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Kant: Critica della Ragion Pura

Cos’è la Critica della ragion pura? Cosa vuol dire a priori? Cosa
signi ca trascendentale? Cosa distingue fenomeno e noumeno?

La Critica della ragion pura è il primo scritto del periodo critico di


Kant, risalente al 1781. I presupposti su cui si basa sono
fondamentalmente due: la rivoluzione scienti ca e il dibattito tra
razionalisti ed empiristi. In questo dibattito Kant assume una
posizione intermedia. Critica della ragion pura, infatti, in
terminologia Kantiana, signi ca analisi interrogativa sui limiti, le
possibilità e le validità della conoscenza umana. Dunque è
importante contestualizzarlo in quanto testo che riprende il percorso
seguito nora dalla gnoseologia e vi aggiunge un elemento di
grande originalità.

I GIUDIZI
Abbiamo detto che uno dei presupposti è dunque il dibattito tra
razionalisti ed empiristi. Come si colloca Kant in questa diatriba?
Ovviamente non ha una posizione ben de nita. Kant sostiene infatti
che la scienza si basa su giudizi sintetici a priori, ossia frasi
(giudizi) che forniscano una conoscenza nuova e utile (sintetici), ma
che garantiscano universalità e necessità in quanto basate su
elementi razionali (a priori).

I razionalisti e gli empiristi, invece, promuovono rispettivamente i


giudizi analitici a priori e i giudizi sintetici a posteriori. I giudizi
analitici a priori sono universali e necessari in quanto a priori, ma
non forniscono conoscenza, in quanto analitici. Se diciamo, ad
esempio, che “i corpi sono estesi” non stiamo dicendo niente,
perché nella de nizione di corpo esiste già la proprietà di essere
esteso.

I giudizi sintetici a posteriori forniscono una conoscenza nuova, ma


non sono universali e necessari perché basati sull’esperienza. Ad
esempio, se io vedo una pianta e dico “la foglia è verde” la frase dà
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un’informazione, ma non siamo certi di poterla applicare a tutte le
foglie.

Se dico, invece, che 10+3=13 ho un giudizio sintetico a priori. Il


fatto che la somma di quei due numeri dia 13 non è insito in
nessuno dei due numeri presi singolarmente, emerge solo dalla loro
combinazione. Inoltre, non è un ragionamento basato
sull’esperienza ed è dunque universale e necessario.

LA DOTTRINA DEGLI ELEMENTI


La Critica della ragion pura si suddivide in due parti fondamentali: la
dottrina degli elementi e la dottrina del metodo. Quest’ultima
solitamente non è molto considerata, la parte fondamentale che
vedremo insieme è invece la dottrina degli elementi.

Essa si suddivide, a sua volta, in tre capitoli: l’estetica


trascendentale, l’analitica trascendentale e la dialettica
trascendentale. Ma cosa vuol dire trascendentale?

Trascendentale signi ca sostanzialmente relativo alla conoscenza


mediante forme a priori di una data facoltà. Analizzando così i titoli
possiamo capirne il contenuto.

• Estetica trascendentale: studio delle forme a priori della


sensibilità;
• Analitica trascendentale: studio delle forme a priori
dell’intelletto;
• Dialettica trascendentale: studio delle forme a priori della
ragione.

ESTETICA TRASCENDENTALE
Come anticipato, l’estetica analizza il funzionamento della prima
facoltà conoscitiva: la sensibilità. Secondo Kant, la sensibilità ha
due funzioni:

• Sensibilità passiva: formula intuizioni semplici. Ci permette di


percepire qualcosa nel presente o nel passato (ricordo),
parliamo di intuizioni molto immediate.
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• Sensibilità attiva: ordina tali intuizioni secondo le due forme a
priori della sensibilità, che sono lo spazio e il tempo.
Lo spazio è la forma del senso esterno, ossia è ciò attraverso cui
ordiniamo gli oggetti l’uno accanto all’altro. Il tempo è la forma del
senso interno, ossia come ordiniamo gli oggetti uno dopo l’altro.
Tuttavia, il tempo è anche forma universale, in quanto se non tutto
può essere collocato nello spazio, tutto può essere collocato nel
tempo, anche i pensieri e gli elementi astratti.

