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MYSTERIUM SALUTIS
Nuovo corso di dogmatica
come teologia della storia della salvezza
a cura di
]. FEINER e M. WHRER
QUERINIANA -BRESCIA
I FONDAMENTI D'UNA DOGMATICA
DELLA STORIA DELLA SALVEZZA
con la collllborazion e di
parte 11
QUERINIANA - BRESCIA
Titolo originale dell'opera:
MYSTERIUM SALUTIS
Grundriss heilsgeschichtlicher Dogmatik
7 Collaboratori e traduttori
369 La fede
L'uditore della parola di Dio (Josef Triitsch) - La fede secondo la sa.era Scrit·
tura (Josef Pfammatter) - Linee dello sviluppo del doema e della teologia -
Intelligenza teologica della fede (Josef Triitsch).
609 Abbreviazioni
657 Indice
COLLABORATORI
TRADUTTORI
SEZIONE PRIMA
Già nel capitolo n,* che trattava della rivelazione, ~ nel capitolo III,
in cui si è discussa la presenza oggettiva della rivelazione nella Scrit-
tura e nella tradizione, il discorso di necessità ricadeva continua-
mente sulla Chiesa. La Chiesa, in quanto comunità dei credenti nella
definitiva parola rivelatrice di Dio realizzatasi nel Cristo, non è infat-
ti un'entità 'al di fuori' dell'avvenimento della rivelazione e ad esso
aggiunta solo in secondo tempo; appartiene bensl al fatto della rive-
lazione come suo particolare momento. L'incarnazione non è conce-
pibile alla stregua d'un avvenimento puramente oggettivo, che tutti
conoscono e credono soltanto cosl come si presenta nella realtà. L'av-
venimento del Cristo non costituirebbe una rivelazione fatta al mon-
do, se non ci fosse una comunità di uomini che lo accolgono, nella
fede, come autorivelazione di Dio. In quanto la parola rivelante di
Dio, manifestatasi al mondo mediante tutto l'avvenimento del Cristo,
viene accolta dalla comunità di Gesù nella fede, essa diventa 'pre-
sente nel mondo e per il mondo; e poiché questa comunità di cre-
denti si prolunga nella storia, questa rivelazione, pur avvenuta una
volta per tutte, acquista una presenzialità permanente nel mondo e
per il mondo. La rivelazione è sostanzialmente il fatto, liberamente
posto da Dio, dell'incontro personale di Dio con l'uomo, e quindi,
per sua stessa natura, implica il socio umano, per quanto anche que-
sti, già come uomo, sia posto da Dio pur liberamente. Questo socio,
L'atto di fede, con cui l'uomo si apre alla rivelazione e partecipa alla
verità rivelata sotto l'influsso della grazia, è indubbiamente un atto
squisitamente personale. Sarebbe però un falsare il senso della rive-
lazione se questa venisse interpretata individualisticamente come un
fatto destinato a comunicare ad una moltepliciù·<li individui umani fa
conoscenza necessaria alla salvezza ed a rendere loro possibile una sal-
vezza meramente individuale. Per sua natura la rivelazione è desti-
nata ad una comunità: precisamente ed innanzitutto alla comunità
degli uomini con Dio; ma poi, tramite proprio questa comunità, an-
che alla comunità costituita tra gli uomini che sono stati chiamati
l cPlacuit tamen Deo homines nDn singulatim, quavis mutua connexione seclusa,
sanctificare et salvare, sed eos in populum conslil11ere, qui in veritate 1prnm llJl.110·
sceret Ipsiq11e sancte servirei»: cost. dogrn. De Ecclesia, n. 9.
ATTUALIZZAZIONE DELLA RIVELAZIONE DEL CltISTO
a Dio «sia l'onore nella Chiesa per il Cristo Gesù attraverso tutte le
generazioni» (Eph. 3,21 ).
Questi accenni alla Chiesa come fine della rivelazione servono ad
indicare l'orizzonte entro cui si deve vedere tutto quanto s~ dirà nei
paragrafi seguenti sulle singole modalità in cui la Chiesa si realizza
e sui relativi mezzi. In tutto ciò si tratta ben più che di semplice sal-
vezza individuale dei singoli, che Dio può d'altronde realizzare anche
al di fuori della Chiesa intesa come società. Si tratta di questo: che
la Chiesa sta nel mondo .come fine della rivelazione e realizza in s~
il significato di permanente presenza nella storia della rivelazione
avvenuta nel Cristo. Magistero, liturgia, kerygma, dogma e arte cri-
stiana possono essere visti nella loro giusta luce solo dal punto di
vista della loro funzione ecclesiale-comunitaria: essi introducono il
singolo nell'unir;à della fede comunitaria della Chiesa, mediante la
quale soltanto è data la presenza permanente della rivelazione nella
storia.
Per evitare che quanto diremo in seguito sulla presenzialità della ri-
velazione per mezzo della Chiesa possa insinuare la falsa idea che la
Chiesa si arroghi l'arbitrio, mediante il suo agire umano, di disporre
della parola rivelante di Dio, si deve ricordare innanzitutto che è nel-
la Chiesa, come luogo in cui si svolge la storia speciale della salvezza,
che si realizza primariamente quel modo speciale con cui Dio si ren-
de presente, e che caratterizza propriamente la storia speciale della
salvezza e la differenzia da quella generale: Dio stesso realizza la sua
presenza nella storia, e questo lo fa nella storia speciale della sal-
vezza mediante la sua parola.
Ovunque l'uomo venga salvato, ciò avviene perché Dio gli comu-
nica se stesso, gli si fa presente per grazia e gli si dona come sua
salvezza. La 'onnipresenza' di Dio, ossia quella presenza generale di
Dio in tutte le cose in virtù dell'atto creativo, non è infatti ancora
la salvezza dell'uomo; altrimenti anche l'uomo che si rifiuta a Dio
sarebbe nella salvezza, e persino la dannazione all'inferno non sa-
rebbe più perdizione senza salvezza. La salvezza per l'uomo avviene
solo quando Dio, con un libero dono di sé, oltrepassa la creazione
ATTUALIZZAZIONE DELLA RIVELAZIONE DEL CRISTO 17
4 Vedi inoltre Y.M. · ]. CoNGAR, Il mistero dcl /empio, Torino 1963; J. DANIÉLOU,
Il segno del tempio, Brescia I9'3·
2 Mysrerium salutis / 2.
r8 RIVELAZIONE E ClllESA DELLA RIVELAZIONE
Fin qui abbiamo però nominato solo ciò che cost1tu1sce il carat-
tere specifico della storia speciale della salvezza, della quale la Chiesa
è il luogo e l'organo. Tuttavia, fondandosi sul fatto che Dio vuole
salvare tutti gli uomini, e che questa volontà salvifica generale di Dio
non è affatto una generica velleità, bensi un'efficace volontà di gra-
zia, si è condotti a riconoscere una storia generale della salvezza. Non
possiamo quindi affermare che Dio si è talmente vincolato alla pa-
rola ed all'azione della Chiesa, da non poter realizzare la sua presen-
za operatrice di salvezza al di fuori della Chiesa come società; non
possiamo sostenere che egli non sia presente, come il Dio che perdo-
na e che salva, anche in quella grande parte dell'umanità che non
viene raggiunta dalla predicazione della Chiesa. Tuttavia ciò che pos-
siamo e dobbiamo dire della Chiesa come comunità di coloro che
ascoltano e credono la parola rivelante di Dio, è esattamente que-
sto: soltanto nella Chiesa si annuncia e si realizza la presenza sal-
vifica di Dio in virtù della parola di Dio rivelata nel Cristo e accolta
nella fede. La Chiesa è dunque Chiesa esattamente per il fatto che
essa, in rappresentanza di tutta l'umanità, riconosce ed afferma nella
fede portata alla parola divina rivelante la comunicazione che Dio
fa di se stesso, onde essere così assunta da Dio per servire da mezzo
che nella storia rende presente la parola salvifica.
lazione fino alla fine dei tempi resterà storicamente percepibile nella
Chiesa e per mezzo della Chiesa, malgrado tutte le insufficienze di
questa.
Infine il concetto di attualizzazione mette in luce un aspetto es-
senziale per comprendere appieno la funzione della Chiesa: attualiz-
zare la rivelazione significa farla presente con la parola e con l'azione
in modo tale, che essa possa pervenire agli uomini di tutti i tempi
in quel preciso momento presente che essi vivono, e cosl possa da
loro essere accolta nella fede e realizzata nella vita. Attualizzare si-
gnifica dunque rendere presente la rivelazione conformemente alla
situazione storica della Chiesa. Ciò equivale pertanto non solo a
negare la ripetizione numerica, dato che il fatto della rivelazione
è irrepetibile, ma anche ad affermare che la Chiesa non può accon-
tentarsi di ripetere semplicemente l'azione con cui in precedenza ha
reso presente la verità rivelata. Ciò è vero anche, nonostante la lo-
ro irreformabilità, dei dogmi definiti dalla Chiesa, anzi perfino del-
la parola della Scrittura. È vero che, per il suo carattere originario e
ispirato, quest'ultima è in modo unico l'espressione della parola di
Dio e norma permanente e non normata della predicazione e della
vita della Chiesa; tuttavia anch'essa, per essere rettamente intesa,
esige una continua interpretazione, spiegazione, traduzione nel modo
di pensare e di esprimersi caratteristici della singola situazione sto-
rica. Al fine di attualizzare il messaggio del Nuovo Testamento, la
Chiesa deve continuamente rimeditare il fatto della rivelazione, testi-
moniato autoritativamente dalla Scrittura, alla luce della norma for-
nita dalla testimonianza e dall'interpretazione biblica.
Da tutto quanto s'è detto dovrebbe risultare chiaro che questa
attualizzazione della rivelazione operata attraverso la Chiesa, non è
una semplice operazione psicologica che riporta nel presente la me-
moria dell'avvenimento passato del Cristo, o una semplice comuni-
cazione d'una dottrina sul Cristo e d'una conoscenza della sua vita
e del suo insegnamento, oppure una semplice. predicazione di norme
etiche di vita già enunciate dal Gesù storico. Se tutto si riducesse
solo a questo, la fede cristiana non differirebbe sostanzialmente dal
ricordo d'un qualsiasi grande del passato e dalla fedeltà ai principi
filosofici od etici da lui enunciati. La fede cristiana è invece qualcosa
di profondamente diverso, essa è il dono personale al Signore, il
24 JIIVELAZIONE E CHIESA DELLA RIVELAZIONE
nel corso stesso della storia, ciò significa soltanto che egli ha deciso
di restar presente nella storia come Dio rivelato agli uomini di tutti
i tempi, e da essi come tale riconosciuto. Il significato della rivela-
zione di Dio in Gesù Cristo è dunque l'affermazione d'una decisione
divina di stabilire una comunità nella quale e mediante la quale la
sua verità rivelata rimane storicamente presente, una comunità me-
diante la cui parola ed azione la sua parola di verità possa essere
raggiunta e udita in ogni tempo. La rivelazione può significare altre-
sl che la volontà divina ha deciso di preservare la Chiesa dalla de-
viazione dalla verità rivelata e dalla caduta nell'errore. Con ciò non
è ancora stabilito fino a qual punto nella Chiesa - in quanto società
di uomini e di uo..1ini peccatori - sia possibile che singoli aspet-
ti dell'unica verità rivelata restino in ombra o siano trascurati, e fino
a che punto siano possibili talune espressioni meno proprie nell'an-
nuncio e taluni fraintendimenti nella conoscenza dei dati rivelati. Si
può soltanto ricordare che, insieme alla definitiva autocomunicazione
di Dio nel Cristo, è stata anche concessa la presenza permanente e
sostanziale della verità rivelata nella fede e nella predicazione della
Chiesa.
Su questo sfondo deve anche essere rivista l'esistenza d'un magi-
stero ecclesiastico abilitato a pronunciare proposizioni dogmatiche in-
fallibili, anche se storicamente condizionate e mai completamente ade-
guate alla parola di Dio. Di tale magistero si parlerà diffusamente
nella II SEZIONE di questo capitolo. Il fatto che nella comunità di
fede dell'Antico Testamento non esistesse un magistero permanente
e ufficiale capace di decisioni dottrinali infallibili - tanto che l'au-
torità religiosa del popolo di Dio veterotestamentario a causa della
sua errata decisione nei riguardi del Cristo poté ufficialmente riget-
tare il compimento della rivelazione - può essere spiegato col carat-
tere solo provvisorio della comunità veterotestamentaria. Invece la
Chiesa neotestamentaria è stata provvista d'un magistero infallibile
proprio perché essa costituisce la comunità di fede definitiva, me-
diante la quale la divina parola rivelata escatologica realizza la sua
permanente presenza nella storia.1 Questa sicurezza di restare nella
3 Ciò non signifiça naturalmente che Dio non si serva anche del profetismo neote-
stamentario per chiamare· la Chiesa e in specie anche il magistero ad una sempre
RIVELAZIONE E CHIESA DELLA RIVELAZIONE
30
più profonda riflessione sulla rivelazione avvenuta. Resta naturalmente escluso che
i profeti ecclesiastici della comunità di fede neotestamentaria abbiano da comunicare
una nuova parola di Dio rivelata, compito invece che era connesso con la missione
dei profeti veterotestamentari.
ATTUALIZZAZIONE DEI.LA RlVELllZlONE DEL CRISTO )I
to Cf. al riguardo le riflessioni di A. Dmrlap, in Mysleririm S11/utis I/I, pp. 204 ss.
ATTUAL!7.ZAZIONI!. DELLA RIVELAZIONE DEL CRISTO
33
3 Mystcrium salutis / 2.
RIVE I.AZIONE E CHIESA DELLA RIVELAZIONE
34
12 H.U. VON BALTHASAJI ravvisa nel doppio mistero della Trinità e dell'incarnazione
la radice del diKOrso umano (passato nella Scrittura) su Dio: «Perché Dio ha in s.:
stesso l'eterna Parola che lo esprime eternamente, è fondamentalmente esprimibile,
e per il fatto che questa stessa parola ha assunto forma umana ed ha espresso ciò
che essa è in Dio con azioni e parole umane, essa è divenuta comprensibile per gli
uomini. li primo fatto senza il secondo a nulla ci gioverebbe, mentre il secondo senza
il primo sarebbe impensabile. L'identità della persona di Cristo nelle sue due nature,
come Dio e come uomo, è la garanzia che la traduzione della divina Verità in fonne
terrestri è possibile, esalla, adeguata nel Cristo ... La verità di Dio tuttavia, nella su.l
esattezza, è personale (poiché la parola è la persona del Figlio), e quindi sovrana e
libera. Il Figlio non è una fotocopia meccanica del Padre, bensì è quella riprodu·
zione che soltanto l'amore perfetto in perfetta sovranità è in grado di generare. Quc·
sto è il motivo per cui anche la traduzione della parola divina in parola umana per
opera dcl Figlio resta sovrana e libera e verificabile soltanto e sempre nello stesso
Figlio~: \\7ort, Schri/t, Traditio11. in Verbum Caro. Ski?zen wr Theologie. 1, Ein-
siedeln 1960, p. 20.
Il «Tutto l'umano nel Cristo è rivelazione di Dio e parla di Dio. Nella sua vita,
azione, sofferenza e risurrezione non vi è nulla che non esprima, interpreti, rapprc·
senti Dio nella lingua della creatura». Allora si può anche affermare che «tutta intera
la natura umana del Cristo è un me:izo di espressione (principimn quo) della s1u
Persona divina (principium quod), che, a sua volta, è l'espressione del Padre»: H.U.
\ION BALTllASAR, op. cit., p. 1r.
IMMEDIATEZZA E MEDIAZIONE DELLA RIVELAZIONE
39
più perfetto di cui Dio s'è servito per rivelare se stesso, è semplice-
mente la 'manifestazione' perfetta di Dio nel mondo, il 'simbolo' più
perfetto in cui Dio si rende visibilmente presente: «Chi vede me,
vede il Padre» (Io. 14,9). 14
Con ciò però si viene anche ad ammettere che la stessa rivelazione
storica definitiva di Dio ci raggiunge mediante l'umanità di Dio ed è
perciò sostanzialmente rivelazione mediata. Nell'umanità di Gesù, in-
fatti, il Verbo personale di Dio è visibilmente presente nel mondo,
ma la sua presenza si realizza in modo tale, che possiamo riconoscer-
la soltanto attraverso e per mezzo della sua umanità a cui compete,
come elemento costituti~o, la parola umana. Non solo Gesù Cristo,
nella sua qualità di L6gos fatto carne, è la verità e la parola di Dio
nella sua concretezza storica, ma, in qualità d'uomo ch'è ripieno di
Pnéuma divino e che già nella sua esistenza terrena per grazia con-
templa la Divinità, egli è colui che in vii;tù della sua visione ci inter-
preta la presente parola di Dio per mezzo della sua parola umana,
cd è quindi per noi la via permanente d'accesso alla verità ed alla
parola di Dio: «Noi parliamo di ciò che sappiamo, e testimoniamo
di ciò che abbiamo visto» (Io. 3,11 ). «Nessuno ha mai visto Dio;
ma ora ecco, lo ha rivelato un Dio Unigenito, che riposa nel seno del
Padre» (lo. 1,18). Per la conoscenza di Dio, quale ci raggiunge nella
definitiva rivelazione della salvezza, dobbiamo dunque per sempre
rivolgerci all'umanità di Gesù, al Gesù storico che ne è il mediatore:
«Nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio
voglia rivelarlo» (Mt. II,17).
La mediazione storica della rivelazione di Cristo che si realizza
per mezzo della Chiesa ha precisamente lo scopo di evidenziare il
fatto che Gesù Cristo non è per noi unicamente l'occasione d'una co-
noscenza di Dio che, in fondo, potremmo conseguire anche senza dì
lui o al massimo insieme a lui, ma che la sua umanità storica, la sua
vita umana, il suo destino e la sua parola umana (per quanto a noi
l'esatta formulazione verbale delle sue parole non sia più accessibile
con sicurezza) costituiscono il mezzo nel quale e per il quale solo
l'automanifestazione definitiva di Dio è e resta a noi accessibile. In
questo senso la rivelazione di Dio al suo vertice stesso è rivelazione
mediata. Tale carattere mediato non è dunque soltanto determinato
dalla distanza temporale che ci separa da coloro che furono testimoni
personali dell'avvenimento del Cristo, ma è radicato nella natura
stessa della rivelazione storica quale si è realizzata nel Cristo. La me-
diazione in questo senso vale anche per gli apostoli e per tutti gli
altri testimoni oculari ed auricolari del Gesù storico. Per quanto essi
potessero contemplare ed ascoltare colui che è la parola personale
del Padre e quindi la rivelazione stessa di Dio, tuttavia ad essi ii
Dio della salvezza e la volontà salvifica di Dio non si resero noti im-
mediatamente. Essi compresero tutto ciò solo nell'umanità e per
l'umanità di Gesù, attraverso tutto quanto umanamente e storica-
mente in lui s'era realizzato fino alla risurrezione del Crocifisso e
grazie alla rivelazione del senso e dell'importanza di tutto ciò che essi
ricevettero negli incontri col Risorto. Persino nel Vangelo di Gio-
vanni, che sottolinea vigorosamente la presenza e la visibilità della
d6xa di Dio nel Cristo, la sovranità di Dio appare soltanto nella
trasparenza della 'natura' umana del L6gos incarnato.
Già per l'Antico Testamento si è visto il pericolo che questa tra-
ditio della parola rivelante di Dio a portatori umani, e la sua media-
zione attraverso la parola umana, possa pregiudicarla ed ostacolarne
l'affermazione come parola di Dio. Viene affermato perciò non solo
che Jahvé fa conoscere ai profeti la sua parola e la sua volontà e li
invia e li autorizza a comunicarla al popolo - «Poi stese Jahvé la
sua mano e toccò la mia bocca, dicendo: 'Ecco, io oggi ti pongo so-
pra i popoli e sopra i regni per sradicare e demolire, per annientare
ed abbattere, per edificare e piantare\\> (ler. l,9-10)-, bensì che Dio
conserva costantemente al suo servizio i mediatori umani della rive-
lazione allorché questi esercitano il loro ministero, li assiste con la
sua presenza efficace e cura personalmente che la sua parola rivelata,
anche nella sua umana traduzione, rimanga parola di Dio e come
tale pervenga al popolo di Dio (cf. ad esempio Ier. l,19; 15,20; 30,
r r.46.28). Questo problema del rapporto tra la parola mediatrice.:
IMMEDIATEZZA E MEDIAZIONE DELLA RIVELAZ!()NE
Non si deve naturalmente ignorare il fatto che ;·gli apostoli - cosa che
appare chiaramente negli scritti neotestamentari - nel corso degli anni
pervennero ad espressioni tali che non erano loro possibili al tempo delb
presenzn visibile del Cristo, n~ nei primi tempi che seguono b sua dip~r
tita. Tuttavia queste conoscenze posti::riori e la loro formulazione sono
focilmcnte concepibili come sviluppo che flQrt:I a ulteriore chiarilic:1-
zione la verità già rivelata loro nell'avvenimento stesso Jd Cristo, e so-
pratutto nei loro incontri col Risorto. Quest<p sviluppo riflesso fu loro reso
possibile dall'azione dello Spirito santo, che li portò a riflettere in pro-
fondità sull'avvenimento del Cristo. Certamente questa riflessione si di-
stingue da quella dei successivi pensatori cristiani in quanto Dio stesso
si rende garante della sua verità e della sua oggettivazione negli scritti
neotestamentari. Così pure, non è necessario ipotizzare un'autentica rive-
lazione da parte dello Spirito santo per quelle disposizioni istituzionali de-
gli apostoli .che viucolano la Chiesa per sempre; si pensi agli esempi, spes-
so citati nella tradizione, del rito sacro dell'imposizione delle mani per
la comunicazione dello Spirito (confermazione), ed al battesimo dei ham-
bini. Tutto si può ben comprendere come una concretizzazione, guidata
dallo Spirito, di ciò che è già contenuto nella rivelazione del Cristo.
Il facto poi che nella tradizione ci si imbatta spesso in discorsi sulb
rivelazione dello Spirito santo dopo l'ascensione del Cristo al cielo, non
costituisce, a nostro parere, un'obiezione decisiva all'opinione da noi so-
stenuta. Infatti il termine 'rivelazione' in tutta la tradizione è spesso
inteso in un senso più ampio, come una guida che si attua sotto l'influsso
dello Spirito; e cosl anche il termine 'ispirazione' spesso non è usato in
senso stretto.
È ovvio citare in controistanza il decreto della 1v Sessione del concilio
Tridentino sulla Scrittura e la tradizione (ns I 501 ). Questo decreto, quan-
do menziona le tradizioni non scritte, distingue tra quelle che gli apostoli
ricevettero dalla bocca del Cristo (ab ipsius Christi ore acceptae e orete-
nus a Christo), e quelle che ricevettero dallo Spirito santo (Spiritu Sancto
dictante e a Spiritu Sancto dictatae). Si deve tuttavia osservare prima di
tutto che questa affermazione non si riferisce all'oggetto proprio della defi-
nizione tridentina, bensl fu formulaia solo in relazione alle definizioni sul
significato della Scrittura e della tradizione. Si deve inoltre osservare che
questa affermazione sull'azione ispirante dello Spirito santo è formulat;i
in modo talmente ristretto e generale, da essere suscettibile e da richie-
dere ulteriori interpretazioni teologiche, come del resto nessuno oggi pen-
sa di prendere alla lettera il dictatae della formulazione tridentina. La for-
mulazione conciliare autorizzerebbe l'ipotesi che si tratti di quell'ispirn-
MEDIAZIONE APOSTOLICA E POSTAPOSTOUCA
47
zione dello Spirito santo operata nel periodo apostolico per una compren-
sione più profonda e riflessa dell'avvenimento del Cristo sotto la sua par-
ticolare guida ed illuminazione, il che corrisponde all'azione d'approfondi-
mento della rivelazione svoltasi nella Chiesa primitiva normativa.
Ma anche se si volesse accogliere l'ipotesi d'una rivelazione autentica,
integrativa, concessa agli apostoli ad opera dello Spirito santo, non si po-
trebbe ignorare in primo luogo che secondo il Nuovo Testamento solo il
Cristo risorto invia ai suoi apostoli lo Spirito <li verità (Io. 16,7 ), e poi
che questa rivelazione ulteriore dello Spirito è subordinata alla sostanu
della rivelazione: fatta nell'avvenimento del Cristo, e che serve alla sua
comprensione ed al suo sviluppo. Questa rivelazione dello Spirito non
costituirebbe in ogni caso una rivelazione autonoma, una rivelazione 'nuo-
va' in senso assoluto accanto alla rivelazione avvenuta nel Cristo.
Anche intendendo l'avvenimento del Cristo in senso lato, ossia in modo
da includervi non solo l'esistenza visibile di Gesù presso i suoi discepoli,
ma anche la 'fondazione' della rivelazione nella Chiesa primitiva operata
dal Cristo Risorto mediante il suo Spirito, l'avvenimento visibile e docu-
mentabile svoltosi fino all'ascensione al cielo del Signore anche in questo
caso costituirebbe senza confronti l'avvenimento della rivelazione avvenuta
nella fede dei testimoni, e una rivelazione successiva ne sarebbe soltanto
una 'risonanza' e un' 'eco'.
b. Il depositum fidei
&Tjx'r} µou ); per essi ancora il depone11s è il Cristo stesso, ossia Dio
nel Cristo: - gli apostoli hanno depositato quanto essi stessi hanno
ricevuto dal Cristo, in modo tale che esso possa essere consegnato
alla Chiesa per tutti i tempi. Depositarius sono innanzitutto le co-
munità del tempo apostolico, in particolar modo i capi, i predicatori,
i maestri stabiliti in esse dagli apostoli, nelle cui mani fedeli essi
consegnarono la 'ltapa~-fixTJ, e poi la Chiesa, soprattutto sotto la guid:i
dei portato :i del ministero. Come depositum, ossia ciò che è stato
deposto, si è soliti indicare il patrimonio della fede, la verità cri-
stiana rivelata che la Chiesa deve custodire e mediare. La depositio
avvenne in due modi: prima mediante la predicazione orale e l'atti-
vità missionaria degli apostoli, per cui essi, in certo modo, deposi-
tarono la verità, da loro stessi accolta nella fede, nello spirito fe-
dele della loro comunità; in secondo luogo mediante gli scritti com-
pilati ~ loro stessi o dai loro collaboratori, scritti nei quali 1a testi-
moniank apostolica assunse forma di documento. In questo modo
il depositum ftdei assunse una doppia forma d'esistenza: una, sog-
gettiva, nella fede vivente della Chiesa; l'altra, oggettiva, nel libro
della Chiesa. Partendo da queste due forme, intimamente collegate
tra loro, d'esistenza del depasitum, la mediazione della verità rive-
lata presente nella Chiesa poté svilupparsi in questi due modi: con-
fessione e predicazione delle verità credute, trasmissione e spiega-
zione della sacra Scrittura.
Volendo esaminare con maggiore accuratezza il contenuto di ciò
che gli apostoli con la loro parola depositarono nella Chiesa per que-
sta duplice via, ossia ciò che già essi stessi dovevano conservare e ciò
che invece dovevano affidare alla Chiesa perché questa lo conservas-
se, siamo condotti a riconoscere che questo deposito, in definitiva,
non consisteva già nella loro predicazione e nel loro insegnamento -
dunque neanche nel Nuovo Testamento come fissazione scritta della
predicazione apostolica -, ma esattamente in ciò che gli apostoli ave-
vano il compito di predicare e chiarire col loro insegnamento; il che,
in fondo, si riduceva al solo avvenimento del Cristo, e precisamente
in quanto esso culmina nella risurrezione e glorificazione di Gesù e
solo in esse trova il suo pieno significato. La fede cristiana infatti,
in fondo non è diretta alla parola della predicazione ecclesiale, nep-
pure alla parola degli apostoli, bensl a Dio in quanto egli ha rivelato
MEDIAZIONE APOSTOLICA E POSTllPOSTOLICA
49
4 Mysterium salutis / 2.
.50 RIVELAZIONll E CHIESA DELT.A RIVllL,\7,lONE
20 Anche se si deve dire che la Chiesa fu pienamente costnu11a solo alla fine
dell'età apostolica, tuttavia la nuova co1nunità di salvezza è già virtualmente ope-
rante negli apostoli in virtù della loro fede nel Risorto.
52 RIVELAZIONE E CHIESA DELLA RIVELAZIONE
21 Per Paolo si aggiunge inoltre il fatto che egli viene accolto nella comunità ecde-
siale già esistente e fondata dalla predicazione degli undici, e che egli accoglie in sé
una tradi:àone già esistente.
ll Non si può naturalmente trattare in questa sede d'una descrizione completa del-
la posizione, dell'ufficio e delle particolari prerogative degli apostoli. Cf. al riguardo
E.M. KREDEL ·A. KoLPING, Apostolo, in DzT, r (21967) r27·143 (con bibliografia); K.
H. SCHELKLE- H. BACHT, Apostel, in LTK2 , 1(1957)734-738 (con bibliografia).
MEDIAZIONE.APOSTOLICA E POSTAPOSTOL!CA
53
24 :!;. chiaro che qui il termine 'simbolo' non esprime un segno indicativo vuoto di
contenuto, bensl il simbolo reale in cui e con cui il simbolizzato è realmente presente
e percepibile. K. RAHNER, Zur Theologie des Symbols, rr. in BCR, 6,, pp. 2n·311.
lllVELAZIONE E CHIESA DELLA KIVELAZION.E
bb. Come già si è detto, anche l'azione della Chiesa non può essere
separata dalla sua parola interpretativa, pur lasciando che questo pun-
to di vista sia differenziato e perciò lasciato un po' sullo sfondo delle
nostre considerazioni.
In considerazione di quanto si intende descrivere in questo para-
grafo, dobbiamo qui menzionare soprattutto l'azione cultuale nella
liturgia della Chiesa. I primi elementi della liturgia, derivati dalla
comunità veterotestamentaria e usati per esprimere la pienezza della
salvezza raggiunta nel Cristo, si possono rintracciare già nella primi-
tiva comunità apostolica. Il carattere kerygmatico dell'azione centra-
le del culto, la celebrazione della Cena, viene sottolineato espressa-
mente da Paolo ( 1 Cor. 11 ,26). Se la Chiesa nel corso dei secoli ha
perfezionato e sviluppato i semplici riti primitivi con l'introduzione
di altre azioni e cose simboliche fino all'artistica pienezza e ricchezza
di forme delle sue liturgie, ciò è dovuto alla profonda convinzione
che lo splendore della rivelazione di Dio vuol manifestarsi all'uomo
anche attraverso la contemplazione sensibile. La tendenza attuale alla
semplificazione della liturgia deriva dall'intenzione di restituire alle
azioni simboliche ed ai riti liturgici la loro autentica forza espressiva.
Non è questa la sede per enumerare le varie azioni cultuali della Chie-
sa e descrivere la loro funzione kerygmatica. Si dovrà piuttosto sot-
tolineare il fatto che, in senso del tutto generale, ogni azione litur-
gica in unione con la parola contribuisce a rappresentare il mistero
della salvezza nel Cristo secondo i suoi vari aspetti, per cui tutta la
liturgia è da considerarsi in modo eminente tra i mezzi dell'azione
con cui la Chiesa rende presente, attualizza la rivelazi~ne . .Da questo
punto di vista, quindi, nella III SEZIONE si parlerà della litùrgia come
predicazione, annuncio. Gli altri aspetti teologici della liturgia do-
vranno essere sviluppati nell'ecclesiologia (Iv volume) in quanto essi
costituiscono l'oggetto di studio d'una dogmatica storico-salvifica.
Come azione ecclesiale, che contribuisce alla mediazione della ri-
RIVELAZIONE E CHIESA DELT.A RIVELAZIONE
BIBLIOGRAFIA
Trattati
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1 «Non est enim aliud Dei mysterium, nisi Christus" (AGOSTINO, Ep. r87. 34, PL 38,
845). Cf. H. DE LUBAC, Méditations sur l'Sglise, Coli. «Théologie,., n. 27, Paris
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tr. in BCR, 65, pp. 5r-107; O. SEMMELROTH, Die Kirche als Ur.Sakrament, Frankfun
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Dio, Coli. «Giornale di teologia.., ), Brescia 31967.
70 PORTATORI DELLA MEDIAZIONE
Se si pensa che tutti i cristiani per il battesimo e per la oonfo:mazione sono rive-
stiti degli uffici del Cristo, si può dire con ragione che tutti, a loro modo, eserci-
tano il magistero. Cf. in questo senso specialmente L. KuM, Vber das Bischofsamt.
Das Amt der Einheil, Stuttgart 1964, pp. 192-241, che sostiene questo punto di vista
e sottolinea la reciproca compenetrazione degli uffici, senza contestare la funzione spe·
cifica d'un ufficio magisteriale come servizio reso alla Chiesa (e non soltanto nella
Chiesa). Dal punto di vista terminologico però è forse raccomandabile per intanto
parlare d'un incarico di magistero e conservare l'uso del termine 'ufficio magisteriale'
al magistero ufficiale in senso stretto (conformemente alla distinzione tra ufficio e
comunità), purché si dica espressamente che anche l'incarico di magistero è una reale
partecipazione all'ufficio magisteriale del Cristo.
3 M. SECKLER, Glaubenssinn, in LTK2, 4 ( 1960) 947.
72 PORTATORI DELLA MEDIAZIONE
4 Cf. per es. GuoLAMO, Adversus Vigilantium 5, in PL, 23, 3'8 (culto della reli-
gione), ovvero la seguente espressione di AGOSTINO: cNon tibi, sicut calum11iaris.
'solum popuJi murmur opponìmus': quanquam et ipse populus adversus vos propte·
rea murmuret, quia non est talis quaestio, quae possit etiam cognitir:mem fugare P<>-
puJarem. Divites et pauperes, excelsi atque infimi, docti et indocti, mares et feminae
noverunt quid cuique aetati in Baptismate remittatur»: Contra ]ulianum, i, 7, 31, in
PL,44,662.
5 M. ScHEEBl'.N, Theologische Erkenntnislehre, in WW, m, 160 s.
6 La questione fu sollevata soprattutto in relazione ai dOl!mi mariani. Cf. J. Bt:U·
IL POPOLO Cll!STIANO E LA MEDIAZIONE DELLA RIVELAZIONI'. 73
MER, Gl1111benssinn der Kirche als Quelle ei>ter Defi11itio11: ThGI, 4' (19'5) 250-260;
C. BALIC, Il senso cristiano e il progresso del dogma, in Gr, 32 (1952) I06·134.
PORTA TOltl DELLA MEDIAZIONE
74
a riflettere sul popolo medio della Chiesa, ove si deve poter riscon-
trare l'esistenza del popolo cristiano come entità teologicamente qua-
lificata. È sufficiente richiamarsi al battesimo ed alla confermazione
per spiegare la costi~ne di questo popolo, ovvero si deve ammet-
tere l'esistenza di qualcos'altro che fornisca con'Sistenza storica a
questo popolo cristiano nella dimensione della scelta e della confes-
sione di fede? Ci si potrebbe chiedere spassionatamente, ad esempio,
dove, nella moderna metropoli di Roma, in cui statisticamente la
stragrande maggioranza degli abitanti si professa cattolica battez-
zata, sia reperibile quel popolo cristiano, da noi poc'anzi richiamato
come entità teologicamente qualificata, del cui consenso il teolog•J
dovrebbe tener conto!
Queste riflessioni consigliano di procedere con grande cautela nel-
la delimitazione del concetto di 'popolo cristiano'. Tenuto conto del
problema di cui si tratta, questo concetto può essere cosl circoscritto:
con il termine 'popolo cristiano' si intende indicare sostanzialmente
la comunità di coloro che in virtù del battesimo e della cresima so-
no divenuti partecipi degli uffici del Cristo. Questa comunità viene
presa in considerazione in tanto in quanto come tale si manifesta e
in qualche modo professa e testimonia la sua fede. Una tale manife-
stazione può naturalmente assumere le più svariate dimensioni e
variazioni (il che costituisce un motivo per cui il popolo cristiano
è un locus theologicus non facilmente percepibile); è tuttavia d'im-
portanza decisiva che tale manifestazione si realizzi in modo che
in qualche modo sia storicamente percepibile, in quanto altrimenti
non si potrebbe neppure parlare d'una mediazione della rivelazione.
In questa definizione di 'popolo cristiano' non rientrano formalmen-
te i chierici come tali, in quanto cioè sono contrapposti alla comu-
nità ed esercitano un ufficio masisteriale non solo nella Chiesa, ma
anche a servizio della Chiesa (L. KLEIN). Anche i teologi di p;ofes-
sione in senso stretto non v1 sono mclusi, in quanto anch'essi (ancora
formalmente come tali) esercitano una funzione relativamente auto-
noma nel processo della mediazione della riyelazi12.ne. Di questo po-
polo cristiano cosl definito, ci si chiede fino a che punto esso sia
pQttatore della funzione mediatrice della rivelazi~ne. 7
7 La costituzione De Ecclesia, nel 11 capitolo (De populo Dei), ricapitola ciò che
IL POPOLO CRISTIANO E LA MEUIAZIONE DliLLA RIVELAZIONE
75
1utti gli stati di vita nella Chiesa hanno· di comune, e meite in· rilievo quanto si deve
dire riguardo allo stato laicale con le seguenti parole, che iniziano il VI capitolo (De
Laicis ): «Quodsi omnia quae de Populo Dei dieta sunt, ad laicos religiosos et cleri-
cos aequaliter diriguntur, laicis /amen ... quaedam particulariter pertinent, quorum fun·
damenta ob specialia rerum adiuncta nostri temporis magis expendenda sunt» (n. 30).
Questa disiinzione tra Populus Dei e laici non deve essere in alcun. modo dime,n.ti-
cata; tuttavia da prevalenti morivllZioni di carattere metodologico ci sembra giusti·
ficalo delimitare e descrivere in conformità il ruolo particolare dell'ufficio magistc-
riale e dei teologi rispetto a quello del popolo cristiano, a cui anche i membri Jdhl
gerarchia e i leologi appartengono in quali1à di cre<lemi.
PORTATORI DELLA MEDIAZIONE
Senso della fede e consenso di fede devono essere visti nella loro
comun~azione in seno alla Chiesa. La fede del singolo è' una
fede che esiste nella comumtà ecclesiale con tutte le connessioni e
riferimenti che ne derivano, soprattutto col suo riferimento agli as-
serti magisteriali del dogma, i quali, è vero, non sono affatto l'og-
getto a cui mira l'atto di fede orientato direttamente verso Dio, ma
costituiscono i mezzi per raggiungerlo con sicurezza di formule. Il
consenso di fede si manifesta concretamente sempre in accordo con
la predicazione del magistero ufficiale. Questo aspetto del prohièma
è di grande importanza per capire bene il significato di 'popolo cri-
stiano' come locus theologicus, in quanto esclude un modo di giudi-
care isolato. Il consenso di fede del popolo cristiano riflette sempre
anche la tradizione e la predicazione e l'insegnamento attuale della
Chiesa totale, ed ha bisogno dell'interpretazione critica del magiste-
ro ufficiale. D'altro lato il magistero ufficiale deve continuamente
rifarsi al senso della fede di tutta la Chiesa ed alle sue espressioni
visibili, in quanto in esso si realizza una crescita ed una maturazione
della fede, cosi che esso diviene un elemento importante nello svi-
luppo del dogma. Questa interazione reciproca di sensus fidelium e
di magistero della Chiesa è percepibile soprattutto nella liturgia. In
quanto organo del magistero ordinario, la liturgia contribuisce alla
formazione del senso della fede e soprattutto alla strutturazione del
consenso di fede mediante espressioni oggettivamente concrete; con-
temporaneamente essa fa crescere e maturare la fede ({tdes qua credi-
tur) mediante la relazione storico-salvifica che si instaura con le
sue azioni. A tale re · aturazione della fede il magistero deve,
a sua volta.._rifarsi per una formulazione più concettuale della fi es
quae creditur.
In base a quanto s'è detto, come è possibile e come può aver
senso il richiamarsi al popolo cristiano come locus theologicus 1 da
parte del magistero o della teologia? Data per acquisita la distin-
zione tra senso della fede e consenso di fede, si deve dire che il sen-
so della fede in sé, inteso in senso stretto, è infallibile, poiché la fe-
de divina non può riferirsi a qualcosa di falso. Tuttavia s1 e g1a detto
che il senso della fede non è immediatamente accessibile, ma ad esso
si può pervenire solo attraverso la sua oggettivazione (inadeguata).
Così pure, si dovrà parlare d'un consenso di fede infallibile, ove esso
So PORTATORI DELLA MEDIAZIONE
6 - Mysterium salutis / 2.
PORTATORI DELLA MEDIAZIONE
gistero, ma anche per altri problemi, conriene molte idee ancora oggi di notevole
valore. Avendo dovuto nel presente volume elaborare molti problemi ed aspetti
nuovi, di conseguenza, numerosi problemi classici sono stati trattati in maniera più
concisa che nell'opera dello Scheeben. Ad essa soprattutto rimandiamo per tali pro-
blemi.
15 Nello schema della costiruzione dogmarica De divina revelatiane del Vaticano 11.
si dice (n. 9): « ... quod quidem Magisterium non supra verbum Dei est, ;ed eidem
ministrai, quatenus illud, ex divino mandato et Spiritu Sane/o assistente, tuetur et
authentice interpretatur ... ».
16 Cl. os, 307r: «Ut ... Ecclesia tota una co11servare/1ir».
PORTATORI DELLA MEDIAZIONE
17 Cf. O. SEMMELROTH, ii.mter der Kirche, in LTK2, I (1957) 4.59 s. (con bibli().
grafia); L. KLEIN, V ber das Bischofsamt. Das Amt der Einbeit, Stuttgart r964, pp.
191-24r.
IL MAGISTERO SPECIALE DELLA CHIESA
l!J Ci esprimiamo con prudenza, in quanto, nei riguardi dei due ultimi dogmi ma-
riani, si dovrebbe chiedere se essi non intendano servire innanzi tutto la contempla·
zione di fede della Chiesa. La questione dell'opportunità di queste definizioni oggi
non dovrebbe certamente prescindere dalla situazione ecumenica.
IL MAGISTERO SPECIALE DHLA CHIJ::SA
Dal punto di vista del diverso peso da attribuire in particolare alle proposi-
zioni magisteriali o in generale teologiche, sin dal Medio Evo, ma soprat-
tutto dopo l'avvento della teologia positivo-scolastica post-tridentina si
considero la stessa realtà in sensu diviso, l'affermo con una certitudo ec-
clesiastica, formalmente garantita non dalla parola di Dio, bensl dall'au-
torità della Chiesa, che è in grado di garantire infallibilmente un conte-
nuto oggettivo con l'assistenza (per sé negativa) dello Spirito, qualora ciò
venga richiesto dal servizio che essa deve prestare alla rivelazione. Per
quanto riguarda l'intera problematica, cf. le riflessioni di J. TRiiTSCH nel
CAP. V, SEZ. IV, 3 d.
JJ Per il problema citato, cf. J. BEUMER, Die mundlicho Oberlieferung als Glau-
bensquelle, in Handbuch der Dogmengeschichte, 1/4, Freiburg i. Br. :r962, pp. 84-86.
:;4 Cf. la dis~ussione di P. LENGSFELD, in: Mysterium SalutiJ, I/i,pp. 609-648.
35 Su tale questione, vedi M. LoHRER, Oberlegungen wr Interpretation lehramtli-
cber Aussagen als Frage des okumeni1chen Gespriich1, tr. in BCR, p, pp. 613-647.
IL MAGISTERO SPECIALE DELLA QllES/\
95
uso più riflesso, alla luce di quella più precisa impostazione del pro-
blema ermeneutico dovuta, in campo filosofico soprattutto a M. HEI-
DEGGER e H.G. GADAMER, e, in campo teologico, a BuLTMANN ed
a coloro che con lui discussero e polemizzarono: G. EBELING, H.
0TT, E. FucHS, H. D1EM, L. STEIGER ed altri. La teologia cattolica
in questo problema dovrà sottolineare il fatto che il magistero uffi-
cW~_jn2~ ..stesso (senza pregiudizio d'una relativa autonomia della
teologia) è un ~l~.~~?_to ~~senzl11_!~ 9i ~est!. interpretazione. Dovrà
inoltre rifiutare ogni relativismo mo~ernist\~~ e dimostrare che una
corretta interpretazione cfelle proposizioni m~gfst~~i~li ~is~lterà sol-
tan!Q_s_e__ s_i__Qrendono le mosse dal loro contenuto oggettivo, conte-
nuto che neu;;-·{~;;;-;cl~oni dei" magistero (infallibile) è esposto sì
esatralil_çnte,.~_!~t_t_av~a .!!lai in.mo.d.o._esauriente. Ciò significa però
che le singole proposizioni magisteriali debbono essere lette inseren-
dole n~IJ.~~r~~o.~--!.9-~?Je .. .Qell~__ ti_y~l~J.Q.I!e quale ci è dischiuso nella
sacra Scrittura, ed alla luce di questa debbono essere intese. Questo
metodo d'interpretazione ha l'aw~.ten,?:~_d'un_ circolo ermeneutico
vizioso, in quanto_jl_1.n~ero-.Lun. .. .e.lem~ll 'interpretazione
scritturistica, mentre la Scrittura è un eleme~to nell'interpretazione
dell~oposizioni magisteriali. h chiaro che qui non è possibile ve-
dere nella Scrittura soltanto una somma di proposizioni disparate,
ma tutte queste proposizioni convergono verso un centro che, in
ultima analisi, è la parola di Dio incarnata nella uale Dio si ·~
espresso in mo o esauriente e alla quale si riferiscono, in fondo,
tutte _k parole della Scrittura. Non si possono interpretare rettamen-
te in questo modo le varie proposizioni magisteriali, se non inten-
dendole in un senso 'relativo' del tutto positivo (quindi non moder-
nista!): esse vengono liberate dall'isolamento in cui altrimenti si
troverebbero, e vengono riferite a quella totalità centrale da cui
ricevono la loro piena oggettiva comprensibilità. In una sifatta in-
térpretazione si riconoscerebbe più chiaramente non solo il valore
sil!S..olo delle diverse proposizioni, ma risalterebbe con maggior pre-
cision.t.i!_J?_~-~-°-!:'dizionamento storico, e cosl si potrebbe vedere
meglio ciò che in una determinata proposizione non è stato detto
esaurientemente e che, da questo punto di vista, andrebbe integrato
sia -;tt;~~~soaltre- proposizioni magisteriali, sia evidenziando aspetti
biblici non ancora sufficientemente presi in considerazione. Potreb-
IL MAGISTERO SPECIALE DELLA CHIESA 97
Mystcrium sJlutis / z.
PORTATORI DELLA Ml!DIAZIONF.
lii .Episcopi enim sunt /idei praecones, qui novos discipuios ad Christum addu·
cunt, et doctores authenlici seu auctorilate Christi praediti, qui papula sibi commisso
fidem credendam et moribus appticandam praedic1111t, et sub lumine Spiritus Sane/:
i//ustrant... Episcopi in communione cum Romano Ponti/ice docentes ab omnibus
tanquam divinae et catbolicae veritatis testes venerandi sunt; fide/es autem in sui
Episcopi sententiam de fide et moribus nomine Cbristi prolatam concurrl!f'e, eiq11e
religioso animo obsequio adhaerere debent» (cosi. De Ecclesia, n. 25).
ll J. RATZINGER, Zur Theologie des Kon:i.ils, in Catholica, 15 (1961) 299.
3ll Cf. la costituzione De Ecclesia, n. 28 s.
Il MAGISTERO SPECIALE DELLA CHIESA
99
40 «Nam4ue etiamsi ageretur de i/la subiectione, quae fidei divinae aclu est praes·
tanda, limitanda tamen non essei ad ea, quae expressis oecumenico,.um Conciliorum
aut Romanorum Ponti/i.cum huiusque Sedis decretis definita sunt; sed ad ea quoque
extendenda, quae ordinario totius Ecclesiae per orbem dispersae magislerio tanquam
divinitus revelata traduntur ideoque universali et constanti consensu a catholicis theo-
/ogis ad fidem pertinere retinentur ... » ~R, 353; DS, 2879.
41 «Porro fide divina et catholica ea omnia credenda sunl, quae in verbo Dei
scripta ve/ tradito continentiir et ab Ecclesia sive solemni iudicio $Ìve ordinario et
universali magisterio tamquam divinilu' •Pvelata credenda proponuntur» (Ds, 3011 ).
IL MAGISTERO SPECIALE DELLA CHIESA IOI
45 Per questa questione cf. H. PtSSAREK. HuoELtST, Das ardentliche Lehram/ als
kollegialer Akt des Bischofskollegiums, tr. in BCR, 52, pp. 185-214. Sembra che que-
sta concezione si~ anche condivisa dal Vaticano ll, in cui il magistero infallibile dei
vescovi è collegato al corpus episcoporum. Cf. la costituzione De Ecclesia,' n. 25.
