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La Vita
L’ESTETA
Nato nel 1863 a Pescara da famiglia borghese e studiò nel collegio Cicognini di Prato.
Il suo esordio poetico fu molto precoce: nel 1879 pubblicò Prime Vere (libretto di versi) che
riscontrò un discreto successo anche da famosi letterati. Nel 1881, dopo aver preso il diploma, si
trasferisce a Roma per frequentare l’università, ma l’abbandona presto attratto dai divertimenti
della città. Per alcuni anni si dedica alla professione di giornalista, collaborando a vari giornali
con articoli di cronaca mondana (eventi di certo interesse, feste, ricevimenti, eventi relativi alla
vita pubblica di personaggi famosi). Nei primi anni novanta si sposta a Napoli per scrivere sul
“Mattino”, giornale nazionale. Diventa famoso nel campo della letteratura sia grazie alla
produzione di versi e sia per opere di narrativa, che a volte suscitavano scandalo per i contenuti
erotici e anche per la sua vita fatta di avventure galanti, lusso, duelli. Qui d’Annunzio si crea
la maschera dell’esteta, che rifiuta con disgusto i valori della mentalità borghese e principi della
morale corrente, rifugiandosi in un mondo di pura arte.
IL SUPERUOMO
La sua fase estetizzante termina però all’inizio degli anni Novanta, in seguito alla lettura di
Nietzsche. Alla ricerca della sua nuova ispirazione letteraria, lo scrittore elabora il mito del
superuomo, caratterizzato dalla vocazione della bellezza, dall’energia eroica e attivistica.
Continua però a costruire l’immagine di una vita eccezionale (“il vivere inimitabile”), sottratta
alle norme del vivere comune. Nel 1895 comincia una relazione con Eleonora Duse (insieme
10 anni).
Si trasferisce a Settignano, nei pressi di Firenze dove vive come un principe rinascimentale.
Questa sua esibizione di lussi e stravaganze era fatta per mettersi in mostra nell’attenzione
pubblica per vendere meglio la sua immagine e i suoi prodotti letterari. Gli editori gli
pagavano somme molto alte, ma quel denaro non era mai sufficiente. Quindi,
paradossalmente, il culto della bellezza e del “vivere inimitabile” erano finalizzati a ciò che lui
cercava di disprezzare: denaro e esigenze del mercato: lui era contro al mondo borghese ma
era anche legato alle sue leggi, lui spregiava la massa ma era costretto a lusingarla e a
soddisfarne i bisogni. Questo quindi è una contraddizione.
IL SUPERUOMO E L’ESTETA
Il nuovo personaggio del superuomo creato da d’Annunzio (quindi aggressivo, energico,
vitalistico) non nega la precedente immagine dell’esteta, ma la ingloba in sé, conferendo
al culto della bellezza una diversa funzione. Gli eroi del romanzo dannunziano non si
allontanano più dalla vita per contemplare la bellezza in una dimensione più appartata, ma
attraverso le loro attività artistica e intellettuale devono aprire la strada al dominio di una
nuova élite raffinata e violenta, di cui fanno parte, ponendo fine al caos del liberalismo
borghese, della democrazia, dell’egualitarismo. Si potrebbe dire che il mito del superuomo
rappresenti il tentativo di reagire al processo di declassamento e di emarginazione
dell’intellettuale all’interno della società capitalistica moderna; è un tentativo molto più
ambizioso di quello dell’esteta, poiché l’artista superuomo assume la funzione di “vate”,
profeta di un nuovo ordine sociale (missione politica). La figura del superuomo mostra
atteggiamenti che si accordano perfettamente con le tendenze dell’epoca (imperialismo,
militarismo, colonialismo).
Le Laudi
IL PROGETTO
In seguito all’elaborazione dell’ideologia superomistica d’Annunzio comincia a progettare vaste
ambiziose costruzioni letterarie in grado di diffondere il messaggio di “vate”; concepisce
numerosi cicli di romanzi (della “Rosa”, “Giglio” e “Melograno) che però non porterà mai a
termine. Nel campo della lirica vuole affidare la sua visione dlla vita e dell’arte ai sette libri
delle Laudi del cielo del mare della terra degli eroi, in cui avrebbe dovuto trovare spazio per
tutto.
Ma in realtà rimane incompiuto, tra il 1903 e il 1904 vengono pubblicati i primi tre: Maia,
Elettra, Alcyone (nome dagli astri della costellazione delle Pleiadi). Il quarto, Merope, viene
messo insieme nel 1912 raccogliendo le Canzoni della gesta d’oltremare (impresa colon. in
Libia). Il quinto è Asterope che comprende poesie ispirate alla Prima Guerra Mondiale. Gli ultimi
due, Taigete e Celeno non furono mai scritti.
