La prima di queste tre opere è un’analisi critica dei fondamenti del sapere. Occorre però a
questo punto fare una distinzione tra sapere scientifico e non. Per fare questo Kant parte
dalla distinzione humiana fra giudizi analitici a-priori (in cui il predicato non fa che
esplicitare ciò che è già contenuto nella definizione del soggetto, basati quindi sui principi
di identità e di non contraddizione), giudizi sintetici a-posteriori (in cui il predicato
aggiunge conoscenza, ma basati sull’esperienza, che quindi li priva di valore universale), e
giudizi sintetici a-priori (ampliativi del sapere, ma con valore universale); dovendo la
scienza essere necessariamente fondata su base universale e avendo essa la caratteristica
di ampliare il sapere, non può essere sapere scientifico nessun altro oltre a quello fondato
sui giudizi sintetici a-priori.
Il problema diventa ora dare legittimità all’universalità di questi.
Kant afferma quindi che il processo conoscitivo si costituisce di due elementi fondamentali:
il contenuto e le forme. Il contenuto è il materiale della conoscenza, mentre le forme
sono l’insieme delle modalità attraverso cui la mente umana ordina il materiale
proveniente dall’esterno. Le forme sono elementi a-priori e sono uguali in tutti gli uomini.
Ecco quindi giustificata l’universalità dei giudizi sintetici a-priori. Kant si inserisce così nel
dibattito sugli universali identificandoli con le forme a priori della conoscenza, e da una
soluzione anche alla controversia fra razionalisti ed empiristi. I primi affermavano che la
legittimità della conoscenza era dovuta alla presenza al momento della nascita di idee
innate nella mente dell’uomo, e non dall’esperienza, che è fallace (vd Cartesio). I secondi
invece affermavano che al momento della nascita la mente umana è come una tabula rasa
e tutta la conoscenza deriva dall’esperienza. Kant supera queste due filosofie con
l’innatismo potenziale: la struttura in base alla quale conosco è già presente nella mia
mente al momento della nascita, e non deriva dall’esperienza, ma fonda la stessa, ed
inoltre priva di contenuto empirico non avrebbe significato.
Il filosofo tedesco opera quindi una rivoluzione in ambito gnoseologico, detta
RIVOLUZIONE COPERNICANA: Così come Copernico aveva spostato il centro
dell’universo cosmologico, Kant pone il soggetto, invece dell’oggetto, al centro di quello
gnoseologico: è lui, che con le sue forme a priori filtra le informazioni derivanti dal
fenomeno, cioè l’aspetto dell’oggetto che ci appare, mentre non si manifesta all’uomo il
noumeno, cioè l’essenza profonda della realtà. L’oggetto della scienza è quindi il mondo
fenomenico.
Il conoscere per Kant non si può estendere al di là dell’esperienza, quindi l’unico uso
possibile delle forme è limitato all’empirico. Nonostante ciò la realtà non si limita solo al
fenomeno, ma la stessa esistenza della sua componente che a noi si manifesta implica la
necessaria esistenza del noumeno, che costituisce quindi il presupposto per il discorso
gnoseologico di Kant. Il noumeno inteso in senso positivo è l’oggetto di un’intuizione
extra-sensibile, cioè di una conoscenza a noi preclusa, che però potrebbe essere possibile
ad un intelletto superiore (vd io puro di Fichte). In senso negativo esso è il concetto di una
cosa in sé che non potrà mai essere oggetto di conoscenza umana.
Esso è in sostanza il limite della ragione umana.