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Giancarlo Biguzzi

L’Apocalisse
e i suoi enigmi

Paideia
Giancarlo Biguzzi

L’Apocalisse
e i suoi enigmi

Paideia Editrice
Tutti i diritti sono riservati
© Paideia Editrice, Brescia 2004 ISBN 8 8 .3 9 4 .0 6 9 1 . 3
Indice del volume
15 Premessa

Parte prima
Circostanze storiche
Capitolo 1
21 Un libro contro «Babilonia»:
contro Roma o contro Gerusalemme?
21 1. «Babilonia»
nella storia dell’interpretazione
21 1. Il problema e le alternative
23 2. Da Ireneo a Gioacchino da Fiore
26 3. Da Gioacchino da Fiore all’esegesi contemporanea
29 II. Critica all’ipotesi antiromana
29 1. Difficoltà dell’ipotesi antiromana
32' 2. Configurazione dell’ipotesi antigerosolimitana
36 in. Bilancio circa le due interpretazioni
3é 1. Valutazione dell’ipotesi antigerosolimitana
42 2. Valutazione dell’ipotesi tradizionale
Capitolo 2
47 La terra di Apoc. 13 ,11
e la geografia fisico-politica
47 I. La bestia di Apoc. 13 ,11 e il suo salire dalla terra
47 1. Il «bell’odioso» della Bestia che sale dalla terra
48 2. Il termine -$ir]piov e il simbolismo teriomorfo
49 3. La provenienza «dalla terra»
5i 4 .1 v e r b i x a T a [ 3atvco - à v a ( 3aiv&)
e la sfera di appartenenza
53 II.1 diversi ambiti d’azione delle due bestie
53 1. L ’adorazione della Bestia a dimensione ecumenica
54 2. L ’adorazione della statua della Bestia
in una diversa atmosfera
55 3. L ’adorazione della statua della Bestia
a dimensione regionale

7
56 4. Flagelli distinti per gli adoratori della Bestia
e per il suo trono
57 5. La successione «mare-terra» e l’angelo di Apoc. io
59 6. Quale mare e quale terra
59 h i . La terra di Apoc. 13 ,11
nella storia dell’interpretazione
59 x. Interpretazioni escatologica e storico-ecclesiastica
60 2. Interpretazioni di storia contemporànea
Capitolo 3
63 Le due idolatrie di Apoc. 8-16 a Efeso
63 1. L ’idolatria nel Nuovo Testamento
e nell’Apocalisse
63 1. L ’idolatria nell’esperienza quotidiana delle chiese
63 2. L ’Apocalisse e le due idolatrie
65 11. L ’idolatria tradizionale a Efeso
66 m . Efeso e il culto del sovrano
66 1. Il «neocorato» imperiale di Efeso
sotto Domiziano
69 2. Il tempio efesino
per il culto degli imperatori Flavi
71 3. La statua cultuale di un imperatore Flavio
74 4 .1 giochi domizianei e il culto del sovrano
75 5. La scelta degli spazi come persuasore occulto
75 6. Il culto dell’imperatore
quale nuovo centro di coesione
76 iv. Il tempio imperiale e la datazione dell’Apocalisse
Capitolo 4
79 Giovanni di Patmos, Patmos, e la «persecuzione»
79 1. Giovanni di Patmos - Giovanni a Patmos
79 1. Giovanni di Patmos
82 2. Giovanni a Patmos.
Ipotesi di un soggiorno volontario
85 3 . Giovanni a Patmos.
Ipotesi di un soggiorno obbligato
86 4. Damnatio, deportatio o relegatio
88 5. Il contributo di H.D. Saffrey
90 6. Le autorità municipali e il vagus Giovanni
92 11. Due diverse immagini di «persecuzione»
nell’Apocalisse
92 1. Ostilità locale in Apoc. 1 3‫־‬

8
93 2. La persecuzione extra-asiatica di Apoc. 12-20
94 3. Il grido dei «martiri» in Apoc. 6,9-10
95 ni. Le autorità coinvolte e l’epoca della persecuzione
95 1. Persecuzione reale o crisi «percepita»
96 2. Intolleranza popolare e iniziativa delle autorità
97 3. Persecuzione in Asia, autorità responsabili
e datazione dell’Apocalisse

Parte seconda
Linguaggio
Capitolo 5
i °3 Una grammatica delle immagini
e delle tecniche narrative
104 1. Singolarità delle immagini giovannee
104 1 . 1 canti di descrizione
106 2 ‫״‬. La metamorfosi delle immagini
1 09 11. Singolarità delle tecniche narrative giovannee
1 09 1. Autarchia dei singoli episodi e dettagli
III 2. Le lacune narrative
112 3. Discontinuità negli itinerari
e nell’identità dei protagonisti
113 4. Anomala sequenza dei tempi verbali
115 5. Gli episodi narrati da prospettive complementari
118 6 .1 doppioni d’anticipazione
121 in. Il mondo surreale e onirico di Giovanni
121 1. Un mondo oltre la logica e l’esperienza comune
123 2. Il mondo surreale dell’Apocalisse,
la sua natura e il suo scopo
124 iv. Leggibilità e unitarietà dell’Apocalisse
Capitolo 6
127 I numeri e il loro linguaggio
12 8 1.1 numeri e la perfezione dell’agire divino
12 8 1. Il numero sette in Apoc. 1-3
131 2. Il numero dieci in Apoc. 2
132 3. Il sette di Dio e dell’Agnello in Apoc. 4-22
134 4. Il quattro e il suo simbolismo cosmico
135 5. Il dodici come numero del popolo di Dio
137 11. La triade antidivina
e il risvolto diabolico dei numeri
137 1. La Triade antidivina e la parodia del tre e del sette

9
138 x. Il soprannumero dei dieci corni e diademi
139 3. «Tre e mezzo» come sette dimezzato e mancato
140 in. Calcolare il numero della Bestia (Apoc. 13,18)
140 1. Coinvolgimento del lettore nei calcoli
142 2. Il 666 secondo gli antichi e secondo i moderni
147 3. Bilancio e prospettive circa l’interpretazione del 666
149 4. Tentativi di interpretare il 666
in base al simbolismo del 6
150 5. Il 666 in relazione al dodici e non al sette
Capitolo 7
153 Il caos di Apoc. 22,6-20 e il linguaggio pneumatico
153 1. Il caos, innegabile ma non selvaggio
153 1. Pluralità e intermittenza delle voci
155 2 .1 temi e l’articolazione del testo '
156 3. Il parallelismo tra 22,6-1 o e 22,16-20
159 4. Le tre «strofe» e le voci che interloquiscono
160 11. L ’interlocutore reale in Apoc. 22,6-20
160 1. Attesa della venuta e destinatari reali
161 2. Esortazioni etiche e destinatari reali
163 3. Legittimazione del libro e destinatari reali
164 4. Legittimazione del libro e profeti-fratelli
166 ni. Giovanni e gli ambienti profetici d’Asia
166 1. L ’interferenza delle voci in tutta l’Apocalisse
167 2. L ’ipotesi di U.B. Miiller, Apoc. 22,6-20 e 1 Cor. 14
169 3· La prassi profetica e i rapporti di Giovanni
con i profeti-fratelli

Parte terza
Difficoltà
Capitolo 8
173 Gli angeli delle chiese (Apoc. 2-3)
173 1‫ ׳‬. L ’Apocalisse come «Engelbucb» ‫׳‬
e «gli angeli delle chiese»
173 1. Un libro pieno di angeli
174 2. La difficoltà della formula
175 11. Le interpretazioni, i loro argomenti
e contro-argomenti
175 1. Gli angeli delle chiese come esseri celesti
176 2. Gli angeli delle chiese come controparte celeste
delle chiese

io
1 77 3· Gli angeli delle chiese come uomini
179 4. Tutta la questione è res obscurissima
180 in. Le categorie e i ruoli degli angeli nell’Apocalisse
180 1. Gli angeli della liturgia celeste
180 2. Gli angeli ministri di Dio e del Cristo
182 3. Gli angeli che sovrintendono agli elementi cosmici
183 4. Gli angeli «delle porte»
nella Gerusalemme escatologica
184 iv. La natura degli angeli delle chiese
184 1. Gli angeli delle chiese
come angeli delle dodici tribù
185 2. Gli angeli delle chiese
e gli angeli «degli elementi cosmici»
187 3. Schema dualistico
e sostituzione di cielo e terra nell’escatologia
188 v. Gli angeli delle chiese
nella strategia retorica di Giovanni
188 1. La pari dignità degli angeli di Apoc. 19,10
e 22,8-9 con Giovanni
189 2. La fallibilità e colpevolezza degli angeli
in Apoc. 2,16
191 3. Tanti elogi e nessun rimprovero
in seconda persona plurale
192 4. Angeli fittizi e strategia retorica di Giovanni
Capitolo 9
195 II Drago, la Donna e il Messia (Apoc. 12)
196 1. L ’articolazione del testo e il suo baricentro
1 96 1. L ’articolazione del testo
197 2. Il collegamento delle tre scene
e il baricentro dell’episodio
198 li. Gli attributi e la vicenda della Donna
198 1. L ’alone di luce di sole
199 2. La luna sotto i piedi
200 3. La corona dì dodici stelle
201 4. Le doglie del parto e il seguito della vicenda
della Donna
202 ni. Gli attributi e la vicenda del Drago
202 1. Un drago 7tuppó? e [xÉya!;
204 2. Sette teste, dieci corni, sette diademi
206 3. «Con la coda trascina un terzo delle stelle»
207 4. Il serpente antico, chiamato Diavolo, o Satana

11
5. La vicenda a tre atti del Drago
211 6. Il Drago e gli altri due segni
212 rv. Gli attributi e la vicenda del figlio
2 X2 1. Un figlio che reggerà i popoli con scettro ferreo
2l6 2. Un figlio, un maschio
217 3. Il parto e il rapimento in cielo
220 v. Giovanni di Patmos e i suoi lettori in Apoc. 12
2 20 1. La collocazione del cap. 12 nell’Apocalisse
22 X 2. Un avversario odioso ma nient’affatto invincibile
222 3. In situazione critica ma per un nuovo esodo
223 4. «Non ancora, ma già»
224 vi. Tra interpretazione ecclesiologica e mariologica
224 1. Identità collettiva della Partoriente-Madre
227 2. Un esempio e la formula di Ruperto di Deutz
Capitolo 10
229 L ’Apocalisse e lo spirito di vendetta
229 1. Il problema etico e teologico dell’Apocalisse
22 9 1. La vendetta nell’Apocalisse
e due uomini di lettere
232 2. La vendetta nell’Apocalisse e gli uomini di chiesa
236 il. L ’episodio delle anime degli uccisi
236 1. Il sangue dei servi di Dio
e la richiesto di vendetta (6,9-10)
237 2. La prospettiva di Giovanni e la sua risposto (6,11)
238 3. 1 flagelli dell’ira divina (Apoc. 8-11; 15-16)
239 4. Flagelli medicinali in vista della conversione
24I in. L ’episodio dei Due Testimoni
241 1 . 1 Due Testimoni e la loro attività (11,3-13)
243 2. Non vendetta ma giudizio lasciato a Dio
244 3. Non vendetta ma epilogo pasquale
245 iv. Uno scrittore intemperante
e un retore eccessivo
Capitolo 1 1
249 Apoc. 17
e i riferimenti alla storia contemporanea
249 1. L ’articolazione di Apoc. 17 e le sue contraddizioni
249 1. L ’articolazione del capitolo
251 2. La profezia circa la Bestia e le spiegazioni
253 3. La profezia circa la Prostituta e le spiegazioni
254 4. Le volute contraddizioni del capitolo

12
254 n · La contraddizione e le qualifiche della pome
254 1. La contraddizione dei tre «sgabelli» della Bestia
258 2. Le altre qualifiche della porne
e le motivazioni del giudizio
259 3. La geografia politica presupposta in Apoc. 17
259 ni. Le contraddizioni e le qualifiche della Bestia
259 1. La Bestia «non è, ma salirà dall’abisso»
261 2. Le sette teste sono sette monti ma anche sette re
262 3. La Bestia si identifica con una sua testa
263 4. Una delle sette teste è anche l’ottava
264 iv. Le due profezie di Apoc. 17 e i loro tempi
264 1. La profezia circa la fine della Bestia (Apoc. 17,14)
265 2. La profezia circa il giudizio della porne (Apoc. 17,16)
266 3. Diacronia, sincronia e anacronismi in Apoc. 17
267 v. I possibili riferimenti alla storia contemporanea
267 1. Babilonia, la pome corruttrice e persecutrice
269 2. L ’ottavo re che, colpito a morte,
ritorna per la perdizione
Capitolo 12
273 Il ristabilimento della giustizia e il regno millenario
273 1. 1 mille anni di Apoc. 20,1-10 e il millenarismo
273 1. Il millenarismo dei primi secoli
275 2. Il fronte antimillenarista fino ad Agostino
277 3. Il millenarismo fino ad oggi
277 11. L ’interpretazione millenaristica e Vanalogia fidei
%J7 1. Difficoltà di natura storico-teologica
280 2. Difficoltà circa i tempi della giustizia di Dio
nell’Apocalisse
281 in. Le tecniche narrative in Apoc. 11,1- 13 e il millennio
281 1 . 1 procedimenti narrativi di Apoc.11,1- 13
282 2. Sincronismi di Apoc. 11
e interpretazione di Apoc. 11-20
283 3. Periodizzazione di Apoc. 1 1
e interpretazione del millennio
284 iv. Conclusione sulla linea di Agostino
Conclusioni
287 Un libro di enigmi, di battaglie, di esortazione

291 Indice dei passi citati


299 Indice degli autori moderni

13
Premessa
Per espugnare l’ardua cittadella dell’Apocalisse sono necessarie
più rincorse e più assalti.
Il primo assalto deve mirare alla comprensione del suo im­
pianto globale e della sua trama narrativa. È la difficoltà mag­
giore. Se non la si risolve, la soluzione delle altre difficoltà, che
si possono chiamare «di secondo grado», sarà sempre accesso­
ria e non-risolutiva: a poco serve conoscere qualche albero se
poi ci si perde nella foresta. A quella difficoltà ho dedicato un
ampio studio nel 19961 i cui punti d’arrivo, che qui saranno
come presupposti, sono una mezza dozzina.
Qui, dunque, in pratica si presupporrà che:
1. L ’Apocalisse è articolata in due parti di diversa ampiezza
(opinione maggioritaria tra gli interpreti; l’alternativa è ritene­
re che sia costruita a chiasmo). I capp. 1-3 (prima parte) posso­
no essere intitolati «Il Cristo e le sette chiese d’Asia», e i capp.
4-22 (seconda parte) possono essere intitolati «Piano e inter­
vento di Dio nella storia».2
2. Con le visioni o gli antefatti che li introducono, i quattro
settenari ritmano il testo di Apoc. e dunque devono guidare il
lettore e l’interprete.3 Il settenario dei messaggi alle sette chie-
1 G. Biguzzi, 1 settenari nella struttura dell’Apocalisse. Analisi, storia della
ricerca, interpretazione (RivB.S 31), Bologna 1996.
1 Per la divisione di Apoc. in due parti cf. Biguzzi, Settenari, 281-294.
3 Sui settenari e sulla loro funzione strutturante cf. ibid. 295-310 e G. Bi­
guzzi, La trama narrativa e l’impianto letterario [dell’Apocalisse]: ParV 45
(1, 2000) 13-19 e Id., I settenari dell’Apocalisse■. ParV 45 (3, 2000) 11-14 . Si
ispira ora al criterio dei settenari anche C. Doglio in Logos, 7. Opera Gio­
vannea, Leumann-Torino 2003,137-141. - Nella sua recensione su Biblica
(78 [1997] 294-297) P. Prigent esprime la convinzione che Apoc. non pos­
sa avere un piano o un ordine dal momento che il suo testo è pieno di asim­
metrie e di irregolarità, (p. 296). Prigent aggiunge: «Come dimenticare che
al riguardo si fanno tentativi da ben 20 secoli sènza che alcun piano si sia
mai imposto?» (p. 297). Ma la regola invocata da Prigent comporta la morte
di ogni ricerca.

15
se d’Asia (Apoc. 2-3) è introdotto dalla cristofania di Apoc. 1; il
settenario dei sigilli aperti dall’Agnello (Apoc. 6,1-8,1) è intro­
dotto dalla visione del Trono e del rotolo di Apoc. 4-5; il sette­
nario delle trombe (Apoc. 8,2-11,19) non ha antefatti,1 mentre
l’antefatto del settenario delle coppe (Apoc. 16) è il costituirsi
dell’idolatria della Bestia (Apoc. 12-13[-14]).
3 . 1 settenari di trombe e coppe scatenano i flagelli dell’ira di­
vina sul mondo dell’idolatria dei demoni e degli idoli (settena­
rio delle trombe, cf. 9,20-21) e delPidolatria della Bestia (sette­
nario delle coppe, cf. 16 ,9 .11 ) 2 per indurre i non-servi di Dio
alla conversione - (è soprattutto la mancata comprensione di
questi capitoli centrali che compromette la comprensione di
tutto il libro).
4. D i conseguenza i settenari di trombe e coppe sono da dif­
ferenziare da quello di Apoc. 6-8 perché aprire i sigilli che im­
pediscono la lettura di un rotolo è fare opera di rivelazione, e
non significa invece scatenare flagelli o catastrofi.5
1 II rito degli incensi all’altare celeste in 8,2-5 è il rito d’investitura dei sette
angeli delle trombe (analogo a quello di Apoc. 15 per gli angeli delle cop­
pe), che non costituisce un ciclo di antefatti come quello di Apoc. 12-14.
2 Perle due idolatrie di Apoc. 8-16 cf. Biguzzi ,Settenari, 15 1-16 1, 165-178,
e, qui sotto, il capitolo terzo. - Al riguardo Prigent scrive nella sua recen­
sione: «Biguzzi ha brillantemente messo in luce la specificità dei settenari
delle trombe e delle coppe, al di là dei loro parallelismi» (p. 297) e in L ’Apo-
calypse de Saint Jean. Edition revue et augmentée (CNT 14), Genève 2000,
71 n. 307: «Biguzzi mostra in modo convincente che il settenario delle cop­
pe non è una semplice ripetizione di quello delle trombe: dalla denuncia
deH’idolatria tradizionale si passa all’identificazione del suo nuovo volto,
quello della realtà politico-religiosa del culto imperiale».
3 Cf. Biguzzi, Settenari, 41-48. 118-120. 149. 176-178. - Nonostante qual­
che riconoscimento a questa analisi, nel suo articolo di reazione allo studio
sui settenari (The Opening o f thè Seals: Revelation 6,i-8,6: Bib 79 [1998]
198-220; ora riprodotto in Analecta Biblica 147, Roma 2001, 357-377) J.
Lambrecht resta dell’opinione che anche quello dei sigilli sia un settenario
di flagelli: «È nostra ferma convinzione che, infrangendo i sigilli e aprendo
il libro, l’Agnello non solo rivela il piano escatologico di Dio, ma che la ri­
velazione è anche ‘realizzazione’ ... Quanto alP'azione’, la serie dei sigilli
non è differente dalle altre due: Giovanni considera i tre settenari come tre
serie di castighi» (p. 218). Alla convinzione di Lambrecht si può contrap­
porre che: 1. il quinto sigillo non può essere un flagello, dal momento che
contiene la richiesta di vendetta da parte dei «martiri» e la risposta ad essa
(lo riconosce lo stesso Lambrecht); 2. quella richiesta a Dio di intervenire
colloca nel seguito i flagelli che ne verranno; 3. ma anche il sesto sigillo am-

16
5· Sorprendentemente tre dei quattro settenari sono «aperti
e infranti»: le rivelazioni dell’Agnello terminano in 7 ,11 (a me­
tà del sesto sigillo), i flagelli delle trombe terminano in 9,21 (do­
po il primo dei tre episodi della sesta tromba), e i flagelli delle
coppe terminano in 16 ,11 (quinta coppa).1
6. Giovanni ha scritto per infondere speranza in mezzo alle
difficoltà più che per consolare e, soprattutto, per dare un’iden­
tità forte a comunità cristiane tentate di sincretismo e di com­
promesso.2
La seconda incursione interpretativa in Apoc. va dedicata al­
le difficoltà «di secondo grado» e questo volume si propone di
intraprenderla con i suoi dodici approfondimenti. Il titolo par­
la di «enigmi»: sono gli enigmi che riguardano le circostanze
della composizione (cf. i capitoli 1-4), il linguaggio (cf. i capi­
toli 5-7), e testi o dettagli particolarmente ermetici sui quali si
discute da sempre (cf. i capitoli 8-12). Questo o quel capitolo è
apparso su riviste come Estudios Biblicos (1998), Novum Te-
stamentum (1998, 2003), Liber Annuus (2000), Rivista Biblica
(2001, 2002), Ricerche Storico Bibliche (2002) ma, profonda­
mente rielaborato, qui si integra in una sintesi che non è la sem­
plice somma di scritti precedenti. - Sintesi che è proposta nelle
brevi ultime pagine.
Il primo capitolo cerca preliminarmente di chiarire contro
chi Giovanni scrive il suo libello, perché sapere chi sono i desti­
natari significa sapere come leggere il libro: la scelta è da fare tra
interpretazione antiromana e interpretazione antigiudaica di
Apoc. Il secondo capitolo completa il primo cercando di mette-
bienta nel futuro l’ira divina (prima scena, 6,12-17), parlando della previa
preservazione da essa dei servi di Dio (seconda scena, 7,1-8); 4. quanto ai ca­
valieri dei primi quattro sigilli, è detta la loro comparsa e la loro investitu­
ra (6,1-8) ma essi non entrano in azione, mentre dei flagelli di trombe e cop­
pe sono riferiti sia l’azione che gli effetti.
1 Per i settenari infranti e aperti cf. Biguzzi, Settenari, 217-235. Contro que­
sta analisi Lambrecht, Opening, opta per l’interpretazione quasi-tradizio-
nale deU’inglobamento delle trombe nel settimo sigillo (p. 218), ma da un
lato egli non si occupa dell’analogo problema circa la settima tromba e la
settima coppa e, dall’altro, sembra affidarsi a una petitio principii: «il setti­
mo elemento deve avere a che fare con il compimento e la fine, e quindi co­
stituisce un climax» (p. 206).
2 Cf. il capitolo intitolato «Situazione delle chiese di Asia e strategia reto­
rica di Giovanni», in Biguzzi, Settenari (pp. 311-342).