MAIA
Il primo libro è un lungo poema unitario di oltre ottomila verso, viene pubblicato nel 1903
con quel titolo e sottotitolo di Laus vitae (lode della vita). Intento principale: celebrare la
pienezza vitale che l’uomo può raggiungere attraverso la fusione con la natura. L’opera è
caratterizzata da un tono constantemente enfatico e profetico che si adatta
all’atteggiamento del panismo.
Non vi sono più le rigide norme della metrica tradizionale ma vi è il verso libero (alternanza di
vari tipi diversi e uso delle rime senza schema fisso). L’opera si apre con la narrazione di un
viaggio in Grecia, compiuto veramente da d’Annunzio nel 1895. Il poeta si sente come un
nuovo Ulisse pronto a spezzare ogni limiti per arrivare alle sue mete; questo viaggio sta a
rappresentare l’immersione in un passato mitico, alla ricerca di un vivere sublime, divino
all’insegna della forza. Dopo questa esperienza ritorna nella realtà moderna, le “città terribili”, le
metropoli industriali orrende. Attraverso il mito classico questa realtà viene trasformata in una
nuova forza e bellezza, equivalente a quella della Grecia Antica. Il poeta arriva ad esaltare il
capitale, la finanza internazionale, i capitani d’industria e le macchine poiché racchiudono
forza ed energia in sé che possono essere indirizzate a fini eroici e imperiali. D’Annunzio arriva
perfino a rivalutare l’importanza delle masse operaie (grande serbatoio di energia).
Alcyone
IL SIGNIFICATO DELL’OPERA
L’esperienza panica cantata non è che una manifestazione del superomismo: solo al
superuomo, creatura d’eccezione, è concesso di superare ogni limite umano ed elevarsi ad una
condizione quasi divina grazie al contatto con la natura; solo il poeta-superuomo
attraverso la magia della parola può cogliere ed esprimere l’armonia segreta della natura e
rivelare l’essenza delle cose attraverso una fitta trama di corrispondenze simboliche. Vi sono
anche dei motivi ideologici: l’esaltazione di una violenza vitalità “dionisiaca”, la
prefigurazione di un glorioso futuro imperiale, la smania di vivere tutte le esperienze al di là di
ogni limite. Nei passi in cui compaiono questi temi, il linguaggio cambia, subentra la tensione
retorica, la gonfiezza enfatica fatta di interrogazioni, esclamazioni. Questo libro offre dei
risultati più alti della poesia dannunziana, grazie alla straordinaria intensità suggestiva delle
soluzioni musicali, della magia verbale e del gioco analogico. Per questo motivo è diventato
uno dei modelli fondamentali per la lirica italiana del Novecento.
IL PERIODO “NOTTURNO”
Dopo la pubblicazione di Forse che si forse che no (1910) d’Annunzio smette di scrivere romanzi
e si dedica alla sperimentazione di una prosa lirica, evocativa, di memoria, frammentaria.
Quest’ultima stagione di scrittura viene definita “notturna”, dal titolo dell’opera più significativa,
il Notturno composto nel 1916 in un periodo in cui lo scrittore era obbligato ad un’assoluta
immobilità e al buio totale per un trauma agli occhi provocato da un incidente di volo. A causa
della perdita temporanea della vista, tutta l’esperienza vitale si concentra sugli altri sensi o
nell’esplorazione della propria interiorità. Impressioni, visioni, ricordi vengono annotati
rapidamente su lunghe strisce di carta. (Esempio pagina 273).
Come si vede dall’esempio, l’opera conserva l’originario carattere dell’annotazione
frammentaria, come se fosse un “flusso di coscienza”. L’unico obiettivo dell’autore è quello
di riportare sulla pagina le proprie impressioni. Lo stile è più agile, secco, nervoso.
Non vi è più la prosa aulica ma periodi brevissimi, rapidi, incalzanti, spesso in forma nominale
(no verbi). Oltre al Notturno (1921) fanno parte di questo periodo anche la Contemplazione
della morte (1912), Le faville del maglio (1924-28) e il Libro Segreto. Sono tutte opere
diverse ma accomunate dal taglio autobiografico, memoriale e da un registro stilistico più
misurato.
Era un’ispirazione finalmente genuina e sincera, senza le solite fastidiose finalità
ideologiche. Queste prose presentano una materia nuova: ricordi d’infanzia, sensazioni
fuggevoli, confessioni soggettive, un ripiegamento ad esplorare la propria interiorità
tormentata da inquietudini e perplessità e soprattutto dal pensiero della morte.
