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CARTESIO ( 1596 – 1644 )

( TESTO PAG. 186 – IL DISCORSO SUL METODO , PAG 187 IL RIFIUTO DELLA SCOLASTICA, PAG.188 IL GIUDIZIO SULLA MATEMATICA, PAG.189 LE REGOLE DEL
METODO)
IL DISCORSO SUL METODO
È uno dei più famosi e celebrati scritti filosofici di tutti i tempi, molti ritengono quest'opera il manifesto programmatico della filosofia moderna, di cui il fondatore è
Cartesio. L'opera suddivisa in sei parti ebbe molta fortuna perchè? Quali furono le ragioni del suo successo?

1. il problema del metodo era centrale nella discussione scientifica e filosofica dell'epoca
2. la ricchezza dei temi trattati: le regole del metodo, i principi della sua concezione metafisica, l'intuizione meccanicistica del
mondo fisico, i precetti della morale
3. le dimensioni contenute, ridotte dell'opera lo resero maggiormente fruibile
4. la trasparenza della prosa francese, lingua scelta per rivolgersi ad un pubblico ampio che " grazie alla loro ragione
completamente pura, giudicheranno le mie opinioni meglio di coloro che non credono che ai libri antichi"
5. il testo è presentato come un'autobiografia che grazie alla narrazione in 1^persona coinvolge il lettore pienamente il lettore
nelle riflessioni intellettuali ed esistenziali

Perchè Cartesio ha presentato la propria opera come un " discorso" e non come un trattato?
Cartesio ripetutamente nelle sue lettere chiarisce che la scelta si propone di evidenziare il carattere non sistematico ma agile, applicativo dell'esposizione
( ... ) Non ho però alcun timore ad affermare che stimo di esser stato molto fortunato ad aver imboccato, sin dalla giovinezza, certe vie che mi hanno condotto a
considerazioni e massime di cui ho formato un metodo con il quale mi sembra d'aver modo d'aumentare gradualmente il mio sapere ed innalzarlo a poco a poco sino al
più alto punto che la mediocrità del mio ingegno e la brevità della mia vita gli consentiranno di raggiungere. Ne ho giä raccolto infatti tali frutti che, sebbene nel
giudicarmi cerchi sempre di inclinare piuttosto alla diffidenza che alla presunzione e per quanto, osservando con occhio di filosofo le diverse azioni ed imprese umane,
non ne intraveda quasi alcuna che non mi paia vana ed inutile, tuttavia non cesso di provare una estrema soddisfazione per il progresso che credo di aver giä compiuto
nella ricerca della verità e di concepire tali speranze per l'avvenire che, se tra le occupazioni degli uomini puramente uomini ve n'e qualcuna davvero buona ed
importante, oso credere che sia proprio quella che ho scelta.
Può tuttavia darsi che m'inganni e che consideri oro e diamanti ciò che forse e soltanto un po' di rame e di vetro. So quanto siamo soggetti ad ingannarci in quel che ci
riguarda ed anche con quanta cautela dobbiamo assumere i giudizi dei nostri amici quando sono in nostro favore. Sarò lieto perö di mostrare in questo discorso quali
sono le vie che ho seguite e di rappresentare la mia vita come in un quadro, perché ciascuno possa darne un giudizio, ed io, apprendendo dalla voce pubblica quel che gli
altri ne penseranno, possa cosi acquistare un nuovo mezzo per istruirmi, mezzo che aggiungerò a quelli di cui son solito servirmi. (...)
L'opera è suddivisa in sei parti

Nella prima parte Nella seconda parte Nella terza parte Nella quarta parte Nella quinta parte Nella sesta parte

