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Indice

Introduzione ...................................................................................................................................2
1. La scienza per i maestri Francescani ..........................................................................................2
1.1 Cosa intendevano questi professori di Parigi per Teologia? ................................................2
1.2 Cosa significa fare scienza? .................................................................................................3
1.3 Patrimonio comune dei teologi nel XII secolo .....................................................................4
2. La “Scienza della Sacra Teologia” .............................................................................................5
2.1 Struttura del commento a Boezio .........................................................................................5
2.2 “Ultrum de divinis possit esse aliqua scientia” In Boet. De Trin. q.2 a.2 ............................6
2.2.1 La teologia vera scienza. ...............................................................................................6
2.2.2 Il soggetto della teologia ...............................................................................................7
2.2.3 Compressibilità? intellettuale dei principi della teologia ..............................................9
Conclusione..................................................................................................................................12
Bibliografia ..................................................................................................................................14
La teologia come scienza nei secoli XII e XIII
Super Boetium de Trinitate, St. Tommaso d’Aquino.

Evagrio il Monaco, nel secolo IV, formulò la famosa sentenza:


"Se sei un teologo, pregherai veramente,
e se preghi veramente allora sarai un teologo.”
(Evagrio, De oratione 61 PG 79, 1165).

Introduzione

Al fine di non perdere la prospettiva sul nostro tema principale, quello della
scientificità della teologia, è necessario avere innanzi tre concetti che devono guardarsi
assieme, cioè che il nostro sguardo possa riuscire a vedere congiuntamente, quasi in
maniera panoramica: la Fede – la teologia – la verità. Con lo scopo di cogliere connessioni
e non contraddizioni. Perché in fatti, il capolavoro della scolastica è stato quello di aver
posto sullo stesso piano la fede e la filosofia, la teologia e la scienza, affinché abbattendo
il muro che divideva quello che crediamo e quello che conosciamo con certezza, siamo
in grado di sollevarci alla contemplazione della Verità. Giacché il più grande inganno e
la menzogna comunemente diffusa è stata quella secondo cui l’intelligenza viene meno
quando si appoggia nella fede, o che la fede si corrompe quando cerca di comprendere il
mistero. Ma sono pochi quelli che dicono che entrambi si arricchiscono.
Il merito dei teologi medievali è stato quello di accorciare la distanza fra due realtà
che si credevano inconciliabili, e fra i teologi medievali San Tommaso d’Aquino ha un
posto sommamente importante. Era totalmente convinto che la verità deve sollevarsi per
sé stessa, perché dove c’è la verità non c’è dubbio, né c’è posto per l’incertezza; credeva
che la lotta per dimostrare la scientificità della teologia fosse una questione di vita o di
morte, perché solo con questa sintesi si garantirebbe la sopravvivenza della filosofia e
della teologia.

1. La scienza per i maestri Francescani


Per i maestri francescani1 la ricerca della verità occupa una rilevante importanza:
quello che viene per fede, cioè quello che crediamo deve essere il fondamento di tutta la
realtà.

1.1 Cosa intendevano questi professori di Parigi per Teologia?


Per i maestri Francescani l’ambito della teologia abbraccia soltanto un certo
insegnamento, il quale è circoscritto alla fede. Per teologia si intende soprattutto la Sacra
Scrittura la quale contiene una parte storica e un’altra parte concernente le leggi e il

1
Cfr. I. Biffi, Figure medievali della teologia, Jaca Book, Milano 2008, 29-66

2
messaggio evangelico: « (…) cum ergo doctrina theologica pro magna parte sit historica,
ut patet in lege et in Evangelio – ergo est eorum quae intelliguntur2». Insomma,
sostengono che gran parte della dottrina non tratta di dati universali ma particolari, cioè
narrazioni storiche che parlano di eventi concreti.
Negli autori anteriori a San Tommaso, formati in un ambiente prevalentemente
agostiniano, la teologia viene concepita come quella scienza ordinata principalmente alla
perfezione dell’uomo. Tutti questi autori concepiscono la teologia –quasi in maniera
unanime- come: una disciplina “sapienziale” ordinata al perfezionamento dell’ uomo in
ordine a Dio, e conseguentemente come una scienza prevalentemente pratica3.

1.2 Cosa significa fare scienza?


Per la Summa Halensis la scienza è concepita come quella “intelligenza dell’
universale”4. Già Aristoteles aveva detto che non si può fare scienza del “particolare”,
cioè di fatti isolati oppure storici, e soprattutto di quelli che non sono evidenti.
Innanzitutto i maestri precedenti a San Tommaso d’Aquino stabiliscono che l’ oggetto
(subiectus) della scienza è l’intelligibile e l’universale: «Scientia est intelligibilium»5,
«Ars est universalium6». Secondo Aristotele l’arte (teknè) presa come sinonimo di
scienza: «nasce quando da una molteplicità di nozioni empiriche venga prodotto un unico
giudizio universale che abbracci tutti le cose simili fra loro»7. La Suma Halense afferma
categoricamente «Omnis scientia est de universalibus et incorruptibilibus, sicut dicit
Philosophus»8. Per i maestri precedenti a San Tommaso la scienza ha due caratteristiche
principalmente: è qualcosa di sperimentabile e il suo sviluppo procede in maniera
discorsiva9, come il ragionamento10. Inoltre la teologia nella loro concezione veniva colta
e considerata nella sua disposizione scritturistica, raccolta sotto le due categorie della
«Lex et Evangelium»11. Insomma sia l’Halense sia gli altri autori esprimono con chiarezza
il senso della storicità della teologia e la sua non intelligibilità, perché manca del carattere
dell’universalità12, giacché la storia si circoscrive a fatti particolari e non produce verità
universali.
Per loro la conoscenza scientifica deve essere qualcosa di necessario (per sé nota),
una cosa che si impone –in maniera quasi apriori- al nostro intelletto, alla maniera delle