IL MAGISTERO SPECIALE DELLA CHIESA 103
46 V. al riguardo H. SCHAUF, Die Lehre der Kirche iiber Schrift und Tradition in
den Katechismen, Essen 1963, e lo studio critico di J. RATZINGER, in ThR, 60 (1964)
2I]·221.
IL MAGISTERO SPECIALE DELLA CHI.ESA I05
c. Il concilio ecumenico
41 Cf. l'articolo, successivo a queslo capitolo, sulla Liturgia, pp. 145 55_
411 K. RAHNER - J. RATZINGER, Episcopato e prima/o, Brescia 1966, pp. 92 s.
106 POllTATORI DELLA MEDIAZIONE
sono essere decisive, e anche perché il suo magistero non può svilupparsi
senza un dialogo precedente e senza un continuo e intenso colloquio con
essi. Questo convocare i laici al concilio ·corrisponderebbe d'altronde a
quanto si fece nel concilio-tipo degli apostoli a Gerusalemme cui arte-
cip,Q_ anc e a comumt . a tra parte anc e attua e prassi conciliare am-
mette una certa sfumatura d'inter retazione al riguardo, in quanto al
concilio partecipano attivamente anche g i a atl e 1 superiori eg 1 ori:lini
religiosi, i quali tutti non a arten ono al colle io e isco ale. Quali sa-
ranno le so uzioni che si adotteranno in futuro, dipende certo da una
preliminare discussione teologica.
Quanto s'è detto fin qui può essere condensato nella seguente de-
finizione: Il concilio ecumenico è un'assemblea composta soprattut-
to da vescovi, che rappresentano legittimamente il colle io episco-
pale con a capo I papa ex zure wmo), al fine d'esercitare la su-
prema potestà nella Chiesa. Ci pare che questa definizione teologica
esprima chiaramente gli aspetti essenziali del concilio ecumenico: la
riunione locale (a differenza del magisterium ordinarium et univer-
sale); la funzione essenziale del collegio episcopale, che comprende
necessariamente il papa, funzione che può manifestarsi concreta-
mente in molti modi, come si constata anche nella storia; la possi-
bilità di partecipazione di membri non vescovi, com'è dato anche
secondo il diritto attuale; la rappresentanza del collegio episcopale
il cui accertamento è essenziale, perché di qualche concilio ecume-
nico (per es., qualche sessione del Tridentino) non si può dire se
vi fosse veramente radunato il collegio episcopale, mentre è essen-
ziale precisamente la rappresentanza di questo collegio; 52 la compe-
tenza giuridica ed il compito del concilio, che consiste nell'esercizio
del potere magisteriale e giurisdizionale. In questa definizione è im-
plicita l'assistenza dello Spirito santo, che è presente nell'esercizio
del massimo potere nella Chiesa e soprattutto nell'esercizio della
8 Mysterium s9lutis / 2.
II4 PORTATORI DELLA MEDIAZIONE
eia che eserciterà il Vaticano II. Che questa efficacia non sarà trascu-
rabile, lo si può sperare dall'orientamento pastorale impresso al con-
cilio soprattutto da papa Giovanni - a differenza dei precedenti
concili che avevano per lo più carattere difensivo - e dal diakigo
che in esso si è seriamente avviato sia all'interno sia all'esterno della
Chiesa cattolica romana.
~\!·'" ~Romanum Pontificem, cum tx catbedra loquitur, id est, cum omnium Chri-
\;~fi11,,omm p1utoris et doctoris m1mere fmigens pro suprema sua Apostolica auc/ori·
:~ile doctrillam de fide vel moribus ab imiversa Ecclesia tenendam definii, per as-
:•tistenti111n divinam ipsi in beatrJ Petro promissam, ea btfallibilitate pollere, qua divi-
: nus Redemplor Ecclesiam suam in definienda doclrina de fide ve/ mnrihui instructam
llf!SI! 11aluit; ideoqtre eiirsmodì Romani Pontificis definitiones ex sesr, non a11tem
.:!lit tot1srris11 Ecclesiae, irreformabilem esse» (os 307 4)
IL MAGISTERO SPECIALE DELLA Cf!IESA 117
rore vero e proprio. Questa assistenza può anche essere intesa alla
luce dell'efficacia della provvidenza generale che non permette che
il papa cada in una decisione i:x cathedra erronea. Secondo il testo
conciliare l'infallibilità del papa ha la stessa estensione dell 'infalli-
bilità__~~lla t:Tiresa--:-Anch~--prè~ciòd~~a~·-da-- ~~;ti~;p~ttlparticòlari
di questa formula, 51 essa possiede la sua importanza, in quanto mette
in luce;. ~~~ -~.. dato f5Jndamentale è !'infallibili~ della Chiesa, dal cui
punto di vista deve_~~.~~s_e_jnt~_!D~allibilità papale. n_~~~!tat~ del-
la definizione è una_4ecisione che «di per sé e no~p~r-ff consenso del-
la Ch_ie~~ è irreformabii~;~-C-~~-·qu~~Ui-proposizlone si vuofdft; che
una definizione:~~!~-~~!!._h~_bisogno di un'approvazion~oste
riQ!.i_ della Chiesa. La formulazione di questa definizione è chiara-
ment~-diretta >0nU.Q_çe.rk..t~9denze gallicane e conciliariste. Ciò ri-
sulta anche dalle dichiarazioni del vescovo Gasser 59 che, tra l'altro,
spiega in qual semo si possa parlare di un'infallibilità 'personale' e
'separata' ('distinta'} del papa: è personale in quanto costituisce una
prerogativa di ogni papa nell'esercizio del suo ufficio e non, generi-
camente, -della ~iedè--d!Pìetro;""come-sostenevà"li"tesf galiicana, quasi
che il singolo pontefice potesse anche errate in una sua definizione,
ma questo errore potesse poi essere presto corretto. Infallibilità
separata, o per meglio dire distinta, è una prerogativa di cui gode il
papa in forza di una speciale promessa di Gesù, quella stessa fatta
in maniera speciale a Pietro. Questa affermazione coincide nel suo
contenuto con quanto viene indicato coll'espressione «ex sere». Gas-
ser tuttavia non intende affatto affermare con questa espressione che
il papa, in una definizione, agisca separato dalla Chiesa.
/,() Cf. Y. CoNGAR, La fai et la lhéologie, Tournai 1962, pp. i59·162 (1rad. it. Ro·
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120 PORTATORI DELL ... MEDIAZIONI!
BIBLIOGRAFIA
Fin dai primi tempi della cristianità, il vescovo veniva chiamato col
nome di 'padre' .66 Non è ancora tuttavia accertato se, con tale appel-
lativo, si intendesse accentuare maggiormente il suo carattere di mae-
stro, ovvero quello di guida della comunità. In ogni caso, nel IV
secolo si cominciò a riferirsi ai padri, quando si intendeva conforta·
re il proprio parere appoggiandosi ai primi vescovi della cristianità
in qualità di testimoni della vera dottrina. A quell'epoca si chiama-
vano 'padri della Chiesa' soprattutto i partecipanti al primo concilio
di Nicea. Essi, come già gli 'anziani' del giudaismo, incarnavano il
principio della tradizione. Al tempo del concilio di Efeso (a. 4 3 r )
non soltanto giunse a piena maturazione il procedimento dimostra-
f"4 Cf. ST. Ono, Patristica, in DzT, z ( 1967) 569-578: «I progressi della patnst1ca
tuttavia esigono un moderno ripensamento dei prindpi e dei metodi di questa conce-
zione» (quel!a riscontrata in ALTANER, ad esempio).
65 Nelle seguenti considerazioni ci siamo lasciati guidare da: A. BENOiT, L'aclualité
des Pères de l'ÉgJise, Coll. «Cahiers Théologiques», 47, Neuchiìtel 1961; ST. OTTO,
Palristica, in DzT, 2 (x967) 569-578. Si dimostrarono inoltre utili opere meno recenti,
quali: O. BARDENHEWER, Geschichte der altkir1;b/ichen Ute'ratur, I, Freiburg 1902,
pp. r-62: Einleitung; e ].M. SCHEEBEN, Handhuch dcr katholischen Dogmatik, 1, Frei.
burg 31959, passim.
66 Cf. A. STUIBER, Kircbenvater, in LTK 2 , 6 (1961) 272-274.
POB.TATOlll DELLA MEDIAZJON!
Questo concetto primitivo di 'padre della Chiesa' sta alla 1base di quello
elaborato a partire da MELCHIOR CANO, secondo il quale il titolo di 'padre
della Chiesa' è riconosciuto in base ai seguenti quattro caratteri distintivi:
x. perseveranza nella comunità dottrinale ortodossa; 2. santità della vita;
3. riconoscimento almeno indiretto da parte della Chiesa; 4. appartenen-
za alla Chiesa più antica. Di conseguenza quegli autori dell'antico cristia-
nesimo che difettano di uno dei primi tre caratteri sono chiamati sempli·
cemente antichi scrittori cristiani. Aggiungiamo ancora che fin dall'inizio
dcl Medio Evo entra nell'uso linguistico della Chiesa il titolo di 'dottore
della Chiesa'. Questo titolo viene attribuito a quei teologi che, senza
necessariamente appartenere all'antica cristianità, si distinguono non sol-
tanto per santità e per approvazione della Chiesa, ma soprattutto per la
loro particolare, eccezionale sapienza. Tra di essi si annoverano soprat-
tutto i quattro grandi padri dell'Occidente: Ambrogio, Girolamo, Ago-
stino e Gregorio Magno, insieme con i dottori ecumenici dell'Oriente:
67 Cf. R.M. GRANT, The Appeal lo the Early Fathers, in JTS, NS, n { 1960) 1 p4;
H. DU MANOIR, L'argumentation patristique dans la controverse nestorienne, in RSR, 25
(1935) 531-559.
68 Cf. J. MADOZ, El concepto de la Tradici6n en S. Vicente de Lerins, in A11Gr 5,
Roma 1933.
Commonitorium 3, in PL, ;o, 641: «Ttmc operam dabit
6IJ VINCENZO DI LÉRINS,
lii col/atas inter se ma;orum consulat interrogetque se11tcntias, eorum dumlaxal qui
diversis licl!t temporibus et locis, in unius tamen Ecclesiae Catholicae commu11ioite
cl fide permanentes, magistri probabiles extiterun/; et quidquid nrm u11us aut duu
tantum, sed omnes pariter uno eodemque consensu aperte, freque11ter, perseveranlcr
tenuisu, scripsisse, docuisse cognoverit, id sibi quoque intelligat absque ul/a dubita-
tione credendum». Cf. Commonit. 28, in R 2175.
70 Eo. DoBSCHiiTz, in TU, 38, Lcipzig 1912. Cf. G. B11RDY, Gélase (Décre/ de). in
DBS, 3 (1938) 579·590.
I PADRI DELLA CHIESA 125
L'aumentato interesse per i padri ebbe come conseguenza che negli scrip-
toria, particolarmente prima del xm secolo, ci si dedicasse a copiarli dili-
gentemente. È però sorprendente che non esista un'edizione integrale di
tutti i padri. Per questo motivo le informazioni si limitarono ad un
numero relativamente piccolo di autori. Infine, e soprattutto, l'intere.;;sc
relativo ai padri della Chiesa ebbe sempre uno scarso carattere storico.
11 Per quanto riguarda i problemi presentati da que.,to lavoro, cf. A. FEDEll, St11-
die11 :r.um Schri/tstdlerkatalog des hei/igen Hieronymus, Freiburg 1927.
72 Per ciò che riguarda Tommaso d'A., cf. Y.-M. CoNGAR, 'Traditio' rmd 'Sacra Doc·
/fina' bei Thomas von Aquin, in Kirche tmd Vberliefertmg (Festschrift Geiselma1111),
Freiburg 1960, pp. 170-210 (con bibliografia).
I26 PORTATORI DELLA MEDIAZIONE
i.• Cf. H.G. BECK, Kirche und theologische Literalur im lry•z;antinischen Reich, Miin·
chen 1959, passim.
14 PHOTIUS, Bibliotheca (ed. R. HENRY, con muluz. francese), 1-111, Paris r959-
1962; SU!DAS, Lexikon, ed. ADLF.R; EBf.DJESU, Schriftrtellerkatalog, ed. AssEMANl,
m/1, 325-;6r.
I PADRI DELLA CHIESA 127
riguardi dei padri della Chiesa una posizione di chiusura. Per loro i
padri rappresentavano la Chiesa primitiva non ancora corrotta.
Il potente impulso dovuto all'umanesimo e ]a reazione al movi-
mento della Riforma, spinsero a loro volta i teologi cattolici, massi-
mamente dopo il concilio di Trento, a dedicarsi con rinnovato zelo
agli studi patristici. Nacque così la teologia cosiddetta positiva, nella
quale ai padri fu riservato un posto assai eminente. MELCHIOR CA-
NO (t 1560) ne pose le basi, mentre il PETAVIO (t 16~p) la sviluppò
in modo ammirevole. Anzi, questa rinnovata concezione del1a teo-
logia produsse una vera fioritura di studi patristici. Si pervenne,
soprattutto in Francia coi Maurini, ad un lavoro editoriale assai
esteso. Inoltre apparvero degli studi' specializzati di notevole valore.
Contemporaneamente, nello studio dei Padri del primo secolo, non
ci si accontentò più di Girolamo, ma si pubblicarono. delle ricerche
rivoluzionarie sulla storia degli autori ecclesiastici (LE NAIN DE TrL-
LEMONT; CEILLIER).
BECK 77 alla 6ne dell'ultimo secolo. Egli sostiene giustamente che non
esiste un modo puramente oggettivo di scrivere la storia e che per-
ciò ogni storico deve scegliere il suo personale punto di vista, fos-
s 'anche un punto di vista teologico. A questo momento si potrebbe
aggiungere che gli studi patristici esigono di per sé un punto di vista
teologico. Poiché i documenti patristici intendono essere testimonian-
ze della fede cristiana, essi possono pienamente comprendersi soltan-
to da colui che li giudica in quanto tali, anzi da colui che li legge con
la stessa fede.
D'altra parte, A. BENOÌT rimprovera al concetto dogmatico di
'padre della Chiesa', formulato dalla teologia cattolica, di costituire
un anacronismo storico. I due segni distintivi, ortodossia ed appro-
vazione della Chiesa, sarebbero applicati in senso retrospettivo. Così
si verrebbe a negare, ad esempio, il titolo di 'padre della Chiesa' ad
Origene ed a Tertulliano, per quanto essi, al loro tempo, non fossero
stati considerati, o almeno non sempre, come eretici. A. BENOIT, da
parte sua, intende come padri deJla Chiesa quegli scrittori che si
sforzarono di spiegare la sacra Scrittura.78 Con ciò egli pone l'accento
in modo appropriato sulla necessità d'un punto di vista teologico
nello studio dell'antica letteratura cristiana. Si deve tuttavia notare
che, anche così, resta da giudicare se e quanto uno scrittore ecclesia-
stico concordi con la Bibbia, e che questo giudizio non può essere
emesso unicamente sulla base della Scrittura né della dottrina della
Chiesa contemporanea allo scrittore, ma deve essere tratto anche da
ciò che la Chiesa ha insegnato in seguito ed oggi. D'altra parte è
sicuro che non si deve subito parlare d'eresia. Se un autore come
Origene, al tempo in cui visse, restò nella comunità ecclesiale, deve
essere considerato ortodosso, anche se l'una o l'altra delle sue opi-
nioni, alla luce dell'insegnamento dottrinale successivo, debbono es-
sere considerate non conformi coi dati scritturistici. Di questo fatto
hanno del resto tenuto conto quei teologi cattolici che definirono
n F. OvERBECK, Uber die Anfiinge der patristi.scben Literatur, Base! 19'8 (?), ri-
stampa dalla Hist. Ztscbr., 48 ( 1882) 417-472.
78 Quest'opinione corri6ponde all'incirca a quella di GrKOLAMO.· Cf. De viris i/lustri-
bus, Pro!. (edit. da A .. R!CHARDSON 1,' s.): « ... omnes, qui de Scripturis Sanctis rne-
moriat' aliquid prodiderul'lt, libi breviler exponam».
9 Mysterium salutis / 2.
130 PORTATORI DELLA Ml!DIAZIONE
Nel suo studio A. BENoiT solleva ancora una questione: egli dichiara
di non essere d'accordo con coloro che pongono il termine dell'età
patristica - ed è questa l'opinione comune - nel VII secolo (con Gre-
gorio Magno ed Isidoro) o nell'vm secolo (con Giovanni Damasce-
no ). Egli è piuttosto del parere di posporre questo termine all'anno
1054, in cui scoppiò lo scisma tra Oriente ed Occidente. Se tuttavia
si riflette che quella definitiva separazione non fu che la conclusione
d'un processo di divisione iniziato già molto tempo prima, ci si può
chiedere se questa opinione abbia una giustificazione fondata. Sem-
bra piuttosto meglio fondata la tesi che pone la fine dell'età patri-
stica assai prima, e precisamente al tempo successivo al concilio di
Calcedonia (a. 451). 80
Dopo l'ultimo dei quattro grandi sinodi ecumenici, non avvenne solo h
separazione d'una considerevole quantità di comunità dell'Oriente cristia-
no dalle comunità latine e bizantine. Le differenze e le tensioni tra i
patriarcati assunsero in quel periodo caratteri drammatici. Inoltre, sotto
la spinta delle popolazioni che emigravano, le due parti in cui si era spez-
zato l'impero romano ebbero differenti sviluppi politici e culturali. Cf.
H.I. MARROU, Geschichte der Kirche, I, Einsiedeln 1963, pp. 332-337 (ed.
originale in francese. ti in preparazione la traduzione in italiano). So-
prattutto si erano prese delle importanti decisioni in campo teologi-
co. Le grar.di controversie dogmatiche erano sostanzialmente concluse.
I primi quattro sinodi ecumenici, durante i quali soprattutto questo era
avvenuto, saranno anche in seguito considerati semplicemente come i con-
cili. Cf. Y.-M. CoNGAR, La primauté des quatre premiers conciles oecu-
méniques, in Le concile et les conci/es, Paris 1960, pp. 7,5-io9. Al posto
della teologia della Scrittura subentrò ampiamente la teologia patristica.
I monaci, che si assunsero il compito di guide nel lavoro teologico, co-
minciarono a compendiare gli scritti degli antichi vescovi. In Occidente
dominò quasi esclusivamente la teologia agostinana. Cf. M. GRABMANN,
Die Geschichte der kath. Theologie, Freiburg 1938, pp. 17-22. La teolo-
gia bizantina invece si pose sotto le insegne della cristologia di Cirillo
d'Alessandria. Cf. le recenti ricerche eseguite sul cosiddetto Neo-calcedo-
nianesimo, specialmente CH. MoELLER, Le Chalcédonisme et le Néo-Chalcé-
donisme en Orient de 451 à la fin du 6' Siècle, in Chalkedon, I, 637-670.
Infine, verso la conclusione del v secolo, si cominciò a utilizzare in teo-
logia in modo più cosciente la logica neoplatonica-aristotelica. Cf. H.I.
MARROU, Das kirchliche Leben im ostrom. Reich, in Geschichte der Kir-
che, I, 381 s. Come per tutte le classificazioni delle epoche storiche, anche
questa transizione dall'età patristica alla successiva avvenne lentamente.
Tuttavia le trasformazioni avvenute nella seconda metà del v secolo sug-
geriscono di porre proprio in quel periodo di tempo la conclusione del-
l'età patristica. Cf. CH. MoELLER, art. cit., pp. 637 s.; H.I. MARROU, Ge-
schichte der Kirche, r, 41,5-444, ove, d'altronde, in questa età viene an-
cora incluso il vr secolo.
Alla luce della storia degli studi patristici e della loro attuale proble-
matica ci è più facile comprendere e delimitare il modo con cui, in
seno alla Chiesa dei primi secoli, i padri tramandarono la tradizione
il Cf. J.M. ScHEEBEN, Handbuch der kath. Dogmatik, l n. ~76, Freìburg 11959,
pp. 178 s.
I PADRI DELLA OllESA 133
Come è stato esposto nella precedente sintesi storica sugli studi pa-
tristici e sulla loro problematica moderna, gli scritti dei padri della
Chiesa possono essere affrontati da un duplice punto cli vista. Si può
studiarli inseriti nel contesto della storia della letteratura, ovvero
si può mirare ad ascoltare in essi la voce della tradizione ecclesiale.
In fondo, però, questi due modi di considerare le opere dei padri
non devono essere separati l'uno dall'altro. Pur essendo monumenti
letterari, i documenti patristici non cessano, per questo, di essere an-
che testimonianze di fede. In quanto cristallizzazione della vita di
fede ecclesiale, essi portano sempre anche l'impronta più o meno
profonda della sensibilità letteraria della loro epoca. Per quanto sia
praticamente difficile tener conto in modo completo e totale delle
esigenze storico-filologiche e dei metodi teologici, tuttavia questo
deve restare l'ideale a cui tende ogni ricerca patristica.
Nei riguardi della teologia, l'accento fondamentale viene posto
sull'orientamento dogmatico. Il che significa: colui che, in qualità
di teologo, si occupa dello scritto d'un autore della Chiesa antica,
deve innanzitutto rendersi conto dell'autorità con cui questo autore
si presenta. Egli deve poi chiedersi in che modo le opinioni dottri-
nali che lo interessano si inseriscano nella storia della tradizione
ecclesiale, ossia, se seguono o precedono una decisione conciliare.
Soprattutto deve tentare di giudicare quanto ampiamente le convin·
zioni od opinioni da studiare concordino con la Parola di Dio nella
sua totalità.
I PADlll DELLA CHIESA 135
Tra i testi più importanti che possono soccorrere in questi studi citiamo:
A. BLAISE, Dictionnaire Lati~-Français des auteurs chrétìens, Turnhout,
21963; G.W.H. LAMPE, A Patristic Greek Lexicon, Oxford 1961 ss., in-
12 Ireneo ne è un buon esempio. Per i testi che ci sono giunti solo nella versione
latina, si può tuttavia in molti casi, mediante il confronto coi frammenti greci, risa-
lire ai termini greci tradotti. Un buon setvizio in questo lavoro è stato reso da B.
REYNDERS, Lexique comparé du texte grec et des versiom /aJine, arménienne et sy-
riaque de l'Adv. Haereses de s. lrénée, in CSCO, 141 s., Subsidia, 5 s., Louvain r954.
PORTATORI DELLA MEDlhZlONE
Quando ci si chiede ciò che i padri della Chiesa hanno oggi da dirci,
non ci si riferisce in prima linea alla loro testimonianza di fede. Na-
turalmente questa testimonianza conserva per ogni tempo la sua
importanza eccezionale. Chi volesse dimostrare che una dottrina, non
derivabile con sicurezza dalla Scrittura, risale alla tradizione aposto-
lica, dovrà sempre rifarsi innanzitutto alla testimonianza dei padri
della Chiesa. Tuttavia, pur pre~cindendo dal fatto che queste dot-
trine si ritrovano testimoniate e proclamate anche in altri documenti,
I PADRI DELLA CHIESA 137
gli scrittori della Chiesa antica in quanto maestri dei pr1m1 secoli
hanno oggi per noi, sotto altri aspetti, un'importanza assai maggiore.
Essi ci aprono delle prospettive sulla rivelazione divina, che vanno
ben al di là di quelle offerte dai dogmi definiti. Inoltre ci mettono
a disposizione i primi tentativi d'una penetrazione sistematica nel
patrimonio della fede.u Soprattutto però, malgrado la diversità delle
epoche storiche, essi ci sono maestri di vita in forza del loro com-
portamento che reca impressa l'impronta immediata ricevuta dalla
testimonianza apostolica.
In generale, poi, si deve affermare che, soprattutto nell'insegna-
mento, si deve sempre iniziare coi padri della Chiesa, quando si deb-
ba sviluppare nella teologia il significato storico-salvifico della rive-
lazione. Infatti, al centro di tutta la loro speculazione teologica, si
trova il Mysterium saluti:;, I' Oikonomia. Basti pensare alla recapitu-
latio d'IRENEO, alla concezione ascetica d'ORIGENE, alla divinizza-
zione d'ATANASIO ed alla teologia della storia d'AGOSTINO.
In particolare i padri, specialmente quelli del periodo che prece-
dette l'eresia ariana, possono fornirci un contributo essenziale per il
significato trinitario della storia della salvezza. 54 La loro mentalità
metaforica può indicarci nuove strade nell'antropologia e nella dot-
trina sacramentaria.85 Alla loro scuola possiamo imparare molte cose
sull'intima relazione esistente tra i misteri della salvezza - argomento
oggi spesso cosl scottante -; sull'unità tra cristologia e soteriologia;
sul rapporto tra Maria e la Chiesa.86 Dallo studio dei padri della
Chiesa si può trarre anche un rinnovamento della teologia morale,
quando si pensi che essi assicurano inequivocabilmente il primato
alla carità e non separano mai l'adempimento dei comandamenti dal-
la perfetta sequela del Cristo.87 Per quanto riguarda l'escatologia,
5. I teologi
aa Cf. H.U. vo=-i BALTHASAR, Eschatologie, in FTH, 403-421; ID., I novissimi nella
teologia contemporanea, Coli. «Giornale di ceologia», 13, Brescia 1967.
89 Cl. A. BENOiT, op. cii., pp. 8I-84.
90 Sono stati di guida nella compilazione dì questo arcicolo, le seguenti opere:
A. LANG, Die loci theologici des Me/cbior Cano und die Methode des dogmatischen
Beweises, Miinchen 1925 (con bibliografia); d. A. LANG, Loci lbeologici,, in LTKl. 6
(I96r) IIIo-1112; J.M. ScHEEBEN, Handbuch der katholischen Dogmatik, I, (31959)
I TEOLOGI 139
Innanzitutto nel corso dei secoli xvn e xvm fu espressa in maniera p1u
precisa la distinzione tra i padri, maestri della Chiesa antica, ed i teologi,
maestri della Chiesa nei secoli successivi. Inoltre ai soli padri venne attri·
buito quale segno distintivo essenziale la santità della vita. Alla luce di
questa duplice distinzione, ancora oggi il concetto di teologi viene con-
cepito nel modo seguente: i teologi sono quei rappresentanti della teolo·
gia ecclesiale che non si distinguono né per l'antiquitas né per la sanctitas,
ma per l'ortodossia riconosciuta e per l'importanza dei loro lavori teolo-
gici. Cf. H. BACHT, Consensus, III, in LTK 2, 3 ( 1959) 45 s. Da parecchi
poi, col termine 'teologi' si intende indicare in prima linea le scuole teo·
logiche. In questo modo si intese anche riferirsi in modo speciale ai teo-
logi del xm secolo, come anche a quelli del XVI e xvn secolo, e si richiese
anche uno spazio di tempo maggiore per la determinazione del consenso
dei teologi. Finalmente si osservi che in parecchi casi si concepi I' autorità
dei teologi in senso più restrittivo di quanto l'avesse intesa M. CANO.
Nel loro consenso non si vide u.na garanzia d'infailibilità, bensì soltanto
un cri~erium ccrtttm. Cf. I. SALAVERRI, De Ecclesia Christi, nn. 845-870:
9_; TOMMASO D'AQUINO e BONAVENTURA nelle loro trattazioni non prendono espres·
samcnte in considerazione questa distinzione: TOMMASO o' AQUINO, S. th., 1, 1, 8, 2;
cf. inoltre A. GARDEIL, La notion de Lieu Théologique, in RSPT, 2 ( 1908) 51-73; 246·
276; 484-805; BoNAVENTURA, ·In Hexaiimeron, Coli. 9, 19-23, in Opertr omnia, v, 375 s.
96 J. DE TORQUEMADA, Summa de Ecclesia, Il!, 93.
'11 Su questo tema il documento di gran lunga più importante è la lettera di Pio IX
Tual Libenter all'arcivescovo di Monaco-Frisinga (1863): DS 2879 e NR 353. A que·
sto riguardo cf. anche H. LENNEKZ, Das Kon~il von Trient und die theologischen
Schulmeinunge,,, in Scholastik, 4 (1929) 38·53. Altri documenti si possono trovare in
I. SALAVEllRI, De Ecc!esia Christi, n. 861: PSJ, I, 780; ovvero in H. BACHI, Comc11-
sus, in LTK1, 3 (1959) 45.
I TEOLOGI
Come per gli scritti dei padri, anche per quelli dei teologi esiste una
duplice interpretazione .100 Innanzitutto si deve stabilire con quale
autorità dogmatica essi si esprimano. Per i teologi più recenti, que-
99 Cf. I. SALAVERRI, op. cit., nn. 87r-883: PSJ, , 784-790, come pure ].B. MgTZ,
Christliche Anthropo:untrik, Miinchcn r962, col saggio in1rodu11ivo di K. RAHNER (pp.
9-20), ove sono elencati anche i più recenti documenti magisteriali. Alla bibliografia
dovrebbe aggiungersi: H. RoNDET, S. Thamas a-t-il une philosophie de l'histoire, in
RSR, 51(1963)177-195.
100 Cf. anche le norme generali di M. LòHRER, supra, pp. 93-98.
I TEOLOGI
143
BASIL STUDER
BIBLIOGRAFIA
1 «Merito igilur Lturgia habetur veluti Jesu Christi s11cerdotulis muneris exercita·
tio in qua per sign11 sensibilia significatur et modo singulis proprio etficitur sanctifica.
tio homini1, et a mystico Jesu Christi Corpore, Capite nempe eiusque membris,
integer wltus p11blicus exercetur» ( n. 7 ).
10 Mystcrium salutis / z,
MODI DELLA M!DIAZIONE
Alcuni decenni sono trascorsi da quando Pio XI, nel 1925, in un:i
udienza concessa all'abate. B. Capelle che ebbe grandi meriti nel-
l'opera di rinnovamento liturgico, ha parlato della «liturgia come
didascalia della Chiesa ... come l'organo più importante del magistero
ordinario». Fu questo un incoraggiamento ad un grande fecondo
lavoro - eco a sua volta di una rottura di cui si è debitori al suo
santo predecessore, Pio x. E se si risale indietro nel tempo, si trova
sempre la convinzione che la liturgia è il mezzo, la misura, la fonte
risanatrice della vita della Chiesa; convinzione, è vero, non sempre
coscientemente accettata, non sempre chiara ed ininterrotta, tuttavia
sempre praticamente vissuta, per quanto occasionalmente travagliata
dalle debolezze dell'epoca storica particolare (il che è perfettamente
comprensibile: la voce 'illuminismo' dovrebbe essere sufficiente a
dimostrarlo}.
Ora, per quanto riguarda il tema di questa sezione, si deve dire
quanto segue: almeno dopo il faticoso, appassionato lavoro dei gran-
di classificatori e ordinatori dei secoli xvn e XVIII - dei GoAR, MAR-
TÈNE, MABILLON, RENAUDOT, AssEMANI, ZACCARIA 3 , tanto per fare
qualche nome - si può affermare che l'omissione fatta da M. CANO
nella sua opera De locis theologicis è stata definitivamente corretta:
la liturgia è un luogo teologico! Infatti, chiunque da quell'epoca in
poi dovette occuparsi scientificamente di questo problema, non potè
fare a meno di questa affermazione. Ora, in nessuna epoca sono mai
mancate delle formulazioni esagerate; che oggi esse abbondino a
buon mercato, mentre le istanze del rinnovamento liturgico godono
del riconoscimento e dell'accettazione da parte della gerarchia, non
deve apparire strano. Ma se si interrogano i teologi di quest'ultimo
mezzo secolo, si deve riconoscere che esistono tra di essi delle forti
differenze: come si è già detto, si passa da coloro che elogiano eneo·
miasticamente il focus theologicus praestans, praestantissimus, fino a
coloro che concordano moderatamente in un'esercitazione teologica
inevitabile... Analoga dispersione si riscontra nella pratica. Si passa
cosl dalla posizione di G. FERRONE (le sue Praelectiones theologicae
l Quest'ultimo merita una speciale segnalazione in relazione col terna che stiamo
trattando; nell'introduzione alla sila Bibliotheca ritualis, Romae 1767, egli tenta in-
fat1i di esporre delle norme per la dimostrazione teologica fondata sulla liturgia.
MODI DELLA MEDIA7.!0NE
6 Ci si riferisce qui alla formulazione completa che risale a TIRONE PaosrERO n'AQUI·
TANIA: legem credendi lex statuat rnpplicandi; v. os 246 NR 693.
7 Per quanto riguarda Je posizioni magisteriali recenti: H. SCllMIDT, 'Lex ora11d1,
!ex crcdendi' i11 recentioribus docume111is po11tificiis, in Periodica de re mor, ca11.
lit., 40(1951) 5-28; Io., liltroductio in Liturgiam occide11talem, Romac 1960, pp. 131-
139. Quale conferma derivata dalla prassi ricorderemo soltanto un documento ass•i
antico cd uno assai recente: «Non oportet ab idiotis psalmos compusitos cl •·ulgarcJ
in ecclesiis dici»: concilio di Laodicea (seconda metà dcl 1v secolo) c. 59, MANSI 11,
'90; «Enimvero, si summopcre oportet, Ecclesiae lil11rgica actio cum catbolicae fidei
professione piane concordet, cum 'lex credendi legem statuat supplicartdi', ac nullae
inducantur pietatis formae quae 11 verae fidci illimibus fonlibus 11011 emane:tt ... »:
GIOVANNI XXIII, Inde a primis, in AAS, 52 ( 1960) 546.
IJO MODI DE!;LA MEDIAZIONE
12 «rpocqiat qKpoµEvocL È'I TCci:rmç !xxÀ.l]aioc14» cosi li chiama 0RIGENE, Iii la. comm.
1,2,14, in GCS, xv, 6.
MODI DELLA MEDIAZIONF.
tà del piano della salvezza nei due Testamenti (e, a tal fine, fa parlare
con sovranità assoluta la Scrittura, con la tipologia e l'accomodazio-
ne, con l'allego resi e col senso spirituale ... ) - quando essa in tal mo-
do istruisce sulla vera storia della salvezza nella sua tensione orien-
tata tra promessa iniziale e adempimento finale - quando essa realizza
la Chiesa come Popolo di Dio e corpo del suo Capo, ~ome un regno
di re e di sacerdoti, come Comunità di santi, nessuno potrà negare
che la sua funzione nei riguardi di queste ed altre verità sia quella
d'un magistero di carattere assai speciale e prezioso.
Vediamo di approfondire la nostra conoscenza del contributo in-
sostituibile della liturgia. Partiamo dai due ultimi dogmi mariani (la
letteratura relativa al dogma dell'Assunta ci è ancora relativamente
presente e rappresenta la conclusione molto naturale di quella rela-
tiva al dogma dell'Immacolata Concezione). In correlazione con que-
ste definizioni è stata approfondita con la dovuta ampiezza una real-
tà che normalmente opera dietro le quinte (e perciò, nella maggior
parte dei casi, resta confinata dietro di esse): pensiamo al senso del-
la fede pre-ufficiale della Chiesa (discente), ossia al sensus fidelium.
La tradizione (che in qualità di realtà teologica ha portata assai
maggiore dell'operazione protocollare che tramanda una 'dottrina')
può esistere solo se è inserita nella vita, se è legata alle persone. Il
soggetto ultimo e profondo che le corrisponde deve essere chiamato
precisamente 'Chiesa'. Chiesa intesa nel senso di soggetto di fede:
non certo nel senso d'una realtà astratta sospesa al di sopra della co-
scienza individuale dei credenti - ma molto reale: come in quanto
corpo possiede lo spirito prima delle singole membra, così essa opera
dando la risposta della fede (e qui si presenta indubbiamente il caso
così altamente valutato da TOMMASO « ... e ciò che più conta, per for-
za d'un interiore impulso proveniente dall'invito di Dio!», v. S. th.
2-2, 2, 9, 3). In essa è innestata, con la luce della grazia della fede,
la 'congenialità' che la fa pervenire alla cognitio per connaturalita-
tem, al contatto pneumatico-simpatico. M. CANO, il teologo classico
della dimostrazione fondata sulla tradizione, purtroppo non ha anno-
verato la liturgia tra i loci theologici, però conosce la giustificazione
fondata su questo argomento,' 9 e attribuisce grande importanza alla
bb. «Dalla fede alla fede» (Rom. 1 ,17 ). Ancora una volta si è con-
fermato che il rapporto tra liturgia e teologia-'scien~a' in fondo è
solo mediato. Ma questa è una costatazione in grado di non procu-
rare preoccupazioni di sorta! Se la parola della liturgia non è diretta-
mente subordinata ad una 'dottrina', lo deve alla sua completezza:
lo deve cioè al suo essere parola attiva e potente - comunicazione
non di verità verbali, ma di realtà. 20
Qui dobbiamo fermarci: sembra che si sia detto più del dovuto.
Non dovrebbe infatti essere caratteristica peculiare, esclusiva della
Scrittura la potenza creatrice, ossia la qualità di non essere soltanto
'parola su' un dato di fatto, ma parola che questo fatto porta alla lu-
ce? 21 Ciò avviene nel kerygma, dove il messaggio si rende p:esente
riBesso o il suo contenuto non ancor del tutto sviluppato, ma anche I' 'animus con-
suetudine imb11tus'; cf. J. RANFT, Der Ursprung des katholischen Traditiomprim:ips,
Paderborn 1931, pp. 24 s..
.20 Solo akune documentazioni al riguardo. Didaché 4,r: «Dove viene annunciata la
sua gloria, là è presente il Signore». 0RIGENE, In Num. hom. 16,9, in GCS, vu, 152:
«Beviamo il sangue del Cristo anche quando 'sermones ei11s recipimus, in quibus vita
consisti/'.,,. Sostanzialmente anche AMBROGIO, In Ps. r, in CSEl, 64,29, afferma lo
stesso pensiero. AGOSTINO, Traci. in Io. 30,1, in CC, 36,289: ascoltare il Vangelo 'qua·
si praesentem Domùium', ecc;. Forse non sarà superfluo dare un accenno ulteriore di
conferma: si accede al libro dei Vangeli con un ritualismo imbevuto di elementi
teofanici; processione, incensazione, luci, il bacio .. ., •Evangelica lectio sii nobis salus
et prolectiD», «Per evangelica dieta deleantur nostra delicla», ecc.
21 Si potrebbe qui erroneamente supporre che ci si voglia riferire ad espressioni
del tutto particolari, mentre si traila proprio di un'autocomprensione centrale della
Scrittura! Tuttavia questo dubbio può essere facilmente eliminato ricorrendo a sva-
riate fonti, e qui si indica Is. 55,u; Mt. u,4 s.; Le. 7,22 s.; 1 Cor. 1,18 ss.; 2,4 s.;
2 Cor. 6,2; 2 Tim. 1,10 s.; Hebr 4,12.
160 MODI DELLA MEDIAZIONI!
l2 AGOSTINO, In Eu_ Io. ITact. So, 3, in CC, 36, ,:129: cacudit verbum ad elemtn-
LA LITURGIA COME LUOGO TEOLOGlCO
lum et fit sacramenlum»; « ... non quia dteitur, sed q11ia creditllr•; «Hoc verbum /idei
tantum valei in ecclesia Dei*.
Z3 La Chiesa (neotestamentaria) non è l'unica realtà posta in correlazione con la
'Scrittura:. Qui si è voluto citare la realtà del popolo di Dio, la realtà escatologica
dal punto di vista delle storia delle salvezza, al fine di poter fare un 'affermazione
valida senza limitazioni di sorta. Così quanto s'è detto vale anche nella Chiesa, in
cui - diversamente da quanto avveniva nella Sinagoga - non può più esserci cadu-
to né rifiuto.
AI.OIS STENZEI.
BIBLIOGRAFIA
2. Kerygma e dogma
1 In questo senso cf. K. GOLDAMMER, Der Kerygma-Begri/J itz der iiltesten chrislli-
chen Literatur, in ZTNW, 48 ( 1957) 77-101.
2 Su ciò cf. TH. KAMPMANN, Das Geheimnis des Aiten Testamenls, Miinchen 1962,
pp.13ss.
3 Come esempio, J GoLDBRUNNER, Katechetische Methode im Dieml des Kerygma,
in Katechetik heute, a cura di J. HoF!NGER, Freiburg 1961, pp. 122-133.
~ Cf. su ciò la breve panoramica di G. FRIEDRICH, xlipul; ecc .. in TW.'NT, 3 ( 1938)
682-717, specialmente p. 702; H. ScHLIER, 'Wort Gol/es'. Eine ne11tes/ame111liche Be-
168 MODI DELLA MEDIAZIONE
Nel greco classico xiipv~ significa l'araldo che ha d'ufficio il potere di por-
tare una notilJi_dL<;!rat~~ pubblico e generalmente vincolante. L'araldo
annuncia la notizia non di StULiniziativa, ma in ossCMiìza all 'incilrico rice-
vuto. Perciò è ]e~i~:i~~~~;;~_JJmto la notizia in sè (ad es. in un detto sa·
pienziale), quanto piuttosto la proclamazione che avviene pubblicamente,
con_g_~~L<:.~~~!~!;__p9_li!Jço, secondo il senso ori8.!!!_~_k_ci_el_~rmine. La ver·
sione dei Settanta non fa grande uso del gruppo di termini incentrato su
'kerygma'. Il sostantivo si trova relativamente pocQ___{!l)._çpJ;.._nel Nuovo Te-
S!!!!!_<:__nto (Mt. 12,41 e par.; I Cor. 2,4; 1,21; 15,4; Rom. 16,25; Tit. 1 ,J;
2 Tim. 4,17 ), mentre il v.edN_~'j11_QJD.t.ra..p.iù di 60 volte, e designa l'attivi·
tà_dell' ~· (xi'jpv~ appare solo tre voltei 'Kerygma' nel Nuovo Te-
stamento significa anrum_gQ_ç!~_~c:u~çi_p,___pieni pote_rb._Q!tola _l!_1:!.toriz~della
_predic32ione. Il verbo significa ad esempio il legi~!2-..!m?.ello di Gio·
vann_i a ricevere il battesimo di penitenza, e il grido d'araldo del Precur-
sore i!l...ld5.~-È!. re messianico. Gesù riprende questo annuncio e proclama
la vicinanza del RegnocrtTiio. Diversamente però da ogni altro annuncio
profetico, il Figlio mandato dal Padre (d. Le. 4,18.43) propone valida e
definitiva la salvezza preannunciata per grazia: 'oggi' (Le. 4,21) si compie
la liber32ione dei prigionieri, la guarigione dei ciechi, viene bandito «l'an-
no di grazia del Signore» (cf. Is. 61,1). Gesù invia i suoi discepoli con
lo stesso incarico: provvisoriamente prima della Pasqua (Mt. 10,7 par.),
definit~mentè.Clòpo·1a··p3-Squa(lc. 24,47 ss.):-c:rt'àMarco adopera il ver·
bo xripuO'O'ELV per indicare lo scopo della missione dei disc~poli (cf. Mc. 3,
14; 6,12, ecc.). 11 verbo ha com5_Qgg~t!:.Q.~q__ki più la predicazione del
Regno .ài..Dio,__d~LY~ggel91Atl_ ChrisJ..6s e della -Tuòlar:-sr-·fOriiia però
chiaramente, già in un primissimo tempo, l'uso assoluto del verbo (cf.
Mc. 3,q; Act. 10,42 ecc.). Il kerygma paolino si stacca da quello dei pri-
mi apostoli in quanto esso non è solo 'annuncio' in base ad una rivelazio·
ne ìiiiinèdìàfiçmaàficne-giìiKery:gma in base ad una paradosis ricevuta
(1 Cor. 15,1 s.). Sul tema-a:·-iT"ScHi.JRMANN, Kerygma 1, in LTK2, 6
(1961) 122 s. (bibliografia); H. ScHLIER, Il tempo della Chiesa, Bologna
1965, pp. 342 ss.; J. R. GEISELMANN, ]esus der Ch1istus, Stuttgart 1951,
pp. 59 s.; P. LENGSFELD, Oberlieferung, Paderborn 1960; H. ScHtiRMANN,
Ibid., col. 123, richiama la nostra attenzione su una distinzione molto
essenziale già nell'interno del Nuovo Testamento: «Evidentemente in
r Tim. 3.16 si guarda al ~-~-r.r_~r._n~-~-E_~~~olic_?~.!-~akhe cosa di con·
cl~_ e perfetto; nel più tardivo xnpuO'O'EL\I della Chiesa (2 Tim. 4,2) v'è in
modo--pìU'-ffiiircato la form'l ddla OLOaxi], e sembra staccarsi da quel
factum 'fondam"entalerqu-àFframandafavy~Ci'lvo•Jua liLliacrxalta ». Soprat·
tutto, il kerygma non si lascia facilmente comprendere come un concetto
sin11ung, Wiirzburg 1958, pp. 23 s., 35 ss., (tr. it. Roma 1963); dello stesso autore v. il
contriburo: Parola nella Bibbia, in D:i:T, 2 ( 1967) ,07-533.
KERYGMA E DOGMA
Studien 12, Leipzig 1962. pp. 74-89, soprattutto 77 ss. Ci si dovrebbe ora
chiedere, se per noi in genere esista un accesso a Gesù ed alla sua stgria
al dLJ1J_ciri dei VangeTì~siorkfTè-ClegT! aftri testi) clie accettiamo""con la
fede. Dov-·è··prò-~orin-;!tivamente esposta e dov'è in genere racchiusa la
vita di Gesù? H. SCHLIER da anni ha posto in luce chiaramente, in base
a r Cor., n~l noto suo saggio Kerygma e Sophia, che il kerygma nella sua
essenza--::.~p.Qar~_~oE!~:P.m::Mmis apostolica normativa. Cf. Il tempOl!ella
Chiesa, Bologna 196 5, pp. 346. L'interpretazione di H. SCHLIER può an-
che presentare qua e là alcune formulazioni un po' troppo sottili; rimane
pur sempre il fatto che egli, all'interno della comprensione neotestamen-
taria del kerygma, ha ric~mato la nostra attenzione su uno stato di
cose che assolutamente non p~·-venir sopp~_qalla mod;-rna-interpre-
taziom. di..~~ termine. -·--··--· ···---
Inoltre non si può sottovalutare il tono' di sfida, presente nel concetto
dL'.~!:'".'Y..&.~a~,_J<;~ill!!la non è solo un qualsiasi messaggio di salyezza
sull'azione decisiva di-010.-Cesilv.lene-'preruèatò' .. assai ma.rcatamente
coWl!.. fGt:ia.t (2 Cor. 4,5 }, viene 'J;!IQ_<;la..roJ~!..Q'S.Qffi..':_'Fig!\Q__ci!_Qio'. Quindi,
già lo stesso messaggio esige (cf. Rom. l0,8 s.), quale risposta adeguata,
la Pi:.<lk.s_sione di fede sulla natura e l'origine di_g~~Cristo. Di qui ad
una 'dottrina' nd senso di 2 Tim. 4,2 il passo è breve. Proprio nella com-
penetrazione di 'resoconto' e 'messaggio-confessione di fede', il kerygma
raggiunge il suo carattere allocutivo ed esigitivo (cf. H. ScHURMANN, in
LTK, 4, 124): l'irruzia.tt.~. d~J ~~g!J~ALDio chiallla alla C:2!1.~~r_sione; la
potenza efficace della parola di invito risveglia la fede ed effettua la sal-
vezzà;_qµ~G9!!!P.fai1ento-aell'a. e!iolà:-crea-trlc:e. 1i1 q_u.·ani:oTlin messaggio
siffatto, il kerygm~_JEi~_che .?._~~~- chi~ll!~.-!li'!amis di Dio. Nell~_predi- I
fcazione si com~-~-~vvic:~:___ciò ch~~en pro~lamato. Noll.J.!~~?nt~~!o'
che viene predi.cato_.è..~ace Ji{["igire: Di~~~~--~!_f~_in _c;.s~ pres~te
Kerygma non è dunque una comunicazione di fatti, per via d'insegna-
mento storico su parole ed azioni di Gesù. Tutti i racconti su Gesù sono
in fondo vecchie storie accadute una volta, più o meno insignificanti per
gli uomini di ~gg·i:~~~~~--~eng~~o intese a partire dalla fede nel messia
risorto (cf. r Cor. 15,14). Di qui la parola del messaggio acquista una for-
za che .r.~_ta_va negata all'annun~ofetico veterotestamentario. Paolo
può dire che questo messaggio è «inarrestabile» ( 2 Tim. 2 ,9} nella sua
«corsa vittoriosa attraverso il mondo» (2 Thess. 3,r ). G. FRIEDRICH in-
tende perfino che la parola della salvezza acquista qui una specie di «indi-
pendenza dal predicatore» (TìVNT, 3,709).
