sotto l’acqua che cade e che crea un’atmosfera surreale. La
donna viene chiamata “Ermione”, un nome che ricorda un personaggio della mitologia greca,
sposata e abbandonata da Oreste: D’Annunzio è come Oreste che torna a lei e alla natura dopo
aver dimenticato di contemplare questo mondo incontaminato, perso nella vita caotica e
mondana della città.

• Fusione dell’uomo con la natura: IL PANISMO


Durante il temporale estivo ci si immerge completamente nel paesaggio, il poeta chiede subito
alla sua compagna di far silenzio per contemplare solamente i rumori dell’acqua e della natura
che si trasforma intorno, sotto l’incessante picchiettare della pioggia. Ogni verso non è che un
altro passo dentro questo mondo incontaminato, lontano dall’umanità, finché non ci si perde del
tutto. Al termine della poesia addirittura i due protagonisti sono diventati una sola cosa con il
bosco: al tema del panismo se ne collega subito un altro, quindi, cioè quello della metamorfosi
che il poeta tratta ricordando le Metamorfosi di Ovidio, poeta classico, dove i protagonisti
diventavano realmente, da umani, elementi naturali come alberi o animali.

• Sensismo e ricerca della bellezza


Questi due termini si ricollegano in parte a quanto detto sopra. Il sensismo è la ricerca di tutto ciò
che proviene dai cinque sensi: il mondo deve essere conosciuto non attraverso un ragionamento
razionale ma solo attraverso ciò che i nostri sensi provano vivendo determinati momenti. Per
D’Annunzio questo discorso si accompagna alla ricerca della bellezza: il bello è percepito
attraverso i sensi e ricercato nel pineto e in tutti i suoi elementi.   
Figure onomatopeiche: crosciare, odi, muta, ascolta.
Ermione: personaggio motivo, figlia di Elena e Menelao.

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