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quanto aveva divorziato dalla terza moglie, Pompea, a seguito di uno scandalo in cui era
rimasta coinvolta. Nello stesso periodo chiese e ottenne il consolato della Gallia.
Cesare aveva scelto le Gallie a ragion veduta: egli sapeva di aver bisogno, per poter
aspirare al supremo potere, di compiere gesta militari di grande importanza e, soprattutto,
di forte impatto. Le Gallie, da questo punto di vista, gli avrebbero appunto offerto
l'occasione di conquistare territori ricchi di risorse naturali e di sottomettere un popolo ben
noto per le proprie virt militari e, per questo, molto temuto.
I fatti confermarono pienamente i calcoli di Cesare. Anzi, riusc ad ottenere risultati che
andavano al di l di quanto egli stesso avrebbe mai osato sperare. Le vicende belliche gli
offrirono oltretutto l'occasione di costituire un fedelissimo esercito personale e di
assicurarsi fama imperitura e favolose ricchezze. Fu in particolare la fase finale del
conflitto, quando dovette domare una ribellione capeggiata dal principe Vercingetorige, a
mettere in risalto le straordinarie capacit militari di Cesare, che riusc a sbaragliare il
nemico nel proprio territorio e a fronte di perdite ridotte al minimo per i romani.
La campagna militare, cominciata nel 58 a.C. e conclusa nel 51 a.C., fu minuziosamente e magnificamente - narrata dallo stesso Cesare nei suoi Commentari (il celebre "De bello
gallico").
Morto Crasso, sconfitto e ucciso a Carre (53 a.C.) nel corso di una spedizione contro i parti,
il triumvirato si sciolse. Pompeo, rimasto solo in Italia, assunse pieni poteri con l'insolito
titolo di "console senza collega" (52 a.C.). All'inizio del 49 a.C., Cesare rifiut di obbedire
agli ordini di Pompeo, che pretendeva, con l'appoggio del senato, che egli rinunciasse al
proprio esercito e rientrasse in Roma come un semplice cittadino. In realt Cesare rispose
chiedendo a sua volta che anche Pompeo rinunciasse contemporaneamente ai propri
poteri, o, in alternativa, che gli fossero lasciate provincia e truppe fino alla riunione dei
comizi, davanti ai quali egli avrebbe presentato per la seconda volta la sua candidatura al
consolato. Ma le proposte di Cesare caddero nel vuoto: prese allora la difficile decisione di
attraversare in armi il Rubicone, fiume che delimitava allora l'area geografica che doveva
essere interdetta alle legioni (fu in questa occasione che pronunci la famosa frase: "Alea
iacta est", ovvero "il dado tratto").
Era la guerra civile, che sarebbe durata dal 49 al 45. Anch'essa fu molto ben raccontata da
Cesare, con la consueta chiarezza ed efficacia, nel "De bello civili" Varcato dunque il
Rubicone, Cesare marci su Roma. Il senato, terrorizzato, si affrett a proclamarlo
dittatore, carica che mantenne fino all'anno seguente, quando gli fu affidato il consolato.
Pompeo, indeciso sul da farsi, si rifugi in Albania. Fu sconfitto a Farsalo, nel 48 a.C., in una
battaglia che probabilmente il capolavoro militare di Cesare: quest'ultimo, con un
esercito
di
ventiduemila
fanti
mille
cavalieri,
tenne
testa
vittoriosamente
ai
contro di lui, guidata dai senatori Cassio e Bruto, che lo assassinarono il 15 marzo del 44
a.C. (passate alla storia come le "Idi di marzo").
Tra gli innumerevoli ritratti che di lui ci sono stati conservati, due sono particolarmente
significativi, ossia quello relativo al suo aspetto fisico, tracciato da Svetonio (nelle "Vite dei
Cesari"), e quello morale, tracciato dal suo grande avversario Cicerone in un passo della
seconda "Filippica". Ecco quello di Svetonio: "Cesare era di alta statura, aveva una
carnagione chiara, florida salute[...] Nella cura del corpo fu alquanto meticoloso al punto
che non solo si tagliava i capelli e si radeva con diligenza, ma addirittura si depilava, cosa
che alcuni gli rimproveravano. Sopportava malissimo il difetto della calvizie per la quale
spesso fu offeso e deriso. Per questo si era abituato a tirare gi dalla cima del capo i pochi
capelli[...] Dicono che fosse ricercato anche nel vestire: usava infatti un laticlavio frangiato
fino alle mani e si cingeva sempre al di sopra di esso con una cintura assai lenta".
Non meno incisivo quello di Cicerone: "Egli ebbe ingegno, equilibrio, memoria, cultura,
attivit, prontezza, diligenza. In guerra aveva compiuto gesta grandi, anche se fatali per lo
stato. Non aveva avuto per molti anni altra ambizione che il potere, e con grandi fatiche e
pericoli l'aveva realizzata. La moltitudine ignorante se l'era conquistata coi doni, le
costruzioni, le elargizioni di viveri e banchetti. I suoi li aveva acquistati con premi, gli
avversari con manifestazioni di clemenza, insomma aveva dato ad una citt, ch'era stata
libera, l'abitudine di servire, in parte per timore, in parte per rassegnazione".