Tuttavia il kerygma deve venir detto sempre di nuovo, affinché si verifi-
chi l~ presenza di Dio'. Da__gl!~SlQ....P.Y!IJ.9 di vista è sbagliato anche restrin-
gere ii .significito ..origino.le di kerygma ~proCiaffiaZTòile-· defVangelo
a1 non:~ristiani;;· neT~e·n.;;-c, Cioè. d'una-piima-prcaicauo.ii.e- mis-sii:inaria. A
MODI DELLA MEDIAZIONE
zialmente il kerygma, cosicché questo Gesù terreno della storia, pur nella
sua distanza, che non gli viene tolta neppure dalla forma kerigmatica dei
resoconti evangelici, può tuttavia divenire la misura alla quale deve sot·
tostare ogni kerygma succcessivo (d. I Cor. 15,1 ss.) Di fronte e nella
più stretta connessione di predica e presenza di questo Gesù Cristo,
la storia raccontata nei Vangeli lascia tuttavia vedere questo Gesù come
un altro, sempre sconosciuto.
Questo de~ivo fondarsi del kery8!!Ja nella storia stessa di Gesù per-
mette all'annuncio di conservare la sua ricca gamma di forme e varianti.
Dobbiamo accennare ad u.n'ultima caratteristica, essenziale o, comunque,
possibile,_nel _conc~_fio--Clrkerygma=La presenza -del.CristOSOfrò forma di
parola__non appare Soiélnella prima predicazione (ad esempio, Paolo al-
l'areopago) o nella comunità numta in assemblea (d. Act. r;), bensl, in
una maniera asw.....ekmentare, anche nel culto._:Awuncio', preghiera e
celebrazione della cena del Signore, in una inscindibile omogeneità e uni-
tà testimoniano la molteplice esperienza della presenza del Signore anche
nel culto dei primi cristiani. La presenza di Dio avviene qui in un'in-
tensità che difficilmente trova confronti. Lo stessocompimento CUituale
della cena del Signore non è senza un esplicito senso 'kerygmatico' «Poi-
ché tutte le volte che voi mangiate di questo pane e bevete di questo
calice 'annunciate' la morte del Signore :finché egli viene» (I Cor. u,26).
Anche il compimento della cena del Signore si può ricondurre al concetto
di 'annuncio' L'intera celebrazione può anche racchiudere in sé molti
elementi disparati, resta tuttavia in essa come elemento costitutivo e cen·
trale che la comunità 'proclami' la morte del Cristo, in una maniera cosl
solenne e pubblica «che egli mediante ciò, nel suo diritto e nella sua
validità, divenga per la comunità evento presente e - nel segno - ma-
nifesto». (H. ScHLIER, Il tempo della Chiesa, Bologna I 965, p. 400, so-
prattutto pp. 404 s.). Il carill~lcrnffi!!ico'.._ di questa ripresentazione
della morte (e della risurrezio..!!tl.jel Signore, diviene particolarmente
chiaro .. neTI'unTtàiiiscind-ibile di cena sacrificale e parola. Questa, nella
sua potenza costitutiva, rende presente il Signore efficace e salvifico nelb
sua morte. Cena, benedizione e frazione del pane da parte loro sono in
maniera decisiva accompagnati e come avvolti da preghiera e parola. Ol-
tre a H. ScHLIER, d. anche R. AsTING, Die Verkiindigung des Wortes im
Urchristentum, Stuttgart I 939, pp. 738 s.; R. ScHNACKENBURG, La Chie·
sa nel Nuovo Testamento, Coll. «Quaest. disp.», Brescia 1966, pp. 40
ss.; J.M. N1ELSEN, Gebet und Gottesdienst im Neuen Testament, Frei-
burg 1937; O. CuLLMANN, Urchristentum und Gottesdiensl, in AT ANT,
3 (Zilrich 41962) 28 ss.; I. HERMANN, Annuncio, in DzT, I (21967) n5-
120.
; Su questo cf. F. MusSNEM, 'Eva11geli11m' tmd 'Mille des: Evan.~eliwns:', tr. in BCR,
5 t. pp. 475-509 (ricca bibliografia). Inoltre: ] .M. DE ]ONG, Kerygma. Een onderzoek
11aar de voroo11der5tellingen van de Theologie i·a11 Rudolf Bultma1111, in Van Gorcum's:
1heologische Biblìotheek 31, Assen 19,s (riassunto tedesco alle pp. J.1.9·353); F.\'.:'
GROSHEIDE, The Pauline Epistles as Kerygma, in Studia Paulma i11 honorem Johan·
11is de Zwaan uptuagenarii, Harlem 19n. pp. 139-145; K. GoLDAM:-.IER. Der Kerygma·
Begriff in der iiltesten chrisllichen Literalur Zur Frage neurer lheolog;scher Begri/f·
5bildungen, in ZNTW, 48 ( 1957) 77-rn1; C.F. EVANS, The Kerygma. in JTS, NS, 7
(1956) 25-41; W. BAIRD. What is the Kerygma? A Study o/ 1 Cor. 15,3·8 and Gal.
1,17, in JRL. 76(1957) 181-191; E.L ALLEI", The Los/ Kerygma, in NTS, 3 (1956-57)
349·H3: K. Sn~mAHL, Kerygma und lurygmatisch. Von zweideu/u11gen Ausdrucken
der Predigt der Urkirche · u11d unserer, in TLZ, 77 (1952) 715-720; H.G. Wooo, Dida
che, Kerygma and Evangelion. in {liew Teslamenls Erray5. Studies in memory o/ Thn.
mas 1Va//er Ma,,son. 1893-1958, Manchester 1959, pp. 306-314; U. WtLCKF.NS, Kery?_
ma und Evange/111m bei Lukas (Beobachlungen ;iu Apg. 10,34-43), in ZNTW, 49
(19,8) 223-237; C. LucK. Kerygma. Tradìtio11 und Geschìchle beì Luka:r, in ZTK, 37
(1960)5I SS.
KEllYGMA E DOGMA
175
Questo prova altresì come deve riuscire fatale una limitazione del con-
cetto di kerygma al puro carattere di 'allocuzione'. L'uso moderno e ormai
convenzionale del concetto di 'kerygma' è assai equivoco e problematico.
Indubbiamente esso torna a far capire elementi originari del messaggio
neotestamentario; ma, accanto a questo elemento positivo, esso mette pu-
re tra parentesi, o tralascia, non pochi elementi che integrano il concetto
neotestamentario di 'kerygma' (ad esempio: missione, potere, paradosis,
il significato degli avvenimenti portatori di salvezza, l'interpretazione di
questi avvenimenti in chiave di storia della salvezza, alla luce della pro-
messa veterotestamentaria), oppure li minimizza (restringendo tutto a!
carattere puramente attuale d'accadimento, accantonando la struttura di
professione di fede del kerygma, limitandosi alle parole di Gesù, ]e quali
poi vengono interpretate in modo proprio, e cosi via). Questa riduzione
si può avvertire solo tenendo presente la situazione concreta della scienza
neotestamentaria. La Formgeschichte aveva scoperto che i racconti del
Vangelo sono sempre già concepiti teologicamente, e scritti in vista del-
l'annuncio di Gesti Cristo quale Signore. Questa scoperta portava talmente
in primo piano il kerygma apostolico sul Cristo (in opposizione al Gesù sto·
rìco), che l'immagine del Cristo sembrava ormai essere solo la figura del•
Cristo predicato (sul tema, cf. già M. KAHLER, Der sogenannte historische
]ems und der geschichtliche, biblische Christus, ( 1892), a cura di ERNST
Wo1.r (Mi.ìnchen 1953. 21956). R. BuLTMANN ha fatto di questa necessità
r;-6 MODI DELLA MEDIAZIONE
virtù, affermando che sul puro fatto della storia di Gesù non si deve con·
eludere assolutamente niente. L'avvenimento storico può essere presente
solo come avvenimento predicato, e quindi e~c.1tologico, e in esso sono
presenti il Cristo e la sua promessa. «La parola dell'annuncio cristiano e
la storia che esso trasmette coincidono, sono una cosa sola. La storia del
Cristo ... si compie nella parola predicata» ( cf. R. Bu1 TMANN, Glauben und
Verstehen I, Tiibingen 21954, p. 292). Contemporaneamente - ed è que-
sto un ulteriore motivo per cui il kerygma viene riconosciuto come sem-
plice 'allocuzione' - il notevole accoglimento di categorie esistenzialisti-
che (e dell'apriori, che ad esse si ricollega, della filosofia moderna, non
esclusi latenti elementi 'idealistici'), pone molto chiaramente l'accento,
quando si determina la natura del 'kerygma', sul suo carattere d'interpel-
lanza. Se la fede è la decisione personale esistenziale dell'uomo davanti a
Dio, l'interpretazione oggettiva dei testi neotestamentari deve portare alla
luce il kerygma, in essi variamente contenuto, in maniera tale che espres-
sioni diventate incomprensibili, 'mitologiche' esistenzialmente non più ese-
guibili, non diano più falso scandalo. Occorre invece che esse possano
venire intese come una possibilità d'autocomprensione per l'uomo. Deb-
bono divenire per l'uditore un appello alla decisione e, con ciò, per la
'parola di Dio' Tutti i passi del Nuovo Testamento che non si lasciano
comprendere in questo senso kerygmatico mediante l'interpretazione esi-
stenziale, non possono essere appunto parola di Dio che interpella l'uo-
mo. In questo senso, il modo in cui R. BuLTMANN intende il termine
'kerygma', in ultima analisi, è tutto un programma teologico. Esso man-
tiene (almeno finora) la sua fondamentale validità anche nelle più recen-
ti questioni, riaccesesi sul 'Gesù storico' (H. CONZELMANN, E. FucHs, G.
BORNKAMM, G. EBELING).
Se in queste determinazioni e ricerche si trovano molti elementi sin-
goli estremamente positivi, va tuttavia detto che essi non abbracciano la
complessità difficilmente circoscrivibile del concetto neotestamentario di
'kerygma'. 'Kerygma' non viene usato nel Nuovo Testamento in questo
senso ristretto. Va detto però espressamente che la ''teologia kerigmatica',
così delineata, pensa d'essere l'unico adempimento oggi realmente signi-
ficativo delle intenzioni di M. Lutero su un terreno storicamente mutato.
La critica perciò - al di là del campo filosofico ed esegetico-teologico-bi-
blico - dovrebbe raggiungere anche questa dimensione di controversia
teologica. Per una ulteriore introduzione, cf. H. OTT, Kerygma, in RGGl,
3 (1959) 1251-1254.
12 Mysterium salutis / 2.
MODI DELJ.A ME.DIAZ!O
lo Spiritq nella stessa misura in cui egli resta presente nella sua
Chiesa. «Perciò, ragion d'essere e qualifica della predicazione alla
comunità del tempo postapostolico sono identiche a quelle del tem-
po degli apostoli. Va dunque ritenuto per certo che il kerygma, qua-
le evento prodotto dallo Spirito (cf. I Tim. 4,14; 2 Tim. 1,14), sorge
nella Chiesa ed è allo stesso tempo indirizzato alla Chiesa ( 2 Tim. 2,
2), non solo ai pagani ... La Chiesa non porta solo il kerygma apo-
stolico alll'averso i tempi per darlo 'agli altri', ai non-credenti, css.i
lo rende attuale anche, anzi soprattutto, nel proprio ambito, on<le
il rinnovamento in comprensione ed obbedienza, per virtù dello Spi-
rito santo, sia reso possibile anche e anzitutto in essa». 9
La predicazione apostolica, quella che gli stessi apostoli fanno
alla comunità, non si esaurisce dunque nella 'ripetizione' d'un keryg-
ma fisso, rigidamente prestabilito, da usarsi soltanto nell'insegnamen-
to dottrinale e nell'ammonizione pastorale. Il kerygma, che in quan-
to apostolico certo rappresenta un qualche cosa di perfetto e di
concluso e, in quanto 'fondamentale', costituisce il centro normativo
di ogni ulteriore kerygma, è un fotto ed un evento che continua ad
essere efficace ed a rendersi attuale. 10 H. ScHURMANN fa notare che
«anche l'annuncio postapostolico della Chiesa può far proprio il ter-
mine 'kerygma'» 11 (2 Tim. 4,2). La parola per così dire semplice-
mente scritta, in quanto puramente esistente, di per sé sola non co-
munica ancora la rivelazione, poiché appunto la sola Scrittura, nel
senso ora accennato, non è ancora la piena misura della rivelazione,
quantunque ne dia notizia. Ora, nella vera e propria storia della
Chiesa, questo kerygma, che corrisponde alla fondamentale procla-
mazione del regno di Dio avvenuta in Gesù stesso e che sempre da
essa resta normato, può rendere attuale questo primordiale annun-
cio, inserendolo concretamente, di volta in volta, nel mondo con-
temporaneo. La rivelazione si fa presente dunque solo attraverso
l'annuncio. Per il fatto che la 'tradizione' compie l'esposizione di
quell'evento che è il Cristo, nella spirituale pienezza di poteri che le
viene da colui che è il Signore, e in quanto la compie come un set-
•l Cf. ad es. ).A. JUNGMANN, 1<.atechetik, Freiburg r953, Anhang Il: Das Kerygma
in der Geschichte der kirchlichen Seelsorge, pp. 290-299; F.X. ARNOLD, Kerygma und
Theologie, in Katechetzsches Worterbuch, Freiburg 1961, pp. 392-_w6. In entrambi i
lavori viene assunta l'opinione, inaccettabile, che il kerygma sarebbe anzitutto la pre·
senta.zione per non-cristiani.
tl Cf. il breve esame sul Kerygma in der Geschichte der kirchlichen Seelsorge, in
Katechetik, Freiburg 1961, pp. 290 ss.
1• Cf. il quadro sul rapporto tra teologia e kerygma nella nota 12 dell'articolo cita·
to di F.X. ARNOLD. Cf. U11tersuchungen z.ur Theologie der Seelsorge, voi. r, 11, x, Frei-
burg 1948 ss., ecc.
15 BRUNO DREHER, Die Osterpredigt von der Reformation bis iur Gegenwart, Frei-
burg 1951.
1• ].A. ]UNGMANN, Die Stellung Chrirti in liturgischen Gebet, Miinster 1925; le.,
Die Abwehr des germaniscben Arianismus und der Vmbruch der re/igiosen Kultur im
/ruhen Mittelal/er, in ZKT, 69 ( 1947} 36-99.
17 Cf. J.A. JuNGMANN, Katbechelik, Freiburg 1961, pp. 91, 287.
1s GEORG MosER, Die Botscbaft von der Vollendung, Diisseldorf 1963.
19 F.X. ARNOLD, Kerygma und Theologfr, p. 396.
KEllYGMA E DOGMA 181
Questa parola detta dal predicatore nella forza dello Spirito, in fede
speranza e amore, rende presente l'oggetto stesso dell'annuncio (in
cui Dio stesso si offre all'uomo), quale messaggio evangelico di sal-
vezza e quale potere vincolante e giudicante. Di volta in volta, a
suo modo, essa rende presente 'adesso' la storia della salvezza in
Gesù Cristo. Cosl divenuta evento per lo stesso fatto di essere detta
e ascoltata, questa parola può venire ricevuta dall'ascoltatore con
fede e amore.
Con questa descrizione riassuntiva dell'essenza del kerygma 20 si
conclude la parte piuttosto teologico-biblica del nostro studio. Pas-
siamo ora a delineare meglio, con una riflessione più sistematica, la
sua struttura interna.
11 Su ciò d. anche E. SCHLINK, Die Struklur der dogmaliscbe11 Aussagc als ijkumc·
11isches Problem, in KuD, 3 (1957) 251-306, specialmente 253 ss.
MODI DELLA MEDIAZIONE
libero amore vuole aprirsi a tutti. Ora, però, questa personale auto-
apertura di Dio, che fa nostra la sua verità esistente in sé solo per
lui, non si verifica soltanto nella privata interiorità del singolo, in
quella dimensione in cui ciascuno è unico e insostituibile. Al con-
trario, essa ha anche una manifestazione storica, si realizza in vera e
propria storia di salvezza, ed ha perciò un reale carattere di 'pubbli-
cità'. Per cui il kerygma ha fondamentalmente e fin da principio un
carattere sociale; è l'enunciato della verità della comunità in quanto
tale. Esso ha per mèta, naturalmente, in quanto evento di salvezza,
quel centro più intimo dell'uomo, in cui egli nella sua insostituibile
libertà, si apre, in forza della grazia, al Dio della grazia. Ma il carat-
tere di sociale 'pubblicità' del kerygma porta con sé appunto anche
la possibilità di manifestarsi in una forma equivoca e deformata. In-
comprensioni, interpretazioni sbagliate e superstizioni hanno qui la
radice della loro possibilità e potenza. La fede appare come oscuran-
tismo, il prodigio della fede come un 'miracolo' messo in mostra,
e così via. La fede in quanto fede sta in questa doppia luce, finché
essa vien considerata nel suo aspetto pubblico-sociale. Un'analisi della
predicazione di Gesù nel racconto dei sinottici ed anche del Vange-
lo di Giovanni, mostra solo più marcatamente questo fatto; Ù keryg-
ma, per dirla una volta in modo assai semplice, implica la possibilità
di venir rettamente predicato e tuttavia di essere falsamente o mala-
mente creduto.
La generale differenza e tensione tra 'pubblicità' e genuina e per-
sonale decisione del cuore da parte del singolo (senza con 'ciò voler
cedere ad una falsa interiorità), si fa sentire anche nel kerygma. La
teologia sacramentaria distingue tra sacramento 'valido' e sacramento
'fruttuoso'. La salvezza realizzata del singolo, difatti, non è imme-
diatamente percepibile nella sfera della storia e socialità della Chie-
sa; questa non anticipa il giudizio di Dio. Corrispondentemente,
anche quanto al kerygma debbono essere distinti il kerygma valido ed
il kerygma che, nel caso singolo, si fa davvero efficace. Ma anche
restando solo valido, il kerygma per sua natura è l'appello ad una
decisione, che porta salvezza o rovina. L'annuncio del lieto messag·.
gio, ricco di dinamica interna, possiede un grado di efficacia, che non
viene del tutto annientato neppure dalla più strenua resisten,za del-
l'ascoltatore. Esso dischiude una realtà. La descrizione neotestamen·
KERYGMA E DOGMA
taria dell' 'annuncio', di cui s'è trattato sopra, anche secondo esegeti
protestanti mostra una certa quale sua 'indipendenza', che gli viene
proprio dalla forza della sua presenza. Ma proprio perché è in tal
modo valido, il kerygma non vuole soltanto esser valido; per sua
natura esso vuole provocare la reale decisione dell'uomo verso la sal-
vezza che affluisce nell'annuncio, e così vuole divenir fruttuoso. Sem-
pre e dovunque perciò, anche nelle sue manifestazioni deformi (can-
zonatura, battuta di spirito, disprezzo ma anche falso trionfalismo,
culto magico, e così via) al kerygma appartiene il carattere di appello
alla decisione. Ora però, in quanto parola di carattere sociale e pub-
blico, che si rivolge a molti e che in definitiva è sempre portata
dall'intera comunità di salvezza, la parola di Dio pilò assumere di-
verse forme; può cioè essere variabile corrispondentemente ai singoli
elementi che costituiscono la natura del kerygma.
Come già è stato detto, il kerygma trova la sua più piena espre~
sione nella celebrazione della cena. Qui, infatti, tutti i suoi elementi
sono presenti nella forma più originale e più alta. È e~idente che
questo kerygma eucaristico non può essere ridotto a ciò che in teo-
logia sacramentaria viene detto parola-forma del sacramento, a ciò
che è assolutamente necessario per rendere presenti il corpo ed il
sangue del Signore. L'eucaristia è la celebrazione della comunità: il
sacramento deve essere compiuto non solo validamente, ma deve
essere anche ricevuto con la fede che giustifica. Tutti questi elementi
della parola propri a questa celebrazione, che a seconda delle circo-
stanze sono necessari per garantire che la celebrazione della cena
abbia uno svolgimento di fede, partecipano in modo essenziale al
kerygma: e così questo non solo si attua in occasione dell'eucaristia,
ma è questa celebrazione. Come poi avvenga in particolare, dipende
dal tempo e dalle circostanze. Può essere lettura sacra, preghiera della
comunità, omelia, parenesi, e così via. Tutte queste forme sono pos-
sibili come figure dello stesso kerygma, che si attua in questa cele-
brazione. Queste forme e .figure, nonostanw la loro essenziale ap-
partenenza ad una concreta celebrazione di fede della cena, vanno
distinte dalla parola sacramentale (nel senso tecnico oggi usuale in
teologia); ciò è giustificato dal fatto della loro variabilità, ch'è mag-
giore rispetto alla forma del sacramento. Esse allora, pur con tutte le
MODI D.ELLA MEDIAZIONE
(19,4); H.G. GADAMER, Wahreit u11d Me1hode, Tiibingen 1960, pp. 256 s.; 26is.; 31os.
e passim. (
KEllYGMA E DOGMA
GORIO NISSENO, Epistola 24. BASILIO MAGNO, De Spiritu Sancto 27, fa una
notevole distinzione tra 'kerygmata' e 'dogmata': i 'kerygmata' sono fa
dottrina della Chiesa ufficialmente definita e come tale resa pubblica, men-
tre 'dogmata' per lui sono le tradizioni e gli insegnamenti non fissati per
iscritto, ed anche i riti liturgici. Essi appartengono ad una tradizione
quasi segreta, riservata, e contengono in prevalenza quello che noi oggi
comprendiamo sotto i fatti 'dogmatici': la 'monarchia' di Dio, lo Spirito
s.11110 come terza p.:rsona divina, e così via. EUSEBIO rappresenta un µun-
to ben determinato d'evoluzione, poiché parla di 'dogmi eccbiasrici' Egli
con questo intende delle vere e proprie proposizioni di fede (la resurre-
zione dei morti e l'immortalità dell'anima), però conosce ancora l'uso più
amico del termine nel senso di 'decreto' ad esempio la determinazioni!
fissata dalla Chiesa, che il giorno di Pasqua cada di domenica.
In fondo dunque una ricerca storica sul concetto di 'dogma' rimane
relativamente infruttuosa se dalla teologia dei padri volgiamo lo sguardo
al concetto moderno di 'dogma' Tuttavia a questa panoramica sulla sto-
rìa del termine si toglierebbe il suo rappresentante più importante se non
prendessimo in considerazione VINCENZO DI LÉRINS. Anch'egli preferisce
il singolare di questo termine. Il suo profondo concetto di 'dogma' pren-
de su di sé anche le funzioni che finora erano legate piuttosto ai concetti
di regula fidei e canon veritatis, cioè dogma diviene in certo modo anche
norma d'interpretazione della Scrittura. «Il concetto di dog~a· dunque
con Vincenzo raggiunge esplicitamente e conseguentemente il significato
di verità rivelata, che, per sua natura, è divina, e, sotto forma di depo-
situm /idei, è affidata alla Chiesa» (M. ELZE, op. cii., p. 4,6). L'influs-
so del suo Commonitorium è però - presumibilmente a causa della su.i
polemica semipelagiana contro Agostino - relativamente scarso, finché
questo scritto non fu enormemente divulgato al tempo della Riforma, ed
usare come testimone di una presa di posizione inequivocabile contro gli
'innovatori'. Cf. M. ELZE, op. cit., pp. 435-438; H. KREMSER, Die Bedeu-
tung des Vinzenz V. Lerinum fi.ir die rom-kath. Deutung der Tradition
(diss. teol.), Hamburg 1959. La regola della retta fede, rivelata una volta
per tutte e ricevuta ab antiquo, è un coeleste dogma, un universale dogma,
un catholicum dogma. Conviene custodire il 'deposito' (depositum) divino
contro ogni innovazione ed umana 'correzione'. «Il depositum non è un
ritrovato degli uomini, ma qualche cosa che essi hanno ricevuto (da Dio);
non una loro invenzione (inventum), ma qualche cosa che è stato loro
affidato (da Dio); non quindi un prodotto dell'umano ingegno, bensì dot-
trina (ricevuta); non d'uso privato ed arbitrario ( privatae usurpationis),
ma una tradizione pubblica (cioè vincolante per tutti: publicae traditio-
nis); non una cosa che da te proviene, ma una cosa che a te perviene
(rem non a te prolatam, sed ad te perductam ), di cui non sei autore, ma
custode (non auctor, scd wstos), non maestro ma discepolo (non instilu-
MODI DELLA MEDIAZIONE
tor, sed sectator), non guida, ma seguace (non ducms, sed sequens). È
necessario conservare inviolato ed incontaminato il talento (Mt. 25 ,15)
della fede cattolica che ti è stato affidato» (Commonitorium 22,23,28,29
nella versione riassuntiva di J.R. GEISELMANN, Dogma, in DzT, 1 (21967)
pp. ,03-,04. Un progresso viene ammesso, purché non muti però ciò che
è originario: «Cresca/ igitur ... et multum vehementerque pro/iciat tam
singulorum quam omnium, tam unius hominis quam tolius Ecclesiae, aela-
tum ac saeculorum gradibus, intelligentia, scientia, sapientia: Jed in suo
dumtaxat genere, in eodem scilicet dogma/e, eodem sensu eademq11e se11-
lentia» (os 3020, che cita Commonilorium 23).
13 My<1crium s:ilutis / 2.
MODI DELLA MEDIAZIONE
194
p1u ampio, in cui viene anche compreso quello che noi chiamiamo
solo fides indirecta o credibilia secundaria. La qualità di veritas fidei
oggi, invece, noi l'attribuiamo solo a quelle verità che sono garan-
tite nella stessa rivelazione divina. Il criterio è l'appartenenza alla
rivelazione formale, che è il campo obiettivo della fides divina. La
teologia medievale, almeno fino al concilio di Trento, ha misurato il
campo della fede secondo l'obbligo interno che nasce da un legame
generale con quanto è morale e conforme alla fede. «Non si voleva
stabilire ciò che secondo la teoria della conoscenza dogmatica, può
reclamare la certezza della fides divina, ·bensl ciò che del compor-
tamento pratico religioso dev'essere sottoposto alla responsabili-
tà della fede cristiana ed alla competenza della disciplina eccle-
siastica della fede». 24 Una credenza viva, non falsata, non si può li-
mitare alle verità immediatamente rivelate, bensi s'estende a tutto
ciò che, in qualsiasi maniera, si riconnette a queste verità, sia come
fondamento e presupposto, sia come conseguenza o corollario. Deci-
siva per la fede è la condotta morale e religiosa dell'obbedienza di
fede; mentre per il concetto di eresia, il fattore principale è rappre-
sentato chiarissimamente dall'ostinazione pienamente responsabile,
dall'errore formale, cosciente, liberamente voluto. Più tardi l'accento,
per quel che riguarda il concetto di fede, si sposta piuttosto sul fon-
damento obiettivo di certezza, mentre la determinazione di eresia
è guidata in sostanza dalle circostanze puramente logiche, in sé certe,
di un'antitesi oggettiva ad una verità di fede (errore materiale), pre-
scindendo dunque dalla concezione soggettiva e da ogni relazione
storica e di fatto. 25
24 A. LANG, Der Bedeutungswandel der Begrif!e 'fides' umi 'haeresis' und die dogma·
tùche W ertung der Konzilsentscheìdungen von Vienne und Trient: MTZ, 4 ( 1953)
133-146, qui citato p. 134. Sul concetto di articulus fidei vedi anche A. FRTES, Zum
theolog. Beweis der Hochscholastìk: Schrifl und T raditìon, in Mariologische Studien,
1, Essen 1962, pp. 107-190, specialmente pp. 109 ss.
25 A. LANG ha mostrato che in MELCHIOll CANO si trovano ancora, nel senso accen-
nato, diversi signifìa1ti di fides e haeresir; cf. Die Gliederung und die Reichweite des
Glaubens, cit. 90 e ss.
MODI DELLA MEDIAZIONE
con anathema, era proprio l'universalità con la quale una verità della
Chiesa veniva annunciata». 26 Non va trascurato il fatto che all'inizio
della riflessione teologica su dogma, fede e infallibilità, questi con-
cetti erano usati molto più liberamente e in senso più generale. In
tale senso, queste parole-chiave erano inoltre molto più flessibili,
cosicché esse furono introdotte assai concretamente nella situazione
storico-ecclesiastica e storico-dogmatica di allora, e da essa furono
qualificate: al Tridentino 'dogma' era ad un di presso come pertine-
re ad fidem, e ciò significava allora: esse contra positiones Luthera-
norum.21 Ulteriori particolari e conseguenze derivanti da questo sta-
to di cose per il concreto lavoro dogmatico, sono facilmente accessi-
bili da altre parti, o evidenti.28
29 Sull'uso linguistico dei teologi evangelici del xv1-xv11 secolo riguardo al dogma,
cf. la breve panoramica di G. EBEL!NG, Wort Goues und Traditio11, Coli. «Kirche
un<l Konfcssion», 7, Gottingcn 1964, 168 s.
KEIYGMA E DOGMA 199
Fino ,.\I che essa mantiene un credo, una dottrina, una dogmatica,
essa ha qu~lcosa di cui la filosofia deve occuparsi, ed in cui questa come
tale si può unire con la religione» (Introduzione alla 2• ed. dell'Enzyklo-
piidie der philosophischen Wissenschaften, ed. J. Hoflmeister, Leipzig
51949, p. 14). Il vuoto intellettuale dell'illuminismo formale ha svuotato
la religione d'ogni suo contenuto. Con tutto il suo parlare di libertà di co-
scienza, di libertà di pensiero, di libertà d'insegnamento, la teologia illu-
ministica non si è curata delle realtà, della conoscenza e del contenuto.
«Mentre si danno molto da fare per una massa di cose indifferenti, che
non hanno niente a che vedere con la fede, quando poi si trovano davanti
al valore ed al contenuto della fede, si fermano, e ancor più aridi diven-
gono davanti al nome del Cristo Signore. Disdegnando deliberatamente,
con disprez'lO, lo sviluppo della dottrina, che è il fondamento della
fede cristiana, poiché l'espansione spirituale, pensante e scientifica, distur-
berebbe, impedirebbe perlino ed annienterebbe la presunzione propria di
coloro che insistono nell'assicurare - assicurazione assurda, incapace di
buoni frutti, ricca solo di frutti cattivi - che essi ed essi· soltanto si tro-
vano in possesso della realtà cristiana» (Prefaz. alla 3• ed., op. cit., p. 24).
Ma anche questo è il canto del cigno per la forma 'dogmatica' del pen-
siero; ogni concezione intelligente deve procedere oltre queste forme di
rappresentazione, fino a determinare la sostanza in quanto soggetto e in
quanto spirito. Gli eredi di HEGEL, della destra e della sinistra, svilup-
parono le sue teorie. La critica della religione e la critica marxista del~
l'ideologia,_ fanno saltare le nebulose rappresentazioni dei dogmi; la libe-
rale 'storia dei dogmi' di F. CttR. BAUER mette in ordine storico quanto
lo spirito ha elaborato, e che già costituisce il passato. La storia dei dog-
mi è diventata 'signore e giudice' della dogmatica. A. VON lliRNACK di·
mostra infine esplicitamente una possibile conseguenza di questo svilup-
po: «La Riforma è la fine del dogma in un senso analogo a quello per
cui si dice che il Vangelo è la fine della legge» (Lehrbuch der Dogmen-
geschichte, m, Ti.ibingen 41910, p. 689). La Riforma, rimuovendo il vec-
chio dogma cattolico, o meglio, le sue premesse, fa saltare ogni autorità
della Chiesa e nega con ciò l'infallibilità alle sue formulazioni simboliche
(cf. ibid., pp. 689-691). «Naturalmente nel Luteranesimo si cerca insisten-
temente qualtosa che stia tra riformab.ile ed infallibile; ma, per quanto
mi risulta, non si è ancora riusciti a trovare niente» (lbid., p. 692 ). Non
si può qui ricercare oltre, storicamente e obiettivamente, ln che misura
il protestantesimo sia «la fine del dogma» (Ibid. ); sulla riassunzione di
questo concetto di 'dogma' nella teologia protestante del sec. xx, si
parlerà più avanti trattando del rapporto tra kerygma e dogma.
gazione viene respinta dalla Chiesa come 'eresia' e bollata con l'ana-
tema (CJC cc. 1325 § 2; 2314 § r). Di solito il concetto di 'dogma'
viene esageratamente considerato sotto il punto di vista del cosid-
detto magistero straordinario, cosl come viene esercitato nei concili
universali e nelle decisioni ex cathedra del papa. Ma anche il magi-
stero ordinario e universale della Chiesa ( «magisterium totius Eccle-
siae per orbem dispersae») costituisce 'dogma' quando, in una pro-
fessione unanime di fede della Chiesa, una realtà di fede divina e
cattolica viene insegnata come rivelata da Dio. Anche qui si esige
un assenso assoluto di fede.
raccolta di questo genere! ), per cui non c1 s1 cura più del contesto
storico, né della provenienza spirituale e religiosa, né del rispettivo
etbo.r, nel quale una tale decisione resta collocata. Il ritorno alle
fonti concrete in tutta la loro ampiezza offre spesso d'un dogma un
quadro assai più complesso e vivente.
Ciò doveva esser detto per attirare l'attenzione anche sui limiti,
comparsi col mutamento di significato del termine 'dogma' che ab-
biamo tracciato. Ricordiamoci la determinazione di 'dogma' fatta da
TOMMASO o'AQUINO: l'accentuazione dell'insegnamento oggettivo,
che introduce nella verità e nella realtà di Dio altrimenti scono-
sciute; dell'appello all'obbedienza di fede, realizzato nell'autoaper-
tura di Dio; la prospettiva di vitale energia religiosa che il dogma
possiede; la derivazione ultima della sua entità e necessità dalla
speranza nella vita eterna, ecc. Questi tratti essenziali vanno alquan-
to perduti nell'uso del termine 'dogma' nel linguaggio ufficiale e non
ufficiale; tale termine, infatti, si polarizza troppo attorno al fattore
puramente formale dell'autorità. Su ciò si fonda anche il fatto che
i dogmi sono stati considerati prevalentemente solo nel loro carat-
tere di 'proposizioni'. I. KANT presuppone unilateralmente questa
concezione, quando definisce la fede come <(accettazione di proposi-
zioni». Veramente, per eliminare queste restrizioni, si dovrebbe ela-
borare tutta una filosofia della proposizione e dell'applicazione qua·
lificata che di essa si fa in una 'proposizione dogmatica'. Per ora
basti citare TOMMASO n' AQUINO e la tradizione in lui condensata:
«Actus credentis non terminatur ad enuntiabile, sed ad rem» (Quaest.
disp. de ver. r 4,8,5; cf. anche S. th. I ,r 4,14 e; 2-2,1 ,2,2 ). L'atto di
fede trova la sua mèta ed il suo fine non in una formula, ma nella
realtà di cui si tratta. Una parte considerevole delle comuni obie-
zioni contro il dogma in genere, è stata possibile solo perché i difen-
sori dei dogmi non esponevano l'intera e più complessa struttura
d'un enunciato dogmatico.
La distinzione più chiara tra depositt1m /idei e dogma, che emerge
come implicita al testo stesso ufficiale del Vaticano 1, portava con sé
alcune difficoltà. Poiché i dogmi sono enunciati umani sulla parola
di Dio, risulta più chiaramente il loro carattere e la loro immanente
tensione. Se i dogmi hanno anche un carattere 'intellettuale', in quan-
to sono conoscenze umane, essi rimangono tuttavia inaccessibili al-
208 MODI DELLA MEDIAZIONE
14 Mystc:rium salutis / 2.
2IO MODI DELLA MEDIAZIONE
blica',31 dal punto di vista della storia delle fdee, ebbe la sua origine
nell'opposizione, aperta o latente, a tutto ciò che è 'dogmatica'. Fin
d'allora è inerente alla teologia biblica il pathos di ricondurre, con-
tro ogni speculazione estraneante, alle fonti più originali di una co-
noscenza teologica pura. Questo distanziarsi dalla dogmatica ha una
delle sue decisive origini anche nella Riforma; e la storia del prote-
stantesimo di questi ultimi tempi insegna che le parole d'ordine
'teologia biblica' o 'kerygma' hanno contribuito· a soppiantare com-
pletamente il pensiero dogmatico. 32 Oggi certo non può più venir
sostenuta - come affermano ad esempio A. VON HARNACK e la sua
scuola, M. WERNER ed altri -, con rozza e solo antitetica asprezza,
l'opposizione ormai ricorrente tra l'originale purezza del Vangelo
e il linguaggio secondario, ontologico, della teologia dogmatica, cre-
sciuto su terreno ellenistico.n La differenza però, considerato anche
il frequente cattivo uso del modo di pensare dogmatico, è indiscu-
tibile. Ne deriva il compito, cui non ci si può sottrarre, d'esporre,
fondandolo oggettivamente, il passaggio dal kerygma al dogma.
JI Su questo concetto e la sua storia cf. G. EBELING, Wort unà Gnade, Tiibingen
21960, pp. 71 ss.; H. SCHLIER, Besinnu11g auf des Neue Testamenl, Freiburg 1964, pp.
7·24; 2,-34; 60 s.
l2 Cf. il divenire storko di queste tensi i di cui parliamo infra, riguardo alla
storia dei dogmi' (d. 4 B 1) e supra, cc.
ll Cf. nei particolari A. GRrLLMÉlER, Hellenisierung · Judaisierung des Christentums
als Deuterprinzipien der Geschichte des kirchlichen Dogmas, in Scholastik, 33 (I9,8)
p1-355; 528-n8; P. HENRY, Hdlenismus und .Christentum, in LTK2,' (1960) 2r,.
222 (con bibliosrafia).
KBJtYGMA E DOGMA
14 Sul retto criterio per valutare le formule di fede e la paradosis in genere, cf. so-
prattutto il già citato lavoro di H. ScHLIEB.; P. BENO!T, Le origini del Simbolo degli
apostoli nel Nuovo Testamento, in Esegesi e teologia, Roma 1964, pp. 461-487.
lS Esempi e prove, spedalmente su 1 Cor. 15, 1 ss., in K. LEHMANN, Auferweckl
am dritten Tage gemiiss den Schriften, Freiburg 1966, ov'è raccolta anche la restante
bibliografia sul problema della tradizione delle confessioni di fede. Cf. H. CoNZEL-
MANN, Zur Analyse der Bekenntnisformel r Cor. I5,3-~, in EvTh, 25(I965)M1 (con
bibliografia). Sul diverso sfondo teologico delle tradizioni di confessioni di fede, d.
soprattutto W. KRAMER, Christos - Kyrios - Gottessohn, Ziìrich.Sruttgart 196 3; F. HAHN,
Christologische Hoheitstitel, Gottingen 21964, e la relativa disamina in K. LEHMANN
(1,3).
36 Sulla riflessione di fede all'interno del Nuovo Testamento, cf. K. RAHNER, Theo-
logie in Neuen Testament, tr. in BCR, 62, pp .. 167-204, e lo studio di K. RAHNER·
J. RATZINGER, Of!enharung und Oberlieferung, Freiburg 1965, pp. u-24.
37 Cf. i lavori, naturalmente contrapposti, sulla tradizione in Paolo in O. CULLMANN,
E. BAMMEL, L. CERFAUX, E. LICHI'ENSTEIN, B. VAN IERSEL, KL. WEGENAST, ed altri .
.l8 Cf. H. CONZELMANN, «Was von Anfang war», in Ntl. Studien f. R. Buitmann, in
216 MODI DELLA MEDIAZIONE
BZNW, 21 (Berlin l9H) 194-201; e F. MuSSNI!R, Die ;ohanneische Sehweise und die
Frage nach dem historiscben ]esus, Coli. •Quaest. disp.», 28 Freiburg 196;i (con bi-
bliografia).
J9 Cf. J. RATZINGER, nel volume sopra citato, io collabor112ione c;on K. RAHNI!R, Of-
fenbarung und Uberlieferung, pp. 34·40; ID., Tradition, in LTK1, 10 (196;i): con bi·
bliogra6a.
KERYGMA E DOGMA 217
li elementi essenziali, che ogni discussione sul dititto del lavoro dog-
matico deve premettere all'interno della teologia cattolica.42 Volendo
però fondare le cose in modo più esauriente non ci si può sottrar-
re alle più recenti obiezioni, che toccano in primo luogo proprio
la sostanza fondamentale del fatto dogmatico e i. suoi presupposti.
Gli obiettori ritengono oggi, data l'ampiezza delle variazioni del ke-
rygma neotestamentario, di non incontrare alcuna reale unità della
Scrittura (e con ciò anche della Chiesa). L'espressione di E. KXsE·
MANN è divenuta famosa: «Il Canone neotestamentario, come tale,
non fonda l'unità della Chiesa. Al contrario esso, come tale, cioè cosl
com'è accessibile allo storico, fonda la molteplicità delle confessio-
ni».43 Con questa affermazione della fondamentale indimostrabilità di
up'unità della Chiesa, e con la negazione del diritto d'una pretesa
confessionale di assolutezza, di sicuro cade completamente anche il
diritto, anzi persino la possibilità, di decisioni dogmatiche vincolanti.
La penetrante, unilaterale formulazione di questa espressione non ci
deve distogliere dalla genuina questione, che anche per un teologo
cattolico può esservi racchiusa. Il concetto di ciò che è dogmatico e
il passaggio dal kerygma al dogma, se si passa attraverso la proble-
matica connessa con la cosiddetta 'varietà del kerygma neot'estamen-
tario', possono meglio precisarsi.
42 Una buona esposizione di questo tipo offre L. SCHEFFCZ,'K, D~e Auslegung der
Hl. Schrift als dogmatische Ausgabe, in MTZ, 15 (1964) 190·204.
4J Il Canone neotestamentario fonda l'unità della Chiesa?: Exegetirche Versuche
und Besinnungen, I, Gottingen 31964, p. 221. Similmente anche W. Ml\RXSEN, Einheit
der Kirche?, in Ringvorlesung der Evangelisch-Theologiscben Fakultiit der West/ali·
schen Wilhelms-Universitiit Miinsler, a cura di W MARXSEN, Witten 1964: Dar Ncuc
Testament zmd die Einheit der Kircbe, pp. 9-30. '
KERYGMA E DOGMA 219
Per trovare il 'centro' reale della stessa Scrittura vengono proposti anche
~eri; si tratt;'.j)e-rò· al-piiiiff-dlvista -pàfiìèolarré hrn1taTi:-Feresem-
pio la Scrittura viene considerata come j,i_r1ità_.~f!!!l.!ll:illcio' (vedi il lavoro
1eologico di H. DIEM), come unità...fil..Q.rico-salvifica. Ora se 'unità d'annun-
cio' si oppone a_'._tlnit~.QLA2!.Wna ', tutte le differenze si chiariscono be-
nissimo in base alla situazione in cui ha. luogo di volta in volta l'annun-
cio. Solo che la situazione dive!!~.!!....ID!L troppo facilmente il criterio dello
stessQ .m~s~~o; mentre,liel migliore dei casi, essa dà al Vangelo mo-
tivo e spun_~QL!_ll:~.. -~~nza prestar&Ii il suo propi-io carattere a tal punto, che
il messaggio si scomponga nelle stesse mutevoli situazioni. 'Storia della
salvezza.'....a..~~ol~~-~ un concetto ambiguo: è una specie di teologia
della storia, .a_un_..lllCllilClltQ._~.i!i.f..Q_JtllJnterno della teol0glapaolrna? 51
Se poi si individua il 'canone nel canone' in un 'kerygma primitivo' o in
una 'prima testimonianza', 59 ci si immerge in discussioni senza fine. Pro-
prio di_ rc:cc:Q.t_e,_!nfai_tj, __~!. sono fatte storicamente problematichc;_k. co-
struzioni e le ricostruzioni arcaizzanti ael cos.id_d~U.e>_3.~!"Y_gl'!1!LQILmitivo'
Si deve inoltre, verosimilmente, fare i conti, proprio nei primi leiìipi,
con un.!I m<>Jt~licità reJativamente grande (si raffrontino ad esempio i
discorsi degli AÙTdegif apostoli secondo le indagini di U. WILCKENS, E.
HAENCHEN ed altri, con una più precisa analisi di r Cor. 15,3 ss.). Il 'pro-
to-kerygma normativo' resta una questione assai complicata, se per giunta
si bada meno alla realtà cosl com'è espressa verbalmente, che ad una data
concettualità, aprioristicamente stabilita, che si vuol scoprire.
Filologia e storia dei concetti non bastano da sole alla soluzione del-
le questio~i_J.qrr~-~~iitafCl~-~assà·di-~at~~we-da rieìa~~are scien-
tificamente, già enorme, è in continuo aumento. 60 Si pensi che la
traduzione di conceùil:i.il)llcTTc>nC!amén:t'aii,-acrèsempio djnamis come
'potenza' o come 'forza/possibilità', 61 non è senza presupposti. Non
a caso oggi l'esegesi talvolta si rasse8J!?. davanti alle questioni di teo-
logia _4i ~~~troversia, 62 e in fondo riconosce ~olentie~i che--sono pre-
cisamente le . grandi basilari differenze ermeneutiche a decidere le
diverse comp~efi~i~~-C'I~ q~~ii-~~~-;o~~--Jeft"uuoindipendenti e se-
parabili cfalp~ocesso inteTretativo. Cosi viene abbandonato un sem-
plicistico sola s~·;j-p/-;;,..a. 61 c:-;;~1-;iesso si scoprono elementi teologici
51 a.
H. ScHLIER, Besinnung auf das N.T., p. 28.
Cosl W. MARXSEN, Kontingenz der O/Jenbarung oder (und?) Kontingenz des Ka-
59
nons?, in NZST, 2(196o)3nss., specialmente p.363.
60 Cf. la 1eslimonianza di E. KAsEMANN, al quale, Ira gli esegeti, non si può cer-
tamente negare il senso del compilo dello s1orico: «La piccola guerra degli specialis1i,
in cui si è molto più sparato e fallo confusione che colpito e deciso, diviene sempre
più impenetrabile• (Exegetische Versuche und Besinnungen, 11, 241).
61 Cf. la controversia E. KASEMANN - R. BULTMANN, in Exegetische Versuche und
Besinnungen, II, t86 nota.
62 Cf. E. KASEMANN, Exegetische Versuche und Besinnungen, 1, 221 ss.; n, 135; os-
servazioni critiche in G. EBELING, Wort Gol/es und Trlldition, 147 ss.
63 «Con un sola Scriplura ingcnuamen1c vincolanle, nel senso d'un canone u11ual-
15 Mys1erium salmis / 2.
226 MODI DELLA MBDIAZIONE
meme vincolante in tu!te le sue parti, la teologia evangelica non la spuma più con-
tro il cattolicesimo»: G. EsEllNG, Wort Gottes und Tradition, p. 149; sulla questio.
ne, IbUi., pp. 9I-I43.
04 Cf. G. EBELING, loc. cii., p. 149; E. KASEMANN, Exege1irche Verrnche rwd Be-
.rinnungen, 11, 239-2,2, ecc.
t.s G. EBELING, Worl Golles und Tradi1ion, p. 149.
66 E. IV.SEMANN, Exegel. Versuche und Besinmmgen, 1, 221 s.; criticameme G. EBF.-
LING, Wort Golles und Tradition, pp. IP·IH.
67 «Spirito e tradizione non è che debbano essere identici, ma neppure si esclu-
dono necessariamente» (E. KASEMANN, E.-ugelische Versuche und Besinnungen, u. 26~).
ltERYGMA E DOGMA 227
68 Su ciò vedi anche W. PANNE.NBEllG, W'as ist eine dogmatische Aussage?, in Pro
veritate Festgabe fuf Erzbischof Lorenz Jaeger und Bischof Wilhelm Stiihlin, a cura
dì E. SCHLINK und H. VoLK, Miinster 1963, pp. 33<)-361; 348 s.
69 Cf. ad es. W. PANNENBEllG loc. cit., specialmente pp. 249-2jI (con altre indica-
zioni), da cui si può attendere con ragione ulteriori schiarimenti.
70 Cf. la critica di E. KAsEMANN, Erwiigungen zum Stichwort 'Versohnungslehre im
N.T.', p. :57·
71 a. ad es. G. EeELING, \Vort Gotus und Tradition, pp. 166-170.
72 1bid., p. []O.
228 MODI DELLA MEDIAZIONE
7l Cf. G. EBELING, loc. cit., pp. 167 s. Inoltre: Die leirchenlrennende Bedeutung vo•1
Lehrdifferen2en, in Wort u11d Glaube, Tiibingen 21962, pp. 161-191.
