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1.

Il tribunale della ragione

La Critica della ragion pura ha come oggetto di studio la validità della conoscenza, ovvero della
fondamenta del sapere.

Guardiamo al titolo per avere un primo orientamento delle intenzioni di Kant: -Il termine critica
significa analisi. –Della ragione vuol dire che questa analisi deve essere prodotta dalla ragione. -Il
termine pura si riferisce ai campi del sapere definiti “puri”, ovvero senza finalità pratica nell’agire
umano. Questi campi sono la matematica, la fisica e la metafisica. Dunque con il titolo dell’opera
comprendiamo innanzitutto l’obiettivo di Kant: determinare la capacità della ragione umana di
esprimere una conoscenza valida per quanto riguarda la matematica, la fisica e la metafisica. La
ragione, sostiene infatti Kant (e non dimentichiamoci il contesto dell’illuminismo in cui si svolge questa
riflessione), è il fondamento unico della conoscenza. Ma l’estensione della ragione non è illimitata,
come afferma ad esempio Cartesio. Essa è pienamente sovrana, ovvero in grado di fondare la
conoscenza, ma solo dentro certi limiti. Occorre dunque individuare questi limiti: questo è il perno del
criticismo kantiano. Per farlo occorre, come dice Kant, portare la ragione al tribunale della ragione.
Ovvero: bisogna porre sotto giudizio la ragione per comprendere quali sono i limiti della sua estensione.
Ma con una importante precisazione: questa analisi della ragione deve essere portata avanti dalla
ragione stessa, perché solo essa è l’unico fondamento di cui l’uomo dispone.
https://pilloledistoriaefilosofia.com/2022/02/06/kant-la-critica-della-ragion-pura/ 2/10 2. I giudizi
sintetici a priori Stabilito quindi che per Kant: 1. La ragione è il perno della conoscenza umana 2. Che la
ragione ha una portata conoscitiva limitata possiamo andare al passaggio successivo che consiste nel
comprendere in quale contesto filosofico si muove Kant, per capire da dove nasce la sua riflessione.
Due sono i filoni principali che si interrogano sulla validità della conoscenza e con cui si confronta
all’epoca di Kant: –il razionalismo = secondo cui la ragione, nella sua portata illimitata, è il fondamento
della conoscenza –l’empirismo = secondo cui il fondamento della conoscenza sta nell’esperienza Kant
sottolinea i limiti dei due filoni: -i razionalisti esprimono una conoscenza universalmente valida e
necessaria, ma escludono l’esperienza, dunque non sono in grado di pensare una conoscenza di tipo
nuovo -gli empiristi pongono l’accento sull’esperienza, quindi sulla possibilità di produrre una nuova
conoscenza, ma non sono in grado di pensare a una conoscenza sempre valida perché ogni conoscenza
è necessariamente subordinata all’esperienza e dunque limitata da essa. La domanda che si pone a
questo punto Kant è: è possibile arrivare a una conoscenza universalmente valida ma che si avvalga del
contributo dell’esperienza? In termini filosofici Kant esprime questa domanda chiedendosi se sia
possibile arrivare a produrre giudizi sintetici a priori. Un giudizio, in termini kantiani, vuol dire predicare
qualcosa a proposito di un soggetto. In termini più semplici vuol dire affermare qualcosa a proposito di
(ad es. dire che le foglie dell’albero sono verdi è un giudizio) Per arrivare a capire bene cosa intenda
Kant per giudizi sintetici a priori dobbiamo però fare un passo indietro e confrontarci con gli altri
possibili giudizi che la tradizione filosofica propone. Kant afferma infatti che esistono due tipi di giudizio
esprimibili: -i giudizi analitici a priori -i giudizi sintetici a posteriori Analizziamo i primi. –Giudizio = come
già abbiamo detto vuol dire predicare qualcosa a proposito di un soggetto. –analitico = vuol dire che il