2
SH (Summa Halensis) c. 1, Ad quod arguet 1,11. In I. Biffi, Figure medievali della teologia, Jaca Book,
Milano 2008, 39.
3
Cfr. L. Amorós, La teologia como cienza pratica en la escuela franciscana en los tiempos que preceden
a Escoto, “Archives d’historia doctrinale et littéraire du Moyen age”, (1943), 262.
4
Cfr. I. Biffi, Figure medievali della teologia, Jaca Book, Milano 2008, 35.
5
Aristotele, Analitici posteriori, I, 31, in Ibidem.
6
Aristotelis, Metaphysica, I, 1. In Ivi, 36.
7
Aristotele, Opere, III, p.4., in Ibidem.
8
OR (Oddone Rigaldo), p. 6 (pars I, q. 1, n. 4). In Ivi, 37.
9
«Omnis scientia et ars per experientiam accidit» Aristotelis, Metaphysica, I, 1, pp. 1-2, Bekker 981a 2-4,
in Ivi, 38.
10
«secundum ordinem ratiocinationis a principiis ad conclusiones, quibus doceatur intellectus», SH, c. 2,
in Ibidem.
11
Cfr. Ibidem.
12
«Quaedam creduntur et nunquam intelliguntur, sicut est omnis historia singularia et humana gesta
percurrens cum ergo doctrina theologica prò magna parte sit historica, ut patet in Lege et in Evangelio
eorum quae nunquam intelliguntur non est scientia: scientia enim est intelligibilium». SH, c. 1, 3m. in
Ibidem.

3
scienze esatte. I maestri francescani dicevano che solo la conoscenza che dipende dai
ragionamenti produce scienza, perché nel ragionamento si dà un collegamento necessario
tra le conclusioni e le premesse, la cui conclusione si impone come verità indubitabile.
Dunque, si stabilisce come metodo proprio del ragionamento discorsivo il processo che
segue la «definitio, divisio, collectio»13.

1.3 Patrimonio comune dei teologi nel XII secolo14


 L’universale diffusione del vocabolario filosofico e teologico di Agostino: di
fronte alla «Doctrina Sacra» (teologia), il suo senso globale di saggezza cristiana.
Ampliamente imposto.
 C’è una disposizione di due mondi nell’universo: il mondo intelligibile e il mondo
sensibile. La vera realtà è quella del mondo intelligibile, il solo immutabile, di
conseguenza il solo “vero”.
 Dio autore di questo universo e di questo ordine, è la fonte di ogni realtà, come di
ogni verità. Come tale egli è trascendente, ed è tale trascendenza che fonda la sua
onnipresenza.
 Dualismo gnoseologico: affermano che ci sono due mezzi della conoscenza;
dicono che l’anima ha due volti, l’uno voltato verso il mondo intelligibile, l’altro
verso il mondo sensibile.
 L’uomo, composto di anima e di corpo: è per ciò stesso situato fra questi due
mondi; ma l’anima è da sé stessa una, sostanza, razionale, individuale, anche
quando governa un corpo.

 San Tommaso considerava che la “divina onnipotenza” possa creare soggetti


che agiscano per sé stessi, comprendendo e raggiungendo la verità, e non
soggetti meramente passivi rispetto alla divina illuminazione15. In questo
senso si contrapponeva al platonismo estremo che parlava d’idee innate e
attribuiva a Dio i pensieri individuali e l’agire.

13
«Modus scientiae (...) definitivus debet esse, divisivus, collectivus (...). Talis modus debet esse in humanis
scientiis, quia apprehensio veritatis secundum humanam rationem explicatur per divisiones, definitiones et
ratiocinationes». SH, c. 4, art. 1, 2m. In I. Biffi, Figure medievali della teologia, Jaca Book, Milano 2008,
38.
14
Cfr. M.D. Chenù, La teologia nel Medio Evo. La teologia nel XII secolo, Jaca Book, Milano 1972, 127-
128.
15
«l’intelletto avendo in sé una potenza attiva e una passiva, è in grado di percepire la verità (…) Così
dunque si danno alcune verità intelligibili che rientrano nell’ambito dell’efficacia dell’intelletto agente,
come ad esempio i princìpi che l’uomo conosce naturalmente e ciò che da essi si può dedurre; e per
conoscere tali cose non si richiede una nuova luce intelligibile, ma è sufficiente il lume insito naturalmente
in noi. Ci sono però altre cose a cui i predetti princìpi non possono estendersi, come quelle che appartengono
alla fede, che eccedono la facoltà della ragione, e la mente umana non può conoscere tutte queste cose senza
essere illuminata in modo divino da un nuovo lume, che si aggiunga a quello naturale». In Boet. De Trin
q1, a1.

4
2. La “Scienza della Sacra Teologia”
Quando San Tommaso affronta il tema della teologia come scienza, i maestri di
Parigi e di Oxford se ne stavano occupando già da trent’anni. Quando lo fa nella Somma
di Teologia,già tredici anni prima lo aveva esposto nel commento alle Sentenze (In Sent.
1 prol. q.1 a.3 q. 2a) nel 1253. Lo tratta anche nel commento a Boezio (In Boet. De Trin.
q.2 a.2) nel 1257, e nella Somma (Cont. Gent. 1,1-9) nel 1259. Di questi, l’esposizione
più sviluppata è il commento a Boezio, con sette obbiezioni; mentre sono tre nelle
Sentenze. Il pensiero di San Tommaso rimane essenzialmente lo stesso nel corso degli
anni, sebbene diventa ogni volta più ordinato e chiaro16.