74 Cf., ad es. K. BARTI!: di dogma è la concordanza dell'annuncio ecclesiale con
la riv~Qn~ testimoniata nella sacra Scriuura• (KD';-i/x,---zUriffi" *1964, p. 28o); la
dogmati;; ha-ifcompTto----;Ql"-àlé«CreTn-questione l'uguaglianza tra la Parola di Dio
e la parola umana nella sua forma di annuncio ecclesiale, per averne una conferma»
(1 bid. ). Vedi più avanti, ibid., pp. 283 s.; 289; 290. Altre testimonianze al ri~ardo
in W. ELERT, Der christliche Glaube, Hamburg 319,6, pp. 43 ss.; P. ALTHAU~, Die
christ/iche Wahrheit, Giitersloh 519,9, S 24; O. WEBEI!, Grundlagen der Dogmatile,
1, Neuk.irchen l1964, pp. 43-49. P. TILLJCH considera oggi impossibile l'uso dei termi-
ni 'dogma' e 'dogmatica': vedi la sua Systematiscbe Theologie, 1, Scuugart l19,6, pp.
41 ss.
1s G. GLOEGE, Dogma, in RGGl, z (1958) 223.
76 E. Kii.SEMANN, Erwiigungen 2um Stichwort 'Versohnungslehre im N.T.', p. 58.
ICERYGMA H DOGMA 229
si tratta pur sempre d'un unico oggetto. 77 Che cosa vuole dunque
l'indagine critica, quand'essa porta scompiglio nella tradizionale com-
prensione di questo oggetto dogmatico del Nuovo Testamento? «Vien
criticato quell'uso, che fa del Nuovo Testamento qualcosa come un
libro di ricette, con il cui aiuto si possono risolvere immediatamente
questioni dogmatiche. Viene criticato quell'uso, che pensa di poter
intendere gli scritti neotestamentari come dei discorsi rivolti im-
mediatamente al tempo presente. Ma con ciò allora viene criticato
proprio quel metodo cli servirsi della Bibbia, con il quale ogni Con-
fessione pensa di poter provare la propria concezione a partire dal
Nuovo Testamento ... Non i testi stessi dunque sono l'oggetto. Essi
invece sono dell'oggetto la testimonianza condizionata dal tempo e
dalla situazione». 78 Se poi, come il mistero più intimo della confes-
sione cristiana di fede, viene suggerita la proposizione «io credo in
Gesù Cristo», nessuno davvero tra quanti ambiscono al nome di
cristiani negherà questa proposizione. Ci saranno però subito mille
possibilità d'intenderla, e tutte le diatribe cristologiche del primo
millennio si presentano con la questione, sempre dibattuta, chi mai
sia questo Gesù.
La storia della fede cristiana dimostra appunto che non basta fer-
marsi alle parole della Bibbia. Qualora il teologo sistematico, in una
considerazione puramente 'storica', si fermi alla parola della Scrit-
tura, egli priva la Scrittura medesima della sua vicinanza al presente
e della sua efficacia. Nella scienza teologica e anche nella semplice
vita di fede non vi è alcuna relazione immediata e senza presupposti
con la Scrittura, se si trascura la storia dell'appropriazione del Van-
gelo da parte della Chiesa. 79 Chi agisce come se non avesse alcuna
tradizione, e volesse attaccarsi unicamente ad un'ostinata sola Scrip-
tura, sarebbe solo più profondamente irretito dalla sua propria pro-
venienza, divenutagli ormai completamente ignota.ro È indiscutibile
il fatto che il linguaggio del Nuovo Testamento non offre alcuna
tiva del fatto della rivelazione». 90 Questa decisione deve venir qui
presupposta anche nel suo significato. Essa viene riconosciuta anche
da una gran parte della teologia evangelica come regola permanente
di vita della Chiesa.91
Infine, la più recente esegesi ci informa che il Nuovo Testamento
presenta ormai in una riflessione di fede la testimonianza della rive-
lazione in Gesù Cristo; ancor più ci informa che il fatto della rivela-
zione non venne mai formulato in parole e concetti senza che «esso,
insieme alla fede, accendesse il pensiero di fede e provocasse la rifles-
sione di fede». 92 Non c'è 'parola di Dio' che non si presenti già come
parola udita nella fede e in essa anche pensata. 93 Cosicché, in que-
sto senso, la stessa 'rivelazione', fin dalle fondamenta e nella sua
essenza, cioè in quanto viva autoapertura di Dio, esige l'uomo che
ascolta e pensa come luogo della sua realtà, senza il quale essa non
può essere. 94 Ma questo già significa che lo stesso Nuovo Testamento
contiene indicazioni per la riflessione di fede e per una possibile
ulteriore problematica sul prolungamento delle sue visuali.
Inoltre, il pensiero che oltrep11~sa la Scrittura non può ancora
esser accusato di abbandonarla. L'osservazione sarebbe valida solo
se le formulazioni, le parole (meglio: i vocaboli) e i concetti della
Scrittura venissero presi per se stessi, senza l'oggetto da essi inteso.
Sarebbe ora da mostrare, in base alle teorie della moderna proble-
matica fenomenologica ed ermeneutica (HussERL, M. HEIDEGGER, H.
LIPPS, GADAMER, ed altri) che, in quanto tale, nella sua profondd
incoscienza ed astrattezza (per dir così) la parola porta con sé ed in
sé nasconde una dimensione interna di pluralità di significato e di
fondamentale apertura. Così, proprio nella accidentale incompiutezza
90 H. ScHUER, Biblische und dogmatirche Theo/ogie: Besìnnung auf das Neue T~
stame.zt, 2,·34; la citazione è a p. 26. La seguente trattazione si attiene molto alle
esposizioni di H. ScHLIER. Dello stesso v. Teologia biblica e· Teologia dogmatica, in
L. KLEJN (a cura), Discussione sulla Bibbia, Coli. «Giornale di teologia» r, Brescia
l1967, pp. 125·r44.
91 Cf. <oprattutto E. KINDER, Urverkiindigung der Offenbarung Goltes. Zur Lehre
von den 'HeiJigen Schri/ten', in Zur Auferbauung des Leibes Cbristi. Festgabe P
Brunner, KaS11el 1965, pp. u-27.
92 H. ScHLIER, Besinnung auf das Neue T estamenl, p. 26.
93 Cf. K. RAHNER, Wor/ Gol/es (systernatisch), in LTK2, ro (1965).
94 Cf. anche J. RATZINGER, O!Jenbarung u. 'Oberlieferung (in collaborazione K. RAH·
NER), p. J,.
Ml'Ul DE.LU MEDIAZlONJ::
234
del nostro dire, scaturisce una forza linguistica che mette in gioco un
tutto, più ricco di senso, di relazioni a domande e risposte: il sin-
golo soggetto, al momento, non può dire tutto esplicitamente e nel-
la sua· interezza. Se dunque lascia apparire in sé anche quello che
non viene detto, ogni parola racchiude un'eccedenza di senso non
sempre attualmente riconoscibile, che si manifesta solo in una sto-
ria dell'esperienza ermeneutica, e che viene detta in questo discorso
che è la storia. Questa idea moderna in fondo è un'idea antica. Ad
esempio, già all'inizio dell'opuscolo De natura v.erbi intellectus ( pre-
5umibilmente di TOMMASO n'AQUINO, ma che comunque si trova fra
le sue opel'e) si legge: «quod verbum cum re dieta per verbum con-
venientiam habet maiorem in natura sua quam cum dicente, licei in
dicente sit ut in subiecto». Ora, nell'ambito di un retto concetto di
ispirazione, sarebbe da mostrare che questa proprietà della parola
umana riesce fruttuosa solo nella 'parola di Dio sulla bocca umana','IS
dove un'infinità di significato da interpretare viene deposta nel
finito in un modo eminente.
Perciò non v'è alcuna contraddizione se gli scritti del Nuovo Te-
stamento, nati in una determinata occasione e diretti a concreti de-
stinatari, rivendichino una ulteriore e più vasta portata. Forse non
si sa bene, ad esempio, per chi sia stato scritto il Vangelo di- Gio-
vanni. Comunque si può e si deve senz'altro vedere nella lettera
ai Colossesi una lettera ai cristiani di Laodicea. Nelle lettere pa-
storali il vangelo paolino appare esplicitamente come 'eredità', che
Dio custodirà fino agli ultimi giorni, e che Timoteo deve custodire
come 'mode~!n delle sane parole'. In queste lettere diviene anche
chiaro dove fondi la possibilità di trascendere, senza sacrificarla,
l'originaria determinazione, e come avvenga questo superamento.
La parola, in cui si è deposto l'avvenimento salvifico e in cui esso
verrà conservato in forza dello Spirito, è, se si può dire così, una
'proto-parola' (parola primordiale). Essa è detta per una situazione
concreta; tuttavia fa scaturire da sé, di volta in volta, la parola che
illumina ogni situazione. Ciò accade però nell'interpretazione che
la richiama. Essa è una fedele, viva ripetizione del suo enunciato
per il rispettivo presente. Ciò non vale solo per la parola aposto-
9s Gli autori si riservano. all'occasione, di fondare meglio queste idee qui solamen-
te accennate, e di esporle nel loro profondo significato filosofico e teologico.
KEltYGMA E DOGMA 2 3.5
pita una unitarietà materiale; è giusto anzi dire che nel Nuovo Te-
stamento, se ci sono asserzioni formali, non esiste però una formula
determinata, usata alla lettera da tutti i primi testimoni cristiani,
per annunciare la rivelazione in Gesù Cristo. E anche indiscutibile,
tuttavia, che la 'parola' di morte e risurrezione del Signore, già pri-
ma degli scritti neotestamentari, si condensa in asserzioni formali,
e, nella forma d'una reale tradizione di confessione del cristianesimc
primitivo, s'impone variamente agli scritti che vanno costituendosi
(come patrimonio liturgico-innico, o catechetico-parenetico, oppure
caratterizzato ancora in altro senso). In queste diverse tradizioni si
possono riconoscere alcune poche forme originarie, nelle quali ven-
gono espresse idee teologiche essenziali. «In realtà la storia della
tradizione neotestamentaria ha sempre più chiaramente mostrato che
gli scritti del Nuovo Testamento racchiudono in sé una serie di tra-
dizioni di fede fisse, e soprattutto anche formule di fede che, volerlo
o no, caratterizzano se stesse e il loro annuncio. Una paradosis or-
mai fissa ha per esempio normativamente determinato la struttu·
razione del racconto della passione, ed ha dietro anche la sua teolo·
gia. Schemi di originaria predicazione di fede e formule di fede
emergono ripetutamente e in passi decisivi negli Atti degli apostoli
e nelle lettere del Nuovo Testamento, e si dimostrano norma di fede,
sviluppata poi nei testi ... nondimeno si può accertare la presenza
di alcuni princìpi teologici, costituenti la base della teologia degli
scritti neotestamentari, che la condizionano e insieme trovano in
essa sviluppo. Con ciò diviene chiaro che la teologia che si esprime
negli scritti neotestamentari implica ormai, come fonte prossima di
fede, l'esposizione della concreta parathéke apostolica». 100
100 H. ScHLIER, Besinnung auf das Neue Testament, pp. r,·r6. Cf. anche lbid., no-
ta 20, con il rimando ai lavori di R. BULTMANN, M. DIBELIUS, W. HILLMANN, K.H.
ScHl!LKLE, J.R. GEISELMANN (come completamento, v. la bibl. accennata nelle noie
34, 3,). lnohre G. ScHILLE, Das Leiden des Herrn, in ZTK, ,2(I9'3l I61-205.
KERYGMA E DOGMA
to nel senso che esso, puntando di per sé al campo d'aùone più vicino,
tende ad un orizzonte d'esperienza sconfinato. Ma nella Scrittura esso si
mantiene in contatto col mondo». 103 La conclusiva costituzione d'un can0-
ne può comunque venir compresa solo come un atto di confessione ecclesiale.
Oggettivamente esso significa però: prima che esistesse un 'canone', e
con ciò anche in senso pieno ciò che noi chiamiamo 'Scrittura', la Chiesa
aveva già formato un'altra norma. A. VON HARNACK formula drasticamen-
te il fatto di questa precedenza d'una originaria re.gula {idei: «Originaria-
mente canone era la regola di fede; la Scrittura in verità vi si è interpo-
sta».'°' Questa viva regola di fede (cf. 1 Clem. 7,2: canone della para-
dosis) non viene dopo la fissazione della Scrittura. «L'esistenza di scritti
neotestamentari riconosciuti come apostolici non significa ancora l'esisten-
za d'un 'Nuovo Testamento' come 'Scrittura' - dagli scritti alla Scrit-
tura c'è un passo ulteriore. ~ noto, e non va trascurato, che il Nuovo
Testamento in nessun passo intende se stesso come 'Scrittura'. 'Scrittura'
per esso è solo l'Antico Testamento, mentre il messaggio del Cristo è 'Spi-
rito', che insegna a capire la Scrittura. L'idea d'un 'Nuovo Testamento'
come 'Scrittura' è qui ancora completamente impensabile - anche là
dove 'l'ufficio', quale forma della paradosis, acquista già figura chiara.
Questa situazione aperta, in cui esistono e sono riconosciuti degli scritti
neotestamencari senza che esistano il principio di Scrittura neotestamen-
taria ed un chiaro concetto di canone, arriva lino in pieno n secolo -
precisamente fino al tempo della controversia con la gnosis». 105 J. RATZIN-
GER a proposito della frase di AGOSTINO, che la regula /idei è «de scriptu-
rarum planioribus locis et ecclesiae auctoritate» (De doctr. christ. 3, 2, 2 ),
ha richiamato l'attenzione sul fatto che qui, in un certo senso, viene sen·
z'altro affermata la 'Scriptura sui ipsius interpres', in quanto la Tl'Jl,Ula
che per prima ci apre la Scrittura è presa dalla medesima Scrittura; ma
la Scrittura è al tempo stesso superata, perché l'autorità della Chiesa sta-
bilisce come espres;ione della sua fede il 'canone' La regula /idei, chia-
mata anche fides fino al tardo Medioevo (cf. supra, 2 c, bb), e sinonimo
del più tardivo 'dogma', in effetti non è primariamente una somma di
proposlZloni, bensì 'regola' nel senso d'un primo 'principio' costitutivo
della fede, e precisamente della fede viva della medesima Chiesa, attra-
IOl H. ScHLIER, op. cii., pp. 46-47. Che la fissazione del canone non sia cosa sfortu·
nata, vien proprio anche da G. EBELING, Das W eten des christ/ichen Glaubens, p. 41:
« ... del resto la delimitazione del canone da parte della Chiesa antica, considerata nel
suo insieme, è da definirsi sorp~ndentemente centrata..
104 Dogmengeschichle, n, Tiibingen 4 1910, p. 87, nota 3.
IOS J. RATZINGER - K. RAHNER, Episcopato e primato, Coli. «Quaestiones disp.», Bre·
scia r966, p. 56.
Kl!llYGMA E DOGMA
t 6 - Mysterium salutis / 2.
242 MODI DELLA MEDIAZIONE
Con queste elucidazioni deve anzitutto divenir chiaro che l' 'og-
getto' del 'Vangelo' e la richiesta che è implicita nella parola e che
si manifesta nella dottrina e nell'autorità della Chiesa, non sono due
dimensioni poste l'una accanto all'altra, e poi collegate in un secondo
momento e per un di più. Naturalmente ci sarebbe moltissimo e di
essenziale importa02a da aggiungere: la presenza dello Pneuma nella
Chiesa; 115 l'esatto concetto d' 'infallibilità', 116 che, accanto agli aspet-
ti giuridici, dà il suo giusto peso all'infallibilità in credendo della
Chiesa universale e che rende chiari i cosl spesso ignorati fondamenti
dell'infallibilità (in confronto con gli aspetti giuridici); la retta fun-
zione del magistero come norma di fede (che proprio in questa ca-
ratteristica è qualcosa di diverso dalla Scrittura quale norma di fede);
la retta intelligenza della 'tradizione' in genere, e mo1te incompren-
sioni psicologiche, nonché i loro motivi: tutti questi sono temi che
andrebbero illustrati in modo particolareggiato.
Da un punto cosl decisivo del lavoro di controversia teolo-
gica non si può uscire solo con argomenti. Il dato 'dogmatico'
11l Cf. J. RATZINGER, Episcopalo e primato. Coli. «Quaes1iones disp.•, Brescia 1966,
pp. 4,.,9. Tradi1ion, in LTJ(l, 10 ( 1965).
114 Cf. le invettive di K. BARTH in questa direzione (per esempio KD, 1/2, pp. ,98);
d. inoltre H. KONG, Strukturen der Kirche, pp. 326 ss. (ed. il. Torino 196' ).
115 Questa parte non fu mai del tutto dimenticala neppure: nelle: decisioni del ma·
gistero: cf. J. RATZINGER, Oflenbarung und Oberlieferung, pp. ,o ss.
116 Cf. inoltre H. KiiNG, Stru!tluren der Kirche, pp. 309-u' (rr. i1. Torino r965) e
A. LANG, Unfehlbarluit, in LTK2, 10(196,).
KERYGMA E DOGMA
243
120 Ciò vale, perché un'ontologia esistenziale, renamente autocosciente, deve risol-
vere il problema, se al di fuori d'essa esistano altre ontologie (ad es., della natura,
del mondo matematico), e in quale relazione queste stanno con essa; in altre parole,
deve risolvere il problema d'una 'ontologia fondamentale'. Tale questione non viene
più neppure posta.
121 Augustin und das Paulinische Freiheitsproblem, Gottingen 1930; Anhang 1:
Ober die hermeneutiscbe Stmktur tles Dogmes, pp. 66-76, specialmente pp. 67 ss. (Cf.
anche la 2' edirione riveduta, 1965).
tu lbid, p. 68.
KERYGMA E DOGMA 247
m Cf. l'esempio del peccato originale, H. ]ONAS, op. cit., pp. 71 ss.
MODI Dlo:LLA MEDIAZIONE
1?4 Per una esposizione più particolare, cf. K. RAHNER, Gerecbt unJ Sunder ZU·
gleicb, 1r. in BCR, 68, pp. 36n84.
MODI DELLA MEDIAZIONE
Bisogna ammettere che questa concezione non è molto ovvia a gran parte
della teologia scolastica posttridentina. Se in quanto strettamente sopran-
naturale, si considera la grazia un assoluto al di là della coscienza, e si
nega quindi che gh atti soprannaturali di salvezza abbiano un oggetto
formale, non percepibile da un atto naturale, allora l'oggetto della teolo·
gia e degli enunciati dogmatici è comprensibile anche dalla semplice ragio-
ne naturale, e, fondamentalmente, proprio allo stesso modo della ragione
credente. L'incredulo comprende allora proprio come il credente. Si può
però essere contrari ad una simile impostazione, che dà alla gratuità--della
fede una dimensione puramente oggettivistica e locale, esteriore all'at-
tività spirituale in quanto tale. Con buone ragioni e con un numero
crescente di teologi (particolarmente del nostro secolo), ci si può attenere
alla dottrina tomista, che vuole un oggetto formale- proprio dell'atto gra-
tuitamente elevato, e ci si può attenere quindi all'incommensurabilità
della fede con un atto profano (anche se questo si riferisce alla realtà
religiosa). All'interno di tale concezione si può dire (più che mai del
puro ascolto), che con l'enunciato dogmatico e con la riflessione che ad
esso si ricollega, si ha un atto di fede.
121 Di qui debbono anche venir più profondamente fissati sul piano teoloi!ico la
necessità e il significato dell'ufficio ecclesiastico e specialmente dcll"infallibilità'. Cf.
alcuni spunti in K. RAHNER, Kircbe und Paru1ie Chrisli, in Catb, 17 (1963) 113-128,
sopranutto 122 ss.
KEKYGMA E DOGMA
usato qui solo in senso assai· analogico (cf. i peccati che dipendono
da vera e propria decisione personale). Anzi alcuni esempi mostrano
non solo come la Chiesa qua e là abbia lentamente sfumato la termino-
logia ma addirittura mutato i concetti (senza mutare ciò che era inteso
obiettivamente). La terminologia di AGOSTINO, ad esempio, riguardo
alla peccaminosità di ogni atto dell'uomo dopo il peccato originale,
era un tempo terminologia della Chiesa: essa venne implicitamente
abbandonata con le dichiarazioni di Pio v. Agostino poteva e doveva
dire, e la Chiesa del suo tempo la fece anche dottrina sua, che ogni
uomo non giustificato pecca in ogni suo atto. Nel linguaggio della
Chiesa postridentina non ci si può più esprimere cosi, anche se si
può mostrare che queste formulazioni apparentemente contradditto-
rie non si contraddicono poi nella realtà da esse intesa. Ciò che nella
dottrina cristologica e trinitaria, è espresso con il termine 'persona',
in realtà ha poco a che vedere con quanto siamo abituati a pensare
sentendo questo concetto. Ma anche qui, all'interno della dottrina
della Chiesa, non ci si può permettere d'esprimere la realtà che si ha
di mira, eludendo completamente questo concetto e questo termine.
Altro esempio, più noto, è la questione sui membri della Chiesa,
òve si tratta, in gran parte, di regolamentazione terminologica. Qui
il cambiamento si manifesta, ad esempio, nelle diversità concettua-
li, riscontrabili confrontando l'enciclica Mystici Corporis ed i re-
centi decreti e costituzioni del concilio Vaticano rr. Tenuto conto del
breve tempo in cui esse si sono verificate, il cambiamento è davvero
sorprendente. Da ciò si può forse trarre la conclusione che in queste
dichiarazioni ufficiali della Chiesa il problema non è ormai visto
esplicitamente come terminologico. Si insegna con l'impressione e
la premessa che si parli soltanto della realtà stessa. Questa occulta
priorità della lingua 'naturale', che prevale su ogni terminologia,
è un vero e proprio fenomeno. Anch'esso andrebbe messo più chia-
ramente in luce nel suo significato, utilizzando le nuove ricerche fìlo-
so6co-linguistiche ed ermeneutiche per giungere ad una valutazione
più completa dell'enunciato dogmatico. Accenneremo solo ad un pun-
to centrale: questa priorità della lingua 'naturale' implica una posi-
tiva indeterminatezza (cf ., ad esempio il termine sub stantia in 'tran-
sustanziazione': nella definizione tridentina non è inteso secondo
la terminologia scolastica tecnica; cf. ugualmente il significato del
KBltYGMA E DOGMA 25.:s
li& Ora riprodotto in: Worl Go11es und Tradition, Goningen 1964, pp. in-182.
specialmente 181-182. Gli argomenti, fin qui abbondantemente ci1a1i, di G. EBEL!Nr;
soprattutto risvegliano una fine e precisa introspezione per la comprensione del dog-
ma cauolico. Nel d~re però il significalo del dogma viene forzata troppo unil.t~ul
mente la presentazione autoritativa da parte di un'istanza ecclesiale.
KERYGMA I! DOGMA
17 Mysterium selutis / 2.
MODI DELLA MEDIAZIONE
\2<J Su questo e sui seguenti capoversi, vedi H.R. ScHLETTE, Dogmengeschichte und
Geschichtlichkeit des Dogmas, in V. BERNING - P. NEUEf'ZEIT - H.R. ScHLETTE, Ge-
schichrlichkeil und Ofjenbarungswahrheit, Miìnchen 1964, pp. 67-9-0, specialmente pp.
81 ss.
KERYGMA E DOGMA
130 Cf. H.R. ScHLETTE, op. cii., e la mouvazione che vi si trova, specialmente pp.
82 ss.
!li Purtroppo manca una trattazione complessiva sul fa1to che gli evangelisti comin-
ci•no la loro opera da punti rispettivamente diversi, e quindi postulano anche un
'inizio' diverso l'uno dall'altro (vedi solo Mc., Mt. e Le.).
MODI DELLA MEDIAZIONE
K. RAHNER - K. LEHMANN
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der Predigt dt•r Urkirche und unserer, in TLZ, 77 ( 1952) 715-720.
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A. VoGTLE, Die historische und theolog,ische Tragweite der heutigen Eva11-
gclienforsch1111g, in ZKT, 86 (I 964) 38 5·417 (con bibliografia); Liter.1-
rische Gattungen und Formen, in Anzeiger f iir d. katholische Geistlich-
keit, 73 (1964); 74 (1965); Werden und Wesen der Evangelien, tr. in
«Giornale di teologia» r, Brescia 3 1967, pp. 125--144.
H. VoRc;RI!\-iLER (a cura), Eugesi e dogmatica, Roma 1967 (con biblio-
grafia).
CL. WESTI:RMANN, Was ist eine exegetische Aussage?, in ZTK, .59 ( 1962)
I·I 6.
bb. In quanto inserisce nuova forma nel caos del peccato - Poiché
il mondo, nell'uomo, è chiamato ad un fine ultimo soprannaturale e, in
conseguenza di ciò, riceve anche la grazia, le forme e le forze d'ordine
che agiscono nella creazione come tale non sono sufficienti a raggiun-
gere la figura definitiva. Questa può essere solo partecipazione 'gra-
tuita' alla 'figura di Dio' (Phil. 2,6; cf. Io. 5,38 = Num. 12,8; contro
Dt. 4,12); tanto più che uomo e mondo, petcando, hanno perso la
figura-risposta, conferita loro dal Verbo divino con la grazia, e stan-
no di fronte alla divina chiamata come un caos amorfo. La discesa
del L6gos nella «figura di servo», quando egli «Si abbassò (É:tct1tEl-
vwaEv), facendosi obbediente fino alla morte, e alla morte di croce», è
genuino ingresso nella 'scandalosa mancanza di figura', che vien da
tutti «disprezzata» (Is. 53,2-3). Ma questo «divenire peccato» (2 Cor.
5 ,2 1 ) e assumere la «figura simile alla carne del peccato» (Rom. 8,
3), è già un 'portare alla luce' l'informe oscurità, perché manifesta-
zione dell'«opera fatta in Dio>? (Io. 3,21 ). Se la materia di quest'ope-
ra è peccato, la sua forma è amore di Dio operante nel Cristo, che,
illuminandola, dà forma all'oscurità caotica: «poiché tutto ciò che
vien illuminato è luce» (Eph. 5 ,r 3 ). La forza che non giudica da
fuori e dall'alto ciò che è peccaminoso, ma che lo trasforma, è la pas-
sione del Dio.uomo. Essa s'appropria, globalmente e singolarmente,
tutti gli imprevedibili aspetti della colpa del mondo, soffrendoli fino
in fondo; impara a conoscerli sperimentalmente nel loro temibile op-
porsi a Dio. Diviei;e così possibile la misericordiosa compassione
(Hebr. 2,14; 4,15; j,8-9), senza che questa «debolezza» (5,2) e ten-
tabilità (Mt. 4,1 s. e par.) divenga mai peccato (Hebr. 4,15). L'interio-
re trasfigurazione avviene attraverso la forza modellatrice della singo-
lare, inconfondibile, personale realtà di Gesù Cristo. Egli è la valida
«immagine-espressione» (dKÙ.l'v )2 del Dio invisibile (Col. r, 1 5 ), e pre-
cisamente per la realtà della creazione (v. 16), come per la realtà
della redenzione (13,14), nella sua figura presente come nella sua
l Nella teologia latina (AGOSTINO, ANSELMO), con i termini reclum (cor) e rectitu-
do vengono espressi - della OLX(ltOO'VllTJ biblica - sia il lato etico, sia quello este-
tico. I francesi giocano tra due termini: ;ustice e iustesse (B. PASCAL, Cli. PÉGUY).
• Cf. il mio articolo Fides Chri<ti in Sponsa Verbi, Einsiedeln 1960, pp. _58 s. (con
bibliografia).
~ Bonum laudatur ut pulchrum: Div. Nom. c. 4; inoltre il commento dell'AQUI·
NATE in c. 4 lect. 5 e 6.
8 P. RousSELOT, Die Augen des Glaubens, trad. ted. di J. TRiiSCH, Einsiedeln 1963.
Per la critica cf. J. ALFARO, Fides Spes Caritas 2, Roma 1963, pp. 4r6 s.
• Cf. la mia estetica teologica in Herrlichkeit, I, Einsiedeln 1961, pp. 211-410.
10 Cf. il mio Glaubhaft ist nur Liebe. '
MODI DELLA MEDIAZIONE
sacra Scrittura per esprimere la parola di Dio sono state usate diverse
dottrine di saggezza umana ('filosofie'). Così pure nell'Antico Testa-
·•
mento sono state usate diverse arti umane: arte poetica d'ogni tipo
(dalla prosa solenne, legislativa e dal raccontQ storico ufficiale si
passa al proverbio, e da questo al semplice canto fino all'inno mae-
stoso), arte musicale, arte architettonica e plastica. Il divieto delle
immagini si colloca in un kairos storico - singolare e irrepetibile:
radicale rigetto degli 'altri' dèi, la cui rappresentazione stava in una
connessione magica con il dio, e permetteva la coartazione teurgica:
manomissione della sovrana libertà di Dio, che non parla né agisce
legato ad una immagine. 11 «Dalla proibizione delle immagini dell'An-
tico Testamento non si può perciò dedurre nessuna affermazione
circa la natura di Dio speculativamente troppo sicura di aver colto
nel segno». 11 Inoltre c'è la descrizione esatta (addirittura platonica)
del modello originario del tempio, visto da Mosè sul Sinai, e del
suo completo arredamento, opera di artisti espressamente a ciò do-
tati e chiamati da Dio, i quali devono eseguire con minuziosa pre-
cisione la tenda, l'arca per le tavole della legge, gli altari coi loro
arredi, il bacino col suo piedistallo, gli indumenti intessuti per le
funzioni sacre, e così via. «Esattamente come io te l'ho ordinato,
essi debbono farlo» (Ex. 25-31; 33-40 ). In questa presentazione,
che appartiene allo Scritto sacerdotale, l'artista dunque è certo
chiamato da Dio, ma è sottoposto alla casta dei sacerdoti, che sola
riceve dirette ispirazioni artistiche da Dio. Ciò sostanzittlmente non
muta nella costruzione del tempio di Salomone, poiché questa volta
soltanto il 're' (David) elabora i piani e i modelli fìn nei minimi
particolari, in conformità con le indicazioni di Dio stesso (I Chron.
2 8,11-19). Per l'esecuzione, Salomone ingaggia «manovali da tutto
(Esr. 3,8-9); l'incarico inoltre proviene dal 're' Ciro, che ha ricevuto
l'ordine immediatamente da Dio (Esr. r,2 ), e dà precise prescrizioni
(6,2-5), mentre i profeti Aggeo e Zaccaria incitano alla costruzione
( 5,I-2 ).ll
Tutta questa sfera dell'arte sacra è certamente prefigurazione e
preparazione al Cristo, il cui corpo, quale unico vero tempio che re-
sta (lo. 2 ,21 ), rappresenta l'incorporazione totale di Dio (Col. 2 ,9 ):
aggregato ad essa, il corpo del credente diviene tempio dello Spirito
santo ( r Cor. 6,19 ). Ora però, ciò costituisce un aspetto essenziale
della liberazione del cristiano da ogni 'sfera sacra' circoscrìtta nella
'profanità', come sottolinea la teologia protestante, a ragione anche
se unilateralmente. 14 Poiché là dove colui che ha patito ed è risorto
diviene il punto centrale (eucaristico) del mondo, non c'è neppure
più - da un punto di vista cristiano - sfera profana: la libertà cri-
stiana è comunque liberazione, che ci mette in un genuino 'di fronte'
a Dio, però solo nella misura in cui ciò è espressione dell'infinita-
mente più intimo esser figli in Dio. Perciò, qui come dovunque, l'an
tica alleanza non è abolita, bensl, nel suo dinamico precorrere, è
messa al sicuro nel Cristo e nella Chiesa, ed è sempre di nuovo da
percorrere come via autentica (che porta oltre se stessa). Solo cosl
l'evento cristologico - il salto dalla sacralità singola alla sacralità
generale - può anche in questa sfera, rimanere evento.
Ciò vale tanto più, per il fatto che la Scrittura dell'Antico e del
Nuovo Testamento resta l'inscindibile, oggettiva figura di testimo-
nianza della rivelazione davanti alla Chiesa e nella Chiesa, senza
portar scapito al fatto che le 'tavole di pietra' sono sostituite da «ta-
vole che sono cuori di carne» ( 2 Cor. 3 ,3 ). Questa misteri(!)sa opera
d'arte letteraria dello Spirito divino, che 'ispira' anche gli autori se-
condari umani secondo le leggi della sua propria ispirazione, prende
al servizio di Dio l'arte umana, in un' 'analogia dell'ispirazione', che
non dice frattura, bensl continuità assicurata dall'alto (cf. a cc.).
15 «Se proprio gli scrittori cattolici più importanti sviluppano arustrcamente, nelle
loro opere, questo primordiale articolo dì fede della Confessione evangelica (la iusti-
/icatio impii), ciò getta una luce sulla situazione di fapo della cristianità oggi: le
linee ufficiali, 'stratosferiche', del fronte tra cristiani evangelici e cattolici non corri-
spondono più per nulla alla situazione interna dei credenti; le vere e proprie antitesi
tra le due Confessioni procedono traversalmente: 'se oggi un cattolico volesse venire
a sapere che cosa ha davvero importanza esistenziale nella cristologia di Martin Lute-
ro, gli si può solo raccomandare di leggere, possibilmente, molti romanzi e drammi
di moderni autori cattolici' (Heinz Beckmann). E viceversa: se un cristiano evange-
lico, che pretende d'essere artista. vuol conoscere la fede cattolica, allora non gli
giova rivolgersi alle rivcndica;doni autoritarie della Curia, e neppure alle posizioni
~pavcntosamente periferiche della teologia cattolica. Egli può invece trovare un esem·
pio di ciò che cerca nell'audacia, nell'incondizionatezza e nella forza espressiva dei poe-
ti cattolici. Poiché non chierici o teologi, bensl artisti. da Léon Bloy, a Charles Péguy,
a Mauriac ed a Bernanos, hanno contribuito a mantener vivo e attuale il cauolicc·
simo mediante la loro protesta all'interno della Chiesa e mediante la loro ·teologia
spesso profetica. Qui poi sia solo accennato che, dal punto di vista di questa pro-
blematica, anche le conversioni di artisti al cattolicesimo entrano in una nuova luce»:
H.E. BAJIR, op. cit., pp. 2~1-2.
ARTE CRISTIANA E ANNUNCIO DEL VANGELO 281
lodare e servire ancora soltanto con l'esistenza (vi sono dei paralleli
anche fuori del cristianesimo: Virgilio).
D'altra parte anche dei carismi rilevanti sono sempre ecclesiali. E,
pure se l'artista non lavora necessariamente per la Chiesa in senso
stretto, cioè come comunità (liturgicamente raccolta), ma per tutti
gli uomini del suo tempo, egli tuttavia, né più né meno d'ogni altro
cristiano, non può incontrare la rivelazione al di fuori della Chiesa,
dello 'Spirito ecclesiale', in un privato téte à téte. La forma della
ecclesialità, come appartiene alla rivelazione nel suo manifestarsi
obiettivo (anche la Bibbia è un libro della fede ecclesiale), così essa
è richiesta dal soggetto per ricevere in sé, conforme alla realtà, l'im-
pronta della rivelazione. Anche l'artista, che nel suo esprimersi non
ha tematicamente sott'occhio la Chiesa (quale istituzione), non può
fare a meno del suo spirito, se vuole agire in modo cristiano ade-
guato, da uomo quale egli è (cioè per Dio nd Cristo, nella Chiesa:
l'unico angolo visuale obiettivo).
Questa tensione tra il 'personale' e l' 'ecclesiale' non va attenuata;
ad essa non ci si può né ci si deve sottrarre. Anche e proprio là dove
l'artista entra nel più stretto servizio della Chiesa, e precisamente
nella libertà della nuova alleanza e non più nella clericale, servile
sudditanza come al Sinai e in Gerusalemme. Costruzione di Chiese,
decorazione di chiese, arredi liturgici e paramenti, pittura, scultura,
musica, forse anche arte innica e drammatica nel servizio della co-
munità: dovunque, senza ostacolarsi reciprocamente, debbono con-
correre sia la personale forza creativa, assolutamente non regolamen-
tabile, sia la docilità del membro allo Spirito (autentico!) della co-
munità e ai suoi bisogni. I rischi di questa tensione vanno affrontati:
un artista può sviare lo spirito della comunità, ma può anche venir
troncato nella sua forza espressiva di testimonianza da pregiudizi
ecclesiastico-clericali (ideologicamente fissati).
Del resto, dei paragoni con l'arte non-cristiana mostrano che la
tensione fra ispirazione religiosa puramente personale e ispirazione
legata alla comunità, e addirittura ad una comunità dogmaticamente
determinata, non è stata sentita come un impedimento, ma spesso,
anzi, unicamente come stimolo. Condizione di ciò è che il dogma e
la fede della comunità si possano capire e si facciano credere come
una esplicitazione dei princlpi originali e universali dell'essere. Cosi,
MODI DELLA MEDIAZIONE
per addurre un solo esempio, avviene nella pittura cinese, che ruota
attorno al Tao. 16 La trasparenza del positivo-dogmatico nel campo del
metafisico, nel cristianesimo, è possibile raggiungerla ancora molto
più in profondità (con l'intellectus fidei); cosl il fatto di glorificare,
foggiandola, anche e proprio la figura biblica della rivelazione, e di
stare a disposizione dello Spirito di Dio nella Chiesa e nella comunità
parrocchiale, in nessun modo assume per l'artista, che non rifugge lo
sforzo d'un simile approfondimento e trova inoltre la necessaria umil-
tà, il significato di una limitazione della ispÌrazione personale.
1' M~1 - MAt SzE, The Tao of Painting, A St11dy o/ Ritual Di.~position o/ Chinese
Pai11ti11g. in Bol/i11gcn Scrfrs 49, Pa111haJ11, 2 voll., New York 1956.
ARTE CRISTIANA E ANNUNCIO DEL VANGELO
croce, come testimoni che guardano, come chi medita dove Gesù è
morto) di lasciare il pieno sfacelo della figura solo a Gesù; e - a
partire dal suo stato puro e semplice di testimone, che in certo modo
la esclude dal vero e proprio dramma e la rende perciò umile -,
di testimoniare che quanto Gesù sperimenta come tenebre pure, è
la luce dell'amore; quanto egli sperimenta come caos, è l'ordine della
grazia; quanto egli sperimenta come abbandono di Dio, è il modo
che Dio ha di essere col peccatore. Qui è il problema più grosso del-
l'arte cristiana: poiché la passione di Gesù è supplenza, a nessun
uomo, neppure all'artista, è richiesto di ripetere esistenzialmente la
verità che Gesù ha vissuto (e in altro modo non si può rappresen-
tarla); egli perciò nella kénosis deve vedere la gloria dell'amore (la
56~a giovannea), senza perciò nascondere che precisamente la kéno-
sis è questa gloria.17
11 Cf. le aspre osservazioni di GIOVANNI DELLA CROCE, egli ste~so artista, sull'ane
della Chies?, in Subida del Monle Carmelo, Libro 3, capp. 36·42.
1• Bibliografia sull'adorazione delle immagini e sul conflitto ri~uardo alle immagini:
LTK 2, 2 (19,8) 467; RGGl, (19'7) 1270-1275.
286 MODI DELLA l;IEDIAZIONE
per non vedere in ciò alcuna deviazione dal giusto fine, e quindi an-
che un'alienazione. Tuttavia la storia nella sua integralità testimonia
a favore dell'arte cristiana contro questo rimprovero astratto; il qua-
le per lo più ha radici in un pregiudizio tipico dell'interpretazione
classicistica dell'antichità, e del quale non può dirsi del tutto esente
neppure un F. HEGEL. Egli infatti dice:
d. Singole arti
19 • Mysterium 1aluti1 / 1.
MODC DELLA MEDIAZIONI::
2S H. PREUSS, Martin Luther als Kiimtler, Giirersloh 1931; C11. Wn;.:n, Die theo-
logische Bedeutung der Musik im Leben und Denken ,>o,farlin Luthers, Miinster 1954:
CH. MA.HRE:O-'HOLZ, Ltllher und die Kirchenmusik, Kassel r937.
26 Herrlichkeit, I, Einsiedeln r961, pp. :290-393.
ARTE CRISTIANA E ANNUNCIO DEL VANGELO 291
27TH. OHM, Die Gebetsgcbiirden der V olker und das Chrisfenium, Leiden 1948.
28H. SEDLMAYR, Die En!slebung der Kathedra/e, Z(ìrich 1950.
29A. STA!l;GE, Das fruhchri.rtliche Kirchengebiiude als Bild des Himme!s, Miinchcn-
Bedin 19,0; Iv., Die \(leJt als Gesta//, Miinchen-Betlin. r95i; F. POR TAL, I.es coulc1m
symboliques dans I'rmtiquité, le Moyen-Jgc et les temps modernes (1837), Paris 21957.
BIBLIOGllAFI ~
BIBLIOGRAFIA
«Il richiamo all'antico, a ciò che esiste e vige dall'inizio, a ciò che resta
sempre identico a sé, divenne l'arma più forte contro tutte le eresie, alle
quali veniva sempre rivolto il rimprovero dCessere delle ·innovazioni. Que·
sto punto di vista divenne però in pari tempo il più gran.de pericolo per
il proprio sviluppo, che di fatto era una via da innovazione a innovazio-
si
ne. Ci rfohiamava alla tradizione, e tuttavia non si voleva venire da essa
impediti nel proprio progresso. La storia del dogma e del diritto eccle-
siastico mostra come la Chiesa romana dovette sempre di nuovo rimuo·
vere la__ trap·pola che essa stessa si era posta mediante la propria tradizione,
senza tuttavia privarsi dlquelfa die «:ostlni!va
la sua- arma
più-potente,
precisamente il richiamo alla tradizione ...
«La linea iniziata col Tridentino trova nel Vaticano 1 la sua conseguente
dogma della Chiesa non esclude, bensì implica l'esistenza d'una storia
[
, dei dogmi. Questo ~on vale solo nel senso che si richiede molto
tempo e lavoro di chiarificazione teol()gica, perché la CCJscienza di
fede della Chiesa giunga a rendersi conto che questa o quella dottri-
na _clelll! qu~~!I' veramente contenuta nella . ri.vel~Ioiie divina, è
espressione genuina di. c:iò che già da sempre è globalmente creduto,
o misura di difesa vincolante contro nuovi fraintendimenti eretici
della fede tramandata. Legittima storia dei dogmi vi è anche là dove
un dog!lla è .gi~ 1.1.riiyoc!l.~ent~ dato ed enunci!l!O. Esso può ulterior-
i mente venire ripensato nel suo significato, più profondamente chia-
l rito, purificato da involontari possibili fraintendimenti, del tutto
sconosciuti in tempi anteriori; può esser messo più chi.a111mente in
rapporto co~ .. l!lt,re__y~.!"i!!.. di fede, per cui senso e limiti, portata e
significato divengono più ~hiari; può venire enunciato con nuove
form_yle, suggerite dal~.P.irito di tempi nuovi, e mediante le quaJi
esso entra in tutt'altre prospettive, che lo rendono spiritualmente
comprensibile all'uomo di un tempo nuovo. Da questo e da altri pun-
ti di vista (ad esempio, quello del dialogo ecumenico), anche l'im-
mutal;>ile.~a della Chiesa può ancora avere una storia, può an-
cora mutare nell'ambito della sua immutabilità; può cioè non mutare
ris-pe~o al suo passato, non venire abrogato (come~ legge posi-
tiva della Chies~), ma mut~_ti_wru..q_aLfutu[.Q_._procedendo verso
la propria pienezza di significato, nonché verso l'unità con l'uno ed
il tutto dellafed~:-~ verso i suoi ultimi fondamenti. Esso rimane
poi fedele alÌ~-;~;~--;t~~~d al ~~siinmcatopropcio, riguadagnando
sempre più la sua origine, esprimendo sempre più la sua natura sta-
bile; cosl si trasforma, e proprio facendo ciò, rimane il medesimo.
Un simile mù,tamefi'to nell'ambito della validità--d~d-;;gma giunto
fino a 11Qi.~ essere enorme; può mostrare l' 'antico' dogma da tut-
t'altro. 13tQ,. PY.Q_~cambiargli radicalmente l'aspetto sotto cui corren-
temente si mostra--~el -p~ero e anzfrutto nella vita-della Chiesa (cf.
ad esempio il dogma del peccato originale in AGOSTINO, e le sue pre-
cise interpretazioni teologiche; il dogma dell'infallibilità del papa e
la 'collegialità' dei vescovi). Tutto ciò significa che non solo la teo-
lo~ bensì anche là rivelazione (continuando essa ad esistere ne/t'an-
nunci~ll';ccettaziòne"di fede), oopo il Cristo hanno una storia,
uno 'svilupp_q'_ e un 'progresso', anche se qUèstasio.ffac-éSkriZial-
------,~-~·~--·--· . ·-·----
SVILUPPO DEL DOGMA E SUA APORIA 301
mente diversa dalla storia della rivelazione prima del Cristo. C'è vera
stor~della fede, c~~- resta sempre, che ·non sperimenta più dal di
fuori alcun vero e proprio aumento; e tuttavia avviene in questa
storia qualche cosa, che finora 'così' non c'era stato. La soluzione
del problema, per dirlo in maniera molto formale e molto generale,
deve venire cercata nel fatto che un dogma nuovo è contenuto 'im-
plicitamente' in un dogma antico-; nel tutto Cli ciò che si è creduto
in precedenza. La nuova verità d'una proposizione rivelata, legitti·
mandosi come verità antic;_Qpl ritorno all'antica verità di fede, già
da sempre colta e conosciuta, dice appun~;~·-~ooscaturiscc
da una num!a rivelazione di Dio, a sé stante, ma che, al contrario,
la sua ora di nascita, il mome~to -della sua rivelazl<ììie;Che è quello
dell'altra verità, si ha già con fa primordiale rivelazione di Dio, quel-
la che non poggia su alcun altro processo rivelati~o; o, per dirlo
ancora una vol~_:__!l~!~ suu~.9.Y~a essa trae origine dalla pri-
mordiale rivelazione di Dio. La storia di questa fede non è giunta
a termine ~~·-il fatto che la rivelazione, escatologicamente avvenuta
nel Crifil.Q.,,_~_ ormai chiusa. Perché questa chiusura - se rettamente
intesa - è l'~-;;_y;; ch~-~vviene_ espressamente nella parola dei
profeti ~g~gJLl!P.9Jil9-li di Cristo, della assoluta autocomunicazione
<li Dio. La fede, dal tempo di Gesù Cristo, non è semplicemente
J'uguale accetta~jQl'.lt\ j!}.(Q!mi;,_~d astorica, del messaggio escatologica-
mente infinito da parte di molte e sempre nuove persone. Non è
neppure semplicemente accompagnata da un'esteriore riflessione sul-
la fede, ~.hi!!!!l_l!!Q.--5IQ.till_!i~l~...te.Ql,Qgi.a. Assai più; essa stessa ha una
storia, poiché l'a!:!!f!.comunicazione assoluta di Dio, in quanto espres-
samente diretta a qualcuno, necessariamente dischiude in sommo
grado la possibilità di venire in varia maniera appropriata c!al sog-
getto f~1;ell'ascolto storicamente mutevole (da Dio causato--;-gui-
<lato nello stesso suo appello). Poiché, però, in questo stesso ascolto
del messaggio agisce la ~ra grazia di Dio, che si fa presente ad ogni
singolo uomo e quindi anche ad ogni singola epoca, e di volta in
volta in una maniera appropriata, la storia del cristianesimo in tutta
b già data pienezza dei tempi, è la 'gratuita' singolarità d'un unico
avvenimeQJ.Q__çb.Lg_~ossiede già ~mpre, perché permarieTO.sksso,
e che sempre ancora si cerca, perché deve dire in maniera nuova la
sua antica natura, e con ciò realizzarsi. La fede costante trova nei
302 STORICITÀ DELLA MEDIAZIONE
singoli uomini e nelle singole epoche forme sempre nuove, per rima-
nere l'a.Q!!91__~__.2_~!"~!. veramente costante. Tutte le teorie dello
sviluppo del dogma e deIG:"Siòria·d~f-d"~gmi non sono altro che il
tentativo d'una precisa risposta alla questione: come realmente la
nuova veri!!_può essere l'antica? La verità, una volta comunicata,
ha anch'essa una storia, che non la porta necessariamente fuori del
campo della rivelazione divina, ma ne è la prosecuzione.
Il problema viene posto in modo esatto ed esplicito solo col xix
secolo. Solo all'inizio della coscienza storica moderna e _<f.l!tJempo
dello storicismo noi vedfamo .con--~~ra·· ~ilTarezza-Ta- differenza e la
distanza !!~ le forme della storia dello spirito in generale e della sto-
ria degli enunciati religiosi in particolare. L'epoca post-tridentina (ad
esempio co~Cpi;~vio)h~-nzihillOraccolto dai tempi anteriori le
proy_e per la dottrina del ~sente: queste prove praticamente le si
giudicava diverse solo nella forma esteriore. Certi problemi che noi
oggi consideri~~ ~~~t~~J.C~ò~e quello dello sviluppo del dogma,
furono risolti con dei theologumena oggi divenuti impossibili.