predicato non aggiunge nulla di nuovo rispetto al soggetto. –A priori = vuol dire che non serve
l’esperienza per avere conferma di quanto il predicato dice del soggetto. Facciamo un esempio
concreto: Ogni corpo è esteso Il soggetto è: Ogni corpo Il predicato del giudizio è: è esteso Questo
giudizio è analitico perché: in quanto viene espresso dal soggetto è già incluso quanto viene detto dal
predicato. Un corpo, infatti, per essere tale, è necessariamente esteso, ovvero ha certamente una
dimensione. Questo giudizio poi è a priori perché non ho bisogno di fare esperienza di un corpo per
sapere che questo giudizio è valido, lo so a prescindere dall’esperienza perché il concetto di corpo
implica di per sé il concetto di estensione. I giudizi analitici a priori, dice Kant, sono tipici del
razionalismo perché fondano la loro validità sull’applicazione pura della ragione. Questo tipo di giudizi
possiede un aspetto positivo e uno negativo: 1. Il pregio è che esprimono una conoscenza valida a priori
e quindi universale, sempre valida 2. Il difetto è che esprimono una conoscenza che non aggiunge nulla
di nuovo a quanto è già evidente, e quindi – per usare un termine kantiano – è una conoscenza non
feconda, ovvero che non produce niente Vediamo ora i giudizi sintetici a posteriori. –Giudizio =
sappiamo ormai cosa vuol dire -Sintetico = vuol dire che il predicato aggiunge qualcosa di nuovo
rispetto al soggetto –A posteriori = vuol dire che quello che il predicato aggiunge è determinato dopo
che se ne è fatto esperienza, a posteriori appunto Anche in questo caso facciamo un esempio concreto:
le rose del giardino sono rosse In questo caso infatti il predicato, ovvero sono rosse, aggiunge qualcosa
di nuovo rispetto al soggetto, le rose. Le rose infatti non sono necessariamente rosse, ma possono
essere di diversi colori. Questo giudizio poi è a posteriori, ovvero avviene dopo l’esperienza, perché per
affermare che certe rose sono effettivamente rosse le devo prima vedere, non lo posso dedurre a
priori, senza farne esperienza. I giudizi sintetici a posteriori sono tipici dell’empirismo, sostiene Kant,
perché fondano la loro validità sull’esperienza. Anche in questo caso questi giudizi hanno un pregio ma
pur sempre un difetto: 1. Il pregio è che sono giudizi fecondi, ovvero che producono conoscenza di tipo
nuovo, che non è già evidente, implicita nel soggetto 2. Il difetto è che non sono universali, ovvero non
sono validi a prescindere, infatti possono essere espressi solo dopo che se ne è fatta esperienza.
Torniamo quindi ai giudizi sintetici a priori che Kant vuole arrivare a produrre. Questi hanno infatti il
doppio pregio di essere: -sintetici = e quindi di produrre una conoscenza feconda, in grado di
aggiungere qualcosa di nuovo rispetto a quanto già noto -a priori = la loro validità è universale, quindi
prima di farne esperienza. Facciamo dunque un esempio: il calore dilata i metalli. In questo caso il
predicato (dilatare i metalli) è un qualcosa che non è già implicito, già contenuto dal soggetto, ma che
diventa noto nel momento in cui questo effetto viene studiato e riprodotto. Allo stesso tempo però,
questo tipo di giudizio ha una validità a priori, perché anche senza farne esperienza si sa che è
replicabile, si sa che è comunque valido. La sua validità è determinata dal fatto che si poggia su un
principio di causa ed effetto (la causa è il calore e l’effetto è la dilatazione del metallo) e il principio di
causa ed effetto è valido universalmente, ovvero continuerà sempre ad esistere. Dunque, per chiudere,
produrre giudizi sintetici a priori vuol dire produrre una conoscenza allo stesso tempo feconda e
universale. Rimane però un problema abbastanza evidente: cosa mi garantisce che un principio come
ad esempio quello di causa ed effetto è valido a priori e quindi può garantire una conoscenza stabile?
