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Classici della filosofia Critica della ragion pura

Filosofia Università di
Torino
72 pag.

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Classici della filosofia – Critica
della ragion pura
PROFESSOR GABRIELE GAVA
LORENZO DELPIANO

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Classici della filosofia – Critica della ragion pura

Prima lezione

La Critica è fondamentale nella storia della filosofia. Principali motivi:

1. Introduce una disciplina che per Kant è COMPLETAMENTE nuova. Il termine “critica”stesso
dopo Kant acquista un significato totalmente nuovo (riprendendo o polemizzando con
Kant). Cos’è la critica? Nella prima edizione, nella prefazione, Kant afferma che l’idea è
quella di andare ad analizzare le facoltà della conoscenza e di quali conoscenze a priori
sono capaci per dare chiari limiti alle nostre conoscenze per porre un freno alle dispute
dialettiche in metafisica che essendo al di là delle nostre conoscenze possibili non hanno
possibilità di risoluzione.

STRUTTURA: Estetica trascendentale, conoscenze a priori che dipendono dalla sensibilità.

Analitica trascendentale, conoscenze a priori che dipendono dall’intelletto (facoltà


dei concetti).

Dialettica trascendentale, (presunte) conoscenze a priori che dipendono dalla


ragione (in senso stretto).

2. Introduce distinzioni fondamentali ancora oggi. Ad esempio giudizi analitici, sintetici,


apriori, a posteriori. La seconda è in realtà già di altri autori, la prima è invenzione kantiana.
Giudizio a posteriori: dipende dall’esperienza e la sua validità è verificabile solo attraverso
l’esperienza.
Giudizio a priori: sono raggiungibili indipendentemente dall’esperienza (conoscenze
matematiche per esempio).
Giudizio analitico: la loro verità o falsità è verificabile sulla semplice base dei termini che
fanno parte del giudizio e del loro significato. Non danno nuova conoscenza (es. ogni
scapolo è non sposato).
Giudizio sintetico: Non è verificabile come l’analitico, danno nuova conoscenza.
L’innovazione di Kant è quella di dire che NON TUTTI i giudizi sintetici devono per forza
essere a posteriori, esistono anche quelli a priori. Così Kant identifica la domanda
fondamentale della Critica in “come sono possibili i giudizi sintetici a priori?”, importante
perché questi hanno un ruolo fondamentale per la metafisica.
3. Introduce dottrina dell’idealismo trascendentale che avrà affetti anche sulla discussione
posteriore sia in senso critico che positivo. Idea principale è che gli oggetti che conosciamo
non sono quegli oggetti così come sono in sé stessi, ma sono oggetti considerati come
fenomeni e determinati da forme e concetti a priori che abbiano la loro origine nel
soggetto. Per dire questo parte da una caratterizzazione dello spazio e del tempo come
forme a priori della sensibilità, con questi gli oggetti che ci sono dati nell’esperienza
vengono ordinati. Ogni oggetto dato nell’intuizione deve sottostare a queste forme e da
questo ecco che segue che noi conosciamo gli oggetti solo in quanto apparenze che
sottostanno alle forme dello spazio e del tempo.
4. Introduce la rivoluzione copernicana (in realtà non utilizza mai questo termine
propriamente). In metafisica abbiamo a che fare con conoscenze a priori e l’ipotesi da

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testare nella critica è che non siano le nostre conoscenze a doversi adattare a degli oggetti
esterni, ma sono le nostre facoltà conoscitive che adattano gli oggetti che trovano
all’esterno. Si parla di rivoluzione copernicana perché nel definire come conosciamo gli
oggetti il punto di vista è spostato sul SOGGETTO, non più sull’oggetto, si usa Copernico
come esempio perché egli ebbe come prima ipotesi il fatto che la Terra ruota su sé stessa,
non sono le stelle a muoversi, ma è la Terra a muoversi (non gli oggetti fanno qualcosa, ma
il soggetto).

La Critica ha avuto due edizioni (1781/1787), la prima viene indicata con la lettera A, la seconda
con la lettera B. Ci sono modifiche importanti fra le due edizioni (prefazione, introduzione, estetica
trascendentale, deduzione trascendentale delle categorie…).

ANALISI PREFAZIONI

Quella dell’87. Le domande fondamentali che Kant pone sono: può metafisica diventare una
scienza? Come? Questo sarà l’interesse fondamentale della Critica (non offrire fondazione della
fisica newtoniana, non risposta allo scetticismo di Cartesio o Hume). La metafisica del suo tempo
non è affatto scientifica, ci sono dispute infinite sui temi più svariati, non c’è accordo né terreno
comune di discussione, è così che la presenta e bisogna chiarire il modo attraverso cui la
metafisica può diventare scientifica.

Questo modo è quello di seguire l’esempio di altre scienze (che lo sono davvero):

1. Logica: da Aristotele in poi non è mai receduta. È da considerarsi conclusa e completa.


(Molti logici non sono d’accordo su questa caratterizzazione di questa storia della logica,
d’altra parte non tiene presente il contributo di Kant stesso alla logica, è più uno
stratagemma retorico, forse). È scienza da così presto perché si ha a che fare con le regole
di buon ragionamento astraendo dai contenuti, dalle conoscenze particolari. In essa la
ragione ha a che fare solo con la propria forma, senza tirare in ballo oggetti esterni.
2. Matematica: qui ci sono delle conoscenze. È scienza perché si è accorta che per
raggiungere le verità matematiche doveva partire dai concetti e dalla costruzione degli
oggetti, non dagli oggetti stessi.
3. Fisica pura: anche qui improvvisa rivoluzione del modo di pensare. Parla di fisica
sperimentale, che costruisce esperimento a partire da ipotesi che essa stessa si dà
forzando la natura a rispondere alle domande ed alle teorie che la scienza stessa si pone.
Così sta preparando la strada alla rivoluzione copernicana.

Ma la metafisica che stato ha?

DEFINIZIONE METAFISICA: conoscenza razionale speculativa del tutto isolata che si eleva
decisamente al di sopra degli insegnamenti dell’esperienza e ciò mediante semplici concetti… qui
la ragione deve pertanto essere scolara di sé stessa.

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Quindi è razionale (a priori) ma è una conoscenza diversa da quella matematica perché NON si
basa sulla costruzione di concetti nell’intuizione (=matematica), lavora solo con concetti. È lecito
chiedersi se siano gli oggetti a conformarsi alle nostre conoscenze a priori anche qui nella
metafisica.

Bisogna dare però una nuova fondazione alla metafisica perché ora sta brancolando nel buio. È
necessaria la rivoluzione copernicana sull’esempio delle scienze analizzate prima. Quindi il
progetto di attuazione dell’ipotesi di fondo della rivoluzione:

1. Capire se gli oggetti che ci sono dati nell’intuizione sensibile sono determinati da forme
apriori.
2. Per arrivare a conoscenze oltre ad intuizioni abbiamo bisogno di concetti che ci
possonodare degli schemi per categorizzare oggetti, quindi bisogna ricercare se ci sono
delle forme a priori anche dei concetti.

Conseguenze negative per la metafisica di questo modo di procedere: il nostro modo di conoscere
NON ci permette di oltrepassare i confini dell’esperienza possibile (no Dio, no anima, no mondo
della cosmologia), ma questo è proprio L’INTENTO PRINCIPALE DI QUESTA SCIENZA.

Aspetti della prefazione dell’81. Qui la questione della scientificità della metafisica è meno
preminente. Ci si concentra di più sull’impossibilità per la metafisica di giungere a conoscere
alcune entità che pure aspira a conoscere. Qui la metafisica è caratterizzata come una
“disposizione naturale”, l’idea di fondo è che quelle ricerche in cui la metafisica oltrepassa i limiti
dell’esperienza possibile non sono domande che la ragione si pone per caso, ma sono domande
che siamo naturalmente portati a porci per la struttura stessa della nostra ragione, la Critica deve
capire PERCHÉ la ragione si pone queste domande a cui risposta non può darsi e facendo questo
deve porre dei chiari limiti che possano frenare il nostro bisogno di oltrepassare i limiti della nostra
conoscenza possibile.

La critica si pone come autoanalisi della ragione, è “tribunale della ragione”, la critica in questa
autoanalisi deve sottoporsi ad un processo in cui la ragione sia giudice ed imputato.

In entrambe le prefazioni Kant parla di dogmatismo e scetticismo:

DOGMATISMO: pretesa di procedere unicamente con una conoscenza pura fondata su concetti
(filosofici), secondo principi quali la ragione ha da lungo tempo in uso, senza tuttavia rendersi
conto del modo e del diritto con cui vi sia pervenuta. Il dogmatismo è dunque il procedimento
dogmatico della ragion pura, senza una critica preliminare dei poteri che le sono propri. Questo lo
troviamo in metafisica quando non c’è analisi della possibilità effettiva di raggiungere una risposta
per le domande che si pone.

SCETTICISMO: un dubbio indiscriminato sulla nostra capacità di ottenere conoscenza a priori,


causato dalle dispute infinite in metafisica. Non sa però spiegare il perché di questo dubbio, il
criticismo invece ponendo limiti alla nostra conoscenza pone un freno alle dispute metafisiche
ponendo limite a dubbio indiscriminato e salvando le conoscenze a priori.

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Ultimo tema nella prefazione dell’87, distinzione fra utilità positiva e negativa della Critica.

Negativa: perché critica impedisce che noi ci avventuriamo al di là dei limiti dell’esperienza con la
ragione speculativa. I risultati ottenuti così hanno anche dei lati positivi.

Positiva: quando stabiliamo le conoscenze a priori di cui siamo capaci e vediamo che queste vanno
a caratterizzare solo l’oggetto in quanto fenomeno, possiamo vedere come possibili gli oggetti in
quanto cose in sé che non potremmo vedere come tali se estendessimo lo statuto di fenomeni a
tutti gli oggetti possibili. Un esempio è: se noi prendiamo il principio di causalità (conoscenza a
priori che ha effetto solo nel regno dei fenomeni) ed estendiamo la validità di questo oggetto a
tutti gli oggetti possibili (non solo i fenomeni) ne consegue che la libertà è impossibile. Ma siccome
si può fare distinzione fra fenomeni e nuomeni, noi NON escludiamo che la libertà possa essere
possibile per le cose in sé, per i nuomeni. Siccome la libertà è fondamentale nella parte pratica
della metafisica, ecco che questo permette di garantire la validità di tutti i precetti pratici che
dipendono dalla libertà. Il risultato della critica non è quello di dimostrare che la libertà esiste, ma
di fare spazio per la POSSIBILITà della libertà.

La critica limita le conoscenze a priori che possiamo ottenere agli oggetti come fenomeni e questo
lascia spazio per la possibilità per la libertà ed è sufficiente per garantire la possibilità della morale.
Qui bisogna sospendere il sapere per far posto alla fede (un’attitudine che non può mai diventare
un sapere teoretico).

QUINDI, LA CRITICA DEVE:

1. Determinare se la metafisica può diventare una scienza.


2. Analizzare le nostre facoltà conoscitive.
3. Tribunale della ragione.
4. Limiti alle nostre conoscenze a priori.
5. Spiegare perché abbiamo una tendenza naturale a porci delle domande metafisiche a cui
nonsappiamo dare risposta.
6. Mostrare come una limitazione delle nostre conoscenze possibili sia utile dal punto di
vistadella parte morale della metafisica.

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Seconda lezione

Analizziamo le introduzioni (nella seconda edizione ci sono delle aggiunte importanti).

Vengono chiarite delle distinzioni importanti (a priori, a posteriori, analitici e sintetici…). Avendo
introdotto il concetto di giudizio sintetico a priori bisogna capire COME sono possibili. Troviamo
anche definizione della filosofia trascendentale che deve essere distinta dalla critica della ragion
pura.

Quindi si parte dalla domanda “possediamo conoscenze a priori?”, l’inizio della conoscenza è
l’esperienza, ma non per forza tutte le nostre conoscenze devono DIPENDERE dall’esperienza.
Questo significa che l’esperienza ci dà l’occasione per lo sviluppo delle nostre conoscenze e per
renderle chiare e distinte, però queste conoscenze che si rivelano attraverso l’esperienza non per
forza devono derivare dall’esperienza stessa (es. legge causale: ad A segue B, una parte di questa
conoscenza dipende dall’esperienza, però non tutto quello che c’è in questa conoscenza è a
posteriori, una parte è totalmente a priori).

Dopo aver individuato in questa domanda l’inizio dell’indagine, ecco che definisce meglio cosa
sono le conoscenze a priori e a posteriori.

1. A priori: sono conoscenze indipendenti dall’esperienza e da ogni impressione sensibile.


Non a priori in senso relativo (conoscenze derivate dall’esperienza ma che possono essere
ritenute valide indipendentemente da nuove conferme empiriche. Es. le case senza
fondamento crollano, non c’è bisogno di evidenza empirica per provarla, ma la
proposizione è comunque empirica), ma in senso ASSOLUTO (assolutamente indipendenti
dall’esperienza, la validità di quelle conoscenze è provata totalmente al di là
dell’esperienza). Sempre qui identifica le conoscenze PURE (quelle a cui non è mescolato
nulla di empirico). Una conoscenza a priori può avere elementi empirici al suo interno nel
senso che la validità della proposizione è indipendente dall’esperienza, ma per capire di
cosa parla è necessario fare riferimento all’esperienza (es. ogni mutamento ha la sua causa,
il concetto di mutamento è empirico anche se la validità della proposizione nel suo
complesso è a priori).
2. A posteriori: conoscenze che dipendono dall’esperienza.

Dopo questo ecco che abbiamo i segni distintivi delle conoscenze a priori, caratteristiche delle
nostre conoscenze che possono indicare quali sono a priori:

1. Necessità: l’esperienza ci insegna il modo in cui una cosa è fatta, ma non che non può
essere fatta diversamente. Se una proposizione è pensata insieme alla sua necessità, è un
giudizio a priori.
2. Universalità: l’esperienza non conferisce mai ai suoi giudizi un’universalità rigorosa, ma
solo presunta (non possiamo provare che non ci saranno casi diversi da quelli esperiti fino

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ad un dato momento). Quando un giudizio è pensato con rigorosa universalità (non tollera
mai alcuna eccezione di genere), esso è valido assolutamente a priori.

Individuati questi criteri sembra che ci siano conoscenze a priori con questi segni distintivi. Esse
sono presenti nella matematica ma anche nel nostro intelletto comune senza prendere in causa le
scienze (ogni mutamento deve avere una causa, ad esempio, è un giudizio a priori che usiamo
nella vita di tutti i giorni). Oltre a ciò abbiamo anche dei concetti a priori (spazio e sostanza).

Stabilito questo passa ad un tipo particolare di conoscenze a priori che hanno un significato
speciale per la metafisica e riguardano oggetti che non possono essere dati nell’esperienza
possibile. Questi tipi di concetti a priori sono tipici della metafisica (Dio, la libertà, l’immortalità
dell’anima). Dal momento che queste conoscenze sono diverse dalle altre conoscenze a priori, è
necessaria un’indagine preliminare su come l’intelletto possa pervenire a conoscenze del genere,
cosa che finora è mancata per due motivi: la matematica ci ha abituati all’idea di poter avanzare
molto nella conoscenza a priori, lo slancio della ragione per questo non trova più freno.

Il secondo motivo è l’assunzione erronea che tutto ciò che fa la metafisica sia ottenere delle
conoscenze analitiche. La metafisica però non fa solo questo, introduce delle conoscenze di altro
tipo, nuove, estranee alle premesse di partenza, ma poi non le verifica, qui sta l’errore. Pensa di
procedere solo analiticamente, ma di fatto introduce, senza accorgersene delle conoscenze
sintetiche di cui poi non rende conto.

Dopo questa diagnosi della metafisica del suo tempo introduce la distinzione dei giudizi analitici e
sintetici.

Il rapporto fra soggetto e oggetto è possibile in due modi: il predicato B appartiene al soggetto A
come qualcosa che p contenuto in questo concetto A (ANALITICO es. tutti i corpi sono estesi).
Oppure B si trova totalmente al di fuori del concetto A, pur essendo in connessione con esso
(SINTETICO es. tutti i corpi sono pesanti).

Ma in che senso parla di “contenimento”? Molti studiosi sono rimasti perplessi da questo. Per
capirlo bisogna rifarsi alla logica dei concetti del periodo: l’idea è che un concetto abbai una
struttura interna e sia composto di note (a loro volta concetti) dall’unione delle quali il concetto
dipende. Il concetto presenta una struttura gerarchica andando a vedere le note (sono divise in
livelli perché le note sono a loro volta composte di note). Ad esempio, concetto di cavallo ha al suo
interno quello di animale, ma a sua volta questo contiene il concetto della mortalità e così
possiamo stabilire analiticamente che ogni cavallo è mortale, analiticamente perché nel concetto
di cavallo è già presente quello di mortalità sotto forma di nota. È quindi necessario andare
semplicemente a vedere i termini che sono utilizzati nei giudizi per vedere cosa è contenuto nei
concetti che rappresentano.

Questo NON vale per i giudizi sintetici. Il concetto del predicato NON è già contenuto nel concetto
del soggetto. Per fondare un giudizio sintetico è necessario un altro oggetto che metta in relazione
due concetti estranei fra di loro. Questo oggetto è l’esperienza che permette di andare al di là dei
concetti che formano il giudizio facendo vedere che fra i due giudizi esiste una connessione.

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Così uno potrebbe pensare che tutti i giudizi sintetici siano basati sull’esperienza. NON è così, ma
allora quale elemento ci fa vedere una connessione fra concetti in mancanza di esperienza? Solo i
giudizi sintetici a priori ci danno delle conoscenze vere e proprie e questi sono possibili ma non dà
ancora una risposta alla domanda fondamentale di cosa sia che ci faccia vedere la connessione fra
concetti senza esperienza.

Vero e proprio problema della ragion pura è “come sono possibili i giudizi sintetici a priori?” la vita
e la morte della metafisica dipendono dalla risoluzione di questo problema, infatti se la metafisica
deve contenere delle conoscenze vere e proprie, allora deve contenere dei giudizi sintetici a priori
che estendono la nostra conoscenza e dunque bisogna capire come sono possibili e bisogna darne
una dimostrazione cogente.

Ora Kant fa un passo indietro e torna a considerare la domanda SE esistano dei giudizi sintetici a
priori (siamo sempre nell’introduzione). Quindi ci dice che è chiaro che questi giudizi esistono per
via della matematica e della fisica che sono scienze che hanno conoscenze sintetiche (7+5=12, 12
non è pensato per l’unione di 7 e 5, ma è necessario andare al di là di questo aggiungendo una ad
una le unità al numero 7 fino a raggiungere il 12 avendo esaurito le 5 unità da addizionare ad
esempio rappresentandomi le dita. Questo esempio è criticato perché dà rappresentazione falsa di
come la matematica funziona. Funziona per numeri piccoli, ma siamo in grado di operare anche
numeri molto grossi senza ricorrere alle dita. Quello delle dita è però solo un esempio, non
bisogna dargli l’importanza di una fondazione).

Per quanto riguarda la fisica invece ci dice che in essa abbiamo delle proposizioni a priori (perché
necessarie) ma anche sintetiche perché andiamo al di là del significato dei termini che la
compongono.

Ora per passare alla metafisica, essa possiede proposizioni sintetiche a priori? Sì, perché si
propone di estendere la nostra conoscenza a priori e non può che farlo attraverso questi giudizi.
Es. il mondo deve avere un primo cominciamento. Questa proposizione è sintetica e a priori (non
può essere ottenuta per esperienza).

Dopo questa prima carrellata Kant torna alla domanda fondamentale “come sono possibili i giudizi
sintetici a priori?”. Bisogna chiederselo per tutte le discipline di cui ha parlato prima. Per
matematica e fisica bisogna domandarsi COME siano possibili (perché il fatto che siano possibili è
dimostrato dalla loro realtà), mentre per la metafisica è necessario chiedersi SE siano possibili,
essa non è ancora una scienza e dunque è lecito dubitare che abbiamo delle conoscenze sintetiche
a priori per la metafisica.

Dunque per la metafisica abbiamo due domande fondamentali:

1. Com’è possibile la metafisica come scienza? Deve contenere dei giudizi sintetici a priori e
deve essere in grado di formularli.

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2. Com’è possibile la metafisica in quanto disposizione naturale? Cioè come scaturiscono


dalla ragione umana i problemi che la ragione affronta. Il fatto che la metafisica faccia delle
affermazioni su oggetti che vanno al di là di ogni esperienza possibile NON dipende da un
uso incauto della ragione, ma dipende dalla struttura stessa della nostra ragione.

Ora Kant torna a caratterizzare che cos’è la critica della ragion pura, quindi il tipo di indagine che
vuole svolgere. La critica della ragion pura è una semplice valutazione della ragion pura (=quella
che contiene i principi per conoscere qualcosa prettamente a priori), delle sue sorgenti e dei suoi
limiti, per cui deve essere una propedeutica al sistema della ragion pura.

Oltre alla critica della ragion pura Kant introduce anche un’altra disciplina: la filosofia
trascendentale. Essa è parte della metafisica la cui possibilità viene direttamente stabilita dalla
critica. Per la definizione, essa cambia da 81 a 87.

81: Conoscenza trascendentale è ogni conoscenza che si occupi, in generale, non tanto di oggetti
quanto dei nostri concetti a priori degli oggetti in generale. Un sistema di tali concetti è detto
filosofia trascendentale. Qui i concetti a priori in gioco sono anche puri.

87: Conoscenza trascendentale è una che si occupa non tanto di oggetti, quanto del nostro modo
di conoscere gli oggetti nella misura in cui questo deve essere possibile a priori. Un sistema di tali
concetti è detto filosofia trascendentale. Questa definizione è più oscura, non si capisce bene cosa
intenda dicendo che una scienza si deve rivolgere ad un MODO di conoscere gli oggetti (cosa vicina
al compito della critica). Qui inoltre quando parla di concetti non si capisce a cosa si riferisca
esattamente.

Kant spiega anche perché la parte morale della metafisica è esclusa dalla filosofia trascendentale:

81: Sembra che la moralità dipenda da concetti empirici.

87: Precetti morali hanno tutti un’origine empirica ma essa è in qualche modo qualcosa da
superare.

In parole povere alla filosofia trascendentale non può afferire nulla che non sia puro oltre che a
priori (e la moralità non lo è).

Cambia perché nel frattempo Kant ha scritto Fondazione della metafisica dei costumi e Critica della
ragion pratica.

Kant poi ci caratterizza come la critica della ragion pura stia in relazione con la filosofia
trascendentale. Da una parte sembra che la filosofia trascendentale sia parte della metafisica e che
la critica sia propedeutica, ma a volte sembra invece che critica e filosofia trascendentale siano
parzialmente sovrapponibili. Come dobbiamo leggere? È possibile trovare una coerenza fra le due
cose?

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Forse partendo dall’idea che la critica partendo dalla dimostrazione che la filosofia trascendentale
è possibile, va già a stabilire parti o proposizioni che faranno poi parte della filosofia
trascendentale stessa.

Abbiamo visto che Kant esclude la morale dalla filosofia trascendentale, tuttavia l’utilità positiva
della critica era proprio relativa alla possibilità della morale che non è in contrasto con la parte
teoretica della filosofia. La critica quindi deve offrire una giustificazione diretta delle conoscenze
sintetiche a priori della filosofia trascendentale, mostrando che siamo capaci di conoscenze
sintetiche a priori dimostra parti della filosofia trascendentale, MA non andrà a fondare principi
sintetici a priori della moralità, mostra semplicemente che i principi della filosofia trascendentale
non sono in contraddizione con quelli della moralità.

QUINDI DOBBIAMO RICORDARE:

1. Distinzione conoscenze a priori ed empiriche.


2. Distinzione giudizi analitici e sintetici.
3. Caratterizzazione giudizi sintetici a priori.
4. Perché stabilire la possibilità di tali giudizi è fondamentale per la metafisica.
5. Cos’è la critica della ragion pura.
6. Cos’è la filosofia trascendentale.
7. Che relazione sussiste fra di esse.

