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Biografia e opere di Vittorio Alfieri

Vittorio Alfieri è il terzo grande autore della seconda metà del 1700. Se Parini conclude il 1700, l’illuminismo
con un’opera illuministica, mettendo in luce i difetti della nobiltà a scopo educativo, con uno stile classico e
non illuministico, e se Goldoni rispetta l’illuminismo con la descrizione della classe borghese, per Alfieri il
discorso è diverso: in lui troviamo sia elementi dell’illuminismo ma anche elementi del seguente
romanticismo; Croce lo definisce Proto – romantico in quanto anticipatore del romanticismo. In diversi
aspetti, Alfieri anticipa l’epoca seguente: Croce vede in lui elementi comuni col movimento tedesco
preromantico, chiamato Sturm und Drang, caratterizzato dall'individualismo intenso e da un forte senso dei
sentimenti.
Per quanto riguarda la sua vita, Alfieri è nobile, destinato ad una carriera militare. Una delle sue opere è “la
Vita”, un’autobiografia. Quando egli parla del periodo dell’accademia militare, ne parla negativamente, si
dimostra insoddisfatto, tant'è che chiese al re di abbandonare tale strada. A questo punto decide di leggere
e studiare in modo disordinato per ottenere maggiori conoscenze e di cominciare a viaggiare, per il fatto
che fosse insoddisfatto della sua vita. Entra così a contatto con la Germania di Federico II il grande, di cui
da’ un giudizio negativo, visita la Russia, vista negativamente, va in Francia ed in pratica visita quasi tutta
l'Europa.
Alfieri è uomo dai grandi amori, anche travolgenti, tanto che tenterà il suicidio e sfiderà a duello il marito di
una sua amante. L’ultima donna della sua vita fu la Contessa d’Albani, moglie del pretendente al trono di
Inghilterra, che lo segue in tutte le sue peregrinazioni.