Cartesio, sviluppa una Nella seconda parte, il La terza parte del Discorso La quarta sezione del La quinta parte Nella sesta e ultima parte
decisa critica della cultura progetto cartesiano si è dedicata all'etica. Discorso sul metodo è del Discorso sul metodo è del suo scritto, Cartesio
del suo tempo, quella con precisa: il filosofo, al Cartesio, alla ricerca di quella filosoficamente più dedicata a questioni di spiega di non aver
la quale era venuto in termine di lunghe e certezze, sa che ciò non rilevante: essa si presenta fisica: Cartesio presenta al pubblicato il trattato su Il
contatto a La Flèche e che, approfondite riflessioni, deve paralizzare come un breve compendio lettore una sintesi del suo mondo , a causa della
sostanzialmente, elaborare un nuovo completamente la sua vita: delle concezioni studio inedito Il mondo o condanna formale del
coincideva con la filosofia metodo che assommi in sé dunque, egli enuncia tre metafisiche cartesiane. In trattato della luce , in cui copernicanesimo (1633)
e la teologia della i grandi pregi dei regole che costituiranno la essa troviamo il filosofo sono esposte teorie fisiche sostenuto da Galileo: egli
Scolastica: ai suoi occhi procedimenti della logica, bussola del suo alle prese con il celebre (sulla luce) e temeva infatti che
tale sapere appariva della matematica e della comportamento, in attesa dubbio iperbolico che astronomiche, nonché l'autorità ecclesiastica
astratto, vacuo, incerto, geometria che brillano per di poter giungere a un rappresenta la premessa dottrine riguardanti il avrebbe potuto trovare
condizionato da il loro rigore e la loro chiarimento definitivo necessaria di quella reale corpo umano, il quale, nella sua opera qualcosa
innumerevoli dispute e, precisione. Quindi C. Per anche in campo morale. La rifondazione della supposto privo dell'anima di non conforme
perciò, inutile, non definire il metodo (che prima di queste massime conoscenza che tanto gli razionale, può essere all'ortodossia religiosa. Egli
orientato alla ricerca della deve servire in ogni campo consiglia a Cartesio di stava a cuore: è necessario considerato niente di più afferma inoltre di essere
verità ma a cercare teoretico e pratico e che attenersi alle leggi e ai dubitare di tutto per avere che una macchina e stato combattuto tra il
conferma della coerenza deve avere come fino costumi del proprio paese la certezza di non studiato come tale. Agli rendere di dominio
dei sillogismi della logica ultimo il vantaggio e di accettare la religione accogliere acriticamente occhi del filosofo francese, comune le sue scoperte
peripatetica; insoddisfatto dell'uomo nel mondo) si tramandatagli dalla qualcosa di sbagliato; ma è uomini e animali, colti filosofico-scientifiche e il
dunque della sua volge innanzitutto alla tradizione; la seconda gli il dubbio stesso a nella loro dimensione non farlo, specialmente a
preparazione, egli - come matematica ( "catene di fa scegliere di essere rassicurare Cartesio della fisica, sono soltanto degli motivo dell'amore da lui
si legge nel Discorso - ragionamenti semplici e risoluto e determinato prima e fondamentale automi. Il che, ovviamente, nutrito per la quiete , che
ritenne opportuno facili per giungere alle nelle scelte e nelle azioni; certezza, perché chi dubita non deve far dimenticare avrebbe potuto essere
dedicarsi ai viaggi per fare più difficili la terza lo ammonisce a pensa, e chi pensa non può l'eccellenza del pensiero e messa a rischio da
esperienza diretta degli dimostrazioni"). non voler cambiare il dubitare di esistere: cogito, della ragione che un'eccessiva pubblicità
uomini e del mondo, " per corso delle cose bensì se ergo sum (penso, dunque innalzano l'uomo ben al di data alle sue dottrine. Alla
conoscere il libro del Dovrà essere un metodo stesso, rinunciando a sono) afferma il filosofo, sopra di tutte le altre realtà fine, però, il Nostro opta
mondo" . chiaro e semplice, basato inutili e velleitarie ormai convinto di aver naturali. per una via di mezzo e fa
Cartesio, inoltre, osserva su pochissime regole, che, battaglie contro la fortuna trovato la certezza basilare stampare il Discorso e i tre
che l'aritmetica e la alla fine, verranno ridotte e l'ordine del mondo per sulla quale potrà saggi su la Diottrica ,
geometria dispongono di a quattro: l'evidenza, concentrarsi piuttosto ricostruire l'intero edificio le Meteore e la Geometria ,
un ottimo metodo l'analisi, la sintesi e nella ricerca della conoscenza disponibile a recepire
( l'oggetto di studio ben l'enumerazione. dell'autodominio e della obiezioni e consigli di chi
definito e chiaro e ( Lettura testo pag.204 ) padronanza di sé. fosse stato veramente
accettano teorie solo a interessato alle
seguito di rigorose problematiche da lui
dimostrazioni) dalle quali affrontate in quelle opere.
egli attingerà a piene mani Il Discorso si chiude con la
per elaborare il suo riaffermazione da parte
pensiero filosofico e che dell'autore della propria
tanto influiranno sulla sua irrinunciabile vocazione di
visione dell'uomo e del scienziato.
mondo. Scrive : «Mi
interessavo soprattutto
alla matematica, per via
dell'evidenza e della
certezza delle sue ragioni;
ma non ne afferravo
ancora la vera funzione e,
supponendo che servisse
solo alle arti meccaniche,
mi stupivo che su basi
tanto stabili e salde non si
fosse costruito qualcosa di
più importante».
E' sufficiente astrarre dalla matematica le regole metodiche e formularle in generale per poterle applicare a tutti gli ambiti del sapere? ( testo pag.190)
No.
Vanno giustificate,
il metodo per poter essere accettato deve essere giustificato,
cioè attraverso argomentazioni razionali dobbiamo affermare, confermare, appurare la sua validità,
riportandolo al suo fondamento ultimo, necessario, Cioè l'uomo come soggetto
per poterlo applicarlo universalmente pensante, l'uomo come ragione
La domanda che si pone Cartesio è: è possibile estendere le regole metodiche
dall'ambito matematico agli altri rami del sapere?
Le regole per essere applicabili in altri ambiti devono possedere la necessaria validità assoluta