Su questa domanda, appunto sul produrre una conoscenza feconda e universalmente valida, ruota
tutto il problema che Kant affronta nell’opera. 05/02/23, 10:48 Kant: la Critica della ragion pura – Pillole
di Storia e Filosofia https://pilloledistoriaefilosofia.com/2022/02/06/kant-la-critica-della-ragion-pura/
4/10 3. La rivoluzione copernicana: realtà fenomenica e forme trascendentali Come abbiamo visto,
Kant si confronta con il razionalismo e l’empirismo a livello di correnti che si interrogano sulla validità e
sulla modalità della conoscenza, tema che nel Seicento e nel Settecento è particolarmente avvertito
perché sono i secoli in cui si afferma la scienza moderna e quindi ci si interroga su come avvenga il
processo scientifico. Il problema dei razionalisti e degli empiristi, afferma Kant, è che rivolgono la loro
attenzione all’oggetto da conoscere, non al soggetto conoscente. Ovvero: si interrogano su come è
strutturata la natura, la realtà esterna all’uomo, partendo dal presupposto che essa sia conoscibile nella
sua interezza. Ma la realtà esterna, secondo Kant, è filtrata dal soggetto conoscente, quindi il problema
è comprendere cosa il soggetto “vede” dell’oggetto. Sta qui il nucleo di quella che Kant definisce la sua
rivoluzione copernicana. Ovvero: spostare l’attenzione dall’oggetto al soggetto. Spostare l’attenzione
dalla struttura della realtà esterna alla struttura delle categorie con cui l’uomo si costruisce la sua
immagine della realtà esterna. Questo ci porta ai pilastri dell’intera riflessione di Kant: 1) La differenza
fra fenomeno e noumeno 2) L’esistenza dei trascendentali Vediamo innanzitutto il primo tema. Il
fenomeno è la realtà esterna che si mostra all’io. Ovvero: sono gli oggetti della natura che esistono e
che l’uomo filtra attraverso le strutture conoscitive. In altri termini il fenomeno è la rappresentazione
che l’uomo ha della realtà esterna. Il noumeno è invece la realtà esterna non accessibile all’io e su cui
quindi l’Io deve tacere. Kant definisce il noumeno anche “cosa in sé”, proprio per descrivere l’idea che è
la parte della realtà che non si mostra all’io, che rimane chiusa in sé. Ma attenzione: questo non vuol
dire che necessariamente esiste una realtà che rimane celata all’uomo. L’io non può esprimere nessun
giudizio al di fuori della realtà fenomenica, si deve solo limitare a formulare l’ipotesi della presenza
della cosa in sé. Per tornare a quanto si diceva all’inizio possiamo mettere un primo punto. Ovvero: il
“tribunale della ragione” deve determinare quali siano i confini della realtà fenomenica che si mostra
all’uomo e che dunque può essere conosciuta dalla ragione. Questo punto ci porta direttamente al
secondo tema, quello dei trascendentali. I trascendentali, in Kant, sono quelle forme della conoscenza
che appartengono al soggetto, non all’oggetto. Per fare un esempio che poi capiremo meglio: la
dimensione spaziale non è un qualcosa che appartiene all’oggetto, ma al soggetto che colloca un certo
oggetto in un determinato spazio. L’attribuzione della spazialità è dunque un trascendentale, perché va
al di là dell’oggetto e appartiene al soggetto. Queste forme – che adesso andiamo a vedere nel dettaglio
– sono dunque dei “filtri” che appartengono a tutti gli uomini. Queste strutture trascendentali sono tre:
1) Le forme a priori 2) Le categorie trascendentali dell’Io penso 3) Le idee della ragione 4. Il processo
della conoscenza

Per capire in cosa consistono queste forme trascendentali dobbiamo prima vedere come è composto il
processo conoscitivo secondo Kant. Questo processo è prodotto da tre facoltà: 1) La sensibilità = si
percepisce la realtà esterna tramite i sensi 2) L’intelletto = attraverso l’intelletto definiamo gli oggetti
della realtà esterna intorno a noi 3) La ragione = in questo caso Kant usa il termine non in maniera
estesa di fondamento della natura umana, come abbiamo visto all’inizio, ma in maniera stretta,
intendendo per ragione la facoltà con cui l’uomo ragiona sul mondo e si dà spiegazioni su di esso
andando al di là di quello che l’esperienza ci mostra Rispetto a questi momenti: 1) Le forme a priori
sono le forme trascendentali del momento sensibile 2) Le categorie dell’Io penso sono le forme
trascendentali del momento intellettivo 3) La idee sono le forme a priori della facoltà della ragione
Analizziamo a questo punto le tre facoltà e i corrispettivi trascendentali. 5. La sensibilità e le forme a
priori Come abbiamo visto, il primo momento della conoscenza è l’esperienza sensibile, quel momento
in cui intuiamo l’esistenza di oggetti della realtà esterna a noi. Kant afferma che noi organizziamo
questo momento conoscitivo attraverso due forme a priori che sono: 1) Il tempo = che è detto da Kant il
senso interiore 2) Lo spazio = che è detto il senso esteriore Queste due forme fanno sì che quando
percepiamo la realtà esterna lo facciamo sempre individuando gli oggetti e gli eventi della natura in un
certo luogo e in un certo momento, o in una certa sequenza temporale. Questo ci porta a dire che
esiste qualcosa qui ora, oppure che qualcosa si è verificato dopo qualcos’altro. Le forme a priori dello
spazio e del tempo ci permettono, secondo Kant, di esprimere giudizi sintetici a priori di natura
matematica e quindi di affermare la validità del sapere matematico. Capiamo perché. Per matematica
Kant intende l’insieme di aritmetica e geometria. L’aritmetica si fonda sul concetto di successione.
