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Il problema generale
La Critica della ragion pura è un’analisi critica dei fondamenti del sapere. Il capolavoro di Kant
prende la forma di un’indagine atta a valutare due attività conoscitive: scienza (matematica e fisica)
e metafisica. La scienza e la metafisica si presentavano in modo diverso, infatti se la prima appariva
come un sapere fondato ed in continuo progresso; la seconda, con il suo voler procedere oltre
l’esperienza, non sembrava aver trovato il cammino sicuro della scienza. Poiché il pensiero scettico
di Hume aveva minato alla base non solo i fondamenti ultimi della metafisica, ma anche quelli della
scienza, secondo Kant era necessario riesaminare globalmente sia la struttura sia la validità della
conoscenza, così da poter rispondere concretamente riguardo questi due campi del sapere. Kant
respinge lo scetticismo scientifico di Hume, ritenendo che non ha senso dubitare della scienza,
mentre condivide lo scetticismo metafisico che porta l’uomo ad abbandonare i confini del
verificabile per avventurarsi negli spazi della metafisica. La ricerca di Kant prende la forma di uno
studio teso a stabilire come siano possibili la matematica e la fisica in quanto scienze e come sia
possibile la metafisica in quanto disposizione naturale e scienza. Mentre nel caso della matematica e
della fisica si tratta semplicemente di giustificare una situazione di fatto, chiarendo le condizioni
che le rendono possibili, nel caso della metafisica, si tratta di scoprire se esistano condizioni che
possano legittimare le sue pretese di porsi come scienza, o se sia condannata alla non-scientificità.
La “rivoluzione copernicana”
Un altro problema che Kant dovette fronteggiare fu spiegare la provenienza dei giudizi sintetici a
priori. Se non derivano dall’esperienza, da dove derivano? Egli risponde a tale interrogativo
elaborando una teoria della conoscenza, intesa come sintesi di materia e forma. Per materia della
conoscenza si intende la molteplicità caotica e mutevole delle impressioni sensibili che provengono
dall’esperienza (elemento a posteriori). Per forma s’intende l‘insieme delle modalità fisse attraverso
cui la mente umana ordina tali impressioni (elemento a priori).
Kant ritiene che la mente filtri i dati empirici attraverso le forme, innate e comuni a tutti gli uomini.
Per chiarire la teoria delle forme a priori di Kant, gli studiosi utilizzarono il classico esempio che le
paragona a delle lenti colorate con cui noi guardiamo la realtà. Un altro esempio più moderno
paragona la mente kantiana ad un pc, il quale elabora i dati provenienti dall'esterno attraverso una
serie di programmi interni fissi, che rappresentano i codici di funzionamento. In tal modo anche
mutando le informazioni (impressioni sensibili), non mutano gli schemi con cui esse sono ricevute
(forme a priori). La capacità dell'uomo di determinare forme a priori universali e necessarie, ce
contengono i dati della realtà, spiega come noi possiamo formulare giudizi sintetici a priori senza il
timore di essere smentiti dall'esperienza. Ad esempio, sapendo di aver sempre addosso delle lenti
blu permanenti, potremmo dire che anche in futuro che per noi il mondo continuerà ad essere blu.
Allo stesso modo noi possiamo dire con certezza che ogni evento dipenderà sempre da cause ed
esisterà sempre in un rapporto di spazio-tempo, dato che noi possiamo percepire unicamente grazie
al principio di causa , di spazio e di tempo. Come Copernico aveva ribaltato i rapporti fra la terra e
il sole, Kant ribalta i rapporti fra soggetto e l’oggetto, affermando che non è la mente che si modella
passivamente sulla realtà, bensì la realtà che si modella sulle forme a priori attraverso cui la
percepiamo. La nuova ipotesi gnoseologica comporta la distinzione fra fenomeno e cosa in se. Il
fenomeno è la realtà che ci appare tramite le forme a priori, che sono proprie della nostra struttura
conoscitiva. Il fenomeno è l’oggetto della conoscenza in quanto condizionato dalle forme di spazio
e tempo e dalle categorie dell’intelletto. La cosa in sé è la realtà considerata indipendente da noi e
dalle forme a priori mediante cui la conosciamo, per cui per noi rimane incognita.