2.1 Struttura del commento a Boezio

Prima di affermare la possibilità di fare scienza delle cose divine, San Tommaso
d’Aquino stabilisce i fondamenti che precedono lo sviluppo della Sacra Dottrina. La
prima parte del suo commento si svolge a maniera di riassunto sulla sua dottrina della
conoscenza:

2.1.1 Questione 1
 La possibilità di essere in grado di conoscere qualcosa di Dio. (In Boet. De Trin.
q.1 a.2)
 La maniera in cui procede l’intelletto dell’uomo. (In Boet. De Trin. q.1 a.3)
 Se siamo in grado di pervenire alla conoscenza delle cose rivelate, come la divina
trinità. (In Boet. De Trin. q.1 a.4)

2.1.2 Questione 2
Nella questione II, si affronta propriamente la possibilità di fare scienza delle cose
divine, questa seconda questione è innanzitutto la più importante per affermare la
scientificità della teologia.
 Nel primo articolo San Tommaso si interroga sulla liceità della conoscenza di Dio:
«se sia lecito condurre un’indagine sulle cose divine» (In Boet. De Trin. q.2 a.1).
Mostrando l’obbligo morale di ogni uomo di scoprire il suo fine e la sua
perfezione17.
 Il secondo articolo verte sulla “possibilità” di avere una conoscenza certa di Dio:
«se sia possibile costituire una scienza delle cose divine». (In Boet. De Trin. q.2
a.2)
 La liceità di servirsi della filosofia e di altri strumenti nella “scienza della fede”.
(In Boet. De Trin. q.2 a.3)
 Si chiede se il discorso teologico deve essere necessariamente accessibile a tutti:
spiega che si deve cercare di esporre la dottrina in maniera da evitare l’errore, e la

16
Cfr. A. Escalada, Introduccion a la cuestion I, in Summa Theologiae, BAC, Madrid 20014, 76.
17
«Si deve dire che, poiché la perfezione dell’uomo consiste nel congiungersi a Dio è necessario che l’uomo
si protenda verso le cose divine, per quanto è possibile, con tutto ciò che è in suo possesso, in modo da
dedicarsi con l’intelletto alla contemplazione» (In Boet. De Trin. q.2 a.1). Vedere anche nota a piè di pagina
Summa Theologiae q.1 a.4, BAC, Madrid 20014, 76.

5
distorsione. Insomma, la dottrina Cristiana deve essere acquisibile da tutti in
maniera chiara, però in modo che ciascuno possa ricevere ciò che a lui è
conveniente. (In Boet. De Trin. q.2 a.4)
2.1.3 Questione 3
 La validità della conoscenza per “fede”. (In Boet. De Trin. q.3 a.1)

2.1.4 Questioni 5-6


 San Tommaso d’Aquino cerca di spiegare in quale maniera procede la scienza
speculativa. (In Boet. De Trin. q.5-6)

2.2 “Ultrum de divinis possit esse aliqua scientia” In Boet. De Trin. q.2 a.2
Nella prima questione San Tommaso espone l’obbligo morale di ogni uomo di
conoscere il suo fine ultimo. La realtà theandrica dell’uomo spinge il soggetto a cercare
fuori di sé la realizzazione e la pienezza della sua felicità, che è infatti il suo fine ultimo.
Perciò la domanda su Dio e la sua conseguente ricerca non è una domanda né una attività
oziosa. L’ uomo infatti può raggiungere il suo fine ultimo avendo opinioni erronee di
matematica, di navigazione, di astronomia, ecc., ma mai troverà questo fine se esso non
viene rivelato. Perché la rivelazione e anche la filosofia18 che serve da preambul fidei
affermano che il fine ultimo di tutte le cose si trova in Dio. In conseguenza se Dio in sé
stesso è il fine dell’uomo, la conoscenza di Dio è più che essenziale, è vitale. Giacché
l’uomo non può dirigersi adeguatamente alla sua piena realizzazione senza questo aiuto.
L’errore circa quello che possiamo dire su Dio potrebbe avere conseguenze disastrose nei
rapporti dell’uomo con glia altri, con Dio e con sé stesso.

La grande difficoltà, risulta evidente, è quella di consegnare alla Sacra Doctrina


il carattere di scientificità. La scienza procede a partire da una evidenza e si fonda su essa
stessa, mentre la Sacra Doctrina, invece, procede a partire dello sconosciuto, parte dalla
“inevidenza” dei dati della fede e si trova in assoluta dipendenza e obbedienza ad essi
stessi. Nella q. 2 a. 2 San Tommaso mette sette obbiezioni per confutare la scientificità
della teologia, che possiamo sintetizzare in tre obbiezioni generali: a) la teologia come
sapienza e non come scienza, In Boet. De Trin. q.2 a.2 ob.1. b) l’impossibilità di
conoscere il oggetto della teologia, In Boet. De Trin. q.2 a.2 ob.2-3. c) la dimostrabilità e
comprensibilità intellettuale dei principi costitutivi della teologia, In Boet. De Trin. q.2
a.2 ob.4-7.

2.2.1 La teologia vera scienza.


San Tommaso risponde alla domanda se è possibile fare una scienza delle cose
divine rispondendo affermativamente. In questo punto San Tommaso d’Aquino
abbandona la concezione dei maestri precedenti, secondo la quale la scienza ha come
oggetto proprio l’intelligibile e l’universale: «Scientia est intelligibilium»19, «Ars est

18
San Tommaso afferma già che la filosfia prima aveva messo in luce: «la conoscenza di Dio è il fine
ultimo di ogni conoscenza e agire umano» Cont. Gent. 3, 25.
19
Aristotele, Analitici posteriori, I, 31, in I. Biffi, Figure medievali della teologia, Jaca Book, Milano 2008,
35.