--··~-----~---·---·-··-··---·----···· ... -
Sul piano storico è solo difficilmente immaginabile. «Una buona teoria sul-
lo sviluppo del dogma ci esime dal rifugiarci in metodi troppo scadenti»
(Y.-M. CoNGAR, op. cit., p. 126). Sulla questione, cf. anche Y.-M. CoNGAR,
Traditions apostoliques non écrites et suffisance de rEcriture, in Istina, 6
(1959) 219-306; ID., Traditio und Sacra doctrina bei Thomas von Aquin,
in Kirche und Oberlieferung. Festgabe fiir ]. R. Geiselmann, a cura di
BETz - H. FRIES, Freiburg 1961, pp. 170-210; sulla questione del rappor-
to tra la tradizione e il dogma della Chiesa al Concilio di Trento, v. anzi-
tutto J. RATZINGER, nello studio composto con K. RAHNER, Offenborung
und Oberlù:ferung, Freiburg 1965,pp. 63 ss.; Io., Tradition, in T.TK 2 , 10
( r965).
S Per chiarire più facilmente i fatti dello sviluppo del dogma, alcuni ricercano i
dogm!._l'iù tardivi della Chiesa nella tradizione orale, e non nella Sqittura. Il motivo
per cui questCl tentativo fallisce, viene esposto da K. RAHNER, Sull'tJpira:àone della sa-
cra Scrittura, Brescia 1967, pp. 80 ss. Vedi inoltre l'us2...S,q!1.c.teJ_o,A.Ls~-~~.teoric~tro
tesi cor1illi.?.~denti di H. LENNERZ, in K. RAHNER, Virginitas in partu, tr. in BCR, 63,
pp. 361-41 r. Sulle connessmni tra nouvelle théologie e tesi di storia dei dogmi, cf.
anzitutto G.E. MEULEMAN, De ontwikkeling von het dogma en de Rooms katholiekc
theologie, Kampen 1951, pp. 111 ss.; cf. anche G. THILS, in ETL, 28 (r952) 679-682.
STORlClTÀ DELLA MEDIAZIONE
9 Su «le più recenti spiegazioni cattoliche -ilello sviluppo del dogma» inforina on
eccellentemente il lavoro di ugual titolo di H. HAMMANS, inserito nella Col!. «Bcitrige
zur neuercn geschichte der katholischen Theologie», 7, Essen 1965 (originariamente
dissertazione teologica all'università di lnnsbruck [ r961] ).
10 Alcuni indizi d'una possibile comprensione protestante sullo sviluppo del dogma
presenta W. JOEST, Endgiiltigkeil und Abgeschlossenhdt des Dogmas, in TLZ, 79
(19,4)435-440; M. THURIA:-.1, D~veloppement du dogme et tradition se/on le catholi-
cirme moyen et la théo/ogie re/ormée, in Verbum Caro, 1(1947)145-167; sul tema
cf. anche J. LEUBA, L'Instilution et l'Evénement, Neuchi.tel 1950; ID., Der Z11sam·
menhang z.wischen Geist und Tradition nach dem NT, in KuD, 4 (r958) 234-250. La
posizione della teologia evangelica appare in modo assai chiaro in W. PANNENBUG,
Zum Prohlem der dogmatiscben Aussage, in Pro Veritate. Festgabe fiir L. ]aeger e
W. Stiihlin, a cura di E. Sc1-1LINK ·UH. VoLI:, Miinster 1963, pp. 339-361, specialmen·
te pp. 358 ss. «Sostenere la verità del traditum significa anche verificarlo con l'espe·
rienza della realtà del rispettivo presente. In questo modo attraverso la dottrina dog-
m~tica'"si vieilead uno sviluppo semprenuovo del significalo universale degli cvenri
1umandati... La forma, in cui vien cosl portata ad espressione l'universale veritii
dell'evento-Cris10 ca_i:_i~~a-~-~.-~~!..~.!l.-1!!.~~--~!riruale generale fino al
SVILUPPO DEL DOGMA E SUA /IPOl.IA
Per la tesi sulla definitività della rivelazione alla morte degli a os101i, si
trova abbondante materiale (c e, certo, eve prima essere accuratamente
provato) in R. SPIAZZI, Rivelazione compiuta con la morte degli Apostoli,
in Gr, 33 (1952) 24-57; d. anche in. questo volume pp. 297 s. Per il si-
gnilìcatç profondo v. K. RAHNER, Sull'ispirazione della sacra Scrittura,
Brescia 1967, pp. 4 3-96; inoltre sinteticamente anche W. BREUNING,
Urchristentum, in LTKi, 10 (1965). Per meglio illustrare questo punto,
sia qui fatto accenno ad un passo, che è yenuto in luc~-~~.-~~~-~~ato
soltanto mediante l'indagine sulla storia della u:~dizione dei _.Yangeli.
Quando, in Mt. 28,zoa, Gesù dice ai discepoli: « ... insegnate loro a
osservare ciò che vi ho comandato», questo esclusivo richiamo alla
dottcina del Gesù terreno nella forma verbale al tempo passalo, significa:
«Colui che è risorto ed è innalzato al cielo rende obbligatoria, per la Chie·
sa che si trova in terra, per tutti i tempi fino alla fine del mondo, la parola
punto che quel che ieri era adeguato ai tempi, può risultar contraddittorio, quanto
alla forma, con quel che oggi è necessario. In ciò potrebbe ben convenire anche fa
teologia cattolica nel senso di JoH. Ev. KUHN. Ora però il mutamento di forma della
tradizione si compie anche come critica contrapposizione rispetto alle proprie prece-
denti formulazioni». Al quesito se con una simile accentuazione della contrapposizione
critica, non venga perduta la continuità della tradizione (continuità cui W. PANNEN-
BEllG teologicamente tiene molto, op. cit., p. 359), egli risponde: «Ora però, unir~
della tradizione non si nifica irreformabilità d'un concetto dottrinale messo 11 suo
tempo in evi enza - cos come 'unita e a iesa non si deve di per sé realizzare
nel suo ris ettivo resente mediante l'assunzione d'una medesima formula; essa 'pu11
anche consistere nel comune, reciproco riconoscimento di ormu azioni dogmatiche
diverse' (SCHLINK). Egualmente può esservi unità della tradizione, nonostante le di-
verse formulazioni dogmatiche e malgrado la notevole critica delle formulazioni dog-
matiche del passato. L'unità della tradizione sussiste nel riferimento, comune alle
diverse teologie delle diverse epoche, alla norma del medesimo evento, che è il Cristo.
La storia di Gesù, nella sua unità col futuro escatologico, forma l'unità della tr•di-
zione, cosi come già fonda l'unità della Scrittura. al di là delle differenze dei singoli
testimoni» (pp. 339·60). ·---
11 R. BULTMANN, Das Evangelium des ]ohanner, Go1tingcn U1964, p. 444.
20 My~tcrium salutis / 2.
STORICITÀ DELLA MEDIAZIONE
del Gesù terreno». Cf. G. BORNKAMM, Der Auferstandene und der Irdi-
sche. Mt. 28,16-20, in Zeit und Geschichte. Dankesgabe an Rudolf Bult-
man z.um Bo. Geburtstag, a cura di E. DINKLER, Tubingen 1964, pp. 171-
191, qui p. 187. Questa frase si rivolge dunque - in conformità al signi-
ficato ~ecifìcamente matteano della parola 'insegnare' (d. G. BoRNKAMM,
op. cit., pp. 182 ss., con cenni bibliogrìiiìc1) - proprio contro un libero
do~ (forse di provenienza ellenistica), che non può
più pre~~!.rs_ a_~filsta.tlU.Jeriamente il Kirios come unico maestro. La ten-
sione del nostro problema diviene immediatamente manifesta nel contesto
della teologia matteana, se insieme si considera che, per Matteo, chiamata
dei disce li e loro missione fanno parte direttamente e intimamente del-
l'opera messianica del Cristo. e. RNKAMM, op. cit., 18), nota 58.
Cf. Mt. 4,12-17; 18-22. Sull'importante esegesi della locuzione, propria a
Matteo, «opera Christi» in applicazione ai discepoli (d. ad esempio, II,
2 ), vedi p~incipalmente A.J. HELD, Matthaus als Interpret der W underge-
schichten, in G. BoRNKAMM - G. BARTH'- H.J_ HELD, Oberlieferung und
Auslegung im Matthtiusevangelium, in Wissenschaftliche Monographien
zum Alten und Neuen Testament, I, Neukirchen 31963, pp. 237-240. Sul-
la posizione di Pietro in Matteo, che è una questione connessa, d. R.
HuMMEL, Die Auseinandersetz.ung zwischen Kirche unJ ]udentum im
Matthausevangelium, Col!. «Beitrlige zur evangelischen Theologie», 33,
Miinchen 1963, pp. 59 ss.
L'accento p:micolare in questa fr!se di Matteo, si fa ancora più chiaro
se si tiene conto che d'altra pane missione e dispos1Z1one d1 spmto del
messaggero si dimostrano nell'annuncio della parola attuale del ,. zato
al..riçlo, d. Act. 13,2; Apoc. 2,7.11.17; e para e sull'efficacia del Paradito
sono del tutto chiare solo nel Vangelo di Giovanni. Cf. Io. 14,26; 16,12 ss.,
eccetera. Quando si parla dello Spirito che «fa ricordare» tutto ciò che
Gesù_ha detto, secondo l'opinione oggi quasi unanime degli interpreti, que-
Nsto ·~_9rdare'...E.~!!~ifica rinfrescare alcuni fatti ~-e~ pas~~-ma at-
1tualizzare. spiegare e far sperimentare. «Questo ricorilare giovanneo è
senz'altro una nuova e yera conoscenza», O. MICHEL, in TWNT, 4, 68r.
In quest'opera dello Spirito, l'opera di Gesù viene addirittura continuata
quale. 'rivelazione' (cosi R. BuLTMANN, D"as Evangelium des ]ohannes,
18 1964, p. 484, cf. anche la nota 8 con citazione di r Io. 2,2T « ... Io Spirito
non aria in nuove rivelazioni, sciolte dalla storia, bensi nella continuità
dell'ufficio de 'annuncio»). La futura parola dello Spirito, dopo la dipar-
tita di Gesù dalla terra, è certo una parola diversa da quella del Gesù
terreno (cf. Io. 14,25 s.; 16,12 ss.), ma anche se il Paraclito conduce per
primo ~ità piena, pure egli prende ciò <<non da se stesso». Le con-
nessioni profonde non possono venire qui discusse: oltre alla bibliografi.1
citata, cf. H. ScHLIER, Zum Begriff des Geistes nacb dem Johan11eseva11-
gelium, in Besinnung auf das Neue Testament, Freiburg 1964, pp. 266-27r,
SVILUPPO DEL DOGMA E SUA APORIA
I padri hano preso molto seriamente le promesse che Gesù fece nel
suo discorso d'addio (cf. Io. 14,26; 16,12 s.). Non c'è perciò da stu-
pirsi del fatto che i padri ed il medio evo ascrivano ogni sforzo, che
nella vita della Chiesa è diretto alla verità ed alla santità, ad una
revela!io, inspiratio o suggestio dello Spirito santo. Tenuto conto
dell'unicità e del condizionamento storico della rivelazione, proprie-
tà queste che certo non sfuggivano alla tradizione patristica e medie-
vale, questo linguaggio a tutta prima è sorprendente, e anzi forse
stupefacente; esso tuttavia, con l'accenno aila rivelazione dello Spi-
rito nella vit~_Q~ll_a_çì:ij~~JIJ..-fQ.~~!~ un tratto biblico..!.-chLa..ndò
pressoché perduto nella teologia succe~i-;;,-~·;-;;-;ff-fondamentale
importanza in rapporto al problema dello sviluppo del dogma.
Per fondare oggi le possibilità di una storia e di uno sviluppo del dog·
ma, è della più grande importanza che i tratti caratteristici di un tale
sviluppo possano venir o~;~r~;ti già all'interno del Nuovo Tes"tamen-
t<;>. Ma anche l'Antico Testamento offre già molti punti d'appoggio.
Gli stessi modi d'enunciare vengono utilizzati a diversi stadi della rivela-
zione, ma l'intelligenza si schiude non allo stesso piano; motivi vengono
trasposti, ritoccati, approfonditi nel contenuto. Da determinati passi bi-
blici si prendonv motivi, eventualmente li si estende nello spazio e nel
tempo, e li si apre per un contenuto di rivelazione ulteriormente accre-
sciuto. Esempi concreti (il peregrinare, il motivo-Sian, il concetto di pace,
l'idea di alleanza e il culmine di queste immagini e motivi negli enunciati
escatologici) in H. GRoss, Motivtransposition als Form- und Tradition-
prinzip im Alten Testame11t, in H. VoRGRIMLER (a cura), Esegesi e dogma-
tica, Roma 1967, pp. 231-262. Le designazioni (comuni soprattutto tra i
francesi) di relecture biblique (E. PoDECHARD, A. GELIN, H. CAZELLES, A.
FEUILLET, ed altri) e 'Metodo antologico' (A. RoBERT; in Germania,
A. DEISSLER, Ps. u9) esprimono l'identico movimento. Basta del resto
ricordare il gen~re veteroebraico del midrai. Più in particolare, sull'intrec-
cio di vecchio e nuovo nell'Antico Testamento v. anche G. VON RAD, Theo-
logie des Alten Testaments, II Miinchen 1960, pp. 332-339; 396 ss.
ll Su ciò vedi soprattutto A. VoGTLE, Der Einzelne und die Gemeinscha/t in den
Stu/enfolge der Christusoffenbarung, tr. in J. DAl>IELOU ·H. VoRGRIMLER (a cura).
Sentire Ecclesiam, I, Roma 1964, pp. 81-1,0.
TEORIE DELLO SVILUPPO DEL DOGMA JII
15 Cf. D. VAN DEN EYNDE, Les normes de l'enseignemenl chrétien dans la littératurc
patristiqucs de trois premiers si~cles, Gembloux 19}3, pp. 321 ss.
TEORIE DELLO SVILUPPO DEL DCIGMA
IY Cf. per es., la questione sulla crescita degli arliculi /idei; GUGLIELMO DI AuxER-
Rf. li considera, in quanto reallà divina, non SQggetti al tempo: come misteri di sal-
vezza, hanno infatti radi,e nei decreti divini; in quanto invece dati nella s1oria della
salvezza, cioè in quanto manifesti come articuli fidei, essi sono soggetti al tempo
(«formaliler-essentialiter» ). «La realtà della salvezza è immutabile, il suo essere dara
e proposta è mutevole. Il tempo è una variante integrante di questo essere data e
con ciò anche un momento integrante della nostra fede»: cosi L. HòDL, Articu/us
/idei. Eine begriffsgeschicbtliche Arbeit. in Eins1cbt und Glaube. FeslJChrift fur G.
Sohngen, a cura di J. RATZINGER - H. fRIES, Freiburg 1962, pp. 358-376, particolarmen-
te pp. 364 ss., citazioni p. 36,.
20 J. BEUMER, op. cit., p. 225. Sul 1ema vedi anche A.M. LANDGRAF, Sporadiscbe
Bemerkungen im Scbrifllum der Fruhscholastik uber Dogme11en1111ifelung und piiprtli-
che Unfehlbarkeil, in Dogmengeschichte der Fruhscholastik, 1/t, Regensburg 1952,
pp. 30-;6.
21 Y.-M. CoNGAR, 'Traditio' und 'Sacra doctrina' bei Thomas von Aquin, in Kirche
und Oberlieferung. Femchrift fur J.R. Geiselmann, a cura di ] . BETZ - H. FRIES, Frei.
burg 1960, pp. 170-210, qui pp. 201 s. Come analoga alla questione dello 'sviluppo
ilei dogma', il p. Cungar menziona la tesi di TOMMASO: da un lato la fede alla sua
origine, cioè al Iempa di Gesù, era più ricca e più profonda; dall'altro essa, nel corso
TEORIE DELLO SVILUPPO DEL DOGMA
dei tempi e anzitutto attraverso le eresie, si è molto sviluppata per quel che riguarda
la chwificazione e l'esplicita formulazione del suo contenuto (lbid., nota io2). Su
ciò che è b~ilare vedi: ). SPORL, Vas Alte und das Neue im MA. Studien zum Pro·
blem des mitlelalterlichen Fort1chri1tbewusstseins, in Histor. Jabrb.,
3--11; M.·D. CHENU, La théo!ogie au XII' siècle, Paris 1957, pp. 386 s.
,o (
1930) 297·
22 Così H. Ht.MMANS, op. cii., p. 16; su ciò vedi HD. S1MONIN, La théologie tbo.
1J;is1e de la /01 et le développemenl du dogme, in RTb, 40 (1935) n7·5,6; elementi
su uno viluppo del "èlogma in TOMMASO vengono addotti so rattutto da M ..D. CHE·
NU, La' raison psyc o og1que u ~ve oppement u ogme 'après sainl Thomas, in
RSPT, 13 (1924)44·51, ora in LA parole de Dieu, 1, La foi dans l'inte/ligence, Paris
1963, pp. 51·58. Cf. anche p. 314, nota 21 il lavoro già citato di Y.·M. CoNGAR (con
bibliografia). Su DuNs Scoto, d. anzitutto J. F1NKf.NZELLER, Ofjenborung und Tbeolo.
gie 11ach der Lehre des Johannes Duns Scolus, in BGPMA, 38/5 (Miinster 1961)
51 ss.; 137 ss. (con ulteriore bibliografia).
2J Cf. le ricerche di A. LANG, citate a p. 192; specialmente Die condusio tbeolog1ca
in der Problemstelltmg der Spiitschnlastik, in DJ"h, 22 ( 1944) 256-290.
24 Per sommi capi riferisce H. HAMMANS, op. cit., p. 18; motivazioni nei lavori or
ora citati di A. LANG. Di recente la questione è stata ripresa con una monografia da
ANNUNZIO S. AQUILINA, De progressu dogmatis secundum Melchioris Cani doctri11arn,
Ncapoli 1963, specialmente pp. 29 ss., con discussione delle interpretazioni di CANO
(con bibliografia). .
!I Per chiarezza riportiamo la nota tavola.prospetto delle distinzi i di H. K!LBER,
De fide, p. 1c.1 a. 2: «formaliter revelatum: quod ipsa /ocutione significal/lr; forma·
!iter explicitc revelatum: quod ipsi locutionis termini e/are e/ signanter exprimu11t;
formaliter implicite revelatum: quod formaliter continetur seu /orma/iter idem est
cum explicite re11elato (cf. de/initio in definito, conclusio in praemissis). Dicuntur au·
1em haec implicite revelata, ttJmen proposi/a reveloti011e non .1/atim apparenl, sed per
<1!iam prupusilionem debet explicari senrns re11elationis et revelatio ad illis assentieir-
clum applicari ... Virtualiter revelari in a/io: ta11/11m rea/iter idem est cum altero for·
STOR.ICITA DELLA MEDIAZIONI!
28 Cf. anzituno W. KASPER, Die Lehre von J,.,.Tradition in der romischen Schu!e,
Coli. ~Die Oberliderung in der neueren Thcologie», v, Freiburg 1962, pp. 2<p8r,
specialmente II9 ss'; 397 ss.; H. HAMMANS, op. cii., p' 62.
29 Cf. W KASPER, op. cii. pp. 302·308, eccetera; H. HAMMANS, op. cii.,· pp. 62 s.
T!ORIE DELLO SVILUPPO DEL DOGMA
Nel primo J.A. MOHLER questa forma della Realdialektik era determinata
in modo straordinariam~m~ forte dallo Spirito santo, che anima la tota·
lità dei fedeli, che si sottrae però allo sguardo, in quanto forza mistica di
vita nella Chiesa. Nel MòHLER successivo passano più accentuatamente in
primo RiJno i fattori nmai:ii della tradizione: fede non è pjù wla iJJlme·
diata comunicazione di vita della Chiesa, bensl è costruzione, operata dal-
la predicazione e dallo sviluppo dialettico di concetti. La parola divina
assume forme umane d'esistenza. Tradizione diviene ora la dimensione, in
cui la parola eterna di Dio si fa uomo e si introduce nel destino della
vita umana. Il concetto puramente romantico di sviluppo diviene cosl più
utilizzabile e più adeguato, ma non significa più uno scontato prodotto,
secondo il modello della vita organica; significa invece una. tradizione pro-
mossa dal lavoro umano e dalla combattiva riflessione sviluppantesi per
antitesi: su ciò soprattutto J.R. GEISELMANN, Die kath_ Tub;nger Sch11le,
pp. 81 ss.
St. Uisrn, ].A. Miihler und die Lehre von der Enlwicklung des Dogmas, in ThQ,
99 (1917-18) 28-)9; 129·152. Cf. anche le edizioni di J.R. GErSELMANN della Einbeil,
Koln 1917 e della Symbolilt, Koln 19,8-61, con l"Saurienti introduzioni e commenti.
JJ Vedi J.R. GmsELMANN, Die /ebendige Uber/ieferu11g a/s Norm des chrisllichen
Gla11bens dargestellt im Geiste der Traditionslehre Joh1mnes Ev. Kuhm, Coli ... Die
llherlieferung in der neueren Theologie», lii, Freiburg 1959; ultima esauriente espo-
sizione della dottrina sullo sviluppo di ]. Ev. KunN, in J.R. GE!SELMANN, Die ltatho-
li.<cbe Tiibinger Schule, pp. 92-128. Cf. 11nche H. HAMMANS, op. lit., pp. 34·40. Una
breve ~•posizione della tl"Si sulla storia dci dogmi è tracciata da J.R. GErSELMANN,
Dogma, in DiT, 1 ( 21967) ,01-519.
J.t J.R. Gr.rSELMANN, Die katholi.<cbe Tiibinger Schufr, p. 62.
TEORIE DELLO SVILUPPO DEL DOGMA 321
cuore e anima, dalla parola di Dio, come l'ha inteso J.M. SAILER, il
teologQ.._ dell'Erweckungsbewegung (movimento di risveglio); e nep-
pure silenziosa crescita organica, come se la sono rappresentata i
romantici GOGLER, GbRRES, e J.S. DREY; bensì chiara vigilanza del-
lo spirito . ."!l. lo spirito che nell'uomo porta avanti lo sviluppo». 3~ Lo
svilU'Ppo del dogma avviene però nella forma della· dialettica ogget-
tiva: non sono le leggi delle conclusioni logiche, che facendola pro-
gredire trasmettono la rivelazione in concetti e rappresentazioni sem·
pre identici. Le verità della rivelazione, che dal tempo degli apostoli
compaiono in diverse rappresentazioni, vengono accomodate e ricon-
ciliate t~;- loro "Cfal movimentodìarètiko dei progiesS!storici.36 In
base alla sua filosofia dello spirito però, J. Ev. KuHN fa del corpo
totale della Chiesa, cioè dell'istituzione oggettiva, e questa nella for-
ma del magistero, l'unico portatore della parola apostolica. Così fa.
cendo egli limita troppo questo portatore.
Queste indicazioni sulla scuola cattolica di Tiibinga devono ba-
stare. Dobbiamo qui tralasciare anchè una ricerca critica, quella cioè:
di chiederci in qual misura si mostrino qui ancora tracce illumini-
stiche, rappresentazioni romantiche e presupposti filosofici non indi-
scutibili.
Accanto ai teologi di Tubinga, deve essere anzitutto nominato J.
H. NEWMAN, la cui do~si:iffosVIluppo, non"Taeilffiente compren-
sibile - ragione non ultima la sua forma saggistica - è particolar-
mente difficile da esporre. 17
}I ~lysterium s.Iutis / 2.
322 STORICITÀ DELLA MEDIAZIONE
Per J.H. NEWMAN, l'idea del rnsuanesimo diviene familiare allo spirito
solo~iantLJ.;t varietà dei suoi aspetti, e precisamente nell'incontro con
nuovi afil2._etti essa conosce unOSviliippo vitale. Il pensi~~to ..f_oglie
se~~qlo aspetti. Dal punto.di vista dello svolgimento psicologico, vi
è u~rn..sp.ant:anoo..._yivo, non ind~ndente dalle premesse morali e
spjrituali del soggetto. Il singolare intreccio di questo concret~··ereale
percepire con le esperienze, con Iii condotta morale del..~Qgge.U.O, dà alla
maniera di conoscere una caratteristica t~tta-s~à·;·-·ri"cll'lllative Sense, in
quanto atÙ~itf~~~os~itiv;-pienamente sviluppata, esercitata proprio per-
sonalmente in sill.lazioni concrete, si compie non solo la conoscenza del
concreto, ma anche in pari tempo il vitale riconosciment~d~osciuto,
e questa adesione dal canto suo, come prova di probabilità, porta in sé una
propria misura di certezza, tratta dalle conoscenze accumulate. Non si
può esaurire la pienezza di questo pensiero vivoe reale con la 'logica',
poiché q~g_u.Q!LQ!!Q_comunicare lo sguardo d'insieme vivo e Wsonale.
Solo l'Jllative Sense ha il potere, dalla sintesi delle convergenti probabi-
lità, nçrum_alizzabile fino in ...fundo.,_di...J:Qgliere la realtà concreta. II pen-
siero nozionale, che è nel suo carattere logico-chiaro-conscio un risultato del-
l'atto di volontà, porta chiarezza ordine e forma nel pensiero spontaneo,
che da parte sua, nel suo carattere libero e perciò qualche volta arbitra-
rio, proc9~_filtiene a.. ~1 lavoro di combinaz~one logica l'originaria
relazione con la stessa realtà. Da queste connessioni solo accennate, divie-
ne chiaro che non possono introdursi verità religiose senza una forma
concreta. Esse, al di là della redazione scritta, richiedono tradizione vi-
vente e testimonianza vivificatrice sotto l'azione di c9scienziosa e credente
ragione. Le realtà della fede sono anzitutto un'idea della quale non neces-
sariamente siamo coscienti in modo esplicito. In una lenta evoluzione,
questi ~tti dell'idea non erce ibili nella loro totalità con un solo
atto, si sviluppano mediante la collaborazione di tutte le orze della vita
individwtk__~_§9SJ~~~....!:1.~_E~senza nascosta e ignota fino ad una cono-
scenza esplicita completa. L'identità di tutti gli sviluppi con l'idea origi-
naria si fonda anzitutto nel fatto che l'idea stessa guida tutto il processo;
ogni crescita ed ogni migliore comprensione viene messa in moto solo dal-
la pienezza di quest'idea. La crescita dello spirito giungerebbe a conclu-
sione allorché venisse raggiunta la somma di tutti gli aspetti, il che, però,
è assolutamente impossibile per l'idea sovrumana e indistruttibile del cri-
stian~~o--:-Tfconflittoefa·~·i~ondlia;~~e dei diversi aspetti, che si rea·
vedi ]. ARTz, Glaubensbegriindung aus dem Personlichen,Freiburg 1958; Io., Die Ei-
gemtiindigkeit der Erkennlnislheorie John Henry Newmans, in TQ, 139 (r959) 194-
222; H. FRIES, Die Religionsphilosophie Newmans, Stuttgart 1948; A. BRUNNER, Idee
r.nd Entwicklung bei Hegel und Newma11, in Scholastik, 32 (1957) 1-26; M. NÉDON·
CELLE, Newma11 et le développemenl dogmalique, in RSR, 32 ( 1958)!97-213.
TEORIE DELLO SVILUPPO DEL DOGMA
tecnica, il dogma resta però sempre nel ptolungamento del sens commun.
Vedi la relazione di H. HAMMANS, op. cit., pp. 83-84, sul modernismo,
soputtutto pp. 76-102; su L. DE GRANDMAISON, vedi Ibid., pp. 93-95;
su A. GARDEIL, vedi pp. 96 ss., eccetera.
lB Cf. soprattutto Histoire el Dogme, in Les premiers écrits de Al. Bionde/, Puis
1956, pp. 14!)-228.
Sl'URIClTÀ IJ<:LLA MEDIA:ZIONE
39 Su ciò vedi H. HAMMANS, op. cii., pp. 90 ss., per quanto questi dia un giudizio
anche troppo ottimistico; quando dice che l'influsso di M. BLONDEL sulla teologia
francese recente sia 'appena pcrccpibik' (lbid., p. 86)_ Cf. anche L. DA VEIGA Cou-
l'l~IIO, Traditio11 et hisloirc dans la co111rover:;c moderniste (189~·1910]. in A11Gr i3·
Rame 1954, soprattutto pp. 143-152; 162 ss.; 187 s.
40 Vedi l L HA:;1MANS, Of'. cii., pp. 95 s.; 119 >.; 129 s.
TEORIE DELLO SVILIJPl'O DEL DOGMA
-
velato.
.i,
41 Vedi H. HAMMANS, op. cii., pp. l05·II7; vedi inoltre supra, p. 296, nota 2, il ri-
ferimento al saggio di K. RAHNER, V irginltas in partu.
42 H. HAMMANS, op. cii., pp. n4-u6 (con bibliografia)
4J Ibid., pp. III s. (con bibliografia).
44 Vedi specialmente Introductio in bistoriam dogmatum, Paris 1922.
•5 Vedi soprattutto La evo/uci611 homogénea del dogma cat6/ico, Valencia l19n,
Madrid 1952, Col!. «B.A.C.», 81, con ampie aggiunte e l'introduzoone i,.; premessa
J,, E. S.\URl\S,
STOIUCITÀ DELLA l\!EDIAZIONE
"" Per un'elcncnionc di questi teologi, cf. E. DHANJS, Rt!vélation implicite et cxp/1-
cìtc, in Lo .<viluppo del dogma Jccon_do la dottrina calfolica, Roma 1953, pp. 207 ss.,
d. Gr H ( 1~53) 226 ss.; vi si trova anche un'esposizione oggettivamente più precis;·
delle 'infércnccs pcrsuarivcs', v. pp. 207·217 e 227-237.
47 Vedi inoltre i lavori di F.G. MART1~·Ez, le cui diverse pubblicazioni sono ram
sotto il titolo Esttidios teol6gicos en torno al obielo de la fc y la evol11cion del
ma, 1-11, Ona 1953-r958; hreve ragguaglio in H. HAMMAfl;S, op. c1l., pp. 15~
M. FERNhNDEZ·JIMENEZ, Un poso mas hacia la solucidn del problema de la evr
del dogma, in RET, 16 (1956) 289-339; Naturale:r:a del conocimenlo de lor a
accrca del deposito, de la revelacion, in RET, 18 (19,8) 3·33.
330 S'fUR!CITÀ DELLA MEI>IAZIONI:;
Una spiegazione equilibrata dovrà tenere una via media tra una
concezione, secondo la quale la rivelazione si esplica solo in proposi-
zioni formulate con concetti, ed un'opinione che trascura il legame
della rivelazione con la parola. Una rivelazione di Dio che non fosse
comunicazione della realtà rivelata allo spirito dell'uomo non po-
trebbe essere chiamata autocomunicazione di Dio, né venir conside-
rata come compiuta. Il punto di partenza della teoria tradizionale,
per cui il dogma si esplica sempre e solo in vere e proprie proposi-
zioni, rimane discutibile, anche se non si vuol negare con ciò la sttut·
tura fatta di proposizioni, ed il carattere razionale dello sviluppo del
dogma.
51 Su ciò vedi K. RAll~tH, Zur Frtge der Dogmcnenlwicklung, tr. in OCR, 62, so-
prattutto pp. 303 ss.
~TORIC!TÀ DELU MEDIAZIONE
' 1 s~rehbe prezioso allargare:- il conce.110 di 'spirituole' in genere, così come si <·
formain nella piì1 moderna filosofia. ,. onziruuo ariprufon<lire le questioni attuali me·
dianie l\1so dell'odierno concel!n di 'cc>mprendere'. NJturalmemc non I<> possiamo
torc qu:. Dobbiamo rierò fame pòlrola. per Jelimit:1re gius1amenrc quanto da noi viene
"'POS!ll. Vedi alcuni 3ççenni nell'.m icol<> I' <'rrle//e11. T r~m::.endentril philornphie, in
L'J'K 1 , IO (1965)
PRESUPPOSTI DI UNA SOLt:ZIONE DEL PllOBLEMA
33i'
22 M)"Sterium salutis / 2.
STORICITÀ DELLA MEDIAZIONE
338
siastico, di non costituire esso stesso una tale connessione, né, ancor
meno, di surrogarla, tanto più che i titolari dell'autorità dottrinale
della Chiesa, per quel che riguarda il modo con cui noi conosciamo
queste connessioni, non hanno alcuna prerogativa essenziale nei con-
fronti degli altri fedeli (anche se ne hanno una per quel che riguarda
la sicurezza). Da ciò si capisce pure che lo sviluppo effettivo del dog-
ma poggia concretamente anche sul lavoro dei teologi. Richiamarsi
quindi unicamente all'efficacia dell'istinto di fede, o del senso di fede,
o ad una particolare capacità del magistero di far procedere l'evolu-
zione, non corrisponde più ai fatti della connessione della storia dei
dogmi.
Non si deve poi dimenticare che si discute non tanto della con-
nessione reale, quanto della connessione conoscitiva. E al riguardo
è lecito dubitare che possa venire spiegato lo sviluppo del dogma
come di fatto verificatosi, per via di esplicitazione del 'formalmente
implicito' da una proposizione, a prescindere completamente dalla
difficoltà di distinguere tra un formalmente e un virtualmente impli-
cito.53 Si deve tuttavia ben chiarire che là dove la pura analisi del
significato d'una proposizione, fatta solo secondo le regole della lin-
gua e della grammatica, non dà la nuova proposizione, non si può
più parlare di un formalmente implicito. Le dottrine dogmatiche sul-
la transustanziazione, sul carattere sacramentale e sulla validità del
battesimo degli eretici, che non sono sempre esistite esplicitamente,;.i
e che tuttavia appartengono al patrimonio di fede della Chiesa di
oggi, non possono venir chiarite secondo questo schema senza com-
mettere arbitrio. Si deve dunque almeno (se vogliamo restare sul
terreno dell'esplicitazione logica delle proposizioni) dare un 'esplici-
tazione del virtualmente implicito, il cui risultato tuttavia va consi-
derato ancora come rivelazione di Dio stesso. Per rendere compren-
sibile ciò, è necessaria una doppia riflessione.
Quando parla, l'uomo non si rende mai pienamente conto delle
conseguenze oggettive che necessariamente promanano dalle sue af-
57 A suo modo fa questa distinzione anche f.n. DllA.'iIS; Révéiation explic1/e t'/ im·
plicite, in Lo wiluppo del dogm.i cmolico, Roma 1953, pp. 199 s.; in Gr., 34 ( 1953)
zr9; 222 ss.; vedi anche K. RA11~ER op. cii. (e note); H. IIAMMAl'>S, op. cii., pp. 211-
219; 234ss.; 240 "·; 281 s. (con bibliugrafìai.
'i8 Vedi K. RllHNER·. lur Frage der Dogmencntwicklung, 1r. in BCR, 62, pp. )06 ss.
59 K. RAllNER, Zur Frage der Dogmo1cntwteklung, tr. in OCR, 62, pp. po ss.; H.
H.\MMANS, op. cii. pp. 180 s.; 202 ss.
PRESUPPOSTI DI UNA SOLUZIONE Dl!L PROBLEMA
341
chiaro che la Chiesa si richiama meno alle deduzioni che alla sua
autorità (che naturalmente a sua volta non decreta in maniera cie-
ca); la caratteristica della conoscenza di fede, che è di essere un
fatto personale ed una conoscenza esercitata dalla Chiesa, viene
appena accennata; si parla poco d'una reale partecipazione e d'un
esame accurato della res della fede, e al contrario si parla molto d'au-
torità formale, e cosi via; la funzione dell'intelletto umano appare
troppo irnmancntisticamente chiusa, cosicché a mala pena è visibile
il punto di partenza soprannaturale del movimento; il ruolo della
luce della fede, e della grazia della fede, viene quasi completamente
misconosciuto; la rivelazione, nella sua presenza sempre nuovamen-
te attuale nell'annuncio della Chiesa, passa completamente in secon-
do ordine; la rivelazione appare anzitutto come una 'storia' ben lon-
tana e passata, o come una somma di prindpi atemporali, sui quali
la Chiesa ora, a distanza storica o nelle sue conseguenze specula-
tive, «ri-pensa»; l'accertamento della continuità e della ipseitas della
fede non è possibile al pensiero soltanto naturale; all'azione dello
Spirito santo è assegnato un ruolo sorprendentemente piccolo; il tem-
po, quale mèdium della storia dei dogmi, non riceve un senso posi-
tivo; la necessità d'una 'storia dei dogmi', per motivi teologici non
viene in alcun modo chiarita, gli indizi al riguardo vengono anzi
piuttosto elusi.60
Si capisce bene che qui non possono prendersi in considerazione
tutti i punti di vista che sono stati or ora accennati; alcuni aspetti
particolarmente essenziali verranno ripresi più avanti. La panora-
mica mostra solo il gran numero dei fattori, che sono da tener pre-
senti. A causa di questa pluralità e delle difficoltà ad essa connesse,
al momento attuale non c'è un'ampia esposizione d'una compiuta
'teoria' cattolica sullo sviluppo del dogma; cosicché questa non si
può offrire neppure qui. Il paragrafo seguente cerca solo d'enumerare
gli clementi costitutivi più essenziali, senza poterli di volta in volta
caratterizzare in modo esauriente.
bi Oltre alle osservazioni faue qui sopra, vedi le brevi indicazioni di K. RAHNEN.
Gberlegunge:1 wr Doi!,me11entwick!ung, cr. in BCR, 62, p. 338. Tbeologic im NT, lr.
in BCR, 62, pp. r68 ss.
~TURIClTÀ DELLA ME!llAZlllNE
H4
nire colta in modo più riflesso; nessuno di questi elementi può però
mancare. È già quindi possibile escludere la supposizione che nei sin-
goli casi siano diversi gli elementi che portano avanti lo sviluppo
del dogma, poiché in tal modo si pretenderebbe di poter descrivere
e giustificare più facilmente i diversi esempi storici.
Se adesso delineeremo brevemente gli elementi costitutivi dello
sviluppo dei dogmi, si tratterà solo di un primo abbozzo, che si
limita alla struttura, che caratterizza questi elementi solo nel loro
aspetto dinamico (dunque non un'esposizione completa sul ruolo del
magistero, dcl senso di fede, e così via, nello sviluppo del dogma);
non ci prefiggiamo quindi assolutamente di proporre una teoria sul-
la storia dei dogmi, compiuta anche solo sotto un certo aspetto. Nep-
pure si afferma che i relativi elementi siano esposti abbastanza chia-
ramente per quel che riguarda il loro ruolo dinamico; ci si sforzerà
anzitutto di rintracciare il loro ruolo all'interno dello sviluppo del
dogma, di uscire dalle interpretazioni limitatrici, e poi soprattutto
di scoprire strutture genuinamente teologiche.
a. Lo Spirito e la grazia
deposito fisso di verità morte. 65 «La Chiesa stessa, che insegna, che
crede e che prega, presa come un tutto, è l'ultima istanza per quello
che è la sua 'tradizione' (ma non la lettera, fissatasi lungo la storia,
qualora, sganciata dalla Chiesa, venisse contrapposta alla sua viva
coscienza di fede, quale istanza giudicatrice)». 66 Ogni i<lentifìcazione
della tradizione con il magistero semplifica troppo problemi storici
e sistematici della più grande portata. Il magistero non vuole vedere
in vece nostra ciò che noi non vediamo; non tira fuori dal depositum
fidei ciò che noi non possiamo tirar fuori in alcun modo insieme ad
esso; piuttosto noi vediamo con esso e sviluppiamo con esso; il ma-
gistero si richiama sempre alla teologia, alla Chiesa dei credenti e al
loro senso di fede, come la teologia a sua volta si richiama al magi-
stero; in nessuna parte l'una sostituisce l'altro, in nessuna parte si
accresce il significato dell'uno diminuendo il significato dell'altro.
e. Concetto e parola
•S Sul ruolo della tradizione, ""di specialmente lr teurie di M. BLONOEL (rnpra. pp.
)2) s.) J.H. NF.Wl\IAN (pp. 321 ss ), e la swoln di Tiibinga (pp. 319 ss.): soprat1ut10
11. HA~1!1-1ANS, o 1~. rii., pp. 260 ss. (con bibliografia).
11. RA!l~lR, ;\'uch ein neues Dogma.' in Orien/1criwg, 13 (1949) 15.
rATTORI DELLO SVILl!PPO Df.I. DOGMA
349
f. Analogia /idei
Su ciò, K. RmNfR, Zur Frage der Dogmenenlwick/ung, tr. in BCR, 62, p. 364.
350 STOKICITÀ DELLA MEDIAZIONE
61! Vedi K. RAH:-lER, Zur Frage der Dogmenentwicklung, tr. in BCR, 62, pp. 369 ss.
FATTORI DELLO SVILUPPO DEL DOGMA
ciò che noi qui chiamiamo 'senso della fede'. 69 Il senso della fede
non è neppure (come l'istinto di fede) appello e invito alla fede; esso
è invece quel sc:g_so che permette un tipo di 'giudizio-scoperta' spon-
taneo riguardo alla realtà di fede, attraverso esperienza concreta. La
luce di fede crea una congenialità misteriosa con la stessa realtà
della fede, e sono quindi possibili per i credenti conoscenze che ven-
gono da una certa affinità di natura, che non sono acquisite secondo
le leggi della sillogistica, né secondo una specie di 'intuizione'. In-
vece anche qui è piuttosto all'opera una conoscenza razionale di tipo
irriflesso, molto simile alla luce di fede ed all'azione dello Spirito.
Un maggiore approfondimento sul 'senso della fede' .si trova anzi-
tutto in M.D. KosTER 70 e CH. DILLENSCHNEIDER. 71 L'opera di que-
st'ultimo elabora particolarmente bene il fattore positivo 'senso della
fede' per lo sviluppo del dogma, senza però tralasciare l'accenno alle
sue debolezze (debolezze della fede di gran parte del popolo, dubbie
unilateralità, forme erronee di devozione, incapacità per questioni
sottili, ecc.). Il fondamento concettuale e filosofico di questo 'senso
della fede' inoltre oscilla ancora considerevolmente: per chiarirlo si
ricorre alla dottrina sull'habitus, il cui nuovo 'senso' facilita il giu-
dizio; ai giudizi di simpatia, alla capacità di percezione del concreto
da parte dello spirito, oppure solo alla capacità conoscitiva spontanea.
Tutti insistono sulla connessione con i doni dello Spirito santo e con
la virtù della fede e rispettivamente della carità.72
7l K. RAHNF.R, Zur Frtigen der Dogmenmtwicklurrg, tr. in BCR, 62, pp. 374 ss.
FATTORI.DELLO SVILUPPO DEL DOGMA
74 Sul tema vedi K. RAHNER, Zur Frage der Dogmene11twicltlu11g, tr. in BCR, 62, pp.
382 ss.; H. HAMMANS, op. cit., pp. 273-276.
75 Con alcuni saggi, tentarono il superamento della mentalità legata all'analysis
/idei classica RoussELOT, NEwMAN, RoNDET, DHANIS, ScHILLEBEECKX e soprattutto
K. RAHNER (vedi bibliografia).
23 Mysterium salutis / 2.
STORICITÀ DELLA MEDIAZIONE
U4
76 Vedi indicazioni su ciò in H. HAMMANS, op. cii., pp. 233-24r (con bibliografia).
71 Sulla storia della storia dei dogmi vedi, in breve, J. AUER: LTK 2, 3 (1959)467·
470 (con bibliografia); K. ALAND: RGG 3, 2 ( 1958) 230·234; sulla storia protestante
riferisce mollo esaurientemente, con ricche citazioni, F.W. KAUTZENBACH, Evangelium
und Dogma. Die Bewiiltigung des tbeo/ogischen Problems der Dogmengeschichte im
Protestantismus, Stuttgart 1959; E. WoLF, Kerygma und Dogma, in Antwort. Fests-
chri/t fur K. Barth, Zollikon 1966, pp. 780-807 (con molte indic112ioni bibliografiche).
78 Su ciò vedi B. LoHsE, W as verstehen wir unter Dogmengeschichte innerhalb der
evangelischen Theologie, in Kerygma und Dogma, 8 ( 1962) 27-45."
!NOAG!NE SULLA STORIA DEI DOGMI E DELLA FEDE
355
cerca una comprensione nuova della storia dei dogmi.85 Essa non è il
continuo processo di sviluppo della 'dottrina pura', non è neppure
una storia dello spirito del cristianesimo, ma è «la storia dello spi-
rito in contatto col Vangelo, nel quadro storico dell'annuncio della
Chiesa»: 86 la storia dello spirito viene essa stessa trasformata dal
Vangelo ('in contatto col Vangelo'), senza potersi mai identificare
con esso. «La storia dei dogmi s'occupa dunque dell'attuazione e
della convenienza del discorso cristiano su Dio, e della sua confor.
rnità al discorso fatto in passato, lungo la storia della Chiesa».87 La
problematica della storia dei dogmi protestante 81 si mostra soprat-
tutto in relazione al problema sulla continuità della storia,19 e certo
qui si riconnette nel modo più stretto alla funzione che il concetto
di dogma può avere all'interno della teologia protestante di oggi. La
valutazione di certe epoche della storia dei dogmi sembra però mu-
tare, anzitutto in alcuni lavori concreti di ricerca, nei quali ad esem-
pio ci si discosta considerevolmente dalle visuali di A. VON HARNACK
o di M. WERNERS. 90 Non ci si può aspettare grandi frutti da posi-
zioni troppo rigide e chiuse nella loro forma polemica,91 per contro
le più recenti indicazioni dei cosi detti 'teologi progressisti' offrono
spunti maggiori per un dialogo ecumenico. 92
as E. WoLF, Kerygma und Dogma?, pp. 805-807; inoltre B. LoHSE, op. cii., pp. 39-
41; K. ALAND, in. RGG3, 2, 233.
86 E. WoLF, op. cit., p. 805.
87 Ibid., p. 806.
111 Vedi anche B. LoHSE, Epochen der Dogmengeschichte, Stuttgart 1963, special-
mente pp. 9-29.
119 Vedi B.LoHSE in Kerygma und Dogma, 8(1962)42-44.
90 Vedi ad esempio A. G1LG, Weg und Bedeutung der altchristlichen Christolo-
g1e, Coli. «Theol. Bucherei,., 4, Miinchen 1955; W. ScHNEEMELCHER, Chalkedon 451-
1951, in EvTh, II (19,r-,2), 242 ss.; W. PANNENBERG, Die Aufnahme des philo.ro-
phischen Gotlesbegri/jes als dogmatiscbes Problem Jer fruhchristlichen Theologie,
in ZKG, 70(1959) I·4'i A. ScmNDLER, Wort und Analogie in Augustins Triniliils·
lehre, Coli. «Hermeneutische Untersuchungen zur Theologie», 4, Tiibingen 1965;
U. DuCHaow, Sprachverstiindnis und biblisches Horen bei Auguslin, Coll. «Herme-
neutische Untersuchungen zur Theologie», 5, Tiibingen 1965. Vedi anche A. G1LG,
Van der dogmengeschicbtlichen Forschung in der erslen Hiilfle des 20. Jahrhunderts,
in TZ, 10 (1954) II3·133; K.G. STECK, Umgang mii der Dogmengeschichle der Al-
ten Kirche, in EvTh, 1(1956)492-504.
91 Vedi ad esempio W. ELERT, Die Kirche und ihre Dogmcngeschichte, Miìnchen
1950; ora: Der Ausgang der altleirchlichen Christologie, Miinchen 1957, pp. 313 ss.
92 Un esempio più recente è dato da H. On, Der okumenische Dialog zwiscben
Dogmatismus und Freiheit zur Geschichte, in Radius 1965 (Mlirz-Sonderdruck).
STORiçlTÀ DELLA MEDIAZIONE
Dobbiamo qui presupporre tutto ciò che finora è stato detto sulla
rivelazione, sul rapporto tra rivelazione e Chiesa, sulla parola di
Dio e sullo sviluppo del dogma. La storia della fede si svolge lungo
i secoli nella Chiesa credente, mentre viene intesa la testimonianza
molteplice, e tuttavia -una, della rivei~ro-ne i~ GesùCristo. La sto-
ria dei do~ deve dunque portare a comprend~-~:~_}l dato rivelato
nel proprio momento storico e nel proprio linguaggio. Poiché la com-
prensione della fede avviene mediante il pensiero, ed ogni pensiero
si attua nel campo della comprensione dell'essere, la storia dei dog-
mi deve considerare anche le ,R_roprietà d_e_lla comprensione umana,
implicite in questa comprensione dell'essere. Qui dobbiamo solo
esporre l'elemento della storicità, «La comprensione umana dell'es-
sere, sempre e tutta, è caratterizzata dalla storicità, ess;-;ftrova in
continu~-~spansione,chetrasforma e plasma sempre in modo parti-
colare la comprensione dell'essere nella sua totalità». 96 Di epoca in
epoca, nella storia dei dogmi si verifica uno spostamento della com-
prensione di fede,-dovuto alla storicità della comprensione dell'es-
sere. Di volta in volta entra nell'unico orizzonte un modo fondamen-
talmente diy_erso di comprendere, di porsi i problemleClipensare. A
questo punto il concetto di 'sviluppo' si rivela inadeguato. Pertanto è
forse _più~_EEropriato parlare di 'procedimenti di traduzione' ,fi ;at-
traverso ai quali, di volta in volta, tutto il patrimonio di fede traman-
dato viene trasferito sul campo d'una nuova comprension~ll'essere,
sorta nella storia, come su un nuovo continente, dove subito s'orga-
nizza secondo le leggi del nuovo modo di comprendere, s'articola, per
poi cominciare sin dall'inizio a sviluppare una nuova immagine della
·fede. All'interno di questo nuovo campo di comprensione, l'immagi-
ne della fede viene ulteriormente plasmata, essa lascia la sua posizio-
ne precedente che, ormai, appartiene alla storia; progredisce attraver-
'"' Vedi B. WELTE, Credo ut intdligam als theologisches Programm be11le, in Winen-
schaft 11nd Veranwortung, Col!. «Univcrsi1ii1stagc», 1962. Bcrlin 1963, pp. 16-30,
citazione p. 19.
