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Hannah Arendt

BIOGRAFIA
Hanna Arendt è una cittadina tedesca ebrea non praticante, è una filosofa naturalizzata statunitense, anche se lei
non si riteneva una filosofa ,“ io non faccio parte della cerchia dei filosofi”, ma una “ pensatrice politica”, l'interesse di
Arendt è la teoria politica; prenderà la cittadinanza americana nel 1951 dopo essere stata per lungo tempo apolide,
perché essendo ebrea Hitler l’aveva privata della cittadinanza e quindi arrivata negli Stati Uniti aspetterà circa
13/15 anni per ottenerla.

La giovinezza

-Nasce il 14 ottobre 1906 , in un sobborgo di Hannover da una famiglia ebrea, colta, benestante, di
orientamento socialdemocratico (più orientata verso la sinistra estrema, dato che la madre di Arendt
partecipa alle lotte spartachiste).

Sin da ragazza emerge per la sua intelligenza e per la curiosità intellettuale; studia i classici soprattutto greci, ma si
appassiona alle opere kantiane e si iscrive alla facoltà di filosofia a Marburgo;
- nel 1924 segue i corsi del celebre filosofo Martin Heidegger, con il quale intraprende una relazione; quest’uomo è
per lei una svolta culturale perché tramite egli, lei conoscerà quello che lei definisce il “pensiero appassionato”,
ossia la filosofia intesa come passione per il pensiero.

- Nel 1933 la Germania assiste al cancellierato di Hitler per cui, alcuni intellettuali credono, abbracciando le
promesse di rinnovamento, nella rigenerazione della civiltà tedesca come Heidegger che nutre “simpatie ambigue”
per il nazismo. Sarà proprio per questo che si interromperà la loro relazione, ma non la loro amicizia che rimarrà
salda fino al momento della morte di Arendt, nel 1975 a 69 anni.

La fuga

Hannah Arendt, ancora in Germania, è tra coloro “che cercano di fare qualcosa” e per questo ospita nel proprio
appartamento militanti dell’estrema sinistra tedesca, (oppositori di Hitler costretti alla clandestinità), inoltre collabora con i
sionisti di Berlino, nel corso di questa collaborazione verrà arrestata in quanto cittadina sospetta ma
fortunatamente rilasciata dopo pochi giorni. A questo punto Arendt è decisa a fuggire, supera le montagne arriva a
Praga, poi Ginevra e infine Parigi. A Parigi per alcuni anni organizza attività di sostegno alle comunità ebraiche
ormai profughe e soprattutto organizza il trasferimento in Palestina delle comunità ebraiche. Anche a Parigi la
situazione precipita perché la Francia nel 1940 viene occupata dai tedeschi (nord Francia tedesca, sud Francia
nascita di un governo collaborazionista). Arendt verrà internata in un campo di concentramento del sud della
Francia ma sfuggirà alla deportazione, riuscirà a valicare i Pirenei, attraversare la Spagna arrivare in Portogallo e
imbarcarsi per gli Stati Uniti dove vivrà fino alla fine dei suoi giorni.

Negli Stati Uniti

Negli Stati Uniti esisteva già una forte comunità ebraica nella quale si inserirà, poi, data la sua brillantezza
culturale ed è subito inserita nell’ambito universitario.

-Nel 1945 partecipa attivamente al dibattito politico e culturale americano sui temi della resistenza al nazismo e
sulla politica ebraica, comincia a riflettere sul perché dei regimi totalitari e per far questo contemporaneamente
studia l’imperialismo, il colonialismo, l’antisemitismo e la società di massa.

Arendt afferma con risolutezza che non esiste un processo storico, una continuità storica tale da farci comprendere
la nascita dei regimi totalitari che in questo modo sarebbero giustificati ma per comprendere come fu possibile
nel cuore della civile Europa, nel Novecento, la realizzazione dei campi di sterminio è necessario studiare i
fenomeni che favorirono tale aberrazione.

Arendt vuole comprendere ma non giustificare.

Lei ravvisa nei fenomeni storici: l’imperialismo, il colonialismo, l’antisemitismo e la società di massa fenomeni storici che
favorirono l’avvento dei regimi totalitari.
-Nel 1961 quando si apre il processo a Eichmann viene inviata a Gerusalemme come corrispondente del “New
Yorker

-nel 1963 pubblicherà la “Banalità del male”, resoconto della sua attività giornalistica. Dopo di che si dedica a
conferenze, all’insegnamento universitario e muore nel 1975.