6
universalium20». Gli Scolastici, già dalla prima metà del XIII secolo discutevano il
dilemma «Ultrum theologia sit scientia speculativa vel practica»; quasi tutti
convergevano nel secondo aspetto. In questo si rivela il genio di san Tommaso, nel
riconoscere alla scienza teologica una doppia funzione: morale e intellettuale,
riprendendo l’aspetto “pratico” e soprattutto mettendo in luce l’aspetto “speculativo”21.
San Tommaso risponde alla obbiezione affermando che il concetto di scienza e di
sapienza non si escludono a vicenda, cioè non sono concetti opposti. Anzi la sapienza
deve essere vista come qualcosa che perfeziona la scienza, che le aggiunge un valore. San
Tommaso ricorre qui a categorie già note alla filosofia greca e già utilizzate, benché in
modo diverso. Mentre per Sant’Agostino la “sapienza”, per la supremazia del suo oggetto
(Dio) e del suo metodo, svalutava le scienze umane, considerate inferiori e appartenenti
a una categoria profana. Per San Tommaso le scienze hanno una loro consistenza e
metodo autonomo e partecipano della verità nel loro grado e nella loro intensità; esse
sono, a loro modo, “sapienza”. Guardate come San Tommaso risolve la questione, non
mettendo a confronto questi due concetti; mentre i maestri precedenti consideravano una
umiliazione che la teologia fosse una scienza, San Tommaso innalza il valore delle
scienze affinché diventino anche sapienza22.
Nel commento a Boezio San Tommaso mette in luce un altro aspetto, la sapienza
non si distingue dalle scienze come qualcosa di diverso, ma ne rappresenta un valore più
alto, un valore regolativo, in quanto regola tutte le altre scienze: «(…) regola tutte le altre
in quanto tratta dei princìpi supremi, per cui viene anche chiamata, all’inizio della
Metafisica, “dea delle scienze”, e a maggior ragione questa che non solo tratta dei
princìpi supremi, ma proviene da essi. È infatti proprio del sapiente disporre, e perciò
questa “scienza suprema”, che regola e dispone tutte le altre, viene chiamata sapienza»23.
Infatti ogni scienza si determina per il suo oggetto; la teologia ha come oggetto la realtà
suprema, cioè l’oggetto più esteso, dunque diventa la scienza più alta, la scienza da cui le
altre scienze vengono regolate.

2.2.2 Il soggetto della teologia


Da Avicenna San Tommaso ha imparato che l’essere umano è capace di captare
l’essenza e l’esistenza delle cose al di sopra delle sensazioni che ci arrivano per mezzo
dei sensi. Infatti, riconosce Tommaso, non è necessario conoscere prima l’essenza del
oggetto per avere una conoscenza di esso, perché nella realtà alcune volte noi conosciamo
la causa attraverso gli effetti, e questi effetti prendono il posto della causa. Allo stesso
modo nella teologia quello che noi conosciamo di Dio è quello che lui stesso ci rivela,
cioè gli effetti che rivelano la sua esistenza: per le scienze che riguardano ciò che può

20
Aristotelis, Metaphysica, I, 1. In I. Biffi, Figure medievali della teologia, Jaca Book, Milano 2008, 36.
21
«S. Tommaso, fondandosi sul principio aristotelico della eccellenza della scienza il cui fine è lo studio
per se stesso, la considera come scienza speculativa, dando così una nuova direzione alla soluzione del
problema». L. Amorós, La teologia como cienza pratica en la escuela franciscana en los tiempos que
preceden a Escoto, “Archives d’historia doctrinale et littéraire du Moyen age”, (1943), 261-262. Aristotele,
Metaphysica, I, 2. «Scientiarum quoque illam quae gratia suipsius est et propter ipsum scire, quam illam
quae aliorum gratia eligenda sit, magis sapientiam esse». Ibidem.
22
Cfr. M. D. Chenù, San Tommaso d’Aquino e la teologia, Gribaudi Editori, Torino 1977, 38.
23
In Boet. De Trin. q.2 a.4 ob.1.

7
essere conosciuto “di per se”, talvolta conoscono le cause solo a partire dagli effetti,
quindi la conoscenza degli effetti rivela l’essenza della causa, cioè la “quiddità – quid
est”, «Oppure si può dire che il fatto stesso di non conoscere l’essenza (quid est) prende
il posto nella scienza divina della conoscenza della essenza (quid est), poiché così come
attraverso la quiddità una cosa viene distinta dalle altre, lo stesso accade conoscendo ciò
che essa non è»24. In base agli effetti noi possiamo dire qualcosa della essenza divina,
senza avere timore di sbagliare: possibilmente diremo, non quello che è, ma quello che
non è: ciò che si chiamerà posteriormente teologia negativa. Prendendo dunque il metodo
analogico che San Tommaso ha imparato dallo Pseudo-Dionigi, si conclude che noi
possiamo parlare di Dio per via negativa: dicendo cosa non è Dio; per via della eminenza:
affermando di Dio quelle perfezioni degli esseri creati ma elevati a un grado sommo; e
per via analogica: affermando la stessa qualità in due esseri in parte simile e in parte
diversa.
Questa analogia ci dice che Dio e l’uomo, sebbene si trovano in due ordini
completamente diversi – l’uno trascendente rispetto l’altro-, hanno in comune l’esistenza.
E quindi quello che ci è stato comunicato nella rivelazione è per noi in certa maniera
“intelligibile”, quelle conoscenze che noi riceviamo dalla rivelazione hanno a che fare
con noi. Con questo, San Tommaso mette in luce il primo aspetto per fondare la teologia
come scienza, affermando che possiamo avere una conoscenza vera, rigorosa, sistematica
e cognoscitiva delle cose rivelate: dunque, al fi fuori dalla rivelazione è possibile dire
qualcosa di Dio e delle sue attributi per analogia, sebbene solo possiamo dire di Dio quello
che non è piuttosto che quello che è.
Allora, se il soggetto della teologia è Dio stesso, dobbiamo porci la seguente
domanda: l’uomo è in grado di abbracciare con il suo intelletto la sostanza divina? San
Tommaso ha ereditato dai sui predecessori la visione dell’ uomo come “imago dei”25, nel
cuore dell’ uomo Dio stesso ha inscritto una legge e una luce naturale attraverso le quali
si può conoscere le cose create e mettersi in contatto con il trascendente; in altri parole:
l’uomo è “capax Dei”. Le cose divine, afferma san Tommaso, sono conosciute dal punto
di vista umano: per mezzo dei sensi e a partire dalle cose create, o dal punto di vista di
Dio stesso e dei beati, i quali conoscono in maniera intuitiva le diverse essenze. Ma questa
ultima sorta di conoscenza è impossibile per noi in questo stato “di viatori” (status vie).
Da questa differenza, continua San Tommaso, si sviluppa una duplice scienza delle cose
divine: la filosofia prima o metafisica, e la teologia.