Solo dopo aver giustificato o fondato le regole metodiche si è autorizzati ad applicarle a tutti gli ambiti, le branche, i domini del sapere
Il compito filosofico cartesiano, quindi, consisterà nella:
1. formulazione delle regole di un metodo facendo riferimento alla matematica, ambito nel quale sono già applicate
2. giustificazione o fondazione metafisica del metodo conferendogli valore assoluto e universale
3. dimostrazione dell'efficacia del metodo nei vari ambiti del sapere

LA GIUSTIFICAZIONE DELLE REGOLE METODICHE: Cartesio per giustificarle risale alla loro origine: l'uomo come ragione
Come risalire al fondamento di un metodo?
Secondo Cartesio solo attraverso una critica radicale del sapere già dato, ossia dubitando di tutto il sistema delle nostre conoscenze
Dubitando di tutto
Se dopo aver dubitato di tutto si giungerà ad una verità talmente certa , ad un principio saldissimo tale da superare il vaglio della prima regola,
tale principio costituirà il fondamento per tutte le altre conoscenze

DUBBIO METODICO E DUBBIO IPERBOLICO


Si parla di dubbio metodico perchè la critica radicale investe, in tempi successivi, tutto il sapere:
( il metodo di ricerca in questa fase è appunto il dubbio)
• le conoscenze che ci derivano dai sensi ( i sensi alle volte c'ingannano, mentre sono certo di essere sveglio
potrei, invece, stare sognando) non superano quindi il vaglio della prima regola
• le uniche verità chiare ed evidenti sono quelle dell'aritmetica e della geometria, anche su queste si può
esercitare il dubbio (supposizione di un genio maligno )

