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CAPITOLO SECONDO

2.1

Gino Corallo è stato docente di Pedagogia della Moscato dal 1971 no al 1985.

Apparteneva all’ordine dei salesiani e sul piano meta sico rimaneva fondamentalmente un
realista, non apparteneva però alla corrente di un realismo ingenuo, positivo o storicista; ciò era
determinato dal fatto che i suoi due interlocutori privilegiati erano stati da un lato l’idealismo di
Giovanni Gentile, dall’altro le letture giovanili di Sant’Agostino, da cui ricava l’assunto basilare che
tutto è nel pensiero, “dal pensiero non si esce”.

La Moscato, inoltre, mette in evidenza la dialettica tra quella che era la sua visione da
studentessa, derivante dalla sua formazione catechistica giovanile, e la prospettiva di Corallo.

Il realismo della Moscato tendeva ad essere “positivo”, con forti inclinazioni empiristiche
(positivo= l’oggetto è la fonte della verità) mentre sul piano teologico rimaneva ancorata, invece,
alla tradizionale visione di conoscenza “tomista”, derivata da San Tommaso; il tomismo assume
che la verità sia scaturita da un adeguarsi dell’intelletto alle cose (la famosa quaestio de
veritate, la questione attorno alla verità). Immaginiamoci l’intelletto come uno specchio che,
trovandosi di fronte all’oggetto, non fa altro che rispecchiarlo. La conoscenza parte, dunque,
dall’oggetto.

Così è anche per il teologo Romano Guardini : gli oggetti hanno una valenza, esistono, sono lì e
devono essere colti da chi li guarda, educare è guidare al giusto rapporto con gli oggetti.
Cosa ne deriva? La verità non è altro che INCONTRO, CONTEMPLAZIONE dell’oggetto da
parte del soggetto, in altre parole il soggetto (già libero) si trova di fronte a costanti epifanie,
manifestazioni dell’oggetto e le contempla.

Corallo critica radicalmente questa posizione, non si tratta mai di limitarsi a CONTEMPLARE, a
RISPECCHIARE l’oggetto, occorre al contrario una mediazione, un’interpretazione.

Pensiamo alla situazione in cui si trova Mosè descritta nel Vecchio Testamento : Mosè si trova
davanti alla visione di un roveto ardente che, però, non si consuma mai e, incuriosito, gli si
avvicina.

Corallo sostiene che, a nché Mosè si avvicinasse a quel roveto per meglio guardarlo, occorreva
non solo che lo VEDESSE semplicemente (avrebbe a ermato Guardini) ma che lo
INTERPRETASSE, che riconoscesse in quel roveto qualcosa di non naturale, non coerente con la
realtà sperimentata da lui no a quel punto : occorreva che lo interpretasse come sacro.

Ne derivano 2 questioni :

-Nella mente di Mosè ci sono delle categorie, delle precategorizzazioni che gli permettono di
interpretare quel roveto come sacro e non come naturale.

-La conoscenza non è mai immediata, scaturita dalla visione e contemplazione dell’oggetto, ma è
sempre mediata dal soggetto, dal pensiero del soggetto.
Il pensiero non si limita a RISPECCHIARE,CONTEMPLARE ma il pensiero
MEDIA,INTERPRETA, SI RAPPRESENTA GLI OGGETTI.
Per meglio comprendere questo aspetto, facciamo riferimento ad uno scritto di Corallo del 1966
in cui si mette a fuoco il rapporto tra pensiero e realtà, nei termini di un realismo “sui generis”.

“Il primo servizio da rendere alla verità è quello di farla esistere […] La verità esiste solo nella
mente […] Dio ci ha squadernato davanti le cose e ci ha dato l’intelletto, capace di produrre la
verità, a nché noi conoscessimo le cose, in quanto è da noi […] Noi diamo alla verità il suo
esistere ma non le diamo l’essenza, il signi cato […] occorre non confondere l’essere della verità,
che da noi dipende, con l’essere delle cose che ci è dato.”

Analizzando il passo, vediamo come dalle prime righe, Corallo sembra non uscire dalla
prospettiva idealista che vuole che le cose esistano solo in quanto pensate, che le cose siano
RIDUCIBILI al pensiero ( “la verità esiste solo nella mente”); tuttavia, abbiamo detto, che Corallo
non è, non può essere un idealista.

Tant’è che alla base di questa ri essione assume che ci sia un sostrato realistico: l’essere delle
cose che Dio ci ha donato e che non dipende da noi. Cosa ne deduciamo? L’oggetto esiste, ha
un suo signi cato ed una sua esistenza che non dipende da noi, non è riducibile al nostro
pensiero.

[Questione della Costanza Oggettuale: è chiara nel passo di Romano Guardini (pag.63): gli
oggetti hanno validità in se stessi, “esistono non per amor mio ma in sé e per sé” —> qui c’è più
di un realismo oggettivo, si a erma la COSTANZA con cui gli oggetti si impongono alla nostra
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coscienza, rivendicando una irriducibilità di sé alla coscienza stessa. Questa <<costanza
oggettuale>> impedisce ogni riduzione dell’oggetto al pensiero, in quanto l’oggetto si costituisce
e di dispiega nel pensiero senza mai ridursi solo ad esso (idealismo); Corallo riconosce l’esistenza
delle cose in sé e per sé, tuttavia a ermando che la verità risiede nel pensiero del soggetto che
MEDIA e INTERPRETA quegli oggetti che esistono e che si dispiegano (non che si riducono) nella
coscienza.]

Il pensiero per Corallo, non è mai un pensiero puro come quello a cui fa riferimento Kant (Kant
nella “Critica della Ragion Pura”, studia il pensiero puro, a priori, senza alcun contenuto
conoscitivo, studia la ragione prima ancora che essa si metta a conoscere); al contrario, il
pensiero (che esiste ed è una realtà quanto le cose), per Corallo, fa sempre riferimento a
qualcosa, fa sempre riferimento a l’essere delle cose, è sempre mediazione e realtà
rappresentativa di qualcosa, “immanenza di un trascendente”: in ogni atto di pensiero c’è sia il
pensiero, sia la cosa pensata (che trascende -va oltre- il pensiero ma che diventa immanente
-diviene presente- nel momento in cui ci mettiamo a pensare).

Conclusione= Corallo assume quindi, alla base della sua ri essione pedagogica, un preciso
primum esistenziale: Il pensiero è una realtà e le cose hanno una loro realtà, sono gravide del loro
signi cato e sono MEDIATE dal pensiero; in questo senso il pensiero rivela sé e rivela l’essere
delle cose, annuncia l’essere delle cose ad esso presenti come rappresentazioni.
Ma quindi il pensiero scopre o inventa i signi cati delle cose?

Corallo sostiene sia un falso problema, e che bisogna concentrarsi invece sulla funzione
mediatrice del pensiero e pone poi un altro problema : per lui, la percezione dell’oggetto
all’interno della coscienza individuale non presuppone ancora la libertà umana (si ricordi il passo
di Guardini); la libertà non è data per scontata, non è un dato primordiale (concezione cattolica:
l’uomo è contraddistinto dal libero arbitrio n dalla nascita) ma è una CONQUISTA, una meta del
divenire esistenziale.

Libertà è scegliere il signi cato delle cose che incontriamo, in forza del valore che esse hanno per
noi.

Educare vuol dire promuovere la libertà dell’uomo attraverso l’incontro con gli oggetti
(diversamente da Guardini, educazione è guidare all’incontro con gli oggetti).
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