Esempio: 2+2=4. Questo vuol dire che noi dobbiamo partire da 2 e poi aggiungere 1 e 1. Dunque,
creiamo una successione. Dal momento che la nostra forma a priori del tempo si fonda sul concetto di
successione (prima, ora, dopo, ecc…) questo vuol dire che per noi l’aritmetica è valida a priori perché
possediamo quella struttura che ci permette di cogliere la validità prima dell’esperienza. La stessa cosa
vale per la geometria. In quanto la geometria, così come la nostra forma a priori dello spazio, è basata
sull’organizzazione della dimensione spaziale. Si può giungere dunque a una prima conclusione del
ragionamento kantiano: attraverso le forme a priori dello spazio e del tempo, l’uomo è in grado di
produrre giudizi sintetici a priori di natura matematica e quindi si può determinare la validità del sapere
matematico. 6. Intelletto e categorie Passiamo ora alla seconda facoltà della conoscenza: quella
dell‘intelletto. L’intelletto, dice Kant, è la capacità di produrre giudizi, ovvero di unificare i vari dati che
ci provengono dall’intuizione dello spazio-tempo e affermare qualcosa a proposito della realtà esterna.
L’aspetto fondamentale di questo passaggio è la differenza fra giudizi a posteriori e giudizi a priori.
Facciamo un esempio: osserviamo una pietra e diciamo “questa è una pietra”. In questo caso stiamo
dunque percependo qualcosa e produciamo un giudizio sulla base di una esperienza, quindi a
posteriori. Ma possiamo anche fare un’altra cosa. Possiamo produrre giudizi basati sull’individuazione
di principi che precedono l’esperienza. Ad esempio, sempre a proposito della pietra, possiamo
sostenere che “ogni volta che il sole arriva sulla pietra la riscalda”. In questo caso stiamo individuando
un fenomeno – quello dello scaldarsi della pietra – che è determinato da un principio che è quello di
causa-effetto. Un principio che è sempre valido, tanto che posso stabilire che il Sole scalda la pietra
anche senza farne esperienza. Quello che ci permette di produrre questi giudizi a priori, ovvero prima
dell’esperienza, sono le categorie trascendentali dell’intelletto. Ovvero delle categorie che ci guidano
nella rappresentazione della natura. Queste sono 12 divise in quattro gruppi: -gruppo della quantità =
categorie della totalità, pluralità, unità -gruppo della qualità= categorie della realtà, negazione,
limitazione -gruppo della relazione = categorie di sostanza\accidente, causa-effetto, azione reciproca -
gruppo della modalità = categorie della esistenza, possibilità, necessità Queste categorie sono gli
schemi generali dentro cui inquadriamo tutta la realtà. Facciamo un esempio rispetto al primo gruppo,
quello delle categorie della quantità. Queste sono tali perché quando parliamo ci riferiamo o a tutte le
cose, o a una parte di esse o a una sola. Ad esempio possiamo parlare di tutte le mele del mondo, di
una parte delle mele, di una sola mela. Non esiste una quarta possibilità Kant aggiunge poi che queste
categorie trovano una loro unità in quello che il filosofo chiama: Io penso. L’Io penso è dunque un
centro unificatore che tutti gli uomini possiedono e con cui sintetizziamo i dati delle 12 categorie
permettendoci una spiegazione unica dei fenomeni. In altre parole, l’Io penso è il nostro intelletto. Kant
lo definisce anche appercezione trascendentale: appercezione significa “percepire di percepire”. Quindi
05/02/23, 10:48 Kant: la Critica della ragion pura – Pillole di Storia e Filosofia
https://pilloledistoriaefilosofia.com/2022/02/06/kant-la-critica-della-ragion-pura/ 7/10 quello che