«(…) una secondo il modo della nostra conoscenza, che trae i propri princìpi dalle cose
sensibili per pervenire a quelle divine, e questa è la maniera in cui i filosofi hanno
tramandato la scienza delle cose divine, chiamando la filosofia prima scienza divina;
l’altra secondo il modo delle stesse cose divine, in maniera tale cioè che esse vengano
comprese per come sono in sé stesse. Nel nostro stato di viatori, una conoscenza perfetta
di questo tipo risulta per noi impossibile; è possibile invece solo partecipare in qualche
misura di essa e avvicinarci alla conoscenza divina, in quanto, attraverso la fede infusa in
noi, possiamo penetrare nella verità prima in virtù di essa». (In Boet. De Trin. q.2 a.2)

24
In Boet. De Trin. q.2 a.4 ob.2.
25
Cfr. M.D. Chenù, La teologia nel Medio Evo. La teologia nel XII secolo, Jaca Book, Milano 1972, 184.

8
Noi possiamo in qualche modo partecipare della verità di Dio, ma non
abbracciarla con pienezza, avere questa pretesa sarebbe una pazzia. In fatti quelle verità
che noi raggiungiamo per mezzo della ragione servono per avvicinarci alla fede, è quello
che Tommaso chiama “preambula fidei”: la soglia fra la conoscenza esperienziale è la
fede, una specie di porta d’entrata al mistero, la migliore maniera di capire cos’è questa
preambula fidei, è immaginargliela come una porta d’ingresso di un grande palazzo, non
è tuttavia il mistero né anche una spiegazione del mistero, è solo la sala di spera per
entrare in quella verità che si nasconde dietro la fede; non è nessuna castrazione della
ragione, anzi è una guida che ci prende della mano, ci porta lungo un corridoio e senza
nessun sforzo, senza renderci conto ci fa entrare nella stanza principale di quel immenso
palazzo. Quelle cose, come l’esistenza di Dio oppure l’immortalità dell’anima, che
possono essere conosciute per mezzo della “sola ragione” e che anche sono state rivelate,
appartengono alla così detta “preambula fidei”. In maniera che queste verità preparano
l’intelletto al mistero e si convertono in cammino d’incontro fra credenti e non credenti:

«Così dunque nella sacra dottrina possiamo servirci della filosofia in tre modi: in primo
luogo per dimostrare ciò che funge da preambolo alla fede, ed è necessario conoscere in
essa, e cioè tutto ciò che si può dimostrare di Dio per mezzo di argomenti naturali: ad
esempio, il fatto che Dio esista e sia uno, e tutte le altre proprietà di questo tipo che
possono venire dimostrate di Dio o delle creature nella filosofia, e che la fede presuppone.
In secondo luogo, per rendere noto, attraverso certe similitudini, ciò che appartiene alla
fede, così come Agostino si serve nel libro Sulla Trinità di molte similitudini tratte dalle
dottrine filosofiche per rendere manifesta la trinità. In terzo luogo, per opporre resistenza
a ciò che viene detto contro la fede, mostrandone o la falsità, o il fatto che non si tratta di
conclusioni necessarie». (In Boet. De Trin. q.2 a.3)

2.2.3 Comprensibilità intellettuale dei principi della teologia26


In questo punto si trova una delle più innovative risposte di San Tommaso sulla
scientificità della teologia. È interessante il fatto di non trovare nel commento a Boezio

26
C’è un grande vuoto nello specificare cosa sono “i principi della teologia”, perché, infatti San Tommaso
ripete costantemente che la scienza teologica si fonda su essi. Nella risposta alla questione (In Boet. De
Trin. q.5 a.4) San Tommaso afferma: «Così dunque la teologia o scienza divina è duplice: una in cui le
realtà divine vengono considerate non come il soggetto della scienza, ma come princìpi del soggetto, e tale
è la teologia che è portata avanti dai filosofi, e che con altro nome viene chiamata metafisica; l’altra invece
che considera le stesse realtà divine per sé come soggetto della scienza, e questa è la teologia che viene
esposta nella Sacra Scrittura». San Tommaso spiega all’inizio della sua risposta alla quastione (In Boet. De
Trin. q.5 a.4) socondo la quale qualunque scienza ha un soggetto: «si deve quindi sapere che nella misura
in cui ogni scienza considera un determinato genere soggetto, è necessario che consideri i princìpi di quel
genere, dal momento che una scienza raggiunge la sua perfezione solo nella conoscenza dei princìpi». I
principi hanno una funzione limitativa; utilizzando una espressione scolastica possiamo dire che fanno una
distinzione “formale”. Si parla quindi di due tipi di principi: in primo senso si intende gli effetti che il
soggetto manifesta, e in secondo si intende il soggetto stesso. Nel caso della metafisica, Dio è il soggetto
della scienza, ma non in sé stesso bensì in quanto è principio di tutti gli enti, cioè principio di tutte le cose;
e di conseguenza la metafisica ha come oggetto l’ente in quanto ente. In questo caso i loro principi si
deducono non da una sorta di conoscenza diretta, ma in quanto i loro principi vengono manifestati dagli
effetti, pertanto in una maniera adeguata alla nostra conoscenza per mezzo del lume naturale della nostra
ragione.