97 Ibid.,p.25.
STOllICITÀ DELLA MEDIAZIONE
BIBLIOGRAFIA
LA FEDE
INTRODUZIONE
24 - My!terium salutis / 2.
INTllODUZIONI!
2 Miinchen 1941. J.B. METZ ha ripreso con l'autore l'opera per la 2' ed. tedesca.
L'ed. it. (Torino I967) è condotta su quest'ultima.
L'UDITORE DELLA PAROLA DI DIO
3 Vom Ho,er des Wortes Gottes, in J. RATZINGER -H. Fa1Es (a cura), Einsicht
tmd Glaube, Freiburg 1962, pp. 15-27.
L'UDITORE DELLA PAROLA Dl DlO
373
A. ANTICO TESTAMENTO
B. NUOVO TESTAMENTO
2. Analisi statistica
Con le 484 volte del suo uso (verbo 241 volte; sostantivo 243 volte) 'fede'
viene solo superato (prescindendo dalle preposizioni, dai pronomi e dalle
particelle varie) da XpLO''t'oç (529 ), ri.vi}pw7toç ( 548 ), TCOLE~v (565 ), EPXE-
u»ocL (631), ylvEiri)a.L (667), EXEtv (705), xvpLoç (?I8), 'I11uoiiç (905),
Elmi:v {925), Ì>EOç (1314), À.ÉyELV (1318). Se poi si aggiunge a questo il
fatto che la fede ha origine dall' 'ascoltare' (Rom. 10,17), allora assumono
particolare peso in rapporto al nostro contesto i verbi EL1tEÌ:v e Hyew con
le loro 925 e rispettivamente 1318 volte. Nel singoli scritti m<T"':Euetv si
trova in Giovanni 107 volte !Vang. 98, lett. 9), seguito da Paolo (54, di
cui 21 in Rom.) e dagli Atti (37). Con 1tla·nç conduce invece Paolo con
142 (di cui 40 in Rom., 22 in Gal.), seguito da Ebrei ( 32) Giacomo ( 16) ( ! )
e dagli Atti ( 15 ). :F. qui inoltre utile ricordare l'uso dei Sinottici:
'lt'LO''t'EVELV / TClcr't'L<; in Mt. r r e 8 volte; Mc. 14 e 5; Le. 9 e 1 r .6
a. Può considerarsi esatto dire che, agli inizi della sua predicazione,
Gesù «non ha preteso, né ha accettato la fede in lui come portatore
della salvezza».7 Questo dipende dal carattere particolare dell'attesa
messianica che Gesù trovò e che gli impose un grande riserbo. 8
di Marco descrive già la figura di Cristo nel suo rapporto vitale con
gli ascoltatori, rispettivamente lettori, e diventa così una testimo-
nianza che esige la fede, anche se il concetto stesso (1tLa"tLc;, 1tLC"t'Eurn1)
non è usato così frequentemente come in Giovanni. Mentre Io. 20,3 r
dice positivamente (al presente) che il suo vangelo è stato scritto
«perché voi crediate ... e credendo abbiate la vita», la finale di Marco
dice la stessa cosa in modo positivo e negativo, ma al futuro: «Chi
crederà e sarà battezzato sarà salvato, ma chi non crederà sarii con-
dannato» (r6,16).
Per comprendere questo Mytov giova ricordare che l'invito alla conversione
(metanoia) nel vangelo più antico viene identificato con l'invito a credere
'al vangelo' (Mc. 1,15; similmente Mt. r1,2oss. =Le. 10,13-15: lamento
sulle città che non si. sono convertite nonostante i prodigi). La 'conversio-
ne' avviene quindi in un credere attivo, che non ~i limita semplicemente ad
ascoltare il vangelo e a ritenerlo vero, ma trasforma la vita corrisponden-
temente alle sue esigenze.
Uno sguardo agli usi di '!tlO""t!.<; e di '!ttO"-tEUELV permette una certa clas-
sificazione dei passi. Si può parlare d'una fede nei prodigi e nelle gua-
rigioni e stabilire come questa fede in una intera sequela di passi sia
richiesta quale condizione per la guarigione invocata, attesa o rispetti-
vamente come motivo di una guarigione avvenuta, e come essa sia
lodata da Gesù. 11 Contrapposta a questa linea ne appare un'altra che,
partendo dal miracolo, conduce alla fede. I miracoli in questo caso
sono segni, che non ottengono necessariamente la fede, bensì la sol-
lecitano e la rendono possibile. 12 Di fronte ad essi l'uomo si trova
nella libertà di decidersi pro o contro il taumaturgo. Proprio in ciò
consiste il peccato di coloro che hanno visto e udito, nel fatto, cioè,
che essi si decidono all'incredulità contro Gesù (Mt. 8,ro=Lc. 7,9;
Mt. 23,37=Lc. 13,34). II giudizio fondamentalmente (anche secondo
la concezione sinottica) avviene in questa decisione per colui che è
11 Vedi particolarmente Mc. 2,5 («quando egli vide la loro fede ... »); Mc. j,34 par.:
10,52 par.; Mc. ì,29; Mc. 9,14-29 par.; Mt. 8,10; Le. 7,50; 17,19. La formula: «la
tua fede ti ha salvato» (7 nei Sinottici) viene già svih;ppaia dalla Chiesa primitiva nel-
la dottrina della fede che salva (cf. Rom. ro,9 s.).
12 Ciò non avviene per la prlina volta in Giovanni, anche se è vero che l'cvan·
gclista insiste fortemente su tale aspcuo.
NU0\10 TEST AMENTO
25 Mysterium salutis / 2.
LI. FEDE SECONDO LA S. SCRITTURA
c. L'analisi dei vari passi che riportano itla"nç e T:tcr"tEUEtv non basta
però per ottenere un quadro esatto di ciò che i Sinottici intendono
per fede. Occorre anche considerare le situazioni di fatto. Diamo solo
alcuni accenni.
aa. Come la 'vista' dei 'segni' così anche I' 'ascolto' delle 'parole"
può suscitare reazioni diverse. 15 Gli ascoltatori vengono pressantemen-
te invitati ad 'ascoltare', cioè all'assimilazione interiore, all'ascolto ve-
ro (in opposizione a quello puramente .fisico): «Chi ha orecchie da in-
tendere intenda», 16 «prestate attenzione a quel che ascoltate» (Mc.
4,24). Con queste espressioni non si vuole intendere un puro ricor-
darsi, un non dimenticare. «L'ascolto nel Nuovo Testamento, in
quanto percezione della volontà divina, raggiunge la sua essenza sem-
pre e solo ... quando l'uomo afferma questa volontà 4i salvezza e di
penitenza in una fede attiva». L'ascolto (O:xouEw) viene allora coro-
nato dall'vm1xouEL'V, Paolo escogita l'espressione u'!tcx.Ko-fì TCla"tEwç pre-
cisamente per la fede che è obbedienza, e per l'obbedienza che è
fede. 17 Un ascolto siffatto porta a comprendere (cruvtÉvcu, crwlT)µ~).
«Prestatemi tutti ascolto e comprendete» (Mc. 7 ,14). Che ciò sia
difficile anche per la ristretta cerchia dei discepoli appare da Mc. 8,
17-2x e par. («Non avete ancora riflettuto né capito?», 8,17.21),
ed ancora più fortemente dopo la confessione di Pietro (cf. Mc. 8,
27-30 par. con Mc. 8,32 s. par.), e similmente dopo la seconda pre-
dizione della passione, Mc. 9,30 s. Gesù «esige che l'uomo abbandoni
tutti i propri pensieri e si apra interamente al nuovo modo di pen-
sare ... la sua persona è la chiave per tutti gli altri segreti di Dio;
solo a colui che comprende Gesù si rivela anche il mistero del
regno di Dio». 1'1
19 Questo ultimo passo, sebbene appaia più chiaramente solo in Giovanni (cf. lo. 12,
25 s.), è presente tuttavia nell'atmosfera dei Sinottici. Per la questione dei destina-
tari degli inviti alla sequela, cf. R. ScHNACKENBURG, op. cii., pp. 25 s.
20 Cf. ad esempio Mc. 6,21 («non colui che dice Signore, Signore ... »); Le. 6,46;
Mt 7,2p7; Le. 6,47-49; Mc. 3,34 par. (i veri parenti di Gesù).
LA FEDE SECONDO I.A S. SCJtITTUJtA
sione radicale per la persona del Cristo nel quale Dio vuole operare
la salvezza. Presupposto di tale fede è l'ascolto attento ed aperto cui
segue l'intendere. La fede viene realizzata nelle sue ultime profon-
dità solo nel dono totale al Cristo, nel legare la propria vita alla sua
mediante l'ingresso nella sua 'sequela'». 22
aa. In realtà Paolo parla espressamente d'una fede per essere salvi.
Con ciò egli non sta per nulla a sé nel Nuovo Testamento. Ciò che
però lo distingue dagli altri autori neotestamentari è il rifiuto netto
delle 'opere', delle Epya v6µov, nelle quali si deve ravvisare una via
'El :S significativo che in tutto il cap. VII I manchi sia niai:~ç. sia 'lttO"mlav: i
7tt!Ti:tuovi:Eç in questo capitolo, tutto proteso alla lode della grazia di Dio, sono
scmpliccmentc i XctPt!T&É•1'\'Eç (v. 32), gli o:yio\ (v. 27), gli aycn::i;:,v-.;~ç (v_ 28)_
28 I Cor. n,3; su questo però vedi O. Kuss, op. cil., p. 140.
LA FEDE SECONDO LA S. SCRITTURA
394
cc. Che una tale fede non sia semplicemente donata nella sua
pienezza, né che sia disponibile in questa sua pienezza, è evidente.
Si può legittimamente parlare di gradi e di possibilità individuali della
'ltLO"'t'Lç, in riferimento agli VC1't'Epfiµa:to: 't'iji; 'ltLO"tEWt; ( 1 T hes. 3, 1o), del
µi't'pov 1tLC1't'E~t; (Rom. 12 ,3 ), dello Ò:C1i}EvE~v 't'TI 'ltLCT't'EL (Rom. 14,1 ); la
fede ha la possibilità di crescere (2 Cor. 10,15) fino alla p!enezza della
fede (r Thes. 1,5). La questione del 'perché' di tali differenze non
viene risolta dalla Scrittura pii:1 di quella della cooperazione della
xtipLc; divina con la libera volontà dell'uomo. Così per Paolo la fede
è «la maniera di vivere di colui il quale 'è stato crocifisso col Cristo',
che non vive più come un io, ma che vive nel Cristo (Gal. 2,19 s.)». 30
E tale fede è concepibile solo in quanto òr.' à.yci7t11c; ÈvEpyouµiv11!
(Gal. 5,6 b). E se per Paolo v'è lo 'stato della fede', i 1tl.(l''tEUO\l'tEc;
non fanno la parte delle comparse! Piuttosto: «Noi distruggiamo
ogni forma di sofisticheria e di orgoglio che si leva contro la cono-
scenza di Dio e pieghiamo ogni pensiero per ridurlo all'obbedienza
del Cristo» (2 Cor. 10,5).
dd. Quali sono i rapporti della concezione paolina della fede con
quella dei Sinottici? La fede per Paolo è in rapporto altrettanto forte
e stretto con la 'salvezza' quanto per qualsiasi altro autore neotesta-
mentario. E sul contenuto di questa aw'f1lpla. Paolo parla altrettanto
chiaramente quanto Giovanni ed i Sinottici. Nella maniera più espli-
cita quando si parla della comunione con Dio mediante il Cristo nella
/ede: «giustificati adesso ( tx 1tla·uwc;), abbiamo la pace con Dio me-
diante il nostro Signore Gesù Cristo e mediante lui anche l'accesso
(nella fede) alla grazia nella quale stiamo» (Rom. 5 ,I s., cf. Eph. 3 ,12 ).
Secondo Eph. 1,15; Col. z,4, la fede è una 1tW't~c; tv 't~ xvpl41 'I11aoii,
rispettivamente E\I Xp~a'ti;i 'I11aoii; «è Gesù Cristo lo spazio, il campo
d'azione nel quale solo la fede può operare».31 Una siffatta interpre-
tazione 'spaziale' di lv Xp~a'tlf) nei passi citati prende sul serio il
fatto che il credere incorpora al Cristo; viceversa Eph. 3 ,17 può dire
che il Cristo deve abitare nei cuori dei destinatari 5~à 'tiic; 7tla'ttwc;.
La 11:la'tr.ç ttu'toii, Xp~a'toii 'I11aoii, e così via, che per lo più deve essere
intesa conformemente al genitivo oggettivo come fede al (non: del)
Cristo, corrisponde al volgersi ed al donarsi confidente al Salvatore,
atteggiamento che caratterizzava già la fede degli uomini nei Sinot-
tici: direttamente come una fede nella guarigione, ma indirettamen-
te e propriamente come una fede nella salvezza.
La statistica dei termini conferma alla sua maniera questo fatto: delle
241 presenze di 7tLl7'tEVELV nel Nuovo Testamento, se ne riscontrano 98
nel vangelo di Giovanni e 9 nelle sue lettere. Il sostantivo nlCT'tLt; si trova
solo in 1 Io. 5.4· Inoltre bisogna aggiungere tutta una serie di concetti,
i quali per quanto riguanla il contenuto sono identici a mO''tEÙEw e lo spie-
ll C. SP!CQ, L'E.pilre aux Hebreux, II, Coli. •&tudes Bibliques», Paris 1953, p. 379.
33 I bid., p. 379.
LA FEDE SECONDO LA S. SCRITTURA
gano nel suo divenire, nella sua attuazione e nel suo fruttificare: àxovnv,
gpxeal)a~ 'ltp6ç, À.ap.(3iivELV, òp&v, i)Ewp:::i:v, i)eci:O'i)aL, LSEi:v, axoÀ.oui)Ei:v,
n)pEi:v, cpvÀ.a""t""tSLV; negativamente: li'ltELÌ)Ei:"ll, à:i}e""tEL"\I.
Nell' àya1tliv, nel òO.E~v 't'Ò i}Eì..TJµt:t O:V't'OV 1toi.e~v ( r Io. 4,7 s; Io.
7,17} colui che vuole credere si apre al rivelatore: le sue orecchie si
aprono all'ascolto ed alla comprensione delle parole di Gesù ed i suoi
occhi alla meditazione degli tpya di Gesù, che per lui sono segni e
quindi, come tali, rimandano al di là di se stessi':' Nella fede l'uomo
si apre per andare (Ep)(EuÌl"aL) a Gesù, per lasciarsi accogliere da lui e
per non farsi rigettare da lui (lo 6,37). La fede si presenta allora
come comunità di vita e di destino con colui che ha accolto il credente
e che a sua volta viene accolto (À.o:µ~avELv) nella fede. Ormai lo si
segue (&.xo).ovÒE~v), e come servitori (obbedienti!) si sarà dove è lui
(lo. 12,25 s; cf. I0,4 s.27; 21,19 b-24) fino al dono della vita. L'ob-
bedire non è quindi perdita, ma segno insostituibile dell'amore auten-
tico: «Chi mi ama, osserva i miei comandamenti!» (lo. 14,15; cf. 14,
2 r.2 3 ). Nell'tixovm1 giovanneo è spesso implicito l'ù1to:xouELV (ana-
logamente all'ebraico sama'), anche se il termine manca del tutto in
Giovanni e viene sostituito da 'tTJPE~v ('t'Ò'V Myo'll, -tà4 tv"toÀ.li.c;, e così
via). All'obbedire cosl concepito viene promesso anche il possesso del-
la vita (Io. 5,24; 8,51), in maniera eguale che alla fede (Io. 5,24) o al-
l'amore (r Io. 3,14) - un indizio questo che mostra l'intreccio intimo
e la connessione mutua degli atteggiamenti suddetti Il mo..tEUELV gio-
vanneo è sempre in via verso l'incontro personale con Dio; la forza
intima di questo movimento della fede è l' &.ycbtTl, la quale sorge nel-
l'uomo dal conoscere che Dio ha amato per primo e che ci ha dimo-
strato questo amore nel dono del Figlio (Io. 3,r6; r Io. 4,9 s.; qui
Giovanni si avvicina fortemente a Paolo, cf. 2 Cor. 5,r4 s).
La fede già prima (Antico Testamento, Paolo) era apparsa come
dono, come un consegnarsi dell'uomo a Dio, e così Giovanni, da par-
te sua, continua ad accentuare questo aspetto, ma elimina in questo
ogni parvenza di negatività: il dono a Dio non si ha per costrizione
o nel timore servile, bensì nell'amore.; esso si oppone radicalmente al
qi6~oc; (r Io. 4,18). Per Giovanni la rivelazione è l'offerta dell'amore
di Dio; allora la fede come «SÌ» alla rivelazione è essenzialmente un
«SÌ» all'amore di Dio nella corrispondenza più completa (una fides
informis negli scritti giovannei costituisce per lo meno una fede molto
problematica!).
La fede giovannea è infine conoscenza: mi:r't'EVEW e r~vwcrxELV (dove
400 LA FEDE SECONDO LA S. SCRITTURA
'!A 3,1,.36; ,,24; 5,40; 6,4740; 6,5os.54.57.58; 10,10; 10,28; 17,3; 20,31; I Io. 5,
rr; le formule al futuro 5,25; 6,51.57 s.; 11,25; 14,19; I Io. 4,9 non si riferiscono
al futuro, ma sottolineano la condizione della decisione della fede per il possesso
della vita.
Jl Se il possesso della vita viene ascritto anche all'eucaristia (lo. 6,54.,8) ed al-
l'amore per il prossimo (I Io. 3,14), non è perché eucaristia ed amore del prossimo
siano vie accanto alla fede, ma perché sono atti i quali possono essere compiuti nel
loro senso pieno solo nella fede .
.16 Per la cristologia del Logos, cf. il vol. lii di quest'opero.
26 Mvsterinm ,alutis / 2.
402 LA FEDE SECONDO LA S. SCRITTU.RA
19 Alla pienezza finale si riferiscono il testo di Io. 14, 2 s.; 17,24; 1 Io. 3,2; anche
10,29 riceverà la sua assoluta cenezza solo 'allora'
SEZIONE TERZA
1. Una prima riflessione sulla natura della fede cristiana ebbe luo-
go nella contrapposizione con lo gnosticismo. 2 Per la gnosi, il feno·
meno religioso è primariamente dono naturale o condizione mistica;
la teologia della Chiesa accentua invece il carattere della fede come
azione libera e morale dell'uomo e come libero dono gratuito di
Dio. Mentre lo gnostico disprezza la fede riducendola ad opm1onc
personale non fondata (&6~!'l ), la teologia cristiana invece accentua
1 Sul tutto d. R. AUBEllT, Le problème de l'acle de foj., Louvain 31958 (la citazione
di quest'opera viene abbreviata nel modo seguenle: AvsERT) pp. 13-222 {pauis1ica:
13-42; ToMMASO: pp. 43-71; magistero della Chiesa da Trento al Vaticano 1: pp. 72-
131; Vaticano 1: pp. 132-222; già queste proporzioni mostrano come solo in lempo
recente si sia prestata maggiore attenzione ai problemi connessi con la fede). Un bre-
ve ma eccellente schizzo dello sviluppo dogmatico della domina della fede si 1rova
in J. Au1rn, Was beim glauben?, in MTZ, 13 (1962) 235-255.
2 Cf. K. RAHNEll, Gnosis, in LTK2, 4 (1960) 1019-1021; H. R.111NEll, G110stizis11111 1 •
1v. Christlicher Gnoslizfrmus, Ibid., io28-1030.
LINEE DELLO SVILUPl'O J)J;L DOGMA E J)t:LLA TEOLOGIA
} CLEMENTE AL~SSANDRINO, Stroma/a, 7, IO, n-57 (57, 3 ss.), in GCS, Clemcns lii
(STAllLIN) 40.
LINEE DELLO SVILUPPO DEL DDGMlt. E DELLA. TEOLOGIA 4o7
7 DS 371-39,, spedalm. 37), 377; N11218 s., 696-700, specialm. 698. Cf. AuBER'f, pp.
30-42.
a Cf. GJLSON-BOHNEH, Die Geschichte der christlichen Philowphic, Padcrbom 1937
l'I'· 268-27 I.
LINEE DELLO SVILUPPO DEL DOGMA E DELLA TEOLOGIA
10 Vedi S. tb., 2.·2, 1, 2, 2: «Actus ... credentis non terminatur ad enuntiabile, sed
ad rem».
li S. tb., 2·2, 4, I.
12 Vedi M. SECKLER, Instinkt und G/aubemwille nacb Thomas van Aquin, Mainz
1961, spedalm. pp. 159-268.
Il Sulla reologia della fede cf. il voi. xv della DJ"bA: Glaube als T ugend (S. tb.,
!Hl 1·16)( 19,0).
LINEE DELLO SVILUPl'O DEL DOGMA E DELLA TEOLOGIA
14 NR 715; vs 1526: « ...excitati divina gratia et adiuti, fidem 'ex auditu' (cf. Rom.
10,17) concipientes, libere moventur in Deum credentes, vera esse, quae divinitus re·
velata et promissa sunl, atque illud i11 primi;, u Dco iusti/icari impium per gratia111
ClU5 ... >>.
LINLJ; UliLLU ~VILUPPU Dl'L DOOM,\ I! U~Ll.A TEOLOGlh
412
Nel cap. x viene anche assegnato alla fede ed alle buone opere un
influsso nella crescita della giustificazione.
Al cap. xv viene affermato che la grazia e con essa la carità ven-
gono perdute con ogni peccato grave (e non solo mediante l'incre-
dulità), ma non in maniera tale che, tranne che non si tratti d'un
peccato contro la fede, venga a perdersi la fede stessa; nel peccatore
può quindi continuare a sussistere la fides mortua, che esercita cosl
una funzione in rapporto alla salvezza (os 1544).
8. Il secolo XIX ebbe a far fronte alle grandi correnti del tempo,
che dopo l'incubazione dei due secoli precedenti irruppero nell'am·
biente ecclesiale dall'esterno: la filosofia illuminista di marca ra-
zionalista ed ostile alla fede, e le nuove scienze matematico-naturali,
ricche di successo ma falsamente interpretate in chiave materialista,
atea e panteista. Il tradizionalismo, sviluppantesi nell'area cattolica,
costituiva una ·specie di fuga disperata dalla conoscenza naturale ap-
parentemente fallita su tutta la linea nella sua visione del mondo,
per rifugiarsi nella falsa sicurezza d'una fede di marca fideista. D'al-
tra parte nell'ambiente della teologia cattolica sorse un semiraziona-
lismo (GiiNTHER, HERMES, FROHSCHAMMER) influenzato dalle con-
quiste scientifiche del tempo il quale accettò fiduciosamente l'aiuto
delle scienze moderne, ma che indebolì troppo, riducendoli alla mi·
sura della scienza umana, i contenuti soprarazionali della fede.
In questa situazione, per la prima volta nella sua storia il magiste-
ro cattolico ha fatto tema proprio la dottrina teologica sulla fede nel
Vaticano I. Anche qui la prospettiva è determinata dal tempo e dal-
la storia, ma il contenuto - anche se in maniera non esaustiva - è
fedele espressione dell'immutata coscienza della Chiesa. La fede, «che
è l'inizio dell'umana salvezza» viene vista come «virtù soprannaturale
mediante la quale, con l'impulso ed il sostegno della grazia di Dio,
LINEE DELW SVILUPPO DEL DOGMA E DELLA TEOLOGIA
crediamo come vero ciò che ci è stato rivelato da Dio. non perché
si percepisca con il lume naturale della ragione la verità intrinseca
delle cose, ma per l'autorità di Dio stesso che riv~a, il quale non
può ingannarsi né ingannare ... » (os 3008; NR 35). 11 In questa defini-
zione si trova contenuto tutto ciò che sarà sviluppato in seguito, come
'la fondazione razionale della fede' sui 'segni' dati da Dio, soprattutto
i miracoli e le profezie (Ds 3009; NR 36 ); la gratuità e quindi il carat-
tere ralvifico e la libertà della fede vista in se stessa, anche quando es-
sa non sfocia nella carità (DS 3010, NR 37); il suo oggetto, i credenda
(ossia ciò che è stato rivelato da Dio, come è contenuto nella parola
scritta e tramandata: DS 3011; NR 38 ); la sua necessità per la salvez-
za (os 3012, NR 39 ); la possibilità della conoscenza della credibilità
mediante l'esistenza e la vita della Chiesa in se stessa e nelle sue
note esterne quale «rignum levatum in nationes»- (os 3014; NR
3 55 s.), e perciò la necessità e la grazia della perseveranza di coloro
i quali «mediante il dono celeste della fede già aderirono alla verità
cattolica» (ns 3014; NR 40 s.).
Un capitolo specifico, il quarto, si occupa in maniera più determi-
nata delle relazioni intercorrenti tra fede e ragione, della distinzione
dei due ordini di conoscenza, ognuno con i propri princìpi (ragione
naturale-fede divina) e con il proprio oggetto (verità naturali-misteri).
I due ordini non stanno in opposizione tra loro, in quanto ambedue
hanno la loro origine vera nello stesso Dio (Ds 3017; NR 44 s.), anzi
possono e devono essersi di reciproco aiuto (os 3016; 3019; NR 43;
46 s.). Ambedue gli ordini devono crescere e svilupparsi, ma questo
sviluppo sarà tale che il contenuto stesso della dottrina, il suo senso,
rimarranno invariati (os 3020; NR 48).
17 «Rane vero fidcm ... virt11tem esse supernaturalem, qua, Dei aspirante et adi11van-
le grafia, ah eo revelata vera esse credimus, non propler i11trimecam rerum verita/em
naturali ralionìs lumine perspectam, sed propter aucloritarem ipsius Dei revelanlis,
qui nec falli 11ec /al/ere po/est ... ».
UNEE DELLO SVILUPPO DEL DOGMA E DELLA TEOLOGIA
dal pensiero personalista che deve molto agli sforzi di MAX ScHE-
LER ed alle concezioni della filosofia esistenzialista, sorte dalla feno-
menologia io e per la cui assimilazione si è dimostrato ancora di aiuto
il card. NEWMAN. 21 P. RoussELOT nei suoi «Occhi della fede» 22 ha
potuto nuovamente avviare ai fini d'una penetrazione speculativa
della fede la trattazione della funzione dell'illuminazione sopranna-
turale e la funzione della volontà nella sua causalità reciproca con
l'intelletto.
Le esigenze del pensiero esistenzialista e personalista furono ac-
cettate soprattutto da A. BRUNNER 21 e J. MouRoux.'" Non bisogn:i
inoltre tralasciare l'apporto d'un nuovo significato della fede per la
comunità, per il sopraindividuale.i,,
«La ricerca più profonda della nuova teologia, nella misura nella
quale essa si considera qualcosa di più che pura storia o tecnica pa-
storale, è volta a rispondere alla domanda del catechismo: «che cosa
è la fede in senso cristiano?». Il modo in cui un teologo tenta d'inter-
pretare l'essenza della fede divina, lascia trasparire nel modo più
chiaro l'indirizzo particolare ed il condizionamento storico della sua
teologia». 1
Si va quindi alla ricerca di una definizione della fede; una defini-
zione che deve salvare tutta la ricchezza del concetto biblico di fede
e che tuttavia non riuscirà mai ad accoglierne in modo adeguato tutti
gli elementi. L'uditore attento del messaggio biblico sulla fede riesce
a percepire molti più suoni di quanti non ne riesca a contenere una
definizione scolastica.
Certo, a noi è sbarrata la via verso una definizione intesa in senso
cartesiano, una definizione cioè che, sviluppandosi more geometrico,
sia in grado di darci tutta la dottrina sistematica sulla fede. Il qua-
dro che della fede ci danno la Scrittura e la tradizione non è tale in
sé, da permettere una definizione incisiva. Ciò che Scrittura e tra-
dizione intendono con l'espressione 'fede', costituisce qualcosa di
unitario, nonostante tutta la molteplicità di particolari che essa na-
sconde in sé e che non potrebbero mai venir dedotti da una rigida
definizione concettuale. La pregnante densità dei particolari si è
palesata tuttavia anche come molteplicità riconducibile ad unità. Nel
sistema infatti si corre il rischio d'assorbire la varietà degli elementi;
e tuttavia, senza il sistema, noi non potremmo· intendere la pienezza
cosl come essa è, come unità nella molteplicità, ma solo come un fa-
scio di elementi slegati - ciò che essa non è . .E quindi giustificato e
doveroso il tentativo d'uno svolgimento teologico-sistematico della
dottrina sulla fede.
1 K. Esc11WEILER, Die zwei Wege der neueren Theo/ogie, Augsburg 1926, p. 27.
27 Mysrerium saluris / 2.
INTELLIGENZA TEOLOGICA DELLA FEDE
7 S. !h., 2-2, 4, r c.: «La fede è un abito dello spirito mediante il quale s'inizia i
noi la vita eterna ed il quale porta l'intelletto ad ussentire a ciò che non vede».
~ T\'(INT, 6, 209.
4:rn INTELLIGENZA T EOLOGJCA DELLA FEDE
(pp. 212-233); G. DE BROGLiE, Pour u11e théorie rationnelle de l'acte de foi. 11, Paris
1954, pp. 61-76 (LA rurnaturalité de la foi).
17 Cf. voi. V, cap. 9, SEZIONE SECONDA.
l8 Cf. I Io., 3,r.
19 Hebr. II,6; ns 1n2; NR 722.
10 Cf. voi. 1v, cap. 9.
21 Cf. DS 1526; r532; 1553; NR 715 s.; 722; 740.
~ Cf. supra p. 417.
INTELLIGENZA TEOLOGICA DELLA FEDE
caritatem non operetur (cf. Gal. 5,6), donum Dei est et actus eius
opus ad salutem pertinens».21
Che questa grazia sia una 'grazia interna', non riducibile quindi
alla testimonianza esterna mediante le parole e le opere - anche se
destinata a noi con bontà gratuita - viene espressa nel Nuovo Te-
stamento in vari modi. Basti qui rimandare brevemente a quella lode
che Gesù, secondo Mt. 16,17, fa alla fede di Pietro: «non te lo han·
no rivelato la carne ed il sangue ma il Padre mio che sta nei cieli»;
questo Padre che ha «rivelato ai piccoli» mentre ha nascosto' ai sag-
gi ed ai sapienti (Mt. 11,2_:;) quella conoscenza del Padre che pos-
siede solo il Figlio e «colui al quale il Figlio Io vuole rivelare» (Mt.
II ,2 7 ). Qui si deve senz'altro trattare di qualcosa di diverso da una
presentazione esteriore della dottrina e d'un influsso del segno visi·
bile che vengono ascoltati e visti anche da coloro i quali non danno
realmente la risposta di fede. Si tratta quindi d'una rivelazione inter-
na, di ciò che Paolo chiama una rivelazione dello Spirito («Dio ce lo
ha rivelato mediante il suo Spirito», iCor. 2,10). «Noi... non abbiamo
ricevuto Io spirito di questo mondo, ma lo Spirito che è da Dio per·
ché noi riconosciamo ciò che Dio ci ha donato» (1 Cor. 2,1.2). Si trat·
ta di un'illuminazione interiore dello Spirito, infu~a nei nostri cuori
mediante la comunicazione dello Spirito santo. «Dio, alla parola del
quale brillò la luce dalle tenebre, ha fatto brillare la luce nei nostri
cuori perché risplenda in essi la conoscenza della gloria di Dio sul
volto di Cristo Gesù» (2 Cor. 4,6). Per Giovanni, il vero maestro è
lo Spirito santo presente nel nostro cuore: «Il consolatore, lo Spi-
rito santo che il Padre vi manderà nel mio nome, egli vi insegnerà
ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto» (lo. 14,26);
«Egli è l' 'unzione' in voi che vi insegnerà tutto» (cf. I Io. 2,27). An·
zi viene affermato in maniera nettissima: «Chi crede nel Figlio di Dio
ha la testimonianza di Dio in lui» ( 1 Io. 5 ,10 ). La fede ci può essere
soltanto dove il Padre «trae» (cf. Io. 6,44), dove qualcuno <~ha udito
ed è stato istruito dal Padre» (Io. 6,45), dove «è stato dato dal Pa-
dre» (lo. 6,65 ).
Il magistero ecclesiastico contro i pelagiani - e ancora più preci-
D os 3010; NR 37: «Anche se non opera attraverso la carità, tu!lavia la fede in s.O
~ un dono di Dio e l'atto di fede è un'opcro< ordinata alla salvezza».
!Nl'ELL!GENZA TEOLOGICA DELLA FIODL
i& Cf. il concilio di Orange, us 375; l\R 698: anche l'inizio della fede, anzi la
stessa pia disposizione a credere ... è in noi in fona d'un dono della grazia, cioè del-
l'ispirazione dello Spiri10 santo il quale porta la nostra volontà dall'incredulità alla
fede. Cf. J. CubiÉ, Quc rignifiaienl 'inilium /idei' et 'alfectur credulilalir' pour le.r
5,:mipi!!ag1e11s, in RSR, 35 (1948) 566-588.
IN Sl'lRIIU
·P7
sta mai nel creaturale, nel 'naturale' Sempre e sotto ogni riguardo
il Dio che dona la grazia rende possibile la fede e ciò in libera auto-
comunicazione, proprio come 'grazia elevante'. Noi non vogliamo
affatto mitigare la dottrina antipelagiana sulla grazia: tutto è grazia. 29
Sarebbe inoltre falso intendere l'elevazione soprannaturale in sen-
so solo entitativo-giuridico. Essa abbraccia la realtà della fede in noi
in quel che essa veramente è: realtà intenzionale, atto intellettivo-
volitivo.~
La grazia è quindi in primo luogo liberazione dell'uomo dalla schia-
vitù per la libertà con la quale ci ha liberato il Cristo (Gal. 5,1 ),
liberazione per la risposta obbediente all'invito del Signore, alla ùmt-
xo1), all'ascolto volonteroso e libero da quei molteplici legami che
rendono l'uomo peccatore schiavo 'degli elementi del mondo' (Gal. 4,
3} - in quanto grazia sanante -, ed ancora più è liberazione per
quella libertà che è un sì all'elevazione nell'infinità divina, come
viene espresso nella risposta filiale: «Abba, padre». La volontà di
credere è «animazione dello Spirito» (Rom. 8,r4). E questo intende
anche il II concilio di Orange, quando ascrive al dono della grazia
il pius credulitatis afjectus; 31 questo in1;ende il Tridentino secondo il
quale gli uomini «excitati divina gratia et adù1ti .. libere moventur in
Deum,32 e la stessa cosa viene ancora sottolineata dal Vaticano I con
riferimento al 11 concilio di Orange, quando viene affermato che
nessuno può aderire alla predicazione del vangelo «absque illumina-
tione et inspiratione Spiritus Sancti, quì dat omnibus suavitatem in
consentiendo et credendo veritati».13
In questo 'sì' dell'uomo liberato si schiude una conoscenza nuova,
un vedere nuovo, con gli occhi di Dio. Perciò questa grazia è anche
'luce' - lumen /idei :i.-. Essa ci dà degli 'occhi nuovi', gli occhi della
J9 Cf. M.-L. GUÉRARD DES LAURIERS, Dimensions df la fai, Paris 19p: I, pp. 232·
238; 11, p. 105 (nota 287).
INTELLIGENZA TEOLOGICA DELLA FEDE
430
In ogni caso ogni 'vanto' è escluso proprio dalla radicale gratuità del-
la fede. «Dov'è dunque il tuo vanto? - Esso è escluso. Da quale
legge? Quella delle opere? No, dalla legge della fede» (Rom. 3,27).
Proprio perché, secondo Paolo, la giustificazione si radica nella fede,
essa nella sua totalità ha origine dall'iniziativa divina, e quindi il
vanto è riservato a Dio. 40
Occorre tuttavia evitare un equivoco: tutto è grazia, tuttavia In
grazia non soppianta l'umano, non lo opprime, non lo rende super-
fluo, ma al contrario lo presuppone: non destruit, sed perficit et
elevai.
40 ~ chiaro d'altra parte che da questo non soffre danno alcuno l'universalità della
volontà salvifica: cf. G. ScuiiCKLER, Die christologische Verfasstheit, in Cath, n
(1956) p-64: «Tutti gli uomini senza eccezione sono venuti in relazione con la grn·
zia del Cristo ed ogni uomo ha da fare con questa grazi in maniera misteriosa»
(p.54).
41 AUBERT, p. 738.
CUM CHRISTO 431
• 2 Cf. M.·D. CuE:<lJ, La foi dans /"inic•lligcnce, Paris 1964, p. r8; N. Dv11;As, Con-
naissa11ce de la foi, Paris 1963, pp. 17 s.
' 1 Cf. M. SECKLER, op. cii., p. 160.
44 La stessa cosa vien detta dal punto di vista opposto, cioè a partire dall'azione
<li Dio anziché dalla risposta dell'uomo (come facciamo noi adesso per la dottrina del.
la fede) da R. LATOURELLE, Teologia della rivelazione, Assisi 1967, pp. 435-446.
!NTF.LLIGF.NZA TF.Ol.OGICA !JELl.A Ff.DE
432
sola: essa non soppianta niente. Così del resto possiamo affermare
di Dio: solus creator-numquam solus. 4s Occorre quindi che ora esa-
miniamo la 'componente' umana della fede. Solo che essa è 'compo-
nente' accanto ad una 'componente' divina, nella .misura in cui Dio
e creatura possono dirsi componenti di un tutto che li superi. Sotto-
lineare ciò non significa apportare pregiudizio né alla realtà di Dio,
né alla realtà della creatura, né alla reale differenza tra i due. Che
un tale rapporto rimanga misterioso e non sia mai pienamente spie-
gabile attraverso 'i no;;tri concetti, non costituisce teologicamente
un motivo per essere negato.
E l'uomo a credere, e non già Dio in vece sua! Ed eccoci al mo-
mento di parlare di ciò che nella fede appartiene alle forze umane.
Che la fede non sia solo una disposizione di Dio che esautori la
realtà creata dell'uomo, la 'lasci fuori', appare già evidente dal fatto
che essa si realizza nella confessione e nella testimonianza. «Ognuno
che mi confesserà davanti agli uomini, anche il Figlio dell'uomo lo
confesserà davanti agli angeli di Dio. Ma chi mi rinnegherà davanti
agli uomini, anche lui sarà rinnegato davanti agli angeli di Dio» (Le.
12,8 s.). Certo anche questa confessione viene posta sotto ·l'influsso
della grazia: «Nessuno può dire: 'Gesù (è) Signore' se non nello Spi-
rito santo» (I Cor. 12,3), ma essa è anche azione dell'uomo, per il
fatto stesso che deve essere tradotta nelle opere: «Non chi mi dice:
Signore, Signore!, entrerà nel regno dei cieli, ma chi fa la volontà
del Padre mio che è nei cieli» (Mt. 7 ,21 ). La confessione ·anzi è una
testimonianza, µa.p-rupLov, che dimostra tutta la sua serietà proprio
nel martirio, nella testimonianza di sangue. La confessione è azione
dell'uomo, ma è anche espressione d'una convinzione che uno ha
personalmente. Questa convinzione è qualcosa di più che una mera
conoscenza che registra dei fatti, essa è uno 'star di fronte' alla realtà
affermata._ La convinzione include certamente la conoscenza, essa è
qualcosa di più che una semplice adesione a dei princìpi e tutta-
via si manifesta in princìpi, in affermazioni, in 'verità di fede' i::
quindi perfettamente giustificato porre attenzione al lato 'psicolo-
•s Cf. R. GRoSCHE, Sola grati, in Carh, II (1956) 64-68; J. RATZINGER, Gratia prac-
supponit naturam. Erwagimgen iiber Sinn und Greme11 eines scholaslischen Axioms.
in J. RATZ!NGER-H. FRIES (a cura), Einsichl 11nJ Glauhe. Freiburg r962, pp. 135-149;
J. ALrARn: L1'K 2, 4 ( r960) I 169-II71.
CUMCHRISTO
433
gico' (nel senso della psicologia ontologica scolastica) della fede, cosl
come lo hanno fatto di preferenza gli scolastici e s. TOMMASO; fede
come atto che si forma nella psiche umana e ne impegna le forze:
intelligenza e volontà, e che è sempre unità fonda1Qentale di ambe-
due nell'adesione personale. 46
Il pericolo d'una falsa prospettiva non sarà sempre evitato sufficien-
temente se si cercherà di comprendere la fede partendo dagli oggetti
della confessione, dagli articuli fidei, e se si confronteranno con i
princìpi del sapere umano, ad esempio con le verità della geometria.
In questa maniera si coglierà la differenza nel fatto che queste ulti-
me possono essere conosciute grazie all'evidenza della cosa in sé, ed
i primi invece non già grazie a questa evidenza, ma solo grazie alla
testimonianza d'un altro che, in questo caso, è Dio stesso. Così la
testimonianza di Dio apparirà come la comunicazione d'una cono-
scenza purtroppo non evidente per altra via. L'errore di prospettiva
di questa concezione consiste nel fatto che ciò che nella fede è vera-
mente essenziale, e cioè il sì all'invito divino, viene colto solo in di-
pendenza dalla conoscenza delle preposizioni di fede. La prospettiva
viene quindi spostata. La fede appare come una conoscenza di secon-
do piano, la conoscenza d'un oggetto che ha bisogno della mediazione
del testimonio in quanto l'oggetto, la verità formulata, non potrebbe
essere in grado di determinare l'intelletto umano all'assenso. Ora, tut-
to ciò non è ·che sia falso, ma le proporzioni appaiono fortemente
deformate: la grandezza della fede consiste precisamente nel fatto
che essa può essere una risposta al Dio che invita personalmente,
un 'sl' alla salvezza, giacché il Dio che invita è il Deus salutaris
noste._r, il Dio che si preoccupa della salvezza dell'uomo, che comu-
nica il suo amore.' 7 Ed a partire da questo punto centrale può essere
considerato nella giusta prospettiva anche il resto, la confessione per
formule, il sì al Simbolo che deve pur occupare il suo posto insosti-
46 DTA. voi. 15, Gla11bt: als Tugend, Heidelberg 1950. Si tratta delle questioni di
rui alla S. 1h., 2-2, 1-16. Commento: Der silllicbe Kriiftekosmos des Christen, pp. 3.B-
339.
•1 «Ogni credente assente all'affermazione di qualcuno. Perciò bisogna considerare
come principale e come fine in ogni alto di fede colui alle cui parole si assente. f:
invece da considerarsi quasi secondario ciò che qualcuno afferma grazie alla sua volon-
tà di assentire a qualruno»: 5. tb., 2-2, 11, 1 c.
28 Mvsrerium salutis J 2.
INTELLIGENZA TEOLOGICA DELLA FEDE
434
•B Che recentemente la fides quae credltur stia trovando nuovamente una valoriz-
zazione è mostrato da E. BrsER, Gla1Jbe im bitaller der Technik, in Worl und Wabr-
beit, 19 (1964) 89-102 (soprattutto 92 ss.)_ La fides qua non viene più intesa .come
rischio, bensl come appropriazione.
49 Cf. C. CIRNE ·LIMA, Der personale Glaube, Innsbruck 1959; cf. inoltre L. Bo·
ROS, in Orientierrmg, 25 ( 1961) 56-60.
CUMCHRISTO
435
In una teologia della fede cristiana è chiaro in ogni caso che il ca-
rattere personale di tale fede lo dobbiamo capire anzitutto a par-
tire dalla perso~a da incontrare, Gesù Cristo. Intendiamo dire la per-
sona del Gesù storico di Nazaret, del figlio di Maria, dell'uomo di
Galilea. Anche se K. }ASPERS chiama ciò una «storia coagulata», la
fede cristiana non può, senza rinnegare se stessa, sottrarsi a questo
'scandalo' La fede s1 verifica nell'incontro col Cristo; il paradigma
Sol K. }ASPERS, op. cii., p. 10. Su ]ASl'ERS, cf. X. T1LLIETTÉ, Karl Jaspers. Théorie
de la vl:rité. Mélapliysique des chiffres. Poi pbilosopbique, Paris 1960; T. BARTH, Phi-
/osapbie, Wissenscbaft und Religion. Ein Gespriicb mii K. Jasperr, in WiWei, 21
{ 1958) r8·29, e panicolarmente B. WELTE, Der philosopbiscbe Glaube bei K. Jaspers,
in Symposion, 11, Freiburg 1949, pp. r-190.
55 Cf. AusERT, pp. 356-362.
56 Cf. AuBERT, p. 358. B. WELTE alla fine pone la «questione suJ\a possibilità d'una
outentica fede cristiana all'interno di un'autentica fede filosofica».
CUMCHRISTO
437
'Fede di Gesù Cristo': senza dubbio abbiamo qui (anche!) a che fare con
un genitivo oggettivo. Può avere però senso parlare d'una fede del Cristo
come genitivo soggettivo? t un 'credente' anche il Cristo? H.U. VON BAL·
THASAR lo afferma: Egli (Gesù) vive, opera e soffre «nella certezza di
essere sempre esaudito» (lo. r r ,41 ); in virtù di questa forza e di questo
dono, che non è la forza ed il dono della sua soggettività, della sua 'fer-
mezza di fede', ma la forza ed il dono di Dio in lui, egli fonda la fede
nei suoi discepoli. La fede di questi non è qualcosa di debole, paragona-
bile solo da lontano alla sua fede, ma è vera partecipazione a ciò che egli
possiede come archetipo. Solo se si afferma questo senso positivo della fede,
la fede cristiana diviene realmente cristiana. Per essere tale non basta infat-
ti che il Cristo sia il suo oggetto e tutt'al più causa meritoria di essa,
Noi teniamo qui per fermo che la fede è personale nella misura in
cui essa è un incontro con la persona di Gesù Cristo, dal cui amore
personalissimo io sono chiamato, «il quale mi ha amato e si è dato
per me» (Gal. 2,20). Dobbiamo ora sottoporre ad un'analisi più ac-
curata le forze impegnate nella fede.
La fede ha origine dalla chiamata del Cristo e quindi sorge dal-
l'ascolto: «fides ex auditu». Essa però è un ascolto qualificato, un
ascolto corrispondente alla chiamata: unaxo'l'J, la forma più intensi-
va dell'ascolto, che possiamo tradurre con la parola 'obbedienza'.61
L'uomo non ascolta come un apparecchio acustico, registrando solo
passivamente; l'uomo non ascolta il suono, ma la parola. È impossi-
bile disgiungere ciò che fa il senso, l'udito, da ciò che appartiene
allo spirito: intendere (ragione) e quindi comprendere (intelletto!).
E quando si tratta della predicazione del Cristo, che contiene sem-
pre - esplicitamente o implicitamente - l'invito: « IJ.E't(l'\IOE~TE, cam-
biate il vostro pensiero, convertitevi», non c'è mai un, intendere
neutrale, una ricezione d'una nuova verità che non sia nello stesso
tempo una decisione nella libertà. La «uTCtxxo1] r.la'ttWc;» (Rom. 1,5;
16,26), il «plenum ... intellectus et voluntatis obsequium», come Ji
esprime il Vaticano I (os 3008; NR 35) include l'asscoltare, il com-
58 H.U. voN BALTHASAR, Fides Christi, in Sponsa Verbi, Einsìedeln 1961, pp. 45-79
(56).
59 I bid., p. 56.
60 Ibid., pp. 65 ss. Cf. anche come egli contro G. EBEL!NG rifiuti il concetto d'unA
fede del Cristo: HASENHUTTL, op. cit., r24, Anm. 74. Più avanti parleremo del senso
nel quale il Cristo può essere concepito soggetto della fede.
