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Cartesio: il fondatore del razionalismo

La personalità di René Descartes, meglio noto come Cartesio, segna la svolta decisiva per
il passaggio dal Rinascimento all’epoca moderna. I temi fondamentali della filosofia
rinascimentale (il riconoscimento della soggettività umana e l’esigenza di approfondirla
e chiarirla, e il riconoscimento del rapporto dell’uomo con la realtà che lo circonda)
diventano nel pensiero cartesiano i termini di un nuovo problema che coinvolge, da una
parte, l’essere umano come soggetto e, dall’altra, il mondo come oggetto di conoscenza
e di azione. Ma Cartesio è soprattutto il fondatore del razionalismo, ossia di quella
corrente della filosofia moderna che vede nella ragione il principale organo di verità, nonché lo strumento
per elaborare una nuova visione complessiva del mondo.

La formazione e i viaggi

Renato Cartesio nasce nel 1596 a La Haye, nell’antica provincia francese della Touraine, e viene educato
nel collegio dei gesuiti di La Flèche. Cartesio stesso, nel suo “Discorso sul metodo”, sottoporrà a critica gli
studi condotti in questo periodo, giudicandoli insufficienti per fornire un orientamento sicuro all’indagine. E
proprio alla ricerca di un tale orientamento dedicherà tutti i suoi sforzi. Nel 1619 trova la propria via in
modo miracoloso: egli stesso, infatti, racconterà di aver fatto in una notte tre sogni rivelatori, capaci di
suscitare in lui la prima intuizione del suo metodo. La prima opera in cui Cartesio esprime la sua intuizione
è costituita dalle “Regole per dirigere l’ingegno”, composte tra il 1619 e il 1630. In questo periodo il
filosofo presta servizio nell’esercito e partecipa alla Guerra dei trent’anni (1618-1648), ma il costume
militare del tempo lascia ai nobili ampia libertà ed egli può quindi viaggiare a suo piacimento per tutta
l’Europa, dedicandosi agli studi di matematica e di fisica, e continuando a elaborare la propria dottrina del
metodo.

L’approfondimento degli studi e le opre maggiori

Nel 1628 si stabilisce in Olanda, sia per godere di quella libertà filosofica e religiosa che caratterizzava tale
paese, sia per poter lavorare a proprio agio, senza essere distratto dagli obblighi di società che a Parigi e in
provincia gli avrebbero rubato molto tempo. Qui inizia a comporre un trattato di metafisica, senza tuttavia
pensare a una pubblicazione immediata; nel frattempo riprende lo studio della fisica e progetta di scrivere
un trattato sul mondo, che pensa di intitolare “Trattato sulla luce”. La condanna di Galilei lo induce ad
abbandonare l’idea di pubblicare l’opera, nella quale sostiene la dottrina copernicana. In seguito, sceglie di
divulgare almeno dei risultati raggiunti, articolandoli nei tre saggi sulla “Diottrica”, sulle “Meteore” e sulla
“Geometria”: a queste tre opere premette una prefazione intitolata “Discorso sul metodo”.

Cartesio riprende poi, e conclude, la stesura del trattato di metafisica: nel 1640, grazie all’amico padre
Mersenne, l’opera viene inviata a un gruppo di filosofi e teologi affinché espongano le loro osservazioni al
riguardo; nel 1641 viene pubblicata con il titolo “Meditazioni sulla filosofia prima” completa delle
“Obiezioni” e delle “Risposte di Cartesio”.