OPERE
Tra le opere più importanti ricordiamo:

“ Le origini del totalitarismo”,

iniziata nel 1945, quando la seconda guerra mondiale volgeva al termine, ma si apriva uno scenario per la
storia del pianeta tutt’altro che verso il progresso perché le basi di una futura terza guerra mondiale erano
state già fondate.

Termina l’opera nel 1949 e la pubblica nel 1951.In quest’opera lei si interroga sul motivo dell’olocausto:

1.Cosa c’è alla base dello sterminio degli ebrei?

2.Perché gli ebrei non reagirono, non agirono? (Getta sulla comunità ebraica un’ombra di responsabilità, la
comunità ebraica risponde che essendo tedeschi non si rendevano conto di ciò a cui stavano andando
incontro)

3.Come è stata possibile questa malvagità, questo male estremo nel cuore della civiltà europea nel 900?
“Vita activa”(opera filosofica), in cui riflette sulla condizione esistenziale dell’uomo;

“La banalità del male”, pubblicato nel 1963 dopo aver seguito a Gerusalemme come corrispondente del
“New Yorker”, il processo ad uno dei maggiori responsabili dello sterminio degli ebrei, Alfred Eichmann.
Scritto con molta semplicità e agilità. Riprende argomenti già presentati nelle opere precedenti.

LE ORIGINI DEL TOTALITARISMO

Opera politica fondamentale perché ci guida nella lettura di fenomeni tragici del ‘900 e ci aiuta a leggere la nostra
epoca. La categoria politica “ totalitarismo” è di Hanna Arendt, categoria che fa parte, oggi, del nostro vocabolario
politico.( storicamente non è corretto. Il sostantivo totalitarismo era stato introdotto ne “L’Italia e il fascismo” di Don Luigi Sturzo del 1927, mentre l’aggettivo
totalitarismo si ritrova “Rivoluzione liberale” di Piero Gobetti).

Arendt ritiene che i totalitarismi siano: il nazismo e lo stalinismo, ma analizza soprattutto il nazismo.

Secondo Arendt il regime del totalitarismo e in modo particolare i campi di concentramento sono frutto della
modernità, sono prodotto della società di massa.

“ la principale caratteristica dell'uomo di massa non era la brutalità o la rozzezza, ma l'isolamento e la mancanza di normali
relazioni sociali”
Quest’opera può essere considerata come un doloroso resoconto con il passato, perché lei a guerra finita si
interroga sul perché sia successo, come era potuto accadere e perché

Arendt aveva ragione quando diceva di non voleva essere considerata una filosofa ma una pensatrice politica, lei
non cercava i principi primi, assoluti che governano il mondo, attraverso cui interpretare il mondo; il pensatore
politico studia le leggi che governano il vivere in comunità degli uomini. Lei dice “non posso che interessarmi di
politica perché la storia che sto vivendo porta solo verso questa direzione, ad interessarmi di politica”

L’opera si divide in tre parti:

 Analisi dell’antisemitismo e delle sue origini;

analisi dei fenomeni storici che in qualche modo possono aver favorito l’affermazione dei regimi totalitari.
Prende in esame il colonialismo, l’imperialismo e anche la classe borghese, classe che nel ‘900 si impone non
solo come classe egemonica in campo economico ma anche in campo politico e ciò ebbe le sue ripercussioni;

nell’analisi delle origini del totalitarismo, riconduce il fenomeno alla modernità affermando che sia un prodotto
della società di massa, società che tende ad atomizzare gli uomini.

Uomini intesi non come singole unità, ciò che caratterizza l’umanità, dice Arendt, è la pluralità costituita da
unità singole, irripetibili, uniche, ma come tutti uguali, perduta l’unicità gli uomini sono disumanizzati.
Annientamento dell’unicità dell’uomo.
Questo prodotto di questo uomo privato della sua unicità, reso un atomo tra gli atomi, rimanda ai campi di
concentramento, che in realtà hanno tolto agli uomini la loro umanità.

Arendt parla per questo di uomini come cadaveri viventi, in riferimento ai campi di concentramento, agli
uomini non è riconosciuta la sostanza, ciò che rende un uomo, uomo ossia l’unicità umana.