9
nessuna menzione a quel criterio degli autori precedenti, secondo il quale la proprietà
essenziale della scienza è la sua “universalità ed intelligibilità”. Tommaso invece afferma
che la proprietà essenziale della scienza è quella di “stabilire conclusioni vere a partire da
principi certi”, e di stabilire collegamenti di necessità: «Si deve dire che, poiché la ragione
essenziale della scienza consiste nel desumere in modo necessario alcune cose da altre
già note, e poiché ciò si verifica a proposito delle cose divine, è evidente che di queste
possa esservi scienza» (In Boet. De Trin. q.2 a.2). In questo senso quelle cose che
accogliamo per fede, aderendo alla verità che la sostiene –cioè Dio fondamento della
fede- fungono da “principi della nostra fede27”, e di questi principi possiamo sviluppare
la verità e fare scienza procedendo per via discorsiva, cioè lo studio per se stesso:

«Noi da ciò che accogliamo per fede, aderendo alla verità prima, possiamo pervenire alla
conoscenza del resto secondo il modo a noi proprio, e cioè procedendo per via discorsiva
dai princìpi alle conclusioni, in modo tale che le cose che teniamo per fede fungano per
noi, in questa scienza, quasi da princìpi, e il resto quasi da conclusioni. E da ciò si evince
che questa scienza è più elevata della scienza divina che ci hanno tramandato i filosofi,
dal momento che procede da princìpi più elevati». (In Boet. De Trin. q.2 a.2)

L’altra risposta che aiuta a fondare la teologia come scienza è l’appello alla
“scienza subalternata28: già abbiamo fatto menzione che San Tommaso risolve la
difficoltà che ci presenta la definizione aristotelica di scienza, secondo cui, la scienza
procede da principi evidenti, che non esistono in teologia, ma vengono sostituiti dagli
“articoli di fede”. Abbiamo già detto che la scienza ha come peculiarità il procedere a
partire dalle cose conosciute, e a partire da esse si arriva a conoscere quelle ignorate, cioè,
stiamo parlando del metodo aristotelico di dimostrazione. Quindi, quello che per Dio e
per i benavventurati è sommamente conoscibile, come può essere ugualmente conoscibile
per noi? San Tommaso spiega nel commento a Boezio che per mezzo della fede l’uomo
riceve una partecipazione alla medesima conoscenza di Dio e dei benavventurati, e
mediante la fede si arriva alla possessione dei principi che fondano la scienza teologica,
dunque a partire da essi arriviamo alle conclusioni. La prima difficoltà che ci si presenta
è come possono essere chiamati “principi” gli “articoli della fede”, essendo l’evidenza
(per se nota) propria di quelli. La risposta la trova San Tommaso d’Aquino adducendo
il caso “non raro” delle scienze che partono da principi non evidenti per sé stessi, ma che

27
“In ogni scienza alcune cose fungono quasi da principi e altre quasi da conclusioni. L’impiego della
ragione nelle scienze precede l’assenso nei confronti delle conclusioni, ma segue l’assenso nei confronti
dei principi, dal momento che essa procede da questi ultimi”. (In Boet. De Trin. q.2 a.2 risposta 4.) Gli
articoli di fede: non fungono “quasi” da conclusioni, ma “quasi” da principi (non sunt quasi conclusiones,
set quasi principia).
28
«Che anche in alcune delle scienze tramandate dagli uomini vi sono alcuni princìpi che non sono noti a
tutti, ma che occorre desumere dalle scienze superiori: ad esempio, nelle scienze subalternate vengono
presupposte e tenute per vere alcune cose desunte dalle scienze superiori. Tali princìpi non sono quindi noti
di per sé se non a coloro che possiedono le scienze superiori. E questo è anche il modo in cui gli articoli di
fede, che rappresentano i princìpi di questa scienza, stanno alla conoscenza divina, poiché ciò che è di per
sé noto nella scienza che Dio ha di sé stesso, viene presupposto nella nostra scienza e viene tenuto per vero
sulla base di ciò che Egli ci indica attraverso i suoi testimoni, così come il medico tiene per vero ciò che gli
dice il filosofo naturale, e cioè che gli elementi sono quattro». (In Boet. De Trin. q.2 a.2 r. 5.)

10
sono presi da altre scienze. Si tratta della teoria aristotelica della “subalternanza”. In
questo punto San Tommaso ha tutta la ragione di procedere in questa maniera, è evidente
che la scienza agisce così: alcune scienze prendono i loro principi delle atre scienze, per
esempio la fisica, che utilizza i principi basici della matematica o della geometria; infatti,
la stessa matematica deve partire da premesse che ella stessa non può spiegare, come per
esempio i numeri. I numeri sono presi dalla matematica come “assiomi”, dimostrare
l’esistenza per esempio del numero uno (1), non è possibile, ma è necessario
sottintenderlo. Lo stesso capita con altre scienze moderne, in questo senso l’intuizione
che San Tommaso ha avuto è talmente originale che ha preceduto gli scienziati posteriori.
La teologia è scienza solo in quanto subalternata alla scienza di Dio e dei benavventurati
e in virtù di essa. È una vera scienza, nel vero senso della parola, ma si trova in dipendenza
di un’altra scienza superiore; insomma sia la scienza di Dio quanto la scienza subalternata
hanno come oggetto Dio stesso –è per questo si differenza dalla metafisica-, dunque non
esiste un salto ontologico fra una scienza e l’altra, anzi la scienza subalternata è in stretta
dipendenza con la scienza di Dio e dei benavventurati29.

29
Cfr. A. Escalada, Introduccion a la cuestion I, in Summa Theologiae, BAC, Madrid 20014,

11
Conclusione

Il motivo che ci spinge in tutto questo lavoro, è scoprire perché si vuole affermare
la teologia come scienza. Abbiamo visto l’innovazione concettuale che San Tommaso
introduce per spiegare la scientificità della teologia, appellandosi al concetto aristotelico
di scienze subalternanti. Ma anche, abbiamo visto come San Tommaso primeggia davanti
ai suoi predecessori, i quali avevano una certa riserva nell’utilizzare il termine scienza
invece di sapienza. Con questo voglio dire che quelli che precedettero San Tommaso,
sebbene negando la scientificità della teologia, facevano della teologia un discorso
scientifico. Probabilmente erano restii ad abbandonare questa terminologia perché il
concetto di scienza è un po’ restrittivo, invece quello di sapienza ha una tradizione più
ampia, oltre ai suoi riferimenti biblici, sì che, il concetto di sapienza è più ampio e
arricchito.