Più tardi Cartesio rielabora il trattato sul mondo dandogli la forma di un sommario destinato alle scuole: “I
Principi di filosofia”. La corrispondenza intrattenuta con la principessa Elisabetta del Palatinato, studiosa
appassionata, gli suggerisce poi l’idea della monografia psicologica “Le passioni dell’anima”, pubblicata nel
1649. In questo stesso anno il filosofo cede ai ripetuti inviti della regina Caterina di Svezia e accetta di
stabilirsi presso la sua corte, dove si riunivano alcuni tra i più celebri rappresentanti della cultura del tempo.
Nell’ottobre egli giunge a Stoccolma, ma nel rigido inverno nordico si ammala di polmonite e nel 1650
muore.
Il metodo

Cartesio non vuole insegnare quanto ha imparato, ma piuttosto descrivere se stesso: per questo nel
“Discorso sul metodo” parla in prima persona. Il suo problema emerge dal senso di disorientamento
avvertito al termine degli studi presso la scuola di La Flèche, dove, pur avendo assimilato con successo il
sapere del tempo, egli ritiene di non avere acquisito alcun criterio sicuro per distinguere il vero dal falso,
avendo appreso soltanto nozioni che poco o nulla servono alla vita. L’orientamento, il criterio, il metodo
che Cartesio cerca è nello stesso tempo teoretico e pratico: esso, infatti, deve condurre a saper distinguere
il vero dal falso anche e soprattutto in vista dell’ utilità e dei vantaggi che possono derivarne alla vita
umana.

Una simile forma di sapere dovrà consentire all’uomo l’ideazione di congegni che gli facciano godere senza
fatica dei frutti della terra e di altre comodità e dovrà mirare alla conservazione della salute.

Questa unità del metodo, pur nella diversità delle sue applicazioni, viene riconosciuta da Cartesio già nelle
“Regole per dirigere l’ingegno”, in cui egli afferma che la saggezza umana è una sola, quali che siano gli
oggetti a cui si applica; ed è una sola perché uno è l’uomo nelle sue diverse attività. Le scienze
matematiche, per Cartesio, sono dunque già in possesso di un metodo efficace, che applicano
normalmente. Eppure, prendere coscienza delle regole metodiche della matematica, astrarle da tale
disciplina e formularle in generale per poterle applicare a tutte le altre branche del sapere non è sufficiente.
È necessario, infatti, anche “giustificarle”, ovvero rendere conto della loro validità esplicitando i princìpi su
cui si fondano. Il compito filosofico che Cartesio fa proprio sarà dunque quello di formulare le regole del
metodo, tenendo soprattutto presente il procedimento matematico, nel quale sono applicate.

Le regole

Per quanto riguarda le regole, la seconda parte del “Discorso sul metodo” ci dà la formulazione più matura
e semplice delle regole del metodo. Esse sono quattro: evidenza (regola fondamentale secondo Cartesio, ci
dice di accogliere come vero solo ciò che risulta evidente, ossia chiaro e distinto), analisi (ci dice di
suddividere ogni problema complesso nei suoi elementi più semplici), sintesi (ci dice di risalire dal semplice
al complesso), enumerazione e revisione (ci dice di enumerare tutti gli elementi individuati mediante
l’analisi e rivedere tutti i passaggi della sintesi).

Il passaggio dal dubbio al cogito

Cartesio è convinto che la filosofia, per poter ricostruire su basi certe l’intero edificio delle scienze, debba
preliminarmente operare una critica radicale di tutto il sapere esistente. Lo strumento approntato da
Cartesio a questo scopo è il dubbio metodico, che consiste nel considerare provvisoriamente falso tutto
ciò di cui si può dubitare. Quando dalle conoscenze sensibili si estende a quelle matematiche, il dubbio
diventa iperbolico, o universale: esso investe ogni cosa, grazie all’ipotesi che esista un genio maligno
capace di ingannare sistematicamente l’uomo. Tuttavia, proprio in quanto dubita, e quindi pensa, il
soggetto deve esistere. Partendo dal dubbio, si raggiunge in tal modo una certezza indubitabile, racchiusa
nel cosiddetto cogito, formula abbreviata dell’espressione latina, “penso, dunque sono”: «res cogitans».
Le prove dell’esistenza di Dio