ANALITICA TRASCENDENTALE
L’analitica trascendentale studia il funzionamento dell’intelletto.
L’intelletto funziona tramite concetti, ossia funzioni uni catrici. Ad
esempio, riunisco sotto il concetto di “sedia” tutte le mie percezioni
sensibili rappresentanti un oggetto alto circa un metro, con dei
supporti di base che sostengono un sedile e uno schienale. Quello
di sedia è un concetto empirico, in quanto deriva dalla mia
esperienza, dalla mia abitudine a vedere quel tipo di oggetti e
chiamarli sedia. Esistono però anche dei concetti puri, ossia
concetti esistenti a priori. I concetti puri sono anche detti categorie
e sono le forme a priori dell’intelletto, supreme funzioni uni catrici.

Abbiamo detto che i concetti processano le percezioni. Ma come


possiamo essere certi che le categorie, che sono a priori, siano
applicabili a oggetti del mondo?

Le leggi della sica, in generale le leggi che governano il mondo,


non possono coincidere con quelle pensate da noi per puro caso.
Bisogna rimettere il focus sul soggetto: un oggetto è tale solo in
quanto pensato da un soggetto (la sedia non sarebbe sedia se non
fossi io ad usare il concetto di sedia). Se siamo in grado di avere
delle rappresentazioni del mondo è perché siamo esseri pensanti:
“io penso” signi ca che “io penso che penso”.

L’io penso è la facoltà che permette di collocare un pensiero


all’interno del quadro delle mie rappresentazioni. Esso funge da
garante all’oggettività delle nostre connessioni mentali tra oggetti,
del nostro utilizzo delle categorie.
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La rivoluzione copernicana kantiana è il concetto dell’io penso.

Fenomeno e noumeno
Iniziamo quindi ad avere un’idea generale di come l’uomo conosce.
Ora dobbiamo capire cosa conosce: c’è un limite alla conoscenza
umana?

Secondo Kant sì. Come abbiamo visto, l’uomo può conoscere solo
attraverso le proprie forme a priori. Ma queste forme a priori sono
insite nell’uomo, non nella natura. Dunque, esiste una cosa in sé, il
mondo così com’è senza che vi siano applicate le forme a priori di
chicchessia. Ma l’uomo, non potendo conoscere senza forme a
priori, non potrà mai conoscere questa cosa in sé, questo
noumeno. L’uomo può conoscere solo il fenomeno, la realtà vista
attraverso le forme a priori.

Facciamo un esempio: immaginate l’uomo come uno di quei criceti


che vagano dentro alle palle di plastica. Il criceto non può uscire
dalla palla di plastica, quindi vede il mondo con la texture della palla
di plastica. Ecco, la palla di plastica sono le forme a priori, il criceto
è l’uomo e il mondo esterno il noumeno. Il mondo texturizzato è il
fenomeno.

DIALETTICA TRASCENDENTALE
La dialettica trascendentale si occupa di analizzare il
funzionamento della ragione mediante forme a priori. Le forme a
priori della ragione sono le idee.

La ragione a volte può essere una facoltà problematica: l’uomo fa


fatica ad accettare i suoi limiti, vuole giungere all’assoluto. Come
abbiamo visto, però, egli non può conoscere tutto. Tuttavia, gli
piace credere il contrario. Per questo motivo, fa uso di tre idee
trascendentali: le idee di anima, mondo e Dio. Esse sono idee
fallibili perché mirano ad una totalità di conoscenza, che non è
praticabile. Analizziamo insieme perché, secondo Kant, queste idee
sono fallimentari.
Psicologia razionale
All’interno della psicologia razionale, Kant analizza l’idea di anima.
L’idea di anima sarebbe l’insieme dei dati del senso interno, cioè
tutto ciò che accade nella mia psiche. Tuttavia, il concetto di anima
è, secondo Kant, erroneo. L’anima è percepita come una vera e
propria sostanza. Tuttavia, secondo Kant, l’io penso è qualcosa di
puramente formale, non una sostanza. Dunque questo passaggio è
ingiusti cato.