17
re in luce qual è la geografìa fisico-politica presupposta in Apoc.
13 e Apoc. 18. Il capitolo terzo illustra l’idolatria «dei demoni e
degli idoli» a partire dalPArtemision efesino e l’idolatria «della
Bestia» a partire dall’attività edilizia che in epoca domizianea
sconvolse la metropoli di Efeso per dotarvi di nuovi spazi il cul­
to del sovrano. Il quarto capitolo conclude gli approfondimen­
ti circa la composizione dell’Apocalisse occupandosi dell’auto­
re, del suo soggiorno obbligato a Patmos e, a più largo raggio,
della «persecuzione» cui qua e là Apoc. fa riferimento.
Per i capitoli dedicati alle difficoltà del linguaggio giovanneo,
il quinto capitolo tenta di inventariare e di ridurre a sistema le
eccentricità sia nelle immagini che nelle narrazioni giovannee.
Il sesto capitolo raccoglie in sistema, invece, e cerca di interpre­
tare i numeri cardinali, ordinali e frazionali di Apoc., compreso
il numero del nome della Bestia, il 666 di Apoc. 13,18. Il settimo
capitolo cerca di spiegare nel quadro del carismatismo proto­
cristiano l’interferenza di una voce sull’altra nell’ultima pagina
di Apoc.
Quanto al terzo blocco di capitoli, infine, l’ottavo classifica e
valuta le interpretazioni che nella storia sono state date della
formula «All’angelo della chiesa di...» con cui iniziano i sette
messaggi di Apoc. 2-3. Il nono capitolo prova a diradare il pol­
verone esegetico sollevato nei secoli attorno alla Donna di
Apoc. 12. Il decimo capitolo discute l’accusa solitamente rivol­
ta all’Apocalisse di essere un libro di odio e di vendetta. L ’undi­
cesimo capitolo studia il difficile testo di Apoc. ly, quello in cui
l’angelus interpres introduce Giovanni al «mistero» della Gran­
de Prostituta e della Bestia che la porta. Il dodicesimo e ultimo
capitolo si occupa delia difficoltà storico-ideologica per eccel­
lenza di Apoc., e cioè del regno millenario.
Ogni enigma è una difficoltà e insieme un piacere: voglia il
cielo che anche allo studio degli enigmi dell’Apocalisse non
manchi la piacevolezza del gioco e della scoperta così come non
mancano le difficoltà.
Parte prima

Circostanze storiche
Capitolo i

Un libro contro «Babilonia»:


contro Roma o contro
Gerusalemme?
I. «B A B ILO N IA »
N E LL A STO RIA D E L L ’ IN T E R PR ET A Z IO N E

i. Il problema e le alternative

La Grande Prostituta di Apoc. 17 reca scritto sulla fronte il no­


me «Babilonia», nome che per il lettore è un «mistero» da in­
terpretare (v. 5). Quel nome ricorre una prima volta in 14,8 e
una seconda volta in 16,19, ma P °i Babilonia riempie di sé i ca­
pitoli 17 e 18 o appunto come «Grande Prostituta» o come cit­
tà sulle cui rovine fumanti si levano lamenti funebri e grida di
gioia. Pur non contenendone il nome, anche i capitoli 1 1 e 13
sono collegabili con «Babilonia» perché in 11,8 ricorre l'espres­
sione «la Grande Città» con cui poi ripetutamente si designa
Babilonia (17,18 ; 18 ,10 .16 .18 .19 .2 1),eperché 11,7 e 13 ,1-io p o r-
tano in scena la Bestia sulla quale siederà la «Prostituta-Babi­
lonia» di 17 ,1. L ’identificazione di Babilonia, comunque, non
coinvolge soltanto questi sia pur ampi contesti di Apoc., perché
Babilonia e la Bestia personificano le forze del male contro cui
Giovanni di Patmos conduce tutta la sua aspra battaglia così
che questa o quella identificazione è decisiva per l’interpreta­
zione dell’intero libro.
Le identificazioni proposte nei secoli si possono ricondurre
a cinque: x. «Babilonia» è la Babilonia storica, la città che sor­
geva un tempo sulle rive dell’Eufrate, la quale dovrà essere ri­
costruita così che poi alla fine dei tempi possano realizzarsi le
finora incompiute profezie di Isaia (13 ,1 ss.; 21,9 ss.; 47-48),
Geremia (50-51) e, appunto, di Apoc.',1 2. «Babilonia» va intc-

1 Per esempio secondo K.M. Alien, The Rebuilding and Destruction o f Ba-
bylon: BSac 133 (1976) 19-27, Babilonia risorgerà dalle sue attuali rovine,
sarà il quartier generale dell’Anticristo e sarà definitivamente distrutta nel
gran giorno del Signore (pp. 19-20). Secondo C.H. Dyer, The Identity of

21
sa atemporalmente come simbolo della città di Satana che nel
corso di tutta la storia combatte contro Dio e contro il C risto;1
3. «Babilonia» va intesa come simbolo delle forze del male che
combatteranno contro Dio e contro il Cristo nella crisi escato­
logica;2 4. «Babilonia» è la Roma del culto imperiale e della per­
secuzione anticristiana di Nerone o Domiziano;3 5. «Babilo­
nia» è la Gerusalemme che aveva rifiutato e messo a morte il
Cristo, e che al tempo di Giovanni viveva le attese messianiche
in chiave politica.4
Babylon in Revelation 17-18: BSac 144 (1987) 308-316.433-449, risorta dal­
le rovine, Babilonia sarà poi distrutta dallo stesso Anticristo (p. 449).
1 Tra gli antichi cf. soprattutto Agostino, che vedeva in Apoc. la lotta tra la
civitas diaboli e la civitas Dei fino alla parousia (per totum hoc tempm,
quod liber iste complectitur, a primo scilicet adventu Cbristi usque in sae-
culifinem, quo erit secundus eius adventus, Civ. 20,8,1). Tra i moderni cf.
M. Rissi, Die Hure Babylon und die Verfiihrung der Heiligen. Eine Studie
zur Apokalypse des Johannes (BWANT), Stuttgart-Berlin-Kòln 1995, 58
(Babilonia è la comunità mondiale degli ingannati e degli ingannatori, im­
magine di contrasto con la comunità dei santi); G.K. Beale, The Book of
Revelation (NIGTC), Grand Rapids 1999, 885-886 (Babilonia è il corrot­
to sistema economico-religioso mondiale).
2 Cf. Th. Zahn, Die Offenbarung des Johannes il, Leipzig-Erlangen 1926,
450 (La bestia che sorge dal mare è l’Anticristo della fine dei tempi); J.
Sickenberger, Die Johannesapokalypse und Rom: BZ 17 (1925-1926) 280
(Babilonia vive ora nelle grandi metropoli del regno antidivino e la sua
scellerataggine esploderà con particolare veemenza alla fine dei tempi); E.
Lohmeyer, Die Offenbarung des Johannes (HNT 16), Tubingen 1926 ,112
(le due bestie sono il nemico di Dio per eccellenza degli ultimi tempi); W.
Foerster, -Siqptov, G LN T iv, Brescia 1968 (Stuttgart 1938) 504. 506 (la pri­
ma bestia è l’Anticristo, la seconda è il falso profeta della fine dei tempi).
3 Tra i moltissimi, a titolo di esempio, cf. H. Rongy, Rome au chapitre
X V II de l ’Apocalypse: REccl(Liège) 23 (1931-1932) 31 («La donna, la gran­
de prostituta, è Roma»); M. Dibelius, Rom und die Christen im ersten
Jahrhundert, in Botschaft und Geschichte. Gesammelte Aufsdtze 11, Tubin-
gen 1956, 219 («Roma, e solo Roma, è la città dell’assassinio del Cristo...
Troppo chiara è l’allusione ai sette colli»); R.H. Mounce, The Book o f Rev­
elation (NICNT), Grand Rapids 1977, 313-314 («Dai tempi di Servio Tul­
lio Roma era una urbs septicollis»); J.C. Wilson, The Problem o f thè Do­
minarne Date o f Revelation: NTS 39 (1993) 599 (nessuno mette in dubbio
l’identificazione di Babilonia con Roma); J. Lambrecht, The People o f God
in thè Book o f Revelation, in Collected Studies on Pauline Literature and
on thè Book o f Revelation (AnB 147), Roma 2001, 385 («Non sono possi­
bili dubbi: con Babilonia Giovanni intende la Roma imperiale, potente ed
anticristiana»).
4 Cf. gli autori passati in rassegna sotto, al paragrafo 11,1-2.

22
Per escludere le prime tre interpretazioni - atemporali o
escatologiche - , basta richiamarsi a 17,10 dove Pecruv di ó eiq
èc'uv «uno [dei sette monarchi] ‘è’ [presentemente]» ambienta
la vicenda di Apoc. nel tempo stesso di Giovanni.1 L ’alternati­
va si pone dunque soltanto tra interpretazione antiromana e in­
terpretazione antigerosolimitana.

2. Da Ireneo a Gioacchino da Fiore


La storia dell’interpretazione per noi comincia con Ireneo (Lio­
ne, Gallia, 130-200 ca.). Nel quinto libro At\YAdversus haere-
ses, dedicato alla vittoria del Cristo suH’anticristo e al suo re­
gno millenario, Ireneo riferisce tre interpretazioni correnti al
suo tempo, del numero della Bestia2 la quale, come è noto e
come s’è già visto, è collegata con Babilonia. I tre nomi con i
quali si interpretava il 666 sono: suav$a<;, Àaietvo!; e Tetxav. Il
primo sarebbe la libera traduzione in greco del nome del pro­
curatore della Giudea dal 64 al 66 d.C., Gessio Floro, la cui ge­
stione della politica palestinese portò alla rivolta dell’anno 66:
da una parte euav$a<;, è composto con eu- e -av‫׳‬Soc, «fiore»,3 e,

1 Cf. L. Brun, Die romiseben Kaiser in der Apokalypse: ZNW 26 (1927)


129 (bisogna prendere sul serio lo ‘Uno è’), e soprattutto H. Rongy, L ’ex-
plication escbatologiqne de l ’Apocalypse: REccl(Liège) 23 (1931-15)32) 161.
164 e. passim (Ambientando la bestia dalle sette teste nella propria epoca,
Giovanni preclude l’interpretazione profetica: se intendesse parlare del fu­
turo, perché distinguere nella successione dei sette sovrani-teste il passato,
il presente ed il futuro, e perché collocare se stesso al tempo del sesto?).
2 Ireneo, Haer. 5,28-30. Si tratta di interpretazioni gematriche, e cioè basate
sul conteggio del valore numerico delle lettere che compongono il nome.
3 £’j av‫״‬Sac, che significherebbe dunque «ben fiorito», è inusitato perché nel­
la letteratura greca sono documentati soltanto: 1. l’aggettivo eùav&rjc, «flo­
rido, fiorente, fiorito», detto di un campo o di un luogo pieno di fiori (Teo-
gnide, Eleg. 1, 1200, e rispettivamente Platone, Symp. !96b); detto o di un
colore smagliante (Platone, Phaed. iood), di un vestito dai colori vivaci
(Luciano, Rbet. Praec. 15,17), 0 di persone nel fiore della giovinezza (Ari­
stofane, Nub. 1002, e Plutarco, Consol. ad Apoll. i2oa-3); 2. il nome di per­
sona Eùàv'Jrfi per «Evante», il figlio di Dioniso e di Arianna (Odyss. 9,197;
Plutarco, Sol. 11,2.3); 0 3 4 ‫ ·־‬Eùav$Yj, Eùàv-Seu^ (nome di donna e rispetti­
vamente di uomo, Anth. Palat. 6,165.7; 6,129.4). Quanto a florus, oltre che
nome proprio di persona, è aggettivo che significa «fiorente, prosperoso»
ed è usato per parlare dell’aspetto dei frutti (Q. Gargilio Marziale, De ar-
boribuspomiferis 2,11 ), ma poi anche per la criniera degli animali (Aulo Gel-

23
dall’altra, Florus c riconducibile a flos, -ris, «fiore».1 Il secondo
nome, XaTetvo;, rimanda ovviamente all’impero romano, tanto
è vero che lo stesso Ireneo scrive: «quel termine significa l’ulti­
mo regno. I Latini sono infatti quelli che ora regnano (‫־‬k azsi-
voi; nomen valde verisimile est, quoniam novissimum regnurn
hoc habet vocabulum. Latini enim sunt qui nunc regnarti)».1 Il
terzo nome evoca non solo i Titani della mitologia greco-lati­
na ma anche il culto del sole.3 Ad Ireneo ‫׳‬rei-rav piace più che i
due nomi precedenti perché non rimanda a nessun protagoni­
sta del suo tempo, e tuttavia la sua preferenza va all’interpreta-
zionc simbolica del 666 secondo la quale il numero significhe­
rebbe la ricapitolazione di ogni iniquità. In conclusione, le in­
terpretazioni più o meno tradizionali che Ireneo riporta sono
abbastanza chiaramente politiche (la Bestia e un re, anzi un ti­
ranno), antipagane e antidolatriche (la Bestia ha a che fare con
la mitologia greco-romana) e, in particolare, sono antiromane
(la Bestia è l’impero latino, e la Roma che aveva provocato la
ribellione del 66 d.C.).
Dopo Ireneo, va ricordato Vittorino di Poetovio (fine in
sec.)4 perché in tre passi del suo commentario, che è il più an-
lio, Noctes Atticae 3,9.3.2), o per i capelli dell’uomo (Pacuvio 19; Virgilio,
Aen. 12, 605).
1 Così F.H. Colson, Euanthas: JTS 17 (1916) 100-101, che circa l’odiosità
di Gessio Floro cita Flavio Giuseppe e Tacito (duravit tamen patientia
Iudaeis usque ad Flomm procuratorem). Sulla scia di Colson, cf. J. Bonsir-
ven, L'Apocalypse de Saint Jean (VS 16), Paris 1951, 235-236 n. 1. - Per
molti autori suav-Sa!; è invece un nome senza significato: cf. H.B. Swete,
The Apocalypse o f St. John, London 21907 (, 1906) 175 («l’impossibile
termine £uav3‫׳‬a?»); W. Barclay, Revelation X III: ExpT 70 (1959) 295 («su-
av-Sat; è in se stesso senza significato»); J. Massyngberde Ford, Revela­
tion. Introduction, Translation and Commentary (AB 38), Garden City
41980 (’ 1975) 226 («Euantas è senza significato»); E. Lupieri, L ’Apocalisse
di Giovanni (SGL), Milano 1999,216: «suavSa? non ha per noi alcun signi­
ficato riconoscibile e sembra introdotto da Ireneo per mostrare che esisto­
no nomi il cui calcolo è 666, ma che non sono significativi».
2 Ireneo, Haer. 5,30,3.
3 Cf. poi per esempio anche la recensio Victorini (Teitan, quern gentiles So-
lem Phoebumque appellant, PI. Suppl. 1, 157), o Bruno di Segni (Tetan,
quod dicitur sol, PL 165,677 b ).
4 La comune opinione che Vittorino sia morto martire sotto Diocleziano
nel 303-304 è stata messa in dubbio da M. Dulaey, Victorin de Poetovio,
premier exégete latin I-II, Paris 1993, e da R. Gryson, Les commentaires

24
tico di quelli giunti fino a noi, dà all’interpretazione antiroma­
na la forma che poi diventerà classica. Commentando 16,19,
Vittorino scrive laconicamente ed esplicitamente: m ina Baby-
lonis, id est civitatis Romanae. Commentando 17,9, Vittorino
scrive: Capita septem [.sunt] septem montes, super quos mulier
sedet: id est civitas Romana, et reges septem sunt.1 Infine, com­
mentando 17 ,11 congiuntamente a 13,3, Vittorino vede un’al­
lusione alla leggenda del Nero redivivus nella testa della Bestia
colpita a morte ma poi guarita. Egli prima scrive: cum ille [il
Nero redivivus] mouerit ab oriente, mittentur ab urbe Roma­
na cum exercitibus suis, e poi aggiunge: Unum autem de capiti-
bus quasi occisum in mortem et plagam mortis eius curatam,
Neronem dicit. Constai enim, dum insequeretur eum equitatus
missus a senatu, ipsum sibi gulam succidisse. H unc ergo suscita-
tum Deus mittet.1 Per Vittorino dunque l’Apocalisse si scaglia
contro la Roma dei proverbiali sette colli, la Roma degli impe­
ratori e del Nero redivivus e redux?

palristiques latins de l ’Apocalypse: RTLouv 28 (!997), 305-311 (la morte


di Vittorino sarebbe da anticipare di circa 20 anni). - Poetovio (o Petovio,
0 Petavium), sulla Drava, nella Pannonia superiore, di cui Vittorino era ve­
scovo, oggi è Ptuj, in Slovenia, non più in Austria come vorrebbe A. Yar-
bro Collins, Crisis and Catharsis: The Power o f thè Apocalypse, Philadel-
phia 1984, 55. Ptuj appartenne bensì all’Austria, ma al tempo dell’impero
austrungarico. Da quel tempo, quando il nome tedesco di Ptuj era Pettau,
è comunque rimasto l’uso di scrivere «Vittorino ‘di Pettau'».
1 A questo secondo testo Vittorino fa seguire il conteggio dei sette re di
17,10, dei quali i primi cinque sarebbero gli imperatori che vanno da Gal-
ba a Tito, il sesto sarebbe Domiziano sotto il cui principato Apoc. sarebbe
stata scritta, il settimo sarebbe Nerva, e «Nerone» sarebbe l’ottavo (PL
Suppl. 1 ,1 5 5 ) .
2 Cf. PL Suppl. 1, 140 (prima citazione), 155 (seconda citazione), 155-156
(terza e quarta citazione). - È possibile che Vittorino proponga un’inter­
pretazione non sua ma tradizionale dal momento che talvolta rimanda agli
antichi interpreti: cf. il Veteres nostri iradidemnt ecc. di PL Suppl. 1,146.
3 In definitiva è la Roma che perseguita i cristiani. Vittorino infatti fa fre­
quente riferimento alla persecuzione: cf. Vintolerabìlìs persecutio e i perse-
cutores di cui parla commentando 7,2 e 13,3 (PL Suppl. 1, 137. 156), e ciò
che, con riferimento al senato romano, egli scrive a commento della pro­
stituta ebbra del sangue dei martiri cristiani: Omnes enim. passiones sane-
torum ex decreto senatus illius [merelricis\ semper sunt consummatae, et
omne contra fideipraedicationem iam lata indulgentia ipsa dedit decretum
in uniuersis gentibus (PL Suppl. 1,16 1).

25
Quest’interpretazione fu a lungo seguita sia in Oriente che
in Occidente. Per l’Oriente si possono citare gli interpreti che,
secondo Andrea di Cesarea (fine vi secolo, inizio v i i ), vedono
nella Prostituta di Apoc. 17 la Roma dei sette colli: «Alcuni han­
no interpretato questa meretrice come la vecchia Roma che sor­
ge su sette monti», c per l’Occidente quelli cui rimanda Cas-
siodoro ( f 580 ca.): meretrix illa... quam nonnulli de Romana
volunt intelligere civitate quae supra septem montes sedet, et
mundum singolari dicione possidet.1 In Occidente l’interpreta­
zione antiromana fu pian piano sostituita dall’esegesi moraliz­
zante del donatista Ticonio, che ebbe grande influsso su san-
t’Agostino. Ticonio (scripsit 385, f 390 ca.) e Agostino ( f 430)
infatti videro in Apoc. non uno scritto che riflette la situazione
storica contemporanea all’autore, ma il libro dell’eterno scon­
tro tra la città di Satana e la città di Dio. Quest’interpretazione
atemporale, che permise di superare il lacerante scontro tra mil­
lenaristi e antimillenaristi e quindi di propiziare la definitiva ac­
coglienza di Apoc. nel canone, ispirò l’esegesi di Apoc. per qua­
si mille anni, fino a Martino di Leon (xm secolo),2 fino a quan­
do cioè non irruppe sulla scena Gioacchino da Fiore ( f 1202)
secondo il quale in Apoc. sono profetizzate le varie epoche del­
la chiesa.

3. Da Gioacchino da Fiore
all'esegesi contemporanea
Fatta propria dallo spiritualismo estremizzante francescano di
Pier di Giovanni Olivi (f 1298) e di Ubertino di Casale (‫־‬j1328 ‫־‬
ca.), l’interpretazione kirchengeschichtlich di Gioacchino3 fu

1 Andrea, PG 106, 373D; Cassiodoro, PL 70, 1414A . - L ’interpretazione


antiromana si trova due volte in Tertulliano (Sic et Babylon etiam apud
Ioannem nostrum, Romanae urbis figura est, Adv. Marc. 13; PL 2, 339C;
Adv. Iud. 9; PL 2, 620B), e poi per esempio nel poeta Commodiano (di
difficile collocazione cronologica tra in e v secolo); cf. Carmen 825-828.
935; Instruct. 4 1,6 ,1 1- 12 ; in Primasio di Adrumetum (Romam quae super
septem montes praesidet significans, PL 68, 899C), e Berengaudo (ix o,
meglio, x ii secolo,fomicariam Romam vocat, PL 17 , ioood).
2 Sul grande influsso di Ticonio e sulla sua sequela cattolica, cf. Biguzzi,
Settenari, 59-65.
3 Su questo metodo d’interpretazione cf. H. Rongy, L ’application de l’Apo-

26
poi usata e abusata nei secoli delle controversie confessionali
tra protestanti e anglicani da una parte, e cattolici romani dal­
l’altra. Come è noto, gli uni leggevano nel numero 666 il papa­
to (per esempio ιταλική εκκλησία, παπεισκος) e gli altri invece
il movimento luterano (per esempio λου-δερανα).1 I repertori di
storia della ricerca di Apoc. dicono però anche che proprio in
quest’epoca, da una parte si ritornò all’interpretazione antiro­
mana e, dall’altra, si inaugurò quella antigerosolimitana.
Secondo le rassegne storiche dell’interpretazione di Apoc.,
l’orientalista protestante svizzero Th. Buchmann (o Bibliander,
1504-1564; scripsit 1549) vide l’impero romano nella Bestia, la
morte di Nerone nella ferita mortale di 13,3, la restaurazione
dell’impero ad opera di Vespasiano nella guarigione di quella
ferita, e gli imperatori romani da Galba a Nerva nei sette re di
17 ,10 -11 (l’ottavo sarebbe Traiano).2 Sarebbe stato comunque
il gesuita spagnolo J. de Mariana (1536-1624; scripsit 1619), a se­
gnare il pieno e definitivo ritorno alla saga del Nero redivivus3
e a mettere i Due Testimoni di Apoc. 11 in riferimento con la
morte di Pietro e Paolo nella persecuzione neroniana del 64
d.C. Sempre secondo de Mariana nelle sette teste della Bestia
sarebbero da ravvisare gli imperatori romani da Caligola a N e r­
va, con l’omissione dei tre imperatori del 68-69. L ’interpreta­
zione antiromana di Apoc. si rafforzò poi nel xvm secolo con
J.S. Semler (1766), H. Corrodi (1783), J.S. Herrenschneider
calypse à l’histoire universelle de l ’Eglise: REccl(Liège) 23 (1931-1932) 92-
96, e il giudizio severo di E.-B. Allo, Saint Jean. L'Apocalypse (EtB), Paris
1921, ccxxxn: «Questo sistema interpretativo misconosce più di qualsiasi
altro lo scopo e lo spirito di Giovanni». - Tutto all’opposto e saggiamen­
te, come s’è visto Ireneo preferiva l'interpretazione che meno parlasse di
protagonisti del suo tempo.
! Cf. Barclay, Revelation X III, 295-296.
2W. Bousset, Die Offenbarung Johannis (KEKNT), Gòttingen 61906
(11896) 87, e, sulla sua scia, Lupieri, Apocalisse, xxni n. 3. - Per gli autori
di questo periodo, le cui opere sono spesso difficilmente reperibili, tutti at­
tingono alle rassegne storiche dei commentari di Bousset (1896) e di Allo
(1921).
3 Cf. Bousset, Offenbarung, 95, secondo il quale Mariana, con la pruden­
ziale aggiunta: «Si quis meliora attulerit, gratias habeo», rimanda a Vitto­
rino, Girolamo e Sulpizio Severo. - Su J. de Mariana, storico, umanista,
filantropo e filosofo, cf. M. de los Rios, E l P. Juan de Mariana, escritura-
rio: EstB 2 (1943) 279-289; 3 (1935) 34 7-36 3·

2-7
(1786), J.G . Eichhorn (1791), ecc.,1 fino a che non divenne un
quasi-dogma esegetico nel corso del 1800 ad opera per esem­
pio di F. Liicke (1832), W.M.L. de Wette (1848), H. Ewald
(1862), E. Renan (1873). U n’importante conferma all’ipotesi
era nel frattempo venuta dall’interpretazione del numero, della
Bestia con nrwn qsr («Nerone imperatore», in lettere ebrai­
che), data negli anni 30 da quattro autori, ognuno indipenden­
temente dall’altro.2
Quanto invece al sorgere dell’interpretazione antigerosoli­
mitana, il geronimita belga J. Henten (scripsit 1545) per primo
parlò di synagogae abrogatio per Apoc. 1 - 1 1 vedendo la distru­
zione di Gerusalemme in Apoc. 1 1 , e di excidium gentilismi per
Apoc. 12-22. In questa interpretazione «antigiudaica», anche se
parziale, Henten fu seguito tra gli altri dai gesuiti spagnoli A.
Salmeron (t 1585) e L. de Alcazar (t 1613), dei quali il secon­
do ebbe imitatori fino al xix secolo, sia tra i cattolici che tra i
protestanti (H. Grotius, o Van de Groot, 1644; H. Hammond,
1653; D. Herve, 1684 ecc.).3 Il primo a vedere Gerusalemme
nella Babilonia di Apoc. sarebbe stato però il gesuita francese J.
Hardouin (1646-1729) secondo il quale, addirittura, i sette mes­
saggi di Apoc. 2-3 sarebbero indirizzati ai giudeo-cristiani di
Gerusalemme.4 Sulla stessa linea, il calvinista francese F. Abau-
1 Cf. Bousset, Offenbarung, 104-106.
2 L ’informazione si trova in Bousset, Offenbarung, 105-106, e Allo, Apo-
calypse, c c x l . - La scrittura difettiva q s r (invece di q y s r ) che costituiva
una difficoltà per l’accettazione dell’ipotesi, è stata poi confermata da uno
dei documenti di Wadi Murabba'at (DJD n, nr. 18, tav. xxix), come docu­
menta D.R. Hillers, Revelation 13,18 and a Scroll from Murabba'at: BA
SOR nr. 170 (1963) 65.
3 Su Henten (che scrisse non un commentario, ma una prefazione al com­
mentario di Areta di Cesarea), sulla sua precisa identità, sull’esegesi di Sal­
meron e Alcazar e su tutta la loro sequela, cf. H. Rongy, L ’application de
l ’Apocalypse à l ’Egliseprimitive: REccl(Liègc) 23 (1931-1932), 220-224.
4 Cf. Lupicri, Apocalisse, xxiv, che scrive: «Il dotto gesuita francese Jean
Hardouin... è convinto che l’Apocalisse debba essere situata in ambiente
palestinese: le sette lettere erano indirizzate ai giudeocristiani di Gerusa­
lemme e, sebbene le sette teste della bestia fossero altrettanti imperatòri
romani sino a Nerone, Babilonia era Gerusalemme». - J. Hardouin fu
uomo enciclopedico ma bizzarro, convinto per esempio che, tranne alcu­
ne opere di Cicerone, di Virgilio e di Orazio, tutti gli altri scritti che pas­
sano per antichi sono invece falsificazioni del xm secolo. Su di lui cf. G.
Sommervogel, Hardouin Jean, DB in, Paris 1910, 427.

28
zit (1679-1767) identificò la Bestia con il Sinedrio giudaico, i
sette monti di 17,9 con le sette colline su cui sarebbe costruita
Gerusalemme, la distruzione di Babilonia con la caduta di G e­
rusalemme e le sette teste della Bestia con gli ultimi sette som­
mi sacerdoti.1 È però solo nel xx secolo che l’interpretazione
antigerosolimitana di Apoc. ha raccolto il consenso di circa una
quindicina di autori.
Di questa nuova interpretazione qui sotto si presenterà pri­
ma la pars destruens elencando gli argomenti in essa portati
contro l’interpretazione di «Babilonia-Roma», e poi la pars con-
struens descrivendo le versioni più rappresentative della nuova
ipotesi.