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Terza lezione

Ci concentreremo sull’Estetica trascendentale, dedicata alla facoltà della sensibilità. Il suo compito
è di isolare quelle rappresentazioni che dipendono dalla sensibilità e sono a priori. Bisognerà
tenere presente la distinzione fra concetti ed intuizioni, la maggior parte delle intuizioni sono
quelle rappresentazioni che ci possono dare degli oggetti perché dipendono da affezioni del
soggetto data dall’oggetto. Spazio e tempo non dipendono da affezione sensibile ma sono le forme
a priori delle intuizioni sensibili (per questo non dipendono da affezioni). Quando noi
rappresentiamo oggetti in spazio e tempo li sottoponiamo a queste forme a priori perciò non li
rappresentiamo per come sono in sé, ma come fenomeni (idealismo trascendentale).

Negli ultimi passi dell’introduzione della Critica Kant afferma che esistono due “tronchi” della
conoscenza umana, sensibilità ed intelletto, mediante la prima gli oggetti ci sono dati, mediante la
seconda gli oggetti sono pensati. Inoltre parla anche di una possibile origine comune di questi due
tronchi, ma probabilmente non è importante dare troppo peso a questa affermazione. Le due
facoltà sono separate. Viene prima l’Estetica perché i concetti non possono dargli degli oggetti,
l’intelletto per poter svolgere il proprio lavoro sugli oggetti deve dunque lavorare su quelli dati
prima dalla sensibilità.

Subito chiarisce che cos’è una INTUIZIONE: una rappresentazione che si riferisce immediatamente
agli oggetti. Le intuizioni dipendono da un’affezione dei nostri organi di sensi e l’oggetto è causa
diretta di una rappresentazione nel nostro animo. Per avere un’intuizione ci deve essere una
qualche sorta di relazione causale diretta fra l’oggetto e la mia rappresentazione. Tramite questa
rappresentazione immediata io mi andrò a rappresentare un oggetto SINGOLO (tutto questo la
differenzia dai concetti tramite i quali possiamo classificare le rappresentazioni che otteniamo
attraverso l’intuizione). Ciò vale per noi uomini, però possono esistere altri tipi di intuizione propri
di altri tipi di esseri (Dio ad esempio potrebbe avere un’intuizione intellettuale per cui gli oggetti gli
sarebbero dati indipendentemente da un’affezione sensibile). Per gli uomini questo è l’unico
modo, per noi l’intuizione è necessariamente sensibile.

Dopo ciò, la SENSAZIONE è l’effetto di un oggetto sulla capacità rappresentativa, in quanto noi ne
veniamo affetti. Quell’elemento dell’intuizione il cui contenuto dipende dall’affezione sensibile.

INTUIZIONE EMPIRICA: quella che si riferisce all’oggetto mediante una sensazione. Rappresenta il
suo oggetto attraverso un’affezione sensibile che fornisce la sensazione.

FENOMENO: oggetto indeterminato d’una intuizione empirica. L’oggetto rimane indeterminato


tramite la semplice intuizione (non è ancora pensato), è oggetto di un’intuizione, non considerato
in sé stesso.

MATERIA DEL FENOMENO: sensazione. Parte dell’intuizione che è empirica.

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FORMA DEL FENOMENO: ciò che fa sì che il molteplice del fenomeno possa essere ordinato in
precisi rapporti. La forma è ciò che dà un ordine al materiale empirico che ci proviene dalla
sensazione.

La forma deve essere A PRIORI, la sensazione ci dà dei materiali empirici a posteriori ma l’ordine
che noi diamo a quella materia non può dipendere totalmente da ciò che ci è dato nella
sensazione, deve esserci una rappresentazione che precede quel materiale affinché noi possiamo
ordinarlo (la forma che deve dunque essere a priori).

La FORMA PURA DELLA SENSIBILITÀ è un’intuizione pura (l’unica che non dipende da un’affezione
esterna).

Ma cos’è l’Estetica Trascendentale di per sé? La scienza di tutti i principi a priori della sensibilità.
Dopo ci indica come il processo tramite cui l’Estetica andrà ad isolare le rappresentazioni a priori
ha due passaggi:

1. Isolare la sensibilità nel suo complesso dai concetti.


2. Isolare all’interno della sensibilità ciò che è a priori.

Un esempio di come può essere fatto: ho un corpo, tolgo tutto ciò che dà l’intelletto (sostanza,
forza…) e ciò che mette la sensibilità (l’impenetrabilità, la durezza…). Qualcosa ancora mi rimane,
l’estensione e la figura.

Dopo queste distinzioni fondamentali lo scopo principale dell’Estetica è quello di mostrare che lo
spazio e il tempo sono in prima istanza le forme a priori dell’intuizione (attraverso un processo di
isolamento). In questo modo Kant distingue la sua posizione da quelle dominante al suo tempo:

Newton: spazio e tempo sono oggetti che esistono indipendentemente dai corpi.

Leibniz: spazio e tempo non esistono indipendentemente dagli oggetti ma emergono dalle loro
relazioni.

-SPAZIO

Deve mostrare che lo spazio è forma dell’intuizione esterna, a priori, è esso stesso un’intuizione
ma pura, ha validità oggettiva.

Nella seconda edizione la parte sullo spazio è tripartita:

1. Esposizione metafisica del concetto di spazio.


2. Esposizione trascendentale del concetto di spazio.
3. Conseguenze dell’analisi svolta nelle altre due sezioni.

Nella prima edizione questa distinzione non c’è.

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ESPOSIZIONE METAFISICA DEL CONCETTO DI SPAZIO.

Esposizione è la rappresentazione chiara anche se non particolareggiata di ciò che appartiene ad


un concetto ed è metafisica quando contiene ciò che esibisce il concetto come dato a priori.

Quando usa il termine esposizione lo fa per indicare il tipo di definizioni usate in filosofia. È
metafisica quando un concetto è mostrato come dato a priori, in realtà negli argomenti che
presenta, Kant mostra anche che quel concetto è intuitivo.

Gli scopi di questo sono: mostrare che la rappresentazione dello spazio è a priori e mostrare che
esso è originariamente un’intuizione.

Ma perché Kant parla del CONCETTO di spazio? Lo spazio NON è un concetto, ma un’intuizione.
Molti ritengono che qui Kant sia un po’ impreciso e userebbe concetto come sinonimo di
rappresentazione, alcuni però ritengono che lui utilizzi consapevolmente il termine concetto.
Messina ha sostenuto che Kant prenda in considerazione il concetto di spazio derivando
semplicemente conoscenze analitiche sulla base di quel concetto.

A questo punto consideriamo gli argomenti che Kant ci presenta. Sono 4 (nell’edizione dell’81 sono
5 senza distinzione fra esposizione metafisica e trascendentale):

1. PRIORITÀ DELLO SPAZIO: spazio NON è un concetto empirico proveniente daesperienze


esterne, infatti per rappresentare relazioni fra diversi oggetti nello spazio è necessario
presupporre GIÀ una rappresentazione dello spazio. Non posso avere queste relazioni
spaziali se non ho già prima una rappresentazione dello spazio che mi permette di averle.
2. NECESSITÀ DELLO SPAZIO: necessità perché questa è un segno distintivo
dellerappresentazioni a priori. Lo spazio è a priori e necessaria e sta a fondamento di tutte
le rappresentazioni esterne, esso è quindi CONDIZIONE DELLA POSSIBILITÀ dei fenomeni e
non è da essi dipendente (possiamo rappresentarci lo spazio indipendentemente dagli
oggetti esterni che lo popolano ma non possiamo rappresentarci oggetti che non siano
immersi nello spazio).
3. SINGOLARITÀ DELLO SPAZIO: spazio non è concetto discorsivo delle cose in generalema è
un’intuizione pura infatti non ci si può rappresentare che uno spazio e se si parla di spazi
essi sono solo partizione dell’unico spazio perciò a base di questo sta un’intuizione a priori
(non empirica). Qui Kant distingue fra concetto dello spazio ed intuizione dello spazio e il
concetto dipende dall’intuizione. Inoltre Kant parla di “concetto degli spazi” e di “concetti
dello spazio”, questo perché non è possibile attribuire la singolarità allo spazio quando si
parte dalla sua rappresentazione concettuale (infatti esso è una rappresentazione generale
che può essere applicata ad una molteplicità di oggetti). Tenendo presente questo
possiamo vedere che in questo argomento Kant mostra che, siccome dal concetto dello
spazio non può essere derivata la rappresentazione che lo spazio sia necessariamente
singolare, ma noi lo vediamo come necessariamente singolare (vediamo le parti dello
spazio come limitazioni di uno spazio unico e singolare dato PRIMA di queste parti), la
rappresentazione non può che essere originariamente unìintuizione.

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4. INFINITÀ DELLO SPAZIO: lo spazio è rappresentato come un’infinita grandezza data infatti
pensando ad ogni porzione di spazio essa è sempre racchiusa in una porzione più grande e
tutte queste porzioni noi le pensiamo simultaneamente. Se andiamo a vedere come noi
rappresentiamo l’infinità in modo concettuale è molto diversa (concetto è
rappresentazione a sua volta contenuta in un numero infinito di differenti rappresentazioni
possibili tale da comprenderle sotto di sé), noi però ci rappresentiamo l’infinità dello spazio
in modo NON concettuale. Quindi è necessaria un’intuizione pura a priori.

ESPOSIZIONE TRASCENDENTALE DEL CONCETTO DI SPAZIO

Questa esposizione è chiarimento di un concetto come principio in base al quale sia dato
comprendere la possibilità di altre conoscenze sintetiche a priori. Deve mostrare che alcune
conoscenze sintetiche a priori che abbiamo sono possibili solamente sulla base di una certa
rappresentazione e sulla base di un certo modo di spiegare quella rappresentazione.

L’argomento può essere diviso in due parti:

1. Nella geometria siamo in possesso di proposizioni sintetiche a priori. La loro possibilità


puòessere spiegata o attraverso il contenuto dei concetti geometrici o attraverso intuizioni
empiriche o attraverso una intuizione pura dello spazio. Le prime due spiegazioni
falliscono. Le proposizioni sintetiche a priori della geometria devono basarsi su
un’intuizione pura dello spazio. Se una rappresentazione è alla base di proposizioni
sintetiche a priori vere, essa ha validità oggettiva. L’intuizione pura dello spazio da cui
dipende la geometria ha validità oggettiva. Qui si dimostra la validità oggettiva
dell’intuizione a priori dello spazio rispetto alle conoscenze sintetiche a priori della
geometria.

2. Qui si parte dal presupposto che tali conoscenze a priori vadano a determinare
qualsiasiintuizione esterna e spiega come ciò sia possibile. Attraverso la nostra intuizione
pura dello spazio otteniamo conoscenze che determinano le proprietà spaziali di tutti gli
oggetti esterni. Ciò può essere spiegato solamente assumendo che la nostra intuizione pura
dello spazio è la forma di tutte le nostre intuizioni esterne. La nostra intuizione pura dello
spazio è la forma di tutte le intuizioni esterne.

Entrambi questi passaggi mostrano la validità oggettiva dell’intuizione pura di spazio e non parlano
di concetto di spazio, quest’ultimo non c’è perché nel provare che l’intuizione pura dello spazio ha
validità oggettiva, ha mostrato indirettamente anche la validità oggettiva del concetto di spazio.

Con questo lui ha provato che le nostre rappresentazioni di spazio hanno validità oggettiva, prova
l’idealità dello spazio (le nostre conoscenze rispetto a proprietà spaziali degli oggetti riguardano
caratteristiche che quegli oggetti hanno in quanto percepiti da noi) inoltre le proprietà spaziali
degli oggetti valgono solo in quanto gli oggetti sono intuiti da noi.

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CONSEGUENZE DERIVANTI DAI CONCETTI PRECEDENTI

Mostra qui che se da una parte le conoscenze che abbiamo riguardo allo spazio sono valide e sono
valide in quanto gli oggetti ci sono dati nell’intuizione. Lo spazio non rappresenta nessuna
determinazione delle cose in sé stesse e nelle loro relazioni fra di loro.

Così prende in considerazione due modi di considerare lo spazio:

Punto di vista soggettivo, lo spazio ha realtà.

Prescindendo dalla condizione soggettiva la rappresentazione dello spazio perde ogni significato.

Le cose in sé stesse dunque non hanno proprietà spaziali e lo spazio non esiste di per sé. Questo è
importante per l’utilità positiva della critica, sta creando uno spazio per degli oggetti che possono
avere delle caratteristiche diverse rispetto agli oggetti che noi conosciamo teoreticamente.
Partendo dall’idea che i fenomeni non esauriscono gli oggetti possibili, limitare le nostre
conoscenze al mondo dei fenomeni apre uno spazio per altri tipi di oggetti conoscibili in qualche
modo seppur non teoreticamente.

C’è però una famosa obiezione a questa affermazione di Kant (non esiste lo spazio in sé stesso e le
cose in sé non hanno proprietà spaziali): Kant assume in modo illegittimo che lo spazio e il tempo
siano O forme dell’intuizione (pertiene alle apparenze) O qualcosa che pertiene alle cose in sé
stesse, così prova che lo spazio e il tempo sono forme dell’intuizione e conclude che essi non
possono essere proprietà delle cose in sé. La conclusione è ingiustificata dato che lo spazio e il
tempo possono essere SIA forme dell’intuizione CHE proprietà delle cose in sé.

Quest’obiezione concede che Kant ha provato che lo spazio è forma a priori dell’intuizione ma
questo non è sufficiente per provare che questa non è una caratteristica anche delle cose in sé.

Ora distinzione fra idealità trascendentale e realtà empirica.

IDEALITÀ TRASCENDENTALE: coglie il fatto che le proprietà spaziali degli oggetti o lo spazio stesso
rappresenta proprietà che gli oggetti hanno solo in quanto sono intuiti da noi, ma non le hanno gli
oggetti in sé stessi. Questo però non significa che le nostre rappresentazioni dello spazio non ci
diano delle conoscenze.

REALTÀ EMPIRICA: lo spazio ha realtà empirica in quanto ha validità oggettiva relativamente ad


ogni possibile esperienza esterna.

Kant distingue la rappresentazione dello spazio da altre rappresentazioni soggettive secondarie


delle cose (gusto, colore…) perché quelle secondarie NON sono a priori e NON hanno validità
oggettiva rispetto ai fenomeni (non sono conoscenze oggettive come le conoscenze rispetto allo
spazio).

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Inoltre il modo in cui si parla di apparenze e cose in sé è diverso dal modo in cui si usano questi
concetti in modo trascendentale (le caratteristiche secondarie fanno parte del fenomeno).

QUINDI DOBBIAMO RICORDARE:

1. Caratterizzazione generale delle intuizioni in opposizione ai concetti.


2. Distinzioni tra materia (sensazione) e forma (intuizione a priori) del fenomeno.
3. Argomento per cui le nostre rappresentazioni dello spazio sono a priori e
originariamenteintuizioni.
4. Argomenti per cui esse hanno validità oggettiva.
5. Argomenti per cui esse non hanno alcun significato in relazione alle cose in sé.
6. Realismo empirico.
7. Idealismo trascendentale.

Quarta lezione

-TEMPO

Anche qui ci sono due esposizioni analoghe a quelle dello spazio nell’edizione dell’87, esposizione
metafisica e trascendentale del concetto di tempo.

ESPOSIZIONE METAFISICA DEL CONCETTO DI TEMPO

Deve mostrare che la nostra rappresentazione del tempo è a priori ed è originariamente una
intuizione. Inoltre come per lo spazio, anche qui si parla del concetto del tempo, ma abbiamo già
risolto la difficoltà che questo comporta parlando dello spazio. In questa esposizione abbiamo
cinque argomenti ma il terzo di fatto appartiene all’esposizione trascendentale (lo dice Kant
stesso).

1. PRIORITÀ DEL TEMPO: il tempo non è un concetto empirico, infatti la simultaneità o


lasuccessione non potrebbero mai costituirsi come percezioni se non ci fosse in qualche
modo a priori una rappresentazione del tempo che ci permetta di cogliere la simultaneità e
la successione. Questa rappresentazione a priori dunque ci serve per stabilire delle
relazioni temporali.
2. NECESSITÀ DEL TEMPO: il tempo è rappresentazione necessaria a fondamento di tutte
leintuizioni, non è possibile togliere dai fenomeni il tempo, mentre si possono togliere tutti
gli oggetti dal tempo. Solo nel tempo è possibile una qualunque realtà dei fenomeni.
Possiamo quindi immaginarci il tempo senza fenomeni, ma mai fenomeni che avvengono
non nel tempo, per questo esso è una condizione necessaria per rappresentarsi dei
fenomeni.
3. SINGOLARITÀ DEL TEMPO: questo argomento è in realtà il quarto (il terzo
appartieneall’esposizione trascendentale). Il tempo non è un concetto discorsivo, ma una
forma pura dell’intuizione sensibile, tempi diversi non sono che parti dello stesso tempo. 29

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rappresentazione che può essere data solo da un unico oggetto è un’intuizione, inoltre la
proposizione affermante che tempi diversi non possono essere simultanei non è ricavabile
da un concetto universale, questa proposizione essendo sintetica non può scaturire da
semplici concetti, ma è contenuta nell’intuizione e nella rappresentazione del tempo. Da
qui deriva che il modo in cui rappresentiamo le relazioni fra il tutto e le parti è diverso nelle
intuizioni (si parte dal tutto e per limitazione si arriva alle parti) e nei concetti, in questi
ultimi il tutto è ottenuto per composizioni (dalle parti si arriva al tutto).
4. INFINITÀ DEL TEMPO: questo sarebbe il quinto argomento. L’infinità del tempo significa che
ogni porzione limitata del tempo è possibile solo mediante la limitazione dell’unico tempo
che le sta a fondamento. Quindi la rappresentazione originaria del tempo non può che
essere illimitata, ma dal momento che le parti stesse non si possono rappresentare che
come limitate, ecco che la rappresentazione completa non può essere data per concetti
(contengono solo rappresentazioni parziali), ma da un’intuizione immediata che deve
fungere a fondamento di essi.

ESPOSIZIONE TRASCENDENTALE DEL CONCETTO DI TEMPO

Deve provare che alcune conoscenze sintetiche a priori che abbiamo derivano dalla nostra
rappresentazione del tempo e possono essere spiegate solo attraverso un certo modo di chiarire la
nostra rappresentazione del tempo (il fatto che essa è a priori ed intuitiva). Questa esposizione ha
un ruolo simile della Deduzione Trascendentale delle categorie (deve mostrare che le categorie
hanno validità oggettiva). Qui va collocato il terzo argomento che era nell’Esposizione
Trascendentale.

Kant qui ci dice che attraverso la nostra rappresentazione del tempo noi possiamo ottenere delle
conoscenze a priori che abbiano validità per tutti i fenomeni (il tempo ha una sola dimensione,
tempi diversi non sono mai simultanei…), queste verità presentano delle conoscenze a priori che
possiamo spiegare solo assumendo una rappresentazione a priori del tempo. In questo argomento
si assume che quelle conoscenze abbiano validità oggettiva e l’argomento usa un approccio simile
rispetto all’Esposizione Trascendentale dello spazio.

L’argomento che troviamo qui è molto più breve che quello che si trova nella sezione dello spazio.
E afferma che non possiamo comprendere il concetto di mutamento se non a partire da una
rappresentazione del tempo e quella rappresentazione non può essere concettuale, perché
altrimenti non potremmo capire come due proprietà contraddittorie di fatto non possano essere
attribuite allo stesso oggetto. Pensandole nel tempo possiamo pensare che le due proprietà non
possano coesistere nello stesso oggetto al medesimo tempo ma in tempi diversi, ma questo modo
di pensare è ottenibile solo mediante intuizioni e non mediante concetti. Visto che il concetto di
mutamento è parte della teoria generale del moto in fisica, ecco che la rappresentazione del
tempo è necessaria per comprendere le proposizioni della teoria del moto in fisica.

Possiamo dunque ricostruire l’argomento in questo modo:


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1. La teoria del moto contiene proposizioni sintetiche a priori.


2. Non potremmo avere nessun concetto del mutamento se non avessimo un’intuizione
puradel tempo.
3. Le proposizioni sintetiche a priori della teoria del moto sarebbero impossibili senza
unconcetto del mutamento.
4. Le proposizioni sintetiche a priori della teoria del moto sarebbero impossibili se
nonavessimo un’intuizione pura del tempo.
5. Se una rappresentazione è alla base di proposizioni sintetiche a priori vere, essa ha
validitàoggettiva.
6. L’intuizione pura del tempo da cui dipende la teoria del moto ha validità oggettiva.

Se non assumiamo un’intuizione a priori del tempo non possiamo spiegare la possibilità di quelle
proposizioni sintetiche a priori che pure ci sono.

Anche qui, dopo aver parlato del concetto di tempo, poi non lo riprende più. Anche qui possiamo
pensare che essendo il concetto di tempo semplicemente derivativo rispetto alle conoscenze che
possiamo sul tempo in base alla nostra intuizione del tempo, possiamo dire che anche il concetto
di tempo ha validità oggettiva in quanto semplice espressione secondaria delle conoscenze che
abbiamo tramite le intuizioni del tempo.

Quindi in questa Esposizione viene stabilito che le nostre rappresentazioni del tempo hanno
validità oggettiva, a differenza dell’Esposizione Trascendentale, non viene argomentato
esplicitamente che il tempo ha solamente una REALTÀ IDEALE, perciò non viene neanche provato
che le proprietà temporali degli oggetti che conosciamo attraverso le nostre rappresentazioni del
tempo sono proprietà che gli oggetti possiedono solo in quanto essi sono intuiti da noi.

CONSEGUENZE DI QUESTI CONCETTI

Qui Kant ci dirà che il tempo rappresenta la forma delle nostre intuizioni (e non proprietà degli
oggetti in sé stessi), quindi è qui che argomenta più propriamente l’idealità trascendentale del
tempo.

Kant parte da teorie opposte alla sua:

TEMPO COME COSA IN SÉ STESSA: legata a Newton. Non funziona perché considera il tempo come
un oggetto reale che però non ha veramente un corrispettivo a cui possiamo riferirci, è al tempo
stesso reale ed irreale.

TEMPO COME UN ORDINE DELLE COSE: legata a Leibniz. Non funziona perché qui non si capisce
come possiamo avere delle conoscenze a priori riguardo al tempo e da queste delle conoscenze
sintetiche a priori perché dovremmo andare a derivare tutte le nostre conoscenze dalle relazioni
fra le sostanze che esistono.

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Questi problemi non si generano se assumiamo che il tempo sia il modo in cui noi ordiniamo tutte
le intuizioni che ci vengono date, sia esterne che interne, se il tempo dunque è FORMA A PRIORI
delle nostre intuizioni. Mentre lo spazio riguarda solamente le intuizioni e i fenomeni esterni, il
tempo riguarda anche quelli interni (fenomeni della vita mentale). Il tempo inoltre NON è qualcosa
che possiamo attribuire le cose quando le pensiamo in sé stesse, infatti il tempo non è che una
condizione SOGGETTIVA della nostra umana intuizione e non è nulla in sé fuori del soggetto.

C’è però anche qui l’obiezione molto famosa alla non temporalità delle cose in sé che è la stessa
vista per lo spazio: Kant è capace di mostrare che il modo in cui noi ci rappresentiamo spazio e
tempo e le relazioni spaziali e temporali fra gli oggetti è intuitivo, ma da questo non segue che gli
oggetti in sé stessi non possano avere anch’essi delle proprietà spazio-temporali anche se noi
attraverso le nostre facoltà intuitive non andiamo a rappresentarle. Noi non sappiamo se le cose in
sé abbiano o meno delle proprietà spazio-temporali. Quest’obiezione è la neglected alternative.

Dopo questo Kant ne consegue l’idealità trascendentale del tempo (il tempo rappresenta proprietà
degli oggetti solo in quanto sono intuiti da noi) e la realtà empirica del tempo (attraverso la nostra
rappresentazione del tempo otteniamo comunque delle conoscenze sugli oggetti che possono
considerarsi oggettive). La rappresentazione del tempo dunque ha validità comunque per tutti gli
esseri umani, ma le proprietà che diamo agli oggetti basandoci sulla nostra intuizione del tempo,
non sono proprietà possedute dalle cose in sé stesse, ma sono solo date da noi in base alle nostre
intuizioni temporali. La validità oggettiva del tempo è anche legata alla validità intersoggettiva di
quell’intuizione.