vuole dire Kant è che l’intelletto è consapevole della sua capacità di percepire la realtà esterna. A
partire dalle categorie trascendentali e dall’Io penso, Kant avvia un complesso ragionamento (che non
stiamo qui ad approfondire) che lo porta a individuare i principi dell’intelletto puro. I principi
dell’intelletto puro sono le regole di fondo con cui applichiamo le categorie – che sono categorie del
pensiero – agli oggetti, alla realtà fenomenica. Questi principi sono quattro: 1) Dalle categorie della
quantità derivano gli assiomi dell’intuizione 2) Dalle categorie delle qualità derivano le anticipazioni
della percezione 3) Dalle categorie della relazione derivano le analogie dell’esperienza 4) Dalle
categorie della modalità derivano i postulati del pensiero empirico in generale -Gli assiomi
dell’intuizione affermano che tutti i fenomeni sono delle “quantità estensive”, ovvero sono composti da
più parti. Questo significa che = è possibile applicare la matematica alla realtà fenomenica -Le
anticipazioni della percezione affermano che tutti i fenomeni hanno una “quantità intensiva”. Questo
significa che = tutti i fenomeni hanno un’intensità che può essere suddivisa e misurata -Le analogie
dell’esperienza affermano che 1) la sostanza permane nel tempo (praticamente: tutto si trasforma,
nulla si distrugge) 2) tutti i fenomeni seguono il meccanismo di causa-effetto 3) tutti i fenomeni sono in
relazione gli uni con gli altri -I postulati del pensiero empirico in generale affermano che = quello che
accade nell’esperienza è possibile, reale ed accade necessariamente Questi principi rendono, per usare
un’espressione famigerata di Kant, l’Io legislatore di natura. Con l’Io legislatore di natura si realizza
pienamente la rivoluzione copernicana di Kant e si fondano le basi della validità della conoscenza
scientifica. Io legislatore di natura significa che è l’Io penso a possedere in sé i principi generali che i
fenomeni devono seguire in maniera necessaria. L’ordine regolare dei fenomeni non sta infatti nella
natura, ma nell’uomo stesso, nei suoi principi dell’intelletto puro. Possedendo queste regole di base,
che garantiscono dunque le leggi generali della fisica, attraverso l’esperienza l’uomo può poi trovare le
leggi particolari. Ovvero = fondando la conoscenza su regole di fondo è poi possibile ampliarla
attraverso l’esperienza e produrre i giudizi sintetici a priori. In questo modo Kant assicura la validità
scientifica della fisica e sostiene che l’uomo attraverso lo studio e l’esperienza può espandere le proprie
conoscenze. 7. Le idee della ragione Attraverso le categorie dell’intelletto Kant ha determinato la
validità delle leggi scientifiche della fisica e dunque ha sostenuto che la conoscenza della realtà
fenomenica è pienamente possibile all’uomo. Ma l’uomo, dice ancora Kant, non si accontenta di quello
che l’esperienza gli rende possibile conoscere. Arriviamo così alla terza facoltà della conoscenza. Dopo
la facoltà della sensibilità, che 05/02/23, 10:48 Kant: la Critica della ragion pura – Pillole di Storia e
Filosofia https://pilloledistoriaefilosofia.com/2022/02/06/kant-la-critica-della-ragion-pura/ 8/10
permette l’intuizione della realtà esterna a noi, e quella dell’intelletto, che ci permette di produrre
giudizi e formulare concetti, Kant analizza una terza facoltà, che chiama ragione. Per ragione Kant
intende, in questo caso, la capacità dell’uomo di produrre idee che vanno oltre ai dati dell’esperienza.