II. C R IT IC A a l l ’ip o t e s i AN TIRO M AN A

i . Difficoltà dell'ipotesi antiromana


Un primo gruppo di argomenti contro l’interpretazione anti­
romana di Apoc. viene ricavato dalla situazione storica in cui
fu scritta l’Apocalisse e dall’atteggiamento del resto degli scrit­
ti neotestamentari nei confronti di Roma. La pretesa ostilità di
Apoc. contro Roma, per esempio, non concorda con Rom. 13,
1-7, con j Pt. 2,13-14 , con 1 Tim. 2,1-3 ecc-> raccomandano
la sottomissione alle autorità costituite, ovviamente dell’impe­
ro e delle sue province, e di pregare per loro.2 Allo stesso mo­
do, si dice, l’interpretazione antiromana è basata sulla pretesa
persecuzione di Domiziano e sul preteso incremento da lui da­
to al culto imperiale, ma nel 1 secolo l’unica persecuzione fu
quella di Nerone che tra l’altro non oltrepassò i confini di R o ­
ma,3 e sotto Domiziano non si costruirono affatto più templi
del culto imperiale di quanti non se ne costruissero sotto gli im-
1 Cf. Bousset, Offenbarung, 102, e, sulla sua scia, Lupieri, Apocalisse, xxiv.
- Lo scritto di Abauzit, pubblicato postumo da J.B. de Mirabau a Ginevra
nel 1770, era intitolato Essai sur l ’Apocalypse. Su Abauzit cf. E. Levesque,
Abauzit, Firmin: DB 1, Paris 1894, 17-18; Y. de la Brière, Le prof esseur de
théologie du «vicaire savoyarde» de Rousseau: Firmin Abauzit, de Genève:
RSR 14 (1924) 447-453.
2 Cf. R. De Water, Reconsidenng thè Beastfrom thè Sea (Rev. 13,1): NTS
46 (2000) 246 (i vangeli, Atti, 1 Pt., Ep. Barn., 1 Clem., Melitone ecc. non
confermano l’idea dell’impero romano come bestia-persecutore).
3 Ibid. 250.

29
peratori sia precedenti che seguenti.1 In terzo luogo, se davve­
ro a differenza degli altri scritti del i secolo Apoc. fosse uno
scritto antiromano, non si comprende quale evento storico p o­
trebbe essere all’origine del cambio di atteggiamento nei con­
fronti di Roma, da attribuire a Giovanni di Patmos.2
Un secondo gruppo di argomenti è tratto dai titoli e dalle
immagini con cui Giovanni parla di Babilonia in Apoc. 17-18 .
Babilonia è chiamata «prostituta», «Grande Prostituta», «Ma­
dre delle prostituzioni». E allora: «se l’alleanza con y h w h fa di
Israele il suo popolo e la sua sposa, come può una nazione che
non è Israele essere chiamata ‘Prostituta’ ? È l’alleanza che fa la
sposa, e la sua rottura fa l’adultera». Di conseguenza «convin­
ce poco che Roma sia pensata prostituirsi con l’impero roma­
no, mentre è più convincente che Giovanni lamenti, in toni tra­
dizionali, la prostituzione di Israele, ovvero di Gerusalemme,
con il potere pagano».3 Di Babilonia Apoc. dice poi che è «eb­
bra del sangue dei santi» (17,6) o che in essa «fu trovato il san­
gue dei profeti e dei santi» (18,24), ma fu Gerusalemme e non
Roma che uccise i profeti, secondo l’accusa stessa di Gesù (Mt.
23 ecc.).4 Infine, Roma non è mai nominata in Apoc., mentre la
nuova Gerusalemme ha grande parte nel finale del libro e la sim­
metria che esiste tra Apoc. 17-18 e Apoc. 21 suggerisce di vede­
re in Babilonia la Gerusalemme storica come controparte della
nuova Gerusalemme.5
In terzo luogo, non si adatterebbero all’interpretazione anti­
romana questo o quel dettaglio di Apoc. 17. Poiché per esem­
pio la Prostituta siede sulla Bestia, ne verrebbe che Roma siede
su Roma, e, poiché secondo 17,16 la Bestia distruggerà Babilo­
nia, ne verrebbe che Roma distrugge Roma.6 Il ricorso alla sa-
1 Cf. L.L. Thompson, The Book o f Revelation. Apocalypse and Empire,
New York - Oxford 1990, 104-107; D. Warden, Imperiai Persecution and
thè Dating o f 1 Peter and Revelation·. JETS 34 (1991) 207-208; De Water,
Reconsidering, 246. 2 Sickenberger, Rom, 275.
3 Massyngberde Ford, Revelation, 285, e rispettivamente Lupieri, Apoca­
lisse, 2j2. 4 Cf. Massyngberde Ford, Revelation, 286-288.
5 Ihid. 286; A. Nicacci, La Grande Prostituta e la sposa dell’Agnello, in L.
Padovese (ed.), VI Simposio di Efeso su S. Giovanni Apostolo, Roma 1996,
137‫ ־‬1 39·
6 Per il primo argomento cf. Massyngberde Ford, Revelation, 285; per il
secondo cf. Ph. Carrington, The Meaning of Revelation, London 1931,

30
ga del Nero redivivus poi, «invece di risolvere le difficoltà, non
fa che aggiungerne delle altre».1 Infatti, da un Iato la leggenda
che parlava di ritorno dai morti per Nerone sarebbe posteriore
a Traiano e, dall’altro, si dovrebbe pensare che Giovanni ha fu­
so due diverse versioni della saga, una positiva in cui il ritorno
di Nerone era desiderato dalle folle e una negativa secondo cui
Nerone sarebbe ritornato in Domiziano, suo odioso successo­
re.2 Una difficoltà viene anche dall’espressione k~xh. opr) di 17,
9 la quale è sconosciuta nella lingua greca in riferimento ai set­
te colli di Roma: gli scrittori greci poi usavano l’ aggettivo èn-
'zó.'Xocpoc, invece del mai ricorrente érTaopoc.3 Infine si fa nota­
re la manifesta incapacità, nell’ipotesi antiromana, di conteggia­
re in modo soddisfacente i sette re o imperatori di 17,10: «Le
ipotesi di soluzione che su queste parole si accavallano a getto
continuo non fanno che confermare l’inutilità dei tentativi di
far coincidere totalmente l’ottica d d l’Apocalisse con quella
temporale e storica».4
L ’argomento più forte contro l’interpretazione antiromana
è comunque quello per cui l’Apocalisse designa con l’epiteto
di «Grande Città» sia Babilonia, come si è appena visto, sia la
città di 11,8 la quale non può essere altro che Gerusalemme dal
momento che è la città del santuario e dell’altare (v. 1), la città
santa (v. 2) e, soprattutto, la città nella quale «il loro Signore
[dei Due Testimoni] è stato crocefisso» (v. 8).5
274; Nicacci, Grande Prostituta, 142 («[da 17,12] deriverebbe che Roma
distrugge Roma»).
1 Cosi E. Corsini, Apocalisse prima e dopo, Torino 1980, 450.
2 Così Lupieri, Apocalisse, 205-206. - Di fatto questa è l’interpretazione di
R.J. Bauckham, The Climax o f Prophecy. Studies on thè Book o f Revela-
tion, Edinburgh 1993, 431-441, che poi distingue tra il risanamento della
ferita (Apoc: 13) come parodia della resurrezione del Cristo, e il riemerge­
re dall’abisso della Bestia (Apoc. 17) come parodia invece della parousia.
3 Così Lupieri, Apocalisse, 271.
4 Così Corsini, Apocalisse, 443, il quale parla poi di «discussione intermi­
nabile che si agita a proposito della lista degli imperatori romani che do­
vrebbero corrispondere ai sette re adombrati dalle sette teste». Cf. poi, per
esempio, De Water, Reconsidering, 254: «Nel tenace sforzo di identificare
la bestia con l’impero molti hanno tentato di identificare le sue sette teste
e i suoi sette comi con vari imperatori romani. Nessuna di quelle opera­
zioni però è soddisfacente».
5 Così Corsini, Apocalisse, 293, ma cf. Massyngberde Ford, Revelation,

31
2. Configurazione dell'ipotesi antigerosolimitana

La rassegna dei sostenitori di Babilonia-Gerusalemme può ini­


ziare dal commentario di Apoc. accolto nell’importante «An~
chor Biblc» (19 75 )1 dove l’ipotesi interpretativa ha una formu­
lazione sistematica e circostanziata. L ’autrice, Josephine Mas-
syngberde Ford, ritiene che la Grande Prostituta di Apoc. 17
sia Gerusalemme perché cinque testi profetici dell’A.T. su set­
te e la letteratura qumranica danno il titolo di prostituta a G e­
rusalemme.2 In secondo luogo, la Gerusalemme di Apoc. è pro­
stituta a motivo della sua alleanza politica con i romani rappre­
sentati dalle «molte acque», i Kittim di Qumran, su cui la don­
na siede. Per Josephine Ford, inoltre, la Bestia di Apoc. 17 è
Vespasiano, il quale «era» quando godeva i favori di Nerone, e
poi «non è» nel momento in cui cade in disgrazia, e infine «ri­
emergerà dall’abisso» al momento di essere inviato a domare la
rivolta giudaica nel 67 d.C. La seconda Bestia, quella che in 13,
1 1 sale dalla terra, è invece Flavio Giuseppe, lui che salutò «pro­
feticamente» in Vespasiano il futuro imperatore (cf. il titolo di
«pseudoprofeta» in 16,13) e °h c> prendendo dalla famiglia di
Vespasiano il soprannome di «Flavio», prese su di sé il mar­
chio e il nome della Bestia }
286 («In n ,8 il titolo di ‘Grande città’ è dato a Gerusalemme, non a Ro­
ma, per cui ci si aspetta che l’identificazione sia la stessa in Apoc. 18,16»).
1 Precedentemente l’interpretazione antigerosolimitana si trovava in Ph.
Carrington (The Meaning o f Revelation, London 1931: non Roma, ma
Gerusalemme ha perseguitato i profeti), W.R. Beeson (The Revelation,
Little Rock 1956: la grande prostituta è Gerusalemme e con lei i giudei
dissidenti), N. Tumer (Revelation, in «Peake’s Commcntary on thè Bible»,
London - New York 1962: Apoc. è diretta contro il giudaismo che cercò
di frenare l’espansione cristiana), F.E. Wallace (The Book o f Revelation,■
Nashville 1966: la prostituta può essere soltanto l’infedele Gerusalemme,
non Roma che non era «sposa» di Dio), P.S. Minear (I Saw a New Earth,
Washington, 1969: vedere Roma in Babilonia è «literalism and historicism
of thè worst sort», ed è «vast distortion and reduction of meaning»). Cf.
poi C. van der Waal (Neotestamentica 19 78 ,111-132), D.C. Chilton (Days
o f Vengeance, Fort Worth 1987; citato da Beale, Revelation, 44-45), e D.
Holwerda (Estudios Biblicos 1995, 387-396).
2 1 cinque testi di Gerusalemme-prostituta sono Os. 2,5 ecc.; Is. 1,4 ecc.;
Ger. 2,xo ecc.; Mi. 1,7; Ez. 16 e 23, e i restanti due sono Is. 23,17 per Tiro,
e Nah. 3,4 per Ninive.
3 Cf. Massyngberde Ford, Revelation, 227-230.283-289.

32
In ambito italiano l’interpretazione di Babilonia-Gerusalem-
me è stata proposta nel 1980 da E. Corsini, il quale è stato poi
seguito da A. Nicacci (1996), da Clementina Mazzucco (1999)
e da E. Lupieri (1999). Corsini prende il via da 17,16 dove si
parla dell’annientamento della Grande Prostituta da parte del­
la Bestia: tutto ciò è «un’improbabile profezia sulla distruzio­
ne di Roma da parte di Nerone redivivo o dei barbari», scrive
Corsini. Più plausibilmente il versetto allude alla rivolta giu­
daica e alla distruzione di Gerusalemme ad opera di Roma nel
70. Corsini continua scrivendo: «In quella circostanza... le due
realtà malvagie, che si erano collegate in una mostruosa allean­
za ai danni del Messia, si dividono e si affrontano in un duello
mortale». Per Corsini infatti la Bestia che sale dal mare e R o ­
ma o l’impero romano, da intendere come corruzione del po­
tere politico operata da Satana.1 La seconda bestia con i suoi
due corni è invece il giudaismo con Legge e Profeti, messi al
servizio degli affari mondani: è il giudaismo corrotto, aggrap­
pato alle speranze di gloria e alla ricchezza per cui è divenuto
«sinagoga di Satana», avendo operato un vero e proprio tradi­
mento in quel suo intendere in senso materiale e mondano le
promesse divine. Per Corsini tutto questo è detto in modo pla­
stico e paradigmatico nel.l’allegoria della Prostituta assisa in
groppa alla Bestia in cui è ritratto «il mostruoso connubio» tra
potere politico romano e potere religioso giudaico. Quanto ai
sette monti su cui siede la Prostituta, «il termine ‘monte’ [è]
simbolo di entità spirituale opposta a Dio, di orgoglio che si
innalza e attenta alla sua sovranità, significato che era corrente
nella tradizione giudaica».2
Il contributo quantitativamente più consistente a favore del­
l’interpretazione antigerosolimitana è la dissertazione dottora­
le di A .J. Beagley, discussa nel 1983 e pubblicata nel 1987, nel­
la quale l’autore cerca di ricostruire quali erano le ostilità spe­
rimentate dalle chiese d’Asia. Per Beagley non si può escludere
1 Cf. Corsini, Apocalisse, 334. che parla poi di tentazione dell’apoteosi, di
aspirazioni alla divinizzazione, di pretesa dello Stato di assurgere a valore
assoluto, aggiungendo: «Tutto ciò... Giovanni poteva constatarlo nella re­
altà contemporanea dell’impero romano, nelle tendenze assolutistiche e
teologizzanti che vi si erano insinuate, e vi andavano assumendo forme e
proporzioni allarmanti» (p. 335).
2 Ibid. 24. 329-334. 363-365.428. 444.

33
che il libro di Giovanni alluda anche alla persecuzione di R o ­
ma, ma è la persecuzione giudaica di cui è detto del tutto espli­
citamente in 2,9 e 3,9 che preoccupa l’autore. Anche per Beag-
ley la Grande Prostituta assisa sulla Bestia è un’immagine che
presuppone l’alleanza fra Gerusalemme e Roma, nella quale al­
leanza Roma è il braccio esecutivo per gli attacchi del giudai­
smo ai discepoli di Gesù. Giovanni scrive dunque per dimo­
strare che l’Israele carnale, avendo rigettato il Messia, non è il
popolo di Dio ma il nemico di Dio: la caduta di Gerusalemme
ne è prova.1
A Josephine Ford e a E. Corsini fa eco A. Nicacci che scrive:
«La grande prostituta è la Gerusalemme che ha rifiutato e mes­
so a morte Gesù, cioè il potere religioso della città santa collu­
so con il potere politico romano. La Città riceve il medesimo ti­
tolo che le attribuirono i profeti a motivo dell’infedeltà a Dio,
infedeltà che per Giovanni è giunta ora al colmo».2 Sulla stessa
linea di Josephine Ford e di E. Corsini si colloca anche E. Lu-
pieri. Anche per lui la prima bestia è il potere politico militare,
l’impero romano, presentato tuttavia in modo tale da trascen­
dere qualsiasi identificazione univoca, mentre la seconda bestia
è il giudaismo che si è venduto agli interessi del mondo pagano.
Come gli antichi profeti, Giovanni accusa Israele di idolatria:
avendo rifiutato il Messia, per Lupieri quel popolo è spiritual-
mente colpevole di paganesimo. Quanto ai sette monti di 17,9,
a Lupieri si deve la tagliente precisazione che in greco i colli di
Roma non sono mai detti δρη, bensì sempre λόφοι. Una volta
esclusi i sette colli di Roma, in alternativa Lupieri fornisce due
interpretazioni di 17,9. Sulla scia di Corsini, anzitutto egli in­
terpreta i monti come «realtà di natura angelica» equivalenti a
«regni-periodi, rappresentati come montagne». In secondo luo­
go, intende i sette monti in analogia con le bamòt cananee
contro cui si scagliavano i profeti delPA.T.: «Gerusalemme ha
abbandonato il monte santo, cioè il Sion, per prostituirsi sulle
alture pagane, i sette angeli-diavoli che peccarono sin dall’inizio
ecc.».3
1 A.J. Beagley, The «Sitz im Leben» o f thè Apocalypse with Particular
Reference to thè Role of Church’s Enemies (BZNW 50), Berlin - New York
1987, 3 1 .1 1 0 .1 1 2 . 2 Nicacci, GrandeProstituta, 148.
3 Lupieri, Apocalisse, 203. 21 x. 270-271.

34
Un ultimo sostenitore dell’ interpretazione antigerosolimita­
na è R. De Water per il quale Apoc. è bensì un libro scritto nel
mezzo della persecuzione, ma essa non viene dall’impero per­
ché nel i secolo solo Nerone fu persecutore dei cristiani, su isti­
gazione giudaica e solo limitatamente a Roma. La persecuzio­
ne di cui parla Apoc. è invece la persecuzione che viene dal giu­
daismo palestinese e da quello della diaspora, il quale avvertiva
nel messianismo spirituale dei cristiani un avversario del pro­
prio messianismo teocratico e nazionalistico. Più precisamente
la prima Bestia rappresenta il potere politico degli Erodi per­
ché la «terra» di cui parla Apoc. è la ,eres dell’A.T., mentre la
seconda Bestia è il messianismo politico di «tutta la terra», e
cioè delle regioni in cui sono dispersi i giudei della diaspora.1
La Grande Prostituta, poi, che siede sulla Bestia (= il potere de­
gli Erodi) è il Sommo Sacerdozio di Gerusalemme o la stessa
Gerusalemme: essa sarà distrutta non dai romani ma, come di­
rà anche Flavio Giuseppe nella sua avversione agli Zeloti, dal
partito della guerra (i dieci re di Apoc. 17). Sulla sua identifica­
zione dei sette re con i sette Erodi, De Water basa la datazione
di Apoc.·. essa sarebbe stata scritta negli anni 44-48, e cioè nel
tempo in cui, già caduti i primi cinque Erodi e prima che ritor­
nasse sulla scena politica il settimo, i romani amministrarono
la Palestina direttamente. In quel tempo va ambientato il sesto
Erode, il sovrano che «non è» di 17,10, il quale sarebbe Erode
di Calcide.2 De Water conclude affermando che solo dopo il
135 d.C. i cristiani interpretarono Apoc. in chiave antiromana,

1 Per De Water, Reconsidering, 25 5. - A dire il vero ci si aspetterebbe il


contrario, che cioè con la Palestina fosse messa in relazione la bestia che
sorge «dalla terra», con la quale «tutta» la terra non ha mai a che fare, e
che invece con la diaspora mediterranea fosse messa in relazione la bestia
che sorge dal mare (Mediterraneo), essa sì ammirata e adorata da «tutta la
terra» (13,3-4).
2 Ibìd. 259. De Water riprende quest’interpretazione da C.F.J Ziillig (Die
Offenbarungjohannis erkldrt, Stuttgart 1834-1840), di cui dà notizia Bous-
set, Offenbarung, 104. I primi cinque Erodi sarebbero: Erode il Grande,
Archelao, Antipa, Filippo, Erode Agrippa 1; il sesto sarebbe appunto Ero­
de di Calcide (fratello di Agrippa 1 e re della Calcide, nella vallata tra Li­
bano e Antilibano, dal 41 al 48 d.C. per volontà dell’imperatore Claudio;
cf. Flavio Giuseppe, Ant. 20,10-15; F.-M. Abel, Histoire de la Palestine I,
Paris 1953, 456), mentre il settimo sarebbe Agrippa n.

35
quando il giudaismo come loro persecutore fu sostituito dagli
imperatori di Rom a.1
Con tutto ciò, l’esegesi globale di Apoc. è inevitabilmente
cambiata. Avendo preso forma oramai un’interpretazione mol­
to circostanziata la quale solleva tutt’una serie di difficoltà con­
tro quella tradizionale e contrappone argomenti che vanno in
altra direzione, anche chi restasse sostenitore della sentenza tra­
dizionale deve rivedere il proprio armamentario difensivo, dal
momento che ora si trova di fronte a obiezioni prima scono­
sciute.
Per completare lo status quaestìonis intrapreso, resta ora da
tentare un bilancio critico tra l’interpretazione tradizionale e
la nuova ipotesi. Poiché fino ad ora sono stati presentati gli ar­
gomenti a favore dell’ipotesi di Babilonia-Gerusalemme e gli
argomenti contro l’ipotesi di Babilonia-Roma, ora si farà in so­
stanza l’esatto contrario.

I II. B IL A N C IO C IR C A LE DUE IN T E R PR ET A Z IO N I

i . Valutazione dell'ipotesi antigerosolimitana


I sostenitori di Babilonia-Gerusalemme giustamente si rifanno
a 2,9 (ma meno giustamente a 3,9) per dire che Apoc. parla di
una persecuzione giudaica. Tuttavia la persecuzione giudaica
non è l’unica di cui Apoc. abbia sentore, perché non sono attri­
buibili all’iniziativa dei giudei d’Asia né il soggiorno obbligato
di Giovanni nell’isola di Patmos, né il carcere previsto in 2,10
per alcuni membri della comunità di Smirne, o quello di cui
parla i3,ioa. N on è poi attribuibile ai tribunali giudaici la mor­
te di spada (13 ,1 ob), né la morte di scure (7r£-EXsx&a‫[־‬jt.évoi, 20,4)
perché, come è risaputo, i giudei mettevano a morte con la lapi­
dazione, mentre erano i romani a mandare a morte con la spa­
da o con la scure (TCÀexus), della quale erano equipaggiati i lit­
tori agli ordini dei magistrati.2
‫;־‬ * )/ .

1 De Water, Reconsidering, 251-252. 255. 258-259. 261.


2 La radice ttsàsx- ricorre circa 1050 volte nella letteratura greca dall’viii
sec. a.C. al xv d.C. Tra gli scrittori giudaici, invece, Filone la usa una sola
volta (Prov. 2,29,6), e Flavio Giuseppe 18 volte, ma ambientando la scure
soltanto tre volte in episodi «giudaici»: due volte per dire che l’aquila
d’oro alzata da Erode sul tempio fu abbattuta a colpi di scure (Ant. 17,
In secondo luogo, la prostituzione di cui i profeti accusava­
no Gerusalemme o Israele non è assimilabile alla prostituzione
di cui Babilonia è accusata in Apoc. I profeti accusavano la cit­
tà o la nazione di farsi corrompere dai culti idolatrici pagani,
mentre Giovanni accusa Babilonia di corrompere i popoli con
il vino drogato della suapomeia: là il germe della corruzione era
nei popoli, qui è in Babilonia.1 D ’altra parte in tutto il suo li­
bro Giovanni rimanda bensì alFA.T. con frequenza, ma senza
mai citarlo espressamente, senza mai trasferirlo di peso nel pro­
prio libro e, invece, rielaborandolo sempre in modo molto crea­
tivo. Questo comporta che da un’allusione all’A.T. ci si aspetti
un aiuto a capire i testi di Apoc. ma non un indizio univoco per
giungere all’identificazione dei suoi personaggi. In questo ca­
so come in molti altri, poi, i testi dell’A.T. cui i sostenitori di
Babilonia-Gerusalemme si richiamano non sono usati esclusi­
vamente per Gerusalemme: sono dette «prostituta» per esem­
pio anche Tiro (Is. 23,17) e Ninive (Nah. 3,4). Né soprattutto si
deve assimilare la prostituzione (πορνεία) all’adulterio (μοι­
χεία), perché può essere prostituta anche una donna non spo­
sata e perche, se Gerusalemme è infedele come sposa, essa è
adultera, non prostituta.
Un’altra difficoltà per l’ipotesi di Babilonia-Gerusalemme
viene dalla geografia fisico-politica presupposta in Apoc. 13 e
Apoc. 17-18, come si vedrà più dettagliatamente nel capitolo
secondo. Il mare da cui sorge la Bestia e le nazioni e popoli che
l’adorano difficilmente sono qualcosa d’altro dal Mediterraneo
e dalle etnie di tutta l’ecumene romana, e Babilonia è capitale di
quell’impero. È difficile concordare con Babilonia-Gerusalem­
me anche ciò che Apoc. dice dell’idolatria o, meglio, delle due
idolatrie (di cui più sotto si occuperà invece il capitolo terzo).
155; Bell. 1,651) e un’altra volta per dire che con colpi di scure fu spezzata
una catena. Altrimenti la scure per Giuseppe è l’arma della guardia del
corpo del re Artaserse (Ant. 11,205) e> nelle restanti ricorrenze, è sempre
un’arma dei romani per mettere a morte. - Per il perdurare dell’uso dei fa­
sci, come simbolo del potere romano, in ambiente asiatico nel ni secolo,
cf. Mart. Pionii 10,4.
1 Basti ad esempio dire che uno dei testi citati da Beagley (p. 67) e da Lu­
pieri (p. 249) per la «prostituzione» di Gerusalemme è Ez. 23,27 dove pe­
rò si parla di una prostituzione «che [viene] dalla terra d’Egitto (m’rs
misrym)».