Il tempo è soggettivo NON nel senso delle qualità secondarie delle cose (colore o gusto…) perché
esse NON sono a priori come il tempo, NON hanno validità oggettiva, il modo in cui si parla di ciò
che appare e ciò che è in sé per quanto riguarda le qualità secondarie è diverso dal modo in cui se
ne parla in modo trascendentale, nelle qualità secondarie si rimane SEMPRE E COMUNQUE sul
piano dei fenomeni.

OSSERVAZIONI GENERALI SULL’ESTETICA TRASCENDENTALE

Prima di parlare a questo c’è un chiarimento ad un’obiezione possibile alla sua teoria (ma non
introduce elementi nuovi).

Conseguenza dell’idealità di spazio e tempo è che ogni nostra intuizione si risolve nella
rappresentazione di un fenomeno e cose da noi intuite non sono in sé stesse ciò per cui le
intuiamo, né lo sono i loro rapporti. Questo in realtà lo abbiamo già visto: noi conosciamo gli
oggetti solo in quanto sottostanno alle forme a priori (che ordinano le nostre intuizioni) che
dipendono dalla nostra sensibilità, ma non li conosciamo come cose in sé stesse.

Qui Kant nota la differenza in cui lui distingue fra rappresentazioni sensibili e concetti e il modo in
cui lo fa la tradizione leibniziano-wolffiana.
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Kant: il modo in cui noi ci rappresentiamo gli oggetti nella sensibilità è fondamentalmente diverso
dal modo che abbiamo di rappresentare gli oggetti concettualmente. Per questo non c’è differenza
in gradi di chiarezza, ma una differenza genetica (legata proprio alla facoltà che genera le intuizioni
e i concetti). La sensibilità NON ci permette di conoscere la natura.

Leibniz e Wolff: ritengono puramente logica la distinzione. Noi possiamo classificare le nostre
classificazioni per gradi di chiarezza, lo scopo della conoscenza è quello di ottenere il massimo
grado della chiarezza. Nel passare dalle rappresentazioni non chiare a quelle distinte noi
otteniamo la struttura concettuale interna di un determinato concetto. Tramite la sensibilità ci
vengono date rappresentazioni chiare che però non sono distinte (per ottenere queste ultime ci
vuole un’operazione intellettuale).

Kant inoltre afferma che nel dire che noi conosciamo solo apparenze, questo NON elimina
l’oggettività delle nostre conoscenze. Si richiama l’idea di qualità primarie (quantificabili) e
secondarie (attribuite agli oggetti in quanto vengono esperite da noi attraverso i sensi). Nella
teoria di Kant si può differenziare fra queste qualità secondarie che non appartengono all’oggetto
in sé e qualità che invece hanno una validità oggettiva, ma quando si fa questa distinzione, questa
è SEMPRE interna ai fenomeni e quindi quando in questo senso parlo di cose in sé sto SEMPRE
parlando di fenomeni. Quando invece parlo di apparenze e cose in sé a livello TRASCENDENTALE,
allora scendo ad un livello molto più radicali e dunque l’apparenza diventa il fenomeno, la cosa in
sé l’incoglibile nuomeno che non sta al di sotto delle rappresentazioni di spazio e tempo che noi
abbiamo.

A questo proposito Kant ci dirà esplicitamente che quando lui tratta le rappresentazioni come
apparenze, non vuole dire che quelle rappresentazioni non possano avere lo statuto di conoscenza
e fa dunque una distinzione fra:

APPARENZA (Erscheinung): sono conoscenze sugli oggetti possibili di esperienza.

PARVENZA (Schein): presunte conoscenze che riguardano oggetti che non possono esserci dati
nell’esperienza possibile.

QUINDI COSA DOBBIAMO RICORDARE:

1. Argomenti per cui le nostre rappresentazioni del tempo sono a priori e


originariamenteintuizioni.
2. Argomenti per cui esse hanno validità oggettiva.
3. Argomenti per cui esse non hanno alcun significato in relazione alle cose in sé.
4. Conseguenze dell’idealità di spazio e tempo per tutte le intuizioni.
5. La critica a Leibniz e a Wolff.
6. Senso empirico e senso trascendentale della distinzione fenomeni/cose in sé.
7. Distinzione fra Erscheinung e Schein.

Quinta lezione

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Parliamo di logica trascendentale. Il suo compito è quello di studiare la facoltà dell’intelletto


identificando i concetti (rappresentazioni dell’intelletto) che sono a priori e che vanno a
determinare il modo in cui ci rappresentiamo gli oggetti.

Purse distingue due modi di usare i concetti:

- Nei giudizi per formare proposizioni (analitica trascendentale).


- Per formare inferenze. Se i concetti possono essere usati nei singoli giudizi che formano le
inferenze, ecco che essi possono essere usati nelle inferenze stesse (dialettica
trascendentale).

La logica trascendentale dunque individua i concetti a priori degli oggetti, ne stabilisce la validità e
identifica i limiti del loro utilizzo.

Partiamo dall’introduzione generale della logica trascendentale. Kant parte ribadendo la


distinzione fondamentale fra concetti ed intuizioni:

- Intuizioni: ci danno gli oggetti e hanno rapporto diretto con l’oggetto, hanno una ricettività.
Sono legati alla sensibilità, l’intuizione non può che essere sensibile.
- Concetti: sono caratterizzati da spontaneità e non hanno bisogno di rapporto diretto con
l’oggetto per funzionare. Sono legati all’intelletto.

Essi DEVONO lavorare insieme per poterci dare una conoscenza: “i pensieri senza contenuti sono
vuoti, le intuizioni senza concetti sono cieche”. Caratteristica degli esseri umani è quella di avere
delle intuizioni sensibili (mai intellettuali) separate dai concetti (possono esserci altri esseri che
non funzionano così però).

Kant chiarisce poi che cos’è la logica trascendentale inquadrandola all’interno di altri tipi di logica.
Classifica dunque la logica per vedere che posto occupi la logica trascendentale. Una prima
distinzione si ha fra:

- Logica dell’uso generale dell’intelletto: tratta delle leggi assolutamente necessarie del
pensiero senza le quali non si dà uso alcuno dell’intelletto. Concerne l’intelletto a
prescindere dagli oggetti a cui può essere rivolto. Questa può essere:
PURA: in essa prescindiamo da tutte le condizioni empiriche sotto cui il nostro intelletto è
impiegato (leggi della memoria, forza dell’abitudine…). Identifichiamo regole logiche
dell’uso del nostro intelletto.
APPLICATA: va a considerare aspetti della nostra psicologia che possono andare ad
influenzare il modo in cui ragioniamo, per tutti gli oggetti possibili. Un possibile oggetto di
questa è la trattazione dei pregiudizi (del modo in cui noi ce li creiamo) che influenzano il
nostro modo di ragionare su qualunque tipo di oggetti.

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- Logica dell’uso particolare dell’intelletto: comprende le regole per pensare rettamente


una determinata specie d’oggetti. Il campo è più ristretto. Sono regole per pensare oggetti
trattati all’interno di una data scienza.

A questo punto, in questo schema dove si inserisce la logica trascendentale?

Mentre la logica generale identifica regole che valgono per qualsiasi tipo di ragionamento, quella
trascendentale parte dall’assunto che possiamo avere dei contenuti a priori rispetto alla nostra
conoscenza degli oggetti che vanno a determinare delle conoscenze a priori che dipendono dai
concetti ed è assumendo queste conoscenze che viene sviluppata la logica trascendentale la quale
dunque non prescinde totalmente da qualunque tipo di oggetto.

Dunque la logica trascendentale non considera le conoscenze empiriche ma a priori e deve


verificare validità, origine, estensione, di tali conoscenze. A questo punto dunque siamo in grado di
classificare la stessa logica trascendentale. Kant non è chiarissimo su questo, ma abbiamo diverse
risposte:

- È una logica particolare perché si riferisce a determinati oggetti.


- È una terza suddivisione della logica in generale, la motivazione sta nel fatto che Kant per
restringere il campo di applicazione non usa l’idea che questa logica valga solo per un
insieme di concetti specifico, ma si basa sull’idea che prende in considerazione dei
contenuti e quindi la distinzione fra logica generale e trascendentale è di tipo diverso
rispetto alla distinzione fra logica generale e particolare, di conseguenza sarebbe
necessario introdurre una terza categoria di logica per quella trascendentale.
- È un caso specifico della logica generale. È generale perché è valida per tutti gli oggetti, ma
introduce dei contenuti che la pura non prende in considerazione.

Ecco che ora Kant richiama un’altra distinzione interna alla logica generale:

ANALITICA: quella parte della logica che ci dà il criterio logico della verità. È la contitio sine qua
non, la condizione negativa di ogni verità.

DIALETTICA: la logica generale diventa dialettica quando viene usata come organo di effettiva
produzione di conoscenze oggettive, mentre non lo è che di illusioni. È una LOGICA DELLA
PARVENZA.

Questa distinzione è parallela nella logica trascendentale:

ANALITICA: è una logica della verità. Per avere conoscenze dobbiamo usare sia concetti che
intuizioni, l’analitica trascendentale nel definire quel tipo di conoscenze che possiamo avere solo
sulla base di concetti, prende in considerazione che è necessario che gli oggetti ci siano dati
nell’intuizione.

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DIALETTICA: si dimentica di tale condizione e pensa che i concetti puri dell’intelletto bastino da soli
ad offrirci delle conoscenze sugli oggetti. Questo causa dei sofismi e un uso dialettico, illusorio
della ragione. C’è anche un lato positivo però, la seconda parte della logica trascendentale deve
infatti prendere la forma di una critica di questa parvenza dialettica essendone una diagnosi e una
cura.

A questo punto si passa a parlare del compito particolare dell’analitica trascendentale. Quello che
deve fare è andare a indicare quali sono i concetti o le rappresentazioni a priori che ci offrono una
conoscenza pura e che dipendono dall’intelletto. Ci sono due modi in cui “intelletto” è usato da
Kant:

In un senso più generale l’intelletto lavora con concetti che sono le sue rappresentazioni, può
utilizzarli per formare proposizioni o inferenze.

In un senso più ristretto si riferisce soltanto ad un uso nei giudizi dei concetti. Questo viene preso
in considerazione nell’analitica trascendentale.

Ci sono quattro condizioni per cui i concetti possano essere veramente a priori degli oggetti:

1) Devono essere puri.


2) Devono essere concetti dell’intelletto.
3) Devono essere concetti elementari.
4) Bisogna offrirne una lista completa.

L’Analitica Trascendentale è ancora divisa in analitica dei concetti (identifica le categorie


deducendole) e analitica dei principi (analizza nello specifico come dalle categorie possano nascere
conoscenze sintetiche a priori). Inoltre deve essere chiaro che per l’analitica dei concetti non si
intende l’analisi della struttura interna di un concetto ma della facoltà stessa dell’intelletto per
cercare la possibilità dei concetti a priori attraverso il loro reperimento nel solo intelletto, quale
loro luogo d’origine.

DEDUZIONE METAFISICA DELLE CATEGORIE

Questa è una parte importante. Il suo compito è quello di identificare i concetti a priori elementari
tramite i quali pensiamo gli oggetti. La lista di questi concetti deve essere completa, ma come
possiamo essere sicuri della sua completezza? Che metodo usare?

La filosofia trascendentale deve andare alla ricerca dei propri concetti attraverso un principio, per
avere la sicurezza della completezza ecco che dobbiamo ricavare la lista dei concetti sulla base di
un principio. Quel principio è la facoltà del giudicare. Questo è un primo passo fondamentale della
deduzione: bisogna stabilire una connessione necessaria fra concetti e giudizi.

Come fa Kant a stabilire questa connessione? L’unico modo per utilizzare i concetti di modo che
essi possano offrirci delle conoscenze è quello di usarli nei giudizi. Lui dice esplicitamente che
l’intelletto non può infatti fare altro uso dei concetti che utilizzarli nei giudizi e lega i concetti ad

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una FUNZIONE (l’operazione che ordina diverse rappresentazioni sotto ad una rappresentazione
comune). La funzione è un’operazione che porta delle rappresentazioni sotto un’altra
rappresentazione, ci fa un esempio per comprendere bene questo (un corpo è divisibile, quindi il
concetto di corpo si riferisce ad un oggetto che cade sotto ad un concetto più generale di
divisibilità, questa divisibilità è riferibile a tante cose, ma in questo caso specifico è riferita al
concetto di divisibilità).

Bisogna dunque analizzare i giudizi a partire da una lista di giudizi che comprenda tuti i tipi
fondamentali di giudizi secondo cui possiamo classificare i giudizi. Così abbiamo una tavola di 12
giudizi organizzati in 4 gruppi da 3.

QUANTITÀ: universali, particolari, singolari.

QUALITÀ: affermativi, negativi, infiniti (la negazione è inclusa nel predicato).

RELAZIONE: categorici, ipotetici, disgiuntivi.

MODALITÀ: problematici (giudizio visto come possibile), assertorio (se ciò che è detto è affermato
come vero), apodittici (ciò che è affermato è necessariamente vero).

Questa lista appartiene alla logica trascendentale.

Ora abbiamo la lista, come si ottiene la lista di concetti puri degli oggetti? La prima cosa da fare per
derivarli da qui è ribadire che tramite i soli concetti non possiamo ottenere conoscenze, quindi le
relazioni fra concetti che stabiliamo nei giudizi non possono offrirci delle conoscenze se non
possono avere un corrispettivo in relazioni rintracciabili al livello delle intuizioni. Alle relazioni tra
concetti deve quindi corrispondere una sintesi dei materiali dell’intuizione.

Dopo aver stabilito ciò, come operiamo questa sintesi?

La stessa capacità che ci permette di stabilire quelle relazioni fra concetti è qui applicata a livello
delle intuizioni. Quella medesima funzione che conferisce unità alle diverse rappresentazioni in un
giudizio, dà anche unità alla semplice sintesi delle diverse rappresentazioni in un’intuizione.
Questa unità è detta CONCETTO PURO DELL’INTELLETTO.

Quindi come deriva i concetti puri dell’intelletto (=categorie)?

Sappiamo che quell’attività che porta diverse rappresentazioni sotto ad un’unica rappresentazione
può essere classificata identificando tipi diversi di giudizio (tavola dei giudizi). Sappiamo anche che
a quella funzione corrisponde una stessa funziona che va ad operare una sintesi a livello dei
materiali dell’intuizione. Quando quella funzione è svolta a livello dell’intuizione potremo dunque
identificare dei modi fondamentali in cui quella funzione è svolta. Così otterremo le categorie che
saranno modi in cui l’intelletto va ad unificare il molteplice del materiale dell’intuizione (=come i
tipi di relazione dei giudizi a cui le categorie corrispondono).

RIASSUMENDO:

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1) Per offrire conoscenze i concetti devono essere usati nei giudizi.


2) I giudizi sono funzioni che portano una o più rappresentazioni sotto un concetto.
3) I giudizi possono essere classificati secondo i loro tipi fondamentali.
4) I giudizi, per fornire delle conoscenze, devono essere collegati ad una sintesi del molteplice
dell’intuizione.
5) Le categorie sono i modi fondamentali con cui operiamo questa sintesi e corrispondono ai
tipi fondamentali di giudizio.

Quindi abbiamo dunque le categorie anch’esse in una tavola che ricalca quella dei giudizi. 12
componenti in 4 gruppi da 3:

QUANTITÀ: unità, totalità, pluralità.

QUALITÀ: realtà, negazione, limitazione.

RELAZIONE: inerenza e sussistenza, causalità e dipendenza, comunanza (azione reciproca di un


agente ed un reagente).

MODALITÀ: possibilità-impossibilità, esistenza-inesistenza, necessità-contingenza.

QUINDI DA RICORDARE:

1) Classificazione dei vari tipi di logica.


2) Dove va posizionata la logica trascendentale.
3) Cosa la contraddistingue.
4) I diversi compiti dell’Analitica e della Dialettica.
5) Cosa deve fare l’analitica dei concetti.
6) Argomento della deduzione metafisica delle categorie.
7) Tavola de giudizi e tavola delle categorie.

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Sesta lezione

Deve essere ora dimostrato che attraverso le categorie noi otteniamo delle conoscenze a priori che
vanno a determinare il modo in cui gli oggetti entrano a far parte della nostra conoscenza.

Finora abbiamo identificato le categorie (concetti puri dell’intelletto, rappresentazioni a priori che
dipendono dalla facoltà dell’intelletto). Queste corrispondono ai modi fondamentali con cui
operiamo una sintesi dei contenuti dell’intuizione. Perciò le categorie non sono altre che le forme
dei giudizi, i tipi fondamentali di giudizio, i modi fondamentali attraverso cui stabiliamo relazioni
fra concetti.

Ora nella deduzione trascendentale deve chiedersi se quelle categorie hanno validità OGGETTIVA
(tramite quelle rappresentazioni riusciamo a conoscere qualcosa che veramente pertiene agli
oggetti?) ma oltre a questo, se stabilirà che questi concetti puri dell’intelletto hanno validità, allora
bisognerà individuare dei LIMITI all’utilizzo delle categorie.

La deduzione trascendentale nella seconda edizione viene completamente riscritta. Prenderemo in


considerazione la seconda edizione, anche quella dell’81 è importante, ma quella dell’87 ci offre
una deduzione trascendentale con una forma ed una struttura più chiara. la deduzione può essere
suddivisa in una prima parte più introduttiva (cos’è la deduzione, perché è necessaria…) e poi
l’argomento vero e proprio. È normale dividere questa parte dell’argomento ancora in due parti.

Per quanto riguarda il possesso di concetti, è importante la distinzione fra:

QUESTIONE DI DIRITTO

QUESTIONE DI FATTO

Noi dobbiamo intendere la parola “deduzione” non in senso logico, ma in senso giuridico. Questo
non significa che non troviamo un argomento di struttura deduttiva in senso logico comunque, ma
ci fa capire che la deduzione trascendentale deve essere intesa come tale almeno anche perché
può essere pensata in modo analogo rispetto alla questione giuridico.

La questione della validità dei concetti empirici può essere verificata nell’esperienza (sono usati e
derivati sempre e solo dall’esperienza). Per i concetti a priori questo non vale, essi possono essere
utilizzati in totale assenza di esperienza e dunque la questione della loro validità è particolarmente
importante (e può essere verificata solo in modo deduttivo).

Abbiamo poi una definizione di cos’è una deduzione trascendentale: la spiegazione di come i
concetti a priori si possano riferire ad oggetti, è quindi diversa da una deduzione empirica che fa
vedere come un concetto sia acquisito mediante l’esperienza e la riflessione su di essa e non
riguarda la legittimità (come la trascendentale) ma il fatto da cui risulta il possesso. Quindi la
trascendentale deve mostrare che tramite una rappresentazione dataci da un concetto a priori noi
possiamo ricavare delle conoscenze che sono riferite ad oggetti. Kant ci dice anche che NON tutti i
concetti a priori hanno bisogno di una deduzione trascendentale allo stesso modo, ad averne

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bisogno sono infatti le categorie. L’idea è che quando il concetto di spazio è usato
indipendentemente dalle categorie tendiamo ad usarlo all’interno dei limiti del suo uso legittimo
questo NON accade per le categorie, per delle proprietà intrinseche alle categorie noi abbiamo la
tendenza ad utilizzarle in modo illegittimo (per questo è necessario dare anche dei limiti chiari
dell’uso delle categorie).

Quindi le categorie poiché sono prima di tutto concetti dell’intelletto, che dunque non hanno un
legame necessario con l’intuizione, noi siamo portati ad utilizzarle indipendentemente
all’intuizione sensibile in modi che non sono appropriati. Per questo è particolarmente necessario
una deduzione trascendentale. A questo punto ci indica anche una difficoltà della deduzione
trascendentale delle categorie che non abbiamo avuto quando abbiamo mostrato la validità
oggettiva dello spazio e del tempo: le categorie sono condizioni per pensare gli oggetti e quindi è
possibile che ci siano dati oggetti nelle intuizioni senza che intervengano le categorie. Ci sono
diverse interpretazioni del passo dove parla di questo. Kant direbbe:

CONCETTUALISTA: Kant stabilisce la validità delle categorie mostrando che anche per avere
intuizioni al livello più basilare abbiamo già bisogno dell’intervento delle categorie (quando dice
che concetti ed intuizioni possono sussistere da soli, questa è solo una possibilità che deve essere
smontata attraverso la deduzione).

NON CONCETTUALISTA: è possibile avere concetti senza intuizioni per quanto riguarda delle
conoscenze semplici e non complesse (quando Kant ha detto che dobbiamo avere concetti e
intuizioni insieme, avrebbe parlato di una conoscenza complessa).

Kant conclude dunque ribadendo il compito della deduzione trascendentale: vedere se ci sono
concetti a priori dell’intelletto che sono necessari per l’esperienza in un modo ANALOGO delle
forme a priori dell’intuizione (pur operando su di un altro livello).

DEDUZIONE TRASCENDENTALE DELLE CATEGORIE (1787)

Questo argomento può essere diviso in due parti.

1) In questo step, Kant prende in considerazione il fatto che il nostro intelletto fa affidamento
sull’intuizione per avere oggetti. D’altra parte però Kant fa anche astrazione sul fatto che le
nostre forme di intuizione sono lo spazio e il tempo. Quando parla di intelletto qui lo
prende in considerazione solo in quanto dipende dalle intuizioni (non un intelletto di
un’entità superiore che quando pensa un oggetto HA l’oggetto).
Ci sono due idee in questo contesto da tenere presenti: l’atto della congiunzione del
molteplice delle rappresentazioni per giungere a conoscenza. Tramite le intuizioni abbiamo
molteplicità di rappresentazioni degli oggetti che hanno un certo ordine attraverso le
nostre forme a priori, ma nessuna rappresentazione che mi è data a livello dell’intuizione
può ottenere una qualche congiunzione di quei materiali ottenendo un’unità (per ottenere
una
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rappresentazione di un oggetto singolo DEVO avere un principio che dà unità alle diverse
rappresentazioni che vanno a formare l’oggetto). Questa congiunzione deve dunque
dipendere dall’INTELLETTO (ogni unità dipende dall’intelletto). Altra idea fondamentale è
l’unità sintetica dell’appercezione, una forma di autocoscienza per la quale, almeno in
linea di principio, mi è possibile riconoscere le rappresentazioni come mie. Questo è il
principio di fondo per poter poi operare una congiunzione di rappresentazioni
successivamente. Quindi a questo punto:
Solo attraverso l’unità sintetica dell’appercezione posso unificare il molteplice
dell’intuizione.
-L’intelletto porta il molteplice delle rappresentazioni sotto l’unità sintetica
dell’appercezioni attraverso le funzioni logiche del giudizio (i tipi fondamentali di giudizio). -
Ogni molteplice che appartiene ad una intuizione unitaria deve essere determinata
attraverso almeno una delle funzioni logiche del giudizio.
-Le categorie non sono altro che queste funzioni logiche
-Ogni molteplice che appartiene ad un’intuizione unitaria deve essere determinato
attraverso (almeno) una delle categorie.

2) Qui sono prese in considerazione lo spazio e il tempo come nostre forme a priori
dell’intuizione. Quindi può tenere presente come le categorie siano usate per la sintesi di
molteplici dell’intuizione rispettivamente empirici e puri. Stabilisce che ad ogni sintesi di un
molteplice empirico debba corrispondere una sintesi di un molteplice puro e in questo
modo spiega come le categorie possano offrire conoscenze a priori che determinano il
modo in cui andremo ad esperire gli oggetti. Quindi qui bisogna stabilire che ad ogni sintesi
di un molteplice empirico deve corrispondere una sintesi dei materiali che mi sono dati a
priori (in ambito puro). Questo spiega come le categorie possano offrire una conoscenza a
priori rivolta al molteplice puro che andrà a determinare anche come andrò ad esperire
quel molteplice puro. Perciò:
-La sintesi dell’apprensione ha il compito di combinare un molteplice empirico di
un’intuizione in un’intuizione unitaria.
-Il molteplice empirico dell’intuizione deve conformarsi alle nostre forme a priori
dell’intuizione.
-La sintesi dell’apprensione deve conformarsi alle nostre forme a priori dell’intuizione. -
Ogni sintesi di un molteplice empirico nello spazio e nel tempo presuppone una sintesi
corrispondente di un molteplice puro nello spazio e nel tempo.
-La sintesi dell’apprensione presuppone una sintesi corrispondente di un molteplice puro
nello spazio e nel tempo.