Elementi illuministici in Alfieri: 1. Concezione meccanicistica della natura e dell’uomo, per cui le stesse
regole che dominano la natura, dominano anche l’uomo, secondo un ciclo meccanico di trasformazione
senza scopo, su cui l’uomo non può agire;
2. La sua formazione: Alfieri legge autori illuministi da cui ricava un elemento chiave per la sua produzione,
ovvero l’amore per la libertà e l’odio per la tirannia;
3. Certo tono oratorio nelle sue opere, in particolare nelle tragedie, tono che deriva dall'ansia dell’educare,
tono che si dimostra impetuoso per il desiderio di migliorare ed insegnare qualcosa;
4. Cosmopolitismo: Alfieri non si sente legato ad un luogo in particolare. Famosa è la sua affermazione “il
mio nome è Vittorio Alfieri, il luogo dove sono nato è l’Italia, nessuna terra mi è patria”. D'altronde, questo
affermare di essere cittadino del mondo, che dovrebbe generare sentimenti di fraternità verso tutti, non
scatena in Alfieri nulla di tutto ciò: la sua, infatti, è un’idea di uomo solitario e chiuso in se stesso, che
spesso guarda con disprezzo gli altri.
Elementi romantici in Alfieri;
1. Forte senso della propria personalità, in contrasto con l’illuminismo che livellava tutto. Alfieri ha un’alta
concezione di sé e della sua natura. Le sue tragedie hanno come protagonista un Eroe che si eleva dalla
massa di uomini comuni e che mantiene una posizione diversa: anche quando i problemi diventano
insostenibili ed insormontabili, l’eroe si trova pronto ad ogni evenienza e se constata che la sua vita non è
più sopportabile allora si suicida. Ma il suicidio non è visto come una fuga, tuttalpiù come una forma di
coraggio e protesta contro la natura;
2. Amore per la libertà politica (tragedie con al centro l’eroe ed il tiranno) che rese Alfieri gradito al
Risorgimento (Leopardi dirà: “in su la scena mosse guerra ai tiranni” ) e per la libertà che il Russo definisce
“Lotta contro la tirannide cosmica”, ovvero una libertà contro una tirannide a cui tutti gli uomini sono
sottoposti, la tirannide della legge di natura, per cui tutti muoiono, si ammalano, fanno cose senza volerlo,
sono schiavi di tiranni che sono insiti in loro stessi. Questa è la tirannide più difficile contro cui lottare anche
perché contrasta il desiderio di assoluto, infinito, eterno che ognuno ha, di raggiungere qualcosa che non
sia limitato da nulla, una sete di eternità. Essa è insita nel cuore dell'uomo, solo che quando poi l'uomo si
paragona con sua vita e ciò che lo circonda si accorge che buona parte della sua vita non risponde a tale
desiderio di una felicità completa ed illimitata. Alfieri è uno dei primi a sottolineare questo contrasto, tra
desiderio di infinito e limitatezza della vita umana, tra ansia di assoluto e meschinità della vita quotidiana.
Tutto ciò che è reale è meschino, piccolo, deludente, in contrasto con desiderio di qualcosa di grande:
nasce inquietudine e delusione. Anche Novalis, autore del 1800, afferma “Cercavano l'infinito e trovavano
le cose”.
Alfieri trova solo un po' di pace e serenità di fronte agli spettacoli della natura, al mare, ai monti perchè
questo gli dava l'idea della grandezza, dell'infinito di cui lui era alla ricerca. D'altra parte, l'uomo con le sue
forze non può arrivare all'infinito. Alfieri non aveva una posizione religiosa in senso ortodosso, ma si
distaccava dagli illuministi: non aderisce al cristianesimo ma ha in sé spirito religioso e di ricerca. Alfieri però
non da' mai una risposta;
3. Atteggiamento verso la scienza: illuministi vedevano nella scienza uno dei risultati della ragione
dell'uomo, erano orgogliosi risultati scienza. Alfieri invece ha posizione opposta, egli nella vita afferma “Ha
orrore per l'evidenza gelida e matematica e per i gelati filo-sofisti che dall'un l'altro sono mossi fuorché dal
fatto che 2+2=4. Alfieri di fronte a coloro che non mettono in discussione nulla utilizza il termine orrore,
perché secondo lui il freddo razionalismo soffoca la parte più originaria di noi, il “forte sentire”, i nostri
sentimenti. La ragione soffoca anche la violenza emotiva, il tumulto di passioni che c'è in noi e che
costituiscono la vera essenza dell'uomo.
Aspetto interiore e sentimentale è la più importante dell'uomo. La ragione soffoca e spegne anche la
fantasia, l'immaginazione e perciò spegne anche la capacità di fare poesia che non nasce dalla ragione ma
nasce dalla passione e dai sentimenti. Alfieri si ribella al controllo della ragione: non gli piace il borghese
che fa tutto secondo gli insegnamenti della ragione, è all'opposto di tutto questo, esalta la dismisura, esalta
l'uomo che supera i propri limiti “io chiamo dio l'uomo vivissimamente sentente”, ovvero colui che ha un
patrimonio grandissimo di sentimenti;
4. Concetto di Nazione Italiana: scrive un'opera intitolata “Miso Gallo”, ovvero “Io odio i Galli”, i Francesi,
ed è un'opera di critica alla rivoluzione francese. Nel “miso Gallo” dà un quadro dell'Italia, che ora è
“Inerme, divisa, avvilita, non libera, impotente, ma un giorno sarà virtuosa, magnanima, libera e una. Un
giorno gli italiani cacceranno gli stranieri, gli italiani gli dovranno essere riconoscenti, perché lui ha spronati
a combattere per la rivelazione”. Gli uomini del risorgimento guardarono ad Alfieri come ad un profeta:
Foscolo ce lo descrive come un vecchio pallido che cerca auspici sull'Italia futura.

La concezione politica di Alfieri: Egli ha il culto della libertà, lotta contro ogni forma di tirannide tratti da
studi e letture autori illuministi, però anche qui, poi, si stacca dall'illuminismo, soprattutto per
quell'individualismo per cui è sempre portato a scontrarsi. Alfieri come soluzione politica rifiuta assolutismo
monarchico, rifiuta qualcunque regime che abbia origine borghese, per cui rifiuta qualunque soluzione
politica perchè in urto con la realtà esistente. Difatti non parte da analisi politiche o filosofiche ma da una
posizione emotiva per cui ogni potere è una forma di costrizione ed è proprio questo che istintivamente lui
rifiuta. L'odio per la tirannide non è contro la particolare forma di governo ma contro il potere in sé. E
anche quando parla di libertà, non entra in una analisi politica con sbocchi concreti perchè si muove su
punto di vista istintivo: parla di una libertà astratta, lui che ha posizione estremamente individualistica.
Infatti, è significativo che quando scoppiano le due rivoluzioni lui si entusiasma perchè vede in ognuna di
esse la pars destruens del controllo degli inglesi e degli aristocratici e del re, ma quando poi si configura un
nuovo regime politico, allora si mostra deluso e sdegnoso. Per cui ecco che per Alfieri si parla di Titanismo
Alfieriano: i Titani erano coloro che si erano ribellati agli dei e poi fulminati ed annullati; l'uomo di alfieri è
un uomo titanico, grande con ansia di infinito che si scontra contro tutto e contro tutti e quindi è un uomo
sempre in conflitto con realtà politica, sociale, che sono oppressive o mediocri, è un uomo che si sente
estraneo al suo secolo, è un uomo che vive in una solittudine sdegnosa, sprezzante di tutti gli altri, in una
malinconia, è un uomo che v iene raffigurato come un continuo ribelle a tutto e a tutti, la tipica figura di
uomo romantico.
L'opera maggiore di Alfieri sono le Tragedie: è una scoperta nella vita dell'Alfieri, la Tragedia; nel 1774
rappresenta il punto cruciale: proprio mentre stava assistendo una delle sue amanti ammalata, si mette a
riflettere sulla figura di Antonio e Cleopatra e stava abbozzando un'opera con loro protagonisti; ad Antonio
aveva attribuito tutto il suo proprio mondo interiore. Componendo quell'opera ebbe l'intuizione che quella
era la strada giusta e da quel momento in poi la sua produzione fu nel campo della tragedia, sia perchè
forma letteraria più alta ma anche in perfetta sintonia con suo modo di vedere la realtà .Prende spunto o da
storia greca, mitologia romana, storia contemporanea. Lui componeva le tragedie in tre fasi:
1. Ideazione: pensava a quale argomento trattare che possa dare luogo alla tragedia e fa come sintesi dei
punti che tragedia dovrà sviluppare;
2. Stesura dei vari dialoghi in prosa, badando al contenuto;
3. Verseggiatura, riprende tutto ciò che aveva scritto in prosa e lo versifica limandolo.