Questa capacità deriva dalla spinta innata all’uomo di non accontentarsi di ciò che l’esperienza gli
mostra, ma di cercare spiegazioni sul mondo che vanno al di là di quello che la realtà fenomenica ci
dice. Tecnicamente la ragione è dunque la facoltà che porta l’uomo a unificare i dati dell’intelletto per
indagare il noumeno, ovvero la cosa in sé, cioè la realtà non fenomenica, la realtà che non si mostra
all’uomo. In altre parole, con la facoltà della ragione si indaga la metafisica. Questa facoltà ha spinto
l’uomo a produrre in particolare tre idee che Kant chiama idee della ragione: 1) L’idea dell’anima =
l’idea che l’uomo possieda un’anima che contiene tutti i fenomeni psichici. Kant definisce l’anima l’idea
della totalità assoluta dei fenomeni interni 2) L’idea cosmologica = l’idea che tutti i fenomeni del mondo
possano essere ricondotti a una lettura unitaria, a un ordine generale che può essere spiegato. Kant
definisce questa l’idea della totalità assoluta dei fenomeni esistenti 3) L’idea di dio = l’idea che esista un
ente perfetto e assoluto la cui esistenza è dimostrabile. Kant definisce questa l’idea della totalità
assoluta a fondamento di tutto ciò che esiste. Quello che a questo punto si chiede Kant è se le idee
della ragione – ovvero le idee metafisiche – possano avere una validità scientifica al pari della fisica. La
risposta di Kant è che però la metafisica non può avere un fondamento valido. Vediamo perché. Per
quanto riguarda l’dea dell’anima = Kant sostiene che questa idea nasce da un errore di fondo, ovvero
dare una esistenza sostanziale all’Io penso, che è invece soltanto un centro che si limita a ordinare i dati
provenienti dall’esperienza. Per quanto riguarda l’idea cosmologica = Kant sostiene innanzitutto che la
pretesa di fondo è sbagliata, perché noi possiamo fare esperienza di alcuni fenomeni, non della loro
totalità, e dunque non possiamo tracciare un ordine generale che mette insieme ogni fenomeno
possibile. Quindi questa idea va al di là di ciò che l’esperienza ci può dimostrare. In secondo luogo, Kant
sostiene infatti che nel corso della storia filosofica, l’idea cosmologica ha prodotto nozioni e spiegazioni
del mondo in contraddizione con di loro. In particolare la storia della filosofia ha prodotto, dice Kant,
quattro antinomie, ovvero quattro coppie di affermazioni fra di loro contraddittorie. Detto in altri
termini: sono state prodotte spiegazioni del mondo che vanno o in una certa direzione o nella direzione
totalmente opposta, ma in nessuno caso vi sono elementi per stabilire quale delle due abbia un reale
fondamento. 1) La prima antinomia è l’opposizione fra il sostenere che l’universo sia finito in termini
spazio-temporali o infinito 2) La seconda antinomia è l’opposizione fra il sostenere che il tutto sia
divisibile all’infinito e sostenere viceversa che vi sia una limite oltre al quale non si può procedere alla
divisibilità 3) La terza antinomia è l’opposizione fra il sostenere che nel mondo le cose accadono
secondo libertà oppure secondo necessità. Ovvero: ammettere da un lato che sia spazio per il libero
arbitrio oppure che tutto accade secondo meccaniche leggi di natura. 4) La quarta antinomia è
l’opposizione fra il sostenere che vi è una causa, e dunque uno scopo, nel mondo, oppure affermare
che tutto è casuale, dunque non vi sono né causa né fine. Per quanto riguarda infine l’idea di dio,
ovvero di un essere da cui derivano tutti gli altri 05/02/23, 10:48 Kant: la Critica della ragion pura –
Pillole di Storia e Filosofia https://pilloledistoriaefilosofia.com/2022/02/06/kant-la-critica-della-ragion-
pura/ 9/10 esseri, Kant passa in rassegna tutte le prove razionali che sono state prodotte dalla filosofia
e dalla teologia riguardo l’esistenza di un ente supremo e passa a smentirne la falsa pretesa di questa
razionalità. In particolare Kant smonta la cosiddetta prova ontologica, quella prova che è stata prodotta
da Sant’Anselmo e poi ripresa da Cartesio, secondo cui Dio in quanto essere perfetto non può non
esistere. Kant dimostra la non sostenibilità di questa tesi affermando che questa poggia su un non
giustificato salto dalla logica alla realtà. Qualcosa che è perfetto sul piano logico, dice infatti Kant, non
deve necessariamente esistere, in quanto si tratta di due piani – quello logico e quello reale – separati
fra di loro. La conclusione di Kant, dopo aver analizzato le tre idee della ragione, è che la metafisica non
può essere dunque oggetto di scienza, quindi non può produrre giudizi sintetici a priori. Qui vi è dunque
il limite che la critica della ragione fa emergere, ovvero la pretesa di mostrare razionalmente l’esistenza
di una realtà noumenica, ovvero non fenomenica, appunto metafisica. Attraverso questa critica Kant
vuole anche smontare la pretesa di dare spiegazioni dogmatiche del mondo, cioè che fanno discendere
ogni spiegazione del mondo da realtà che si vuole necessariamente dimostrare come esistenti. Ma
attenzione. Il fatto che queste idee non siano dimostrabili razionalmente non vuol dire che non
impegnano l’uomo a non insistere nella ricerca di una spiegazione unitaria del tutto e che non possano
essere recuperate attraverso altre vie. Come si vedrà infatti nella seconda grande “critica”, la Critica
della ragion pratica, è possibile giungere a pensare: -l’esistenza dell’anima -l’esistenza dell’idea di
libertà -l’esistenza di Dio

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