Per quanto riguarda questo secondo step, quella sintesi di un molteplice puro che accompagna
ogni sintesi del molteplice empirico ha a che fare con la facoltà dell’immaginazione.

Questo argomento mostra che senza le categorie non sarebbe possibile nessuna congiunzione di
materiali dell’intuizione e senza questa non si avrebbe alcuna rappresentazione unitaria degli
oggetti
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e dunque nessuna conoscenza. Per porre dei limiti alle categorie però lui insiste sui fatti che i
concetti da soli senza le intuizioni non possono darci conoscenza e quindi le categorie essendo
concetti a priori degli oggetti possono darci la falsa impressione di essere foriere di una
conoscenza senza intuizione di oggetti, ma lui ha mostrato che solo attraverso le categorie
possiamo compiere una sintesi di materiale datici dall’intuizione e senza questo esse non servono,
NON possono agire senza materiali dati dall’intuizione.

QUINDI DA RICORDARE:

1) Che cos’è una deduzione trascendentale.


2) Il primo step dell’argomento della deduzione (intelletto e atto della congiunzione e unità
sintetica dell’appercezione).
3) Il secondo step dell’argomento della deduzione (connessione necessaria fra sintesi di un
molteplice empirico e puro).
4) Limiti utilizzo delle categorie.

Settima lezione

Cominciamo con l’analitica dei principi, ma a cosa serve? Con l’analitica dei concetti abbiamo
trovato le categorie, abbiamo verificato la loro validità oggettiva. Qui invece, pur non essendoci
un’analisi radicalmente diversa dall’analitica precedente, spiega più nel dettaglio come le categorie
possano fungere da regole per la sintesi dell’intuizione, inoltre identifica proposizioni sintetiche a
priori che derivano dalle categorie.

All’inizio Kant chiarisce l’oggetto dell’analisi che va ad iniziare e va a paragonare la struttura della
logica generale con quella trascendentale e va a vedere le conseguenze di questo. Parla di
intelletto in generale (facoltà della conoscenza che raccoglie tutte la facoltà superiori della
conoscenza: intelletto, giudizio e ragione intesa come facoltà delle inferenze e non come possesso
di conoscenze a priori), introduce qui una facoltà di cui non ci aveva parlato prima e che è il
giudizio o meglio, la capacità di giudizio. L’analitica della logica generale sarà divisa in tre parti:

INTELLETTO – tratta dei concetti.

GIUDIZIO – tratta dei giudizi.

RAGIONE – tratta dei sillogismi.

Dopo questo ecco che Kant andrà ad identificare una differenza della logica trascendentale che
non avrà la stessa divisione. Infatti attraverso la facoltà della ragione non andrà studiata all’interno
dell’analitica della logica trascendentale che si occupa invece di capire come noi siamo capaci di
conoscenze sintetiche a priori.

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Kant introduce quindi una nuova facoltà, parla della facoltà di giudizio, cos’è? Non la capacità di
formulare un giudizio come connessione di concetti, qui lui parla di capacità di giudizio come
capacità di sussumere, cioè di distinguere se qualcosa stia o no sotto una regola data (far cadere
l’oggetto sotto la regola). Questa capacità è un dono naturale (es. un medico può conoscere tutta
la teoria patologica, ma quando si tratta di applicare la teoria ai casi particolari, quella conoscenza
non è sufficiente, ma c’è bisogno di capacità di giudizio che può essere imparato solo attraverso
l’esempio, non mediante regole).

Dopo di ciò dirà che la logica trascendentale deve offrire una guida per il modo in cui andremo a
trovare dei casi per le categorie. Le categorie sono concetti a priori che pretendono di descrivere a
priori gli oggetti che ci sono dati nell’intuizione. Per questi concetti dunque dobbiamo avere una
guida che ci dica come andare ad utilizzarli per applicarli al materiale dell’intuizione, ma come può
la logica trascendentale offrire una guida per questa applicazione?

Attraverso l’intuizione abbiamo accesso a due tipi di molteplici, da una parte quello puro (relazioni
di spazio e tempo), dall’altra quello empirico. Abbiamo anche visto che a sintesi di molteplice
empirico corrisponde molteplice puro e da questo dipendeva la validità delle categorie. Ora qui
sviluppa questa idea e va ad introdurre un elemento ulteriore. L’idea di base è che noi possiamo
indicare già come la categoria verrà utilizzata perché a priori noi possiamo vedere come essa è
utilizzata in relazione al molteplice puro. Introduce ora lo schema.

Per parlare di schematismo prima di tutto Kant dice che è necessario individuare qualcosa di
intermedio fra concetti ed intuizioni affinché, essendo eterogenee, si possano applicare i concetti
alle intuizioni. L’eterogeneità vale infatti anche per le categorie che sono concetti e dunque hanno
bisogno di un intermediario per essere applicate alle intuizioni. Questo intermediario deve avere
una certa omogeneità con entrambi gli estremi. Quindi fondamentale è la domanda: come
possono le categorie essere applicate all’intuizione?

È chiaro che ci deve essere qualcosa di intermedio, questa rappresentazione intermedia deve
essere pura e per un verso intellettuale, per l’altro sensibile, essa è lo schema trascendentale che è
una rappresentazione di relazioni nel tempo, infatti il tempo è quella forma dell’intuizione a cui
necessariamente tutti i fenomeni si devono conformare (mentre lo spazio è solo la forma delle
intuizioni esterne), è la forma UNIVERSALE di tutti i fenomeni.

Lo schema NON è un’immagine, lo schema è sempre soltanto un prodotto dell’immaginazione ma


non è un’immagine (rappresentazione sensibile che rappresenta un oggetto singolo), infatti lo
schema è la procedura tramite cui partendo da un concetto riesco ad ottenere un’immagine che gli
corrisponde. Sembra una regola per ottenere da una rappresentazione concettuale una
rappresentazione sensibile di un oggetto. Ci fa due esempi:

1) Triangolo in generale: non c’è un’immagine che possa rappresentare adeguatamente il


concetto di triangolo in generale, perché quando ne ho una rappresentazione sensibile,
questa dovrà per forza essere isoscele, scaleno… con una certa grandezza, mentre il
concetto
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di triangolo in generale astrae da tutte queste variabili. Schema adeguato sarà una regola
per ottenere delle immagini che sono conformi a quel concetto in generale (pur non
rappresentando il concetto).
2) Cane: per riconoscere i cani che vediamo nelle nostre intuizioni abbiamo bisogno di una
rappresentazione intermedia che ci dia uno “schizzo” che ci mostra delle relazioni spaziali
che descrivono la figura di un cane e che non andranno a determinare la figura di un cane
in particolare, ma ci offrirà una regola per riconoscere le intuizioni particolari di cani
riconducendolo ad un concetto generale.

Molti hanno trovato paradossale che esistano schemi di concetti empirici (Kant stesso poi
abbandonerà l’idea di schemi empirici parlando solo di “esempi”). Comunque lo schema è una
regola per ottenere diverse rappresentazioni che possono essere tutte conformi ad un concetto di
partenza (mentre l’immagine è un’immagine particolare).

Parla ora di schemi trascendentali (quelli sopra erano intellettuali), qui non è chiarissimo,
comunque ci dice che lo schema di un concetto puro dell’intelletto non può MAI essere trasposto
in immagine. Questi schemi si applicano alle categorie e dunque non otterremo mai un’immagine,
sono determinazioni di relazioni di tempo che noi possiamo operare sul materiale che ci è dato a
priori e dunque va ad individuare relazioni che corrispondono alla categoria.

Ogni classe di categoria avrà il suo schema:

QUANTITÀ: lo schema è il numero, la produzione di tempo mediante l’addizione.

QUALITÀ: lo schema di cui parla è quello legato alla categoria della realtà, appare anche la
negazione però. Kant lega la realtà al grado di sensazione, quando il grado di negazione diminuisce
fino al nulla abbiamo la categoria di negazione. Qui abbiamo una sensazione che nascerà ed
arriverà ad un determinato grado di intensità in un processo che avviene nel tempo.

RELAZIONE: uno schema per ogni categoria: permanenza del reale nel tempo (sostanza),
successione del molteplice (causa), contemporaneità delle determinazioni di due sostanze
(comunanza).

MODALITÀ: sintesi che non contraddice le condizioni del tempo (possibilità), esistenza in un
determinato tempo (esistenza), esistenza di un oggetto in qualsiasi tempo (necessità).

Dopo questo comincia a presentare il ruolo dei PRINCIPI e la loro relazione con le categorie. In
questo capitolo si dovrà individuare delle proposizioni sintetiche a priori che derivino in qualche
modo dalle categorie. Ora, in che modo questo capitolo è in relazione con lo schematismo?

Il modo in cui le categorie sono applicate in quei giudizi sintetici a priori presuppone uno
schematismo che possa ancorare la sintesi a livello concettuale ad un lavoro che facciamo a livello
di intuizioni.

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I vari principi sono:

ASSIOMI DELL’INTUIZIONE (corrispondono alle categorie della quantità).

ANTICIPAZIONI DELLA PERCEZIONE (qualità).

ANALOGIE DELL’ESPERIENZA (relazione).

POSTULATI DEL PENSIERO EMPIRICO IN GENERALE (modalità).

Ultima distinzione che Kant fa prima dei principi veri e propri:

MATEMATICI: principi che risultano necessari (apodittici). Si rivolgono a quei contenuti


dell’intuizione che ci sono disponibili a priori e si rivolgono agli aspetti quantificabili degli oggetti
che ci sono dati nell’intuizione.

DINAMICI: principi che riguardano una sintesi che va a determinare l’esistenza dei fenomeni (che
non è data a priori). Hanno un grado di certezza inferiore. Determinano relazioni fra oggetti che ci
sono dati nell’intuizione.

QUINDI DA RICORDARE:

1) Come può essere dato a priori un caso a cui applicare le categorie.


2) Ruolo dello schematismo (rappresentazione intermedia fra categorie ed intuizioni e regola
per la sintesi del molteplice puro del tempo in accordo con le categorie).
3) Schemi delle categorie
4) Cosa sono i principi (applicano le categorie in giudizi sintetici a priori, sono associati ad una
determinazione di relazioni nel tempo).

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Ottava lezione

Si prosegue analisi dell’Analitica dei principi.

Abbiamo per primi i principi matematici (assiomi dell’intuizione e anticipazioni della percezione):
si rivolgono solo all’intuizione e hanno certezza intuitiva (non discorsiva) e determineranno aspetti
quantificabili dell’intuizione. Ci pongono in grado di applicare la matematica ai fenomeni e si
riferiscono ai fenomeni in ordine alla loro semplice possibilità. Infine questi principi sono forieri di
una sintesi matematica.

Parla di semplice possibilità, questo perché tramite le nostre forme pure dell’intuizione noi
abbiamo accesso ad un molteplice puro della sensibilità. Lavorando su questo molteplice puro non
abbiamo ancora una vera e propria cognizione di oggetti reali, ma quelle conoscenze andranno a
determinare il modo in cui gli oggetti empirici mi saranno dati. Si tratta di una sintesi matematica
perché costruiamo un oggetto determinando delle proprietà nello spazio e nel tempo
indipendentemente dall’esperienza (questa è una costruzione). Così i principi materiali ci danno
delle regole spiegandoci come sia possibile costruire oggetti sintetizzando il molteplice puro datoci
attraverso le forme a priori di spazio e tempo. Questi principi hanno validità anche per l’esperienza
perché ogni esperienza dovrà anche adeguarsi a quella sintesi pura.

ASSIOMI DELL’INTUIZIONE

Chiamati così perché i principi qui identificato sono le condizioni degli assiomi che troviamo poi
nella matematica (e nella geometria). Il principio che sta alla base di questi assiomi ha due
formulazioni nell’81 e nell’87:

81: tutti i fenomeni, quanto alla loro intuizione, sono quantità estensive.

87: tutte le intuizioni sono quantità estensive.

Le due formulazioni intendono in realtà esprimere la stessa idea. Comunque non si capisce ancora
cosa si intende, dunque è necessario capire cos’è una QUANTITÀ ESTENSIVA:

quella quantità in cui la rappresentazione delle parti rende possibile quella del tutto. Si parte dalle
parti per ottenere una totalità mediante l’addizione delle parti. Ad esempio quando si pensa una
certa porzione dello spazio o del tempo, questa rappresentazione della parte determinata dello
spazio o del tempo, è il risultato di un’addizione di piccole parti che ci danno una rappresentazione
finale che avrà una certa estensione nello spazio e nel tempo. In tutto ciò c’è una possibile
contraddizione riguardo ciò che ci ha detto su spazio e tempo nell’Estetica Trascendentale, là
aveva detto che noi guardiamo alle porzioni di spazio e di tempo come di limitazioni di uno spazio
e di un tempo più fondamentale (il tutto viene prima delle parti, qui invece le parti vengono prima
del tutto). Come risolvere questa contraddizione?

Lo spazio e il tempo come totalità ci sono date a priori attraverso l’intuizione e già ci offrono
un’idea della totalità dello spazio e del tempo che mi permette di vedere come ogni porzione di
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spazio e tempo è solo una limitazione di un tempo più vasto. Non possiamo formarci però una
rappresentazione della totalità dello spazio e del tempo. Possiamo solo rappresentarci delle
porzioni di spazio e tempo e per formarci queste rappresentazioni noi operiamo una sintesi
successiva a partire dalle parti dello spazio e del tempo.

Ora, cosa significa che tutti i fenomeni sono quantità estensive? Questo è spiegato solamente
nell’87. Kant ci dice che il modo in cui noi andiamo a determinare degli spazi determinati o dei
tempi determinati è attraverso una sintesi che ci va a determinare lo spazio o il tempo come una
rappresentazione estensiva. Ora però tutti i fenomeni sono necessariamente nello spazio e nel
tempo (devono sottostare alle mie forme dell’intuizione). Gli oggetti che mi sono dati in
quell’intuizione empirica dovranno sottostare a quella stessa sintesi che posso operare sul
molteplice puro di spazio e tempo.

Che ruolo svolgono le categorie di quantità?

Sono unità, totalità e pluralità. Esse possono lavorare all’interno del principio degli assiomi, ma
come? Il principio degli assiomi prevede che nell’intuizione di un tempo o uno spazio determinato
partiamo dalla sintesi delle parti (pluralità) per arrivare ad una rappresentazione unitaria (unità),
dove questa rappresentazione unitaria è identificabile con un tutto (totalità). Altra domanda
potrebbe essere: perché gli assiomi determinano sia lo spazio che il tempo? Perché entrambi ci
offrono un molteplice dell’intuizione a priori che possiamo determinare attraverso una sintesi
“matematica”. Il tempo mantiene però la sua priorità perché ogni sintesi di un molteplice nello
spazio presuppone un’operazione che si svolge nel tempo.

Ultimo aspetto da tener presente è un tema già trattato: il modo in cui Kant spiega e caratterizza le
nostre rappresentazioni dello spazio e del tempo ci permette di spiegare come mai la matematica
e la geometria producano giudizi applicabili all’esperienza. Il fatto che lo spazio e il tempo siano
forme a priori dell’intuizione e il fatto che gli oggetti che conosciamo sono fenomeni e non cose in
sé (perché si devono adeguare a quelle forme) spiega perché la matematica sia applicabile a quegli
oggetti: la matematica ci dà conoscenze che dipendono dalle nostre rappresentazioni a priori di
spazio e tempo. Tramite le nostre rappresentazioni a priori di spazio e tempo possiamo avere delle
conoscenze matematiche e geometriche e siccome quelle stesse rappresentazioni determinano in
modo essenziale ogni intuizione possibile, ecco che è spiegato che la matematica è applicabile a
tutti i fenomeni.

Qui l’attenzione è posta sul fatto che nella matematica attraverso il principio che viene
determinato negli assiomi dell’intuizione abbiamo a che fare con la sintesi che avviene a livello di
un molteplice puro che dà origine a quantità estensive e quella stessa sintesi è quella che dovrà
andare a determinare tutti i fenomeni (perché tutti devono essere dati nello spazio e nel tempo).

ANTICIPAZIONI DELLA PERCEZIONE

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Anche qui abbiamo una doppia formulazione:

81:in tutti i fenomeni la sensazione, e il reale che ad essa corrisponde nell’oggetto, possiede una
quantità intensiva, ossia un grado.

87: in tutti i fenomeni, il reale che è un oggetto della sensazione ha una quantità intensiva, ossia
un grado.

Anche qui non ci sono particolari differenze. Questa è l’idea che ciò che ci viene dato nella
sensazione ha un grado di intensità, qui abbiamo dunque una quantità INTESIVA (non più
estensiva). Cos’è una quantità intensiva?

È una quantità tale da essere appresa soltanto come unità e nella quale la pluralità può essere
rappresentata soltanto per avvicinamento alla negazione =0. Noi possiamo rappresentarci una
pluralità di parti in una quantità intensiva SOLO in un secondo momento (abbiamo subito l’unità a
differenza delle quantità estensive), perché qui abbiamo un grado della quantità che possiamo
vedere all’interno di una scala di gradi possibili che parte dal grado 0.

Quindi qui abbiamo a che fare con la sensazione e con il grado della sensazione. Come vanno
intese queste anticipazioni della percezione? Queste, siccome riguardano la sensazione (ciò che
può solo esserci dato tramite l’esperienza), andranno a determinare l’aspetto a posteriori
dell’intuizione empirica.

Lavora poi sulla differenza fra assiomi e anticipazioni:

ASSIOMI: vanno a determinare quegli aspetti dell’intuizione che riguardano la rappresentazione a


priori di spazio e tempo.

ANTICIPAZIONI: le conoscenze che otteniamo attraverso le rappresentazioni di spazio e tempo


vanno a determinare necessariamente qualsiasi intuizione possibile anche quelle empiriche, e
quindi si capisce perché queste rappresentazioni ci permettono di anticipare la percezione.

Kant dice che anche riguardo alla sensazione c’è un elemento a priori che possiamo determinare,
ma quale?

Kant parte da una determinazione di ciò che caratterizza l’intuizione empirica: ha qualcosa in più
rispetto all’intuizione pura, la sensazione. Cosa posso anticipare a priori su quella sensazione che
rende empirica l’intuizione? Il fatto che quella sensazione avrà un determinato grado, una
determinata intensità. Dove posso vedere quel grado? In una scala di gradi possibili che parte dal
grado 0, gli altri gradi possibili non andranno però a far parte della sensazione che provo.

Che ruolo hanno le categorie di qualità nelle anticipazioni della percezione?

Realtà, negazione e limitazione. Le uniche che Kant menziona sono realtà e negazione.

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REALTÀ: legata al grado con cui si presenta una sensazione.

NEGAZIONE: associata all’assenza di una sensazione.

Qui viene anticipato che ogni sensazione si presenterà con un determinato grado, una determinata
intensità. Il fatto che la sensazione sia determinabile secondo una quantità intensiva mi permette
di applicare la matematica che lavora con quantità intensive a quell’elemento e all’intuizione in
generale.

QUINDI DA RICORDARE:

1) Cosa caratterizza i principi matematici rispetto a quelli dinamici (lavorano su dei materiali a
cui abbiamo accesso a priori dove però quei materiali andranno a determinare anche il
modo in cui i fenomeni empirici dovranno esserci dati).
2) Assiomi dell’intuizione
3) Cos’è una grandezza/quantità estensiva e che rapporto hanno con la determinazione di
spazi e tempi particolari.
4) Anticipazioni della percezione
5) Che cos’è una grandezza/quantità intensiva e che aspetto della sensazione può essere
anticipato.

Nona lezione

Tratteremo oggi i principi dinamici e in particolare le analogie dell’esperienza.

I principi dinamici hanno a che fare con oggetti dell’esperienza e presuppongono quindi che ci sia
dato un oggetto preesistente nell’esperienza (i matematici no) per poterci poi applicare le regole
dei principi.

Le analogie dell’esperienza quindi sono proposizione sintetiche a priori che derivano


dall’applicazione delle categorie di relazione alla determinazione di rapporti temporali tra gli
oggetti dell’esperienza. C’è una particolarità qui: non c’è un unico principio che riunisce tutte le
categorie che afferiscono ad un determinato gruppo. Troviamo tre analogie che identificano tre
tipi di rapporti temporali:

PERMANENZA

SUCCESSIONE

SIMULTANEITÀ

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Mostrerà che alcuni concetti a priori sono fondamentali per poter conoscere relazioni oggettive di
permanenza, successione e simultaneità.

Da tenere presente è la distinzione fra:

TEMPO SOGGETTIVO: il tempo come forma della coscienza che determina dunque la successione
delle mie rappresentazioni.

TEMPO OGGETTIVO: le analogie si occupano di questo, vogliono identificare delle regole oggettive,
delle relazioni oggettive del tempo e che riguardano oggetti che esistono nel mondo esterno.

I principi dunque andranno ad identificare quelle condizioni per determinare relazioni nel tempo
oggettivo.

Ci sono tre principi ma anche un principio delle analogie in generale:

81: tutti i fenomeni, quanto alla loro esistenza, sono sottoposti a priori a regole determinanti il loro
rapporto reciproco in un tempo (si parla dell’esistenza dei fenomeni e dei rapporti reciproci nel
tempo).

87: l’esperienza non è possibile che mediante la rappresentazione di una connessione necessaria
delle percezioni.

L’idea di entrambe le formulazioni comunque è la stessa: per determinare relazioni oggettive nel
tempo che valgono per oggetti che esistono realmente ho bisogno di alcune regole che
determinano necessariamente il modo in cui gli oggetti si relazionano vicendevolmente.

Prima di tutto comunque è necessario capire cos’è un’analogia. Kant ci dice che usa questo
termine distinguendolo dal modo in cui è utilizzato in matematica (formule che enunciano
l’eguaglianza di due rapporti quantitativi), in filosofia infatti il termine esprime l’eguaglianza di due
rapporti non quantitativi bensì qualitativi, sarà dunque solo una regola in base alla quale l’unità
dell’esperienza deve conseguire da percezioni e deve valere come principi in relazione con gli
oggetti.

PRIMA ANALOGIA

81 – Principio della permanenza: tutti i fenomeni contengono il permanente (sostanza), come


l’oggetto stesso, e il mutevole, come sua semplice determinazione, ossia come un modo in cui
l’oggetto esiste.

87- Principio della permanenza della sostanza: in ogni cambiamento dei fenomeni, la sostanza
permane e il quantum di essa nella natura non viene né accresciuto né diminuito.

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L’idea è che per identificare una permanenza nel tempo io devo utilizzare questa categoria. In
supporto di questo Kant ci dice che per poterci fare una rappresentazione di rapporti di
successione e simultaneità nel tempo noi abbiamo bisogno di avere una rappresentazione più
fondamentale del tempo in cui questi rapporti avvengono. Noi però non possiamo farci una
rappresentazione direttamente di questo tempo in cui successione e simultaneità possono
verificarsi, perciò dobbiamo far riferimento a qualcos’altro che permane nel tempo e per farci
l’idea di questo utilizziamo l’idea di sostanza (ciò che continua ad esistere e non muta).

Ma in che senso Kant ci dice che il tempo non è di per sé percepibile? Questa affermazione è
centrale, nell’estetica lui ha detto che il tempo è una forma a priori del senso interno, ma questo
non significa che devo avere un accesso diretto al tempo?

In realtà distinguendo fra tempo soggettivo e tempo oggettivo (il modo in cui gli oggetti che
esistono esternamente hanno relazioni nel tempo), si trova una risposta. Lui quando dice che non
possiamo rappresentarci il tempo si sta riferendo a quello OGGETTIVO, d’altra parte dobbiamo
determinare se oggetti che esistono, esistono simultaneamente o in successione e quindi abbiamo
bisogno di un sostrato che permanga nel tempo (sostanza).