Aspetti del teatro Alfieriano: 1. Figura del protagonista: tragedia di alfieri impregnata sul protagonista che è
eroe, mostrato come un grande, ricco di forza, coraggio, ideali, a cui si contrappone il tiranno, tanto è vero
che la tragedia rappresenta quasi sempre lotta tra eroe e tiranno in quanto tra i due non c'è mai possibilità
di intesa, di compromesso e quindi inevitabilmente si arriva allo scontro da cui esce vittima generalmente
l'eroe, che spesso si suicida. Il pubblico per cui rafforza amore per libertà ed odio per tirannide, violenza,
prepotenza;
2. Personaggi minori: pochi e con scarso rilievo, solo di contorno;
3. Dialoghi: essi sono rapidi, brevi, concitati; i versi hanno tono duro, aspro, nulla a che vedere con
musicalità melodramma di Metastasio, perchè devono esprimere durezza dello scontro che sta avvenendo;
4. Scenario ridotto all'essenziale perchè ad alfieri non interessa rappresentare uno scenario storico od
ambientale della vicenda, ma gli interessa lo stato d'animo dei protagonisti, mostrare passioni in contrasto
tra di loro;
5. Non c'è grande approfondimento psicologico: i personaggi sono già completi;
6. Sia eroe che tiranno sono rappresentati entrambi come personaggi grandi: il tiranno non è mediocre ma
un grande nel male. Per quanto riguarda le caratteristiche dell'eroe si ispira alle “vite parallele” di Plutarco,
invece per delineazione del tiranno si ispira sia ai tiranni di Tacito, nelle sue storie, od anche a Machiavelli
ed al suo Principe.

Nelle tragedie più riuscite c'è ancora la lotta contro un tiranno, ma il conflitto non è più esteriore, bensì
interiore, nel senso che più che lottare contro un nemico esterno, l'uomo si accorge che il nemico sono le
sue passioni (Nella Mirra abbiamo la protagonista che si innamora del padre: la lotta è dentro di sé; anche
nel Saul, David è l'eroe scelto da Dio, Saul il tiranno contro cui si dovrà scontrare David: in Saul la lotta è
contro sé stesso, lotta contro un dio che immagina lui, nemico a se stesso, od anche quando perseguita
David, immagina una persona che in verità non vuole fare nulla di ciò che pensa). L'autore, dunque, riesce
ad andare più a fondo, mette in scena una lotta interiore contro forze irrazionali che l'uomo scopre in sé
stesso.