Cosmologia razionale
La cosmologia razionale si occupa dell’idea di mondo, ossia dei
dati del senso esterno. A mio parere è l’idea che ci permette di
capire meglio perché secondo Kant queste idee siano fallibili: noi
parliamo di mondo, ma non possiamo certo conoscere tutto ciò che
accade al di fuori di noi. La totalità di esperienza non è esperienza.

Per questo, quando tentiamo di studiare l’idea di mondo, cadiamo


nelle antinomie, cioè tendiamo ad affermare una teoria oppure il
suo opposto, che sono ovviamente contraddittori, senza poter
veri care quale sia quella giusta.

Teologia razionale
All’interno della teologia razionale, Kant critica l’idea di Dio, che è
tutto, quindi somma dei dati del senso esterno e del senso
interno. Per dimostrare che non possiamo affermare l’esistenza di
Dio, Kant va a confutare le maggiori prove a favore di essa.

Attenzione: Kant non vuole dimostrare che Dio non esiste. Vuole
solo dimostrare che non possiamo essere certi né che esso esista,
né che non esista.
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Prova ontologica

La prova ontologica è stata formulata da Anselmo da Aosta e il


ragionamento è il seguente.

Concepiamo Dio come un essere perfettissimo. Se è un essere


perfettissimo, deve necessariamente esistere, perché se non
esistesse non sarebbe perfetto.

Kant sottolinea che il fatto che si possa concepire un essere


perfettissimo non implica che esso debba esistere. Non bisogna far
coincidere piano gnoseologico e ontologico: se penso agli unicorni
non è detto che essi esistano. Purtroppo.

Prova cosmologica

Formulata da Tommaso d’Aquino. Tutto ciò che esiste nel mondo è


contingente: ha avuto un inizio, avrà una ne, può dunque non
esistere. Deve dunque esistere almeno un essere che esiste
necessariamente e che ne sia la causa, quell’essere è Dio.

Ma secondo Kant, qui il concetto di causa è utilizzato in modo


improprio e immotivato: perché dovremmo supporre che Dio sia la
causa del mondo?

Prova sico-teologica

Il fatto che nel mondo ci sia un ordine armonico ci fa pensare che


esso abbia una nalità, che dunque il mondo debba avere un
arte ce. Questo arte ce è Dio.

Questa prova ricade nella prima: si passa impropriamente da un


piano gnoseologico ad un piano ontologico.
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Kant: Critica della ragion pratica
Quali sono i temi trattati da Kant nella Critica della ragion pratica?
Qual è la differenza tra massime e imperativi? E tra imperativi
ipotetici e categorici?

La Critica della ragion pratica è il secondo scritto del periodo


critico di Kant, pubblicato nel 1788. Se con la Critica della ragion
pura Kant andava ad analizzare le facoltà conoscitive dell’uomo, il
tema di questo testo è invece l’etica, e in particolare il tentativo di
comprendere cosa sia la morale e quali siano i suoi fondamenti:
come deve comportarsi l’uomo per agire eticamente?

La ragion pratica è quindi quella parte di ragione che guida i nostri


comportamenti. In particolare, Kant distingue due tipi di ragion
pratica:

• Ragion pura pratica: a priori, innata, che opera nell’uomo a


prescindere dai dati empirici
• Ragion empirica pratica: deriva dall’esperienza.
Ovviamente, la moralità vera e propria si identi ca con la ragione
pura pratica, perché Kant parte dal presupposto che esista una
legge morale a priori, assoluta e universalmente valida. Ciò perché
ritiene assurda l’ipotesi che l’uomo agisca moralmente solo
secondo il suo istinto. Compiamo dunque un’azione morale quando
la nostra ragione empirica pratica si allinea con la pura, che detiene
la legge morale. Ma quando avviene ciò?

La legge morale kantiana è strettamente legata al concetto di


libertà, dove per libertà si intende autonomia, cioè ne a se
stessa. Kant sostiene strenuamente che un’azione per essere
morale deve essere autonoma, cioè incondizionata. La mia azione
non deve essere svolta per ni terzi, come l’evitamento di una pena
o il raggiungimento di un obiettivo, ma per la moralità della stessa in
sé e per sé.
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Per Kant libertà non signi ca libro arbitrio, ma autonomia della
scelta, che deve essere compiuta non per soddisfare necessità
esterne, ma per seguire la legge che noi dettiamo a noi stessi. Una
legge è autonoma quando è dettata dallo stesso ente che compie la
scelta.