Inoltre Kant dice anche che presupporre qualcosa che permane nel tempo è necessario per
giustificare la nozione di mutamento. L’idea di fondo è che quando pensiamo ad un mutamento
pensiamo a qualcosa che permane (sostanza). In questa analogia però rimane sempre vago cosa
Kant intenda con sostanza, ma questo perché non si tratta di individuare oggetti specifici che
permangono nel tempo, ma solo di identificare il fatto che ci sia sempre qualcosa che permane nel
tempo ad ogni mutamento.

SECONDA ANALOGIA

81 – Principio della produzione: tutto ciò che accade (comincia ad essere) suppone qualcosa, a cui
segue in base ad una regola.

87 – Principio della successione temporale secondo la legge della connessione di causalità: tutti i
mutamenti accadono secondo la legge della connessione di causa ed effetto.

Quindi per identificare le relazioni di successione oggettive nel tempo è necessaria la categoria di
causalità.

L’idea chiave qui è che per identificare relazioni oggettive di successione dobbiamo
necessariamente utilizzare la categoria di causalità. Solo vedendo gli oggetti in relazioni causali gli
uni con gli altri possiamo rappresentarceli in rapporti di successione. Posso avere delle
rappresentazioni di oggetti che sono organizzate in modo successivo, ma il punto è che il fatto che
io mi rappresenti quegli oggetti in successione non mi dice che quella relazione sia oggettiva che
pertiene agli oggetti stessi. Per rappresentarmi quella relazione come oggettiva, io devo utilizzare il
concetto di causalità, solo vedendo gli oggetti in relazione causale posso vedere una relazione
oggettiva.

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Per capire l’idea centrale della seconda analogia sono utili due esempi che Kant fa:

vediamo le varie parti di una casa e le varie posizioni di una nave che scende un fiume. Ma cos’è
che mi permette che la relazione di successione non è semplicemente una relazione che pertiene
agli oggetti stessi? La categoria di causalità che mi permette di vedere quella successione fra le
rappresentazioni come una successione che va ad individuare una successione necessaria
nell’oggetto e non solo delle mie rappresentazioni.

Sulla base di questo troviamo anche la critica della causalità trattato dagli empiristi (Hume). Per
loro il concetto di causalità fra due eventi è derivato dall’esperienza di quei due eventi e tramite
questo processo Hume dirà che in realtà non conosciamo nessuna relazione di causa ed effetto tra
quei due eventi che sono uniti solo dall’abitudine da noi.

Kant dice che ricavare il concetto di causalità dall’esperienza non ci permette di capire come noi
attribuiamo necessità alla causalità, ma un punto ulteriore che possiamo aggiungere è che ricavare
la causalità in questo modo non ci può spiegare come distinguere fra relazioni soggettive ed
oggettive di successione.

Si stabilisce quindi che l’applicazione del concetto di causa è necessario per individuare relazioni
oggettive di successione nel tempo. Ma di che causalità di parla? Non è chiarissimo. Ci sono varie
linee interpretative:

1) La legge di causalità necessaria per identificare questi rapporti oggettivi è un principio di


causalità generale per cui tutto ciò che accade deve avere una causa. Ogni evento deve
seguire da una causa e non mi dice nulla su quale tipo di relazione causale ci sarà fra
l’evento e la causa che precede.
2) La legge di causalità presupposta per determinare rapporti oggettivi di successione prevede
che ci siano leggi causali particolari, quindi ad ogni evento di tipo y deve per forza
precedere una causa di tipo x. Mi dice dunque che necessariamente ci dovranno essere
leggi causali particolari.

TERZA ANALOGIA

81 – Principio della comunanza: tutte le sostanze, in quanto simultanee, si trovano in una


comunanza universale (cioè in una azione reciproca).

87 – Principio della simultaneità secondo la legge dell’azione reciproca o comunanza: tutte le


sostanze, in quanto percepibili nello spazio come simultanee, si trovano fra loro in un’azione
reciproca universale.

L’idea dunque sarà che per rappresentarmi delle relazioni di simultaneità oggettive devo utilizzare
la categoria di comunanza o di azione reciproca.

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Per sostenere ciò Kant afferma che la simultaneità è la percezione del molteplice nel medesimo
tempo, ma nel momento in cui mi rappresento due oggetti come simultanei, questo significa che
io posso passare dalla rappresentazione dell’oggetto A alla rappresentazione dell’oggetto B e
viceversa (non era così per la causalità o per la successione). Nel momento in cui mi rappresento
quegli oggetti, io mi rappresenterò quegli oggetti come uno successivo all’altro, ma come faccio a
sapere che potrò poi tornare indietro? Come faccio a sapere che il modo in cui ho rappresentato
nel tempo quegli oggetti non rappresenta una successione oggettiva degli oggetti e quegli oggetti
esistono simultaneamente?

Lo capisco perché ho utilizzato il concetto di azione reciproca vedendo quegli oggetti dunque in un
rapporto di azione reciproca che mi fa dunque pensare che posso passare da A a B e viceversa
rappresentandomeli come esistenti in modo oggettivo simultaneamente.

Anche qui mostra come possiamo distinguere fra relazioni temporale soggettive e oggettive nel
tempo e ci mostra come anche rappresentandosi B come successivo ad A, ciò non significa che B
ed A non siano simultanei.

Dopo averci presentato queste analogie Kant dice che queste tre analogie insieme sono essenziali
per formare il nostro concetto di natura come insieme di fenomeni che sta sotto ad un insieme
determinato di leggi.

QUINDI DA RICORDARE:

1) Cos’è un’analogia dell’esperienza.


2) Differenza fra tempo oggettivo e tempo soggettivo.
3) La prima analogia (concetto di sostanza e la sua necessità nella determinazione della
permanenza nel tempo oggettivo).
4) La seconda analogia (concetto di causa e sua necessità per determinare una successione
oggettiva).
5) La terza analogia (concetto di comunanza e sua necessità per determinare una simultaneità
oggettiva).
6) In che senso le analogie insieme formano la nostra idea di natura.

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Decima lezione

Parliamo oggi dei postulati del pensiero empirico in generale. Essi si basano sull’applicazione delle
categorie delle modalità. Non è chiarissimo come tutti i postulati vadano a riferirsi a relazioni
temporali (cosa che dice Kant), ma cercheremo di concentrarci sull’idea di fondo che Kant
presenta nei vari postulati.

Bisogna distinguere diverse forme di modalità:

LOGICA/FORMALE: va a determinare ciò che è possibile o necessario utilizzando solo il principio di


non contraddizione (è possibile ciò che non dà luogo ad una contraddizione)

MATERIALE/REALE: determina ciò che è possibile o ciò che è necessario non solamente sulla base
del principio di non contraddizione. Kant utilizzerà anche le condizioni dell’esperienza possibile che
ha discusso nella critica fino a questo punto (le condizioni formali di ogni oggetto possibile nello
spazio e nel tempo, le categorie e i principi a cui gli oggetti possibili devono sottostare).

Definire la possibilità e la necessità degli oggetti in questo modo ha però una conseguenza, quando
parliamo di oggetti possibili o necessari in questo senso ci rivolgiamo SOLTANTO ad oggetti
possibili nell’esperienza. I postulati non possono essere usati per determinare se delle cose in sé
sono possibili o necessarie.

I postulati:

1) Ciò che è in accordo con le condizioni formali dell’esperienza (quanto alle intuizioni e ai
concetti), è possibile.
2) Ciò che è connesso con le condizioni materiali dell’esperienza (della sensazione), è reale.
3) Ciò la cui connessione col reale è determinata in base alle condizioni universali
dell’esperienza è (esiste) necessariamente.

Tutti i postulati sono collegati a condizioni dell’esperienza (formali, materiali, universali). Dunque i
postulati ci parlano della possibilità e della realtà effettiva o della necessità di oggetti che possono
essere oggetti dell’esperienza.

Cosa caratterizza le categorie della modalità? Esse hanno la caratteristica di non identificare
proprietà degli oggetti stessi, ma una volta che ho attribuito tutte le proprietà ad un oggetto vanno
ad identificare il modo di esistenza dell’oggetto (possibile, reale, necessario).

POSTULATO DELLA POSSIBILITÀ

Prima cosa da fare è chiarire in che modo possiamo distinguere diverse forme della modalità.

Kant parte dal concetto di una figura chiuda tra due linee rette, siccome i concetti che formano
questo conetto complesso non sono in contraddizione l’uno con l’altro, questo concetto esprime
un

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oggetto logicamente possibile. Se però andiamo a considerare se ci può essere effettivamente


dato nello spazio un oggetto con quelle caratteristiche, quel concetto non va più ad identificare un
oggetto possibile in questo senso perché quell’oggetto non va a conformarsi con le condizioni di
avere oggetti nello spazio che sono determinati dalla mia intuizione di spazio (non posso costruire
un oggetto del genere), non è quindi realmente possibile.

Tenendo in considerazione questa distinzione possiamo andare a chiarire meglio cosa implica il
postulato della possibilità. Il postulato di possibilità afferma che quando utilizzo il postulato della
possibilità per determinare quali oggetti siano possibili, non mi chiedo solo se il concetto che vado
a considerare è privo di contraddizioni interne, ma considero anche se quel concetto è in accordo
con le condizioni formali di un’esperienza in generale, identificate dalle categorie quando queste
sono applicate alle forme a priori dello spazio e del tempo che dunque determinano quali oggetti
siano per noi realmente possibili. Una conseguenza è che questo senso della possibilità può essere
attribuito solo ai fenomeni. Tramite la categoria della possibilità e il postulato della possibilità che
ci identificano gli oggetti possibili dell’esperienza ecco che le cose in sé non vengono coinvolte.

Sembra qui che Kant identifichi tre tipi diversi di possibilità: logica e reale e c’è forse una possibilità
intermedia, la possibilità dei concetti matematici. Per determinare se un concetto di un oggetto
matematico è realmente possibile, è necessario che quell’oggetto debba essere dato con quelle
caratteristiche nell’esperienza, ma sappiamo che ciò che vale nella matematica pura vale anche
nell’esperienza e allora ciò significa che gli oggetti matematici sono realmente possibili.

POSTULATO DELLA REALTÀ

Questo postulato richiede una percezione, una sensazione, cioè, di cui abbiamo coscienza. Questo
va a dire quali sono le condizioni affinché un oggetto esista: quando percepiamo un oggetto ecco
che questo necessariamente esiste, c’è anche un altro modo, possiamo inferire l’esistenza di un
oggetto anche se questo non ci è dato nella percezione e possiamo in qualche modo arrivare a
conoscere che quell’oggetto deve esistere sulla base della connessione che questo oggetto ha con
un altro oggetto che esperisco (es. la categoria di causalità).

Per giungere alla cognizione dell’esistenza di un oggetto Kant dice ancora che noi possiamo
percepire direttamente un oggetto, ma usando la categoria della causalità un altro oggetto deve
esistere per spiegare l’esistenza dell’oggetto che esperisco, così possono indirettamente giungere
alla conoscenza dell’esistenza di un oggetto che in realtà non percepisco. Questo modo ci
permette di farci una domanda più ampia: Kant accetterebbe l’esistenza delle entità teoretiche
(quegli oggetti fisici che non possono essere direttamente esperiti o direttamente sondati ma che
in qualche modo possono essere assunti perché ci permettono di spiegare dei fenomeni sondabili,
ad esempio entità subatomiche, bosoni etc.)? Sembra che Kant potrebbe accettare questo, infatti
fa un esempio prendendo in considerazione una materia magnetica che noi non esperiamo ma
possiamo considerarla parte del mondo fenomenico perché possiamo arrivare a conoscerla
mediante le analogie e connessioni di causa ed effetto e azioni reciproche, inoltre possiamo
pensarla come di fatto afferente in relazione reciproca con gli oggetti che ci sono dati nello spazio
e nel tempo.

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Una affermazione importante che Kant fa è che l’esistenza NON è un predicato (“x esiste” non va
ad identificare una caratteristica di x). L’esistenza non è una proprietà che possa essere attribuita
ad un oggetto, ma è un qualcosa di diverso che significa che l’oggetto ci è dato, direttamente o
indirettamente, nella percezione.

POSTULATO DELLA NECESSITÀ

Si riferisce alla necessità materiale dell’esistenza e non a quella formale e logica (che può essere
verificata solo sulla base del principio di non contraddizione). A lui interessa la necessità materiale
(una necessità tale per cui possa vedere che un oggetto in quanto fenomeno esiste
necessariamente). L’unico modo per poter affermare una necessità del genere è vedere un oggetto
all’interno di una catena causale. Il fatto che la necessità si vada a determinare sulla base della
categoria di causalità valida solo per oggetti di esperienza possibile significa anche che il postulato
della necessità non può essere utilizzato al di là del mondo dei fenomeni (al di là del campo
dell’esperienza possibile).

Perché il termine “postulati”?

Il termine postulato non è utilizzato nel senso di “proposizione immediatamente certa”, infatti li
deve supportare argomentativamente. I postulati hanno a che fare con la produzione di un
concetto da parte di una facoltà conoscitiva determinata, dunque come nella matematica i
postulati permettono di produrre un concetto seguendone una determinata operazione, così i
principi della modalità ci permettono di produrre un determinato concetto attraverso
un’operazione di una determinata facoltà conoscitiva.

CONFUTAZIONE DELL’IDEALISMO

Questa sezione viene aggiunta nell’87. L’idealismo che viene confutato è quello che lui chiama
materiale e che considera l’esistenza degli oggetti nello spazio fuori di noi dubbia e indimostrabile
(Cartesio) oppure addirittura falsa ed impossibile (Berkley).

L’idealismo di Cartesio è idealismo problematico

L’idealismo di Berkley è idealismo dogmatico

Quello che lui colpisce è l’idealismo problematico di Cartesio. L’argomento è breve: Kant qui
richiama l’idea che per determinare relazioni temporali (successione, simultaneità…) dobbiamo
presupporre qualcosa di permanente sulla cui base determinare poi queste relazioni. Quest’idea è
applicata alla determinazione del modo in cui il mio Io esiste nel tempo, io ho coscienza della mia
esistenza nel tempo e per determinare in modo temporale il fatto che io esisto nel tempo, devo
riferirmi a qualcosa di permanente, questo qualcosa non può essere in me, deve essere fuori di me
e deve esistere, non può essere una rappresentazione di qualcosa che esiste fuori di me. Dunque
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esistono delle cose fuori di me. Molti interpreti hanno trovato l’argomento molto debole, Kant
introdurrebbe delle premesse senza motivarle. Alcuni hanno tentato di difenderlo riferendosi agli
argomenti delle analogie per trovare la motivazione dietro alle premesse per giustificare la sua
confutazione.

Altro problema è che non è chiaro da dove Kant parta per portare avanti il suo argomento.

QUINDI DA RICORDARE:

1) I postulati del pensiero empirico in generale (distinzione fra modalità logica/formale e


materiale/reale).
2) La confutazione dell’idealismo (con i suoi problemi).

Undicesima lezione

Ci concentreremo oggi sull’ultimo capitolo dell’analitica dei principi che chiarisce la distinzione
fondamentale fra fenomeni e noumeni e chiarisce le conseguenze negative circa i risultati negativi
dell’Analitica. Il capitolo si intitola “del fondamento delle distinzioni di tutti gli oggetti in generale
in fenomeni e noumeni”. Gli obiettivi principali qui sono: ribadire che le categorie non possono
essere utilizzate per ottenere conoscenze sugli oggetti in sé stessi. Una conseguenza è che
l’ontologia almeno nel senso in cui era intesa precedentemente a Kant (scienza degli oggetti in
generale), NON è più possibile. Poi si distingue fra i vari modi di caratterizzare un oggetto e
chiarisce quali siano legittimi e quali no. Ci sono qui differenze importanti fra 81 e 87, nell’ultima
molte parti mancano e viene introdotta una nuova parte che introduce una distinzione importante
fra noumeno in senso negativo e noumeno in senso positivo.

Questo capitolo ribadisce i limiti dell’uso del nostro intelletto.

Proprio all’inizio Kant dice che l’Analitica Trascendentale ci ha offerto un’indagine sull’intelletto
puro e sulle conoscenze a priori che gli sono possibili, quelle conoscenze sono le categorie. Un
risultato dell’indagine è che gli unici oggetti ai quali le nostre categorie possono essere applicate
avendo validità sono gli oggetti dell’esperienza possibile, per cui l’intelletto NON racchiude il
campo degli oggetti in sé (mare della parvenza perché se ci arrischiamo a fare delle affermazioni su
quegli oggetti, quelle affermazioni non possono che darci un’illusione di conoscenza senza esserlo
veramente).

Nel contesto dei limiti dell’intelletto si introduce una distinzione nuova:

USO EMPIRICO DELLE CATEGORIE: questo è l’unico uso legittimo. È quello che prende in
considerazione la condizione sensibile della conoscenza, perciò l’unico modo in cui possono esserci
dati degli oggetti della conoscenza è tramite l’intuizione sensibile. In questo uso la categoria è
usata
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insieme al suo schema (regola che applica la categoria per stabilire delle relazioni necessarie di
tempo) per ottenere un oggetto da sussumere sotto alla categoria.

USO TRASCENDENTALE DELLE CATEGORIE: quando usiamo le categorie indipendentemente dalla


condizione sensibile, le usiamo dunque in relazione agli oggetti in generale. Quest’uso include
anche un possibile uso rispetto alle cose in sé. Siccome la condizione sensibile è una condizione
che non può essere messa da parte, questo uso NON è legittimo. Qui “trascendentale” NON è
usato in senso positivo, ma per indicare un uso illegittimo. È un contrasto che c’è, dobbiamo
dunque stare attenti ai vari usi del termine.

Che l’uso trascendentale sia illegittimo ha delle conseguenze devastanti per l’ontologia com’è
intesa dai contemporanei di Kant. L’uso trascendentale delle categorie è l’utilizzo delle categorie
per determinare oggetti in generale prescindendo dal fatto che esse possono essere valide
solamente per gli oggetti sensibili. Il modo in cui l’ontologia era descritta era però proprio quella di
una disciplina che deve darci una descrizione degli oggetti in generale, perciò dicendoci che le
categorie non possono essere usate in relazione agli oggetti ni generale, l’ontologia non può più
essere intesa in quel modo.

Quindi ora parla dei diversi concetti di oggetti (fenomeno, noumeno, oggetto trascendentale
immediatamente connesso all’uso trascendentale delle categorie). Qui ci dice che l’oggetto
trascendentale è l’oggetto pensato solamente attraverso le categorie pure (prescindendo dalle
condizioni sensibili della loro applicazione), questo uso non è legittimo ma bisogna capire bene il
perché. L’errore che rende illegittimo questo uso dell’intelletto si ha quando, tramite queste
rappresentazioni, pretendiamo di voler conoscere qualcosa sugli oggetti per fare il quale abbiamo
bisogno di tenere sempre presenti le condizioni sensibili degli oggetti.

Legherà poi anche l’oggetto trascendentale e il concetto di qualcosa = x. Solo nelle categorie noi
abbiamo un’idea di cos’è un’oggetto, riusciamo a riconoscere gli oggetti che ci sono dati
nell’intuizione come oggetti solo utilizzando le categorie, ma quindi cosa ci permettono di fare le
categorie quando ci è dato un molteplice dell’intuizione?

Riconoscere un oggetto in quanto oggetto. Se quindi poi andiamo ad estrapolare la pura forma
dell’intelletto dal modo in cui un oggetto ci è dato nell’intuizione, il contributo è quello di darci
un’idea astratta di un oggetto che è questo “qualcosa = x”, questo modo rimane pero VUOTO,
perché senza i contenuti sensibili quel concetto non ci dà nessuna conoscenza. Questo è
comunque un passo molto controverso con parecchie ambiguità.

La distinzione centrale comunque è quella fra fenomeni e noumeni. Nell’81 Kant afferma che i
fenomeni sono quegli oggetti dati nella sensibilità a cui poi si applicano le categorie. Qui però c’è
una differenza rispetto all’Estetica trascendentale dove diceva che i fenomeni erano l’oggetto
indeterminato di una intuizione empirica, ma quale oggetto indeterminato? Lì non potevamo
avere ancora un concetto determinato di quegli oggetti perché non potevamo ancora utilizzare le
categorie
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per conoscerli. I fenomeni quindi non sono altro che gli oggetti indeterminati di un’intuizione
empirica che sono resi determinati dall’applicazione delle categorie. L’utilizzo delle categorie però
applicato ad oggetti dati nell’intuizione sensibile.

Quando si parla dei noumeni invece si pensa ad un utilizzo dell’intelletto, dei concetti, come se
potessimo avere oggetti indipendentemente dall’intuizione sensibile. È quell’oggetto che ci può
essere dato indipendentemente da un’intuizione sensibile. Questo uso dell’intelletto non dà a noi
alcuna conoscenza, ma possiamo pensare ad una forma di essere superiore alla nostra che solo
pensando gli oggetti è capace di ottenere direttamente degli oggetti reali (intelletto perfetto,
divino che è capace di un’intuizione intellettuale, solo attraverso l’intelletto si ottiene un’oggetto).
Insomma, è l’oggetto di un’intuizione intellettuale per cui l’oggetto è dato pensandolo solo
attraverso forme dell’intelletto.

Nell’87 introduce DUE sensi di noumeno:

1) Il noumeno in senso NEGATIVO è ottenuto per astrazione dall’idea di fenomeno. Un


oggetto che è conosciuto solamente in quanto sottostà alle forme a priori della sensibilità.
Qui è implicita la possibilità di farsi un concetto di un oggetto come sarebbe
indipendentemente dalle condizioni sensibili, come dunque quell’oggetto sarebbe in sé
stesso (pur NON conoscendolo, avrei il concetto vuoto teoreticamente).
2) Il noumeno in senso POSITIVO presuppone che mi possa essere dato un oggetto
indipendentemente da un’intuizione sensibile, un oggetto dato indipendentemente dalla
sensibilità.

Quando noi parliamo di fenomeni presupponiamo già l’idea di un noumeno. Già nell’idea del
fenomeno è implicita l’idea di noumeno ma in senso negativo. Descrivendo gli oggetti in quanto in
relazioni alle nostre condizioni sensibili, implichiamo che quegli oggetti potrebbero essere
considerati indipendentemente dalle nostre condizioni sensibili (e questo è il senso negativo del
noumeno).

Ora, è legittimo parlare di oggetti come noumeni in senso positivo e negativo?

Quando si parla di noumeni in senso negativo, dal momento che è ottenuto per astrazione, è già
implicito che sia legittimo parlare di noumeni in senso negativo. I fenomeni sono gli oggetti che ci
sono dati attraverso l’intuizione, questi oggetti sottostanno alle condizioni della sensibilità, per il
solo fatto che caratterizzo gli oggetti in questo modo deve esistere la possibilità di considerare gli
oggetti indipendentemente dalla nostra sensibilità.

In senso positivo (oggetti al centro di un’intuizione intellettuale) invece NON possiamo assumerli,
perché questo equivarrebbe ad utilizzare le categorie come se ci potessero dare gli oggetti solo
tramite il loro uso (ma questo per noi non è possibile). Possiamo parlare in senso negativo dei
noumeni, ma non in senso positivo dunque. Esistono certamente enti intelligibili (noumeni
negativi) in corrispondenza degli enti sensibili, ma sono di certo ammissibili anche enti intelligibili
con cui la
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nostra capacità intuitiva non ha a che fare (noumeni positivi), ma tramite le categorie non
possiamo avere nessuna conoscenza di questi.

QUINDI DA RICORDARE:

1) I limiti all’uso dell’intelletto stabiliti dall’analitica trascendentale (uso empirico e


trascendentale delle categorie da cui consegue impossibilità dell’ontologia come scienza
degli oggetti in genere).
2) L’oggetto trascendentale (come pensiero di un oggetto in generale e come concetto di
qualcosa = x).
3) Il fenomeno.
4) Il noumeno (in senso negativo e positivo).

Dodicesima lezione

Parleremo dell’anfibolia dei concetti della riflessione, appendice con cui si chiude l’analitica
trascendentale. Dopo comincerà la dialettica trascendentale.

Il titolo dell’appendice: “dell’anfibolia dei concetti della riflessione, a causa dello scambio dell’uso
empirico con l’uso trascendentale”. Nel titolo si richiama la distinzione fra noumeni e fenomeni
(uso empirico e trascendentale delle categorie). Qui sembra che Kant introduca questo elemento
più che altro per creare un legame con il capitolo precedente. Qui ci sono concetti nuovi (anfibolia,
topica trascendentale, riflessione trascendentale…). Non è chiarissimo però di quale sia il ruolo di
questa appendice all’interno dell’economia generale del testo. Forse per comprenderne il metodo,
forse è un residuo di dottrine precritiche… comunque qui viene presentata una critica a Leibniz.

