Sei sulla pagina 1di 6

Gabriele D’Annunzio

Vivere la vita come se fosse la migliore tra le opere d’arte divenne lo stile di vita di
molti artisti del tardo ‘800. In seguito al Naturalismo e al Positivismo, in cui lo
scrittore diventava scienziato e i suoi romanzi dei veri e propri esperimenti
scientifici, il poeta decide trasformarsi in un bohemien, conducendo la propria vita
con libertà e anticonformismo. Poeti maledetti come: Charles Baudelaire, Arthur
Rimbaud, Stephane Mallarmé e Paul Verlaine fecero propria questa descrizione,
progettando il movimento del Decadentismo. Il termine “Decadente” venne coniato
per la prima volta da Paul Verlaine nel suo sonetto “Langueur”, pubblicato sul
periodico parigino “Le Chat Noir”, in cui affermava di identificarsi con l’atmosfera di
estenuazione spirituale dell’Impero Romano durante le invasioni barbariche. Viene
accettata una nuova visione basata su un irrazionalismo misticheggiante per cui solo
rinunciando alla razionalità si può tentare di attingere al misterioso ignoto, grazie
anche all’utilizzo di un linguaggio oscuro e musicale colmo di figure retoriche. Il
poeta stabilisce un legame con tutto ciò che lo circonda, specialmente con la natura,
diventando uno spirito panico, che solo successivamente viene messo in secondo
piano per far risorgere la poesia, Epifania. Si creano quindi delle distinzioni tra le
varie figure decadenti: l’”Esteta”, rappresentabile con la figura di Dorian Gray,
personaggio principale del romanzo di O. Wilde “Il ritratto di Dorian Gray”, che pone
la vita alla bellezza esaltando i piaceri edonistici terreni; l’”Inetto”, ovvero colui che
non riesce a percepire la forza vitale che pulsa intorno a lui, rappresentato da Zeno
nell’omonimo romanzo “La Coscienza di Zeno” di Aron Hector Schmitz, alias Italo
Svevo; e l’ultima figura, quella del “Superuomo”, ispirata a quella dell’Oltre uomo
Nietzschiano in cui viene esaltato uno slancio vitale Dionisiaco che travolge i limiti
consueti dell’individuo e ne potenzia le facoltà, stimolando una vita originale e
creativa, rifiutando il conformismo borghese, i principi egualitari e democratici e
l'etica della pietà. A prendere ispirazione da questa teoria è proprio Gabriele
d’Annunzio, che in prima persona assume le sembianze del “Poeta Vate”, capace di
essere guida, profeta e condottiero di un paese, vivendo una vita originale, colma di
passioni ed emozioni racchiuse in una dimensione estetica, in cui la virtù è
consacrata dall’arte. Il poeta nacque a Pescara nel 1863 da una famiglia borghese,
nella fanciullezza studiò al collegio Cicognini di Prato, esordendo con la sua prima
opera, un libretto di versi, “Primo Vere”. A 18 anni, raggiunta la licenza liceale, si
trasferì a Roma per frequentare l’università, che poco dopo abbandonò per
frequentare i salotti mondani della città antica. Durante questo lasso di tempo
compose “Canto Novo” e “Terra Vergine”, opere puramente ispirate a Carducci e
Verga. In “Canto Novo” d’Annunzio riprende da Carducci la metrica barbara e la
fusione ebbra con la natura, tipica del panismo, alternando momenti di vitalismo a
momenti di stanchezza e morte. Mentre, in “Terra Vergine”, il poeta utilizzando la
tecnica della prosa e prendendo spunto dal modello rusticano di “Vita dei Campi” di
Verga, inquadra il mondo idilliaco della sua terra, l’Abruzzo, in cui si riscontrano
passioni primordiali che sfociano nella carnalità e nella violenza sanguinaria.
Compone inoltre varie raccolte di novelle quali “Il libro delle vergini” e “San
Pantaleone”, che verranno riunite in seguito nelle “Novelle della Pescara”, in cui
vengono trattate, in un mondo magico, superstizioso e sanguinario, scene di vita
regionali con uno stile puramente decadente. Negli anni 80 inizia la carriera
giornalistica, lavorando per molteplici testate nazionali, quali “La Tribuna” e il
“Mattino”. Al tempo, in seguito allo sviluppo capitalistico, si riscontrava la tendenza
di declassare e emarginare l’artista dalla posizione di prestigio creatasi sin dall’età
delle corti. D’Annunzio, affamato di fama e successo, non accetta questa condizione,
creando la maschera dell’esteta, che lo aiuterà nella stesura de: “L’intermezzo di
rime”, romanzo puramente giocato sulla sazietà sensuale, “Isaotta Guttadauro” nel
quale cerca di recuperare le forme quattrocentesche oramai perdute e la “Chimera”
che, anch’essa insiste sui temi della perversione sensuale, radicati però all’interno
della figura della femme fatale. Secondo i principi estetici, l’arte è il valore supremo
poiché celebra la bellezza, che ha la funzione di principio regolatore per la vita.