L'esposizione metafisica
Kant confuta sia la visione empiristica di Locke, che considerava spazio e tempo nozioni tratte
dall’esperienza, sostenendo che spazio e tempo non possono derivare dall’esperienza, perché per
fare un’esperienza qualsiasi dobbiamo presupporre le rappresentazioni di spazio e tempo; sia la
visione oggettivistica di Newton, che considerava spazio e tempo entità a se stanti, affermando che
se spazio e tempo fossero davvero principi assoluti, essi dovrebbero sussistere anche nel caso in cui
non vi fossero oggetti; sia la visione concettualistica di Leibniz, che considerava spazio e tempo
concetti esprimenti rapporti fra le cose, sostenendo che spazio e tempo non possono essere ridotti a
dei semplici di concetti, in quanto essi hanno una natura istintiva e non discorsiva, infatti noi non
astraiamo il concetto di spazio ma intuiamo i vari spazi come parti di un unico spazio,
presupponendo la rappresentazione originaria di spazio, che risulta un’intuizione a priori. Kant pur
rifiutando l'oggettivismo newtoniano, che considera lo spazio ed il tempo come realtà ontologiche a
se stanti, si avvicina a Newton per la sua dottrina dello spazio e del tempo come coordinate
assolute dei fenomeni. Assolutezza che intende giustificare su base soggettivistico-trascendentale,
facendo di esse delle condizioni del conoscere a priori.
L'esposizione trascendentale
Kant vede la geometria e l’aritmetica come le scienze sintetiche a priori per eccellenza. Sintetiche in
quanto ampliano le nostre conoscenze mediante costruzioni mentali che vanno oltre il già noto. Ad
esempio la proposizione 5+7=12, è sintetica in quanto il risultato 12 viene aggiunto tramite
l'operazione del sommare e dunque non può essere ricavato per via analitica. Le matematiche sono
così a priori, in quanto i teoremi geometrici ed aritmetici valgono indipendentemente
dall’esperienza. Il punto di appoggio delle costruzioni sintetiche a priori delle matematiche risiede
nei principi di spazio e di tempo. La geometria è la scienza che dimostra sinteticamente a priori le
proprietà delle figure mediante l’intuizione pura di spazio. L’aritmetica è la scienza che determina
sinteticamente a priori la proprietà delle serie numeriche, basandosi sull’intuizione pura di tempo e
di successione, senza la quale lo stesso concetto di numero non sarebbe mai sorto. Essendo a priori,
la matematica è anche universale e necessaria, immutabilmente valida per tutte le menti pensanti.
Kant ritiene inoltre che le matematiche si possano applicare agli oggetti tratti dall'esperienza
fenomenica, poiché essendo intuita nello spazio e nel tempo, cardini della matematica, ha una
configurazione geometrico-aritmetica.
L’analitica trascendentale
La logica trascendentale ha come specifico oggetto di indagine l’origine, l’estensione e la validità
oggettiva delle conoscenze a priori che sono proprie dell’intelletto e della ragione. Sensibilità e
intelletto sono entrambi indispensabili alla conoscenza, poiché senza sensibilità, nessun oggetto ci
verrebbe dato e senza intelletto nessun oggetto verrebbe pensato. I pensieri senza intuizioni sono
vuoti, allo stesso modo le intuizioni senza concetti sono cieche.