Prima di parlare di anfibolia bisogna chiarire altri concetti.

RIFLESSIONE LOGICA: comparazione di concetti che non mira ad acquisire nuove conoscenze, ma
solo ad ordinare concetti che già abbiamo. Ad esempio: concetti di “uomo”, “animale”, “cavallo”, si
potrebbe ordinarli in un sistema gerarchico: “animale” (tutte le note [concetti necessari per
definire un concetto in questione] del concetto di animale saranno presenti anche negli altri due),
“uomo”, “cavallo”, avranno note aggiuntive, differenze specifiche dei due concetti. Qui Kant parla
solo di comparazioni fra concetti, ma vale sempre la regola per cui gli oggetti dei concetti possono
esserci dati solamente attraverso la sensibilità.

Per comparare i concetti usiamo altri concetti, i CONCETTI DELLA RIFLESSIONE, concetti tramite i
quali andiamo a stabilire relazioni fra i concetti che compariamo, ci sono 4 coppie di concetti della
riflessione:

1) Identità/diversità.

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2) Accordo/opposizione.
3) Esterno/interno.
4) Determinabile/determinazione (materia/forma).

COMPARAZIONE OGGETTIVA: è diversa dalla comparazione logica. Questa è una comparazione di


concetti che mira ad ottenere conoscenze sugli oggetti dei concetti che vengono comparati. Ad
esempio comparo i concetti di “uomo” e “cavallo” con l’intento di identificare un nuovo concetto
isolando le note che quei concetti hanno in comune (per esempio “mammiferi”) ottenendo quindi
nuova conoscenza.

Quindi ANFIBOLIA TRASCENDENTALE: quando compariamo logicamente concetti lo possiamo fare


senza rischiare di cadere in errori della nostra comparazione (essa va semplicemente a guardare il
contenuto dei concetti). In una comparazione oggettiva invece bisogna farsi delle domande,
l’oggetto dei concetti che sto comparando è dato come un oggetto dell’intelletto puro o della
sensibilità (l’oggetto mi è dato solo pensandolo o tramite la sensibilità)? Se non tengo presente
questo posso cadere in un’anfibolia trascendentale, ossia una mancata distinzione fra oggetto
puro dell’intelletto e il fenomeno. Si può inoltre dire che le condizioni per utilizzare i concetti della
riflessione nella comparazione, sono diverse a seconda che i concetti degli oggetti che vengono
comparati siano concetti di oggetti che ci sono dati tramite l’intelletto puro oppure concetti di
oggetti che ci sono dati tramite la sensibilità, l’anfibolia si genera quando compariamo concetti di
oggetti dati dalla sensibilità applicando le condizioni che sono proprie di oggetti che ci sono dati
dall’intelletto puro. Gli oggetti ci possono essere dati solo tramite la sensibilità, e di conseguenza
queste condizioni sarebbero sempre sbagliate per noi (esseri umani). Ecco l’anfibolia.

Qual è il ruolo della riflessione trascendentale? Serve per evitare che cadiamo in un’anfibolia
trascendentale, nella riflessione non c’è solo una comparazione fra concetti, ma una comparazione
che tiene presente tramite quale facoltà quei concetti mi sono dati. Quella riflessione dunque
determina quali condizioni devo utilizzare i concetti della riflessione in una comparazione
oggettiva, in questo modo determina se gli oggetti dei concetti che vengono comparati ci sono dati
tramite sensibilità o intelletto puro.

Vediamo ora le diverse condizioni per i concetti di identità/diversità (una fra tutte):

se andiamo a comparare due concetti di oggetti con lo scopo di ottenere una conoscenza
utilizzando i concetti di identità e diversità, nel caso in cui i concetti che compariamo fossero
concetti datici nell’intelletto puro, nel momento in cui stabilisco che i due concetti sono identici,
segue automaticamente che anche gli oggetti dei due concetti sono identici. Nel caso in cui io
utilizzi i concetti della riflessione per comparare due concetti, ma gli oggetti dei concetti ci fossero
dati attraverso la sensibilità, anche nel caso in cui i due concetti risultassero identici, ecco che non
sarebbe automatico che anche i due oggetti dei concetti lo siano.

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Ad esempio: immaginiamoci due gocce d’acqua, se descriviamo le proprietà di quelle gocce


d’acqua useremo gli stessi concetti (sono identiche), se le due gocce sono date nell’intelletto, esse
sono assolutamente identiche, ma se le gocce sono date nella sensibilità, dall’identità concettuale
NON segue che gli oggetti dei concetti siano identici (pur avendo le stesse proprietà possono
trovarsi in luoghi diversi nello stesso tempo, utilizzando le coordinate dello spazio e del tempo
ecco che ho le risorse per distinguere le due gocce d’acqua).

Da tutto ciò ne deriva anche una critica contro Leibniz. Se consideriamo la filosofia di Leibniz nel
suo complesso, essa è vittima di una anfibolia perché Leibniz tratta gli oggetti che ci sono dati
attraverso i sensi, come oggetti che ci sono dati nell’intelletto. Abbiamo quindi una critica al
principio dell’identità degli indiscernibili. Il principio afferma che due oggetti con le stesse
proprietà sono in realtà un unico oggetto, ma per Kant non è così perché se gli oggetti i cui concetti
stiamo comparando ci sono dati nella sensibilità, per determinare l’identità numerica di quegli
oggetti non è sufficiente andare a vedere il modo in cui andiamo a descrivere i due oggetti ma
dobbiamo anche andare a considerare le coordinate spazio-temporali che ci danno la
localizzazione degli oggetti. Leibniz dunque avrebbe confuso fenomeni con le cose in sé, perciò il
suo principio vale per oggetti che ci siano dati nell’intelletto, ma NON per oggetti che ci sono dati
nella sensibilità e a noi gli oggetti sono dati solo nella sensibilità.

Kant introduce anche la TOPICA TRASCENDENTALE: la determinazione del posto spettante a


ciascun concetto a seconda della diversità del suo uso e nel reperimento di regole che assegnino
questo posto a tutti i concetti. Quindi assegnare diversi concetti o alla sensibilità o all’intelletto.
Questa idea sembra partire dal presupposto che gli oggetti possono esserci dati o attraverso
l’intelletto puro o attraverso la sensibilità, questo è legato all’interno della Critica della ragion pura
al solo errore secondo il quale noi trattiamo i concetti degli oggetti datici attraverso la sensibilità
come concetti di oggetti datici attraverso l’intelletto puro. Questo l’unico errore corretto dalla
riflessione trascendentale, essa però sembra lasciare spazio ad un altro tipo di errore (trattare
concetti di oggetti datici dall’intelletto puro come concetti di oggetti datici dalla sensibilità), ciò
sembra giustificare quegli interpreti che vedono l’anfibolia come in conflitto con la dottrina della
Critica della ragion pura, avvicinandosi invece a dottrine precritica (nella Dissertatio del 70 Kant
affermava che ci sono dati SIA oggetti dell’intelletto puro, SIA oggetti della sensibilità e noi
dobbiamo appunto utilizzare i concetti di quegli oggetti sotto le giuste condizioni).

QUINDI DA RICORDARE:

1) Distinzione comparazione logica e oggettiva.


2) Funzione dei concetti della riflessione.
3) Come si genera anfibolia trascendentale.
4) Come la riflessione trascendentale la può prevenire.
5) Critica a Leibniz
6) Critica al principio dell’identità degli indiscernibili.
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Tredicesima lezione

Inizia oggi la dialettica trascendentale che è la seconda parte della logica trascendentale. Partiremo
con l’analisi dell’introduzione di questa.

Prima è però necessario distinguere fra le due parti della dialettica:

DIALETTICA TRASCENDENTALE: essa ha due compiti specifici. Essa indaga se ci siano delle
conoscenze a priori accessibili attraverso la ragione (intesa come facoltà delle inferenze). Come
l’estetica ha indagato la sensibilità, le rappresentazioni a priori e le conoscenze della sensibilità…
così anche la dialettica trascendentale lo fa rivolta alla ragione. Si scoprirà che essa NON ci offre
delle conoscenze a priori. Essa dunque ci dirà anche perché ci sembra di arrivare a delle
conoscenze riguardo a degli oggetti fuori dell’esperienza possibile pur non essendo così.

DIALETTICA TRASCENDENTALE DEL METODO: sulla base delle indagini della prima parte della
critica deve determinare che tipo di metafisica sia possibile e offrirne un “piano”.

DIALETTICA TRASCENDENTALE

Una prima cosa che farà è offrirci una caratterizzazione della ragione, poi identificherà dei concetti
a priori prodotti da questa facoltà, essi sono le IDEE (=concetti che rappresentano
l’incondizionato). Queste rappresentazioni dell’incondizionato NON sono delle conoscenze valide e
dunque Kant chiarirà che cosa sia la “parvenza trascendentale”. Sulla base di tutte queste indagini
Kant mostrerà l’invalidità dei ragionamenti alla base delle discipline che formavano la metafisica
speciale (psicologia razionale, dottrina dell’anima – cosmologia razionale, dottrina del mondo nella
sua totalità – teologia razionale, dottrina di Dio).

Questa parte della critica è divisa in due libri ed una appendice:

“DEI CONCETTI DELLA RAGION PURA”: offre una deduzione metafisica delle idee della ragione.

“INTORNO AI RAGIONAMENTI DIALETTICI DELLA RAGION PURA”: svela l’invalidità dei ragionamenti
che stanno alla base della psicologia razionale, della cosmologia razionale e della teologia
razionale.

“APPENDICE ALLA DIALETTICA”: identifica un uso legittimo delle idee come idee regolative.

Quindi cominciamo dalla INTRODUZIONE ALLA DIALETTICA TRASCENDENTALE.


Abbiamo qui una prima caratterizzazione della ragione come facoltà dell’inferenza. Ragione è qui
quindi in un uso DIVERSO rispetto all’uso fatto nel titolo dell’opera (=facoltà delle conoscenze a
priori). Qui la ragione è definita più precisamente come “facoltà dei principi” (che è quasi sinonimo

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di “facoltà dell’inferenza”), qui i principi però NON sono giudizi sintetici a priori che si basano sulle
categorie (=analitica dei principi).

Un principio in questa parte della critica è quindi legato al sillogismo e in questo è la premessa
maggiore che è un concetto tale da far sì che tutto ciò che risulta sussunto sotto la condizione di
esso venga conosciuto in base a questo concetto. Per chiarire, esempio:

PM) tutti gli uomini sono mortali.

pm) Socrate è un uomo.

c) Socrate è mortale.

Nella PM la mortalità è affermata universalmente sotto la “condizione” dell’umanità.

Nella pm Socrate è sussunto sotto la condizione dell’umanità.

La c afferma la mortalità di Socrate sulla base della “condizione” della PM. Quindi la conclusione si
ha solo perché si è sussunto Socrate sotto la condizione della PM, per questo la nostra conclusione
è una conoscenza che deriva da un principio che deriva dalla PM.

Secondo questa caratterizzazione dei principi, essi potrebbero essere ogni proposizione che
potrebbe essere usata come premessa maggiore di un sillogismo. Ma ora Kant fa distinzione fra:

PRINCIPI ASSOLUTI: conoscenze sintetiche basate solo su concetti. Quindi dovrebbero essere
premesse NON ulteriormente derivabili ulteriormente da ulteriori proposizioni (non possono
essere conclusioni di altri sillogismi).

PRINCIPI RELATIVI: tutte le proposizioni universali possono essere principi relativi e possono essere
premesse maggiori in sillogismi.

A questo punto si distinguono i diversi tipi di sillogismo:

1) EPISILLOGISMO: un sillogismo che procede da premesse date alle conclusioni che ne


seguono.
2) PROSILLOGISMO: un sillogismo che tratta una proposizione data come possibile
conclusione di premesse non ancora date e cerca le premesse che porterebbero a tale
conclusione. C’è un regresso, dalle conclusioni alle premesse. Ad esempio partendo da
“tutti gli uomini sono mortali” si cercano le premesse, per esempio pm “gli uomini sono
mortali”, PM “tutti gli animali sono mortali”. Questo è essenziale per definire la ragione
come facoltà delle inferenze, attraverso questo la ragione riesce a dare unità alle
conoscenze dell’intelletto mostrando come esse siano derivabili da premesse più generali.
Quindi quando la ragione opera tramite prosillogismi la ragione ha anche la funzione di
dare unità alla conoscenza. Diverse conoscenze dell’intelletto possono essere derivate da
un’unica premessa che dunque è un tipo di conoscenza superiore.

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Ora per capire meglio il compito della dialettica trascendentale bisogna distinguere fra:

USO LOGICO DELLA RAGIONE: quell’uso della ragione tramite il quale noi riusciamo a dare unità a
delle conoscenze dell’intelletto mostrando che esse sono derivabili da un’unica premessa. TUTTE
le conoscenze in gioco sono però in nostro possesso e si dà loro un ordine.

USO REALE DELLA RAGIONE: ci dà delle conoscenze che sono frutto delle operazioni della ragione
stessa.

Nell’uso logico della ragione si trovano i prosillogismi. Come vengono usati?

I prosillogismi sono ITERABILI (una volta trovata la premessa di una conoscenza data possiamo
trovare un’ulteriore premessa) e in questo processo noi presupponiamo già che ci sia una serie
completa di premesse da cui la conoscenza attuale può essere derivata. Come si passa da questo
all’uso reale della ragione?

Passando all’uso reale della ragione associamo alla presupposizione della serie completa di
premesse un principio oggettivo secondo il quale dato l’oggetto che ci rappresentiamo nella
conoscenza da cui partiamo è data anche la serie completa delle condizioni che sono necessarie
per spiegare l’esistenza di quell’oggetto stesso. Quando passiamo all’uso reale quindi non
presupponiamo più solo che ci sia una serie data di premesse da cui possiamo derivare una
conoscenza specifica, ma presupponiamo che sia data l’intera serie delle condizioni (=stati di cose)
che spiegano la possibilità dall’oggetto da cui partiamo, definito “condizionato” perché per parlare
della sua esistenza dobbiamo presupporre altri stati che siano condizione della sua esistenza.

Arriviamo quindi ad un’idea dell’incondizionato. Avendo una serie completa, quando


presupponiamo la serie nel suo complesso, presupponiamo che non ci sia un’ulteriore condizione
per spiegare quella serie (perché completa, appunto). Questa idea di incondizionato ci fornirà il
concetto fondamentale per definire cosa sono le idee della ragione. Kant poi conclude dicendo che
il principio che introduciamo (per ogni condizionato dato è data anche l’intera serie delle
condizioni), quando passiamo all’uso reale della ragione, è SINTETICO A PRIORI perché assumendo
l’intera serie delle condizioni andiamo al di là di ciò che è contenuto all’interno del concetto di
“condizionato”.

Altre caratteristiche del principio nell’uso reale della ragion pura:

1) Il principio ci porta al di là dei limiti dell’esperienza possibile perché all’interno del limite
dell’esperienza possibile non troveremo nessun oggetto che possa corrispondere a questo
concetto dell’incondizionato. Non potremo mai trovare all’interno dell’esperienza possibile
un oggetto che corrisponda a questo incondizionato.
2) Il compito della dialettica dunque è quello di stabilire se quel principio per cui la serie delle
condizioni perviene all’incondizionato, possegga o meno una legittimità oggettiva. Quindi,
passando all’uso reale della ragione assumendo come dato che dato un condizionato sia
data anche l’intera serie delle sue condizioni, quel principio è legittimo?

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A questo punto possiamo definire la PARVENZA TRASCENDENTALE. Kant la distingue da altri


concetti: la parvenza NON è verosimiglianza (=presunta conoscenza dove non abbiamo la certezza
che ciò che andiamo ad affermare sia vero, ma abbiamo delle basi oggettive per affermare ciò che
affermiamo) e NON è fenomeno (infatti noi possiamo avere delle conoscenze oggettive sui
fenomeni). La parvenza dunque è un’affermazione che ci sembra offrire una conoscenza adeguata
e sembra fondata su basi oggettive, ma non è né una conoscenza, né ha basi oggettive a suo
supporto.

PARVENZA TRASCENDENTALE dunque è quel tipo di parvenza che si basa su principi che ci portano
al di là dell’esperienza possibile. Dà luogo ad affermazioni che ci sembrano valide e supportate da
basi oggettive ma non saranno in realtà né valide né avranno queste basi oggettive. Nel produrre
questa parvenza trascendentale ci sarà anche un uso scorretto delle categorie (usate per oggetti
che non ci possono essere dati nell’esperienza possibile).

Quindi per riassumere:

1) Principio supremo della ragione: se ci è dato il condizionato ci è data anche l’intera serie
delle sue condizioni.
2) Tendiamo naturalmente a ritenerlo valido perché sembra derivare immediatamente dalle
regole che seguiamo quando ragioniamo per inferenza.
3) Ci porta a formulare giudizi su oggetti incondizionati (anche se questi non fossero null’altro
che la serie delle condizioni considerate nella sua interezza).
4) Il principio supremo della ragione è INVALIDO come fonte di conoscenza.
5) I giudizi sull’incondizionato ai quali arriviamo appoggiandoci su di esso non possono quindi
essere considerati conoscenze.
6) Il principio dà luogo però ad una PARVENZA TRSCENDENTALE perché sembra scaturire
direttamente dall’uso logico della ragione (che invece è valido).

QUINDI DA RICORDARE:

1) Cos’è la ragione (facoltà delle inferenze).


2) Perché la sua funzione è quella di dare unità alle conoscenze dell’intelletto.
3) Uso logico e uso reale della ragione.
4) Il principio supremo del suo uso reale.
5) Perché tale principio dà luogo ad una parvenza trascendentale.

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Quattordicesima lezione

Proseguiremo con la dialettica concentrandoci sul primo libro (dei concetti della ragion pura).

In questo primo libro offre una deduzione metafisica delle idee (concetti puri propri della facoltà
della ragione). Una deduzione metafisica deve mostrare l’origine di alcuni concetti a priori e deve
offrirne una catalogazione esaustiva, in questo caso le idee di cui però non è chiaro se venga
fornita una catalogazione esaustiva di questi concetti, molti sostengono di sì, ma non tutti sono
d’accordo, si può allora parlare di una deduzione metafisica parziale. Queste idee corrispondono a
diverse forme dell’incondizionato ottenute applicando il principio supremo della ragione pura e
sono concetti inferiti.

Bisogna tornare un po’ su alcuni temi già toccati per capire a fondo questa parte.

Kant distingue ancora fra prosillogismi ed episillogismi.

I prosillogismi ci portano ad assumere che una totalità di premesse sia già data, ma non è chiaro se
questo sia già un passo verso l’uso illegittimo della ragione (uso reale della ragione). È utile quindi
forse utile rappresentarsi il passaggio dall’uso logico all’uso reale della ragione come un processo
in tre passaggi:

1) USO LOGICO: quando procediamo per prosillogismi possiamo assumere che ci sia una
premessa da cui una data conoscenza può essere derivata e questo è reiterabile
indefinitamente.
2) Quando mi formo l’idea di una totalità di premesse ed assumo che esse siano date c’è un
primo passo verso l’uso reale della ragione.
3) Ultimo passo è assumere non solo una totalità di premesse, ma assumere una totalità di
condizioni per il condizionato. Qui non si parla più di relazioni inferenziali ma di relazioni
che avvengono nell’oggetto (la totalità delle condizioni che rendono possibile l’oggetto
sono stati di cose da cui l’oggetto dato dipende).

Ora possiamo spostarci alla deduzione metafisica delle idee. Alcuni affermano che nel primo libro
vengono derivate tre idee (anima, mondo e Dio), altri dicono invece che le singole idee sono
derivate solo nel secondo libro, nel primo più che altro si troverebbero dei tipi fondamentali di
idee, delle CLASSI di idee (psicologiche, cosmologiche, teologiche) che possono in realtà conoscere
più di un’idea (per le classi psicologiche e cosmologiche), questo ha degli appoggi testuali.

Kant sembra offrirci due modelli per derivare queste classi che sembrano in realtà contrastati fra di
loro:

1) Qui la cosa interessante è che Kant stesso traccia un legame fra il tipo di procedura che sta
compiendo e la deduzione metafisica delle categorie. Già da questo si può capire un po’
come intenderà procedere. Qui cambia un po’ però il modo di ottenere l’incondizionato,
qui

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il modo in cui lo otteniamo sembra NON presupporre l’uso di prosillogismi, ma


semplicemente ponendo l’attenzione sulla premessa maggiore di un sillogismo.
Ci fa anche un esempio: tutti gli uomini sono mortali, Caio è un uomo, Caio è mortale.
Concentrandoci sulla premessa maggiore abbiamo pensato in essa un predicato in tutta la
sua estensione sotto una certa condizione, qui il predicato della mortalità è universale ma
sotto alla condizione della umanità. Nella premessa minore invece si pone un oggetto
(Caio) sotto la condizione della premessa maggiore (l’umanità), questo permette di arrivare
alla conclusione che Caio è mortale, tale conclusione è condizionata dalla premessa
maggiore perché Caio sta sotto la condizione portata nella premessa maggiore. Sempre
nella premessa maggiore sarebbe già implicito un incondizionato, infatti il fatto che la
mortalità è affermata in modo universale sotto la condizione della umanità, implica già
l’idea di una totalità di condizioni. Non usiamo dunque un regresso nella serie dei
prosillogismi. Tuttavia sembra esserci un problema, una confusione fra totalità di oggetti
che stanno sotto una certa condizione e la totalità delle condizioni di un oggetto, come si
fa, partendo dalla totalità di oggetti che stanno sotto una certa condizione, arrivare alla
totalità di condizione per un dato oggetto. Questo è il problema.
Le classi di idee comunque come sono derivate qui?
Kant lega i diversi tipi di idee della ragione a tre tipi diversi di sillogismi:
CATEGORICI (A è B; C è A; C è B).
IPOTETICI (se A, B; A; B).
DISGIUNTIVI (o A o B; non A; B).
Se arrivo all’idea di un incondizionato mediante la premessa maggiore di un sillogismo e ci
sono tre tipi di sillogismo, allora ci saranno tre tipi fondamentali dell’incondizionato che
corrispondono ai tre tipi di sillogismo. Qui Kant parla anche di categorie di relazione che
svolgono qui un ruolo. Le tre classi di idee infatti sono ottenute dai tre tipi di sillogismo che
si distinguono per il tipo di premessa maggiore da cui partono che non sono altro che le
FORME DEL GIUDIZIO che corrispondono alle categorie di relazione (sostanza, causa,
comunanza). In questo senso i tre tipi di sillogismi sono legati alle categorie di relazione.

2) Questo modello è nel capitolo “sistema delle idee trascendentali”. L’idea di fondo di questa
derivazione si basa sul distinguere tre relazioni che troviamo in una rappresentazione. In
una rappresentazione abbiamo sempre un soggetto che ha una rappresentazione e
l’oggetto della rappresentazione. Questo oggetto può essere inteso o come fenomeno o
come cosa in generale. Ci sono questi tre tipi di relazione possibili in ogni rappresentazione
(con il soggetto, con l’oggetto inteso come fenomeno o cosa in generale), siccome la
ragione ricerca serie incondizionate, essa andrà a cercarlo per ognuno di questi oggetti
della relazione (soggetto, oggetto e rappresentazione).
Quindi per ricostruire il tutto:
-Le idee trascendentali hanno a che fare con l’unità sintetica incondizionata di tutte le
condizioni in generale (determina una totalità di condizioni per un dato condizionato). -Ci
sono tre tipi fondamentali di relazione in una rappresentazione: 1) relazione al soggetto, 2)
relazione al molteplice dell’oggetto nel fenomeno, 3) relazione a tutte le cose in generale. -
Questi tipi fondamentali di relazione identificano dei diversi domini di applicazione della
ragione nella sua ricerca dell’incondizionato (soggetto, fenomeno, oggetto in generale).