37
L ’idolatria dei simulacri e dei demoni (9,20-21) e l’idolatria del­
la Bestia (13,4.8) promossa dal falso profeta (13 ,12 -17 ) non pos­
sono infatti essere intese in senso metaforico, per poi essere più
facilmente ambientate a Gerusalemme. E questo per almeno tre
ragioni: anzitutto a motivo degli idoli di cui si parla in 9,20-21
i quali sono idoli reali, essendo fatti d’oro, d’argento, di pietra
0 di legno; in secondo luogo a motivo delle altrettanto reali e
concrete «carni immolate agli idoli» di cui si parla in 2,14.20; e,
infine, a motivo della statua della Bestia che è anch’essa una
statua reale, essendo manipolata perché diventi statua parlante
(13,15). Ora, mentre non si saprebbe come identificare in Geru­
salemme o nel giudaismo del 1 secolo le due diverse idolatrie, es­
se sono molto naturalmente ambientabili nel mondo greco-ro­
mano, costellato com’era di templi della religione tradizionale
e di templi del culto dell’imperatore. Dopotutto, il vocabolario
dell’idolatria mal si applica all’accusa, sollevata contro Gerusa­
lemme, di collusione con il potere politico-militare di Roma.
La difficoltà più grave cui l’ipotesi antigerosolimitana va in­
contro è comunque quella della datazione di Apoc. Eugenio
Corsini, per esempio, da un lato afferma che l’Apocalisse fu
scritta dopo la distruzione di Gerusalemme1 e, dall’altro, dice
che Giovanni scrive contro il connubio tra il corrotto potere
politico di Roma e il corrotto potere religioso di Gerusalem­
me. Ma dopo il 70 Gerusalemme era senza tempio e senza cul­
to, e in nessun modo il potere religioso del giudaismo poteva
essere in alleanza con Roma perché invece contro di essa l’in­
tero giudaismo nutriva la più implacabile ostilità.2 Nella stessa
1 Corsini, Apocalisse, 24-25, scrive: «invece di vedervi [in 17,16!, come si è
fatto e si fa, un’improbabile profezia sulla distruzione di Roma da parte di
Nerone redivivo o dei barbari, perché non vedervi una molto più plausibi­
le allusione alla rivolta giudaica e alla distruzione di Gerusalemme ad ope­
ra dei Romani nel 70?... possiamo trame lo spunto per dire che la com­
posizione dell’Apocalisse è probabilmente avvenuta in una data posteriore
allo svolgersi degli avvenimenti del 70». A p. 451, l’affermazione di Corsi­
ni è ancora più netta: «la distruzione a cui allude [17,16 ]... non può che ri­
ferirsi a quella compiuta dai Romani nel 70 d.C.: soltanto allora infatti, in
seguito al deicidio compiuto, Gerusalemme era diventata, agli occhi di Gio­
vanni e dei primi cristiani, in modo completo c definitivo la ‘prostituta’, il
contrario della ‘città santa’ che essa era in precedenza».
2 Lo stesso Corsini parla addirittura di «duello mortale» (p. 24), e non si
vede in che modo due città possano essere in alleanza e in complicità dopo

38
contraddizione tra pretesa alleanza di Gerusalemme con Roma
e datazione di Apoc., cade non solo Edmondo Lupieri per il
quale Apoc. fu scritta nel tempo che va dal 70 al 100, ma anche
Josephine Ford che colloca la composizione di Apoc. nel 66-67
d.C. Dal 66 d.C. infatti Gerusalemme era in guerra con Roma,
e non in alleanza.1 Ha dunque ragione K. Wengst a dire che
quando Giovanni scriveva, probabilmente Roma era potente
mentre Gerusalemme era in rovine, e ha ragione G .K . Beale a
dire che, se Babilonia è Gerusalemme, allora la data di compo­
sizione di Apoc. deve essere collocata anteriormente al 70 d.C.2
L ’unica ipotesi che evita lo scoglio della datazione post-70 è
quella di R. De Water il quale colloca la composizione di Apoc.
tra il 44 e il 48 d.C., come s’è visto, ma una datazione così bas­
sa avrà prevedibilmente e giustamente molte difficoltà ad esse­
re accettata.
A tutto questo bisogna aggiungere poi che non è inattacca­
bile neanche l’argomento più forte dell’ ipotesi di Babilonia-
Gerusalemme, quello per cui la Babilonia di Apoc. 16-18 è Ge-
cssersi affrontate in un duello mortale, quando dunque una delle due (nel
nostro caso, Gerusalemme) sarebbe «morta». - La difficoltà non si risolve
neanche dicendo che, dopo il 70, Giovanni scrive contro la Gerusalemme
che aveva messo a morte Gesù negli anni 30, a motivo di 17,10 secondo cui
la vicenda narrata è contemporanea a Giovanni e alle chiese d’Asia. Tra
l’altro è lo stesso Corsini a parlare di «realtà contemporanea» a Giovanni.
1 Lupieri, Apocalisse, lxvi-lxvii, scrive: «La caduta di Gerusalemme nel
70 pare un fatto già avvenuto, che l’autore spiega ai fedeli, così come face­
vano, sia pure in modi diversi, tutte le apocalissi giudaiche di quegli an­
ni... Con questo si arriva a una datazione molto vicina a quella tradiziona­
le, cioè fra il 70 e il 100 d.C. ca.». Similmente Beagley, «Sitz im Leben»,
112, parla di Gerusalemme già caduta e della nazione già rigettata. —An­
che Josephine Massyngberde Ford non va esente dalla contraddizione: poi­
ché Apoc. (o questa parte di Apoc.) sarebbe stata scritta dopo il viaggio in
Grecia di Nerone (66 d.C.) durante il quale Vespasiano cadde in disgrazia,
si dovrebbe concludere che, pur prendendo le armi contro Roma proprio
in quell’anno, Gerusalemme sarebbe con Roma in alleanza.
2 K. Wengst, Babylon thè Great and thè New Jerusalem: The Visionary
View o f Politicai Reality in thè Revelation of John, in H. Reventlow et al.
(ed.), Politics ant Theopolitics in thè Bible and Postbiblical Literature
(JSOT.S 171), Sheffield 1994, 197; Beale, Revelation, 18. Bisogna poi ag­
giungere che, se la rivolta antiromana scoppiò solo nel 66, l’ostilità contro
Roma covava da molto tempo sotto la cenere e, di conseguenza, la data pre­
bellica dovrebbe essere in ogni caso notevolmente bassa, anche se non ne­
cessariamente come quella di R. De Water.

39
rusalemme perché è chiamata «Grande Città» come Gerusa­
lemme lo è in Apoc. i i . La ragione è che in Apoc. n Gerusa­
lemme e il giudaismo non sono affatto il bersaglio della pole­
mica di Giovanni perché «la Grande Città... dove anche il loro
Signore è stato crocefìsso» (11,8) non è la Gerusalemme giu­
daica che si vorrebbe. Di fatto, la Gerusalemme di Apoc. u è
divisa in due. Da una parte stanno il santuario e gli adoratori
che Giovanni deve «misurare» per metterli sotto protezione
divina, i quali rappresentano senz’ombra di dubbio i cristiani.1
Dall’altra, stanno il cortile esterno del tempio e la città santa
che sono dati in potere agli e ‫׳‬$ vy ), «le genti, i ‘pagani’», e che sa­
ranno poi i destinatari della testimonianza dei Due Testimoni,
anch’essi certamente cristiani, perché hanno il Crocefìsso co­
me loro Signore (v. 8). In Apoc. n , dunque, Gerusalemme è
sempre simbolo o di cristiani2 o di pagani, e mai di qualcosa o
di qualcuno che possa essere definito giudaico o giudeo.3 In
secondo luogo, la parte di città che prima è calpestata dalle
«genti» e poi diviene scenario della vicenda dei Due Testimo­
ni, oscilla tra dimensioni urbane (w . 2 e 8), e dimensioni uni­
versali (w . 9 e 10bis: «da ogni popolo, tribù, lingua e gente»,
«gli abitanti della terra»), e infine dimensioni nuovamente a
misura di città (v. 13). Questo comporta chc la «Gerusalem­
me» di Apoc. 1 1 sia simbolo del mondo intero quale luogo di

1 Lo riconosce lo stesso Beagley, «Sitz im Leben», 61 che scrive: «Il naos,


l’altare c gli adoratori sono i cristiani» (cf. i molti autori citati alla n. 135),
ma cf. già Cassiodoro: per quam [arundinem Ioannes] visus est metiri loca
qitde Chrislianus populus obtinebat; alia vero relinquere quae infdeles po­
teruni oblinere (PL 70 ,14 1 ia ).
2 Cf. H. Rongy, Le seconde septénaire de l ’Apocalypse ou les sept trompet-
tes: REccl(Liège) 23 (1931-1932) 365. - Poiché il tempio non era mai stato
cristiano, e poiché in 11,1-2 esso rappresenta certamente i cristiani, ne con­
segue che davvero in Apoc. 11 Gerusalemme è puro simbolo, e non è la Ge­
rusalemme storica e giudaica che si vorrebbe. Cf. poi P.G.R. De Villiers,
The Lord was Crucified in Sodom and Egypt. Symbols in thè Apocalypse
o f John: Neot 22 (1988) 134 (se si trattasse di una Gerusalemme non-sim-
bolica, non avrebbe senso il -vsuua-uxwc di 11,8).
3 W. Reader, The Riddle o f thè Identification o f thè Polis in Rev. 11,1-13 ,
in E. Livingstone (ed.), Studia Evangelica vii (TU 126), Berlin 1982, 413:
«In 11,3-13 non c’è la minima menzione dei giudei». Per J.A.T. Robinson,
Redating thè New Testamene, London 1976, 241 n. 105, la vicenda di 11,
3-13 non è ambientabile a Gerusalemme.

40
scontro tra le forze messianiche (gli adoratori del v. i, i Due
Testimoni, il loro Signore) e quelle antimessianiche (le «genti»
del v. 2, la Bestia che sale dall’abisso del v. 7, gli abitanti della
terra dei w . 9-10, i «nemici» del v. 12), le quali imiteranno i
crocefissori del Signore.1
Apoc. 11 non può comprovare dunque alcuna lettura anti­
gerosolimitana di Apoc. dal momento che mai mette in scena la
parte giudaica di Gerusalemme. Che poi il santuario gerosoli­
mitano, il suo altare e gli adoratori siano per Giovanni i cristia­
ni, si spiega all’interno del suo costante schema teologico per il
quale non c’è mai separazione tra A.T. e N .T .2 Per Giovanni
tutto ciò che è del giudaismo è assunto dal Cristo e chi non ac­
cetta il Cristo si fa «sinagoga di Satana» e mente a definirsi «giu­
deo» (2,9; 3,9). È così infatti che i 144000 delle dodici tribù dei
figli d’Israele (7,4-8) recano sulla fronte il nome dell’Agnello e
lo seguono ovunque vada (14,1.4), ed è così che nella Gerusa­
lemme escatologica ci saranno dodici porte con i nomi delle
dodici tribù d’Israele (21,12) e dodici fondamenti con i nomi
dei dodici apostoli dell’Agnello (21,14). Attraverso quelle por­
te - è detto esplicitamente - avranno accesso alla città escato­
logica anche i provenienti dal paganesimo (21,24-26), mentre è
evidente che per il giudeo-messianico Giovanni di Patmos non
1 Interpretano la Gerusalemme di Apoc. 11 come «mondo intero» com­
mentatori come M. Kiddle, The Revelation o f St. John (MNTC), London
1940, 184-185: «La grande città non è né Gerusalemme né Roma, e tutta­
via in certo senso è sia Gerusalemme che Roma. È infatti la città del pre­
sente ordine mondiale, la città terrena, che include tutti i popoli. È la città
totalmente aliena dal volere di Dio»; M. Bachmann, Himmlisch: der «Tem-
pel Goltes» von Apk ii,i : NTS 40 (1994) 477: «La grande città dove il lo­
ro Signore è stato crocefisso è in qualche modo tutta la terra»; Beale, Rev­
elation, 591: «il mondo irreligioso». Ma cf. soprattutto Allo, Apocalypse,
135: «Gerusalemme rappresenta il mondo intero... Tutta la terra è in qual­
che modo la città di Dio corrotta e profanata dal paganesimo persecutore»,
e J. Roloff, Die Offenbarung des Johannes (ZB.NT 18), Zùrich 1984, 117:
«Come ‘Sodoma’ ed ‘Egitto’, in 11,8 anche Gerusalemme trascende il puro
dato geografico e diviene immagine del mondo ostile a Dio. Anzi, l’imma­
gine di Gerusalemme si sovrappone e si confonde con quella di Roma».
2 C f. per esempio Bonsirven, Apocalypse, 214: «In Apoc. la chiesa compren­
de tutta l’economia salvifica che comincia con i patriarchi e termina alla
paromia»‫׳‬, F. Contreras Molina, La mujer en Apocalipsis 12 : EphM 43
(1993) 374: «L’Apocalisse non distingue tra popolo di Dio dell’antica al­
leanza e della nuova, e la parte migliore dell’A.T. si realizza nella chiesa».

41
oltrepasseranno quelle porte i giudei storici non-messianici. In
Apoc. 7 e Apoc. 21, dunque, con il linguaggio delle dodici tribù
non si designa l’Israele non-credente in Gesù, ma si designano
i cristiani quali unici eredi del patrimonio del popolo di Dio
dell’A.T. Allo stesso modo in Apoc. 1 1 essi, e non i giudei stori­
ci, sono il santuario di Gerusalemme e gli adoratori o la città
santa (w . 1-2), così che la Gerusalemme di Apoc. 1 1 non è la
Gerusalemme giudaica corrotta e in collusione con Roma, del­
l’ipotesi antigerosolimitana.

2. Valutazione dell'ipotesi tradizionale


Se da un lato non poche difficoltà si oppongono all’ipotesi di
Babilonia-Gerusalemme, dall’altro resta da verificare la tenuta
o, viceversa, l’insostenibilità deiripotesi alternativa che vede
Roma nella Babilonia di Apoc. 14-18.
Alcuni argomenti a favore di Babilonia-Roma sono già stati
messi in luce. Si è detto per esempio che la geografia fisico-po­
litica di Apoc. mal si adatta a Gerusalemme mentre corrispon­
de alla situazione dell’area mediterranea del tempo di Giovan­
ni. E si è già detto che le due idolatrie di Apoc. non si adattano
a Gerusalemme e che invece si adattano a Roma alla perfezio­
ne. Si è già detto poi che, mentre la Gerusalemme-prostituta
dell’A.T. si faceva corrompere dai popoli, in Apoc. sarebbero i
popoli a farsi corrompere da Gerusalemme-Babilonia. E si e
detto che l’ipotesi di Babilonia-Gerusalemme, ma non quella
di Babilonia-Roma, si scontra con gravi difficoltà di datazione.
Si è detto inoltre che bisogna chiamare in causa magistrati non­
giudaici ma ellenistico-romani per spiegare il soggiorno obbli­
gato di Giovanni a Patmos e il carcere oppure la morte non
per lapidazione ma per spada o scure, di cui Apoc. parla qua o
là. In proposito si possono ora aggiungere due precisazioni.
La prima è che la persecuzione di Nerone contro la multitudo
ingens di cui parla Tacito1 era entrata nell’immaginario delle
chiese come persecuzione paradigmatica così che i fatti romani
del 64 d.C. spiegano 18,24 («in essa fu trovato il sangue dei
profeti e dei santi») e soprattutto 17,6 («ebbra del sangue dei
santi e del sangue dei testimoni di Gesù»), molto meglio di
1 Tacito, Ann. 15,44,4.

42
quanto non faccia il sangue dei profeti del giudaismo o del cri­
stianesimo primitivo versato da Gerusalemme. La seconda pre­
cisazione è che in Asia la persecuzione di certo non era ancora
quella autorizzata da rescritti come quello di Traiano in rispo­
sta a Plinio o da editti imperiali come quelli di Decio, Valeria-
no o Diocleziano. Erano invece provvedimenti delle autorità
municipali per tutelare l’ordine pubblico in scontri che scop­
piavano tra gruppi etnici o religiosi diversi, come si vedrà nel
prossimo capitolo che si occupa anche della persecuzione. Si
può aggiungere infine che a favore dell’ipotesi antiromana è
l’ epiteto di «Babilonia» dato da Giovanni alla città nemica per
eccellenza. Come è noto, apocalissi giudaiche del i sec. d.C. co­
me 4 Esd., 2 Bar., e scritti cristiani come i Pt. e le interpolazio­
ni negli Oracoli Sibillini danno a Roma il nome di «Babilonia»
per avere essa incendiato il tempio e distrutto Gerusalemme nel
70 d.C., così come aveva fatto la Babilonia di Nabucodonosor
nel 586 a.C.1
Quanto al culto imperiale che Domiziano non avrebbe affat­
to incrementato,2 basti tenere presente che - come si dirà nel
capitolo terzo - , sotto il suo principato, tra P89 e il 91 d.C., a
Efeso fu costruito a cura del koinon dell’Asia un tempio in ono­
re degli imperatori della famiglia Flavia e, a cura del municipio
efesino, un impianto sportivo di enormi dimensioni per i gio­
chi in onore dell’imperatore. Bastano questi sconvolgimenti ur­
banistici di Efeso in funzione del culto dell’imperatore a spie­
gare la composizione di Apoc. da parte di Giovanni, senza bi­
sogno di chiedersi se Domiziano abbia o no incrementato il
culto del sovrano e senza bisogno di chiedersi quale evento di
politica internazionale abbia provocato l’ostilità di Giovanni
nei confronti di Roma.
1 4 Esd. 3,1-2.28-31; .2 Bar. 10,173; 11,1; 67,7; / Pt. 5,13; Or. sib. 5,143.159.
Per 1 Pt. cf. già Andrea di Cesarea: «Nella lettera di Pietro l’antica Róma è
chiamata ‘Babilonia’» (PC 106, 377C). - L ’argomento e stato illustrato so­
prattutto da C.-H. Hunzinger,. Babylon als Deckname fiir Rom und die
Datierung des 1. Petmsbriefes, in H. Reventlow (ed.), Gottes Wort und
Gottes Land. Fs H.-W. Hertv.berg, Gottingen 1965, 67-77; ma c^· P°i an‫־‬
che Yarbro Collins, Crìsis, 57-58; Beale, Revelation, 25, il quale fa osser­
vare come non ci sia alcun testo che, prima o dopo il 70 d.C., attribuisca
l’epiteto di «Babilonia» a Gerusalemme.
2 Così Thompson, Book, 208, e Warden, Imperiai Persecution, 207.

43
Anche le difficoltà sollevate circa Apoc. 17 non sono insor­
montabili. Se è vero che per parlare dei sette colli di Roma i
greci coniarono l’aggettivo έπτάλοφος e se è vero che preferi­
vano επτά λόφο‫׳‬, all’espressione επτά δρη, è vero anche che es­
si usavano δρος per i singoli colli e che gli scrittori latini hanno
parlato usualmente di m ontes e di septim ontium .1 Quanto al­
l’aggettivo έπτάορος, i greci possono averlo eluso per la loro
avversione allo iato, e cioè al «molesto scontro di vocali all’ini­
zio e in fine di parole.contigue»2 o - va aggiunto, per il nostro
caso - in parole composte: dopotutto era un aggettivo encomia­
stico, ufficiale e di origine dotta e, per ciò stesso, esigeva ricer-

1 II geografo Strabono, di Amasea Pontica (64 a.C. - 21 d.C.), elencando i


sette colli nella sua trattazione storico-topografica di Roma, impiega δρος
per Celio e Aventino (5,3,7); Dionigi di Alicaraasso, retore e storico atti­
vo a Roma negli anni 30 del 1 sec. a.C., impiega δρος per il Palatino e per il
Celio (Ant. Rom. 2,50,1); Dione Cassio (tra 11 e ni sec. d.C.) usa δρος per
esempio in Hist. Rom. 53,27,5 e 62,182,2 per il Palatino, e in 30,15 e 44,25,
3 per il Campidoglio. Cf. poi il termine σεπτομούντων, ricalco greco del
latino septimontium, in Plutarco (Aet. 280C.10 e d.2). D ’altra parte nella
letteratura latina l’aggettivo septicollis ricorre solo nel tardo poeta cristia­
no Prudenzio (Peristeph., Romanus, 4 12 -4 13 : cumpuer Mavortius \Funda-
ret arcem septicollem Romulus, PL 60, 479A). Cf. poi R. Gelsomino, Var-
rone e i Sette Colli di Roma, Roma 1975; S. Garofalo, «Sette monti, su cui
siede la donna» (Apoc. 17,9), in A. Winter (ed.), Kirche und Bibel. Festga-
he E. Schick, Paderborn-Mùnchen-Wien-Zurich 19 79 ,9 7-10 4. - Tra i mol­
ti che vedono nei sette monti di 17,9 i sette colli di Roma si possono citare
B. Reicke, Die jiidische Apokalyptik und die johanneische Tiervision: RSR
60 (1972) 174 («inconfondibili»), e K.L. Gentry, Before Jerusalem Veli.
Dating thè Book o f Revelation: an Exegetical and Historical Argument for
a Pre-A.D. 70 Composition, San Francisco - London - Bethesda 1997,150
(«In ogni angolo dell’impero Roma era conosciuta come la città dei sette
colli. Quando Giovanni scrisse non c’era altra città che fosse universalmen­
te famosa per i suoi sette colli»).
2 Cf. Blass, § 486, dove vengono elencati, come espedienti cui si ricorreva
per evitare lo iato, l’inversione nell’ordine delle parole e l’elisione (cf. § 17),
la crasi (cf. § 18), l’inserimento di particelle come μεν, δ’, τ ’ (cf. § 486), o il
v epentetico (cf. § 20). Cf. poi le indicazioni storiche del § 486: «La prosa
d’arte del iv secolo (a cominciare da Gorgia) assunse dai poeti la fluente
connessione delle parole con l’esclusione del cosiddetto iato. Anche autori
ellenistici ed attici dei secoli successivi hanno, con maggiore o minore im­
pegno, evitato lo iato». - Al greco d’arte o quello ufficiale delle iscrizioni
(cf. § 20,3) va evidentemente equiparato Γέπτάλοφος della propaganda uffi­
ciale.
catezza di stile.1 In secondo luogo, la difficoltà della pretesa
tautologia delle immagini per cui Roma-Prostituta siederebbe
su Roma-Bestia, è nello stesso momento più semplice e più
complessa di quanto possa sembrare perché la Prostituta, oltre
che sulla Bestia (17,3), siede anche su molte acque (w . 1 e 15) e
sulle sette teste della Bestia in quanto esse sono sette monti (v.
9). Infatti, come si vedrà nel capitolo undicesimo, se le tre im­
magini dei tre sgabelli sono contraddittorie, i tre significati dei
tre sgabelli non solo sono tra loro compatibili e complementa­
ri, ma sono anche liberi da tautologie: una donna-città sorge
su sette monti e, con il potere di un monarca-Bestia, esercita il
dominio sui popoli (v. 15) e sui re (v. 18) della terra. Tra l’al­
tro, a conferma di questa interpretazione «romana» della don­
na seduta sui sette monti, si rimanda spesso a un sesterzio di
bronzo, coniato da Vespasiano nel 71 d.C., che rappresenta la
dea Roma seduta sui sette colli, in veste di amazzone, con ac­
canto il Tevere, i gemelli, c la lupa.2
Quanto infine al conteggio dei sette imperatori che non por­
ta a nessun risultato soddisfacente neanche ricorrendo allo stra­
tagemma di mettere in conto soltanto uno o due, oppure nes­
suno, dei tre imperatori del 68-69 d.C., esso costituisce proba­
bilmente un falso problema, come si vedrà studiando Apoc. 17.
In Apoc. 17 Giovanni parla infatti di sette sovrani non perché
1 Cf. gli esempi di crasi segnalati in Blass, § 18, e le regole per la formazio­
ne di parole composte in § 114-123. - Diverso è il caso per esempio dello
οκταήμερος di Paolo (FU. 3,5) che nella sua corrispondenza con le chiese
non aveva preoccupazioni stilistiche.
2 Alla moneta rimandano E. Stauffer, Le Chrìst et les Césars, Paris 1956
(Hamburg 5i960) 173 (con riproduzione della moneta nella tavola di p.
19 2 bis); Garofalo, «Sette monti», 97-104; R. Beauvery, L ’Apocalypse au
risque de la numismatique: RB 90 (1983) 243-260 (tavola 1); R. Bergmeier,
Die Erzhure und das Tier: Apok 12,18 -13,18 und ìjf. Eine quellen- und
redaktionskritiscbe Analyse, A N R W ii, 2 5 .5 , Berlin-N ewYork 1988, 3907
(tavola 1); D. Aune, Revelation ij-2 2 (WBC 52C), Nashville 1998, 920-922
(con ampia bibliografia). Si può aggiungere che Dietrich Mannsperger (Tii-
bingen), della cui consulenza in campo numismatico Bergmeier si è servi­
to (cf. commento alle tavole 1-11), discute le possibilità di diffusione in
Oriente del sesterzio, coniato nelle officine di Roma c non di Tarraco in
Spagna. Si può aggiungere che anche per la scultura il tipo iconografico di
«Roma» seduta sui sette colli è attestata in Oriente, per esempio ad Atene
(cf. Garofalo, p. 10 1), e a Corinto (cf. Aune, Revelation 6-16 [WBC 52b],
Nashville 1998, p. 921).