Voglio anche sottolineare che un genio come San Tommaso non nasce dal nulla
(ex nihilo), mai potrebbe riuscire ad arrivare ove arrivò, se non si fossero date le
circostanze storiche e temporali, ma soprattutto se non fossero esistiti i grandi maestri che
lo precedettero. Tal quale come direbbe Bernardo di Chartres «Quasi nani super
gigantium humeros longius quam ipsi speculamur»30, donde San Tommaso è a una volta
nano e a un’altra volta un nuovo ed immenso gigante, sul quale altri si alzeranno. Questo
commento a Boezio è davvero un capolavoro –forse non così come saranno le due
Summe- perchè riesce a riassumere, a sintetizzare in pochi articoli la sua epistemologia o
teoria della conoscenza ed elaborare i fondamenti della teologia come scienza. È
magistrale come fa utilizzo dei testi biblici, dei commenti dei Padri e soprattutto dei
filosofi, non perchè sia un eclettico, ma perchè vuol fare una sintesi, non perchè la sola
scritura non sia sofecente, ma perhè si deve dare ragione della fede e della speranza (1 Pe
3, 15) con tutti gli argomenti possibili, santi e profani.

La teologia era già una scienza prima che la si considerasse una scienza, perché
aveva già in sé il seme di una conoscenza rigorosa, attenta e vera. Credo che San
Tommaso fu il primo che guardò con attenzione i segni dei tempi e riconobbe che si stava
per sviluppare una grande battaglia nel campo della fede. La fede e la ragione correvano
il rischio di svanire, e solo salvando la teologia si sarebbe potuto salvare anche la filosofia.
Possiamo vedere che in San Tommaso c’è uno zelo per fondare la scientificità della
teologia –è evidente per la sua insistenza in diverse opere- principalmente, perché a
differenza dei suoi contemporanei si trovava in un punto storico in cui la fede cristiana
doveva fare fronte ai nemici –ebrei e arabi- con cui la Chiesa si confrontava ogni giorno,
ma non perché avesse come compito il proselitismo religioso, ma perché si rendesse
consapevole che è portatrice di una verità, meglio, della Verità. Perciò non sbaglia San
Tommaso a procedere in questa maniera: facendo coincidere la fede e la ragione non cade

30
M.D. Chenù, La teologia nel Medio Evo. La teologia nel XII secolo, Jaca Book, Milano 1972, 419.

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in contradizione, anzi arricchisce la fede con la ragione rendendola più chiara e
accessibile a tutti, e allo stesso tempo arricchisce la ragione con la fede spingendola fino
all’ infinito, oltrepassando le sue stesse frontiere. Così espresse il rapporto fra fede e
ragione: «Sarebbe come tagliare con acqua il vino forte della sapienza, direste, mettere
l’acqua della ragione nel vino della Parola di Dio: mescolanza di corruzione. E invece no,
se sei un buon teologo; perché allora il vino non viene diluito con l’acqua, ma l’acqua
viene cambiata in vino, come alle nozze di Cana»31.

31
In Boet. De Trin. q. 2, a. 3, r. 5

13
Bibliografia

I. Biffi, Figure medievali della teologia, Jaca Book, Milano 2008.


L. Amorós, La teologia como cienza pratica en la escuela franciscana en los tiempos que
preceden a Escoto, “Archives d’historia doctrinale et littéraire du Moyen age”, (1943).
M. D. Chenù, San Tommaso d’Aquino e la teologia, Gribaudi Editori, Torino 1977.
M.D. Chenù, La teologia nel Medio Evo. La teologia nel XII secolo, Jaca Book, Milano
1972.
Summa Theologiae, BAC, Madrid 20014.
Tommaso d’Aquino (a cura di Pascuale Porro), Super Boetium De Trinitate, Rusconi,
Milano 1997.

14
Appendice non farla

Riassunto di obbiezioni e risposte q. 2 a. 2


1. la sapienza infatti si distingue della scienza. Ma la sapienza riguarda le cose divine, dunque
non può occuparsene la scienza.
2. (analitici II) in ogni scienza occorre presupporre l’essenza del soggetto. Ma noi non possiamo
conoscere –in nullo modo- “la essenza” di Dio.
3. An. Post., I 1, 71 a.12: ogni scienza considera le parti e le affezioni del suo soggetto (partes et
passinones), Dio in fatti è una forma semplice, non possiede parti, né possiamo sottrarre nessuna
affezione.
4. nella scienza l’assenso del intelletto viene preceduto del ragionamento, cioè è la stesa
dimostrazione che viene a far assentire l’intelletto. Ma nella fede è necessario che accada
l’inverso: che l’assenso della fede preceda la ragione – l’esempio del puzzle-
5. Ogni scienza procede di princìpi noti di per sé (per sé notis), che ciascuno approva appena li
ascolta. O dai principi derivati da altri principi come dimostrazione sillogistica, cioè da principi
che ricevono da questi la loro validità .
6. si fa scienza delle cose che “appaiono”, ma la fede riguarda le cose non apparenti. «Set scientia
est de apparentibus»
7. il principio di qualunque scienza è l’intelletto: perché solo attraverso della compressione
intellettuale dei principi che si me presentano posso addurre le conclusioni di cui sta formata la
scienza. Sembra che nella scienza teologica non capita lo stesso, perché il credente riceve la
conclusione dei datti, senza fare nessuna intellezione.