Se la legge morale è a priori, ovvero già presente nell’uomo,


compiamo delle scelte autonome.

L’altro attributo che secondo Kant deve essere proprio della legge
morale è l’universalità e necessarietà. Infatti, proprio perché la
legge morale non è prodotto di un istinto individuale dell’uomo, ma
è presente in lui a priori, questa sarà uguale per qualsiasi individuo.

L’agire morale è un’eterna lotta tra la ragione e l’impulso, che è


l’agire secondo i propri desideri.

MASSIME E IMPERATIVI
I precetti che regolano la volontà individuale sono di due tipi: le
massime e gli imperativi.

Una massima è una regola che il soggetto stabilisce di osservare,


è quindi dettata dal soggetto in maniera arbitraria ed è valida solo
per il soggetto stesso. Ad esempio, io posso decidere di dire: devo
bere almeno due litri di acqua al giorno, ma ovviamente non è una
legge universale, è qualcosa che io impongo a me stesso.

Un imperativo, invece, è una regola oggettiva, valida per tutti. A


sua volta, un imperativo può essere ipotetico o categorico.

Un imperativo ipotetico è un precetto legato ad un obiettivo. Sono


quegli imperativi che si presentano con una forma se…allora. Ad
esempio, se non voglio andare in prigione, non devo rubare. Non
evito di rubare perché farlo è sbagliato, ma perché non voglio
andare in prigione. Il mio non rubare in questo caso si rifà alla
legalità ma non alla moralità.
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La legge morale non può essere fatta né da massime, né da
imperativi ipotetici, in quanto le prime non sono universali e
necessarie e i secondi non sono autonomi.

La legge morale si esprime dunque in imperativi categorici. Un


imperativo categorico è un precetto autonomo, universalmente
valido e che esprime una volontà pura. Detta il dovere in modo
incondizionato, indipendentemente da ciò che avviene mondo
esterno: è un dovere ne a se stesso.

FORMULAZIONI DELL’IMPERATIVO
CATEGORICO
«Agisci in modo che la massima della tua volontà possa sempre
valere come principio di una legislazione universale.»

Kant, Critica della ragion pratica


Il che vuol dire, fondamentalmente, che ognuno di noi dovrebbe
agire come se le prescrizioni che ci autoimponiamo potessero
essere seguite da tutti. Ovviamente, se ognuno prendesse come
massima devo uccidere la gente, nel giro di un mese la razza
umana si estinguerebbe.

«Agisci in modo da trattare l’umanità, sia nella tua persona sia in


quella di ogni altro, sempre anche come ne e mai semplicemente
come mezzo.»

Kant, Fondazione della meta sica dei costumi


Se l’uomo è ragione, trattarlo come mezzo signi ca
strumentalizzare la ragione. Ma anche la morale è ragione.
Dunque, strumentalizzare un uomo signi ca utilizzare la morale
come un mezzo, cioè compiere un’azione immorale. Perché
un’azione sia morale, è necessario che essa abbia come ne ultimo
l’uomo. Quindi è necessario, in ogni azione, restituire ad ognuno la
dignità che gli spetta in quanto uomo. In sostanza, è possibile
“servirsi” di un altro, ad esempio af dandogli un incarico lavorativo,
ma è sempre necessario, in quanto obbligo morale, tutelare la sua
dignità. (Bisogna agire secondo il bene comune)
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«La volontà non è semplicemente sottoposta alla legge, ma lo è in
modo da dover essere considerata autolegislatrice e solo a questo
patto sottostà alla legge.»

Kant, Fondazione della meta sica dei costumi


L’individuo non si limita a sottostare ad una legge, ma è allo stesso
tempo suddito e legislatore, in quanto la legge morale deriva dalla
ragione.

Nella critica della ragion pratica abbiamo una rivoluzione


copernicana kantiana morale. Où
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