45
si senta vincolato alla realtà storica ma per amore del numero
sette, come d’altra parte gli era già successo di fare a proposito
della serie settenaria delle chiese in Apoc. 1-3.
In conclusione, l’ipotesi che la Babilonia di Apoc. sia Geru­
salemme non sembra in grado di imporsi e, al contrario, l’ipo­
tesi di Babilonia-Roma è quella che meglio di ogni altra rende
conto sia dei dettagli di Apoc. che di tutta la sua trama narrati­
va. Aveva dunque ragione il terzo evangelista a scrivere che il
vino vecchio è migliore di quello nuovo (Le. 5,39). Il vino vec­
chio, nel nostro caso, è quello dei contemporanei di Ireneo e
soprattutto quello di Vittorino di Poetovio.
Capitolo 2

La terra di Apoc. 13 ,11


e la geografia fisico-politica
I. LA BESTIA DI ApOC. 1 3 , 1 1
E IL SUO SA L IR E D A LLA T ER R A

1. Il «helVodioso» della Bestia che sale dalla terra


Dall’inesauribile fantasia di Giovanni di Patmos è uscita anche
la Bestia «che sale dalla terra», una figura che in Apoc. svolge
un ruolo gregario e che forse per questo raramente è presa co­
me oggetto di studio. Giovanni la mette in scena a tre riprese.
Il testo più ampio che ad essa dedica, l’unico in via esclusiva, è
quello della sua prima presentazione (13 ,11-18 ). Poi in 16,13-
16 torna a menzionarla come componente della Triade che ra­
duna ad Harmagedón la coalizione dei popoli per la battaglia
del grande giorno di Dio Onnipotente, e infine in 19,20 e 20,
10 per dire che essa finirà nello stagno di fuoco e zolfo, insie­
me con gli altri componenti della Triade antidivina.
Come altre in Apoc., è una figura odiosa e tuttavia, dal pun­
to di vista estetico-letterario, è di un «beWodìoso» perche G io­
vanni è maestro non solo nel ben presentare il bene perché sia
amato, ma anche nel ben presentare il male perché sia odiato.
La Bestia-dalla-terra, anzitutto, è introdotta in efficace paralle­
lismo con la Bestia che sale, invece, dal mare. Questo montare
di un primo thèrion dalle acque e di un secondo dalla terra ha
qualcosa di affascinante e insieme di minaccioso. Il lettore in­
fatti è conquistato dal ritmo binario della narrazione e, insie­
me, avverte un inquietante senso di accerchiamento e di minac­
cia, tanto più che ben presto la seconda Bestia si rivela compli­
ce della prima (13,12).
Dal punto di vista della concezione fantastica la Bestia-dalla-
terra è felicemente caratterizzata dal suo disinteresse, anche
qui in bel contrasto con il solipsismo della prima Bestia la qua­
le invece si sente al centro dell’universo non solo esercitando il
suo dominio politico su ogni popolo e nazione (13,7), ma an-

47
che col farsi adorare dagli abitanti di tutta la terra (13,3-4.8) e
col pronunciare bestemmie contro il nome di D io, contro la
sua dimora e la sua corte (13,6). La Bestia terrestre non cerca in­
vece nulla per sé e tutto fa a vantaggio della Bestia marina: in­
duce gli abitanti della terra a prosternarsi ad essa in adorazione
(13,12), a farsene un’immagine cultuale (13,14), e poi si mette
ad animare quella statua così clic abbia il potere di parlare e di
far morire chi le rifiuta l’adorazione (13,15). Infine, sempre a
beneficio della prima Bestia, contrassegna con un marchio i
suoi adoratori perché sia possibile escludere dalla vita com- >
mereiaio e sociale chi non accetti quel marchio e chi non renda
quel culto (13,16 -17). In questo coniugare falsità e persecuzio­
ne sanguinaria con la contrastante virtù del disinteresse, G io­
vanni censura il servilismo, sempre troppo generoso ed altrui­
sta, con arte insuperabile. Un ultimo tocco magistrale di G io­
vanni nella rappresentazione della Bestia terrestre è il ritardo
con cui le dà l’epiteto di «pseudoprofeta»: non nella lunga pre­
sentazione iniziale, ma soltanto tre capitoli più tardi, in 16,13.
In 13 ,11- 18 infatti il lettore segue ciò che Giovanni dice della
Bestia e, accumulando nella sua mente un connotato dopo l’al­
tro, va forse chiedendosi che titolo affibbiarle per la sua odio­
sità, finché in 16,13 Giovanni gli fornisce a sorpresa la folgoran­
te definizione di «falso profeta».
Della Bestia terrestre si potrebbe illustrare l’attività religio-
so-profetica in base alla quale si distingue dalla Bestia marina,
attiva invece sul terreno religioso-politico, ma di tutta la sua vi­
cenda qui interessa soprattutto la dimensione geografica, per­
ché può fornire elementi utili all’identificazione storica delle
due Bestie e, di conseguenza, utili all’interpretazione globale
dell’Apocalisse.

2. Il termine ‫׳‬$Y]ptov e il simbolismo teriomorfo


In Apoc. il termine $Y]piov ricorre 38 volte. A l plurale ricorre
solo in 6,8, dove designa le bestie feroci quale strumento di
morte, insieme a spada, carestia e peste, così come in Ez. 14,21
da cui è tratta la formula. Poi per ben 36 volte con quel termi­
ne si parla della Bestia che secondo 13 ,1 sale dal mare. L ’unica
ulteriore ricorrenza di ·Srptov è in 13 ,1 1 dove designa la Bestia

48
che ci interessa, quella che sale dalla terra, o falso-profeta. ‫־‬S y)-
piov, comunque, in 37 ricorrenze su 38 designa l’una o l’altra
delle due Bestie di Apoc. 13, e con ogni evidenza è un termine
che deve presentarle in luce fortemente negativa.
È negativa anzitutto la semantica del termine. I commentato-
ri dell’Apocalisse mettono ·Srjpiov a contrasto con £r‫)׳‬ov, c fan­
no osservare che il primo termine si applica soltanto agli anima­
li in quanto contrapposti all’uomo, mentre il secondo designa
bensì gli animali, ma tra essi non le bestie feroci, e conviene an­
che all’uomo in quanto anch’egli è un essere vivente (cf. 4,6 e
passim).1 Al dato filologico si aggiunge la valenza simbolica di
■Srjpiov: U. Vanni ha messo in luce come nell’Apocalisse gli ani­
mali siano simbolo di forze che superano le possibilità umane
e che tuttavia sono sotto il potere e sotto il controllo di Dio.2
Di fronte alle due Bestie, ci si trova dunque di fronte a due for­
ze negative, per noi irresistibili e soverchiami. La negatività del­
le due Bestie è poi acutizzata dal fatto che Giovanni le dipinge
come mostri policefali e compositi: la Bestia marina ha sette te­
ste, come già il Drago di Apoc. 12, e concentra in sé caratteri­
stiche di leopardo, di orso, e di leone (13,2), mentre la Bestia ter­
restre ha corni di agnello e ruggito di drago (13 ,11). A l contra­
rio, l’Agnello di 5,6, protagonista positivo per eccellenza nel­
l’Apocalisse, o l’aquila di 8,13, che ha il compito di annunciare
i tre «guai!» contro gli idolatri, sono di aspetto non ibrido ma
integro.

3. La provenienza «dalla terra»


La terra da cui sale la seconda Bestia non sembra essere un luo­
go di provenienza negativo. Il termine «terra» potrebbe even­
tualmente (non necessariamente) avere una connotazione nega­
tiva se fosse contrapposto a «cielo», ma qui è messo in paralle­
lo con il «mare» da cui sorge la prima Bestia (13,1), e «mare e
terra» non sono un binomio negativo né in sé né mai in Apoc.1
1 Cf. per esempio Foerster, ■Srjpiov, 501-503, e Massyngberde Ford, Revela­
tion, 219.
2 Cf. U. Vanni, L ’Apocalisse. Ermeneutica, esegesi e teologia (RivB.S 17),
Bologna 1980, 39.
3 Quanto a «mare» (non in binomio con la terra), in Apoc. esso ha bensì

49
D ’altra parte, se Giovanni avesse voluto dire la negatività della
provenienza delle due Bestie, avrebbe più opportunamente as­
segnato loro un unico luogo di provenienza, il regno del male,
e avrebbe potuto chiamarlo «l’abisso» come fa per la prima Be­
stia in 17,8 (cf. anche 11,7) dove «dall’abisso» non significa «dal
mare» ma «dal non-essere»,1 o come fa in 9,1-3 dove «l’abis­
so» significa «le viscere della terra / il mondo degli inferi»: «vi­
di un astro cadere... sulla terra e gli fu data la chiave della,vora­
gine2 dell’abisso e aprì la voragine dell’abisso ecc.».
Da mare e terra le due Bestie non «vengono» come ci si !
aspetterebbe, ma sorprendentemente «salgono» ($ηρίον άνα-
βαΐνον, 13 ,ι; άλλο ·δηρίον άναβαϊνον, I3>n)· La prima Bestia,
cioè, viene dal mare come viene una nave e non dalle profon­
dità marine come un cetaceo. Lo dice il parallelismo tra il sali­
re dal mare di 13 ,1 e il salire dalla terra di 1 3 ,1 1 , che presumi­
bilmente non significa salire «dalle viscere» della terra. D ’altra
parte la vicenda della seconda Bestia ha qualcosa di tautologi­
co in quel venire dalla terra ( 13 ,11) per poi operare nella stessa
terra (cf. 13 ,12 ss.). In 13 ,1 e 13 ,1 1 il verbo άναβαίνω dunque,
non essendo il verbo adeguato ai complementi di luogo che reg­
ge, va probabilmente visto e spiegato in uno schema più vasto
una valenza negativa in 21,1: nella palingenesi non ci sarà posto né per il
primo cielo e per la prima terra né, appunto, per il mare («e il mare non
c’è più»). Ma nella maggioranza dei testi Giovanni parla del mare come di
una realtà neutra, certamente non negativa. In 12,12 per esempio il mare è
in tutto equiparato alla terra e, insieme con essa, contrapposto al cielo, per
dire che dal cielo il Drago viene scaraventato su terra e mare: nella loro re­
lazione con il Drago, mare e terra sono semplicemente sfortunati e in pe­
ricolo, non malvagi. Allo stesso modo, nel terzo lamento funebre su Babi­
lonia il mare è luogo neutro di lavoro per «quanti lavorano in mare [lette­
ralmente: il mare]» (18,17), a^ ° stesso modo che la terra è ambiente di la­
voro per i mercanti del secondo lamento (18,11).
1 Di opinione diversa sono per esempio Foerster, ·δηρίον, 504 («viene dal
mare ossia, secondo 11,7, dall’abisso»); e O. O ’Donovan, The Politicai
Thonght o f thè Book of Revelation: TyB 37 (1986) 79 («Il mare qui come
altrove in Apoc. rappresenta l’abisso del caos e del disordine»).
2 II termine φρέαρ significa bensì anche «pozzo (artificiale)» (così le tradu­
zioni CEI) tanto è vero che il termine è spesso contrapposto a κρήνη-sor­
gente (Demostene 14,30; Erodoto 4,120). La traduzione con «voragine» è
giustificata per esempio dal fatto che in Erodoto 6,119 e Gen. 14,10 LX X
φρέαρ è una cava d’asfalto e in Plutarco è il cratere di un vulcano (Mor.
68b.2), danzare sul cui orlo è proverbialmente pericoloso.

SO
chc e tutto da mettere in luce.1 Per farlo, bisogna distinguere
«provenienza» occasionale da ultima «origine» o «sfera d’ap­
partenenza» e mostrare come il verbo àvapaivm e il suo antite­
tico y.aTafiaivM siano verbi di «varcamento di confini».

4 . 1 verbi xa.za.fia.ivco - àvat8atvoo


e la sfera di appartenenza
xaxa^aivco è il verbo con cui in Apoc. si descrive il discendere
dal cielo degli angeli di io,t, 18,1 e 20,1. Di essi il primo pro­
clama l’imminente compiersi del mistero di Dio (10,7), il se­
condo annuncia la caduta di Babilonia (18,2) e il terzo incatena
il Drago o Satana e lo precipita nell’abisso per mille anni (20,
2-3). xaTapaivco è, poi, il verbo della discesa dal cielo della G e­
rusalemme nuova (3,12; 21,2; 21,10), e dei flagelli divini della
grandine (16,21) e del fuoco (20,9). Dal cielo, infine, scende il
Diavolo secondo 12,12, ma la sua discesa dal cielo non è affat­
to positiva come le altre: ne è conferma il passivo [3<xÀXo(Jlgu im­
piegato tre volte come verbo parallelo di xaxajiaivGj in 12 ,ybis.
10, con cui si dice che egli con i suoi angeli, dopo essere stato
sconfitto nel ciclo, dal cielo è espulso e precipitato violentemen­
te sulla terra.
Con valore positivo o negativo x a ‫׳‬ua(3aivco, dunque, è sem­
pre verbo di «varcamento di confini»: quanto appartiene al cie­
lo, come gli angeli o i castighi divini ecc., varca talvolta il con­
fine che separa il cielo dalla terra per svolgere qualche missio­
ne da parte di Dio, mentre il Diavolo varca quel confine e scen­
de sulla terra e sul mare (12,12), non però perché appartenga al
cielo,2 ma perché dal cielo viene estromesso come nemico di

1 Una conferma viene dalla sorprendente successione del verbo si;épxp|*.ai


in 20,8 (terminato il millennio, il Drago uscirà dal carcere dell’abisso per
ingannare i popoli della terra, Gog e Magog) e di àva(3aivw in 20,9 («una
volta radunati, salirono sulla spianata della terra e assediarono l’accampa­
mento ecc.»). Come in 13 ,11, infatti, anche qui dalla terra si sale per essere
attivi nella stessa terra, e anche qui il verbo àvapatvw non è del tutto ade­
guato al suo complemento di luogo (cf. la versione CEI 1971 che traduce:
«marciarono su tutta la superficie della terra»).
2 Contro R. Yates, The Antichrist: EvQ 46 (1974) 50, che scrive: «La sua
origine è in cielo». Quando viene menzionato per la prima volta, il Drago

51
Dio. àvapacvw descrive il «varcamento dei confini» in direzio­
ne opposta. In 9,2 per esempio, sale dalla voragine dell’abisso
un fumo che oscura sole e atmosfera. Da quel medesimo abis­
so in 11,7 e 17,8 sale la prima Bestia, quella stessa che secondo
13 ,1 sale dal mare.1 Allo stesso modo, sciolto dall’abisso in cui
era incatenato, il Satana sale sulla spianata terrestre con i suoi
eserciti per l’ultima battaglia (20,9). Non dall’ abisso, ma invece
da Patmos (4,1-2), o dalla piazza della città in cui sono rimasti
insepolti per tre giorni e mezzo (11,12 ), salgono al cielo G io­
vanni e, rispettivamente, i Due Testimoni, l’uno e gli altri chia­
mati al cielo da una voce celeste. Dall’orizzonte orientale, co­
me il sole, sale poi l’angelo che reca il sigillo del Dio vivente in
7,2·
Per Giovanni dunque il cosmo è tripartito: in basso sta
l’abisso tenebroso, in alto c il cielo, sede di Dio e dei suoi mi­
nistri, e in mezzo è la terra, luogo di contrastante influsso e di
scontro tra le forze superiori del bene e le forze inferiori del
male.2 I confini sono netti, ma non sono invalicabili: separano
la zona di origine, non la sfera di attività. Così l’origine degli
angeli è in cielo, ma talora però essi varcano il confine del ciclo
scendendo sulla terra (10,1 ecc.) o nell’abisso (20,1-3) e yi agi‫־‬
scono agli ordini di Dio. Dell’abisso, luogo della sua apparte­
nenza, Satana oltrepassa i confini, prima dando la scalata al cie­
lo (Apoc. 12), e poi cercando complicità sulla terra per un rin­
novato assalto a Dio o al suo Messia (12,18 ss.; 16 ,13-14 ; 20,8).
Alla fine, definitivamente sconfitto, viene precipitato nello sta­
gno ardente di fuoco e zolfo (20,10), essendo costretto così per
sempre entro i confini che gli sono propri.
Tornando alle due Bestie, il loro salire dal mare e dalla terra

si trova bensì in cielo (12,3), ma già come nemico della Donna messianica
e di Dio, e non quindi come cittadino del cielo.
1 Per l’identità tra la Bestia di 13,1 e quella di 17,3 cf. Biguzzi, Settenari,
230 n. 38.
2 Cf. per esempio in 5,3 l’elenco delle tre zone che concorrono a compor­
re il cosmo, dove è detto che in esse non c’è alcuno in grado di aprire i si­
gilli del rotolo. Parlando della concezione cosmologica non di Apoc, ma
della letteratura apocalittica in generale, E. Schvissler Fiorenza, Apocalisse.
Visione di un mondo giusto (BB 16), Brescia 1994 (Minneapolis 1991) 39,
scrive: «Il mondo diventa come un palazzo a tre piani: cielo, terra e sotto­
terra».

52
è negativo, dunque, non per le due regioni cosmiche della loro
occasionale venuta storica, bensì per la loro appartenenza me­
tastorica, detta con la preposizione preverbale ava-, del verbo
àvajBat'vw.

II. I D IVERSI A M B IT I D ’A Z IO N E D E L LE DUE BE ST IE

i. L ’adorazione della Bestia


a dimensione ecumenica
Secondo 13,1-8 la Bestia-dal-mare non solo riceve dal Drago la
sua potenza e il suo trono (13,2) ma, esattamente come lui, ri­
ceve l’adorazione di tutta la terra: «Allora la terra intera (oAy) y)
Y ‫?־‬j) , presa d’ammirazione, andò dietro alla Bestia e adorarono
il Drago perché aveva dato il potere alla Bestia, e adorarono la
Bestia dicendo ecc.» (13 ,3 ^ 4 ). Il raggio d’influsso della Bestia
è dunque perfettamente co-estensivo con quello del Drago: tut­
ta la terra l’ammira e, come fa con il Drago, l’adora.
In continuità con 13 ,3 ^ 4 , che in modo inequivocabile parla
di un influsso della Bestia marina su tutta la terra abitata, de­
vono essere intese anche le affermazioni che seguono: «Le fu
dato potere sopra ogni tribù, popolo, lingua e nazione» (v. -yh),
e: «L ’adorarono tutti gli abitanti della terra» (v. 8). In astratto
il v. yb potrebbe parlare delle tribù e delle lingue ecc. di una so­
la e medesima regione, e «tutti gli abitanti della terra» del v. 8
potrebbero essere anch’essi gli abitanti di un’unica regione.
N on però in Apoc.1 e, soprattutto, non qui, a motivo di quella
perfetta corrispondenza territoriale dell’azione di Bestia e Dra­
go, di cui si è appena parlato.
La Bestia di 13 ,1 viene dunque da un mare (per ora) impre­
cisato, ed è l’intera ecumene ad adorarla, con tutte le sue tribù,
lingue ed etnie. Con la comparsa della Bestia-dalla-terra e per
effetto della sua attivissima propaganda ( 13 ,12 ^ 17 ) , la Bestia-
dal-mare è però oggetto di adorazione anche in una seconda,
diversa modalità.

> Cf. il significato costantemente universale che ha l’espressione quadri-


partita di 13,7 («su ogni stirpe, popolo, lingua e nazione») nelle ricorrenze
parallele di 5,9; 7,9; 10 ,11; 11,9; 14,6; 17,15.

S3
2. L'adorazione della statua della Bestia
in una diversa atmosfera

Il confronto tra le due adorazioni dice che l’adorazione di 13,


3 b 4 ‫־‬, quella chc è a raggio certamente universale, si sviluppa in
un’atmosfera di diffusa gratitudine nei confronti del Drago:
«E adorarono il Drago perché diede il potere alla Bestia» (13,
4a), e di diffusa ammirazione nei confronti della Bestia: «E fu
presa da ammirazione tutta la terra al seguito della Bestia» (13,
3c), «E adorarono la Bestia dicendo: ‘Chi è come la Bestia?’, e
‘Chi può compctcre con essa?’». E dunque un’adorazione li­
bera e spontanea. La seconda adorazione invece non è sponta­
nea, ma indotta: «[La Bestia dalla terra] fa in modo che la terra
e gli abitanti in essa, adorino ecc.» (i3,i2b ). Anzi, è forzata e
vessatoria: «E fa che coloro che non adorano la statua della Be­
stia vengano uccisi... E fa che quanti non hanno il marchio del­
la Bestia non possano comprare e vendere» (13,15 .16 -17).
In secondo luogo, l’adorazione promossa dalla seconda Be­
stia è offerta ad una statua cultuale, tra l’altro anch’essa costrui­
ta sotto comando e non spontaneamente. Questa adorazione è
dunque iconica (mentre la prima adorazione era aniconica) e la
necessità di una statua cultuale sembra essere dovuta all’assen­
za della Bestia marina nella regione in cui è attiva la Bestia ter­
restre. Le due Bestie sono insieme in 16,13, quando si coalizza­
no per la battaglia del grande giorno di Dio, e poi in 19,20,
quando sono sconfìtte e precipitate nello stagno di fuoco e zol­
fo, ma nel tempo delle due adorazioni esse non si incontrano
mai. È appunto per colmare la lontananza tra Bestia adorata e
adoratori della seconda adorazione che si rende necessaria la
statua cultuale. Si ha dunque una sorta di parousia cultuale per
ovviare ad una apousia fisica.1
In terzo luogo, per provocare quella meraviglia che nella pri­
ma adorazione era spontanea, la Bestia promotrice della secon­
da adorazione si avvale di prodigi come quello di far scendere
fuoco dal cielo o come l’animazione della statua cultuale così

! Cf. D.A. Desilva, The «Image o f thè Beast» and thè Christians in Asia
Minor: Escalation o f Seclarian Tension in Revelation 13: TrinJ 12 (1991)
204-205: «Qui c’è bisogno di una ‘immagine della bestia’ che rappresenti
!"assente come presente’».
che diventi statua parlante. Sono espedienti propagandistici di
cui Giovanni non fa parola quando presenta la prima adorazio­
ne e con cui dunque caratterizza e contraddistingue la seconda.
Tutto questo dice che la Bestia è oggetto di due distinte ado­
razioni. Ora si deve vedere come una sia caratterizzata dall’uni-
versalità e l’altra da un’estensione soltanto regionale.

3. L ’adorazione della statua della Bestia


a dimensione regionale
Come già per la prima, anche per la seconda adorazione si par­
la (ben tre volte in tre versetti) di «terra»: «[La seconda Bestia]
fa in modo che la terra e quelli che in essa abitano adorino la
prima Bestia» (v. 1 2b), «e inganna gli abitanti della terra con i
prodigi che le fu concesso di operare» (v. I4a), «dicendo agli
abitanti della terra di fare una statua alla Bestia ecc.» (v. i4b).
Tutte e tre le volte però si parla semplieemente di «terra», non
di «tutta la terra». A proposito della seconda adorazione, cioè,
non compare mai l’aggettivo universalizzante όλος che, come
s’è visto, compariva a proposito della terra adoratrice della Be­
stia marina e del Drago: «Fu presa da meraviglia tutta la terra
(όλη ή γή) al seguito della Bestia... e l’adorarono» (i3,3c.i4b),
dove l’espressione όλη ή γή è del tutto equivalente a οικουμέ­
νη, l’altro, unico termine geografico che Giovanni qualifica ri­
petutamente e pleonasticamente con l’aggettivo όλος (3,10; 12,
9; 16,14).
Le due adorazioni, quella «della Bestia» e quella «della sta­
tua della Bestia», sono distinguibili dunque non solo per le mo­
dalità e per l’atmosfera, ma anche per l’ambito geografico e, se
si vuole, per la differente universalità. La prima adorazione è
ecumenica (cf. l’espressione όλη ή γή), l’altra è limitata a una
regione (cf. l’espressione ή γή): è cioè limitata alla terra dove è
attiva la seconda Bestia e dove si trova la statua da essa fatta
costruire e adorare. Se poi l’universalità della prima adorazio­
ne è geografica, quella della seconda è tutt’al più sociologica:
«E fa che tutti: i piccoli come i grandi, i ricchi come i poveri, i
liberi come gli schiavi, - ricevano un marchio ecc.» (13,16). È
un’universalità possibile ovunque, appunto anche in una regio­
ne limitata.

55
In conclusione, «la terra» di I3,i2.i4a.b in cui la Bestia terre­
stre organi/za il suo culto è probabilmente una regione che si
distingue dall’ecumene di 13,3.8 in cui la Bestia marina veniva
già adorata.1 Questa importante deduzione di tipo geografico
ha nel testo almeno due conferme: il fatto che in Apoc. 16 le
due adorazioni siano colpite da flagelli distinti e la successione
di «mare e terra» in 1 3 ,1 .1 1 e non, viceversa, di «terra e mare».

4. Flagelli distinti per gli adoratori della Bestia


e per il suo trono
N el settenario delle coppe Giovanni significativamente distin­
gue il flagello scagliato contro gli idolatri della Bestia che reca­
no il suo marchio e rendono omaggio alla sua immagine (pri­
mo flagello, 16,2) dal flagello che invece colpisce il trono della
Bestia c il suo regno (quinto flagello, 16,10) per cui, ancora una
volta, «la terra» dell’adorazione della statua viene distinta dal
regno dove la Bestia ha il suo trono, e dunque da «tutta la ter­
ra» di cui parlava 13 ,3 ^ 4 .
C ’è altro. La serie dei flagelli delle coppe è come divisa in
due da un testo non narrativo (16,5-7) nel quale l’angelo delle
acque (w . 5-6) e l’altare (v. 7) commentano l’effetto del secon­
do e terzo flagello sulle acque del mare e, rispettivamente, sulle
acque dolci. I flagelli le hanno trasformate in sangue come era
accaduto nella prima piaga dell’esodo, e l’angelo delle acque in­
terviene non per difendere le acque cui presiede, bensì per dire
che l’intervento di Dio è giusto: è giusto cioè che chi ha versa­
to sangue, sangue debba trangugiare, per una sorta di recipro­
cità più volte affermata in Apoc., tra peccato e castigo che lo col­
pisce. I due blocchi di flagelli non soltanto sono separati, ma
sono anche diversamente caratterizzati in esatta corrisponden-

1 Non tiene conto di una tale diversità geografica per esempio M. Ober-
weìs, Die Bedeutung der neutestamentlichen «Rdtselzahlen» 666 (Apk 13,
18) und 153 (Job 2 1,11): ZNW 77 (1986) 233, che scrive: «Probabilmente
nelle due bestie è rappresentato l’impero romano da una duplice prospet­
tiva: il potere rivendicato ed esercitato sulla terra e quello esercitato sul
mare, o qualcos’altro di analogo». Cf. anche R. Bauckham, La teologia del­
l ’Apocalisse (LetB 12), Brescia 1994 (Cambridge 19 9 3) 138, secondo cui la
terra di 13,12.14 è il mondo intero, come in 16,13-14; e Lambrecht, People
o f God, 384, secondo cui l’azione della seconda bestia è worldwide.

56
za con le caratteristiche di adorazione ecumenica e adorazione
regionale. Infatti, come la Bestia-dalla-terra mandava a morte
chi rifiutava di rendere culto alla statua (13 ,1 jc), così i flagelli
della seconda e terza coppa colpiscono i persecutori che hanno
versato il sangue dei santi e dei profeti (16,6). D ’altra parte, in­
vece, come la Bestia-dal-mare era ripetutamente contraddistin­
ta dalla bestemmia contro Dio (i3,i.5a.6, ma cf. anche 17,3),
così lo sono sia gli uomini colpiti dai flagelli della quarta cop­
pa (i6,9b), sia i sudditi del regno della Bestia colpiti dal flagel­
lo della quinta coppa (16 ,11), sia, infine, gli uomini colpiti dal­
la grandine nella settima coppa (16,2 ib).
Gli schemi, anche geografici, di Apoc. 13 si prolungano dun­
que in Apoc. 16: da una parte il mondo della seconda Bestia,
caratterizzato dalla «regionalità» e dalla persecuzione, e dal­
l’altra il mondo della prima Bestia, caratterizzato dall’univer­
salità, dal potere politico e dalla bestemmia.