Risposta agli argomenti:


1. la sapienza non si distingue dalla scienza come un opposto da una altro, ma nel senso che è
qualcosa che si aggiunge alla scienza. La sapienza ha un valore più alto, un valore regolativo, in
quanto regola tutte le altre scienze. “in questo modo la scienza si distingue dalla sapienza come il
proprio dalla definizione, cioè della stessa maniera che lo definito non entra nella definizione cosi
la sapienza racchiude la scienza e la oltrepassa.
2. non è necessario che si conosca per primo l’essenza delle cose per fare scienza, perché “quando
le cause vengono conosciute a partire dagli effetti, la conoscenza degli effetti prendono il posto
della conoscenza della quiddità della causa”, dunque alcune cause vengono conosciute solo per i
loro effetti. “Oppure si può dire che il fatto stesso di non conoscere l’essenza (quid est) prende
il posto nella scienza divina della conoscenza della essenza (quid est), poiché così come attraverso
la quiddità una cosa viene distinta dalle altre, lo stesso accade conoscendo ciò che essa non è” –
teologia negativa-.
3. per parti si intende tutti quelli conoscenze che noi posiamo trarre dal soggetto, perché la scienza
verte su tutti quelli aspetti che hanno una relazione con il soggetto. Con “affezioni ugualmente si
intende tutto ciò che può essere dimostrato di qualcos’altro”, in altri parole: tutto ciò che può
essere enunciato di un soggetto.
4. “in ogni scienza alcune cose fungono quasi da principi e altre quasi da conclusioni. L’impiego
della ragione nelle scienze precede l’assenso nei confronti delle conclusioni, ma segue l’assenso
nei confronti dei principi, dal momento che essa procede da questi ultimi”. Gli articoli di fede:
non fungono “quasi” da conclusioni, ma “quasi” da principi (non sunt quasi conclusiones, set
quasi principia).
5. la appello alle scienze subalternate: è la grande soluzione di san Tommaso d’Aquino.
«che anche in alcune delle scienze tramandate dagli uomini vi sono alcuni princìpi che non sono
noti a tutti, ma che occorre desumere dalle scienze superiori: ad esempio, nelle scienze

15
subalternate vengono presupposte e tenute per vere alcune cose desunte dalle scienze superiori.
Tali princìpi non sono quindi noti di per sé se non a coloro che possiedono le scienze superiori. E
questo è anche il modo in cui gli articoli di fede, che rappresentano i princìpi di questa scienza,
stanno alla conoscenza divina, poiché ciò che è di per sé noto nella scienza che Dio ha di sé stesso,
viene presupposto nella nostra scienza e viene tenuto per vero sulla base di ciò che Egli ci indica
attraverso i suoi testimoni, così come il medico tiene per vero ciò che gli dice il filosofo naturale,
e cioè che gli elementi sono quattro».
6. se la domanda era quella di dire che si fa scienza delle cose che “apaiono”, risponde Tommaso
che non è così: “l’evidenza di una scienza deriva da quella dei princìpi, perché una scienza non
rende evidenti i propri princìpi, (dice in latino “apparentia scientie procedit ex apparentia
principiorum”), ma in virtù del fatto che i suoi princìpi sono evidenti rende evidenti anche le
conclusioni” perché la scienza cerca che i suoi conclusioni siano certe ed evidenti, in questo
senso continua Tommaso: “e in questo senso la scienza di cui parliamo non rende evidenti le cose
che appartengono alla fede, ma, a partire da queste, rende evidenti le altre nel modo in cui si può
avere certezza delle prime”.
7. San Tommaso risponde magistralmente che la fede non è strana alla fede: Tommaso riprende
il tema della scienza subalternata, fa una divisione fra l’intelletto come principio primo è la fede
come principio prossimo. In somma vuole dire che, chiunque fa scienza -talvolta- deve partire da
principi o affermazioni previe oppure da principi di un’altra scienza; la scienza che si serve dei
presupposti di un’altra scienza non fa un ragionamento per verificare la veracità, bensì questi
principi vengono semplicemente credute. Nelle scienze subalternate, afferma Tommaso “le loro
conclusioni derivano, come principio prossimo, dalla fede in ciò che viene presupposto sulla base
della scienza superiore, e come principio primo, dall’intelletto di chi possiede la scienza superiore,
in quanto quest’ultimo è certo, per mezzo dell’intelletto, delle cose che nelle scienze subalternate
vengono semplicemente credute. E analogamente il principio prossimo di questa scienza è la fede,
mentre il principio primo è l’intelletto divino a cui noi crediamo; ma il fine della fede è per noi
quello di pervenire alla comprensione di ciò che crediamo, così come chi ha una conoscenza meno
elevata, quando raggiunge la scienza di chi possiede un sapere più elevato, arriva a comprendere
o sapere ciò che prima si limitava soltanto a credere”.

Il IV Concilio Laterano 1215

Infine, non può essere dimenticata l’eredità magisteriale e teologica di questo documento almeno
per quanto concerne l’epoca immediatamente successiva al Concilio32. Già si è ricordata
l’importanza attribuita al De fide catholica nel Medioevo e il commento ad esso dedicato da
Tommaso d’Aquino. A questo, però, si deve aggiungere il suo utilizzo nelle Scuole di Parigi, dove
era letto in vista dell’insegnamento della fede, e in Inghilterra come documento utilizzato per la
formazione permanente del clero parrocchiale, per impulso di Richard Poore († 1237) vescovo
prima di Salisbury e quindi di Duhram33.

32
Per la recezione del Concilio da parte del Magistero e della teologia lungo il corso della storia della
Chiesa, si veda il più volte citato contributo di A. Sabetta, I temi “recoepti” del Lateranense IV in
prospettiva storico-teologica pubblicato nel presente fascicolo, in Pierluigi Sguazzardo, principali
contenuti dogmatici del Lateranense IV
33
Cf. R. Forevill e, Storia dei Concili Ecumenici. VI. Lateranense I, II, III e Lateranense IV, 310.

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