L’abbandono delle ampie architetture romanzesche e la tendenza al frammentismo sono
due fenomeni che caratterizzano tutto il primo Novecento. Per certi aspetti d’Annunzio
percorre questi nuovi orientamenti ma per altri aspetti subisce l’influenza dei suoi stessi
“discepoli”. Critiche più recenti: presenza di pose narcisistiche, di autocelebrazioni del
proprio “vivere inimitabile” e della propria sensibilità d’eccezione.
I 3 TESTI:
Un ritratto allo specchio: Andrea Sperelli ed Elena Muti
La sera fiesolana
La pioggia nel pineto
LA SERA FIESOLANA
La poesia La sera fiesolana, la prima di Alcyone ad essere stata composta, rappresenta una sorta di
rilettura laica e dionisiaca di San Francesco d’Assisi: il misticismo francescano viene riproposto in
modo esteriore, con espressioni come “laudata sii”, “fratelli ulivi”; “pura morte”, inserite però in
un contesto totalmente diverso.
•La sera è il momento della fusione panica con la natura e rappresenta l’attesa del rapporto
d’amore con la propria donna: dopo la sera ci sarà una notte d’amore, ma il poeta preferisce
descriverne l’attesa, attraverso procedimenti irrazionali, in particolare la sinestesia e l’analogia.
•Vuole evocare più che descrivere razionalmente le scene. Si tratta di una sera di giugno dopo la
pioggia al crepuscolo, un momento di passaggio e di metamorfosi, fatto di trasformazioni quasi
impercettibili, un momento carico di attesa e di suggestione. Come la sera ‘muore’ spegnendosi
lentamente nella notte, così la primavera muore trascolorando nell’estate.
•D’Annunzio si rivolge ad un “tu” indeterminato, una figura femminile di cui non viene esplicitato
il nome, ma ogni strofa costituisce sostanzialmente un nucleo a sé stante. A fungere da
collegamento stanno i tre ritornelli in cui è lodata la sera, che assume sembianze umane, di una
donna amata, celebrata per il viso perlaceo, le vesti profumate e la cintura indossata.
•Nella prima strofa, originariamente intitolata Natività della luna, il tema centrale è il sorgere della
luna: essa è tutta costruita su una serie d’immagini che si richiamano l’una con l’altra per analogia:
il suono delle parole “fresche” richiama il “fruscio” delle foglie del gelso e queste corrispondenze
assumono un valore allusivo quasi magico, acuito dall’allitterazione onomatopeica e dalla
sinestesia. Questi versi introducono la nascita della luna, una sorta di teofania che solo le parole
del poeta-vate sono in grado di descrivere; ma non è descritto il sorgere vero e proprio della luna,
bensì il momento, magico e sospeso, che lo precede. La luna ha il potere di produrre il refrigerio
necessario a far rifiorire la vita laddove c’era l’aridità, ma l’idea del “fresco” la connette
allusivamente anche alle “fresche” parole del poeta, che quindi assumono le medesime
prerogative salvifiche.
•Nella seconda strofa, originariamente intitolata La pioggia estiva, si presta ancora più attenzione
al suono delle parole, che sono scelte innanzitutto per la loro musicalità e per la trama fonica che
formano. Di nuovo, si insiste sull’idea dell’acqua e su momenti ambigui di passaggio, in particolare
tra la primavera e l’estate, col grano non maturo, ma non più verde e il fieno tagliato che sta
lentamente ingiallendo.
•Nella terza strofa, dal titolo originario L’immagine delle colline, giunge al massimo l’esaltazione
irrazionale dell’innamoramento: si crea una dimensione favolosa in cui le parole servono non a
denotare ma ad evocare. Si giunge ad una sensualità panica, ad una forza erotica che pervade la
natura e di cui anche l’uomo partecipa: nell’atmosfera magica e misteriosa dei “reami d’amor”,
persino le colline si trasformano in sensualissime labbra.
• L'amore per Eleonora Duse, D’Annunzio ebbe una relazione con questa bellissima attrice ed è lei
ad ispirare non solo questo componimento ma l’intera raccolta. Qui la donna amata accompagna il
poeta durante una passeggiata estiva in campagna finché un temporale non li sorprende,
lasciandoli soli e intimi nel pineto, sotto l’acqua che cade e che crea un’atmosfera surreale. La
donna viene chiamata “Ermione”, un nome che ricorda un personaggio della mitologia greca,
sposata e abbandonata da Oreste: D’Annunzio è come Oreste che torna a lei e alla natura dopo
aver dimenticato di contemplare questo mondo incontaminato, perso nella vita caotica e
mondana della città.