5. La successione «mare-terra»
e Vangelo di Apoc. 10
La successione per cui sulla scena di Apoc. compare prima la
Bestia che viene dal mare (13 ,1) e dopo, come seconda, quella
che viene dalla terra ( 13 ,11) è meno scontata di quello che po­
trebbe sembrare. Lo dicono le formule che in tutte le lingue
mettono istintivamente prima la terra e poi il mare, dal mo­
mento che l’uomo vive sulla terra e coglie ed esprime la realtà
dalla prospettiva terrestre. I latini per esempio dicevano: terra
marique, mettendo istintivamente prima la terra e poi il mare,
con la stessa logica con cui dicevano ferro ignique, dal momen­
to che in guerra prima si espugna una città con le armi e poi la
si dà alle fiamme. Per i greci basti citare Anassimandro per il
quale «per prima cosa l’aTtstpov ha tracciato il perimetro di ter­
ra e mare», o Tucidide che impiega una trentina di volte la suc­
cessione «terra-mare» e una sola volta la successione «mare-
terra».1
La successione inconsueta di «mare-terra» in 1 3 ,1 .1 1 ha una
1 Anassimandro, Testim. t,8; Tucidide, 1,2,2,2; 1,13 ,5 ,3 ; i >24>6,.i ; 1,110 ,4 ,4 ;
2,24,1,2 (ma cf. 2,41,4,6). Cf. anche Erodoto 6,18,2; 7,49,5; 8,64,4; Aristo­
tele, Mund. 3 9 2 ^ 14 ; yj6a.,2y; 3968,27.

57
sorprendente premessa in Apoc. io. L ’angelo forte che porge a
Giovanni il piccolo rotolo, infatti, pone il piede destro sul ma­
re e il sinistro sulla terra (io,2b-c). Per moltissimi autori il ma­
re e la terra su cui l’angelo pone i piedi significherebbero l’uni­
versalità della sua missione e dei destinatari del rotolo che tie­
ne in mano. Ma non è così perché nelle formule bibliche di uni­
versalità cosmica «terra» precede e «mare» segue. Nella stessa
Apoc. Giovanni mette sempre prima «terra» e poi «mare» (7,1.
2.3; 12,12, e cf. anche 20,8), con la sola eccezione appunto del­
l’episodio dell’angelo forte (10,2.5.8) dove per tre volte Giovan­
ni mette invece appunto prima «mare» e poi «terra».1 Questo
significa anzitutto che per Apoc. 10 e Apoc. 13 egli ha voluto
creare una formula nuova, diversa da quella che gli era altri­
menti spontanea e, in secondo luogo, che in quella formula il
mare è più importante della terra.
Poiché in Apoc. 10 la singolare successione «mare--terra» per
la collocazione dei piedi dell’angelo è la stessa successione dei
luoghi da cui vengono le due Bestie di Apoc. 13, non è impos­
sibile che «mare e terra» indichino gli ambiti geografico-politi-
ci (e non cosmici) contro cui Giovanni dovrà rivolgere i mes­
saggi del rotolo che, come Ezechiele, deve prendere e inghiot­
tire. Non per nulla, dopo che egli ha inghiottito il rotolo, gli vie­
ne detto: «Devi profetizzare ancora [e questa volta le tue profe­
zie saranno] contro1 popoli, nazioni, lingue e re numerosi». So­
no le profezie «politiche» di Giovanni di Patmos, come E.-B.
Allo le chiama.3
1 Nel trinomio (non binomio) che compare nel v. 6 la terra è significativa­
mente menzionata prima del mare (e dopo il cielo) proprio perché è in
una formula cosmica e non in relazione ai piedi deU’angelo: «il quale (=
Dio) creò il cielo... e la terra... e il mare».
2 Giustamente per S. Hrc Kio, The Exodus Symbol o f Liberation in thè
Apocalypse and its RelevanceforSomeAspecis ofTranslation: BTr 40 (1989)
134-135, l’èm λαοίς κτλ., retto da προψητεΰσαι, va tradotto non «riguardo
a», ma «contro»: a conferma basti citare Erodoto 1,61: «Risaputo ciò che
sì faceva contro di lui (έπ’αύτώ) ...». Contro Swete, Apocalypse, 132, che
scrive: «Giovanni non è inviato a profetare alla loro presenza (επί con
gen.), né contro ài essi (επί con acc.), ma semplicemente riguardo a essi (επί
λαοΐς κτλ.)» e contro W.J. Harrington, Revelation (SP 16), Collegeville
19 9 3,116 , che approva Swete.
3 Allo, Apocalypse, 125. - Per questo paragrafo cf. una trattazione più dif­
fusa in Biguzzi, Settenari, 227-230.

58
In altre parole Giovanni dovrà rivolgere la sua parola profe­
tica sia contro il mare, ossia la Bestia marina, sia contro la ter­
ra, ossia la Bestia terrestre, attiva in una regione particolare.

6 . Quale mare e quale terra


Poiché, pur venendo dal mare, la Bestia sarà adorata da «tutta
la terra» (13,3-4), nel v. 1 «mare» vuol dire un mare sul quale si
affacciano le molte regioni in cui abitano le tribù, i popoli e le
etnie di cui parla il v. 7: «le fu dato potere sopra ogni stirpe,
popolo, lingua e nazione». Il mare è la via di comunicazione
che, toccandoli tutti e conducendo a tutti, unifica quei molti
territori in un solo regno o impero. Difficilmente, poi, quel
mare è un mare diverso da quello di Patmos, e non tanto in
quanto Mar Egeo delle Sporadi, bensì come Mediterraneo sul
quale si affacciano le molte regioni ed etnie di tutta l’ecumene.
W. Hadorn dice per esempio che in 13,1 ‫׳‬SaXaco‫־‬a è «il mare oc­
cidentale», e H. Conzelmann e A. Lindemann dicono del tutto
esplicitamente: «Il mare... è in termini molto concreti il Medi-
terraneo, il mare nostrum dell’impero romano».1
La «terra» in cui svolge la sua attività la seconda Bestia è
evidentemente una delle regioni di quel regno multietnico. R e­
gione che, nella storia, è stata identificata in vario modo, come
ora si deve vedere.

I II. L A T E R R A D I ApOC. 13 , 1 1
N E L L A STO RIA D E L L ’ IN T E R PR ET A Z IO N E

1. Interpretazioni escatologica e storico-ecclesiastica


Così come per l’identificazione di Babilonia, anche per quella
delle due Bestie il primo richiamo da fare è al prezioso sin-

1 W. Hadorn, Die Offenbarung des Johannes (ThHK N T 18), Leipzig


1928,139 («è da intendere geograficamente e si riferisce al mare che si tro­
va ad occidente»); H. Conzelmann - A. Lindemann, Guida allo studio del
Nuovo Testamento (CSANT.S 1), Casale M. 1986 (Tiibingen 1975) 322. -
Per D. Georgi, Die Visionen vom himmliscben Jerusalem in Apok 2 1 und
22, in D. Liihrmann et al. (ed.), Kirche. Fs G. Bornkamm, Tiibingen 1980,
353, la Babilonia di Apoc. non può non essere intesa se non in riferimento
realistico con il mare ed è anzi un porto che è al centro dei traffici e com­
merci mondiali (seebezogen, Welthandelshafen).

59
cronismo di 17,10. Dicendo che il sesto monarca «è [presente-
mente]», l’ autore dell’Apocalisse non sembra in nessun modo
volere trasferire il lettore nei secoli xvi-xviii per parlare né del
papato né dei novatori protestanti, comc si pretendeva al tem­
po delle controversie confessionali. Allo stesso modo che le
interpretazioni storico-ecclesiastiche, sono da escludere quelle
escatologiche: da quella di Ippolito (prima metà del 111 secolo)
a quella del gesuita spagnolo F. de Ribera (1591), a quelle più
recenti di Th. Zahn (1924, 1926), J. Sickenberger (1929), o W.
Foerster (1938). A titolo d’esempio, per Ippolito e per de Ri- -
bera la prima Bestia era l’Anticristo (termine, tra l’altro, che
non ricorre in Apoc.) e la Bestia che sale dalla terra era il suo
sommo sacerdote (Ippolito) o un predicatore insigne, suo pre­
cursore: «praedicatorem aliquem magnum, ... praecursorcm
Antichristi» (de Ribera).1
Come richiede 17,10, le due Bestie vanno invece ambientate
nel tempo e, per quanto ci riguarda qui, nella geografia religio­
so-politica di Giovanni.

2. Interpretazioni di storia contemporanea


Già Vittorino (fine 111 secolo) intendeva la prima Bestia come
Nerone, ma l’interpretazione «di storia contemporanea» si è
affermata soprattutto in epoca moderna. La prima Bestia è
identificata con Domiziano, mentre la seconda è la sapientia
carnis (L. de Alcazar; scripsit 1614), o sono maghi e mistifica­
tori comc Apollonio di Tiana (Grotius; scripsit 1664), la filoso­
fia pitagorica (J.-B. Bossuet; scripsit 1689), il sacerdozio paga­
no (Aubert de Versé; scripsit 1703), o Simon Mago (A. Loisy,
1923). Questo tipo d’interpretazione, oggi largamente predomi­
nante, si muove però su due linee divergenti, a partire da due
diverse identificazioni, appunto, della terra da cui sale la secon­
da Bestia: per alcuni la terra è la Palestina mentre per altri è
l’Asia Minore.
Per B. Murmelstein (1929) per esempio la seconda Bestia c
Erode il Grande, perché parlava la lingua dell’imperatore di
1 Ippolito, Antichr. 48-50; F. de Ribera, In Sacram Beati Ioannis Apostoli
et Euangelistae Apocalypsim Commentarii, Lugduni mdxciii (Salmanticae
1MDXCl) 258-259.

60
Roma o Drago (cf. il «parlava come un drago» di 13 ,11) c per­
ché offese la sensibilità giudaica innalzando le aquile romane
(cf. Petxcóv di 13,14 ) sulla porta del tempio e riproducendone
l’immagine sulle monete (cf. il ‫ ^״‬àpay^a sulla destra di 13,16 -
1 7).1 Per J. Massyngberde Ford invece la prima Bestia è Ve­
spasiano, c la seconda Bestia è Flavio Giuseppe che fu profeta
della sua acclamazione a imperatore, come si è già detto. Per
questi autori la «terra» da cui viene la seconda Bestia è eviden­
temente la Palestina: di Erode, appunto, e di Flavio Giuseppe.
Per altri la terra è invece PAnatolia. Venendo dall’Asia M i­
nore, per P. Touilleux (1935) e per C. Spicq (1950) la seconda
Bestia sarebbero i sacerdoti di Cibele, madre degli dèi, che ma­
nifestavano il loro lealismo a Roma prestando culto all’impe­
ratore regnante.2 Molti infine identificano il falso profeta con
questo o quello dei promotori del culto imperiale in Asia: il
partito filoromano (J. WeifS, 1904), Plinio il giovane, inviato da
Traiano in Ponto e Bitinia come proconsole straordinario (A.
Vanni, 1929), il sacerdozio del locale culto del sovrano (R.H.
Charles 1920; M. Rist - L.H. Hough, 1989)^ o lo stesso koinon

1 Cf. B. Murmclstein, Das zweite Tier in der Offenbarung Johannis:


ThStKr 101 (1929) 452-454. 457. Si tratterebbe della dinastia erodiana per
C. Tresmontant, Enquète sur VApocalypse: Auteur, datation, signifeation,
Paris 1994, 329 («è probabilmente la dinastia degli Erodi») e per il già cita­
to R. De Water.
2 Cf. P. Touilleux, L ’Apocalypse et les cultes de Domitien et de Cybèle,
Paris 1935; C. Spicq, L ’épitre aux Hébreux 1 (EtB), Paris 1952, 136-138.
Ma v. la critica di K. Priimm, Mystères, DBS vi, Paris i9 6 0 ,111-113 . - Pro­
veniente da Frigia (col santuario principale a Pessinunte) e Lidia, il culto
di Cibele era conosciuto in Grecia già nel v secolo e passò a Roma nel 205-
204 a.C. (con tempio sul Palatino). Cibele era dea delle montagne e della
vegetazione, alla quale erano devote soprattutto le popolazioni agresti e in
particolare le donne. Il suo culto era caratterizzato da riti d’iniziazione e
soprattutto dal taurobolium, e cioè dall'irrorazione del fedele, fatto scen­
dere in una fossa, con il sangue di un toro. Numerose iscrizioni documen­
tano come il culto fu offerto a beneficio dell’imperatore soprattutto in
epoca antonina. Da Roma si diffuse poi soprattutto in Gallia e in Africa.
3 J. Weifi, Die Offenbarung Johannis. Ein Beitrag zur Literatur- und Reli-
gionsgeschichte (FRLAN T 3), Gòttingen 1904, 17; A. Vanni, La data di
redazione della «Apocalisse» di S. Giovanni e le «bestie» del capitolo 13:
SIFC 8 (1930) 126-144. 183-219; R.H. Charles, A Criticai and Exegetical
Commentary on thè Revelation o f St John 1 (ICC 14), Edinburgh 1920,
357 («il sacerdozio imperiale delle province»); M. Rist - L.H. Hough, The

61
d’Asia (W.M. Ramsay, 1904; W. Barclay, 1959; S.R.F. Price,
1984; S. Friesen 1993),1 e cioè l’assemblea dei rappresentanti
delle varie città asiatiche che si riuniva una volta l’anno e orga­
nizzava riti, feste, giochi e costruzioni di nuovi templi impe­
riali.
L ’interpretazione della «terra» di 1 3 ,1 1 come Anatolia ha a
suo favore: 1. il fatto che secondo 4,1 le visioni di cui Giovanni
e protagonista in Apoc. 4-22 (e quindi anche la vicenda delle
due Bestie) sono in continuità con la cristofania di 1,9 ss. la qua­
le è ambientata a Patmos e non in Palestina; 2. il fatto che G io­
vanni era coinvolto in prima persona con le sorti di almeno
sette chiese d’Asia Minore e che per esse scrisse il suo libro,· 3.
il fatto poi che le sette chiese d’Asia interessano Giovanni nella
concretezza dei loro abitanti (cf. Antipa, Gezabele, i Nicolaiti
ecc.), degli edifici o istituzioni (il trono di Satana) e delle loro
scelte di vita cristiana mentre, privi di ogni concretezza stori­
ca, i luoghi palestinesi (Gerusalemme, il suo tempio, l’altare
del tempio, i suoi cortili, il monte Sion, ecc.) sono in Apoc. pu­
ro simbolo. Quanto poi all’alternativa tra culto del sovrano e
quello di Cibele, l ’epiteto di pseudoprofeta dato alla Bestia-
dalia-terra conviene ai diretti promotori del culto imperiale
meglio che ai sacerdoti di Cibele che di quel culto erano solo
fiancheggiatori occasionali.
Relegato nella pietrosa Patmos, se guardava a occidente G io­
vanni vedeva venire dal mare nostrum la Bestia che si faceva
rivale di Dio, mentre se si volgeva a oriente, all’Asia proconso­
lare delle sette chiese, vedeva il falso Profeta tutt’intento a pro­
muoverne il culto, intollerabilmente blasfemo.

Revelation o f St. John thè Divine (I’sB 12), Nashville 1989 (11957) 464
(«agisce come sacerdote del culto imperiale»).
1 W.M. Ramsay, The Letters to thè Seven Churches ofAsta and their Place
in thè Pian o f thè Apocalypse, London 1904; Barclay, Revelation X III,
293 («rappresenta l’organismo per la diffusione e l’incremento del culto im­
periale»); S.R.F. Price, Rituals and Power. The Roman Imperiai Cult in
Asia Minor, Cambridge 1984; S. Friesen, Twice Neokoros. Ephesus, Asia
and thè Cult o f thè Flavian Imperiai Family (RGRW 116), Leiden ‫ ־‬New
York - Kòln 1993.
Capitolo 3

Le due idolatrie
diApoc. 8-16 a Efeso
1. l ’id o l a t r ia n e l n u o v o t e st a m e n t o
e n e l l ’a p o c a l is s e

1. L ’idolatria nell’esperienza quotidiana


delle chiese
L ’impatto con l’idolatria faceva parte inevitabilmente dell’espe-
rienza quotidiana delle chiese primitive perché in tutto il mon­
do greco-romano il culto degli dèi permeava ogni settore del­
l’esistenza, e l’irritazione attribuita a Paolo durante il suo sog­
giorno ateniese in Atti 17,16 era provata da ogni cristiano fer­
vente nella seconda metà del 1 secolo. A ll’interno del N .T. il te­
ma dell’idolatria però, in confronto con la sua frequenza nel-
l’A.T., è relativamente poco presente. Di idolatria si occupano
con qualche ampiezza il libro degli Atti degli Apostoli (14 ,11-
18; 15,20.29, e 1 7 , 16 ss.; 19,23-41; 21,25) e l’epistolario paolino
soprattutto nella lettera ai Romani (1,18 ss.) e nelle lettere ai C o ­
rinzi (/ Cor. 8-10; 2 Cor. 6,14-7,1).
L ’idolatria di cui si occupano sia gli Atti che Paolo è quella
in cui si rende culto agli dèi del panteon greco-romano e ai lo­
ro simulacri, coi problemi connessi come quello degli idolotiti.
Anche Apoc. si occupa di questa idolatria: la descrive chiara­
mente in 9,20 (cf. anche 21,8; 22,15) e SJ> °P P one consumo
degli idolotiti in 2,14.20. Ma la battaglia di Giovanni di Patmos
contro l’idolatria è ben più consistente di quanto non dicano
quei pochi versetti.

2. L ’Apocalisse e le due idolatrie


Dopo avere sbrigato l’idolatria «degli idoli e dei demoni» in
poche battute all’interno del settenario di flagelli che la colpi­
scono, Giovanni dedica infatti ben otto capitoli a una seconda
idolatria. Oltre che nel settenario di flagelli ad essa destinati

63
(Apoc. 15-16), egli la descrive in ben tre capitoli di antefatti in
cui introduce sulla scena la protagonista, la Bestia che si fa ado­
rare, e il suo mondo (Apoc. 12-14), e P °i in un'ulteriore descri­
zione della Bestia e delle sue complicità (Apoc. 17), e infine nel
racconto della sconfitta e della fine (Apoc. 18-20).
A ciò si aggiunge l’accurata differenziazione delle due idola­
trie. L ’idolatria degli idoli viene descritta in termini convenzio­
nali e stereotipati presi dall’A .T .1 e viene accomunata a peccati
e delitti comuni come il furto e l’omicidio (9,20-21). Giovanni
presenta invece l’idolatria della Bestia con un’inesauribile ric­
chezza di immagini di suo conio o di immagini bibliche e mi­
tiche rielaborate creativamente. E poi si dilunga a qualificarla
come emanazione satanica e parla del suo carattere blasfemo,
della parodia e della concorrenza che oppone al governo di Dio
e dell’Agnello. Parla della città in cui quelPidolatria ha la sua
centrale, delle strutture politiche e militari di cui si avvantag­
gia, dell’attività propagandistica e delle tecniche di mistificazio­
ne e persuasione o costrizione con cui si procura consenso. Una
ultima differenziazione è nei termini con cui si designa l’og­
getto di culto idolatrico: 9,20 parla di είδωλα, mentre in 13,14, f
e poi ripetutamente (13 ,15 ier; 14,9 .11; 15,2; 16,2; 19,20; 20,4) si
parla di una είκών, e questo con tre caratteristiche che è molto
istruttivo enucleare. Anzitutto, mentre il plurale di είδωλα par­
la di molteplicità e di genericità, il singolare di είκών parla in­
vece di unicità. In secondo luogo, mentre non è mai detto di
chi siano rappresentazione gli είδωλα, è esplicitamente detto
che 1’είκών è immagine del ■θηρίον che sale dal mare. In terzo
luogo το ‫׳‬δηρίον, nonostante il suo genere neutro, viene tratta­
to come maschile almeno quattro volte: in 13,8 (προσκυνήσου-
σιν αυτόν κτλ.), in 13^14 (τΦ $ηρίψ δς εχει την πληγήν κτλ.),
in 17,3 (‫׳‬δηρίον... γέμοντα... έχων κτλ.) e in 17,11 (το ■δηρίον...
καί αυτός δγδοός έστιν κτλ.).
Tutto dunque in Apoc. dice che la seconda idolatria, chiara­
mente caratterizzata come rivolta all'immagine di un uomo
(cf. il maschile di 13,8.14 ecc.), agli occhi di Giovanni era mol­
to più minacciosa della prima. E tutto dice che era essa a costi-
1 La formula di 9,20 («idoli d’oro, d’argento, di bronzo, di pietra e di le­
gno che non possono vedere né udire né camminare») è da confrontare
con Dt. 4,28; Sai. 115,4-7; 135,15-17, ma soprattutto con Dw. 5,4.23.

64
tuire il vero obiettivo del suo ardente zelo antidolatrico, degno
di un Elia. L.L. Thompson interpreta dunque in modo insod­
disfacente molti capitoli di Apoc. quando afferma: «Il proble­
ma principale riguarda il rapporto dei cristiani con gli aderenti
al culto tradizionale, piuttosto che il loro rapporto con il culto
dclPimperatorc». È invece più vicino al vero D .A. Desilva il
quale scrive: «Giovanni non si riferisce alla religione tradizio­
nale come principale nemico della vera adorazione. Piuttosto
egli sviluppa la sua polemica contro il culto imperiale, e lo fa
con ampiezza e con grande abbondanza di particolari».1
Per chi eventualmente cerchi un riscontro storico nella si­
tuazione delle chiese d’Asia a questi dati letterari, la documen­
tazione più ampia circa l’una e l’altra idolatria è quella offerta
dalla Efeso della seconda metà del i sec. d.C. Per questo la du­
plice idolatria sarà qui evocata storicamente ed archeologica­
mente a partire soprattutto dall’Artemision efesino per l’idola­
tria tradizionale, e dal tempio che in quella metropoli fu edifi­
cato e dedicato al culto degli imperatori biavi al tempo dell’im­
peratore Domiziano.

II. L ’ ID O LA T R IA T R A D IZ IO N A L E A EEESO

Gli Atti degli Apostoli (19,23-41) e gli apocrifi Atti di G io­


vanni (n.ri 37-47) dicono come la missione cristiana a Efeso in­
contrasse un massiccio sbarramento nelPArtemision. Il tem­
pio, che sorgeva a circa due chilometri dal centro cittadino
dell’epoca ellenistico-romana, è elencato tra le sette meraviglie
del mondo antico in sedici delle ventiquattro liste giunte fino a
noi e molti libri dell’antichità ne celebravano lo splendore e
l’importanza.2 L ’autopte Pausania (scripsit 160-180 d.C.) af­
ferma che i templi della Ionia erano senza rivali ma che in testa
a tutti era l’Artemision efesino.3 Quanto a dimensioni, era il
massimo edificio di tutto il mondo ellenico ed il primo edificio
di grandi dimensioni ad essere costruito interamente in mar-

1 Thompson, Book, 164, cf. 233 n. 54; Desilva, Image, 201.


2 Per le liste delle sette meraviglie cf. J. tanowski, Weltwunder, PW.S x,
1021-1024, per gli autori antichi che scrissero suH’Artemision cf. R. Oster,
The Ephesian Artemis as an Opponent o f Early Cbristianity: JA C 19 (15)76)
31. 3 Pausania, Perieg. 4,31,8; 7,5,4.

