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Vittorio Alfieri

Vittorio Alfieri, massimo esponente del teatro tragico italiano, viene definito
precursore del Romanticismo, proprio come Petrarca lo era per l’Umanesimo.
In lui riecheggiano sentimenti contrastanti ai pensieri illuministici di
egualitarismo, razionalismo e di fiducia nel progresso. Dopo la sua
“Ineducazione” all’ Accademia Militare Reale di Torino, dovuta al suo disprezzo
per la nobiltà e l’Illuminismo francese, Alfieri, spinto da una smania di
movimento, compì numerosi viaggi per l’Italia e l’Europa andando alla ricerca
continua di un qualcosa di grande con un volto ancora non definito.
Ritornato a Torino si dedicò completamente all’attività letteraria componendo
varie tragedie come Antonio e Cleopatra, Filippo, Polinice e Antigone, le quali
esaltano l’individualismo eroico e lo slancio titanico.
Considerando che Alfieri aveva ricevuto delle basi culturali illuministiche,
ripudia la scienza, contrariamente apprezzata ed ammirata dal Parini, poiché il
freddo razionalismo scientifico soffoca la violenza emotiva e passionale
contenuta nella vera essenza dell’uomo.
Per quanto riguarda la religione, Alfieri, al contrario della razionalità scientifica
illuminista che ritiene corrosiva la religione tradizionale e si affida a forme di
deismo, ateismo e materialismo, respinge tali posizioni credendo nell’esistenza
fondamentale di uno spirito religioso, che si manifesta in un’oscura tensione
verso l’infinito.
Inoltre, contrappone al cosmopolitismo l’isolamento della propria individualità,
che si sente straniera in ogni luogo, e al filantropismo il culto di un’umanità
eroica, che elimina la maggioranza dell’umanità, la massa.
Anche le idee politiche di Alfieri possiedono una matrice illuminista, che in
questo caso si stacca totalmente dalla cultura dei “lumi”. Il forte individualismo
e l’egocentrismo, inducono Alfieri a scontrarsi con la situazione storica e
politica in cui vive a partire dall’ancien régime, un regime totalitario basato,
come nel feudalesimo, su una disuguaglianza tra i ceti sociali e da un
accentramento totale del potere nelle mani del re.
Le sue idee politiche, sfociano nella creazione del breve trattato “Della
Tirannide”, nel quale identifica la tirannide come un tipo di monarchia, che
pone il sovrano al di sopra delle leggi, e conduce una critica contro l’ideale del
dispotismo illuminato e riformatore.
Alfieri espone una visione secondo la quale le tirannidi moderate, velando la
brutalità del potere, tendono ad addormentare i popoli; mentre quelle forti,
con i loro intollerabili abusi, suscitano il gesto eroico dell’uomo libero,
provocando così l’insurrezione del popolo e portando, attraverso la violenza, la
conquista della libertà.
Per lo scrittore il potere tirannico poggia: nella nobiltà, siccome le decisioni
vengono prese nelle mani di pochi, nella casta militare, perché questa ultima
soffoca il potere di protesta e, nella casta sacerdotale, che educa a servire con
cieca ubbidienza.
Nell’opera, Alfieri, tratta il comportamento ideale dell’uomo libero sotto la
tirannide. Egli deve ritirarsi dalla vita sociale, chiudendosi nella solitudine, e se
necessario, può ricorrere al gesto del suicidio o può uccidere il tiranno. Nel
discorso Alfieriano si delinea che, la figura del tiranno e la figura dell’uomo
libero hanno tra di loro una elevata somiglianza, in quanto entrambe
affermano un’idea assoluta della loro individualità superiore; per questo Alfieri
è segretamente affascinato dal tiranno.
Altra opera a sfondo politico è “Del Principe e Delle Lettere”, questa composta
da tre libri dedicati, in cui l’autore sostiene l’assoluta incompatibilità tra il
potere e le lettere, che fioriscono solo in regime di libertà. Ne consegue la
necessità per il letterato di vivere in solitudine, evitando ogni compromesso
con gli uomini di potere. Al contrario della “Tirannide” dove Alfieri preferisce
l’agire sullo scrivere e presenta la letteratura come un ripiego, ora invece
proclama la superiorità assoluta dello scrivere sulle altre forme di attività.
Nelle opere più tarde, come il “Misogallo”, opera mista di prosa e versi, la
delusione per gli esiti del processo rivoluzionario spinge lo scrittore a rivalutare
la monarchia e la nobiltà come mali minori rispetto al nuovo assetto borghese.
Alfieri trova nella tragedia una catarsi della sua oscura inquietudine, la
individua come lo scopo che può dare senso alla sua vita, incessantemente
protesa verso qualcosa di ignoto e per questo dominata da un senso di vuoto,
di noia e di scontentezza.
Scelse la tragedia poiché riusciva ad esprimere al meglio il titanismo alfieriano
grazie a figure eroiche ed un linguaggio sublime.

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Con il termine di titanismo alfieriano, si intende un ansia di grandezza infinita
che si scontra con ciò che la limita, motivo principale dell’odio della tirannide. I
titani, nel mondo Greco, erano coloro che vi popolavano la Grecia prima degli
Dei dell’olimpo venivano considerati le forze primordiali del cosmo.
La tragedia Alfieriana, al contrario di quella francese, prolissa e con un
carattere romanzesco, è incentrata su uno stile conciso e spezzato,
consonantico, antimusicale e rapido, capace di esprimere grande
drammaticità, grazie anche ai pochi personaggi principali.
Il modello di quest’ultima si ispira alla tragedia Greca siccome vengono
utilizzate le tre unità aristoteliche: il luogo, il tempo e l’azione, che consentono
di creare un’opera compatta e drammatica.
Nella composizione, Alfieri seguiva un metodo scandito in tre fasi: ideazione,
che consisteva nella stesura in prosa del soggetto in sintesi, individuazione dei
personaggi e distribuzione della vicenda in atti e scene; stesura, che
comprendeva la composizione integrale dei dialoghi in prosa, seguendo
l’ispirazione di getto e senza alcuna selezione, la verseggiatura, nella quale
avveniva la stesura del testo definitivo in versi, selezionando e riassumendo
l’elaborato della seconda fase, e infine, il lavoro di “labor lime”.
Al contrario di Goldoni, il quale trasmetteva le proprie opere in teatro per
cercare di acculturare il popolo, Alfieri disprezza il pubblico e il teatro, siccome
quest’ultimo è formato da individui con scarsa capacità di capire il genere
complesso della tragedia, decidendo così, di rappresentare le proprie tragedie
in case private con amici intimi.
Tra le opere più significative, ideate dallo stesso Alfieri, vi possiamo
classificare: il Saul e la Mirra.
Nel Saul, tragedia ispirata al racconto biblico del Primo libro dei Re, mette sotto
la luce dei riflettori le pieghe tenebrose dell’animo del protagonista, del quale
risalta la sua sete di potere viene.
Invece nella Mirra, le passioni travolgenti vengono poste in primo piano nel
quale l’amore incestuoso di Mirra, per il padre Ciniro, viene indagato nella sua
travolgente passione.

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