CONCLUSIONE
si deve supporre che tutto ciò che vedo, sento, immagino, giudico
sia falso ed ingannevole: il dubbio assume una dimensione iperbolica( eccessiva, esagerata)
È rimasta qualche forma di realtà che non può essere messa in dubbio?
Niente resiste all'azione demolitrice del dubbio?
Non esiste un fondamento ultimo, quindi non è possibile giungere ad alcuna conoscenza valida, legittima?
Hanno dunque ragione gli scettici?
Ecco allora che Cartesio convinto che scoprendo una sola conoscenza certa e non dubitabile sarà possibile far
derivare da essa altre conoscenze dotate dello stesso carattere di certezza e adoperare quindi SOLTANTO questa idea
come materiale da costruzione del nuovo edificio della scienza
ESISTE UN ELEMENTO CHE RESISTE AL DUBBIO?
IO POSSO AMMETTERE DI DUBITARE DI TUTTO, DI INGANNARMI ED ESSERE INGANNATO
MA
DI UNA SOLA COSA DEVO ESSERE ASSOLUTAMENTE CERTO
PPER INGANNARMI , PER ESSERE INGANNATO,
PER DUBITARE
PER PENSARE
DEVO ESISTERE
IO ESISTO
QUESTA è L'UNICA PROPOSIZIONE ASSOLUTAMENTE VERA, CHIARA E DISTINTA
COGITO ERGO SUM
La possibilità di mettere in dubbio anche le piú solide certezze – che era stato l’obiettivo della Prima meditazione – raggiunge il suo vero scopo nella Seconda. Si tratta di
trovare il “punto di Archimede”, cioè quella certezza che può resistere a qualsiasi dubbio. Il risultato della ricerca cartesiana è: cogito, ergo sum res cogitans.

R. Descartes, Meditazioni metafisiche, Seconda meditazione


Che cosa, dunque, potrà essere reputato vero? Forse niente altro, se non che non v’è nulla al mondo di certo.