Il regime totalitario che si insinua in ogni aspetto della società ha come obiettivo l’eliminazione delle
singolarità, esistono solo masse.

Prefazione
Nella Prefazione all'edizione riveduta del 1966, Hanna hArendt annota che l'immediato dopoguerra era stato «il
primo momento adatto per meditare sugli avvenimenti contemporanei con lo sguardo retrospettivo dello storico e lo zelo del
politologo, la prima occasione per cercar di narrare e comprendere quanto era avvenuto [...] ancora con angoscia e dolore e,
quindi, con una tendenza alla deplorazione, ma non più con un senso di muta indignazione e orrore impotente. [...] Era,
comunque, il primo momento in cui si poteva articolare ed elaborare gli interrogativi con cui la mia generazione era stata
costretta a vivere per la parte migliore della sua vita adulta: che cosa succedeva? Perché succedeva? Come era potuto
succedere? (Le origini del totalitarismo, trad. it., Edizioni di Comunità, Milano 1966, pp. XXVII-XXVIII).
TERRORE E IDEOLOGIA

La parte filosoficamente, politicamente rilevante di quest’opera è la terza.


Parte in cui Arendt affronta il tema del totalitarismo nella società di massa.

Il totalitarismo afferma il proprio potere all’interno della società di massa utilizzando in modo perverso il binomio
ideologia terrore.

Arendt afferma che l’essenza del totalitarismo sia da ricercare in questo binomio: ideologia-terrore.

Terrore

Il terrore viene esercitato attraverso la polizia segreta che con la sua continua azione di spionaggio domina,
controlla la società e la personalità umana nella sua intimità più profonda. Ad esercitare il terrore non è solo la
polizia segreta, ma anche attraverso i campi di concentramento che hanno la funzione di annientare gli oppositori
politici trasformati in “ nemici” ( ebrei, oppositori politici).

“…L’inferno nel senso più letterale della parola, era costituito da quei tipi di campi perfezionati dai nazisti, in
cui l'intera vita era sistematicamente organizzata per infliggere il massimo tormento possibile. (…)
Le masse umane segregate in essi sono trattate come se non esistessero più, come se la sorte a loro toccata non
interessasse più a nessuno, come se fossero già decedute e uno spirito maligno impazzito si divertisse a trattenerle
per un pò fra la vita e la morte prima di ammetterle alla pace eterna. Non è tanto il filo spinato, quanto l'irrealtà
abilmente creata degli individui da esso circondati che provoca crudeltà così enormi e alla fine fa apparire lo sterminio come
una misura perfettamente normale. Tutto ciò che si è svolto nei campi ci è noto dal mondo delle fantasie malvagie e perverse.
Il campo di concentramento è la materializzazione delle fantasie peggiori, macabre che noi nutriamo. Quello che accade nei
campi di concentramento nelle nostre fantasie potremmo già averlo pensato, ma la cosa difficile da capire è che, al
pari di tali fantasie, questi crimini mostruosi, avvengono in modo spettrale,materializzandosi in un mondo senza
conseguenze e privo di responsabilità” ( ...) mentre secondo Arendt, il mondo si comprende perché noi siamo
consapevoli delle responsabilità delle nostre azioni, se siamo privi di questa consapevolezza il mondo non ha più
un senso, e il torturante o il torturato non capisce che ciò che avviene è un torto ma lo vive semplicemente come il corso degli
avvenimenti.“...questi crimini mostruosi avvengono in modo spettrale materializzandosi in un mondo privo di quella
struttura di conseguenze e responsabilità senza la quale la realtà resta per noi una massa di dati incomprensibil; di modo che
alla fine, né il torturatore nè il torturato , e ancor meno l'estraneo, possono rendersi conto che quanto sta accadendo lì dentro è
qualcosa di più che un gioco crudele o un sogno assurdo (…)”. (Le origini del totalitarismo, pag.610)

Ideologia

Il totalitarismo, che in ciò costituisce una vera peculiarità perversa del Novecento, tanto da non poter essere
confuso con altre forme di dispotismo antico, distrugge l'uomo nello spirito, oltre che fisicamente, rendendolo un
essere superfluo e senza nome, e lo fa attraverso l'ideologia

L’ideologia totalitaria rende superflua l’unicità dell’essere umano, toglie il nome all’uomo. Rende l’uomo un atomo
di una massa.