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-Ci saranno tre tipi fondamentali di idee trascendentali che corrispondono all’uso della
ragione in questi diversi domini di applicazione (psicologia razionale, cosmologia razionale,
teologia razionale).
Qui Kant non menziona le categorie, ma noi sappiamo che per arrivare alle forme
dell’incondizionato serve un uso illegittimo delle categorie. Quindi, in che modo entrano in
gioco le categorie in questo modello di derivazione? Forse non le ha menzionate perché
deriva classi di idee e dunque distingue tra tre campi di applicazione della ragione, ma non
derivando ancora le singole idee non usa le categorie che saranno invece utilizzate quando
la ragione andrà ad ottenere le singole idee di una determinata classe attraverso l’uso dei
tre differenti tipi di sillogismo. Ad esempio, se prendiamo in considerazione l’idea di ANIMA
COME SOSTANZA, essa ci deriva da un sillogismo in cui applicheremo la categoria di
sostanza (al di fuori dei limiti del suo utilizzo), se invece prendiamo l’idea della SERIE
COMPLETA DELLE CAUSE PER UN DETERMINATO EVENTO, troviamo un uso illegittimo della
categoria di causalità.

Ci sono dunque due modelli di derivazione di classi di idee. In che tipo di relazione stanno questi
due tipi di derivazione? Si può dire che sono aspetti diversi di un’unica derivazione, due facce della
stessa medaglia, si può anche dire invece che essi sono contrapposti ed incompatibili fra di loro.

QUINDI DA RICORDARE:

1) Ruolo del primo libro della dialettica (parziale deduzione metafisica delle idee
trascendentali).
2) Tre classi di idee.
3) Due modelli di derivazione di queste classi (i tre tipi di idee corrispondono alle tre forme
fondamentali di sillogismo e indirettamente alle categorie di relazione/i tre tipi di idee
corrispondono a tre diversi campi di applicazione della ragione nella sua ricerca per
l’incondizionato).

Quindicesima lezione

Oggi analisi del secondo libro della dialettica trascendentali dedicato alle inferenze fallaci delle tre
discipline della metafisica tradizionale, in particolare prenderemo in considerazione la psicologia
razionale e i suoi paralogismi.

È necessario chiarire che il compito del secondo libro è rivelare l’infondatezza dei ragionamenti
dialettici che ci portano ad affermazioni ingiustificate nella psicologia razionale, nella cosmologia
razionale e nella teologia razionale. Così il libro è diviso in tre capitoli:

1) Intorno ai paralogismi della ragion pura.

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2) L’antinomia della ragion pura. 3)


L’ideale della ragion pura.

È necessario aggiungere anche che questo libro porterà a compimento la deduzione delle singole
idee trascendentali. Questo capitolo ha delle differenze dall’81 all’87: nell’87 Kant è più sintetico,
nell’81 vengono discussi i 4 diversi paralogismi nel dettaglio e c’è anche una critica all’idealismo
problematico (nel quarto paralogismo) che viene spostata nel capitolo sulla “confutazione
dell’idealismo” nell’87. Noi analizzeremo la versione della seconda edizione.

Qui si parla di un paralogismo trascendentale (nasce nella natura della nostra razione), ma quali
sono le sue distinzioni con il paralogismo logico?

PARALOGISMO LOGICO: questo è un sillogismo con un vizio formale, un errore nella forma per cui
non possiamo dalle premesse arrivare alla conclusione che abbiamo.

PARALOGISMO TRASCENDENTALE: questo avrà una ragione alla sua base per cui andremo a fare
quell’errore formale nel ragionamento. È un paralogismo logico, ma l’errore che fa deriva dalla
stessa natura della nostra ragione. Questo errore è connaturato alla natura della nostra stessa
ragione, anche se noi possiamo in qualche modo liberarcene.

Qui analizzerà oggetti specifici. Parte dal concetto di APPERCEZIONE (capacità di riconoscere le mie
rappresentazioni come mie), l’appercezione svolge una funzione chiave nella psicologia razionale
(che non si basa su dati empirici). Le categorie sono i modi attraverso cui operiamo una sintesi del
materiale datoci dell’intuizione in relazione ad un Io che è l’IO PENSO. Questo concetto di io penso
che sviluppo in relazione alla mia capacità di mettere insieme diverse rappresentazioni in un unico
concetto con un soggetto, sta alla base del concetto di anima che è l’oggetto della psicologia
razionale. La psicologia razionale dunque deriva un concetto di anima da questa capacità di riferirsi
all’io in ogni rappresentazione e può sviluppare una scienza puramente razionale sull’io e
sull’anima solo appoggiandosi a questo oggetto per le sue dottrine (perché non può prendere in
considerazione NIENTE che sia empirico). Qui Kant sembra dire che c’è un senso in cui c’è una
possibile dottrina razionale dell’anima se essa si limita a derivare dal concetto di appercezione
SOLO ciò che è legittimamente derivabile. Dimostrerà però che in realtà non c’è alcun modo di
aver una dottrina razionale dell’anima (forse mentre scriveva pensava che ancora fosse possibile
ma poi alla luce dei risultati ottenuti cambiò idea).

La psicologia razionale dunque se vuole costruire una dottrina razionale dell’anima deve lavorare
sul concetto di io penso, d’altra parte gli unici predicati che possiamo utilizzare per ottenere delle
conoscenze su questo oggetto identificato dall’io penso, saranno i predicati trascendentali che
SONO le categorie (concetti a priori). Ma è legittimo utilizzare le categorie in questo modo?

Per determinarlo dobbiamo partire dall’idea di sostanza. Kant ci offrirà una tavola delle idee
psicologiche andando ad applicare alcune delle categorie al concetto del soggetto che otteniamo
attraverso il concetto dell’appercezione. Ci saranno 4 idee applicando rispettivamente una delle
categorie che appartiene ad ognuno dei 4 gruppi di categorie che sono state identificate nella
tavola
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delle categorie al concetto di soggetto ottenuto attraverso il concetto di appercezione. Si parte


dalla categoria di sostanza perché è fondamentale nella disciplina psicologica (altrimenti sarebbe
stata la terza ide in quanto fa parte del gruppo delle categorie della relazione):

1) L’anima è sostanza (relazione).


2) Rispetto alla qualità, è semplice (qualità, forse applica categoria di realtà).
3) Rispetto ai tempi diversi in cui esiste è numericamente identica, ossia unità (quantità,
categoria dell’unità).
4) È in rapporto con oggetti possibili nello spazio (modalità, categoria della possibilità).

Quindi queste idee sono ottenute partendo da un concetto del soggetto ricavato dall’appercezione
e poi attribuiamo proprietà a quel soggetto utilizzando una delle categorie per ognuno dei 4 gruppi
di categorie.

Tutti gli altri concetti della psicologia razionale sono in qualche modo derivabili da queste quattro
idee (per composizione ad esempio).

Ma applicando le categorie in questo modo per attribuire proprietà ad un soggetto trattato dalla
psicologia razionale stiamo facendo qualcosa di legittimo?

La prima cosa da chiarire è che il concetto di io penso NON ci dà un oggetto, in quella coscienza di
noi stessi ci manca l’intuizione, fondamentale per darci degli oggetti. Quindi tramite quel modo di
riferirsi all’io viene rappresentato solo un soggetto trascendentale dei pensieri =x. Quindi tramite
quella funzione logica di poter riferire a noi stessi diverse rappresentazioni non ci è dato un
oggetto e le categorie possono essere utilizzate per determinare un oggetto SOLO quando c’è un
oggetto possibile dell’intuizione. Questa è la base della critica kantiana.

Quindi partendo da questa idea Kant formula qual è il paralogismo (inferenza fallace) che sta alla
base di tutta la psicologia razionale:

1) Ciò che non può essere pensato diversamente che come soggetto non esiste diversamente
che come soggetto, perciò è sostanza.
2) Ma un essere pensante, considerato semplicemente come tale, non può esser pensato
diversamente che come soggetto.
3) Dunque esso esiste soltanto come tale, ossia come sostanza.

Qui c’è un errore fondamentale: non c’è termine medio. Il concetto di soggetto nella premessa
maggiore è un essere che può darsi nell’intuizione, ma nella premessa minore è un essere
esclusivamente riferito al suo considerarsi come soggetto, esso non può MAI esserci dato
nell’intuizione.

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A questo punto possiamo comprendere come nella psicologia razionale possiamo arrivare agli altri
paralogismi. La confusione fra i due sensi di soggetto, partendo da un’affermazione legittima,
arriva alla conclusione fallace che l’io è sostanza.

Per quanto riguarda la seconda idea: si parte da una proposizione valida rispetto all’io
dell’appercezione (che è semplice), ma da qui non si può derivare l’idea che l’io è una sostanza a
sua volta semplice (la semplicità è propria solo dell’io in quanto principio logico dell’unificazione
delle rappresentazioni).

Per la terza idea: per attribuire l’unità al soggetto in quanto io dell’appercezione noi dovremmo
avere un’intuizione di quell’oggetto, ma non possiamo avercela, perciò anche se c’è una identità
dell’io in quanto principio logico, da questo non possiamo inferirne l’identità dell’io come
sostanza.

Nell’ultima idea: tramite il principio dell’io mi è in qualche modo permesso di distinguere fra me
stesso in quanto pensante e gli oggetti che esistono in quanto corpi, ma non mi è permesso
pensare l’io pensante come se potesse funzionare indipendentemente dagli oggetti esterni e
dunque non è dunque permesso pensare che io possa esistere come essere pensate
indipendentemente dalla mia sostanza corporea.

QUINDI DA RICORDARE:

1) Come la derivazione delle singole idee psicologiche è portata a termine nel capitolo sui
paralogismi.
2) Che ruolo svolge il giudizio “io penso” nella psicologia razionale.
3) Funzione delle categorie nella derivazione delle singole idee.
4) Perché il ragionamento che sta alla base della derivazione delle idee è fallace.

Sedicesima lezione

Oggi considereremo il secondo capitolo del secondo libro della dialettica trascendentale. Qui
parleremo dell’antinomia trascendentale. Troveremo vari temi, si cercherà di completare la
derivazione delle singole idee trascendentali delle idee cosmologiche, poi rilevare l’infondatezza
dei ragionamenti dialettici che ci portano all’errore nella cosmologia razionale. Qui c’è una
particolarità però, ANTINOMIA indica il fatto che per ogni idea cosmologica che verrà qui trovata,
verrà identificata una contraddizione fondamentale fra due proposizioni contrarie ma che
sembrano supportate ugualmente da argomenti validi.

Il capitolo è parecchio complesso. Oggi vedremo la derivazione delle idee e le quattro antinomie.

Mentre nel paralogismo abbiamo un ragionamento fallace connaturato alla nostra stessa ragione,
nell’antinomia abbiamo sì dei ragionamenti dialettici, ma essi ci porteranno a fare delle
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contraddittorie, questo stato della cosmologia razionale ci mostra ancora di più la necessità di
farne una critica.

Come arriviamo alle singole idee cosmologiche. Anche qui troviamo l’idea che le idee
cosmologiche nascano da un uso improprio delle categorie quando esse sono usate per
determinare un oggetto incondizionato. Quindi le idee trascendentali, esse altro non saranno che
categorie sospinte fino all’incondizionato assumendo il principio supremo della ragione.

Le categorie che guidano il nostro regresso all’incondizionato saranno solo quelle la cui sintesi
costituisce una serie. Le categorie che ci porteranno ad un regresso all’incondizionato danno
dunque luogo ad una serie regressiva da un dato alla sua condizione e così via. Qui c’è però un
problema che è: Kant sembra utilizzare una caratteristica che aveva legato alle idee in generale (il
regresso alla serie delle condizioni) per dire cosa c’è di specifico nelle idee cosmologiche. Le
antinomie della ragione dunque hanno un ruolo fondamentale per spiegare la ragione stessa.

Cosa caratterizza le idee cosmologiche però?

1) Riguardano la totalità dei fenomeni.


2) La serie delle condizioni è formata da oggetti che sono fondamentalmente analoghi al
“condizionato” da cui partiamo.

Se si parte quindi da una conoscenza data che riguarda un oggetto dell’intuizione, noi penseremo
la serie delle condizioni per spiegarne l’esistenza, come analoghe all’oggetto da cui partiamo.

Quali saranno queste totalità di fenomeni?

1) La prima idea cosmologica ha due forme, una che riguarda la totalità dei momenti trascorsi
nel tempo e una che riguarda la totalità delle parti dello spazio che racchiudono un dato
spazio. Qui nell’idea del tempo si partirà da un momento specifico dato nella nostra
esperienza e da lì si assumerà che quel tempo è preceduto da un altro tempo e così via. Nel
caso dello spazio si partirà da una porzione di spazio esperita e la vedremo come racchiusa
in una porzione di spazio più ampia e via così.
2) La seconda idea concerne la materia (cioè la realtà nello spazio). Qui non si considera solo
lo spazio in quanto forma dell’intuizione ma in quanto riempito dagli oggetti che ci sono
dati nella sensazione, si andrà dunque a concepire la totalità delle parti che compongono
una data sostanza. Che categoria dà luogo al regresso? Non è chiarissimo, la categoria sarà
una di qualità ed è lecito assumere che sia la categoria della realtà.
3) La terza idea riguarda la totalità della serie delle cause di un dato evento. Avremo un
evento e per spiegarlo dovremo assumere la totalità delle cause che hanno portato a quel
dato evento. La categoria che si usa per determinare questo regresso è quella di causalità.
4) Nell’ultima idea cosmologica si parla della totalità delle condizioni per qualcosa di
contingente. Le categorie che danno luogo al regresso saranno quelle di necessità e di
contingenza.

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Quindi la derivazione delle singole idee cosmologiche in modo schematico:

1) La completezza assoluta della composizione del tutto dato di tutti i fenomeni.


2) La completezza assoluta della divisione di un tutto dato nel fenomeno.
3) La completezza assoluta del sorgere di un fenomeno in generale.
4) La completezza assoluta della dipendenza dell’esistenza del mutevole nel fenomeno.

Quindi, ognuna delle idee cosmologiche dà luogo ad un’antinomia che consiste in due modi
apparentemente contraddittori di concepire le totalità in questione.

L’antinomia è formata da due proposizioni apparentemente contraddittorie.

Ognuna delle due proposizioni è supportata da un argomento (dialettico).

L’argomento procede confutando la proposizione contraddittoria e deducendo quindi la verità


della proposizione che vuole difendere.

Le antinomie ci mettono in una situazione di impasse: abbiamo due proposizioni contraddittore


che sembrano egualmente supportate da un argomento apparentemente valido.

L’antinomia mostra dunque in modo diretto la necessità di offrire una critica delle nostre facoltà
conoscitive per spiegare e risolvere le antinomie.

Abbiamo detto che le due proposizioni che vanno a formare le antinomie rappresentano modi
diversi di rappresentarsi la totalità data in una data idea: la tesi rappresenterà la serie delle
condizioni come finita, l’antitesi come infinita (non ci sarà un primo incondizionato, ma sarà la
serie stessa in quanto infinita ad essere incondizionato). Quindi finalmente le antinomie:

1) Il mondo ha un suo inizio nel tempo e, rispetto allo spazio è chiuso entro limiti / Il mondo
non ha né inizio né limiti nello spazio, ma è infinito così rispetto al tempo come rispetto allo
spazio.
2) Nel mondo ogni sostanza consta di parti semplici, e in nessun luogo esiste qualcosa che
non sia o semplice o ciò che ne risulta composto / Nel mondo, nessuna cosa composta
consta di parti semplici; e in nessuna parte del mondo esiste alcunché di semplice.
3) La causalità in base a leggi della natura non è l’unica da cui sia possibile far derivare tutti i
fenomeni del mondo. Per la loro spiegazione si rende necessaria l’ammissione anche d’una
causalità mediante libertà / Non c’è libertà alcuna, ma tutto nel mondo accade
esclusivamente in base a leggi di natura (quando Kant parla di libertà lui intende la libertà
trascendentale che è una forma di causalità dove una causa non è a sua volta l’effetto di
cause precedenti, ma è una causalità spontanea).
4) Del mondo fa parte qualcosa che – o come suo elemento o come sua causa – costituisce un
essere assolutamente necessario / In nessun luogo – né nel mondo, né fuori del mondo –
esiste un essere assolutamente necessario che ne sia la causa.

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QUINDI DA RICORDARE:

1) Come la derivazione delle singole idee cosmologiche è portata a termine in questo


capitolo. 2) Qual è la peculiarità delle idee cosmologiche (danno luogo a delle antinomie) 3)
Quali sono le quattro antinomie.

Diciassettesima lezione

Risolveremo le antinomie introdotte nella lezione precedente. Per ricapitolare:

1) Ci sono quattro antinomie (formata da due proposizioni apparentemente contraddittorie).


2) La tesi di ogni antinomia rappresenta la totalità pensata nell’idea come finita.
3) L’antitesi la totalità pensata nell’idea come infinita.
4) Gli argomenti per le tesi e le antitesi partono dall’assunto che tesi ed antitesi esauriscono le
possibilità logiche e che necessariamente una delle due debba essere vera e l’altra falsa.

L’idea principale per offrire una soluzione si basa sull’idealismo trascendentale. L’intuizione di
fondo è che una volta accettato l’idealismo trascendentale e una volta che trattiamo il
condizionato come fenomeno, ecco che il principio supremo della ragione NON è valido.

Le prime due antinomie sono dette MATEMATICHE perché in esse si applicano delle categorie che
corrispondono a principi matematici. In esse inoltre sia la tesi che l’antitesi sono FALSE.

Le ultime due antinomie sono dette DINAMICHE perché applicano delle categorie che
corrispondono ai principi dinamici. In esse inoltre sia la tesi che l’antitesi POSSONO essere VERE.

Ora, perché il principio supremo della ragione (quando è dato un condizionato è anche data
l’intera serie delle sue condizioni) è illegittimo quando assumiamo l’idealismo trascendentale e che
il condizionato è un fenomeno?

Prima di tutto occorre chiarire cos’è l’idealismo trascendentale. Esso ci dice che gli oggetti della
nostra conoscenza non sono cose in sé, ma sono fenomeni che sottostanno alle forme a priori
della nostra sensibilità. Quindi in che modo si può parlare di totalità di fenomeni?

Quando ci rendiamo conto che l’oggetto della nostra conoscenza è un fenomeno, quando parliamo
di totalità degli oggetti non possiamo presupporre che quella totalità sia data indipendentemente
dalla nostra conoscenza e dalla nostra esperienza (gli oggetti ci sono dati solamente in quanto
conosciuti). La totalità legata al fenomeno infatti deve infatti essere tutta costituita di fenomeni
anch’essi conoscibili da noi.

A questo punto Kant ci dice che il principio supremo della ragione SAREBBE VALIDO per le cose in
sé. Le cose non stanno così quando il condizionato che ci è dato è un fenomeno, in quel caso

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allora potrò solo cercare di spingermi il più possibile a monte nella ricerca del condizionato, ma
non posso presupporre la validità del principio supremo della ragione. Questo spiega l’apparenza
di validità che troviamo nei ragionamenti dialettici che animano l’antinomia e anche in questo caso
abbiamo una fallacia che possiamo chiamare un sophisma figura dictionis: nel ragionamento
dialettico che troviamo nelle antinomie in cui mi è dato un condizionato, se guardiamo la premessa
maggiore e la premessa minore, il condizionato è inteso in due sensi diversi.

Nella premessa maggiore è inteso come cosa in generale.

Nella premessa minore è inteso come fenomeno.

Quindi la conclusione che ci dice che deve essere data una serie di condizioni è FALLACE.

Ora possiamo dunque vedere come funziona la soluzione delle singole antinomie. Partiamo dalle
antinomie matematiche:

1) Mondo ha/non ha cominciamento nel tempo e nello spazio e ha/non ha limiti nel tempo e
nello spazio.
2) Esistono/non esistono sostanze semplici.

L’idea centrale della soluzione è che è solo quando le cose sono trattate come cose in sé stesse che
la tesi e l’antitesi sono due proposizioni contraddittorie. Quando gli oggetti sono considerati come
fenomeni si dà almeno un’altra possibilità e si può dire che le proposizioni che formano
l’antinomia sono entrambe false. Prendiamo ad esempio la prima antinomia.

Assumere che il mondo sia finito o infinito esaurisce lo spazio delle possibilità logiche solo
presupponendo che dato un condizionato sia data anche la totalità delle sue condizioni (che
possono essere date o come finite o come infinite). Questa però è un’assunzione infondata
quando partiamo dall’idealismo trascendentale. C’è un’altra possibilità che è che il mondo in
quanto formato da fenomeni NON esiste in quanto totalità determinata, questa totalità di oggetti
non sarà né finita né infinita. Tesi e antitesi saranno entrambe false.

Il modello di soluzione della prima antinomia vale per tutte le altre antinomie: in ogni antinomia
sarà corretto dire che non possiamo rappresentarci le serie che riguardano le antinomie come
determinate. Sarà quindi impossibile definirle come finite o infinite.

Passiamo ora alla soluzione delle antinomie dinamiche. In questo caso sia la tesi che l’antitesi
possono essere entrambe vere. Il modello della prima antinomia è trasportabile su tutte le
antinomie, ma allora perché qui tesi e antitesi possono essere entrambe vere?

Ci sono differenze fra antinomie matematiche e dinamiche:

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1) Nelle antinomie dinamiche non siamo costretti a pensare tutte le condizioni per un dato
condizionato come necessariamente fenomeni. Quindi nel momento in cui pensiamo al
regresso nelle antinomie matematiche, ogni membro della serie deve essere
necessariamente un fenomeno (perché la serie è nel tempo e nello spaio che sono propri
del fenomeno). Ma nelle antinomie dinamiche non per forza dobbiamo avere un oggetto
rappresentato come fenomeno, ad esempio le cause che sono individuate come necessarie
date un determinato evento non necessariamente devono essere pensate come oggetti
fenomenici, ma può esserci anche una causa che non è un fenomeno, in tal caso non
potremmo conoscerla, ma potremmo immaginarla.
2) Nelle antinomie dinamiche possiamo arrivare alla tesi e all’antitesi senza presupporre che
sia data una totalità di condizioni per un dato condizionato. Quando consideriamo le
antinomie dinamiche, per arrivare alla tesi o all’antitesi non dobbiamo presupporre che ci
sia data una totalità di condizioni per un dato condizionato. Per questo è lecito domandarsi
se esistono cause libere o se invece ogni causa è determinata da cause precedenti anche
dopo aver stabilito che l’idea dell’intera serie di condizioni per un dato condizionato è
illegittima quando partiamo da un fenomeno.

Di conseguenza nel caso delle antinomie dinamiche è possibile che sia la tesi che l’antitesi siano
vere. Quindi:

3) Esiste/non esiste una causalità libera.


4) Esiste/non esiste un ente assolutamente necessario.

Prendiamo l’esempio della terza antinomia. La soluzione è la seguente: mentre è vero che la
libertà NON può essere data nel mondo dei fenomeni (ma ci sono catene di cause secondo leggi
naturali), ciò non esclude la possibilità della libertà nel mondo dei noumeni. In relazione all’antitesi
possiamo dire che è di fatto vera per quanto riguarda il mondo dei fenomeni. In relazione alla tesi
possiamo invece dire che l’analitica trascendentale ha già stabilito, senza possibilità di eccezioni,
l’esattezza del principio della universale connessione di tutti gli eventi nel mondo sensibile, in base
alle leggi immutabili della natura. Tutto sta quindi nel vedere se, ciononostante, in quel medesimo
effetto che risulta determinato in base alla natura possa aver luogo anche la libertà o se essa risulti
inappellabilmente esclusa da quella legge inderogabile. Ecco che però è possibile pensare una
causalità per libertà se assumiamo l’idealismo trascendentale, quindi la tesi è affermabile come
POSSIBILMENTE vera, non possiamo però dirla effettivamente vera. Ciò che ci permette dunque di
affermare che sia la tesi che l’antitesi sono possibilmente vere contemporaneamente è l’idealismo
trascendentale.

QUINDI DA RICORDARE:

1) Cos’hanno in comune le risoluzioni delle quattro antinomie.


2) La soluzione delle antinomie matematiche.
3) La soluzione delle antinomie dinamiche.