Ma che ne so io se non vi sia qualche altra cosa, oltre quelle che testé ho giudicato incerte, della quale non si possa avere il menomo dubbio? Non v’è forse qualche Dio, o
qualche altra potenza, che mi mette nello spirito questi pensieri? Ciò non è necessario, perché forse io sono capace di produrli da me. Ed io stesso, almeno, sono forse
qualche cosa? Ma ho già negato di avere alcun senso ed alcun corpo. Esito, tuttavia; che cosa, infatti, segue di là? Sono io talmente dipendente dal corpo e dai sensi, da
non poter esistere senza di essi? Ma mi sono convinto che non vi era proprio niente nel mondo, che non vi era né cielo, né terra, né spiriti, né corpi; non mi sono, dunque,
io, in pari tempo, persuaso che non esistevo? No, certo; io esistevo senza dubbio, se mi sono convinto di qualcosa, o se solamente ho pensato qualcosa. Ma vi è un non so
quale ingannatore potentissimo e astutissimo, che impiega ogni suo sforzo nell’ingannarmi sempre. Non v’è dunque dubbio che io esisto, s’egli m’inganna; e m’inganni
fin che vorrà, egli non saprà mai fare che io non sia nulla, fino a che penserò di essere qualche cosa. Di modo che, dopo avervi ben pensato, ed avere accuratamente
esaminato tutto, bisogna infine concludere, e tener fermo, che questa proposizione: Io sono, io esisto, è necessariamente vera tutte le volte che la pronuncio, o che la
concepisco nel mio spirito.
Ma io non conosco ancora abbastanza chiaramente ciò che sono, io che son certo di essere; di guisa che, oramai, bisogna che badi con la massima accuratezza a non
prendere imprudentemente qualche altra cosa per me, e cosí a non ingannarmi in questa conoscenza che io sostengo essere piú certa e piú evidente di tutte quelle che ho
avuto per lo innanzi.
Ecco perché io considererò da capo ciò che credevo che esistesse prima che entrassi in questi ultimi pensieri; e dalle mie antiche opinioni toglierò tutto quel che può
essere combattuto con le ragioni da me sopra allegate, sí che resti solo ciò che è intieramente indubitabile. Che cosa, dunque, ho io creduto dapprima di essere? Senza
difficoltà, ho pensato di essere un uomo. Ma che cosa è un uomo? Dirò che è un animale ragionevole? No di certo: perché bisognerebbe, dopo, ricercare che cosa è
animale, e che cosa è ragionevole, e cosí, da una sola questione, cadremmo insensibilmente in un’infinità di altre piú difficili ed avviluppate, ed io non vorrei abusare del
poco tempo ed agio che mi resta, impiegandolo a sbrogliare simili sottigliezze. Ma mi arresterò piuttosto a considerare qui i pensieri, che nascevan prima da se stessi nel
mio spirito, e che non mi erano ispirati che dalla mia sola natura, quando mi consacravo alla considerazione del mio essere. Io mi consideravo dapprima come avente un
viso, delle mani, delle braccia, e tutta questa macchina composta d’ossa e di carne, cosí come essa appare in un cadavere: macchina che io designavo con il nome di corpo.
Io consideravo, oltre a ciò, che mi nutrivo, che camminavo, che sentivo e che pensavo: e riportavo tutte queste azioni all’anima; ma non mi fermavo a pensare che cosa
fosse quest’anima, oppure, se mi ci fermavo, immaginavo che essa fosse qualcosa di estremamente rado e sottile, come un vento, una fiamma, o un’aria delicatissima,
insinuata e diffusa nelle parti piú grossolane di me. Per ciò che riguardava il corpo, non dubitavo per nulla della sua natura; perché pensavo di conoscerla molto
distintamente, e, se avessi voluto spiegarla secondo le nozioni che ne avevo, l’avrei descritta in questa maniera: per corpo intendo tutto ciò che può esser determinato in
qualche figura; che può essere compreso in qualche luogo, e riempire uno spazio in maniera tale, che ogni altro corpo ne sia escluso; che può essere sentito o col tatto, o
con la vista, o con l’udito, o col gusto, o con l’odorato; che può essere mosso in piú maniere, non da se stesso, ma da qualcosa di estraneo, da cui sia toccato e di cui riceva
l’impressione. Poiché non credevo in alcun modo che si dovesse attribuire alla natura corporea il privilegio d’avere in sé la potenza di muoversi, di sentire e di pensare; al
contrario, mi stupivo piuttosto di vedere che simili facoltà si trovassero in certi corpi.
Ma io, chi sono io, ora che suppongo che vi è qualcuno, che è estremamente potente e, se oso dirlo, malizioso e astuto, che impiega tutte le sue forze e tutta la sua abilità
ad ingannarmi? Posso io esser sicuro di avere la piú piccola di tutte le cose, che sopra ho attribuito alla natura corporea? Io mi fermo a pensarvi con attenzione, percorro
e ripercorro tutte queste cose nel mio spirito, e non ne incontro alcuna, che possa dire essere in me. Non v’è bisogno che mi fermi ad enumerarle. Passiamo, dunque, agli
attributi dell’anima, e vediamo se ve ne sono alcuni, che siano in me. I primi sono di nutrirmi e camminare; ma se è vero che io non ho corpo, è vero anche che non posso
camminare né nutrirmi. Un altro attributo è il sentire; ma, egualmente, non si può sentire senza il corpo: senza contare che ho creduto talvolta di sentire parecchie cose
durante il sonno, che al mio risveglio ho riconosciuto non aver sentito di fatto. Un altro è il pensare; ed io trovo qui che il pensiero è attributo che m’appartiene: esso solo
non può essere distaccato da me. Io sono, io esisto: questo è certo; ma per quanto tempo? Invero, per tanto tempo per quanto penso; perché forse mi potrebbe accadere, se
cessassi di pensare, di cessare in pari tempo d’essere o d’esistere. Io non ammetto adesso nulla che non sia necessariamente vero: io non sono, dunque, per parlar con
precisione, se non una cosa che pensa, e cioè uno spirito, un intelletto o una ragione, i quali sono termini il cui significato m’era per lo innanzi ignoto. Ora, io sono una
cosa vera, e veramente esistente; ma quale cosa? L’ho detto: una cosa che pensa. E che altro? Ecciterò ancora la mia immaginazione per ricercare se non sia qualcosa di
piú. Io non sono quest’unione di membra che si chiama il corpo umano; io non sono un’aria sottile e penetrante, diffusa in tutte queste membra; io non sono un vento, un
soffio, un vapore, e nulla di tutto ciò che posso fingere e immaginare, poiché ho supposto che tutto ciò non fosse niente; eppure, senza cambiare questa supposizione, io
continuo ad essere certo che sono qualcosa.
R. Descartes, Opere, Laterza, Bari, 1967, vol. I, pagg. 205-208

Bibliografia
Il testo filosofico, Cioffi
Il discorso filosofico, Cioffi
La ricerca del pensiero , Abbagnano Fornero

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