(...)” Ed è per questo che l’ideologia totalitaristica non la ritroviamo in nessun governo dispotico precedente ai totalitarismi
(tirannide, dispotismo, dittatura non possono essere paragonati a questo perché non esisteva l’ideologia totalitaria). Il
totalitarismo nel momento in cui giunge al potere, in una società spazza via tradizioni sociali, politiche, giuridiche,
creando istituzioni completamente nuove. A prescindere dalla specifica matrice nazionale e dalla particolare fonte
ideologica, ha trasformato le classi in masse, sostituito il sistema dei partiti non in una dittatura di un partito unico
ma con un movimento di masse, inoltre trasferito il centro del potere dall’esercito alla polizia e perseguito una
politica estera orientata al dominio del mondo. ( Le origini del totalitalirismo, pag.630)

“Supersenso”: una verità assiomatica

L’ideologia totalitaria, inoltre, capovolgendo le stesse norme della logica, impone una verità assiomatica, un
“supersenso”, da cui vengono dedotte conseguenze terribili e disumane, ma perfettamente coerenti con la
premessa.

L'ultima parte è la più rilevante sotto il profilo filosofico-politico, in quanto la Arendt senza mezzi termini afferma
che l’essenza del totalitarismo consiste appunto nell’intreccio perverso di “terrore ed ideologia”. Il terrore è
esercitato sia attraverso la polizia segreta che, con il suo continuo spionaggio, pervade la società e la persona
umana fin nella sua intimità, sia attraverso i campi di concentramento, che hanno la funzione di annientare gli
oppositori politicitrasformati in “nemici”: “L’inferno nel senso più letterale della parola – scrive H.Arendt – era costituito
da quei tipi di campi perfezionati dai nazisti, in cui l’intera vita era sistematicamente organizzata per infliggere il massimo
tormento possibile. (…) Le masse umane segregate in essi sono trattate come se non esistessero più, come se la sorte loro
toccata non interessasse più nessuno, come se fossero già decedute e uno spirito maligno impazzito si divertisse a trattenerle
per un po’ tra la vita e la morte prima di ammetterle alla pace eterna. Non è tanto il filo spinato, quanto l’irrealtà abilmente
creata degli individui da esso circondati che provoca crudeltà così enormi e alla fine fa apparire lo sterminio come una misura
perfettamente normale. La cosa difficile da capire è che, al pari di tali fantasie, questi crimini mostruosi avvengono in modo
spettrale, peraltro materializzatosi, in un mondo privo di quella struttura di conseguenze e responsabilità senza la quale la
realtà rimane per noi una massa di dati incomprensibili; di modo che, alla fine, né il torturatore né il torturato, e ancora meno
l’estraneo, possono rendersi conto che quanto sta accadendo è qualcosa di più di un gioco crudele o un sogno assurdo”. Ma
prima ancora della tortura fisica e della morte, il totalitarismo – che in ciò costituisce la vera novità del Novecento, tanto da
non potere essere confuso con altre forme di dispotismo antico – uccide l’uomo nello spirito, rendendolo un essere superfluo e
senza nome, attraverso l’ideologia.

La trattazione dell’ideologia totalitaria, con cui si conclude il saggio della Arendt, è di grande rilievo.