Secondo d’Annunzio “il verso è tutto”, cioè nulla deve essere lasciato al caso, anzi al
contrario, ogni minimo particolare deve esprimere bellezza, saggezza e maestosità.
In seguito a questo periodo di crisi compone il romanzo “Il Piacere”, facente parte
della raccolta dei tre “Romanzi della Rosa” in cui confluisce tutta l’esperienza
mondana e letteraria vissuta da lui fino a quel momento. Al centro del romanzo vi è
la figura dell’esteta Andrea Sperelli, ovvero un “Doppelgänger” di D’Annunzio in cui
l’autore tratta la sua crisi e la sua estenuazione. Giunto a Roma nell’ottobre 1884,
Andrea inizia a frequentare i luoghi e le feste più elitarie della capitale. È in una di
queste che conosce Elena Muti, una giovane contessa rimasta vedova con la quale
intraprende ben presto una focosa relazione. Quando però, nel marzo 1885, la
donna annuncia ad Andrea di voler troncare la storia e di aver preso la decisione di
andarsene da Roma, questi inizia una vita volta alla dissoluzione e alla depravazione.
Dopo essere passato di donna in donna, fa la conoscenza di Maria Ferres, donna
casta e religiosa di cui si invaghisce e che intende ad ogni costo conquistare. Tornata
nel frattempo a Roma anche Elena, Andrea decide di fare sue entrambe le donne;
ma se con Maria la strada sembra essere in discesa, la Muti gli resiste, accrescendo
in lui il desiderio di possederla. Così, pur avendo instaurato una intensa relazione
con Maria, il giovane Sperelli non fa che pensare ad Elena e per errore chiama la
propria donna con il suo nome. Dopo aver perso Elena, Andrea perde così anche
Maria, restando solo. D’Annunzio ostenta nei confronti del protagonista un
atteggiamento critico, pronunciandosi con giudizi aspri. Iniziamo a trovare, anche se
non del tutto, dei piccoli cambiamenti che indurranno il poeta ad abbandonare
l’estetismo per il superomismo. Nell’impianto narrativo si riscontrano ancora tracce
di realismo ottocentesco e del Verismo. L’opera tende a narrare le vicende interiori
dei personaggi, creando un romanzo psicologico che è percorso da una sottile trama
di allusioni simboliche consolidate al di sotto dei fatti concreti. In seguito alla stesura
del Piacere il poeta decide di sperimentare un romanzo diverso che si discosta dagli
artefici dell’estetismo e si avvicina al romanzo russo, specialmente a quello
Dostoievschiano che andava molto in voga in quel periodo, questo prende il nome di
“Giovanni Episcopo” e narra la storia di un umile offeso, che toccando l’estrema
degradazione arriva all’omicidio. Compone inoltre l’”Innocente” nel quale esprime
un’esigenza di rigenerazione e purezza attraverso il recupero del legame coniugale e
della vita a contatto con la campagna, ma anche una psicologia omicida, sempre di
ispirazione russa. In seguito ad una profonda crisi avvenuta verso gli anni 90, il poeta
approda nel mito del superuomo basato sulle teorie del filosofo Nietzsche.
D’Annunzio si costruì l’immagine di una vita eccezionale basta sul “vivere
inimitabile”, trasferendosi a Fiesole e conducendo una vita sfarzosa e
lussureggiante, insieme alla sua compagna del tempo, l’attrice di teatro Eleonora
Duse. Inizia nel mentre la composizione del quarto romanzo, il “Trionfo della
morte”, che rappresenta una fase di transizione tra l’estetismo e il superomismo.