61 ~ impossibile rendere il significato di ascolro, implicito nel termine tedesco che
corrisponde ad obbedienza: Ge-hor-sam: tutravia vedi il latino '' ob-audire e l'italiano
obbedire (N.d.T.}.
CUMCHRISTO
439
aa. Fede come obbedienza e decisione. Noi teniamo. per fermo che
l'iniziativa della fede è di Dio: egli dà l' 'istinto' interiore ed il 'lume
della fede'. Che sia lume non significa, come abbiamo già visto in TOM-
MASO, che faccia vedere, che cioè dia l'evidenza. È lume nel senso che
fa «videre esse credenda» come «luce che produce una tendenza»,6J
dove la fede non viene resa possibile dall'intelletto stesso, ma dalla
volontà. Anche qui parleremo quindi in primo luogo della volontà
di credere, della fede come decisione libera. Non quasi che la vo-
lontà (naturalmente sotto la grazia) faccia tutto da sola, non quasi
che ad essa spetti la priorità sotto ogni punto di vista: l'esistenza
della fede in ogni caso dipende completamente da essa, un'esistenza
però che non è 'vuota', ma piena di contenuti - ottenuti non già dalla
volontà, bensl dall'intelligenza, che a sua volta sta sotto la 'luce'
che viene dall'alto, mentre la volontà agisce sotto un 'impulso' supe-
riore, una motio, un instinctus. Si tratta tuttavia della stessa grazia
di Dio che comprende l'illuminazione e l'impulso. È giustificato però
tentare di chiarire alquanto la ricchezza unica dell'iniziativa di Dio
sull'uomo.
La fede avv~ne quindi nella libertà, nella libera decisione del·
l'uomo, in un autoresponsabile 'sì' all'invito di Dio. La personalità
infatti implica in primo luogo questo: autodeterminazione, autodo-
minio, posti nella volontà la quale da parte sua è caratterizzata dal
fatto che è circondata dalla conoscenza intellettuale grazie alla quale
l'uomo è semplicemente aperto all'essere, e grazie alla quale quindi
egli ha un orizzonte illimitato. Ciò non nel senso che l'uomo porta
questa libertà alla fede 'a partire dal basso', dalla consistenza della
sua natura creaturale; egli è reso libero per la sua decisione qall'al
to, ma la sua volontà, la sua facoltà di decidere viene resa libera
per l'atto di fede.
È un dato dommatico inconcusso che la fede è un atto libero. 64 Il
62 Cf. J.M. REuss, Der Glaube als komplexer Akl, in Glauben hellle, Mainz 1962,
pp. r56·167.
63 Cf. M. SECKLER, op. cit., p. r59.
64 Per quel che segue, cf. J. ALFARO, Fides, Spes... 1963, pp. 163 ss.
INTELLIGENZA TEOLOGICA DELLA l'EDE
65 «Excitati divina gratia ... {idem ex auditu concipientes libere moventur in De11m,
credentes vera esse quae divinitus revelata et promissa sunt»: DS 1p6; NR 7r,.
66 DS I)2j e 1n4; NR 714; 741.
67 « ... fides ipsa in se, etiamsi per caritalem 11011 operetur (d. Gal. 5,6) donum Dei
est et actus eius est opus ad salutem pertinens, quo homo liberam praestat ipsi Deo
oboedientiam, gratiae eius, cui resistere posset, consentiendo et cooperando»: DS 3010:
NR 37,
CUM CHRISTO 441
che questa fede morta non è senza influsso della carità. Vive infatti
in essa un tendere alla luce, alla vita, fuori dal deserto della morte,
una disponibilità all'accettazione della salvezza. «La fede e la spe-
ranza si radicano infatti nel sacro fondamento della carità, il quale
ha penetrato la loro natura atemporale e nel deserto della morte non
vuole intorpidirsi nell'oscurità della malinconia o della freddezza del
cuore, ma è pronto ad intendere la chiamata divina alla salvezza». 68
Pur affermando la libertà e l'apertura alla carità della fede morta,
dobbiamo però evitare l'errore di vedere in essa la forma normale
della fede. La forma normale è costituita dalla fede che opera nella
carità (Gal. 5,6), in quanto la carità costituisce la forma perfetta del-
la volontà di credere, se questa sola è sufficiente a dare alla fede più
che un'esistenza precaria ed abbozzata.
70 «Una teoria della conoscenza che prenda risolutamente come punto di partenza
per la com;>scenza il caso veramente indicativo dell'incon1ro personale, si risparmia una
folla di falsi problemi che invece sorgono necessariamente quando si considera a par-
tire dal basso ciò che sta sopra, quando quindi la persona da incontrare viene confi-
gurata tra i 'puri oggetti' o le 'cose' e non può quindi mai apparire per se s1essa».
H.U. voN BALT!IASAR, Die Galles/rage des heutigen Menschen, Wien 1956, p. 54_
INTELLIGENZA TEOLOGICA DJ:LLA FEDE
444
cc. Oscurità della fede. «Noi ora vediamo come in uno specchio,
per enigmi, dopo però faccia a faccia» (r Cor. 13,12); « ... noi infatti
camminiamo nella fede, non nella visione» (2 Cor. 5,7). La fede è
76os 3014; 3036; NR 40 s.; 58. Cf. anche PIO xx, encicl. Qui pluribus. DS 2778; 2780;
NR 9 S.
n DS 3008; NR 35; DS 3017; NR 44. Cf. DS 3537 SS.; NR. 64 SS.
CUM CHRlSTO
447
71 ns 3015; NR 42: «ci vengono proposti a credere dei misteri nascosti in Dio che
non possono essere da noi conosciuti senza una rivelazione divina».
79 DS 3or6; NR 43: «la nostra ragione non è mai in grado di conoscere le verità
della fede alla maniera delle verità che costituiscono il suo oggetto proprio ... ; anche
dopo la rivelazione e la sua accettazione mediante la fede esse rimangono sempre
nascoste dal velo stesso della fede e come circondate da caligine ... ».
INTELLIGENZA TEOLOGIC~ DELLA FEllE
80 Cf. F. MALMBERG, G/aubemlicht, in I.TKl, 4 (1960) 9~2; «La grazia dello fcJc.
nella misura in cui perfeliona la nos1ra facoltà conoscitiva raòlionale, viene chiam:u:i
tradizionalmeme luce ... {lumen prophelicum lumen gloriae /r;men fidei)».
CUM CHRISTO
449
cieco 'arbitrio': d'una luce che non 'dispensa dal vedere', ma 'che
fa vedere'. 51
La fede non può intralciare la via alla ragione, essa deve essere
rationabilis. Che questa ragionevolezza non possa consistere nell'evi-
denza delle verità affermate, lo abbiamo già mostrato descrivendo
l' 'oscurità' essenziale alla fede. Si tratta cioè d'una ragionevolezza
della fede e non già della visione, d'una rationabilis credibilitas. L'in-
vito a creder 'ciecamente' senza che questa fede appaia giusta, 'cre-
dibile', anzi 'da credere' (credenda), costituirebbe un'offesa alla di-
gnità ricevuta dall'uomo nella creazione («mirabiliter creasti»), la
quale è stata innalzata all'imprevedibile mediante il «mirabilius re-
formasti», e non è stata distrutta da questa elevazione. Non si dà
fede quindi senza che vi sia il videre esse credenda. 12
Dobbiamo allora noi porre un limite all'influsso d'ogni grazia del-
lo Spirito dall'alto, sotto la quale abbiamo messo ogni forma di fede
salvifica e tutto ciò che la costituisce? Non bisogna sottrarre all'in-
flusso della grazia almeno il giudizio di credibilità, che deve essere
realizzato solo da forze naturali, solo rationis lumine? Noi sostenia-
mo che non si deve fare questo, anzi che non si può fare, nella mi-
sura in rui la conoscenza della credibilità, di cui qui si tratta, è ne-
cessari~ alla fede salvifica, è una conoscenza cioè che si colloca necessa-
riamente all'interno stesso della fede salvifica. Si speculi pure su una
conoscenza della credibilità anteriore ed indipendente dalla fede sal-
vifica; tuttavia la conoscenza della credibilità necessariamente ine-
rente alla fede salvifica è resa possibile solo dalla grazia.&! Perché un
gran numero di teologi rifiuta di sottoscrivere questa posizione? Per-
ché in essi - in maniera piuttosto inconscia anziché conscia - eser-
cita il suo influsso il pregiudizio infondato secondo cui una cono-
scenza della credibilità frutto della grazia non sarebbe più una vera
conoscenza razionale e umana e invece la conoscenza deve essere
tale! Ma in una simile concezione il lume della fede avrebbe preci-
samente la funzione di impedire il vedere, invece di liberarlo verso
5I Cf. AUBERT, p. 431, che cita Huav. Cf. ibid., pp. 463 s., nota 24 (P. RoussELoT).
82 S. th., 2-2, I' 4, 2.
83 LAURIERS, Dimensions de la foi, I, 232-238 e particolarm.
Cf. M.-L. GuÉRARD DES
li, p. 105, nota 87: «Cert /aule la démarche efficace de la crédibilité, y compris son
aspect ralionnel, qui es/ assurée par la grace». Cf. ibid., Exrnrsus, VII, 271-275.
29 Mystcrium soluris / 2.
INTELLIGENZA TEOLOGICA DELLA FEDE
450
le sue più alte possibilità. Noi abbiamo già preso posizione contro
la incongruenza d'una tale concezione ed abbiamo sottolineato come
la grazia non soppianti né sostituisca nulla: l'uomo stesso responsa-
bilmente, liberamente e ragionevolmente crede sotto l'impulso e la
luce della grazia e proprio in questa sua fede percepisce la credibi-
lità del messaggio. Come la grazia non elimina la libertà della fede,
altrettanto non elimina la sua ragionevolezza (meglio: la sua ragio-
nevole credibilità).
E come noi abbiamo dovuto affermare con forza che la grazia non
si pone accanto alle forze umane, ma che eleva queste alle loro
più alte possibilità, cosl rimane ancora da mostr~re che la ragione
illuminata dalla grazia non esercita la sua attività passando a lato
degli oggetti che costituiscono i segni esterni di credibilità, come se
non già i segni ma essa stessa, insieme alla luce ricevuta dall'alto,
fosse l'oggetto. Come la ragione non è una faculté perceptible ma
percevante, cosi anche la grazia elevante, la luce dall'alto non è una
grace perceptible, bensl una grace percevante,&4 completamente aper-
ta :all'oggetto che le sta davanti - nel nostro caso, oggetto donato da
Dio nella sua 'rivelazione esterna' - e completamente ordinata ad
esso; altrimenti essa rimarrebbe 'forma vuota', puro 'apriori' senza
contenuto.
Quali sono dunque gli oggetti nei quali viene percepita la credibi-
lità? (Poiché si tratta della credibilità d'una rivelazione che esige
l'ascolto obbediente, essa, di fatto, è una 'credendità': credenditas;
questa non richiede pertanto di essere ulteriormente trattata a pat-
te!). Da che cosa può riconoscere l'uomo, che il messaggio del Cristo
a lui pervenuto merita veramente la sua adesione di fede? Quali
sono i 'motivi di credibilità' della fede cristiana? Così in apologetica
il teologo fondamentale formula l'interrogativo qui emerso.
Per poter rispondere a questa domanda è bene che ci volgiamo
ancora una volta al modello della conoscenza di fiducia interperso-
nale come si dà ad esempio tra amici e tra persone che si amano.
Come divento personalmente certo del mio amico? Non mi sarà
difficile enumerare tutta una serie di indizi: il suo sguardo non sfug-
gente e aperto, quel gesto nel quale egli pur di favorirmi non badò
85 Cf. M. WILLAM, Kard. ].H. Newman und die kirchliche Lehrtradilion, in Orien-
tierung, 22 (1958), 61-66. ID, Die Vorgeschichte des Begriffes 'konvergierende Probt1bi-
li1iiten', in Newmt1n Studien, IV (1960) I38·143. Cf. anche i testi scelti da J. Aarz, ].H.
Newman. Glaubenshegrundung t1us dem Personlichen, Freiburg r958. Inoltre: J. ARTz,
Der Ansalz der Newmt1nschen Glaubensbegrundung, in Newman-Studien, rv ( 1960) 249-
268. Egli cosl scrive a p. 2H: «Newman conduce là da dove parte Brunner», vedi
A. BRUNNER, Glaube und Erkennlnis, Miinchen 1952. Cf. ancora G. THILS, Le décret
'Lamentt1bili Stlne exitu' et lt1 convergence des probt1bili1h, in ETL, 32 (1956) 65-72.
86 P. RoussELOT, Die Augen des Glaubens, Einsiedeln 1963, p. 39.
4.52 INTELL!GENZ/l TEOl.OGICA DELLA FEDE
92 Cf. R. LATOURELLE, Teologia della rivelin:ione, Assisi 1967, pp. 414-n~; 44i·486.
9! L. MoNDEN, Theologie des Wunders, Frciburg i961, partic. 1: cap. 5 Wu11der und
christliche Existen:t:, pp. 78-101; G. SéiHNGEN, Wunderzeichen und Glaube (Biblische
Grundlegung der Apologetik), in Die Einheit in der Theologie, pp. 26p85; H. LAIS,
Das Wunder im Spannu11gsfeld der lheo/ogischen und profanen Wissenschaft, in MTZ,
u ( 1961) 294-300; K. RAHNER, Heilrmacht und Heilungskraft der G!aubens, tr. in
BCR. 67, pp. 497·.5!5 (p. 512) «Perciò non è bene che noi fin da principio se·
pari;1mo dall'insieme d'una storia umana queste sanazioni operate dalla lcJc, per
CUMCHRISTO
isolarle mediante il metodo di analisi selettiva della fisica scientifica o della medicina,
e poi in questo isolamento artificiale chiediamo se in esse le leggi della nnturn siano
>tate 'abrogate' o noi..
INTELLIGENZA TEOLOGICA llELLA FEDE
94 a. AUBERT, pp. nr ss. Qui si inserisce !'illative sense di J.H. NEWMAN. Cf. }.·
W. WALGRAVE, Newman. Le développement du dogme, Tournai '9l7. pp. 113: «En·
fin, le raisonnement impliciU est personnel, c'est à dire qu'i/ est porté et orienté par
tout l'état moral et intellectuel du su;et ... ».
9; DTC, 6, 470.
% ]. LEBACQZ, Certitude et volonté, Coli. «Museum Lessianum ... Sect. phil., 9, Bru·
gc' 1961, pp. 169-170: Les différenls sens du terme: 'ccrtitude mora/e' Essai dc clas-
sificatio11.
CUM CIUUSTO
457
97 S. th. 2-2, 4,, 2; 111 Sent. 23, 3, 3, 2, 2; S. th. 2-2, 1, 4, 3; 2-2, >. 3. 2. Cf. P Rous-
SELOT, L'intellectualisme de St. Thomas, Paris 31936, pp. 70-72; In., Les yeux de la
/oi, p. 418; G. DE BROGLIE, Pour une théorie rationnelle de l'acte de ./01. Paris 19q,
1' partie, 176-18,; C. N1NK, Sein, Leben und Erkennen, in Sebo!, 9 ( lyj4) 210-234:
AUBERT, pp. 462 ss.
INTELLIGENZA TEOLOGICA DELLA FEDE
aa. Il 'noi' della fede. M.-D. CHENU scrive che la sociologia costi-
tuisce anche «un mezzo per poter meglio comprendere la fede dal
punto di vista del suo soggetto umano, che non è solo individuale
ma anche collettivo».99 Sebbene la fede non sia riducibile a leggi
sociologiche - essa infatti sorge dalla libera iniziativa dell'azione
salvifica di Dio -, tuttavia sorge e si esplica in una comunità, non
già soppiantando le leggi dei rapporti sociali, ma adempiendole. La
Chiesa costituisce questo «ambiente sociale della fede cristiana».'00
Anche l'apologetica non dovrebbe tralasciare questa considerazio-
ne. Indurre delle conclusioni a partire dai segni non è affidato ad un
individuo isolato, ma viene effettuato attraverso il controllo e la
critica della comunità. Sono segni, infatti, che vengono sperimentati
nella comunità ecclesiale. 101 Il card. DECHAMPS lo aveva già visto; il
Vaticano r ne ha fatto proprio il punto di vista e per la credibilità
della rivelazione cristiana non si è rifatto a· documeI?-ti, secondo il
metodo classico della scolastica, ma alla realtà viva della Chiesa, al-
l'esperienza vivente della vita ecclesiale: «La Chiesa stessa è in sé
un grande e perpetuo motivo di credibilità ... ». 102 Questo è il 'metodo
98 Cf. anche H. FRIES, Kirche als Gemeinschaft der Glaubenden, in Waru111 glau-
ben?, Wìiuburg 196r, pp. 29.5·JOJ.
99 M.-D. CHENU, Tradition und Soziologie des Glaubens, in J. BETz - H. FRIES, Kir-
che und Oberlieferung, Freiburg 1~0, pp. 266-277 (267).
100 P.A. L1ÉGÉ, L'ÉgJ,ise, milieu de la foi chrétienne, in Lumière et Vie, 23 (1955)
45-68.
101 AUBERT, p. 49r. Cf. E. MASURE, Le Signe, Paris 1953·
IOlos 3013; r<R n6. Sul DECHAMPS, d. M. BECQUÉ, Le Cardinal Dechqmps, 1·11,
Luuvain 1956; Io., L'apologétique du Cardinal Dechamps, Brugcs 1949.
CUMCHRJSTO
103 AuBERT, 626-630, specialmente nota 18; R. GuAl!DINI, Vom Leben des Glau-
bens, Mainz 4 1957; lo., Glaubenserkenntnis, Wiirzburg 1949 u. Frciburg 1963; K.
AnAM, Und Glaubenswissenchaft im Katholizismus, in TQ, 101 (1920) 13M55, cd. an-
cora più diffusamente sotto lo stesso titolo, Rottenburg 1923; J.R. GEISELMANN, Le-
bendinger Glaube aus geheiligter Vberlieferung. Der Grundgedanke der Theologie J
A. Mohlers und der leath. Tubingerschule, Mainz 1942; J. TEllNUS, Vom Gemeinschafts-
glauben der Kirche, in Schol, 10 (1935) 1·30; A. BRUNNER, G/aube und Gemeinschafl.
in StdZ, 163 (1959) 439-4,.r.
104 R. GUARDINI, Vom Leben des Gla11be11s, p. I-f9·
105 Cf. J. TERNUS, op. cit., pp. i3·27.
INTELLIGENZA TEOLOGICA llELLA FEDE
formità tra il capo e le membra». 110 «Come del Cristo 'sociale' della
Chiesa può essere detto che soffre nelle sue membra, cosl può anche
essere detto che nei fedeli circola un'unica vita di fede». 111 Questo
è uno dei modi della presenza - reale! - del Cristo, grazie alla quale
i molti «sono un solo corpo nel Cristo» (Rom. q,5 ); l'altra consi-
ste nel fatto che egli solo conosce Dio e comunica a noi questa cono-
scenza; così egli rimane presente come Chiesa docente, rende la Chie-
sa 'conforme' a sé, «sposa senza macchia e senza ruga» (Eph. 5,27),
«la colonna ed il fondamento della verità» (1 Tim. 3,1.5).
«L' 'unio fidei' è un fenomeno assolutamente sociale. Essa non
è nient'altro che il Cristo della fede nel quale tutti i fedeli hanno
comunione. In questa comunione di fede è garantita l'unità, l'inte-
rezza, la verità ed il centro della fede. Solo in forza dell'intenzione
ch'è medesima nella disposizione a credere del centro e della tota-
lità, la fede è veramente una fede 'giusta' e 'salvifica' La comunità
dei credenti in quanto credente non costituisce quindi un'unità pu-
ramente logica, non è un aggregato o una pura collettività esteriore
di persone ... ». 112
110 Ibid., 29, 4, 8: «Chrislus habet cognitionem perJectam eorum, de quibus alii {i-
dem habenl, et ila in quantum ad cognitionem aliis conformatur sicut perfect111n im·
perfecto. Talis aulem èonformitas inter caput et membrum allenditur».
l11 J. TERNUS, op. cit., p. 19.
112 J. TERNUS, op. cit., pp. 22 s. Nelle pagine precedenti ci siamo spesso rifatti a
yuesto lavoro eccellente, anche quando non l'abbiamo cìtato espressamente.'
CUM CHRISTO
wia volta per tutte, che nella storia ha preso ogni volta sempre nuo-
ve forme. Il progressismo ha il compito di ricercare coraggiosamente
questa forma nuova, adatta ai tempi, e questo non già per puro adat-
tamento alla moda, ma per fedeltà al compito perpetuo della Chiesa.
Determinare dei condizionamenti storici e non reputarli normativi
per il futuro, non significa criticarli perché appartenenti al passato.
Un relativismo autentico, del genere cui accenniamo, può conservare
un'assoluta comprensione per le molte necessità e per le diverse rea-
lizzazioni del passato, senza per questo considerarle in tutt<:> e per
tutto determinanti per il futuro. La fede cristiana «si radica in un
presente storico che è originato da un passato e contiene in sé que-
sto passato. Questo presente è la Chiesa stessa come continuazione
del Cristo. Essa è tradizione vivente, che si diffonde dalle origini at-
traverso tutta la storia, come lo può soltanto ciò che è spirituale.
La presenza del corporale .è rigidamente
. delimitata nel tempo e nel-
lo spazio. La presenza dello spirituale invece si espande al di là del
tempo e dello spazio e per di più in misura tanto maggiore quanto
più forte è la potenza spirituale dell'origine. Se essa ha origine da
Dio stesso, che come uomo-Dio è entrato nella storia, non si dà li-
mite alcuno· al suo regno». 113
La storicità della fede ci vedrà ancora occupati quando parleremo
della 'formula ed oggetto della fede'. Per il resto è stata già portata
sufficiente attenzione a questo aspetto della fede quando, parlando
dell'azione e della parola di Dio, si è considerata la storicità della
rivelazione. 114
l1l A. BxuNNER, Glaube u11d Geschichte, in StdZ, 163 (1958/,9) lOC>-II5. Questo
articolo espone molto profondamente una filosofia della storia, come è 8iusto che ci
sia alla base di un'esplicazione teologica della storicità della fede.
114 Cf. soprattutto il capitolo I e Il (v. parie prima).
INTELLIGENZA TEOLOGICA D'ELL" FEDE
111 Sul tema della Chiesa come sacramenio primordiale, cf. O. SEMMHROTH, Di.•
Kirche als Ursakramenl, Frankfurt a. M. 19'3; H. SCHILLEBEF.CKX, Cristo, sacramen·
lo de/l'i11con1ro con Dio, Roma l196s; Io., I sacramenti p1111/i d'inconlro con Dio.
Coli. «Giornale di teologia», 3, l1967; K. RAHNEK, Kirche und Sakranm1h', Coll.
~Quaest. disp.•, 10, Freiburg 1960~ H.R. Sct1LETTE, Komm1111ika1ion und Sakrammt,
Coll. «Quaest. disp.», 8 Freiburg I9S9·
110 K. R"HN'ER, op. cii., p. 19.
111 Un lavoro poderoso sul tema 'fede e sacramento', serino ai fini d'un dialogo
fra le Chiese, è costituito dal 1 volume (il li non è ancora uscito) di L V1nETTE,
Fo1 el Sacrement. Du Nouveau Testament à St. Augustin, Paris 1959_ Un picrnln
lavoro di pregio è quello di P. FRANSEN, Failb and 1be Sacraments, London 19s8.
CUMCHllISTO
lii Cf. i canoni del Tridentino: os 1604·16o8; NK 416-420. Pio Xli, enc. Medi11tor
Dei (20 nov. 1947), in AAS, 39 (1947) '32, '37; DS 3844; 3846.
119 Cf. anche K. RAHNER, Personale und sakrament11le Frommigkeit, in Schriften, Il,
pp. II'·I4I.
120 Sul terna della fede e dei sacramenti, vedi la teologia dei sacramenti; sul tema
dc!la fede e della giustificazione, cf. vol. IV, capitolo 9.
30 Mvsterium salutis / 2.
INTELLIGENZA TEOLOGICA DELLA FEDE
121 Cf. L. VILLETTE, op. cii., pp. 99-ror: Conclusions de l'enquéte scripluraire ... ;
J. DUPLACY, Le salut par la foi et le bapleme d'après le Nouveau Te.stament, in Lumiè·
re e/ Vie, 27 (1956) 3-52; J. HAMER, in Irénikon, 23 (1950) 387-406; J. SrnMITT, Bapté-
me et Communauté d'après la primitive pensée apostolique, in La Maison-Dieu, 32
( 1952) 53·73.
C:UMCHRISTO
122 In un contesto più vasto la questione viene trattata da ] . FEINER, Kirche 1md
Heilsgescbichte, tr. in BCR, ,-2, pp. 365-407. Cf. anche le riflessioni di A. DARLAPP
nel 1 capitolo (v. parte prima).
123 Cf. G. ScHi.JCKLER, Die chrùto/ogische Verfasstheit der natura umana, in Cath,
I I (1956) 51-64.
124 A. RoPER, Cristiani anonimi, Coli. «Giornale di teologia», 6, Brescia 1967. Con-
tro questa interpretazione di sapore rahneriano solleva però - pur riconoscendone 1
meriti - dei seri interrogativi H. VORCRIMLER, in Hochland, 56 (1964) 363 s.
ll'ITELLIGENZA TEOLOGICA DELLA FEDE
c. La dimensione escatologica
(cf. Le. 12,45), deve essere tuttavia atteso sempre «con i fianchi
cinti e con le lampade accese» (Le. r2a5). 127 Essa è una Chiesa che
celebra quel banchetto che troverà il suo compimento solo lassù nel
'regno' pienamente visibile (Le. 22,16). L'attesa della parusia della
Chies?- primitiva rimane quindi un modello che deve segnare la
Chiesa di tutti i tempi. «Ciò che io dico a voi lo dico a tutti: ve-
gliate!» (Mc. 13,37).
m Cf. ]. DAVID, Theologie der irdischen Wircklichkeiten, in FTH, (J1960), pp. 549·
568(con bibliografia).
CUM CHRISTO
473
Cosl la certezza della salvezza personale, per l'uomo di questo tempo in-
termedio teso agli éschata, è presunzione sacrilega. D'altra parte la cer-
tezza della non salvezza è disperazione autodistruttrice. Ambedue gli at-
teggiamenti distruggono l'atteggiamento della speranza connaturale alla
fede. Per il resto parleremo della certezza della salvezza a proposito della
dottrina della predestinazione.
cc. Dalla fede viene la 'vita eterna' (e questo già quaggiù), dalla fe-
de la giustificazione e questo in anticipazione d'una piena visione che
si avrà solo 'lassù'. L'immanenza del 'lassù' nel 'quaggiù' viene vista
soprattutto - ne fa fede una lunga tradizione - nel dominio della
conoscenza, mentre la 'tensione' radicantesi nella conoscenza viene
rapportata all'altra virtù teologica che accompagna la fede, alla spe-
ranza. Forma piena della conoscenza è la visio; questa precisamente
caratterizza e differenzia il 'lassù' dal 'quaggiù'. Là noi vediamo «fac-
cia a faccia», qui «come in uno specchio e per enigmi», e tuttavia
in ambedue i casi si tratta di un 'vedere' ( «videmus nunc ... tunc au-
tem ... »: I Cor. 13,12). Qui domina l'analogia che riceve dal 'lassù'
la sua misura, ma che può realmente applicarla al 'quaggiù': median-
te la fede ci è stata infatti data una praelibatio di quella conoscenza
che ci renderà beati nel futuro, un'inchoatio visionis beatificae. In
questa prospettiva TOMMASO pone la soprannaturalità della fede.m
Anche la visione di fede non è senza un suo adempimento, senza una
«suavitas in assentiendo et credendo veritati» (os 377 ), non è senza
'esperienza di fede'. Questa tuttavia nelle sistematizzazioni teologi-
che viene attribuita più che altro ai 'doni dello Spirito santo' (soprat·
tutto ai doni della scienza e della sapienza). Non è nostro compito
qui occuparci della questione se si dia o meno una distinzione reale
tra i doni dello Spirito santo e le virtù teologali: in ogni caso è neces-
sario accentuare la dinamica intima in tutta la· vita soprannaturale
che si fonda sulla fede, e perciò la sua unità intrinseca, e non offu-
scarne quindi la visione con artificiosi tagli concettuali. m
Questa esperienza di fede non può eliminare il fatto che si crede
'per l'autorità' e non già ~<propter intrinsecam rerum veritatem natu-
rali rationis lumine perspcctam» (os 3008; NR 35). Ma una certa espe-
rienza dell'oggetto di fede non può mancare del tutto a colui che si
abbandona all'invito che Dio gli rivolge perché creda. Una tratta-
zione più particolare di questi argomenti dev~ essere rimandata a
quando si tratterà dello sviluppo normale e mistico della vita sopran-
naturale.
ee. I credenti sono uomini dell'al dì là, la cui «patria è nel cielo,
dal quale aspettiamo anche come Salvatore il Signore Gesù» (Phil.
3,20 ), uomini che cercano ciò che sta sopra, dove il Cristo regna alla
destra di Dio; che aspirano a ciò che sta su e non a ciò che si trova
sulla terra (cf. Col. 3,1 s.). La fede ci rende quindi estranei a questo
mondo, «pellegrini e stranieri» (1 Petr. 2,rr). Quindi, coloro i quali
mediante la fede non sono «più né estranei, né ospiti, ma concitta-
dini dei santi e membri della famiglia di Dio» (Eph. 2,19), devono
rinunciare al diritto di cittadinanza in questo mondo e cosl farsi ad
esso stranieri? In realtà il credente non si può immergere nel mondo
senza nessun distacco da esso, «come coloro i quali non hanno spe-
ranza» (I Thess. 4,12); egli non potrà mai prendere come assoluta
la «figura di questo mondo, destinato a passare» (I Cor. 7.31 ). Ma
non sarà attraverso il disprezzo, il non dare importanza, il conside-
rare pura apparenza l'essere di questo mondo, che si darà importanza
all'eternità; al contrario, proprio perché non viene distrutta anzi
viene approfondita la consistenza del terrestre, può veramente esse-
re compreso quanto sia più grande l'eterno. La trascendenza non vive
sulle ceneri dell'immanenza.
Tuttavia ciò che differenzia il cristiano, ciò che egli deve testimo-
niare nel mondo, non è il valoie del terrestre e del finito, ma l'im-
mediatezza dell'infinito, il rapporto con Dio, che non coglie più Dio
come creatore attraverso la creatura, ma che è un immergersi di-
retto in ciò che Dio ha di più proprio. Possiamo parlare della vergi-
nità della fede. Paolo scrive ai Corinzi: ~<lo son geloso di voi della
gelosia stessa di Dio; io infatti vi ho fidanzati ad un solo sposo, per
condurvi al Cristo come vergine pura» ( 2 Cor. rr ,2 ). Noi dalle let-
tere paoline conosciamo abbastanza i cristiani di Corinto per sapere
che Paolo non li chiama vergini nel senso fisico ed immediato della
parola. Si tratta d'una verginità in senso spirituale, d'un esclusivi-
smo nel rapporto con Dio, il quale non sopporta concorrenze. In
questo senso anche l'unione matrimoniale tra i cristiani può e deve
essere 'verginale', sacramentalmente assunta nel mistero del Cristo e
non parallela ad esso, non limitante la fedeltà al Cristo mediante
un'altra, diversa, esteriore fedeltà ad un uomo secondo gli ordini
di questo mondo.
In questa prospettiva anche la verginità fisica acquista il suo ca-
rattere di segno, al quale la Chiesa nella sua totalità non potrà rinun-
ciare. La verginità spirituale della fede diventerà visibile anche nella
sua espressione fisica come incarnazione della fede stessa, in coloro
INTELLIGENZA TEOLOGICA DELLA FEDE
«ai quali è stato dato» (Mt. 19,u). Così il Cristo stesso è vergine
in questa pienezza visibile, cosi lo è sua Madre, che proprio per que-
sto è tipo della Chiesa, della congregatio fidelium,1 34 così nella Chiesa
ci saranno sempre vergini nel senso visibile. Con molta circospezione
Paolo consiglia questo 'meglio' nel cap. 7 della I Lettera ai Corinzi,
e questo consiglio è motivato perché <~tempus breve est ... », meglio
è quindi non lasciarsi imprigionare da questa provvisorietà, per la-
sciare apparire in maniera più chiara ed inequivocabile l'immedia-
tezza con Dio. Da qui acquista il suo significato la verginità cristia-
na, non come pura negatività di rinuncia, ma come positività di quel-
l'accresciuta apertura a Dio che è la fede.
Qualcosa di simile può essere detto della povertà della fede: la
Ecclesia virgo è anche la Ecclesia pauperum, la Chiesa dell'indifferen·
za ad ogni possesso terreno. Tuttavia questa povertà, dalla quale nes-
sun membro fedele della Chiesa può dispensarsi, deve anche e sem-
pre divenire a sua volta segno visibile in alcuni membri della Chiesa
ai «quali è stato dato». 1i 5
134 Cf. M. THURIAN, Marie, Mère du Seig11eur, figure de l'Eglise, Taizé 21962, pp.
39-61 (Vierge pouvre ).
135 Cf. M.-L. GuÉRARD DES LAt.:R!ERS, Dimenrions de la foi, r, pp. 568·580 (Foi et
\'ir.~inité).
AD PATlll!M
477
anche «minor Patre» (lo. 14,28 ); ma poiché egli è tutto, cioè riceve
dal Padre la totalità illimitata, egli è «.aequalis Patri», anzi «unum
cum Patre» (Io. 10,30).
per quello materiale - non già l'id ex quo (medium ex quo) attingitur
Deus auctoritative loquens, resp. Deus salutaris noster, ma il medium
in quo: le realtà create non si frappongono fra il credente e Dio
come ciò che deve essere immediatamente conosciuto in sé, nella
sua realtà creata, a partire dal quale poi, in un secondo tempo, possa
essere raggiunto mediatamente Dio stesso. È superfluo ripetere qui
che questa conoscenza del termine creato come termine della rivela-
zione attiva ed increata di Dio, è possibile solo 'nella luce della fe-
de'. Ma è altrettanto superfluo notare ancora una volta come questa
luce de~la fede non 'sostituisca' né 'supplisca' ciò che deve accadere
nel campo dell'articolazione umana: Dio fa valere la sua autorità
increata non già accanto ~i 'segni e miracoli', ma attraverso ad essi
(senza che ciò implichi un medium ex quo), e Dio si manifesta come
la salvezza non già accanto agli enunciati della Scrittura ed ai modi
della predicazione della Chiesa, ma precisamente attraverso ad essi
ed in modo da essere effettivamente colto 'in essi' (medium in quo).
B stato necessario esporre questa concezione globale della fede e
del fatto della rivelazione nella sua immediatezza divina, per poter
dire una parola sul problema, tanto dibattuto fra i teologi moderni,
dell'analysis fidei, la quale, come afferma J. KLEUTGEN, costituisce
«la croce o la tortura dei teologi».m
BB Theol. der Voruit, 3. Beil. 136 (secondo MALMBERG, in LTK2, 1 [1957] 478).
139 Su questo punto d. soprattutto F. MALMBERG, A,,a/ysis fidei, in LTl(l, 1 ( 1957)
477·483, e la bibliografia ivi ciia1a. Inoltre ]. ALFARO, C. CrRNE - LIMA, G. DE BRO·
GLIE ... ; soprattutto deve essere ricordato H. Bou1LLARD, Logique de la foi, Paris 1964,
pp. 15-37; Le sens de l'Apologétique.
AD PATllEM
ché allora io dovrei nuovamente esser certo del fatto che Dio ha
testimoniato il factum revelationis ... , ciò che costituirebbe un pro-
cessus in infinitum. Quindi - cosl almeno sembra - io devo conosce-
re il fatto della rivelazione prima e al di fuori della fede, perché poi
sull'autorità della testimonianza divina io possa accettare il conte-
nuto della rivelazione. Sembra quindi che il motivo increato presup-
ponga a sua volta un motivo creato - la conoscenza della credibilità
o il fatto della rivelazione divina - perché l'enunciato della fede pos-
sa essere realmente motivato. Il motivo increato non sarebbe più
quindi il motivo ultimo. La fede perderebbe il suo carattere d'imme-
diatezza divina, non sarebbe più realmente una 'virtù teologale'.
Ma con ciò la sua certezza e la sua fermezza dipenderebbero in
ultima analisi dalla certezza e dalla fermeµa della conoscenza della
credibilità richiesta prima della fede, dalla conoscenza del fatto che
Dio ha parlato. Di questa conoscenza si occupa scientificamente la
teologia fondamentale apologetica, la quale nelle sue argomentazioni
non può né vuole fondarsi sulla fede, ma esamina ed apprezza i dati
e i segni naturali rationis lumine: essa analizza quindi i documenti
ispirati (conosciuti come tali dalla fede) basandosi solo sulla loro
credibilità umana e metodologicamente non tiene conto della fidatez-
za che essi meritano in quanto ispirati, ma astrae completamente da
essa. Tuttavia questa dimostrazione apologetica non raggiunge quel
grado di certezza e di fermezza che devono essere attribuite alla fede
stessa: assensus super omnia firmus et infallibiliter certus. Anche se
nel sillogismo apologetico:
31 Mystcrium salutis / 2.
1:-lTELLIGENZA TEOLOGICA DELLA HDE
fermezza massima della fede (una certezza che supera anche quella
naturale e metafisica), allora mi vedo costretto al segw:n te dilemma:
o rendere l'adesione della fede indipendente dalla conoscenza del-
la credibilità e porre quindi la conoscenza della.,, credibilità prima
della fede, cosicché questa non abbia influsso determinante sulla
risposta di fede; ma allora la fede appare cieca e non giustificabile
razionalmente, in quanto io do la mia adesione a quella verità fon-
dandomi sull'autorità di Dio, senza sapere tuttavia se l'autorità di
Dio entri veramente in campo, senza sapere se Dio abbia effettiva-
mente parlato mediante Gesù Cristo. Oppure lascio dipendere l'ade-
sione di fede dall'evidenza della conoscenza della credibilità; ma
allora io riduco la fede alla misura di questa credibilità e la fede
non potrà essere quindi un assensus super omnia firmus et in/allibi-
/iter certus.
I teologi, negli ultimi secoli, hanno tentato quasi disperatamente
di salvare ambedue le cose: ragionevolezza e certezza incondizionata
della fede. Ma come può accadere ciò senza far spazio ad una, a
spese dell'altra? La questione si presenta effettivamente come la
croce dell'attuale teologia. Ma prima di tentare una risposta è bene
cercare di comprendere come si sia arrivati a questa problematica.
quanto Dio quando dice qualcosa, nello stesso tempo, actu exercito, dice
di dirla. 146 In ogni caso questa risposta è senza via d'uscita sul piano scel-
to da .SUAREZ per l'analisi della fede. Mostreremo però come su un altro
piano possa parlarsi del!' 'essere creduto' del motivo stesso della fede.
Secondo DE LuGo il motivo della fede è affermato nell'atto di fede, ma
non creduto, bensl immediatamente conosciuto, anche .se non evidente-
mente, bensl oscuramente e tuttavia con assoluta certezza.' 47 Questa cono-
scenza è soprannaturale in quanto essa è stata infusa mediante l'habitus
fidei, dove per DE Luoo soprannaturale significa sqlo 'ontologicamente' e
non già anche intenzionalmente. DE Luoo evita il circolo di SUAREZ, ma ha
difficoltà a mostrare come questa conoscenza di credibilità, ottenuta dai
segni, sia tuttavia immediata e non minacci quindi il carattere teologale
della fede. La posizione del FRANZELIN si mantiene sulla scia di quella
del DE Luoo. 143
154 O. SEMMELl\OTff, Von der Gnade des Gldubens, in GuL, 36(1963)179·191 (189).
l\~ S. tb. 2·2, I' 2,
1"6 I bid., ad 2; ... aclus credentis non lerminalur ad enu11tiab1le sed ad rem».
AD PATREM
493
157 A. BRUNNEI., Entleerter Glaube, in StdZ, 164 (19,8-59) 18I-I93, ìl quale si con-
trappone a F. BURI, Dogmatik als Selbstverstiindnis des Glaubens, 1 parte, Vernunft
und Of]enbarung, Bern 1956, il quale a sua volta si trova sotto l'influsso della filosofia
di K. JASPERS.
•58 O. SEMMELROTH, Von der Gnade des Glaubem, in GuL, 36 (1963) r79-19r (189).
INTELLIGENZA TEOLOGICA DELLA FEDE
494
159 Cf. M.-D. CHESU, La foi darr.< l'm:elligrnce, in Li Parole de Dieu, 1, Paris 1964,
pp. I 3-19; F. MALMBEnG, Die millelbar-urrmitlelbare Verbindurrg mii Goti in Do.~mcn·
glauben, tr. in BCR, 52, pp. 81-96~ H. BouILLARD, L'inte11t1on fo1Jdame111a/e dc AL
Bionde/ et la théo/ogie, in RSR. 36(1949) 321-402(364): I due elementi della cono-
scenza di fede, quello noetico del dogma e quello pneumatico della vicendevole dona-
zione personale~ G. THILS, Oricntalions de la 1héofog1e, Louvain 1958. pp. 66-65 IPa-
rag. 3 Le relati/ et l'absolu ).
495
d. Fides ecclesiastica
Che cosa ha condotto a porre accanto alla fides divina (la quale, nel-
la misura in cui ad essa corrisponde una formulazione nei documenti
del magistero, potrebbe anche essere denominata fides catholica 161 )
una fules ecclesiastica da essa diversa, che abbraccerebbe le cosid
dette 'verità cattoliche'? 162
Poiché possono essere tenute fide divina solo quelle verità nelle
quali l'adesione è motivata unicamente dall'autorità d~ Dio rivelan-
te, le verità che interessano tale fede sono solo quelle rivelate for-
malmente da Dio, implicite o explicite. Ora la Chi~a esige un assen-
so definitivo ad affermazioni come la santità di determinate persone
da essa 'canonizzate', la legittimità d'un concilio o d'un papa, e cosl
via. Siffatte affermazioni non possono essere evidentemente contenute
nella rivelazione divina chiusasi con il periodo apostolico_ Esse quin-
di non possono essere oggetto della fides divina. Molti teologi am-
mettono allora per queste verità una fides ecclesiastica, fo quale, sup-
positis supponendis, può anche essere infallibile e tuttavia ha il suo
motivo formale non già nella - in ogni caso mai immediata - auto-
rità increata di Dio, ma nell'autorità della Chiesa. Questa però da
parte sua si riconduce all'autorità di Dio.
Non è qui il luogo di trattare diffusamente una tale questione. A
partire solo dal realismo della fede, per il quale l'oggetto della fede
non è già l'affermazione stessa, ma la realtà vivente la quale rimane
sempre presente in realtà al credente, si può però costatare che la que-
stione sulla fides ecclesiastica non è stata posta convenientemente,
in quanto il carattere definitivo della rivelazione nel periodo aposto-
lico viene riferito ad 'enunciati' che avrebbero dovuto essere formula-
ti esplicitamente o implicitamente nel periodo apostolico, in maniera
tale che la pie~zza della realtà sempre presente al credente non pos-
sa essere vista sempre nuovamente sotto un nuovo punto di vista, re-
so possibile dalla provvidenza divina nel corso della storia della Chie-
sa e quindi riformulata nuovamente. Non è la medesima fede quella
che accetta il messaggio della santità cristiana e che tenta di coglierla
in concreto (e non solo in abstracto) nei santi? Oppure si vuole dire
che la fede cristiana deve rimanere limitata ad affermazioni astratte
ed universali e restare quindi di fatto nell'irreale? Basti qui, a par-
tire dalla dottrina della fede, inserire questo punto di vista, che poi
dovrebbe essere elaborato a fondo in un altro contesto. Certo è che
la mentalità concettualista ha portato molta confusione in questa di-
scussione.163
può costituire un ulteriore contributo: H.U. VON BALTHASAR, Herrlich/eeil, Eine theo-
logische ii.sthetik, 1, Schau der Gestllll, Einsiedeln 1961; sulla questione cf. anche il
cap. IV, par. 2, 3 a, ee.
164 P. ALTHAUS, Sola fide nu11quam sola . Glaube und Werk im ihrer Bedeulu11g fiir
das Heil bei M. Lutber, in Vnll Sancta, 16 (1961) n7-23~.
H Mys1erit1m sahiris / 2.
APPENDICE
2. Eresia 1' 1
166 Cf. K. RAHNER, Weltgeschichte und Heilsgeschichte, tr. in BCR, 64, pp. 49ì·H2;
d. J.B.Muz, Unglaube II, in LTK 2, 10(1965)496-9.
167 Cf. O. K>.RRER, Eresia, in DxT, 1 (2I967) '46-555 con bibliografia; J. BaoscH,
Hiiresie, in LTK 2, '(1960) 6-8; K. R>.HNER, Haresienge1chicb1e, ibid., 8-n; J. BRosrn,
Da.r W esen der Hiiresie, Bonn 1956.
500 LA FEDE: OPPOSIZIONI E DEl'ORMAZIONJ
sto senso è dunque eretico colui che coscientemente nega delle verità
contenute nella formulazione della fede di quella comunità che è la
Chiesa del Cristo nel senso pieno della parola (come noi definiamo la
communio ecclesiale adunata intorno al successore di Pietro). Se que-
sto atteggiamento eretico è formale, cioè in contraddizione con la co-
scienza e quindi unito ad una colpa personale, allora la fede stessa vie-
ne a mancare. Infatti, in qm:sto caso, l'eretico non si è più aperto alla
verità di Dio che rivda, ma si è chiuso nel proprio io umano. La
colpa consiste nel fatto che pur riconoscendo Pobbligatorietà incon-
dizionata della formulazione del magistero, l'eretico la rifiuta libera-
mente. Questa malizia della volontà non deve essere presunta in via
normale in quelli che sono cresciuti in una comunità separata, sia
per nascita (e battesimo nell'infanzia), sia per conversione dal paga-
nesimo alla comunità separata dove si sono aperti alla parola di Dio.
Fino a prova contraria, in ogni caso costoro devono essere conside-
rati eretici materiali; sarebbe addirittura meglio evitare questa
espressione odiosa e dura, in quanto si tratta di cristiani realme"ntc
credenti, aperti al Dio della salvezza direttamente, nella fede teolo-
gale, anche se l'articolazione del loro atteggiamento di fede presenta
non solo inadeguatamente (come è sempre il caso, anche per. i cri-
stiani che sono nella retta fede), ma in alcuni punti anche falsa-
mente la verità oggettiva della salvezza.
L'errore di fede (error in fide) deve essere distinto dall'eresia sia
materiale, sia formale. Esso si verifica quando un cristiano accetta
:on volontà incondizionata tutto ciò che la Chiesa insegna, ma si in-
ganna sull'appartenenza o meno d'una verità al deposito della fede.
Forse anche sotto quest'errore può nascondersi qualche colpa, ad
esempio la negligenza colpevole dell'istruzione religiosa. Tuttavia in
esso la fede non viene a mancare come atteggiamento. Ma anche l'er-
rore di fede può essere pienamente libero da colpa.
3. Apostasia 168
Che questo sia possibile lo abbiamo già visto nella trattazione delle
proprietà della fede: la fede (con tutta la sua razionalità e la sua
fermezza) è oscura e defettibiie. Tuttavia il dubbio costituisce ogget-
tivamente un venir meno còlpevole alla fede. La fede ammette il
dubbio opin~bile ed è quindi soggetta a tentazione; essa può tut-
tavia esistere solo come atto d'adesione incondizionata, in quanto
.essa si affida all'autorità infallibile di Dio. In questo senso il dubbio
deve essere giudicato alla stessa stregua dell'incredulità e dell'eresia.
Il dubbio può però anche darsi solo come tentazione (involontaria),
la quale se non v'è il consenso libero resta senza colpa. Un tale 'club-
111 Per una motivazione più accurata, cf. l'articolo citato del LTK.
174 Cf. H. BACl:iT, Glaubenszweifel, in LTK 2, 4 (1960) 949-951.
SUPEl!STIZIONE
5. Superstizione
E difficile descrivere tutto ciò che viene inteso con il termine 'su-
perstizione'. m Con HA RING, con il nome di 'superstizione', in sen-
so lato si può intendere: culto falso e sconveniente del vero Dio. Nel
senso più stretto la superstizione implica un volgersi quasi religioso
JOSEF TRUTSCH
BIBLIOGRAFIA
BIBLIOGRAFIA
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Lessici
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7. 'FEDE FILOSOFICA'
INTRODUZIONE
B My>lf"rium s.lmis / 2.