Le categorie
Kant sostiene che le intuizioni sono delle affezioni, ovvero delle operazioni passive, mentre i
concetti sono delle funzioni, ossia delle operazioni attive, che consistono nell’orinare o
nell’unificare diverse rappresentazioni sotto una rappresentazione comune. Ad esempio quello di
corpo è un concetto, dato che, sotto di esso, possiamo individuare altre rappresentazioni, come il
metallo. I concetti possono essere empirici, ossia costruiti con materiali ricavati dall’esperienza, o
puri, cioè contenuti a priori nell’intelletto. I concetti puri si identificano con le categorie, ossia con
quei concetti basilari della mente che rappresentano le funzioni unificatrici dell’intelletto. Il
concetto è il predicato di un giudizio possibile, mentre le categorie coincidono con i predicati primi,
cioè con quelle grandi caselle entro cui rientrano tutti i predicati possibili. Kant rimprovera
Aristotele di aver rinvenuto le categorie rapsodicamente, su base ontologico-gneoseologica. Kant
formula il suo inventario su base gnoseologica-trascendentale, tramite il seguente filo conduttore:
pensare è giudicare (attribuire un predicato ad un soggetto) quindi ci saranno tante categorie (tanti
principi primi) quante sono le modalità di giudizio (quante sono le maniere fondamentali tramite cui
si attribuisce un predicato ad un soggetto). Kant fa corrispondere ad ogni tipo di giudizio un tipo di
categoria. È l’intelletto che, pensando, applica le categorie in un modo immediato.
La deduzione trascendentale
Una volta formulata la tavola delle categorie, Kant deve affrontare il problema di giustificare la loro
validità ed il loro uso, problema che egli chiama deduzione trascendentale. Kant utilizza il termine
deduzione in senso giuridico-forense, alludendo alla dimostrazione della legittimità di diritto di una
pretesa di fatto, e, come tale, la deduzione riguarda il quid iuris di una questione: ad esempio il fatto
che una persona sia in possesso di un oggetto non prova che essa, in base alla legge, abbia qualche
diritto su di esso. Così la deduzione delle categorie non consiste nel certificare che esse ssiano
adoperate nella conoscenza scientifica, ma nel giustificare la legittimità e i limiti di tale uso, ossia
nel determinare il diritto da parte della ragione di utilizzarle, diritto che come tutti gli altri è
soggetto a restrizioni. Il problema della deduzione è scoprire che cosa ci garantisce, di diritto, che la
natura obbedirà alle categorie. Kant risponde a questo interrogativo, affermando che per le forme
della sensibilità, cioè per lo spazio e per il tempo, questo problema non si presentava perché un
oggetto non può essere percepito dall'uomo se non attraverso queste forme, così un oggetto che non
è nello spazio e nel tempo non è per noi un oggetto, perché non è intuito. Mentre, per quanto
concerne alle categorie non è evidente che gli oggetti debbano sottostare ad esse. L’Io penso è quel
centro mentale unificatore, di cui sono funzioni le categorie. Egli deve accompagnare tutte le
rappresentazioni; in caso contrario si darebbe la rappresentazione di qualcosa che non potrebbe
essere pensata; il che equivale a dire che la rappresentazione o sarebbe impossibile o nulla.
L’attività dell’Io penso si attua tramite i giudizi, i quali, sono modi concreti con cui il molteplice
dell’intuizione viene pensato. I giudizi si basano sulle categorie, che sono diverse maniere di agire
dell’Io penso, ovvero le dodici funzioni unificatrici in cui si concretizza la sua attività sintetica. Non
possono venire pensati senza venir categorizzati. La natura obbedisce necessariamente alle forme a
priori del nostro intelletto. L’Io penso si configura come il principio supremo della conoscenza
umana, cioè ogni realtà deve sottostare ad esso per poter entrare nel campo dell’esperienza. Esso
rappresenta ciò che rende possibile l’oggettività del sapere. Senza l’Io penso e le categorie tramite
cui esso opera, saremmo chiusi nel cerchio della soggettività individuale e potremmo stabilire
soltanto delle connessioni particolari e contingenti. Ad esempio, senza l'io penso e le categorie, non
potrei dire i corpi pesano, ma soltanto ogni qualvolta che sollevo un corpo, sentirei un'impressione
di peso. L’Io di Kant non è un Io creatore, ma si limita semplicemente ad ordinare una realtà che gli
preesiste e senza di cui la sua stessa conoscenza non avrebbe senso.