L’autoevidenza del cogito mi rende certo della mia esistenza in quanto soggetto pensante, ma non
garantisce che all’evidenza delle mie idee corrisponda l’effettiva esistenza di una realtà esterna. Cartesio
deve quindi dimostrare l’esistenza di Dio, che ha creato l’uomo rendendolo capace di conoscere e che
garantisce la verità di ciò che all’uomo appare come assolutamente evidente. Cartesio elabora le sue prove
dell’esistenza di Dio con un procedimento a priori, cioè partendo dal cogito, e precisamente dall’analisi dei
contenuti del pensiero. L’esistenza di Dio è dimostrata con tre prove a priori: le prime due partono dalla
presenza nell’uomo, rispettivamente, nell’idea di Dio e dell’idea di perfezione, mentre la terza riprende la
prova ontologica di Anselmo d’Aosta. Per costruire la prima prova egli esamina le idee, cioè le
rappresentazioni, distinguendole, a seconda della loro origine, in tre categorie: quelle che mi sembrano
presenti in me da sempre (innate), quelle che mi sembrano estranee a me (avventizie) e quelle formate o
trovate da me stesso (fattizie). Le prove cartesiane dell’esistenza di Dio non sembrarono a tutti così
persuasive e stringenti, e pertanto suscitarono molte critiche, in particolare da Arnauld e da Gassendi.

Dio come garante dell’evidenza

Con la dimostrazione dell’esistenza di Dio, il percorso preannunciato da Cartesio giunge al suo compimento:
una volta riconosciuta l’esistenza di Dio, il criterio dell’evidenza trova la sua ultima garanzia. Dio, essendo
perfetto, non può ingannarmi; la facoltà di giudizio, che ho ricevuto da lui, non può essere tale da indurmi
in errore, se viene adoperata correttamente. Questo significa che tutto ciò che appare chiaro ed evidente
deve essere vero, perché Dio lo garantisce come tale.

La possibilità dell’errore

L’errore dipende, secondo Cartesio, dal concorso di due cause: l’intelletto e la volontà. L’intelletto umano è
limitato. La volontà umana invece è libera e quindi assai più estesa dell’intelletto. Essa consiste nella
possibilità di fare o non fare, di affermare o negare, di ricercare o fuggire, e può fare queste scelte sia
rispetto alle cose che l’intelletto presenta in modo chiaro e distinto, sia rispetto a quelle che non hanno
chiarezza e distinzione sufficienti. Nella possibilità di affermare o di negare ciò che l’intelletto non riesce a
percepire chiaramente consiste la possibilità dell’errore.

Il dualismo

L’esistenza di Dio garantisce dunque l’esistenza dei corpi: accanto a una sostanza pensante (res cogitans)
incorporea, consapevole e libera, esiste una sostanza estesa corporea (res extensa), inconsapevole e
meccanicisticamente determinata. Questa visione dualistica pone il problema del rapporto tra le due
dimensioni (il pensiero e la materia), che Cartesio risolve, per quanto riguarda l’uomo, ipotizzando che le
due sostanze entrino in relazione nella ghiandola pineale. La sostanza estesa è studiata dalla fisica, che in
Cartesio è rigorosamente meccanicistica e procede in modo deduttivo.

La filosofia pratica

Consapevole del fatto che tutto il suo pensiero si fonda sull’esercizio del dubbio, e che in campo pratico
questo causerebbe un’assoluta anarchia, Cartesio delinea una morale provvisoria che possa orientare
l’azione umana anche prima che siano stati individuati valori certi. Egli, tuttavia, non elaborerà mai una
morale definitiva, ma si orienterà all’analisi delle emozioni, o passioni, ossia di quelle modificazioni
involontarie che sono prodotte nell’anima dalle forze meccaniche che agiscono sul corpo. Secondo Cartesio
le emozioni devono essere dominate mediante la ragione e in questo “dominio” consiste la saggezza.

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