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Diciottesima lezione

Oggi considereremo l’ideale della ragione pura che è il capitolo del secondo libro della dialettica
dedicato all’idea teologica e ai ragionamenti dialettici che troviamo nella teologia razionale. Qui si
porterà a compimento la derivazione delle idee teologiche (in questo caso la classe delle idee
teologiche contiene una sola idea). Inoltre rivela l’infondatezza dei ragionamenti dialettici che ci
portano ad affermazioni ingiustificate nella teologia razionale.

Prima di tutto è necessario stabilire che cos’è un ideale della ragion pura. Kant ci dice che è un
concetto di un oggetto individuale, ad esempio mentre la virtù e la saggezza, in quanto perfezioni,
sono idee, se noi troviamo un’istanziazione di queste perfezioni in un essere singolare che diventa
un archetipo delle azioni di chi vuole agire in modo virtuoso o saggio, questa impersonificazione
individuale delle idee è un ideale. In breve l’individuale è un’idea che va a rappresentare un
oggetto singolare.

Siccome si parla di idea di Dio, ecco che parliamo di ideale perché nell’idea di Dio troviamo l’idea di
un oggetto singolare. Come arriva all’idea di Dio? Kant percorre un po’ lo stesso percorso della
ragione in generale (uso logico, uso reale, oggetti). Qui l’uso logico della ragione a cui Kant si
riferisce, parte dal principio di determinabilità: quando prendo un concetto e aggiungo un
predicato a quel concetto, non posso allo stesso tempo aggiungere il predicato che è il
contraddittorio di quello che ho già aggiunto. [Kant and the source of metaphisics]. Ad esempio se
aggiungo al concetto di triangolo quello di equilatero, non posso aggiungervi anche il concetto di
non-equilatero.

Se il principio di determinabilità è un principio logico, che la ragione nel suo uso logico può seguire,
ecco che essa tende ad affiancarvi anche un altro principio, il principio di determinazione
completa in base al quale si tende a sfociare nell’uso reale della ragione. In questo principio si
parla di oggetti (non più di concetti), questi oggetti saranno completamente determinati in
relazione ad ogni possibile predicato. Quindi l’oggetto sarà determinato in modo che
attribuendogli un predicato e il suo contrario ecco che l’oggetto dirà se quel predicato gli
appartiene oppure no. Per formalizzare: per ogni oggetto x e tutti i predicati possibili P1, P2, P3…
Pn, x è o P1 o non-P1, o P2 o non-P2… o Pn o non-Pn.

Questo principio presenta un giudizio disgiuntivo perché presenta una disgiunzione fra un
predicato e il suo opposto. Non è chiaro però se dà luogo ad un sillogismo disgiuntivo per arrivare
all’idea di Dio.

Quindi abbiamo detto che c’è un passaggio dell’uso logico all’uso reale della ragione, ma perché la
ragione è portata ad assumere il principio di determinazione completa (uso reale) a partire dal
principio di determinabilità (uso logico)?

Possiamo immaginare che dal principio di determinabilità noi ricaviamo una massima che dice che
per ogni concetto C e ogni possibile predicato P, dobbiamo o aggiungere P o aggiungere non-P a C.

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La massima così però non ci dice che questa operazione vada a determinare effettivamente
l’oggetto. Nel momento in cui però operiamo secondo questa massima, siamo portati ad assumere
la validità del principio di determinazione completa, c’è dunque un passaggio.

Il principio di determinazione completa ci porta però alla determinazione effettiva degli oggetti?

Bisogna distinguere fra un uso costitutivo e regolativo del principio:

COSTITUTIVO: gli oggetti sono effettivamente determinati e il principio è oggettivamente valido.

REGOLATIVO: ci dice di prendere il principio come un’idea guida allo scopo di incrementare la
nostra conoscenza.

Passiamo quindi alla derivazione. A questo punto si deriva l’idea dell’insieme di ogni possibilità dal
principio di determinazione completa. Perché se è vero che un oggetto in quanto determinato lo è
in relazione a tutti i predicati possibili, significa che per conoscere un oggetto nella sua
determinazione completa, io dovrò conoscere l’insieme di tutti i predicati possibili e dire se un
predicato è ascrivibile a quell’oggetto o al suo contrario.

A questo punto determiniamo in modo ulteriore come deve essere strutturata quell’idea
dell’insieme di ogni possibilità: si distingue fra

PREDICATI POSITIVI: umano, mortale…

PREDICATI NEGATIVI: non-umano, non-mortale…

I predicati negativi sono solo derivativi in relazione a quelli positivi. Quindi da qui deriva l’idea del
tutto della realtà, l’idea di ogni possibilità in relazione alla quale noi dobbiamo determinare ogni
oggetto in modo completo è sufficiente che includa i predicati positivi e in quanto tale questa idea
può essere chiamata l’idea del tutto della realtà che include solo i predicati positivi possibili.

Ora, l’ultimo passaggio consiste nel vedere in Dio l’oggetto in cui il tutto della realtà è istanziata.

In modo schematico:

1) Dal principio di determinabilità è ricavato il principio di determinazione completa.


2) Ogni oggetto è assolutamente determinato rispettivamente ad ogni predicato possibile.
3) Ci deve essere un tutto dei predicati positivi
4) Tale totalità dei predicati positivi può essere data solamente in un essere individuale (ens
realissimum).

Ora, questo, confrontato con le due classi di idee derivate nel primo libro abbiamo dei problemi.
Non è chiaro che strategia di derivazione è preferita. Per la classe delle idee teologiche, infatti,
l’ideale dovrebbe essere derivato o tramite un sillogismo disgiuntivo, o applicando la ragione nella
sua ricerca dell’incondizionato al dominio degli oggetti in generale.

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Ma in questa derivazione non c’è un chiaro legame con nessuna di queste due derivazioni.

Inoltre, che ruolo hanno le categorie nella derivazione dell’ideale? Forse si potrebbe dire che viene
usata la categoria della possibilità/impossibilità, ma potrebbe essere anche la categoria di realtà o
necessità… non è molto chiaro.

A questo punto andiamo a vedere cosa fa dopo. Kant ricostruirà l’argomento che sorge
naturalmente dalla struttura della nostra ragione e ci porta ad affermare l’esistenza dell’ens.

Tramite quel ragionamento che abbiamo trovato nella tesi della quarta antinomia, arriviamo ad
affermare l’esistenza di un ente necessario, ma poi la ragione va a cercare fra i suoi concetti di
oggetti quello che è compatibile con il concetto di qualcosa di necessario e l’oggetto che potrà
svolgere quel ruolo è l’idea dell’ens realissimum, l’ideale della ragion pura.

Schematizzando l’argomento dialettico che ci porta ad affermare l’esistenza di Dio:

1) Se è dato un oggetto contingente deve esserci qualcosa che esiste necessariamente


2) Ci sono oggetti contingenti.
3) C’è un oggetto che esiste necessariamente.
4) L’ens realissimum è compatibile con l’idea di un oggetto che esiste necessariamente.
5) L’ens realissimum è l’oggetto che esiste necessariamente.

Questo genera due problemi:

1) L’esistenza di un essere necessario è solo possibile.


2) Anche se potessimo dedurre tale esistenza, l’argomento non stabilisce che l’oggetto
necessario è l’ens realissimum.

Inoltre Kant andrà a prendere delle prove a favore dell’esistenza di Dio andando a ricondurle a tre
tipi di argomenti principali:

1) Argomento ontologico: 2 e 3 arrivano ad una conclusione solo assumendo in qualche modo


1. Il concetto di ens realissimum è il concetto di un oggetto massimamente perfetto:
l’esistenza è una perfezione; l’ens realissimum esiste necessariamente. Ma non è mai
possibile derivare l’esistenza di un oggetto dall’analisi del suo concetto. Kant dice che
l’essere non è mai un predicato reale, nel senso che se io dico che Dio è reale, in quel
giudizio non sto attribuendo un predicato o una proprietà all’oggetto rappresentato dal
concetto, sto semplicemente ponendo l’oggetto come esistente, in questo senso l’esistenza
non è un predicato reale.
Nei giudizi c’è la possibilità di usare il verbo essere in due modi diversi:
COPULA: serve per attribuire un predicato ad un oggetto.
PORRE IL CONCETTO UTILIZZATO NEL GIUDIZIO IN RELAZIONE AD UN
OGGETTO ESISTENTE: ci dice solo che c’è un oggetto.

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2) Argomento cosmologico: se esiste qualcosa (di contingente), deve esistere un essere


assolutamente necessario; io esiste; un essere assolutamente necessario esiste; se
qualcosa è un essere assolutamente necessario, è un ens realissimum; l’ens realissimum
esiste.
3) Argomento fisico-teologico: troviamo nella natura una quantità di ordine e bellezza
smisurata; la presenza di ordine e bellezza richiede una causa intelligente; esiste
necessariamente una causa intelligente della natura (che è l’ens realissimum).

QUINDI DA RICORDARE:

1) La derivazione dell’ens realissimum (principio di determinabilità, di determinazione


completa) e i problemi che pone.
2) Il ragionamento dialettico che ci porta ad affermare l’esistenza di Dio.
3) Gli argomenti dialettici della teologia razionale (non validità della prova ontologica).

Diciannovesima lezione

Concluderemo la dialettica trascendentale con l’Appendice alla dialettica trascendentale. Si


potrebbe pensare che sia una parte meno importante, ma così NON è. In questa appendice, dopo
che si è stabilito che le idee della ragione non possono essere trattate come conoscenze degli
oggetti che rappresentano, trova un uso positivo di quelle idee della ragione: svolgono una
funzione per perfezionare la nostra conoscenza empirica. Qui Kant parla dell’uso COSTITUTIVO e
REGOLATIVO delle idee. È divisa in due sezioni:

INTORNO ALL’USO REGOLATIVO DELLE IDEE DELLA RAGION PURA: qui parla dell’idea della
sistematicità della natura con 3 principi ad essa associati.

INTORNO ALLO SCOPO ULTIMO DELLA DIALETTICA NATURALE DELLA RAGIONE UMANA: qui
riprende Dio, anima e mondo e anche qui dirà che queste idee hanno un uso regolativo legittimo
per perfezionare le conoscenze che otteniamo attraverso intuizione ed intelletto.

Quindi, la prima cosa che Kant fa è distinguere fra diversi usi della ragione per far comprendere
che tipo di ruolo la ragione svolge rispetto all’intelletto riguardo alle conoscenze empiriche. La
prima distinzione che fa è:

USO IMMANENTE DELLA RAGIONE: si applica la ragione legittimamente per prendere le


conoscenze empiriche fornite dall’intelletto e operare una funzione su quelle conoscenze che solo
la ragione può fare (dare unità incrementando le relazioni inferenziali fra quelle conoscenze).

USO TRASCENDENTE DELLA RAGIONE: si applica la ragione per arrivare ad oggetti che vanno al di
là dell’esperienza possibile per arrivare a conoscenze che riguardino l’incondizionato.

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A questa distinzione segue:

USO COSTITUTIVO DELLE IDEE: quello che tratta le idee come conoscenze effettive degli oggetti
che rappresentano.

USO REGOLATIVO DELLE IDEE: pongo semplicemente le conoscenze degli oggetti empirici che mi
sono fornite dall’intelletto in relazione alle idee per migliorare le conoscenze in un certo qual
modo.

Ancora altra distinzione nei diversi usi della ragione:

USO APODITTICO DELLA RAGIONE

USO IPOTETICO DELLA RAGIONE: date delle conoscenze noi andiamo a cercare delle regole più
generali da cui quelle conoscenze potrebbero essere derivate. Questa ricerca dell’universale
(premesse maggiori da cui derivare delle conoscenze) è fondamentale per la ragione. Quest’uso
ipotetico nella sua ricerca delle regole universali sotto le quali i nostri concetti stanno, riesce a
fornire unità alle conoscenze che otteniamo attraverso l’intelletto. Ma in realtà Kant non parla solo
di un universale sotto a cui diversi particolari stanno, in generale la ragione incrementa le relazioni
inferenziali fra diversi concetti empirici che ci sono dati dall’intelletto.

È utile distinguere tre massime logiche che la ragione segue per incrementare le relazioni
inferenziali:

1) Omogeneità: porta la ragione a cercare unità per le varie conoscenze che abbiamo
cercando delle premesse maggiori dalle quali diverse conoscenze possono essere ottenute.
“cerca una proposizione che può fungere da premessa maggiore di vari argomenti”.
2) Specificazione: “deriva le conoscenze ulteriori che possono essere derivate da conoscenze
che già possediamo”. Non dobbiamo fermarci alle conoscenze che abbiamo, ma utilizzare
la ragione per vedere se dalle conoscenze che abbiamo possiamo ricavarne altre mediante
un procedimento inferenziale.
3) Continuità: introduce passaggi intermedi in un sillogismo. Rende più complesse le relazioni
inferenziali fra le proposizioni.

Ad esempio “gli essere umani sono mortali”, “i delfini sono mortali”, “i cavalli sono mortali”.

Omogeneità: “i mammiferi sono mortali”, la ragione prima di tutto trova una premessa maggiore
da cui derivare tutte le conoscenze che abbiamo in partenza.

Specificazione: “i cavalli andalusi sono mortali” e “I cavalli arabi sono mortali”. La ragione può
trovare specificazioni ulteriori delle conoscenze che abbiamo in partenza.

Continuità: “gli equini sono mortali”, la ragione introduce un passaggio intermedio da aggiungere
fra “i mammiferi sono mortali” e “i cavalli sono mortali”.

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Dopo che la ragione ha operato in questo modo sulle conoscenze offerteci dall’intelletto, ecco che
possiamo trovare una serie di proposizioni legate da inferenze chiare, perfezionando così le nostre
conoscenze:

1) I mammiferi sono mortali.


2) Gli equini sono mammiferi.
3) Gli equini sono mortali.
4) I cavalli sono equini.
5) I cavalli sono mortali.
6) I cavalli andalusi sono cavalli.
7) I cavalli andalusi sono mortali.

Queste massime tramite le quali la ragione dà unità alle conoscenze dell’intelletto sono associate
alla relazione di genere e specie fra i concetti.

Omogeneità: è un principio logico dei generi che fa progredire l’intelletto che dà solo non è in
grado di dare coesione alle diverse conoscenze sulla natura.

Specificazione: principio logico delle specie che implica la molteplicità e la differenziazione delle
cose che tuttavia rientrano nello stesso genere.

Continuità: tutte le differenze delle specie combaciano fra di loro e non si passa dall’una all’altra
con un salto, ma con gradi infinitesimi di differenza, non esistono specie e sottospecie che fra di
loro siano le più vicine, ma sono sempre possibili altre specie intermedie.

Quando operiamo sui concetti offerti dall’intelletto mediante queste massime dobbiamo assumere
allo stesso tempo dei principi trascendentali che siano legati a queste massime. Tali principi ci
portano ad assumere che nella natura stessa esistano relazioni di omogeneità, specificazione e
continuità. Quindi: quando cerchiamo relazioni di omogeneità… fra le nostre proposizioni,
assumiamo anche che la natura, a cui le nostre conoscenze si rivolgono, abbia delle relazioni simili.

Ma in che senso possiamo assumere che la natura rappresenta quei caratteri di omogeneità…? Nel
momento in cui assumiamo che la natura è essa stessa sistematica secondo relazioni di
omogeneità… non stiamo facendo un uso costitutivo della ragione?

Kant ci dice che per dare unità alle conoscenze dell’intelletto seguiamo le massime logiche di
omogeneità, specificazione e continuità.

Quando procediamo in questo modo, assumiamo che anche la natura presenti quelle
caratteristiche.

Tale assunzione non può però essere trattata come una conoscenza. È piuttosto un’assunzione che
rende il nostro agire razionale.

In questo senso, i principi trascendentali sono assunti in senso regolativo e NON costitutivo.

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Altro aspetto da chiarire, perché i principi che Kant associa alle massime logiche sono detti
trascendentali?

1) Perché i principi prevedono una sorta di relazione all’oggetto. Tratto il principio come se
avesse un corrispettivo nell’oggetto.
2) Perché fungono da regole dell’esperienza possibile. La loro funzione in fondo (delle idee)
sembra più che altro quella di dare unità alle conoscenze forniteci dall’intelletto. Quindi in
che senso sono regole dell’esperienza possibile? Kant sembra dire che anche se otteniamo
conoscenze empiriche tramite intelletto (e sensibilità), l’intervento della ragione è
necessario per perfezionare quelle conoscenze. Inoltre ci sono alcune conoscenze
dell’intelletto che non avremmo ottenuto se non avessimo seguito l’idea della sistematicità
della natura, ci sono dei concetti degli oggetti empirici che noi non avremmo ottenuto se
noi non avessimo applicato le massime assumendo anche la sistematicità della natura.

Ora per vedere in che senso le idee di Dio, anima e mondo possono dare unità alle nostre
conoscenze facciamo degli esempi. Kant dice che dobbiamo collegare nella psicologia tutti i
fenomeni, le operazioni e la recettività del nostro animo secondo il filo conduttore dell’esperienza
interna come se il nostro animo fosse una sostanza semplice, esistente permanentemente (nella
vita, almeno) con identità personale. L’idea che ci sia nella nostra vita psicologica un sostrato
unitario, ci permette di trovare delle conoscenze che non avremmo mai trovato se non avessimo
ammesso, almeno ipoteticamente, il sostrato dell’anima. Questa assunzione comunque NON È una
conoscenza, è un “come se”, un uso regolativo.

Per quanto riguarda Dio, Kant afferma che la suprema unità formale, che poggia solo su concetti
della ragione, è l’unità delle cose in conformità ai fini, e l’interesse speculativo della ragione fa sì
che sia necessario considerare ogni ordine nel mondo come se avesse preso origine dall’intento
d’una ragione suprema. Quindi nel momento in cui noi trattiamo la natura come avente lo stesso
tipi di relazioni sistematiche che noi ricerchiamo secondo la struttura della nostra ragione, quello
che facciamo è trattare la natura come se fosse il risultato di una creazione da parte di un essere
intelligente. Questa è solo un’assunzione, non una conoscenza, un mezzo per ottenere delle
conoscenze empiriche.

QUINDI DA RICORDARE:

1) L’apporto della ragione alla conoscenza empirica.


2) Distinzioni (immanente, trascendente, regolativo, costitutivo, uso ipotetico della ragione).
3) L’idea della sistematicità della natura.
4) Le idee di Dio, anima e mondo nel loro uso regolativo.

Ventesima lezione
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Classici della filosofia – Critica della ragion pura

La dottrina trascendentale del metodo.


Domande iniziale della prefazione B:
-può la metafisica diventare una scienza?
-come può raggiungere questo obbiettivo?

 Metafisica l tempo di Kant è in posizione svantaggiata, è lontana dal raggiungere lo status di scienza, ed
il compito della critica è chiedersi si ciò è possibile e se lo è, chiedersi come fare ad arrivare a tale
obbiettivo.

La dottrina trascendentale del metodo può essere letta a scopo determinare come la metafisica può
diventare scienza e come.
Deve determinare che tipo di scienza deve essere determinata partendo da quello che è stato stabilito
nella dott trasc degli elementi.

 Dottrina trascendentale del metodo.. che cos’è una dottrina del metodo?

Dottrina del metodo:


logica particolare o organo particolare, di una determinata scienza.

La differenza con la logica generale, è che la particolare ha regole valide solo per determinato insieme di oggetti,
non oggetti in generale.

L’organo o la logica particolare può essere sviluppata solo quando abbiamo già conoscenza di tale scienza.

Compito: -- mostrare che quelle conoscenze che già abbiamo formano in effetti una scienza. Dunque possono
essere ricondotte ad un insieme unitario che forma scienza determinata.

Metafora architettonica usata da Kant dove dice che nella dottrina trasc degli elementi abbiamo preso in
considerazione alcune delle conoscenze che andranno a formare il sistema della metafisica: categorie, forme a
priori della sensibilità,…
Abbiamo visto anche i limiti delle conoscenze,..

Qual è dunque il compito della dottrina trascendentale del metodo in relaz alle indagini della dott degli
elementi? – porsi il compito di delineare quale sarà la struttura della metafisica che potremmo costruire.

 L’architettonica della ragion pura.


 Perché passiamo direttamente all’architettonica?
 Perché mostrare come un insieme di conoscenza possa costruire una scienza, una dottrina del metodo
deve mostrare che esse costituiscono un sistema. È questo aspetto della scienza che viene trattato
nell’architettonica.
 Vedremo poi come la disciplina , il canone e la storia contribuiscono a mostrare come la metafisica
possa diventare una scienza.

 Che cosa fa l’architettonica?


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1. Mostra come la sistematicità o ciò che kant chiama unità architettonica, sia necessaria in ogni
scienza (razionale)
2. Determina come questa condizione può essere soddisfatta nella metafisica.

Per divenare scienza, un insieme di conoscenze deve essere organizzato in un sistema


 Tale sistema deve essere ottenuto in riferimento ad un’idea della ragione che:
1. è il concetto razionale della forma di un tutto. Come tale, determina la posizione di ogni parte del
sistema e la sua relazione con il tutto. Determina anche i limiti del sistema.
2. è un fine nel senso che ogni parte è considerata per la sua funzione nella realizzazione del tutto.
3. ci permette di inferire l’esistenza di una parte del sistema dalla conoscenza che abbiamo delle altre
parti.

 L’idea che dà unità ad una scienza va distinta dalle idee regolative discusse nell’appendice:

-mentre le idee regolative ci offrono un concetto limite che ci può aiutare ad unificare le nostre
conoscenze, l’idea di una scienza è “il concetto razionale della forma di un tutto”. (deve quindi già
determinare le relazioni tra le parti.)

-idee regolative servono per unificare conoscenze empiriche. Quando Kant parla di scienza
nell’architettonica, si rivolge prima di tutto a scienze razionali (a priori.)

 L’unità architettonica e l’unità tecnica:


solo l’architettonica può giustificare l’attribuzione di carattere di scienza ad un insieme di conoscenze.

Tecnica è unità che permette di trovare relazioni tra conoscenze, dunque in un qualche modo offrire ordine
sistematico di conoscenze; ma queste sono unificate in relazione a fini insorti accidentalmente.
Solo nell’architettonica troviamo l’ordine sistematico che è quello che ci porta alla scientificità di un insieme di
conoscenze, che possiamo chiamare unità architettonica (ottenuta in relazione ad un’idea).

 Cosa dice la distinzione tra unità architettonica e tecnica?


1. La richiesta di unità architettonica nelle scienze non è semplicemente la richiesta che siano
sistematiche
2. L’idea della ragione, come fondamento dell’ordine delle conoscenze di una scienza, deve garantire
l’assenza di arbitrarietà in quell’ordine.
3. Un’altra differenza con le idee regolative dell’appendice: esse servono per facilitare la ricerca della
sistematicità, ma non determinano che tipo di sistematicità si deve trovare.

 Come definire l’idea di una scienza?


- È una descrizione corretta dell’insieme di conoscenze che formano una scienza e delle relazioni
parti-tutto che le caratterizzano

 In che senso l’idea è data a priori dalla ragione?


- Non nel senso che possiamo avere un accesso diretto a questa idea;
- Kant afferma piuttosto che l’idea alla base di una scienza spesso si manifesta solo nel corso dello
sviluppo di tale scienza.

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 In che senso l’idea è data a priori dalla ragione?
- Ricordiamoci: le scienze di cui parla Kant sono scienze a priori;
- Nel caso di queste scienze, se la ragione può arrivare a priori alle conoscenze che formano
quelle scienze, deve poter determinare a priori il modo in cui sono in relazione l’una con l’altra.
- L’idea, che rende esplicite quelle relazioni, si manifesta solo nel corso dello sviluppo di una
scienza perché la ragione non è trasparente a se stessa.

 In che senso dunque l’idea è data a priori dalla ragione?


- L’idea è una descrizione corretta dell’insieme di conoscenze che formano una scienza e delle
relazioni parti-tutto che le caratterizzano.
- L’idea descrive un sistema di conoscenze a priori che sono potenzialmente disponibili alla
ragione fin dal principio;
- La ragione non è però trasparente a se stessa. Per questo motivo, ci vuole del tempo perché la
ragione trasformi quel sistema di conoscenze che le è potenzialmente disponibile in una scienza con
conoscenze effettive che realizzi l’idea.

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