<>5
rao.1 Per le donazioni, i lasciti, i possedimenti, per i depositi
bancari di cui era sede internazionale, l ’Artemision era un pi­
lastro dell’economia di Efeso e dell’intera Asia, come fa capire
Elio Aristide (ca. 117 -17 8 d.C.), che chiama quel tempio «teso­
ro e forziere dell’Asia».2
Il simulacro di Artemide, riprodotto all’infinito sulle mone­
te, nelle statuette votive, negli ex-voto, nella decorazione delle
case, nei mosaici pavimentali, nei templi succursali della regio­
ne e di tutta l’area mediterranea, si riteneva caduto dal cielo o
da Zeus,3 e questo ne legittimava il culto con l’alone mistico di
un’origine trascendente.
La documentazione letteraria, numismatica ed epigrafica
non lascia alcun dubbio sul fatto che Efeso si identificava con
il suo Artemision più che con qualsiasi, altra istituzione religio­
sa o civica,4 e tuttavia le fonti antiche e l’archeologia documen­
tano poi abbondantemente la presenza a Efeso, come è ovvio,
di templi e di immagini per il culto per esempio a Zeus, alla dea
madre, ad Afrodite, Apollo, Efesto, Asclepio, Atena, Demetra,
Dioniso, Serapide.
r

i l i . EFESO E IL CULTO D EL SOVRANO

i . Il «neocorato» imperiale di Efeso


sotto Domiziano
A Efeso comunque, accanto ai culti di Artemide e del panteon
greco-romano, non mancava quel culto deU’imperatorc di cui
Apoc. si occupa con ampiezza e che dai tempi di Augusto ave­
va nelle province orientali e particolarmente nell’Asia procon­
solare il suo epicentro.5 Dalle monografie di D. Magie (19 jo) e

1 E. Akurgai, Ancient Civilizations and Ruins of Turkey, Istanbul ^198 5,


147·
2 Elio Aristide, Orai. 23,24 (citato da Oster, Epbesian Artemis, 34).
1 Cf. il 5i07t£Trjt; di Atti 19,3 5 (tradotto nella Volgata con Iovisque proles).
4 Cf. R. Oster, Ephesus as a Religioni Center under thè Principate, 1. Pa-
gamsrn before Constantine, ANRW n, 18.3, Berlin - New York 1990,
1728.
5 L. Cerfaux - J. Tondriau, Un concurrent du chrislianisme. Le cnlte des
souverains dans la civilisation gréco-romaine (BT 3; TB $), Tournai 1957,
395, definiscono l’Asia «centro vivente del culto imperiale»; M. Karrer,
Johannesoffenbamng als Brief. Studien zu ihrem literarischen, historischen

66
di S.R.F. Price (15)84) sul culto imperiale in Asia si ricava che
esso era presente in ognuna delle sette città di Apoc.: di cinque
- escluse Filadelfia e Laodicea - è sopravvissuta la documen­
tazione per sacerdoti e altari, e di sei - esclusa solo Tiatira -
per i templi.1
Gestito in ogni provincia e città secondo forme discreziona­
li, in Asia il culto del sovrano era coordinato da un’assemblea
(il xotvòv ’Aata<;, commune Asiae) dei rappresentanti delle va­
rie città, che si riuniva ogni anno.2 Attraverso il koinon le sin­
gole città partecipavano alla promozione e al finanziamento
delle feste, dei riti, dei sacrifici, dei giochi e dell’attività edili­
zia. Per la costruzione di un nuovo tempio, per la quale la deli­
bera del koinon doveva essere ratificata dal senato di Roma, le
città asiatiche erano in rivalità fra di loro, perché ospitare un
centro del culto imperiale coi relativi festeggiamenti costituiva
un ambito titolo di onore e di merito. Il primo tempio provin­
ciale fu costruito nel 29 a.C. a Pergamo sotto Augusto,3 come
Tacito attesta, aggiungendo che quello di Pergamo fu preso poi
come esempio in altre province. È ancora Tacito a narrare co­
me, cinquanta anni più tardi (21 d.C.), si giunse all’edificazio­
ne, sotto Tiberio, di un secondo tempio provinciale: erano in
gara undici città e ognuna di esse dovette sottoporre ragioni e
meriti al giudizio del senato di Roma per l’assegnazione del­
l’incarico e dell’onore. La scelta del senato cadde su Smirne per
i servizi resi dalla città al popolo romano in pace e in guerra e
per avere la città onorato Roma con un tempio in antica data,
e cioè in tempi non sospetti di opportunismo politico.4

und theologischen Ort (FRLANT 140), Gòttingen 1986, 290, parla di


«Kemland del culto imperiale»; H.-J. Klauck, Das Sendschreiben nach
Pergamon und der Kaiserkult in der Johannesoffenbarung: Bib 73 (1992)
160, parla di «Hocbburg del culto imperiale».
1 Cf. D. Magie, Roman Rule in Asia Minor to thè End of thè Third Century
after Christ l-li, Princeton 1950; Price, Rituals.
2 Cerfaux-Tondriau, Concurrent, 328, scrivono: «D’istituzione puramente
greca, quest’assemblea esisteva nelle province d’Asia, in Grecia, a Cipro,
in Siria, e più tardi in Fenicia». Per il koinon d’Asia, Magie, Roman Rule t,
448, parla di più di centocinquanta delegati. - Sui koina cf. E. Kornc-
mann, xotvóv, PW.S iv, 929-941.
3 Cf. per esempio Price, Rituals, 56, per la data (29 a.C.), e p. 252, per la
bibliografia. 4 Tacito, Ann. 4,37 e 4,15,55-56.

67
Il terzo tempio imperiale della provincia d’Asia fu eretto ap­
punto a Efeso, alla quale A tti 19,35 attribuisce il titolo di νεω-
κόρος, un titolo che, dalla fine del 1 fino al v secolo, designò
sempre più in modo esclusivo le città che ospitavano templi dei
culto imperiale.1 Insieme al testo di Atti 19 anche una moneta
del tempo di Nerone, che già attribuisce a Efeso un neocorato,
e monete domizianee, che parlano di un secondo neocorato
efesino, hanno fatto pensare a un primo neocorato imperiale
efesino sotto Claudio o Nerone.2 Ma quel neocorato più pro­
babilmente era attribuito a Efeso in quanto custode de! tempio
di Artemide, come dice anche tutto il contesto di Atti 19.3 A
parte questo, che appunto è discusso e generalmente non ac­
cettato come imperiale, il neocorato imperiale fu concesso a
Efeso quattro volte, delle quali la prima fu sotto Domiziano,
intorno agli anni 89-90 d.C.4
Per non essere da meno di Pergamo e Smirne, la rivale Efe­
so dovette certamente fare pressioni sul governatore della pro­
vincia, sul koinon, e più ancora sul senato di Roma e sull’im­
peratore.5 Con la comprensìbile aspirazione di Efeso ad avere
un riconoscimento pari alla sua importanza di metropoli asia-

r I! titolo, che etimologicamente designa l’inserviente a cui è affidata la


pulizia del tempio (νεώς = santuario, κόρος = scopa), era originariamente >
dato agli ufficiali subalterni, poi fu dato agli amministratori dei templi e
infine, appunto, alle città dove aveva sede un tempio provinciale eli culto
deirimperatore. Cf. S. Friesen, The Cult o f thè Roman Emperors in E-
phesus. Tempie Wardem, City Titles, and thè Interpretation o f thè Reve-
lation o f John, in H. Koester (cd.), Epbesos, Metropolis o f Asia. An In-
terdisciplinary Approack to iti Archaeology, Religion, and Culture (HThS
41), VaJley Forge 1995, 229-236. - L ’ultima menzione del titolo è in una
iscrizione del v secolo, da Sardi; cf. Friesen, Twiee Λ'eokoros, 58.
2 Così per esempio Kornemann, κοινόν, 93 j, c Thompson, Book, 173.
3 Così intende la Volgata che traduce νεωκόρος di Atti 19,35 con cultrix
magnae Dianae e così intende J. Keil, Die erste Kaisemeokorie von Ephe-
sos: NumZ 12 (1919) 115 -1 zo, citato e seguito da molti autori.
4 Per i quattro neocorati imperiali cf. la documentazione in Price, Rituals,
254-257. La datazione del primo è resa possibile dai nomi (che compaiono
sulle iscrizioni di cui sotto) dei proconsoli L. Mestrius Florus, L. Luscius
Ocrea, M. Fulvius Gillo i quali esercitarono il loro ufficio fra l’ 88 e il 91;
cf. Friesen, Twice Neokoros, 29-75.
5 Questa trafila amministrativa è descritta da Magie, Roman Rule n, 1432-
1433, e da Price, Rituals, 66-72.

68
tica, dovettero però convergere anche le esigenze «di immagi­
ne» della dinastia Flavia. Dopo i discussi imperatori della fa­
miglia Claudia, e dopo i mesi bui seguiti alla fine di quella di­
nastia per il suicidio di Nerone, la propaganda imperiale cercò
evidentemente di promuovere in tutti i modi il culto dei nuovi
prìncipi per imporre all’attenzione di tutti il «miracolo Flavio»,
che aveva portato al ristabilimento dell’ordine in tutte le pro­
vince, alla restaurazione della potenza militare con la vittorio­
sa conclusione della guerra giudaica, con la presa di Gerusalem­
me - e che aveva portato alla generale ripresa economica.1 N on
sono solo queste particolari circostanze storiche a dire l’im­
portanza che i responsabili dell’impero dovettero attribuire al
tempio e a Efeso come sua sede, ma anche il fatto che in quel­
l’occasione per la prima volta il titolo di vcojxópoe; fu dato a un
tempio di culto imperiale.2 Anche con questa innovazione Efe­
so si impose sulle città di tutta la provincia come loro rappre­
sentante nel rendere omaggio alla nuova dinastia imperiale, e
superò definitivamente la rivale Pergamo alla cui passata gloria
Augusto aveva dovuto piegarsi al momento di autorizzare gli
inizi del culto imperiale in Asia.

2. Il tempio efesino
per il culto degli imperatori Flavi
Il tempio efesino per il culto imperiale fu il primo in Asia ad
avere rilevanza urbanistica.3 Elevato su di una piattaforma ar­
tificiale di m 50 x 100, alle falde del monte Coresso, oggi mon­
te Bùlbul, era uno pseudodiptero di stile corinzio, con otto
colonne sulla facciata e tredici sui lati. Una stoa con colonnato
a tre ordini copriva il lato settentrionale del podio e le botte­
ghe ricavate nelle volte che lo sostenevano. Per tutta l’esten­
sione di quello splendido lato lungo del complesso templare,
le colonne dell’ordine superiore erano decorate con statue di
divinità che, a modo di cariatidi o di atlanti, sembravano costi-
1 Cf. R. Beauvery, /-e culte imperiai et le mite de Rome dans l:Apocalypse
johannique. Approche numismatique 1 (diss. datt.), Lyon 1984, 159; Frie­
sen, Twice Neokoros, 155-1 $6.
2 Cf, Price, Riluals, 65 n. 47; Friesen, Twice Neokoros, 56-59.
3 W. Zschiezschmann, Ephesos, KPauly n, Mùnchen 1975, 294.

69
tuire il solido sostegno dell'impero e dei suoi potenti e divini
governanti/ II bassorilievo che invece decorava l’altare rappre­
sentava un intreccio di armature, lance, scudi, trofei di guerra,
un prigioniero, e un animale sacrificale: il simbolismo questa
volta era quello della religione che legittima e sublima le im­
prese militari delio stato e che eleva il sovrano al di sopra dei
mortali fino a meritare i loro sacrifici/
Dai tempi del recupero archeologico si riteneva che il tem­
pio fosse dedicato a Domiziano, ma in base a quei documenti
ufficiali che sono le iscrizioni erette dalle città del koinon asia­
tico per l’inaugurazione del tempio,3 S. Friesen ha recentemen­
te dimostrato che il tempio fu dedicato ai SepaoToi (al plurale),
c dunque non a un solo imperatore.4 Friesen elenca poi tra gli
Augusti in questione anzitutto Tito, a motivo del ritrovamen­
to in situ della statua che lo raffigura; poi Domiziano suo fratel­
lo, per i nomi dei proconsoli in carica al suo tempo che figura­
no nelle iscrizioni e perché nelle iscrizioni è evidente la rasura
del suo nome (decretata dal senato di Roma alla sua morte per
la damnatio memorìae); e infine Vespasiano, il cui nome nelle
dediche fu sostituito a quello eraso di Domiziano.5 Friesen poi
prosegue escludendo che altri imperatori fossero venerati nel
tempio efesino o perché a qualche altro titolo già cooptati in
>
1 Cf. Friesen, Twice Neokoros, 75. Per la datazione domizianea della log­
gia-nord cf. T. Hilke, Ephesische Baubtitten in der Zeit der Flavier und der
Adoptivkaiser, in Lebendige. Altertumswissenschaft. Fs II. Vetters, Wien
15)85, 181. 186 n. 8, contro A. Bammer, [Éphèse]. Les fouilles récents dans
la ville romaine: MBib nr. 64 (1990) 22-33. Anche se la datazione dovesse
essere posticipata all’epoca degli Antonini come afferma A. Bammer, in
ogni caso la progettazione di essa non può non essere stata fatta se non
contestualmente a quella della piattaforma e del tempio.
2 Nei rilievo è raffigurato un toro che è condotto davanti all’altare per es­
servi sacrificato. L ’immagine illustra bene il problema delle carni immola­
te agli idoli (2,14.20) perché parte delle carni sacrificali era messa sul mer­
cato. Il fregio scultoreo, comunque, sembra essere del II secolo: cf. W.
Alzinger Ephesos vom Beginn der ròmischen Herrschaft■ in Kleinasien bis
zum Ende der Principatzeit (archdologisch), ANRW 11, 7.2, Berlin - New
York 1980, 820; Friesen, Twice Neokoros, 67 n. 56.
3 Ibid. 29-75. La documentazione più particolareggiata e più completa
sulle iscrizioni (tredici di numero) si trova alle pp. 28-49.
4 Ibid. 35-36. Comunque cf. già Price, Rituals, 255 e Magie, Roman Rnle
11,1434. 5 Cf. Friesen, Twice Neokoros, 37.


altri templi efesini (Augusto, Tiberio) o perché di infausta me­
moria (Caligola, Nerone) o perché morti in tempi ormai lonta­
ni (Claudio, e, in genere, gli imperatori prima di Vespasiano).

3. La statua cultuale di un imperatore Flavio


A due riprese, nel 1930 e nel 1969-1970, in occasione di lavori
di sterro al criptoportico della facciata ovest di cui s’è parlato,
sono venuti alla luce i frammenti di una statua colossale, che
misurava sette metri di altezza, alta quindi circa quattro volte
la grandezza naturale.1 I frammenti, ora al museo di Efeso-
Selguk dimostrano che si trattava di una statua acrolitica,2 e
dunque marmorea nelle sole estremità e lignea nel busto. Si
tratta con ogni probabilità della statua cultuale,3 o di una delle
statue cultuali,4 del tempio. E questo per tre motivi: 1. la sta­
tua non poteva essere collocata se non alPinterno di un edificio,
0 comunque al coperto, perché le parti in legno non potevano
restare esposte alle intemperie; 2. data la sua fattura, la statua
1 Cf. in Pricc, Rituals, 255, la documentazione per i reperti del i960 e per
gli ultimi in R. Merig, Rekonstruktionsversuch der Kolossalstatue des Do-
mitian in Epbesos, in Pro Arte antiqua. Fs H. Kenner (JÒI.S), Wicn 1985,
239-241. La informatissima monografia di Friesen, Twice Neokoros, col­
loca i primi frammenti della statua ancora al museo di Izmir (pp. 60. 61.
63), trasferiti invece a quello di Efeso-Sel$uk nei primi anni ’90, e, soprat­
tutto, non conosce i ritrovamenti degli anni 1969-1970. —Dopo i ritrova­
menti del 1969-1970 non è più possibile porre l’interrogativo se l’impera­
tore fosse rappresentato in piedi o in posizione assisa, come fanno per
esempio Akurgal, Ancient Civilizations, 166; Karrer, Johannesoffenba-
rung als Brief, 290; P.J.J. Botha, God, Emperor Worship and Society: Con-
temporary Experiences and thè Book o f Revelation: Neot 22 (1988) 95.
Tra i nuovi reperti infatti il ginocchio destro disteso, il ginocchio sinistro
ripiegato, e il tallone sinistro rialzato provano che l’imperatore era ritratto
in piedi, con la gamba destra quale gamba portante e quella sinistra come
gamba flessa. Cf. Merig, Rekonstruktionsversuch, 240.
2 Merig, Rekonstruktionsversuch, 239 s., fornisce l’elenco dettagliato dei
tasselli nei vari frammenti marmorei per il fissaggio di barre metalliche li­
gnee.
3 Così Price, Rituals, 255 e Merig, Rekonstruktionsversuch, 239-240, che
fornisce le prove.
4 Friesen, Twice Neokoros, 64 n. 52, calcola che nella cella del tempio ci
fosse spazio per cinque statue cultuali delle stesse dimensioni di quella so­
pravvissuta: una poteva trovare posto contro la parete di fondo e due in
ognuna delle pareti laterali.

71
non poteva essere collocata se non contro una parete per esser
guardata solo dal davanti;' 3, per una statua di quelle dimen­
sioni e di quella enfasi non era disponibile in zona altro luogo
coperto e adeguato se non la cella del tempio dei Flavi.
Dai tempi del primo rinvenimento si identificava l’impera­
tore raffigurato nella statua con Domiziano e si tendeva a spie­
gare il dato di fatto dei frammenti della statua come conseguen­
za del suo abbattimento violento allessassimo dell’imperatore
e alla damnatio memoriae.1 Ma ora S. Friesen ripropone con
forza l’identificazione già proposta da G . Daltrop e M. Wegner
nel 1966, per la quale l’imperatore rappresentato è Tito, a mo­
tivo delle fattezze del viso.3
1 Lo dimostrano i fori nella parte posteriore dell’avambraccio sinistro, i
tasselli sulle parti lisce dietro la testa e il fatto che la parte posteriore dei la
testa è non-finita, è non-rotonda ma piatta, e presenta un incavo di 40 x
47 cm, ricavato intenzionalmente per alleggerire il peso del marmo. Cf.
Friesen, Twice Neokoros, 62 n. 44 e soprattutto Merig, Rekonstrnktions-
versuch, 239-240.
2 Tra gir altri parlano di abbattimento violento per esempio Ch. Briitsch,
La Clarté de VApocalypse, Genève 51965 ['1940], 409 («La stame géante à
Ephèse fut culbutée par la foule delirante»), D. Knibbe, Epbesos vom Be-
ginn der romischen Herrschaft in Kleinasien bis zum Ende der Prinàpa-
ts/.eit (historisch), ANRW n, 7.2, Bcrìin - New York 1980, 775 (la statua
sarebbe stata fatta a pezzi e poi gettata «in den Keller») e Meri?, Rekon-
struktìonsversuch, 240 (la statua sarebbe stata gettata «in die Tiefe»), A f­
fermazioni del genere creano bensì un’atmosfera molto romantica intorno
alla statua, ma sono fuori di ogni prospettiva realistica. Fra l’altro Meri?
presuppone che, pur essendo il tempio ridedicato a Vespasiano e quindi
regolarmente utilizzato per gli usi religiosi e civici del caso, i frammenti
della statua dell’imperatore damnatus siano rimasti a giacere per secoli in
un luogo di passaggio, di traffico e di commercio quale era il criptoportico
e il colonnato occidentale. Mcrìg addirittura giunge ad attribuire a una
statua di Vespasiano il. frammento di una mano ancora di statua colossale
ma non appartenente a quella in questione (cf. p. 240), cosicché la statua
di Domiziano, precipitata violentemente in die Tiefe, si sarebbe conservata
quasi integralmente e in buono stato, mentre quella del padre, ad eccezione
di quella sola mano, si sarebbe volatilizzata anche senza alcuna damnatio
memoriae e senza distruzioni violente. Il fatto è che la sostanziale integrità
della statua di Efeso, soprattutto della testa, con le ciocche di capelli o le
ciglia in perfetto stato di conservazione, sembra escludere un abbattimen­
to violento.
3 Cf. Friesen, Twice Neokoros, 62, che cita G. Daltrop - V. Hausmann -
M. Wegner, Die Flavier, Berlin 1966. Cf. anche Hilke, Ephesische
Baubiitten, !86 n. 6, che cita J. Keil, Fiibrer durcb Epbesus, 'Wien '1964.

72
Questo già contribuisce a spegnere l’entusiasmo di chi vor­
rebbe identificare la statua del museo di Sel^uk con quella di cui
parla 13,14 -15 , e cioè la statua della Bestia-dal-mare fatta co­
struire e poi fatta adorare dalla seconda Bestia.' Ad escluderlo
c’è comunque anche il dato di fatto che la statua colossale di
Efeso non era una statua parlante come quella di 13 ,15 . Anzi­
tutto, le sottostrutture della cella non presentano nulla di simi­
le a quanto si trova per esempio nella cella del tempio degli dèi
egizi di Pergamo, detto «aula rossa», dove un cunicolo sotter­
raneo conduceva al luogo della statua cultuale l’intruso che ad
essa doveva prestare la voce.2 La bocca della statua di Efeso poi
non è confezionata in modo da far passare la trachea di gru di
cui parlano gli autori antichi per altre statue parlanti,3 o co­
munque da far passare la voce di uno speaker dal retro della
statua. E tuttavia, anche se questa non è la statua di Apoc. 13,
le sue colossali dimensioni parlano un linguaggio che ugual­
mente aiuta a capire la reazione di Giovanni di fronte al culto
imperiale, perché dicono la pretesa natura e dignità più che
umane dell’imperatore.4

1 Cf. Dibelius, Rom, 222: «L’Apocalisse è sorta nei dintorni del tempio,
insieme con la statua colossale del dio-imperatore»; Stauffer, Christ, 99:
«Satana s’apposta sulla riva del mare e convoca lo pseudo-Cristo. Questo
sorge allora dal mare sotto la forma di un mostro a sei [sìcJ diademi. Si de­
ve pensare qui aH’arrivo della statua imperiale al porto di Efeso?»; Price,
Rituals, 197: «Si è tentati di pensare che dietro al nostro testo c’è l’inaugu­
razione del culto provinciale di Domiziano a Efeso, con la sua statua cul-
tica. Devo confessare che non ho incontrato alcun’altra interpretazione
che si attagli al contesto sia geografico che cronologico»; Beauvery, Culle
impérial x, 71, che sotto la riproduzione della starna di Efeso mette la di­
dascalia: «Image de la Bete».
2 Cf. R. Salditt-Trappmann, Tempel der agyptischen Gótter in Griechen-
land und an der Westkiiste Kleinasiens (HPRO 15), Leiden 1970, 6. 20.
3 Cf. Luciano, Alexander 26, e Ippolito, Refut. omnium haer. 4,41, citati
da S.J. Scherrer, Signs and Wonders in thè Imperiai Cult: A New Look at
a Roman Religious Institution in thè Light o f Rev 13 ,13 -iy . JB L 193
(1984) 601-602. Sulle statue parlanti dell’antichità, oltre che i commentari
soprattutto di Bousset, Charles, Lohmeyer e Prigent, cf. F. Poulsen, Talk-
ing, Weeping and Bleeding Sculptures: ActAr 16 (1945) 178-195, e Price,
Rituals, 198, con bibliografia alla n. 151.
4 Secondo Price, ibid. 181-188, le dimensioni colossali delle statue degli
dèi e degli imperatori ad essi assimilati, esprimevano l’idea che il dio è così
grande da non poter essere contenuto in un tempio.

73
4· I giochi domizianei e il culto del sovrano

Con la costruzione del tempio dei Flavi, Friesen ha messo in


relazione un altro intervento urbanistico intrapreso anch’esso
sotto Domiziano, questa volta per iniziativa municipale. Sul
lato destro della grande via tecta che dal teatro conduceva al
porto si costruì negli anni 80 d.C. un grande complesso spor­
tivo che aveva un parallelo solo ad Olimpia.1 Come era il caso
della sola Olimpia, infatti, ora al porto di Efeso si accostarono
nella stessa area stabilimenti termali, una palestra e un ginna­
sio. Il tutto di dimensioni così grandiose da costituire il più am­
pio complesso architettonico di Efeso1 e il progetto più impo­
nente di tutto il principato di Domiziano:3 il solo ginnasio mi­
surava 240 x 200 m, e il tutto 360 m di lunghezza.4
Come in ogni ginnasio e in ogni palestra delle città ellenisti­
che, anche il ginnasio e la palestra al porto di Efeso erano de­
stinati a formare le giovani leve non solo con l’esercizio atleti­
co ma, insieme, anche con quello culturale: nelle sale annesse
tenevano lezioni maestri, filosofi e retori, locali o itineranti, e
si praticavano i culti civici e del sovrano.5 Soprattutto, però, in
base alla data di inaugurazione degli stabilimenti (ca. 89 d.C.),
in base al nome attestato dalle iscrizioni per le terme (βαλανεΐα
των Σεβαστών / του Σεβαστού), e in al base al prototipo preso
a modello, quello di Olimpia, l’area sportiva del porto di Efeso
è da ritenere che sia stata approntata per ospitare i giochi olim­
pici istituiti in onore di Domiziano in occasione della costru­
zione del tempio per il culto dei Flavi, giochi che la prima vol­
ta si tennero probabilmente nell’anno 89 d.C.é

1 Friesen, Twice Neokoros, 12 1-14 1. Friesen è seguito da J.N. Kraybill,


Imperiai Cult and Commerce in Jo bn ’s Apocalypse (JSNT.SS 132), Shef­
field, 1996, 26-29.
2 Akurga), Ancient Civilizations, 157; Friesen, Twice Neokoros, 121.
3 S.J. Friesen, Ephesus Key to a Vision in Revelation: BAR 19 (5,1993) 34.
4 Akurgal, Ancient Civilizations, 157.
5 Circa il culto imperiale nei ginnasi ci. Price, Rituals, 110. 143. 144-145.
1 56, e per il ginnasio di Efeso cf. Friesen, Twice Neokoros, 123-151.
6lbid. 123-141.

74
5· La scelta degli spazi come persuasore occulto

Fra i persuasori occulti più efficaci cui il culto degli imperatori


Flavi fece ricorso a Efeso fu la scelta degli spazi.1 Il tempio fu
costruito a ridosso dell’<2gora amministrativa, vicino al bouleu-
tèrion, al pritanèo e al tempio dedicato a Giulio Cesare e alla
dea Roma. Dunque, proprio dove pulsava il cuore politico della
città. Il tempio sorgeva al punto di congiunzione della via sa­
cra che veniva dall’Artemision con quella chiamata oggi «dei
Cureti», via che dalYagora politico-amministrativa conduceva
all 'agora commerciale, contigua al porto. A parte il fatto che per
essere eretto su di un podio elevato e in posizione centrale era
ben visibile da gran parte della città, il tempio sorgeva dunque
strategicamente proprio nel cuore della metropoli, a congiun­
zione dei centri politico e commerciale. L ’immenso spazio ne­
cessario per gli impianti sportivi dedicati ai giochi domizianei
furono invece ricavati nella zona animatissima del porto e del-
Yagora commerciale, ovviamente senza badare a spese o ad in­
teressi pubblici o privati.
Così, al tempo di Domiziano, Efeso ricuperava lo svantag­
gio accumulato nel corso di più di un secolo (29 a.C. - 90 d.C.)
nei confronti di Pergamo e Smirne, diventando anche ufficial­
mente città devota all’imperatore, oltre che ad Artemide, me­
diante la ristrutturazione di due aree urbanisticamente strate­
giche della città.