Dopo aver assistito al suicidio di uno sconosciuto a Roma, egli viene richiamato in
Abruzzo dalla famiglia per la morte dello zio Demetrio. Con la scomparsa dello zio
Giorgio ha perso l’unico punto di riferimento della famiglia, poiché tutti i membri
sono descritti come gente infida e crudele, specialmente il padre di Giorgio, che ha
abbandonato tutti per vivere in dissolutezza con una prostituta. Il protagonista si
ritira in una villa sulla costa di San Vito insieme all’amante Ippolita Sanzio. Mentre
Giorgio è disgustato dalla vita povera e semplice degli abruzzesi, Ippolita è
affascinata dalle usanze locali, anche se barbare, come ad esempio il tentativo di
una madre di scacciare il demonio dal figlio neonato ammalato, credendo fosse
posseduto. Attraverso la lettura dello Zarathustra Nietzschiano, Giorgio crede di aver
conquistato il metodo per fronteggiare l’ostilità della natura, ma dopo un
pellegrinaggio con Ippolita al santuario di Casalbordino, constatando la sofferenza
inguaribile dei pellegrini e la totale miseria in cui essi sono costretti a vivere, decide
di distruggere tutti i suoi sogni trascinando con sé Ippolita, vista come una nemica,
poiché è affascinata persino da quella visione terribile. Così invita l’amata in una gita
in montagna, dove si uccide, riservando la stessa sorte alla donna. Il suicidio del
protagonista, che anche questa volta è l'alter ego di D'Annunzio in cui proietta la
parte più oscura e malata di sé, fa sì che lo scrittore si sente pronto a percorrere la
strada del superuomo. Il tema della morte non viene visto più come momento
eroico, bensì si cerca di capire, studiando la psiche umana, le motivazioni del suicidio
stesso. Insieme al quarto romanzo, avviene la pubblicazione di un quinto, “La
vergine delle rocce”, che contiene la svolta ideologica radicale al superomismo. Nel
racconto vengono narrate le vicende amorose di Claudio Cantelmo, un nobile
abruzzese che lascia Roma per rifugiarsi in Abruzzo con l’intenzione di trovare una
sposa. Qui egli frequenta ed esamina tre sorelle, di origine aristocratica, Massimilla,
Annatolia e Violante, che lo scrittore rappresenta in modo simbolico. Massimilia è
una ragazza molto sensibile e sottomessa ma è vicina ad entrare in convento.
Violante, che è la maggiore, è molto bella, ma superba e assai sensuale. Anatolia,
una donna energica e spirituale si dedica alla famiglia di cui conserva le tradizioni.
Infatti, è lei che accudisce la madre e il fratello entrambi dementi. In modo ambiguo,
D’Annunzio accenna all’unità e alla trinità delle 3 sorelle. Inizialmente, Claudio è
incerto nella sua scelta e alla fine opta per Anatolia che però rifiuta in quanto non si
reputa all’altezza del compito che il giovane le vuole assegnare. Egli è convinto di
essere il rappresentante del pensiero di pochi uomini superiori. Disgustato dal
mondo che lo circonda, egli intende modellare la propria esistenza sul Rinascimento.
Nel frattempo, nel 1897, prova ad entrare in politica nell’estrema destra, la quale
proponeva di restaurare la grandezza dell’Italia e del dominio di una nuova
aristocrazia priva di contaminazioni borghesi, anche se poco dopo passa alla sinistra
poiché desiderava ricercare uno slancio vitalistico ed estetizzante. Durante questa
fase compone il “Fuoco” che si propone come manifesto letterario del superuomo.
L’eroe Stelio Effrena (il nome evoca l’energia senza freni e le stelle) medita una
grande opera artistica, che sia fusione di poesia, musica, danza e attraverso di essa
vuole proporre una nuova forma di teatro, che dovrà forgiare lo spirito nazionale
della stirpe latina, su esempio di Wagner. Anche qui però le forze oscure si
oppongono all’eroe, chiamato a destini sovrumani, ed esse prendono corpo
puntualmente in una donna, Foscarina Perdita (il nome allude alla perdita e alle
tenebre). La donna, una grande attrice, incarna l’attrazione dannunziane per il
disfacimento e la morte e con il suo amore nevrotico e possessivo, ostacola l’eroe
nella sua opera. Al disfacimento e alla morta allude anche Venezia, raffinatissima e
decrepita. Il romanzo si conclude con il sacrificio di Foscarina: lascerà libero Stelio,
allontanandosi definitivamente da lui in modo che possa seguire la sua via. Insieme
alla politica, d’Annunzio inizia a lavorare per il teatro, componendo molteplici opere.
Secondo d’Annunzio il teatro poteva rispecchiare al pieno lo strumento migliore per
la diffusione del superomismo, poiché si era a diretto contatto con le folle. A
compiere insieme a lui questa impresa fu la grande attrice Eleonora Duse, che oltre
ad essere sua compagna di scene, divenne anche per un periodo la sua compagna.
La sua prima composizione teatrale fu “Città morta”, opera già citata dal poeta
all’interno del Fuoco, poiché era il progetto a cui stava lavorando Stelio Effrena.