Il Saul: L’eroe del Saul è modernissimo: è un eroe intimamente lacerato e perplesso. Saul è intimamente
diviso perché vuole due cose opposte tra loro; è un eroe maledetto, macchiato di un’oscura colpa che lo
isola dagli altri uomini. È consapevole della sconfitta. Saul ha la smania di conquistare il potere illimitato, di
affermare la propria volontà di libertà, parola che in Alfieri pesa tonnellate. Dall’altra parte Saul, con la sua
volontà titanica, si scontra con la volontà di Dio. L’affermazione della sua libertà si trasforma in una sfida a
Dio. Ciò genera la collera divina, che si scaglia sull’eroe portandolo alla sconfitta.
Alfieri scrive sul titanismo come desiderio di distruzione dell’ancien régime e del ragionare tipico dell’età
dei Lumi. Vuole accendere la passione. Ma la presenza di Dio non è sentita oggettivamente, ma solo
soggettivamente da Saul. Infatti, il vero conflitto si Saul non è con Dio, ma dentro di lui. Quello che Saul
chiama Dio è una funzione del suo animo. La forza dominatrice e orgogliosa si trasforma in angoscia e
impotenza. È proprio nel Saul che il titanismo scopre il limite dell’uomo. Il conflitto tragico qui è
interiorizzato: la tragedia è dentro la psiche dell’eroe (un po’ come Blake in Questo fiume di parole). Il Saul
segna la crisi d’identità, la divisione dell’Io. Saul è un re e la sua divisione dell’Io si vede bene nella prima
scena del secondo atto. Anche il rapporto con David è immaginario e non reale. C’è il David reale, che è un
eroe esemplare e il David immaginario, che, nella mente di Saul, è l’antagonista. Il David immaginario in
realtà è Saul stesso. Cioè Saul vecchio e stanco proietta la sua immagine nel David giovane, forte e in
armonia con Dio. Saul per David ha un atteggiamento di amore e di odio. Lo ama perché rivede se stesso, lo
odia perché rivede ciò che non è più, quindi vede qualcosa che lo minaccia e vuole sottrargli il potere.
Quando Saul combatte contro Dio e contro David, in realtà sta combattendo se stesso. La tragedia, in
cinque atti, si presenta come un grande monologo, perché Saul parla solo con se stesso: i personaggi con i
quali parla in realtà sono proiezioni di se stesso e delle sue ossessioni.

La trama del Saul: Saul, un coraggioso guerriero, fu incoronato re di Israele su richiesta del popolo e
consacrato dal sacerdote Samuele, che lo unse in nome di Dio. Col tempo, però, Saul si allontanò da Dio
finendo per compiere diversi atti di empietà. Allora Samuele, su ordine del Signore, consacrò re, un umile
pastore: David. Questo fu chiamato alla corte di Saul per placare con il suo canto l’animo del re, e lì riuscì ad
ottenere l’amicizia di Gionata, figlio del re, e la mano della giovane figlia di Saul, Micol.
David generò però una forte invidia nel re, che vide in lui un usurpatore e al tempo stesso vi vide la propria
passata giovinezza. David venne perseguitato da Saul e costretto a rifugiarsi in terre dei filistei (e per questo
accusato di tradimento).
La vicenda del Saul narra le ultime ore di vita del re e vede il ritorno di David, che da prode guerriero è
accorso in aiuto del suo popolo, pur sapendo bene il rischio che ciò poteva comportare per la sua vita.
David è pronto a farsi uccidere dal re, ma prima vuole potere combattere con il suo popolo.
Saul vedendolo lo vuole uccidere, ma dopo averlo ascoltato si convince a dargli il comando dell’esercito.
David ad un certo punto commette però un errore, parlando di “due agnelli” in Israele, e ciò genera il
delirio omicida di Saul verso il giovane. Saul poi spiega a Gionata la dura legge del trono, per la quale “il
fratello uccide il fratello”. Davanti al re arriva il sacerdote Achimelech, che porta a Gionata la condanna
divina e lo mette al corrente dell’avvenuta incoronazione di David. Il re fa uccidere il sacerdote, e da lì egli
andrà sempre più verso il delirio.
Nell’ultimo atto, Saul prevede in un incubo la propria morte e quella dei suoi figli e con una visione piena di
sangue si ridesta, e coglie la realtà dei fatti: i Filistei li stanno attaccando, e l’esercito israelita non riesce a
difendersi. A questo punto Saul ritrova sé stesso, e uccidendosi riconquista l'integrità di uomo e di re.

Mirra è la figlia del re di Creta Ciniro; è una giovane donna turbata e cupa, nonostante abbia voluto
avanzare le nozze con Pereo. Ella è amata dai genitori e dalla nutrice Euclide. Il giorno delle nozze rifiuta lo
sposo Pereo , che a sua volta si uccide; Mirra entra in uno stato di follia e inizia a rivolgere parole di odio
verso la madre Cecri e confessa di essere innamorata del padre; dopo ciò, si uccide gettandosi a corpo
morto sulla spada del padre. La tragedia si conclude con i genitori che non hanno il coraggio di avvicinarsi al
corpo della figlia .
La scena più importante è la parte del dialogo tra Ciniro e Mirra ; egli è insolitamente duro, vuol far
confessare le decisioni alla figlia. Grazie all’ insistenza del padre, la giovane rivela il suo amore nei suoi
confronti e spaventata si uccide. Il tema è l’ incesto , ma soprattutto la dicotomia tra religione e istinto; il
tema centrale è l’ incesto. La tensione è concentrata sulla paura di Mirra di rivelare il suo amore al padre.

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