SEZIONE PRIMA
tezza al centro della sua rivelazione: il Dio che si rivela nella sua di-
vinità (Rom. r,20) è nello stesso tempo il Dio che si nasconde nella
sua divinità (ls. 45,15; I Cor. 1,20 richiama Is. 45,15). Veramente
Dio si nasconde ai credenti in modo diverso che agli increduli. Agli
increduli Dio ed il suo mistero rimangono nascosti, senza che Dio
diventi loro manifesto quale unica forza salvatrice. I credenti invece
sperimentano ciò che il profeta dice in modo paradossale o contrad-
dittorio: «Veramente tu sei un Dio nascosto, Dio d'Israele, un Sal-
vatore» (ls. 45,r5), fuori del quale non c'è Dio giusto e salvatore
(45,21); non invano la discendenza d'Israele lo deve ricercare, poi-
ché il Signore non parla in segreto, ma parla rettamente e s'e-
sprime esattamente (45,19-21). Si noti con quanta acutezza il pro-
feta elimina l'opposizione del Dio che si nasconde e nello stesso tem-
po parla e salva, per cosl dire nel duplice movimento dell'inspira-
zione ed espirazione! Per conseguenza una teologia cristiana in quanto
'sapienza di Dio nel mistero', dev'essere un parlare della rivelazione
di Dio e nello stesso tempo dell'occultezza di Dio. Infatti, come
l'occultezza di Dio senza la manifestazione di Dio è il giudizio di-
vino di condanna sugli increduli, così la manifestazione di Dio senza
l'occultezza di Dio è la sapienza apparente di uomini presuntuosi. Il
Dio non nascosto è anche il Dio non manifesto; ed il Dio veramente
manifesto è il rivelatore che si nasconde.
Infatti l'apostolo non intende 'occultezza' e 'mistero' secondo un
concetto universale, secondo cui anche i sapienti di questo .-.1onè..'.J
sanno pensare e poetare della profondità nascosta dell'essere primo
misterioso. 'Sapienza di Dio nel mistero' significa piuttosto in modo
del tutto unico e determinato: «Il Cristo Gesù, per opera di Dio,
divenne per noi sapienza» (I Cor. 1 ,30 ), cioè il Cristo risorto e cro-
cifisso, quindi il Signore manifesto nella sua risurrezione come il Si-
gnore della gloria ed il Signore nascosto nella sua croce come il Si-
gnore della gloria ( 1 Cor. 2,7 ). E per noi quaggiù la gloria del Signo-
re rimane sempre anche gloria nascosta del Signore; nascosta preci-
samente nella sua Chiesa, e proprio quando la Chiesa appare vera-
mente come Chiesa del Cristo ed il Cristo appare realmente come il
Signore della Chiesa, allora nella Chiesa sta la gloria del Signore, ma
non altrimenti se non attraverso il cammino della croce nella Chiesa
della croce. Infatti, la forza e gloria di Dio e del suo Cristo e del
'SAPIENZA I)! DIO NEL MlSl'ERO' IN PAOLO
giovane. Ma questo allora può anche essere uno dei motivi per cui un si-
mile modo di pensare e di parlare, che rammenta il linguaggio di M. Lu-
TERO, rimase ignorato da una teologia cattolica, che nei confronti del pr0-
prio grande passato cattolico originario, riducendosi sempre di più, assu-
meva un atteggiamento antiprotestante. Questo testo di genuina teologia
ecumenica dev'essere considerato ed interpretato nello stesso tempo come
un testo di genuina teologia dialettica: poiché v'è occultezza e manife-
stazione di Dio, sitenzio ed eloquio di Dio, messi in contrapposizione
nello stesso momento.
b. Il mysterium è mistero salvifico; e la sophia è quindi conoscenza
della salvezza, e precisamente nella prova di spirito e di forza.
Sappiamo già che Dio ha predestinato la sua sapienza nascosta nel
mistero alla nostra glorificazione, cioè alla nostra salvezza. Mistero
salvifico e conoscenza salvifica a loro volta son da intendere nel par-
ticolare senso paolino, e precisamente sotto un duplice aspetto.
Anzitutto si deve nuovamente notare che contenuto od oggetto del
mistero di Dio e della sapienza di Dio, almeno non sotto un aspetto
primo e proprio, non è l'essere di Dio, ma la volontà salvifiea di
Dio, l'organizzazione temporale del disegno salvifico eterno nella
storia della salvezza. Nei suoi enunciati su mysterion e sophia noi
non dobbiamo intendere l'apostolo in senso greco, filosofico, ontolo-
gico; ciò significherebbe non interpretare, ma fraintendere questi
concetti.
Poi è da notare: come il mistero salvifico divino non è familiare
nel campo teoretico, così neppure lo è la conoscenza salvifica divina;
questa si distingue da una conoscenza salvifica umana proprio in
quanto è potenza salvifica divina, annunzio salvifico e insiéme forza
salvifica. La salvezza non è quindi un semplice oggetto di questa
conoscenza, come abbiamo già detto precedentemente di passaggio,
ma è una realtà e una forza inerente a questa conoscenza. Se i Giu-
dei reclamano dal loro Dio i segni della sua potenza, e se i Greèi
vanno in cerca di sapienza e si compiacciono di discorsi sapienti ed
alti, l'apostolo annunzia ai Corinti le due cose assieme, sapienza di
Dio e forza di Dio in una forma, nell'unica forma e realtà di Gesù
Cristo, nell'unica parola efficace della croce del Cristo, che mediante
la fede diviene per noi l'unica forza salvifica (r Cor. 1,17 2,5). Per
l'apostolo (come in seguito per AGOSTINO ad imitazione di Paolo)
nella nuova sophia tutto l'accento poggia sulla sua dy11amis, ~u quel·
c;uNnNUIU ~ fUllMA DELLA NUOVI\ SAPIENZA ,2r
a. 'Soltanto per mezzo della fede': ciò può e deve valere anche
qui della nuova sapienza di Dio di cui parla Paolo. Se in questa sa-
pienza, per opera di Dio, Gesù Cristo divenne per noi sapienza, giu-
stizia, santificazione e redenzione (r Cor. 1,30) - 'giustizia' ciò in
bocca a Paolo può soltanto significare: «giustizia df Dio per mezzo
della fede in Gesù Cristo per tutti i credenti» (Rom. 3,22 ).
Sapienza di Dio nel mistero è sapienza e conoscenza mediante la
fede e soltanto mediante la fede, cioè non anche mediante una cono-
scenza da visione umana. Nel mistero, quindi per mezzo della fede!
E. dottrina del concilio Vaticano I, che per questo si appella esplici-
tamente al testo paolino della sapienza di Dio nel mistero e per mez-
zo di Gesù Cristo: i misteri salvifici nascosti in Dio, i cosiddetti
mysteria stricte dieta, diventano e sono e rimangono a noi noti sol-
tanto da rivelazione divina e mediante la grazia e la verità della fe.
de (os 301.:i).
34 Mystc-rium salutis / i.
'SAPIENZA 01 DIO NEL MISTERO' IN PAOLO
53°
Quaggiù mistérion e pistis non sono mai superabili da una gnosis e l'intel-
ligenza delle verità di fede che il teologo cerca di acquistare dai dati della
fede nelle verità di fede (fides quaerens intellectum: fede alla ricerca d'in-
telligenza), non riduce mai, nel senso hegeliano, questi dati e verità divi-
ne della fede a visuali razionali umane; ciò è stato dichiarato nuovamente
dal Vaticano 1 in un testo (os 3016), che assieme al testo (DS 3015) ci-
tato (sezione 1, 2") dev'essere chiamato pure un grande, classico linguag-
gio conciliare. I due testi che si seguono costituiscono il grande, classico
enunciato del concilio Vaticano r sulla conoscenza teologica e sulla sua
natura. «Ora, se la ragione illuminata dalla fede (ratio fide illustrata) ri-
cerca (quaerit) con diligenza, con pietà e con giudizio, essa, per dono di
Dio, consegue una qualche intelligenza dei misteri (mysteriorum intelli-
gentiam) e precisamente un'intelligenza oltremodo fruttuosa, in parte
per la corrispondenza (analog)a) con le sue cono5cenze naturali, in parte
per il nesso dei n1isteri stessi tra loro (e mysteriorum ipsorum ncxu
inter se) e con il fUlc \Ùtin1.0 d.ell'uon'lo~ ma con questo non diverrà n")·.\i.
SAPIENZA DI DIO NEL MISTERO
d. Ma allora, dopo tutto ciò che è stato detto, non è posta in di-
scussione la teologia in quanto scienza teologica, e non solo dall'ester-
no, da parte della scienza, della filosofia e della storia, ma dall'interno,
da parte della stessa rivelazione e della fede, del kerygma biblico ed
esplicitamente da quello paolino?
Oltre l'imbarazzo che viene alla teologia dagli oppositori esterni,
non cristiani, abitualmente dimentichiamo e trascuriamo la difficoltà
ancora più seria che viene alla teologia dal suo più grande ed interno
oppositore, il kerygma biblico. Di fatto la teologia nel concetto spe-
cifico è sempre un'impresa assolutamente problematica, un'avventu-
ra sempre nuova. dello spirito, non solo dello Spirito santo, ma del-
lo spirito umano.
Tuttavia la teologia è un rischio inevitabile, se non si vuol giun-
gere ad una scissione cosciente tra lo Spirito di Dio e lo spirito del-
l'uomo. Per la cristianità ormai le cose non sono andate e non vanno
come si è continuamente aspettato, che cioè il ritorno imminente del
Signore avrebbe reso superfluo l'incontro e la spiegazione con il
mondo e con la sua scienza, perché in un futuro più o meno pros-
simo il mondo e la scienza sarebbero giunti a termine. Viviamo nel-
l'epoca finale non nel senso che il 'mondo che invecchia' sia prossimo
alla fine o addirittura in attesa della fine; viviamo in un periodo di
mezzo, nell'ormai lungo periodo intermedio tra il Cristo centro ed
SAPIENZA DI DIO NEL MISTERO
.533
il Cristo fine del mondo. Quanto maggiore è la serietà con cui pren-
diamo il kerygma, tanto più seriamente in questo periodo intermedio
l'incontro e la spiegazione della sapienza della fede con la conoscen-
za della nostra ragione, con la nostra immagine attuale del mondo
e della storia, assillano la nostra mente. C'è un detto di W. GOETHE
nel suo Aus Wilhelm Meisters W ander;ahren (I 829 ), che veramente
i teologi, sia cattolici sia protestanti, non hanno preso in considera-
zione, quantunque ponga loro un serio interrogativo: «Non varrebbe
la pena arrivare a settant'anni, se tutta la sapienza del mondo fosse
stoltezza dinnanzi a Dio». Non varrebbe la pena che il mondo dopo
il Cristo e Paolo sia invecchiato di diciannove secoli, se tutta la sa-
pienza di questo mondo non fosse altro che stoltezza dinnanzi a Dio!
Ed in questa sapienza del mondo dev'essere annoverata anche la sa-
pienza delle religioni non cristiane, che pure non è semplicemente
stoltezza dinnanzi a Dio ed alla sua Chiesa!
Ma all'inizio primo della teologia sta, storicamente ed oggettiva-
mente, ciò che preesiste ad ogni retta teologia e 'sana dottrina', e cioè
il kerygma degli apostoli, e non una teologia degli apostoli. La teo-
logia non si fonda su se stessa, bensì sul kerygma, che non è teolo-
gia, ma l'inizio primo fondante e il senso primo orientativo di
ogni teologia, l'iìpxii ed il 'tEÀ.oc;, l' ÈvtpyE~tL e l' Év'tEÀ.ÉXE~11, la real-
tà prima ed il modello primo che sono in azione in ogni opera teo-
logica. È perciò un discorso di moda nell'epoca nostra parlare d' 'au-
tocomprensione' della teologia, come se qui l'importante non fosse
che la teologia (nel concetto specifico) deve concepirsi e fondarsi in
un'origine che non è ancora teologia ed è più che teologia. A questo
proposito bisogna ripetere ciò che è già stato detto precedentemente
sotto 'Mysterium come mistero di Cristo' (SEZIONE PRIMA, 1, e): la
sapienza di Dio nel mistero, di cui parla s. Paolo, questa sophia ke-
rygmatica non è né filosofia ed ideologia né teologia e scienza delisi
fede, ma è piuttosto ciò che è più grande di tutta la nostra teologia
ed è anteriore e superiore ad ogni teologia: è, in termini scientifici
fondamentali, il campo superiore metalogico ed' appunto per questo
è nello stesso tempo il campo fondamentale protologico d'ogni scien-
za teologica che rivendica il nome di cristiana.
Puramente in base al kerygma ed in ordine al kerygma l'apostolo
Paolo - in questo totalmente un apostolo, l'Apostolo - ha delineato
'SAPIEN'.tA DI DIO NEL M!STERO' IN PAOLO
534
il suo concetto della nuova sapienza di Dio e del Cristo: ha cosl pre-
sentato il fondamento kerygmatico della successiva teologia e scien-
za teologica. Ha fatto risaltare la sapienza insita nel kerygma, di-
stinguendola chiaramente dalla sapienza e dalla scienza profane. Non
ha avuto affatto di mira una sintesi tra sapienza di Dio e sapienza
dell'uomo - poiché con ciò sarebbe venuto meno in questa materia
al suo ufficio di apostolo! Ma nel suo periodo subapostolico la Chie-
sa non può sottrarsi allo sforzo d'una sintesi; nei confronti del ke-
rygma ed in base al kerygma e per il suo annumzio essa ha un ufficio
specificamente teologico - «teologia» è un fenomeno ed un compito
subapostolico, anche se anticipatamente in azione già negli scritti
apostolici. Tuttavia in ogni sintesi non deve mai scomparire l'antitesi
dell'apostolo: una sintesi si può ottenere bene solo se si procede
continuamente ed onestamente attraverso l'antitesi, o meglio, attra-
verso la duplice antitesi, attraverso la protesta da parte del kerygma
contro la teologia ed attraverso la protesta da parte della scienza,
della filosofia e della storia contro la teologia. Della protesta scien-
tifica ed anche della sua grande serietà si parlerà ancora.
dal linguaggio del mondo e della scienza, può diventare per l'uomo
che è nel mondo ed anche per la comunità cristiana una lingua stra-
niera come il linguaggio dei glossolali nella comunità di Corinto ( 14,
11 ), ma rimane sempre vero che nel punto cosl importante del lin·
guaggio s'incontrano la parola di Dio e la parola dell'uomo, la parola
della fede e la parola della nostra conoscenza, per quanto i due lin-
guaggi possano suonare diversamente in ciò che è detto e nel modo
in cui è detto. Nella parola si separano e s'intendono gli spiriti; e la
parola d'una vera separazione è anche parola dell'intendersi, e la pa-
rola d'un vero intendersi è anche parola di separazione.
Incontro e spiegazione della parola della fede con il linguaggio
della nostra conoscenza non è ancora una teologia nel concetto spe-
cifico d'una scienza teologica, ma è il suo fondamento in quanto sin-
tesi del linguaggio della fede con il linguaggio d'una conoscenza non
solo semplice, ma sviluppata in scienza.
Ci siamo continuamente richiamati a I Cor. 14; difatti questo ca-
pitolo merita d'essere spiegato anche nei suoi enunciati sul linguag-
gio, insieme a 2,1-5 sulla testimonianza, la predicazione e l'eloquen-
za, e a 15,35-41 sulle analogie della risurrezione, di cui si parlerà
subito dopo (SEZIONE PRIMA, 3, e).
anche già solo nella semplice canzone, senza il dire l'indicibile, senza
la trascendenza del dire nell'indicibile? Non è un gioco di parole
parlare del dire l'indicibile. In fondo il nostro dire è un· dire l'indi-
cibile. Già solo questo: quante cose in ogni dire sono sempre anche
non dette e tuttavia sono sottintese, o meglio, non"-sono semplice-
mente sottintese, ma sono propriamente intese, e precisamente di
nuovo e proprio nel semplice dire!
Nella parola di Dio e per mezzo della parola di Dio la nostra pa-
rola ed il nostro linguaggio indicano realtà al di là del nostro par-
lare e dire. Si noti bene: per mezzo della parola di Dio, e non sol-
tanto nella parola di Dio: poiché qui non l'uomo ascoltando e par-
lando trascende i suoi concetti e le sue parole; ma Dio stesso fa sì
che l'uomo che ascolta e parla per mezzo della parola della fede, tra-
scenda i suoi concetti e le sue parole. Rivelazione e parola di Dio
diventano linguaggio; linguaggio e parola dell'uomo non diventano
rivelazione. Quando I Io. 4,8 pone di Dio il grande enunciato: «Dio
è amore», la nostra parola 'amore' da ciò che in questo mondo è
chiamato amore tra uomini, viene trasposta a Dio ed all'amore che è
in Dio e da Dio, e che è divenuto manifesto a noi nel suo Figlio in-
viato nel mondo (I Io. 4,7-10); ma questo è l'amore del Cristo, di
cui in Eph. 3,19 si dice che supera ogni nostra conoscenza. Del no-
stro termine 'amore' si fa quindi un uso trascendente, superconcet-
tuale; esso esprime di più e molto di più di quanto per sé dicano il
concetto e la parola. Ma anche qui mettiamo ancora una volta in
rilievo - e non sarà mai ripetuto a sufficienza -: in quale modo sem-
plice, ragionevole e comprensibile e per nulla esaltato si parla di quel-
la cosa grandissima che è l'amore in Giovanni ed in Paolo (I Cor. 13,
r 3 ), con quanta ragionevolezza e comprensibilità l'amore di Dio per
noi e l'amore dei cristiani per il prossimo si riflettono l'uno nell'al-
tro, con quanta semplice ragionevolezza e semplice comprensibilità
e perciò €on quanta forza, e come ci sentiamo inevitabilmente col-
piti e regolati! ( 1 Io. 4,7-21; 1 Cor. r 3,4-7 in quanto parte centrale
dell'inno al nuovo amore). La nostra parola si trascende in ordine a
Dio, ma in quanto prima la parola di Dio discende a noi e discende
in modo da avvicinarsi per così dire al nostro corpo e da afferrarci
cuore e reni. Con la sua parola Dio tende la mano verso di noi e
'SAPIENZA DI DIO NEL MISTERO' IN PAOU/
.n8
Appunto per un'intelligenza più esatta d'una realtà cosl imporrante, deli-
neeremo chiaramente i principali campi concettuali del principio dell'ana-
logia, in testi fondamentali ed in tesi. Diciamo ancora una verta e pre-
mettiamo ora con insistenza che si deve incominciare con l'analogia nomi-
num od analo ia della denominazione e di qui si deve J!assare alìe
alue specie dell'analogia; poiché un ana o ia ella
dc,nQminazione e deve essere resa precisamente come analogia del nome
o dei nomi dell'essere (unum, verum, bonum, pulchrum), e poiché l'ana-
logia dei in uanto anale ia della arala di Di e della fede nella parola
umana,. è anc e ed appunto analogia della denominazione, corrispon enza
dei nomi divini tra loro e con i nostri termini astratti, e precisamente
corrispondenza a partire da denominazione e da rivelazione divine. Ini-
zia · · 'analo ia nominum e cerchiamo di resentare un con·-
cctto chjaro; o, meglio, ci atteniamo al concetto esatto di ò:vtl. oyov, che
ARISTOTELE offre nella sua Poetica e nella sua Metafisica. lncommc1amo
con il testo della Poetica, che parla esplicitamente dell'analogia dei nomi,
mentre il resto della Metafisica tratta più dell'analogia dell'essc:Ie. In di-
pendenza dal primo testo citato, poniamo e spieghiamo quattro tesi, quin-
di completiamo con il testo della Metafisica.
Testo: ARISTOTELE, Poetica 21 (14.:s7 b I f 6-9.16-33): «Ogni nome
è o termine proprio o peregrino o figurato (metafora) o ornamentale o
poetico ... Termine figurato (µE't"!Zq>optl.) è trasposizione (È1tLq>opci) di altro
nome o dal genere alla specie, o dalla specie al genere, o dalla specie alla
specie, o secondo il corrispondente (xa't"à 'tÒ &. vcD..oyo\I )...
[Si noti questa antitesi importante dal punto di vista logico ed ontolo-
gico in un ARISTOTELE: da una parte un parlare secondo genere e specie,
dall'altra un parlare secondo un rapporto, una corrispondenza - i nomi
analogici in quanto analogici non sono nomi di genere e di specie, ma no-
mi di relazione, il che dal punto di vista teologico è importante nel nostro
parlare di Dio, nella trasposizione a Dio delle nostre denominazioni!].
Parlo del corrispondente quando il secondo sta al primo come il quarto
al terzo; allora al posto del secondo si dice il quarto o al posto del quarto
il secondo. E talora si aggiunge per che cosa esso è posto, ed a che cosa
si riferisce.
"SAPIENZA DI DIO NF.1. MISTERO' IN PAOLO
3) Mysrerinm <alnti< / 2.
'SAPIENZA DI DIO NEL MISTERO' IN P/\OLO
cetto teologico. Però io ritengo che anche l'idea di modello della fisica
(una scienza matematica!) non può fare a meno dell'idea d'analogia (anche
e proprio in senso matematico); il principio dell'analogia è il principio
più ampio in cui si fondano e si muovono tutte le idee di modello, so-
prattutto le idee teologiche di modello. Ciò che in particolare potrebbe
servire di guida nel modello fisico anche per la formazione del concetto
teologico, sarebbe il dualismo delle idee di modello (ad esempio: onda-
particella; nella teologia ad esempio: modo di considerare storico-salvifi-
co ed ontologico). Nel senso di ciò che è stato detto, stabilisco anche qui
delle tesi; due possono bastare.
Te si prima: la formazione del concetto teologico parte dalle chiare
idee di modello desunte dalla Bibbia; esse hanno valore di fondamento
sperimentale preconcettuale ( prepredicativo) di enunciati specificamente
analogico<oncettuali.
Tesi seconda: la teologia speculativa eJabora dagli enunciati storico-
sal vifici della Bibbia gli stati essenziali che vi sono implicati; ma questi
enunciati essenziali ontologici si devono sempre e nello stesso tempo fon.
dare ed interpretare in ordine alla realtà e storicità dei fatti salvifici.
Ma, a conclusione di tutto ciò che qui è stato detto circa il linguag-
gio dell'analogia, ritorniamo a Paolo ed alla sua prima lettera ai
Corinzi. Nella stessa lettera in cui l'apostolo attraverso due capitoli
iniziali annunzia la nuova sapienza di Dio e del Cristo nel mistero,
nel penultimo capitolo (I Cor. 15) sviluppa in modo esemplare la
sapienza del mistero ed il suo linguaggio metaforico-analogico nel mi-
stero dei misteri, nel mistero della risurrezione del Cristo e della
nostra speranza di risurrezione.
Rowohlt 1962, p. 59, coglie esattamente ciò che anche noi intendia-
mo; egli afferma: «La scief1?:~_ degli scribi, come s'è detto, è inter-
pretazione del1°Antico Testament~. Ma n~ri è-;ci~~·;;-n-~I senso della
scienza greca, il cui lavoro si compie da una parte nello sviluppo e
nell'elaborazione della c~osce!lza H~~_ p_ri_~.L~_ne_!!a l~r~pplica
zione al _c9s.mo, e dall'altra in un C"same sempre ripetuto dei principi
ed in una rinnovazione del fondamento. Infatti per gli scribi il fon-
damento stL._saldo una volta per sempre: la sacra Scrittura».
Questa affermazione di R. BuLTMANN sull'erudizione scrinuristi-
ca indica nello stesso tempo che quanto abbiamo detto sui due pre-
supposti, cioè quello non dogmatico-scientifico e quello dogmatico-
teologico, riguarda sia la teologia cattolica, sia quella protestante,
in quanto nella teologia protestante la Scrittura è considèrata come
nor11J1LJWJ'./l14t1S dosIDatica, cioè come la norma -p~ogni ~a
ecclesiastico__che è norma normata. Per la teologia cattolica il magi-
----
stero ecclesiastico non è norma normans come la sacra Scrittura e la
----~·-
tradizione divina, bensl norma normata, cioè legislazione in materia
di fede (inclusa la legge marà.le) che prende la sua norma dalla rive-
lazione e dalla sua espressione nella Scrittura e nella tradiZIOri.C.
In base alla nostra distinzione dei due presupposti, f!On ha quindi
e
importanza che non esista una__§fienza p_r~_a ~i. pres~osti, che di
conseguenza la scienza teologica su questo punto no9 sia meno scien-
tifica di alt~~-spse__che~~~_a_!!!pansi_la _F_!etesa a scienza; ma ha impor-
tanza decisiva il fatto che nella scienza, nella scienza pura e stretta,
i presupposti vengono intesi come presup~Q~!iJ.L natura non dog-
~~entre nella scien;;-·teologica çj sj fonda piuttosto sul carat-
tere_a~~~lutameme dogmatico dei suoi pr~supposti e dei suoi enun-
ciati, e p~~1samente senza ecC:ezionein-ùittaTaspecialità teologiche,
per quanto queste si distinguano nei loro metodi scientifici, come ad
esempio la teologia storica e sistematica, quella esegetica e dogma-
tica, quella teorica e pratica. Il programma d'una scienza senza pre-
Nel parlare del triplex usus philosophiae ho preso come modello dalla teo-
logia i;>rotestante il triplex usus legis, che però in quella teologia non è
affatto un discorso generale, e che soprattutto è assolutamente problema·
tico - specialmente per quel che riguarda il te,rzo uso della leg~: la dot·
trina d'un t · lice uso della le e conosce l' so bor hese dei dieci coman-
damenti 'nel palazzo municipale' e nella 'comunità civi e' (usus po 1t1cus
seu civilis), poi sul pulpito l'ufficio della legge che convince l'uomo, anche
il cristiano, della sua peccaminosità e...d.eL§.1:12. bj~og_no di salvezza (ums
theologicus seu elencticus), ed in terzo luogo l'istrùZ!Oil'e dei comanda-
mepti nel Vangelo e sotto il Vangelo (usus tertius seu paraenetic11s). È
certamente istruttivo confrontare tra loro le due trla<II:-I>ertrteologo b
filosofia non è forse anche una parte della 'legge'?
4. Scienza ed ideologia:
posizione della teologia nell'università e nella scienza universitaria
36 Mysterium salut is / i.
KERYCMA, DOGMA, ESF..GESI, STORIA
ciascuno a modo suo, enunciati. Ciò può apparire una tautologia, ep-
pure esprime una cosa importante.
a. Enunciato e giudizio come sede della verità, del 'sì' o del 'no'
Notiamo espressamente che nelle cose or ora esposte è stato toccaw bn:-
NAl'URA LOGIC:A t:D ESSENZIALITÀ l'EOUJGICA DELL'ENUNCIATO
--
ne. Non è necessario che ci avventuriamo ora in una definizione di
ciò che si chiama 'dogma' e 'dogmatico'. Qui ci basti questo: dogma
nel senso generalissimo è campo d'opinione e d'enunciato, in cui
c'è separazione e decisione: o - o, sì o no, verità o falsità (nel sì
c'è il no, e nel no il sì; una teologia che si diffonda in negazioni
o condanne, è unilaterale, ma lo è anche una teologia che parli
esclusivamente per affermazioni). E dogma nel senso tutto partico-
lare nella predicazione e nella teologia cristiane, è quel campo di
salda opinione e di deciso enunciato, che non prese!J.ta soltanto opi-
nioni ed enunciati su verità e fatti di fede e su modi di fede - questo
fa andie la scienza della religione -, ma sa, credendo, d'essere posto
nella fede stessa, nell'assenso della fede alla sua verità e nella nega-
zione all'incredulità ed all'errore. Qui il carattere dogmatico d'enun-
ciato d'un discorso teologico non si esprimerà per lo più in modo
566 KERYGMA, DOGMA, ESEGESI, STORIA
-
dizio. E come in tal modo il kerygma non è e non viene detto senza
forma dogmatica, anche se in gradi diversi d'enunciato, così ogni
dogma, al di là di sé, indica il kerygma, è riferito in modo metalo-
gicQ. al kerygma, in cui è 'realizzato' e diventa 'realizzabilèi' (J.H.
NEWMAN). Il kerygma è quindi la causa prima e finak metadogma·
ti~ dogma e del diritto ecclesiastico divino, dogmatico; esso è
la trascendenza dell'elemento dogmatico. L'AQUINATE, là dove affer-
ma il carattere d'enunciato della nostra .fede (S. tb. 2-2, 1, 2 ), dice
tuttavia: l'ateo di fede non è diretto all'enunciabile ( enuntiabile)
come a fine bensì alta cosa (stessa). Ma oltre a ciò non si trascuri
l'altro Sed contra, e cioè che noi incontriamo il kerygma e la sua
immecliarezza nel mezzo (per la mediazione) dell'enunciato, e preci·
sarnente dell'enunciato dogmatico-teologico. Il kerygma come tale
non ..è_ ancora teologia nel senso d'una concettualità scientifica; ma
dal kerygma non si potrebbe sviluppare teol9Jia, se questa non fos-
se contenuta in esso almeno implicitamente, di modo che vale la_pro-
~zione: kerygma est initiu';;, fundamentum et radix omnis theo-
logiae.
TEOLCIGJA NELLA Vll'A DI FEDE E NELLA VITA DELLA CHIESA
modo nuovo con la parola di Dio nella Bibbia e nel linguaggio della
liturgia. Bibbia e lettura della Bibbia hanno riacquistato sempre più
nella Chiesa e nella comunità e nei fedeli la loro posizione storica·
mente ed oggettivamente originaria. La parola della Bibbia è stata
di nuovo sentita nel suo valore proprio prima d'ogni carattere uti-
litario, dopo che addirittura un manto aveva ricoperto la parola
della Bibbia e la lettura della Bibbia. Elevatasi la posizione della
·parola della Bibbia nella predicazione della Chiesa, si è elevata anche
la posizione della scienza biblica tra le discipline teologiche; dopo
una posizione piuttosto propedeutica, la scienza biblica ha riconqui-
stato la sua grandezza teologica propria (su questo si dovrà parlare
ancora in seguito nella divisione della teologia). Ma anche qui avrà
luogo il reciproco influsso, per cui le due posizioni, la posizione ec-
clesiale della parola della Bib,bia e la posizione teologica della scienza
biblica, si innalzano l'un l'altra.
~7 • Mysterium salutis / 2.
KERYGMA, DOGMA, l!Sl!GESI, STORIA
nico, si trovano l6gos e mito; nel Pedone si trovano i tre l6goi o paro-
le dimostrative per l'immortalità dell'anima spirituale, e si trovano
anche, non soltanto nella conclusione, discorsi mitici d'ogni genere,
e poi nella conclusione il grande mito del mondo e del giudizio. Ed
ora non possiamo separare semplicemente l'una da]'altra la locu-
zione mitica e quella logica, come se si sorbisse il cioccolato da un
gelato misto. Ma non dobbiamo neppure far confluire semplicemente
l'una nell'altra la locuzione mitica e quella logica. Il rapporto di
logos e di mito, di locuzione logica e mitica, rientra piuttosto nei
problemi centrali, che riguardano lo stile di lingua e di pensiero
d'un dialogo platonico - con ciò siamo nel bel mezzo dello sforzo
propriamente esegetico, filologico. Questa sfera del linguaggio, della
forma linguistica d'un dialogo platonico come il Pedone, sta nel mez-
zo della situazione storica e del contenuto filosofico di pensieri. Que-
sto contenuto di pensieri in quanto contenuto oggettivo d'un dialo-
go, viene rilevato espressamente da SOCRATE - PLATONE, e precisa-
mente anche nel Pedone: come dice esplicitamente SocRATE - PLA-
TONE, non si tratta dell'amicizia con Socrate, ma dell'amicizia con
la verità stessa. Non si tratta quindi soltanto dell'interpretazione del
testo esatta sul piano filologico, ma si tratta in più della questione
sulla verità della stessa cosa, sul contenuto oggettivo avente valore
universale nella sua forma linguistica. Troviamo cosl un triplice sen-
so della verità e della questione della verità: verità in quanto que-
stione sulla reah:à storica (verità in quanto storicità); verità come que-
stione sull'esattezza esegetica, sul testo esatto e sulla sua esatta inter-
pretazione; e verità come questione sulla verità della dottrina (in
definitiva verità come intelligibilità, comprensibilità, razionalità).
Applicato alla scienza teologica questo modello significa che la bi-
partizione usuale della teologia teoretica, non pratica, in teologia
storica e sistematica, deve essere ampliata, come è stato detto, nella
tripartizione di teologia storica, esegetica e dogmatica, ed in questa
precisa sucèessione, con l'esegesi al centro. Tale tripartizione rende
giustizia soprattutto all'importanza propria ed alla posizione centrale
dell'elemento linguistico per una teologia, che è dottrina di Dio in
quanto dottrina della parola di Dio: la quale fa s1 che la storia sal-
vifica dell'antico e del nuovo popolo di Dio da parola divenga fatto
ed annunzi la verità divina ed indichi la via. La parola di Dio ed il
DIVISIONE DELLA TEOLOGIA
cc. Ciò che viene dedotto mediante prova si chiama oggetto della
prova (conclusio ); ma ciò da cui si deduce si chiama ragione della
prova (principium ). Il principio non può essere anche oggetto della
prova, altrimenti questa cade in una petitio principii. Perciò i prin-
cipi d'una scienza non sono dimostrati dalla scienza di cui sono prin-
cipi, ma sono supposti da una scienza superiore (supponuntur, non
probantur). E le ragioni superiori di prova (principia prima) in gene-
re non sono a loro volta dimostrabili e quindi non sono oggetto d'una
scienza in quanto tale, bensl dell'intelletto (intellectus), che li àfferra
immediatamente, fondandosi sull'induzione (nel senso aristotelico del-
la parola).
dd. La scienza più alta è quella che non desume le sue ragioni da
una scienza superiore. Questa scienza fondamentale (prima philoso-
phia) è chiamata da ARISTOTELE sapienza (sapientia). Poiché offre
alle altre scienze che le sono subordinate le ragioni di prova supe-
riori, non dimostrabili, essa non solo è scienza, cioè scie11tia conclu-
sionum, ma anche intelletto, cioè intellectus principìorum. In quan-
to intellectus principiorum essa chiarisce e difende (non prova) le
certezze prime d'ogni scienza (concetto metodologico di sapienza), ed
in quanto scientia conclusionum indaga e prova le c.ause prime d'ogni
ente (concetto ontologico-teologico di sapienza).
LA TEOLOGIA COME TEOLOGIA DEDUTTIVA
cc. I misteri della fede o, per dirlo con TOMMASO, gli articoli di
fede (articuli fidei) non possono costituire l'oggetto -(proprio) della
teologia, in quanto questa deve presentarsi come scienza, cioè come
una conoscenza evidente mediante prova; infatti essi non sono né
immediatamente evidenti né dimostrabili - altrimenti scomparirebbe
il loro carattere di mistero e di fede, e la teologia .non sarebbe scien-
za di fede, bensì scienza razionale. Ma gli articoli di fede possono
essere usati nella scienza della fede come ragioni o principi d'una
conoscenza evidente mediante prova; infatti le ragioni di prova non
sono dimostrate dalla scienza di cui sono princìpi, ma sono presup-
poste o credute, cioè sono desunte da una scienza superiore. Quindi
FORME FONDAMENTALI DELLA TEOLOGIA COME SCIENZA E SAPIENZA
590
dd. Poiché gli articoli di fede possono essere considerati come ra-
gioni di conoscenza, da essi si può dedurre una nuova conoscenza.
E se alla teologia ~·quanto scienza subordinata manca l'intellectus
principiorum, non manca tuttavia l'apparentia conclusionum, cioè
l'evidenza delle proposizioni che possono essere dedotte dagli arti-
coli di fede in quanto principi. Queste deduzioni teologiche o con-
clusione s theologicae costituiscono quindi l'oggetto della conoscenza
evidente mediante prova, e quindi anche l'oggetto formale della
scienza della fede. Vedi 5. th. 1, r, 8.
cielo è nascosto dalle nubi (del mistero). In alto la pace della visione
beatifica, in basso il movimento del pensiero della fede e della cono-
scenza di fede.
3H Mvs1erinm salu1is / 2.
FORME FONDAMENTALI DELLA TEOLOGIA COME SCIENZA E SAPIENZA
594
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La teologia ortodossa
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Kampmlllln Th., 167, 597. 195, 196, 242, 267, 315, 507, 598.
Kant I., 199, 207, 139, 540, '42, 543, Latourclle R., 66," 67, 431, 4'4·
557, ,,8, 585, 587. Lebaçqz J., 456, 508.
Kilntz.enbach F.W., 354, 356, 366. Lebon J., 230.
Kapp E., 334· Lcbreton J., 148.
Karmiris J., 86. Leclercq J., 510.
Karrer O., 418, 499· Lécuyer J., 122.
Kiisemann E., 216, 217, 218, 219, 220, Ledergerber K., 277.
222, 223, 225, 226, 227, 228, 267, Lehmartn K., 215, 361.
397· Le Nain de Tillemont, 127.
Kasper W., 267, 3r8, 363. Lengsfeld P., 94, 168.
Kaufmann F., 292. Lennerz H., 140, 197, z,,, 303.
Kem W., .509. ~ne Magno s., 16o, 190.
Kierkegaatd S., 258, 263, 436. Leone XIII, n9.
Kilber H., 31,. Le Roy E., ZIO, 415.
Kinder E., u9, 2n, 267. Leub:i J., 304.
Kittd G., 265, 272, 386, 392. Lichtenstcin E., 215.
Klein L., 74, 84, 217, 233. Liégé P.A., 265, 296, 4,8, 468, 505.
Kleutgcn J., 480. Lietzmann H., 130.
Klim L., 71. Lipps H., 233, 334.
Kock J., 196. Lob! W., 265.
Koester H., 2~7. Lohmeyer E., 221.
Koester H., 230, 231. LOhrer M., 94, 122, 142, 165, 407,
Kohler W., 355, 365. 507, 600.
Kolping A., 52, 90, 143, 144, 598. Lohse B., 3'4· .356, 357, 365, 366.
Koopmans J.J., r97, 267. Lohse E., 177.
Koser C., 90. Loisy A., 209, :no.
K0ssler P., 505. Lofs F., 365.
Koster D., 593. LOsch St., 320.
K0ster H., 598. Lossky V., 6o8.
Kostcr M.D., 351, 363, 597· Luck U., 174, r77, 267.
Kovach F.J., 274. Lutero M., 126, 176, 197, 198, 199,
Kramcr W., 215. 209, 222, 243, 411, 519, 520.
Kredd EM., 52. l..Uthy K., 292.
Kreimcr H., 191. Liitzelcr H., 292.
Krings H., 67, 598.
Kriigcr G., 355.
Kuhn H., 292. M
Kuhn J.E., 305, 320, 321, 595·
Kiing H., 86, 1o6, 108, n8, 122, 141, Mabillon J.. 147·
241, 242, 267, 509· Madoz ]., 124.
INDICE ONOMASTICO
40 · Mystcrium salutis a
626 INDICE ONOMASnco
V w
Vagaggini C., 1o6, 122, 165. Wacker P., 5o8.
Vallotton P., 437, ,-10. Walgravc J.H., 321, 36,, ,08.
Van Den Eynde D., 312, 36,. Waltbe.r Chr., 366.
Van Der Leeuw G., 293. Wamach V., 269, 597.
Vanhoye A., ,07. Weber A., 230.
Van Iersel B., 215. Webcr O., 228, 269.
Van Lee J., 314, 365. Wcbcr P., 65.
Van Ruler, ,o,. Wegcaa&t K., 215.
Van Stccnberghcn F., 196. Weis A., 63.
Vasquez A., 316. Wciscr A., 377, 379, 507.
Vega A., 316. Wcltc B., 3,9, 360, 366, 436, 444, ,05,
Verga L., 416. 'IO.
Vielhaucr Ph., 177. Wemer M., 214, 3'7, 36,.
Vignon H., 'o'. Westcrmann C., 269.
Villette L., 464, #. ,09. We12cl Oi.., 290.
Vinccn210 di Lérins, 124, 130, 191, 202, Wicla.nd W., 334.
262, 312, 324. Wilckcns U., 66, 74, 177, 225, 269.
Véigtle A., 67, 217, 237, 269, 310. Willam M., 451, 5o8.
Volk H., 66, 67, 227, 268, 304, 420, Wolf E., 17', 3'4• 3,6, 3'7• 366.
,06, ,98. Wood H.G., 174, 269.
Von Balthasar H.U., 38, 3!» 44, 66,
138, 292, 293, +37· 438, 443, 497,
-'95. 599. z
Von Harnack A., 200, 209, 214, 240,
243, 267, 3,,, 356, 3-'7· 36,. Zaccuia F.A., 147.
Von Rad G., 276, 309. 7.eller H., 6o.
Vorgrimler H., 67, 87, 107, 141, 265, Zicgler W., '97.
269, 309, 310, 364, 467. Zimmermann H., ,506.
INDICE ANALITICO
A Apologetica
apologetica dell'immanenza, 4I.'J.
Abelardo, 409. metodo apologetico, 4i:,.
Allegoria, ,2,, ,40, '43· Apostasia, 212, ,oo.
Amore Apostoli, 47 s.; .'J2 ss.
come fondamento dell'autocomuniCllZio-
nc di Dio, 401. Ario, 190.
Analogia
analogia attributioni1,
analogia entir, '39 s.
'4'· Aristotele, 334, 409, .'JI3, .'J2I, .'J38, .'J41,
,42, :s44. :s45, :s4B, '''' ,,6, '84,
analogill fidei, 226, J3Jil s
,s,, ,s6, ,s7, ,ss, ,90, ,94.
analogia e metafora, .n8, :s43, .'J.'JO, Arte, 270, 273, 27.'J s., 278, 279 s., 281,
.'J93· 282, 283, 284, 28,, 89 .
analogia e modello, J46.
analogia del nome dell'essere, .'J44 s. Auctoritas Dei revelantis, 407, 409 s.,
analogia nominum, .'J40. 414, 429, 478 s., '4-8.'J, 496.
principio d'analogia, '4' s.
Autocomunicazione di Dio
aNJ/ofja proporlionalilatfr, .'J43, '4.'J.
la suprema realizzazione dcli'autocomu
analogia relationi1, '39 s., '46. nicazionc di Dio mediante l'unione
significato cattolico d'analogia entis e
ipostatica, I I s.
significato protestante d'analogia del-
recezione dell' autocomunicazione di Dio
la creazione, '46. attraverso la grazia nell'uditore, 18i.
unità d'analogia /idei e: d'analogia en-
carattere di pubblicità dell'autocomu-
tis, '94. nicazione di Dio, 183 s.
Analysis /idei, 413· (vedi anche: Grazia)
status quae1tionis, 480-483. Articulus fidei, r92, 193, 203.
teoria di L. BILLOT, 483.
teoria di DE LuGO, 486. Ascensione di Gesù Cristo, 26, 37, 42.
teoria di SUAREZ, 48,.
soluzione positiva, 485. Averroè, 584.
autogiustilicazione della fede, 489. Azione
comprensione del motivum Jormole /i- e parola, 398 s.
dei, 489.
duplice mediazione della fede, 487.
Anamnesi, r55, r81. B
K Liturgia
problematica della liturgia come lo-
cus theologicus, 146, 153.
Kén6sis di Gesù Cristo, .27r, 282. /ex orandi lex credendi, 149.
primato della liturgia nella mediazio-
Kerygma
ne della rivelazione, r 8 r.
nel greco classico, 168. massima attuazione della parola del
delimitazione dell'essenza. del kerygma, kerygma nella cena, 18 3.
181 rinvio della tradizione alla liturgia,
ampiezza di variazione dcl kerygma r50
del Nuovo Testamento, .2r8 s., .227. relazione della liturgia con la fede,
carattere anamnetico e prognostico del 162 s.
kerygma, I 81 s. come organo del magistero ordinario,
carattere dossologico, 183. 103, 157 s.
semplicemente definitivo ed efficace, visione teologica della liturgia secon·
185. do il Vaticano II, 145.
rapporto tra kerygma e storia, 179.
nel Nuovo Testamento. Luce della fede, 78, J.40, 427, 431, 438,
funzione interpellativa, 170, 174, 450 s., 488.
180.
rapporto con la storia, I 69. Lutero M., 126, 176, 197, 198, 199,
il Cristo del kerygma ed il Cristo 209, 222, 243, 411. 519, 520.
storico, 175, 179·
fondamento del kerygma nella sto-
ria di Gesù, 172. M
come atto e contenuto, 168.
come proclamazione dell'evangelo di
salvezza, 174, 182. Magistero
Kerygma sulla base della parado- nell'Antico Testamento, 29.
INDICE ANALITICO
interpretazione dei documenti patri- .cnso della fede della Chiesa inte-
stici, J34. grale, 78.
senso della fede e consenso di fede,
Padri della Chiesa 78.
concetto, 124, u8.
problematica moderna degli studi pa. Predicazione miscagogica, 186.
tristici, u8.
considerazione storico.letteraria degli Professione di fede; vedi: Fede.
autori dell'antichità cristiana, 125. Profezia e miracolo, 45 I s.
mediazione della rivelazione attraver-
so i padri della Oiiesa, 131 s. Protestantc:Simo, 303.
consemus patrum, J 34.
attualità, J 36. Protosacramento o Chiesa. r6o.
Papa
funzione del papa per la formazione Q
del magistero ordinario cd universale,
103. Qualificazione teologica, 90, J9.1 s.
e concilio ecumenico, lo;.
(vedi anche: Magistero)
R
Paradosis, 167, 168, 174·
(vedi anche: Tradizione). Razionalismo, 202.
come storia esposta nella Bibbia, '93. forma di teologia della storia
come propria della teologia, 595.
'Storia delle forme': vedi: Formgeschi-
la gnosi secondo CLEMENTE ed 0-
chte.
lUGENI!., ,82.
Storia della salvezza l'intellectus fidei secondo Aoosrmo.
distinzione tra storia della salvezza ed ANsE.LMo, ,8.2.
universale e particolare, u s. la paolina sapienlia Dei in myste-
rio, ,:i:,-535, 582.
Su bordinazianismo, 2 32. teologia e filosofia nel Medio evo,
585 s.
Supersti ione, 184, 503. Gesù Cristo come praedicatum me-
diumque delle proposizioni teologi·
che, 527.
T teologia come gnosi, 530.
teologia infusa ed acquisita, .592.
kerygma e teologia., 534, 550, -:;67
Teologi, I 38. {vedi anche: Kerygmo).
linguaggio della teologia, 534-537.
storia del concetto di teologi, r39. teologia missionaria, 574.
prindpi d'interpretazione, 143. teologia mistica, 530, 579.
compito dei teologi nella mcdiazione teologia naturale e soprannaturale,
della rivelazione, 141. 528, '54·
scuole di teologia, 143. n~us mysteriorum, ,30, ,,o (vedi
anche: Mistero).
Teologia oggetto della teologia, 59x.
teologia della Oiiesa come un tutto, teologia degli ortodossi, 6oo-6o8.
2p. il culto, 606.
classificazione della teologia, 57'· la Bibbia, 6o4.
teologia biblica, ,76 (vedi anche: i padri della Oiiesa, 603.
Teologia biblica). i concili ecumenici, 106 s., 6o3.
triplicità del metodo teologico, '76. il magistero, 605.
teologia storica e sistematica, 577. il monachesimo, 6o6.
concetto di teologia, 5II. le categorie 61osofìche, 607.
conoscenza analogica, 549 (vedi an- la Sohornost', 604.
che: Analogia). la tradizione, 6o4.
controversia intraecclesiale, '7I. i presupposti dogmatici della teolo-
dimostrazione del mistero, 547. gia, ,,2, '-'9·
ecclesialità della teologia, '68-570. teologia e processo conclusivo, 592.
teologia ed 'economia', ,u. teologia come fapientia Dei, 5u,
teologia ecwnenia, 571-574. 513 ss.
teologia come fides quaerens intellec- teologia come scic112.1.
tum, ,30. aporia della scienza teologica, _,89,
teologia e filosofia, 55 I. concetto aristotelico di scienza, 587.
pretesa del filosofo sulla totalità pi:oblcmatica a panire dal kerygma,
dell'essere, -'.54· 532.
filosofia cristiana, 586.
filosofia dei teologi, :s :s :s.
t,iplex usus philosophiae, ''7· fia,,,1.
problematica a partire dalla filoso-
Bibliografia 65
Bibliografia 144
Bibliografia 164
Bibliografia 292
41 - Mysterium salutis 2
INDICE
,. Gli elementi porranti della dinamica dello sviluppo dcl dogma 342
11. Lo Spirito e la grazia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 344
b. L'operazione dello Spirito santo 34'
c. Il magistero della Chiesa 346
d. Il ruolo della tradizione 347
e. Concetto e parola 348
f. Analogia ................................... · ..•... · · · · . · . . 349
g. Il senso della fede . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3,o
h. La concezione dd rivelato in quanto dogma 3'I
Bibliografia
LA RISPOSTA DELL'UOMO
ALL'AZIONE ED ALLA PAROLA DI DIO RIVELATORE
CAP. v La fede
Introduzione
Bibliografia ,50.5
Bibliografia 608