L’ambientazione è quella dell’Argolide al tempo della scoperta delle tombe degli
Atridi. Leonardo, giovane archeologo, è un po' il protagonista immaginario di questa
storica scoperta. Con lui troviamo la sorella Bianca Maria, il poeta Alessandro e la
sua consorte cieca Anna. Nella sua cecità Anna avverte l'insorgere dell'amore tra suo
marito Alessandro e Bianca Maria. Leonardo, a sua volta, è attratto fortemente dalla
sorella e rivela questa passione al suo fraterno amico Alessandro. Anna, che vuole
essere la vittima sacrificale di tutta questa storia fatta di intrighi e di passioni, rivela
inconsapevolmente a Leonardo l'intreccio incipiente tra il marito e la ragazza. Egli,
allora, preso da folle gelosia, uccide la sorella presso la Fonte Perseia: così nella
morte preserverà la bellezza e la purezza della sorella da ogni ambiguità, da ogni
compromesso, da ogni orrore della vita. Insieme a questo dramma d’Annunzio porta
in scena una tragedia pastorale, “la Figlia di Iorio”, che prosegue la linea delle
novelle abruzzesi giovanili, raccolte all’interno delle “Novelle della Pescara”. La
storia è ambientata in un Abruzzo primitivo, magico e superstizioso, mitico e fuori
dal tempo, nel giorno di San Giovanni. La famiglia di Lazaro di Roio sta preparando le
nozze del figlio Aligi, pastore, con la giovane Vienda di Giave. Secondo l’antico
rituale le tre sorelle di Aligi, Splendore, Favetta e Ornella, lavorano agli arredi e alle
vesti per il matrimonio, mentre la madre benedice gli sposi, riceve e accoglie i
parenti che giungono con i doni nuziali. Questa atmosfera di serenità agreste è
turbata dall’irrompere di Mila, figlia del magi Iorio che cerca scampo e rifugio per
evitare le molestie di un gruppo di mietitori ubriachi. La giovane donna è una donna
dalla cattiva fama, sospettata di stregoneria ma Aligi la difende e pone sulla soglia
una croce di cera di fronte alla quale i mietitori indietreggiano. Il rito nuziale è ormai
profanato e interrotto. Mila e Aligi si innamorano e finiscono per convivere assieme
in una caverna in montagna. La situazione precipita rapidamente quando il padre di
Aligi, Lazaro cerca di sedurre Mila, Aligi interviene a difendere la donna e nasce così
una colluttazione tra padre e figlio che terminerà con la morte del padre. Il parricida
viene condannato dalla comunità ad essere chiuso in un sacco con un mastino e
buttato nel fiume, ma Mila che per salvarlo si assume la colpa di tutto, dichiarando
di averlo ammaliato con una stregoneria e spinto al delitto. Mila verrà condannata al
rogo che ella affronta come sacrificio e purificazione. Nel 1910 fu costretto a fuggire
dall’Italia a causa dei creditori e si trasferì in Francia fino allo scoppio della Prima
Guerra Mondiale, nella quale si arruolò volontariamente tra le milizie degli aviatori.
Tra la straordinaria raccolta di opere del vate è d’obbligo citare le “Laudi”, 7
composizioni liriche, pari al numero delle pleiadi, di cui però ne vennero completate
5: Maia, Elettra, Alcyone, Merope e Asterope. Il primo libro, Maia, è un poema
unitario di oltre ottomila versi (poetica barocca), nel quale lo scrittore racconta il
viaggio nell’Ellade realmente compiuto, paragonando la forza e la bellezza di questi
posti con la realtà moderna, squallida ma ricca di potenzialità. Perciò il poeta decide
di celebrare questa nuova realtà ponendosi come vate, ovvero come condottiero
delle masse. Elettra invece, è una raccolta di liriche in cui si contrappongono, il
passato e il futuro glorioso dell’Italia, con il presente da riscattare. In una sezione
notevole vengono descritte le città del silenzio, ovvero le antiche città italiane che
conservano il ricordo di un passato maestoso. Con Alcyone troviamo una poesia
pura che si manifesta con la completa fusione panica tra l’essere superomistico e la
natura che lo circonda. La poesia più conosciuta di Alcyone è sicuramente “La
pioggia nel pineto” nella quale avviene la descrizione surreale di un pomeriggio tra
due amanti in una pineta. La musicalità è tutto, il verso libero e la presenza delle
figure retoriche ci permettono di udire una sinfonia di “strumenti musicali” naturali.
Si nota un climax ascendente che porta la trasformazione dei due, da singole unità,
nel tutto. Dopo la composizione delle Laudi il poeta intraprende insieme ad altri
volontari la “Marcia su fiume” sfidando lo stato italiano. Negli anni 20 del novecento
si candida, per la figura di Duce, ma venne sorpassato da Benito Mussolini. Dagli
anni 25 si trasferì a Gardone in una villa che trasformò in mausoleo eretto a se
stesso: “Il vittoriale degli Italiani”, qui morì nel 1938.

Marco Saverio Cofone


VB LSA A.S 2020/2021

Potrebbero piacerti anche