“Il tentativo totalitario di rendere superflui gli uomini riflette l’esperienza delle masse moderne, costrette a constatare la loro
superfluità su una terra sovrappopolata. La società dei morenti, in cui la punizione viene inflitta senza alcuna relazione con un
reato, lo sfruttamento praticato senza un profitto e il lavoro compiuto senza un prodotto, è un luogo dove quotidianamente si
crea l’insensatezza. Eppure, nel contesto dell’ideologia totalitaria, nulla potrebbe essere più sensato e logico: se gli internati
sono dei parassiti, è logico che vengano uccisi col gas; se sono dei degenerati, non si deve permettere che contaminino la
popolazione; se hanno un’ “anima da schiavi” (Himmler), non è il caso di sprecare il proprio tempo per cercare di rieducarli.
Visti attraverso le lenti dell’ideologia, i campi hanno quasi il difetto di avere troppo senso, di attuare la dottrina con troppa
coerenza. Mentre distrugge tutte le connessioni di senso con cui normalmente si calcola e si agisce, il regime impone una
specie di supersenso, che in realtà le ideologie avevano in mente quando pretendevano di aver scoperto la chiave della storia o la
soluzione degli enigmi dell’universo. Al di sopra dell’insensatezza della società totalitaria è insediato, come su un trono, il
ridicolo supersenso della sua superstizione ideologica. Le ideologie sono opinioni innocue, acritiche e arbitrarie solo finché
nessuno vi crede sul serio. Una volta presa alla lettera la loro pretesa validità totale, esse diventano il nucleo di sistemi logici in
cui, come nei sistemi dei paranoici, ogni cosa deriva comprensibilmente e necessariamente, perché una prima premessa viene
accettata in modo assiomatico. La follia di tali sistemi non consiste tanto nella prima premessa, quanto nella logicità con cui
sono costruiti. La curiosa logicità di tutti gli ismi (cioè: quei sistemi di pensiero che pretendono di dare una spiegazione totale e
definitiva), la loro fede ingenua nell’efficacia redentrice della devozione caparbia senza alcun riguardo per i vari fattori
specifici, racchiude già in sé i primi germi del disprezzo totalitario per la realtà e la fattualità”. Dal punto di vista
organizzativo, l’ideologia e il terrore si esplicano attraverso gli strumenti del partito unico e della polizia segreta, che sono
controllati completamente dal capo supremo, a cui rendono personalmente conto. La volontà del capo è l’unica legge del
partito, che tutti i burocrati devono rispettare e far rispettare. Il potere viene a distribuirsi in maniera gerarchica, secondo il
grado di maggiore (o minore) prossimità al capo: quanto più si è vicini al leader, tanto più si ha potere. “Per adoperare il
linguaggio dei nazisti – scrive H.Arendt – è la dinamica instancabile “volontà” del Fuhrer – e non i suoi ordini – che diventa
la “legge suprema” in uno stato totalitario. La condizione degli individui è quella dell’isolamento totale nella sfera politica e
dell’estraniazione in quella dei rapporti sociali. Il regime totalitario, alla pari di ogni altra forma di tirannide, deve la sua
esistenza alla distruzione della vita politica democratica, ottenuta diffondendo paura e sospetto tra gli individui (non più
cittadini) isolati. Ma esso, aggiunge H. Arendt, distrugge anche la vita privata delle persone, estraniandole dal mondo,
tagliando ogni radice sociale e rendendole tra loro nemiche: e ciò rappresenta la più atroce novità del moderno totalitarismo
rispetto al vecchio dispotismo.( Il tratto peculiare dell’indagine arendtiana sul totalitarismo – che ad esempio la differenzia dall’altra classica ricerca sullo
stesso tema di Friedrich e Brzezinski – consiste nell’enfasi posta sulla condizione di isolamento degli uomini nella società di massa, ove il conformismo sociale è
una minaccia costante alla libertà politica. Da questo punto di vista, il totalitarismo può essere concepito come “una potenzialità” e “un costante pericolo”, anche
dopo la scomparsa delle sue forme storiche del Novecento, il nazismo e lo stalinismo: esso “ci resterà probabilmente alle costole per l’avvenire”. “Le
preoccupazioni della Arendt – scrive Alberto Martinelli, nella Introduzione all’edizione italiana di Le origini del totalitarismo – sono senza dubbio dettate dal
trauma profondo suscitato dalle tragedie degli anni Trenta e della Seconda Guerra mondiale, ancora così vicine al momento della stesura del libro, e possono
apparire eccessive se riferite alle società occidentali in generale e in particolare ai sistemi di più antica democrazia di tipo anglosassone, che hanno sviluppato più
efficaci anticorpi contro le trasformazioni in senso totalitario. E tuttavia, come ci insegna la Arendt con la sua costante, appassionata attenzione ad ogni
manifestazione di sapore totalitario negli Stati Uniti d’America, come il maccartismo, nessun sistema politico contemporaneo è del tutto immune da questo
rischio degenerativo e la vigilanza in difesa della democrazia e della libertà deve essere quindi costante. Le origini del totalitarismo è nello stesso tempo un’analisi
fondamentale della tragedia moderna e un’opera di educazione politica e civile, che va letta con grande attenzione a apprezzata non solo come contributo
fondamentale all’analisi degli eventi più tragici della nostra epoca, ma ancor più come antidoto contro il possibile riemergere nella società contemporanea di
tendenze totalitarie e della volontà di rendere schiavi gli uomini in nome di astratte e perverse ideologie di trasformazione radicale dell’umanità”.)

LA BANALITÀ DEL MALE

Arendt nelle Origini del totalitarismo parla di male estremo, mentre in quest’opera parla di male banale.
Male estremo

Il male estremo, radicale, imperdonabile, impunibile che troviamo nei regimi totalitari, nella società di massa e nei
campi di sterminio, sta nel fatto che questo male non è riconducibile alla bestia feroce di cui la storia del mondo è
piena, ma va ricondotta dalla volontà di fabbricare uomini privati della propria natura umana.

Nei campi di concentramento si è affermato un principio inedito, mentre i regimi autoritari ci insegnano che i

principi a cui si ispiravano erano “tutto è permesso”, il principio sostituisce al principio “tutto è possibile”. Questa è la

misura, la categoria del totalitarismo.

Arendt viene inviata come reporter a Gerusalemme dove A.Eichmann viene trasferito, e poi condannato

all’impiccagione. Perché viene catturato e poi impiccato? “Io mi occupavo solo di trasporti”. Lei si aspettava di trovare

di fronte un mostro, invece trova un tipico padre di famiglia.

Come contrapporre il male banale al male radicale?

Male banale

Una volta che HannahArendt arriva a Gerusalemme resta sconvolta dal fatto di trovarsi a contato con un classico
padre di famiglia che pur avendo compiuto azioni mostruose non aveva nulla di mostruoso, di diabolico e questo
la colpì molto e dovette per forza di cose cercare di risalire a come fu possibile ciò che accadde attraverso un'altra
strada, non quella del male radicale.

Tutto fu possibile per l’assenza di pensiero, per la drammaticità della irriflessività di moltissimi uomini che
agirono all’interno del nazismo all’interno di un quadro di leggi precise. Quella che lei definì zona grigia, è la zona
che permise che tutto fosse possibile, questa era costituita da intellettuali, militari, funzionari che in virtù di leggi
precisi eseguirono azioni delittuosi.

Ciò che fece sì che la comunità ebraica attaccasse Hannah Arendt, fu questo dipingere come uomo di famiglia il
funzionario responsabile del trasporto di milioni di ebrei nei campi di sterminio. Lui dice di aver semplicemente
rispettato gli ordini, ma non lo fece per stupidità, ma in quanto rinunciava alla riflessione perché si eseguivano
degli ordini, perché uomini così banali eseguivano degli ordini.
L’IDENTIFICAZIONE OTTOCENTESCA TRA STATO E NAZIONE
[…] Un popolo diventa nazione quando prende coscienza di sé alla luce della propria storia e come tale ha un legame col suolo
natio che è il prodotto del lavoro passato ed è il luogo in cui la storia ha lasciato le sue tracce.

Esso è l’ambiente in cui l’uomo nasce ed è una società chiusa a cui si appartiene per diritto di nascita. Lo stato
viceversa è una società aperta che regna su un territorio in cui il suo potere garantisce e produce la legge. In quanto
istituzione fondata sulla legge, lo stato conosce solo cittadini e prescinde dalla nazionalità; il suo ordine legale si
estende a tutti coloro che si trovano a vivere sul suo territorio.

In quanto istituzione dotata di potere lo stato può rivendicare più territorio e diventare aggressivo, un
atteggiamento che è del tutto estraneo all’organismo nazionale.

Nazionalismo significa essenzialmente la conquista dello stato da parte della nazione; è questo il senso profondo
dello stato nazionale.

L’esito dell’identificazione ottocentesca tra stato e nazione è duplice:

-mentre lo stato in quanto istituzione fondata sulla legge dichiara che il suo dovere è di difendere i diritti
umani ,la sua identificazione con la nazione comporta l’identificazione tra cittadino e membro della nazione
e sfocia quindi nella confusione tra diritti dell’uomo e diritti dei membri della nazione o diritti nazionali;

-inoltre, poiché lo stato è ” un’impresa fondata sul potere” è aggressivo e incline all’espansione.
Identificandosi con lo stato la nazione acquisisce tutte queste caratteristiche e rivendica l’espansione come un
diritto nazionale, qualcosa di necessario per il bene della nazione. Il fatto che il nazionalismo moderno abbia
spesso o quasi automaticamente condotto all’imperialismo o alla conquista è dovuto all’identificazione tra stato e
nazione.[…]

Da Archivio Arendt pag.241

1930- 1948 Feltrinelli

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