6. Il culto delVimperatore
quale nuovo centro di coesione
Questa era la tendenza evidentemente non solo di Efeso ma del­
la provincia nella quale come nella metropoli la vita andava ri­
organizzandosi e trovando un nuovo centro di coesione nel­
l’omaggio al sovrano come artefice del comune benessere. Nel
vissuto d’ogni giorno l’imperatore era il dio concreto e vicino.
Egli era incarnazione della divina providentia, con l’appronta­

1 Cf. Thompson, Book, 177, per il quale la gente era in grado di cogliere la
relazione tra centro religioso e centro politico «simply by walking thè
streets», e cf. il paragrafo intitolato: «The transformation of civic space» in
Price, Rituals, 136-146.

75
mento di strutture e servizi sociali un po’ dovunque, con le sue
sovvenzioni in tempo di carestie, incendi e terremoti.1 Tra im­
peratore e province c’era come uno scambio reciproco, di pro­
tezione da una parte e di gratitudine dall’altra, per cui più che
di culto dclPimperatore si dovrebbe parlare di culto del Bene­
fattore/ Si compiva cosi quel processo tipicamente ellenistico
che aveva portato pian piano i cittadini della polis dell’epoca
classica a sentirsi cittadini dell’ecumene. In un tempo nel quale
oramai la polis, integrata nell’impero, non aveva un proprio e
autonomo futuro, l’imperatore sempre più prendeva posto ac­
canto alle divinità civiche come protettore della città,5 e ancor
più come promotore della prosperità e dell’ordine del cosmo.
Apoc., oltre che libro di resistenza alla persecuzione, come si
presenta a prima vista, è dunque un libro di resistenza all’ideo­
logia c allo stile di vita della pax Romana,. Si spiega così come
l’idolatria della Bestia polarizzi l’ interesse e la conseguente con-
danna di Giovanni più che non l’idolatria tradizionale: non tan­
to o non solo a motivo del suo lato duro, quello della persecu­
zione, bensì soprattutto del suo lato suadente, e cioè dell’ allet­
tante prospettiva del benessere che insidiava gli spiriti.

IV. IL TEM PIO IM P E R IA L E E LA D ATAZIO N E


d e l l ’a p o c a l is s e

Quanto si è detto su) tempio imperiale costruito in età domizia-


nca a Efeso potrebbe essere in qualche modo indicativo per la
data di composizione dell’apocaiisse giovannea, prescindendo
dal fatto che Domiziano abbia o no preteso titoli divini come di­
ce Svetonio,4 o abbia o meno incrementato il culto imperiale.
1 Botha, God, 90, esemplifica con il terremoto di Sardi.
2 Jbid. 87: «Culto del Benefattore sarebbe un titolo più indicato», con ri­
mando a M.P. Charlesworth, Some Observations on Ruler-Cult, Especially
in Rome: IlThR 28 (1935) 8.
3 A. Yarbro Collins, Insiders and Outsiders in thè Book o f Revelation and
its Social Context, in J. Neusner et al. (ed.), «To See Ourselves as Others
See Us». Christians, Jews, «Others» in Late Antiquìty, Chico 1985, 215,
scrive: «Gli imperatori erano ora adorati allo stesso modo con cui prima
venivano adorate le divinità protettrici della polis. Il risultato fu che la vita
quotidiana era incentrata non tanto sulla città-stato ma suH’impero».
4 Svetonio, Domit. 13,2.


Secondo D. Warden, per esempio, non c’è alcuna prova che
Domiziano abbia promosso il culto del sovrano ad àmpio rag­
gio e che in Asia quel culto, dove era tradizionale, da Domi­
ziano sia stato incrementato in qualche modo. Alla seconda
precisazione, quella che riguarda l’Asia, Warden collega esplici­
tamente la questione della data, scrivendo: «Ne segue [dal fat­
to che Domiziano non avrebbe preteso titoli divini né favorito
l’incremento del culto imperiale] che non c’è motivo di datare
Apoc. agli ultimi anni del regno di Domiziano». E aggiunge:
«Tentare di fare questo significa confondere maldestramente
pettegolezzo imperiale (imperiai gossip) e intrighi romani con
il Sitz im Leben della chiesa in Asia Minore».1 Per il vasto mon­
do dell’ impero egli cita Price secondo cui, durante i quindici
anni di regno di Domiziano, fu costruito un numero minore di
templi che non nei quindici anni precedenti e nei quindici se­
guenti. Per l’Asia, invece, e per Efeso in particolare, egli non
può non ammettere il fatto della costruzione del tempio efesi­
no e della presenza di numerose iscrizioni dedicatorie in onore
di Domiziano, e riconosce che il tutto potè essere avvertito co­
me una minaccia da parte dei cristiani, ma - dice Warden - que­
sto non comportò alcun cambio d’epoca nel versamento di san­
gue cristiano e nella consistenza del culto dell’imperatore.
Warden insomma fa questione delPedificazione di pochi o
di molti templi. Ma per spiegare la composizione di Apoc. in
fondo è sufficiente l’edificazione di un tempio soltanto: dopo­
tutto, in contrasto con i molti είδωλα dell’idolatria tradiziona­
le, Giovanni collega con l’altra idolatria una sola εικών idola­
trica. N on è dunque illegittimo pensare che egli abbia reagito a
fatti di rilevanza cittadina e provinciale come quelli della ri­
strutturazione urbanistica di Efeso nella zona Ae\Yagora politi­
ca e in quella delì’agora commerciale presso il porto. E questo
richiederebbe di ambientare la composizione di Apoc. non sot­
to Nerone come vogliono alcuni interpreti di Apoc., ma sotto
Domiziano, anche se non proprio o comunque non necessa­
riamente alla fine del suo principato, come dice il testimonium
Ir ertaci?
1 Warden, Imperiai Persecution, 207-208: 208.
2 Così Friesen, Cult, 245-250. - La datazione neroniana di Apoc. è soste­
nuta da A.A. Bell, The Date o f John’s Apocalypse. The Evidence o f Some

77
Forse Giovanni di Patmos ha visto i lavori di costruzione del
tempio, o forse ha soltanto assistito o sentito parlare, esterre­
fatto!, di qualche festa o rito cittadino in onore del «divino»
Domiziano. Senza farsi intimorire dall’uomo più potente della
terra che tutti riverivano, lo ha definito «la Bestia», e contro il
culto offertogli a Efeso dall’intera provincia asiatica stilò uno
dei libri più aggressivi che mai siano stati scritti.
Roman Historians Reconsidered: NTS 25 (15)79) 513102‫ ; ־‬R.B. Moberly,
When Was Revelation Conceivedf: Bib 73 (1992) 376-393; Wilson, Do-
mitianic Date, 587-605 e Th.B. Slater, Dating thè Apocalypse to John: Bib
84 (2003) 252-258. L ’argomento forte di questi tre autori è che Apoc. si
ambienta nei turbolenti 18 mesi seguiti al suicidio di Nerone meglio che
in qualsiasi altro tempo. Ma ciò che provocò la stesura di Apoc. è il micro­
cosmo di Giovanni e delle sue chiese piuttosto che gli eventi della politica
intemazionale. - F.G. Downing, Pliny’s Prosecntions o f Christians: Revela­
tion and / Peter: JSN T nr. 34 (1988) 105-123, propone con forza la datazio­
ne di Apoc. all’epoca di Traiano.
Capitolo 4

Giovanni di Patmos ,
Patmos, e la «persecuzione»
I. G IO V A N N I D I PATMOS - GIO V AN N I A PATM OS

i. Giovanni di Patmos
L ’autore dell’Apocalisse si attribuisce il nome di Giovanni quat­
tro volte: tre all’inizio (1,14 .9 ) e una alla fine del libro (22,8).
Poiché egli fa ricorso a tanti elementi propri della letteratura
apocalittica, bisogna anzitutto chiedersi se da quella letteratura
non prenda anche la pseudepigrafia, e cioè la consuetudine di
mettere uno scritto in spirituale continuità con l’opera di un
grande protagonista religioso del passato attribuendone a lui la
scrittura. Secondo l’ipotesi pseudepigrafica, dunque, un anoni­
mo autore della tradizione giovannea avrebbe attribuito Apoc. a
Giovanni figlio di Zebedeo, autore anche del quarto vangelo.1
L ’ipotesi pseudepigrafica non può essere del tutto esclusa
ma non ha un alto grado di probabilità dal momento che in
Apoc. non ci sono gli indizi né i presupposti della pseudepigra­
fia. In Apoc. per esempio non c’è alcuna esaltazione agiografica
dell’«autore» come si trova sia nell’A.T. per il Salomone del li­
bro della Sapienza, sia nella letteratura pseudepigrafica interte-
stamentaria per esempio per Enoc, sia infine nel N.T. per il
Paolo delle Lettere Pastorali e per il Pietro di 1-2 Pt. Non si
comprende cioè come un ammiratore di Giovanni di Zebedeo,
che a lui attribuirebbe il proprio scritto ritenendolo un mae­
stro senza uguali, lo privi del suo impareggiabile titolo di apo­
stolo che pur conosce e celebra (21,14) e lo presenti invece co­
me fratello di cristiani inclini al compromesso, tiepidi, medio­

1 È sostenitore del carattere pseudepigrafico di Apoc. per esempio J. Becker,


Pseudonymitdt der Johannesapokalypse und Verfasserfrage: BZ 13 (1969)
i o i ‫ ־‬io2. Per l’opinione contraria cf. invece J.J. Collins, The Christian Ap-
propriation o f thè Apocalyptic Genre, in iqooth Anìversary o f St. John’s
Apokalypse. Proceedings of thè International and Interdisciplinary Sym­
posium (Athcns-Patmos, 17-26 September 1995), Athens 19 9 9 ,5 17 -5 18 .

79
cri e nient’ affatto irreprensibili. Anche il comando di non si­
gillare le parole del libro (22,10) va in senso contrario all’usua­
le finzione pseudepigrafìca del ritrovamento di un libro scritto
da qualche grande personaggio del lontano passato.
Se il nome di Giovanni è reale, allora possono entrare in que­
stione Giovanni il Battista, Giovanni il Presbitero o Giovanni
di Zebedeo. La sorprendente ipotesi che Giovanni il Battista
abbia ispirato gran parte di Apoc. e che un suo discepolo l’ab­
bia cristianizzata è stata bensì proposta1 ma com’era prevedi­
bile non ha incontrato alcun favore. Giovanni il Presbitero, di
cui nell’antichità parla il solo Papia di Gerapoli,2 per essere
preso in qualche considerazione dovrebbe essere il Presbitero
che è autore di 2-3 G v. (e in qualche stretto rapporto con l’au­
tore di 1 Gv.), il quale però non chiama mai se stesso «Giovan­
ni». Le lettere poi sì occupano bensì della vita interna delle
chiese giovannee e delle loro crisi di crescita così come fa an­
che Apoc. 2-3, ma in esse i problemi delle comunità giovannee
nascono da una disputa sulla venuta del Cristo «nella carne» (2
G v. 7; cf. / Gv. 4,2) che poi portò alla spaccatura e alla seces­
sione (1 G v. 2,19), mentre in Apoc. l’autore è in contrasto con
Nìcolaiti e Gezabeliti circa la manducazione delle carni immo­
late agli idoli (2,6.14-15.20-24) c quindi circa il rapporto da in­
trattenere o no con l’idolatria che ispirava in grande misura la
vita delle professioni c in genere delle città. Mentre poi nei
confronti dei suoi destinatari l’autore delle lettere si sente in
rapporto paterno («Figli miei, questo vi scrivo ecc.», 1 G v. 2,1
e passim; 3 G v. 4), in Apoc. Giovanni si dichiara ripetutamente
fratello sia dei profeti locali (22,9), sia dei semplici fedeli (1,9).
Quanto infine allo stile, da un lato non c’è nulla di più mono­
tono delia 1 G v., e dall’altro nulla di più coinvolgente di .Apoc.
Resta Giovanni di Zebedeo. La tradizione antica - con pochis-
1 Massyngberde Ford, Revelation, 28-46, cf. in particolare p. 37.
2 Papia è citato da Eusebio, Hist. eccl. 3,39,4. - Oltre a Bousset, Moffatt,
Lohmeyer, Lohse, per questa opinione cf. per esempio J.J. Gunther, The
Rider John Author o f Revelation: JSN T nr. 1 1 (1981) 3-20, e M. Hengel,
La questione giovannea (SB 120), Brescia 1998 (Tiibingen 1998) 300-303.
-T ra gli autori contrari basti citare P. Prigent, L ’Apocalypse de Saint Jean.
Edìtion revue et augmentée (CNT 14), Genève 2000, 35, il quale scrive:
«Ricorrere all’ipotesi del presbitero Giovanni è spiegare l’oscuro con il te­
nebroso».

80
simc eccezioni - lo ritiene autore sia di Apoc. che del quarto
vangelo,1 e non è facile disattenderla, perché per esempio G iu­
stino ha scritto a distanza di pochi decenni dalla composizione
di Apoc. e Ireneo era originario dell’Asia dove essa è ambienta­
ta. I sostenitori moderni della sentenza tradizionale spiegano
le differenze di teologia c di stile tra Apoc. e quarto vangelo a
partire dalla diversità di circostanze e di genere letterario o at­
tribuendo il quarto vangelo ad un autore diverso da Giovanni
di Zebedeo. Le difficoltà che si possono sollevare contro que­
sta opinione sono almeno tre:
1. L ’immagine che l’autore di Apoc. dà di sé non è quella di
chi è stato per anni a fianco di Gesù come suo discepolo, né
quella del fondatore di una delle più ricche e influenti tradi­
zioni del N.T., né di chi quindi gode di quell’indiscussa auto­
revolezza che nel quarto vangelo si attribuisce al Discepolo
Amato o di quella attribuita ai dodici apostoli dell’Agnello che
sono collocati a glorioso fondamento della città escatologica in
2 1,14 . È‫ ׳‬invece un profeta-scrittore che trova rivali e opposi­
tori in piccole chiese locali e da essi vi è messo in difficoltà.
2. Quanto al vocabolario e al linguaggio, l’autore di Apoc.
sembra comportarsi con il patrimonio giovanneo così come si
comporta con i testi dell’A.T. che sempre sottopone a persona­
le rielaborazione. Quando per esempio nel vangelo un titolo
cristologico è accompagnato dal genitivo «di Dio», l’autore di
Apoc. usa il titolo assolutamente («Agnello di Dio» in G v.,
«Agnello» in Apoc.) e viceversa («Logos» in G v., «Logos di
Dio» in Apoc.). E ancora: mentre nel vangelo i segni sono ope­
rati da Gesù per portare alla fede (2 ,11; 20,30-31), i grandi se­
gni di Apoc. sono ambientati nel cielo, non sono opera di G e­
sù, non devono portare alla fede e uno di essi è il Drago, l’av­
versario per eccellenza. E ancora: l’autore di Apoc. osa descri­
vere il trono di Dio e perfino l’aspetto di Dio che è quello di
due pietre preziose (4,3), mentre il vangelo afferma che «Dio,
nessuno mai lo ha visto» (1,18, cf. anche 1 G v. 4,12). Se queste
differenze possono essere dovute al variare del genere lettera­
rio, lo stesso non si può dire per esempio del differente concet-
x Così fanno Giustino, Ireneo, Tertulliano, Clemente Alessandrino ecc.,
mentre le eccezioni sono quelle degli alogi, del presbitero romano Gaio e di
Dionigi d’Alessandria.

8l
to di «giudeo»: in Gv. è un concetto prevalentemente negati­
vo, equivalendo a «chiuso alla fede in Gesù» e, se positivo, è con
nettezza distinto dal concetto di «discepolo di Gesù» («la sal­
vezza è dai giudei», 4,22; cf. 9,22; 13,33), mentre in Apoc. è ti­
tolo sempre del tutto positivo, negato all’Israele storico e riven­
dicato per la chiesa cristiana (2,9; 3, 9; cf. 2 1,12 -14 ).
3. In Apoc. il modo di narrare non è quello del quarto evan­
gelista. in Apoc. non c’è nulla della monotonia dei discorsi gio­
vannea. C ’è invece una capacità ineguagliabile d’invenzione fan­
tastica e narrativa. Se il quarto vangelo si può paragonare a un
fiume pigro e sonnolento, l ’Apocalisse è invece un tumultuoso
torrente di montagna che attraversa paesaggi sempre mutevoli
c che a volte si inabissa per riemergere più oltre. Narra, infatti,
lasciando al lettore di colmare lacune narrative, chiedendogli di
vedere le immagini in evoluzione metamorfica o facendogli udi­
re un oracolo erratico alla prima persona singolare nel bel mez­
zo di agitati preparativi militari (16,15) o tutt’una incalzante se­
quenza di frasi, miscellanea e sincopata, nel gran concertato fi­
nale (22,6-21).
In conclusione, sembra che l’autore di Apoc, sia vissuto nel­
l’ambito giovanneo, sembra che si chiamasse davvero Giovan­
ni, ma sembra essere un Giovanni diverso dal figlio di Zebe-
deo e un autore diverso dall’autore del quarto vangelo. Per
esprimere sinteticamente tale complessità di dati letterari e sto­
rici, lo si può chiamare Giovanni «di Patmos».

a. Giovanni a Patmos.
Ipotesi di un soggiorno volontario
Sprovvista di qualsiasi rilevanza sia storica che simbolica, Pat­
mos, la piccola isola delle Sporadi nella quale 1,9 1 ambienta la
vicenda di Giovanni, ben difficilmente fu da lui scelta coinè
scenario fittizio del suo soggiorno.2 Ma non c’è consenso circa

1 Sull’autoprescntazione di Giovanni in questo versetto e in Apoc., non


dal punto di vista biografico ma letterario, cf. F. JBovon, se présente
(Apocalypse 1,9 en particulier), in ryooth Aniversary 0f St. John’s Apoka-
lypse. Procecdings of thè International and Intcrdiscipiinary Symposium
(Athens-Patmos, 17-16 September J995), Athens 1999, 373-382.
2 Così vorrebbe un, manoscritto della Volgata che traduce:/«/ in spiritu in

82
i motivi della sua effettiva presenza nelPisola. Da 1,90 (διά τον
λόγον τοΰ ■ίίεοΰ καί την μαρτυρίαν Ιησού) la tradizione antica
e gran parte dei moderni traggono la conclusione che Giovan­
ni fu nell’isola in stato di confino. Le interpretazioni alternati­
ve ipotizzano una motivazione apostolica o la ricerca di condi­
zioni adatte alla rivelazione.
La ricerca di un campo apostolico a Patmos da parte di G io­
vanni è difficilmente credibile.1 È ben vero che l’isola non era
affatto disabitata2 dal momento che, anche in mancanza di ri­
cerche sistematiche, la documentazione epigrafica occasionale
la dice provvista di un ginnasio e fa di essa un centro del culto
di Apollo e la sede di un tempio di Artemide.3 Nel ginnasio bi­
sogna tra l’altro ambientare una certa attività culturale animata
da maestri e da conferenzieri di passaggio, c attorno al tempio
di Artemide la festa annuale in onore della dea, della durata di
alcuni giorni almeno, alla quale certamente si accorreva dalle

insula (citato da Zahn, Offenbarung 1, 180-181 n. 5), e così affermano E.


Lipinski, L ’Apocalypse et le martyre de Jean a Jérusalem■. NT 11 (1969)
225, 231 e J.-P. Charlier, L ’Apocalypse de saint Jean. Écriture pour la fin
des temps ou fin des Écritures?'. LumVit 39 (1984) 421. - Gli scrittori antichi
che parlano di Patmos sono Tucidide 3,33; Strabone, Geogr. 10,5,13, e Pli­
nio, Nat. bist. 4,23,3. Il primo ne parla narrando azioni belliche sulle acque
dell’Egeo; il secondo e il terzo nella descrizione delle Sporadi e Cicladi.
1 Attribuiscono qualche grado di probabilità a quest’ipotesi Bousset, Cer-
faux-Cambier, Camps, Corsini e Thompson. Sono contrari Beckwith,
Zahn («assurdo»), Lohmeyer, I ladorn («incredibile»), Kittei, Behm, San-
ders, Feuillet, Kraft, Yarbro Collins (da escludere per motivi linguistici),
U.B. Muller («infondato»), M. Karrer, Beasley-Murray («improbabile»),
Hemer e Klauck.
2 Contro J. Frings, Das Patmosexil des ApostelsJohannes nach Ap 7,9: ThQ
104 (!923) 26 («isola desolata e povera di abitanti»); H. Kraft, Die Offen­
barung des Johannes (HNT i6a), Tubingen 1974, 40 («piccola e povera di
abitanti. Sul suo suolo non c’era una sola città»); U.B. Muller, Die Offen­
barung des Johannes (ÒTK 19), Gutersloh-Wurzburg 1984, 81 («molto
scarsamente abitata»).
3 C f.J.E. Renan, J.’Antéchrist, Paris 1873, 372. 373: «Nell’antichità greca
Patmos fu fiorente e molto popolata. Si ha torto di rappresentarla come
uno scoglio e come un deserto». Renan poi cita (p. 373 n. 4) M. Guérin se­
condo il quale all’epoca ellenistica l’isola aveva 12000 o 13000 abitanti.
Cf. poi H.D. Saffrey, Relire VApocalypse à Patmos: RB 82 (1975) 397. 398,
che scrive: «Patmos non era affatto un’isola deserta, una di quelle isole da
capre così frequenti nel Mar Egeo. Al contrario, era piena di vita ecc.».

83
isole vicine e da Mileto, Didyma e Efeso.1 Patmos poi, per la
sua particolare morfologia di isola a mezzaluna molto ricurva,
metteva a disposizione di chi faceva rotta tra Roma e l’Asia pro­
consolare un porto naturale molto sicuro,2 l’ultimo tra Roma
appunto e Efeso o Mileto, da cui distava un giorno di naviga­
zione.3 Nonostante tutto questo, però, per il numero ridotto
di abitanti, e per la mancanza di entroterra, Patmos non si pro­
poneva affatto come centro di missione, soprattutto per uno
come Giovanni che dal punto di vista della strategia missiona­
ria aveva fatto la scelta preferenziale della città, allo stesso
modo di Stefano e di Paolo.4
Che Giovanni poi fosse a Patmos in cerca di rivelazioni è al­
trettanto improbabile.5 Contro questa strana ipotesi, sulla scia
di H.B. Swete e soprattutto di R.H. Charles, i commentatori
ripetono puntualmente quattro argomentazioni: 6 r. in Apoc.
διά con l’accusativo significa sempre «a causa di / in conse­
guenza di», e mai «al fine di / per amore di»; 2. di fatto la stcs-

1 Jbid. 397-398 (per le attività culturali) e 410 (perla festa di Artemide).


2 Cf. Renan, Antéchrist, 375: «Patmos era una delle stazioni marittime più
importanti dell’arcipelago, dal momento che è crocevia di molte linee, ...
una sorta di emporio del mercato marittimo, un punto d’incontro utile ai
viaggiatori». Ma cf. anche C.J. Hemer, The Letters to thè Severi Churches
o f Asia in their Locai Setting QSNT.SS n ), Sheffield 1986, 27, che defini­
sce Patmos «uno dei migliori approdi di tutto l’Egeo».
3 Cf. Renan, Antéchrist, 375. Lohmeyer, Offenbarung, 13 e A. Wikenhau-
ser, L ’Apocalisse di Giovanni (NTC 9), Brescia 1960 (Regensburg '1947)
49, precisano che si trattava di 14 ore di navigazione da Efeso. Oggi, con
un’imbarcazione a motore, dai dintorni di Efeso a Patmos si impiegano
circa cinque, sei ore.
4 Così Zahn, Offenbarung 1,188 s. e D. Georgi, Who is thè True Prophetl·.
HThR 79 (1986) 12 j. In effetti Giovanni pone la città al centro sia delle sue
battaglie, sia dei suoi sogni, come dicono anche Karrer, Johannesoffenba-
rung als Brief, 259-260; Bauckham, Teologia, 151 («Il mondo cristiano
dell’Apocalisse è un mondo cittadino») e J.-P. Charlier, hcriture, 428 s., xi
quale parla di «urbanismo di Dio» e scrive: «L’autore di Apoc. è un cittadi­
no, un cristiano che ama la città e si affligge per la caduta di Babilonia».
5 Non escludono l’ipotesi o ne sono sostenitori Bousset, Kraft, Sweet e
Bauckham. Tra gli oppositori sono Renan, Antéchrist, }74 η. 1 («L’idea del­
la solitudine non ha nulla a che fare qui. L ’isola era molto popolata»), U.
B. Muller («infondato»), e Prigent, secondo il quale Charles ha messo fine
alla discussione sull’argomento nonostante il nuovo tentativo di Kraft.
6 Cf. Swete, Apocalypse, 12; Charles, Revelation 1,21-22.

84
sa formula nei paralleli di 6,9 e 20,4 parla dell’uccisione dei mar­
tiri cristiani; 3. la traduzione di Sta con valore finale non spie­
gherebbe il fatto che Giovanni dica di essere, a Patmos, com­
partecipe coi fratelli asiati nella tribolazione (1,9) c infine 4. la
tradizione antica ha sempre inteso 1,9 nel senso giuridico di
provvedimento restrittivo delle autorità contro Giovanni.

3. Giovanni a Patmos.
Ipotesi di un soggiorno obbligato
La presenza di Giovanni a Patmos dunque era probabilmente
dovuta a un provvedimento repressivo per avere egli in qual­
che modo disturbato l’ordine e la quiete pubblica o con il suo
proselitismo o con l’opposizione a istituzioni o consuetudini
civiche.
Quanto alla configurazione giuridica della pena inflitta a
Giovanni le possibilità di solito prospettate sono tre. La prima
è la damnatio ad metalla, cioè la condanna ai lavori forzati nelle
miniere.1 La damnatio veniva decretata esclusivamente dal tri­
bunale dell’imperatore ed era inflitta non a chi apparteneva al­
le classi elevate bensì alle persone libere di rango inferiore, ol­
tre che soprattutto agli schiavi.2 Era la pena più dura dopo la
pena di morte. Emessa la sentenza, il condannato cessava di ap­
partenere alla sua famiglia e diveniva proprietà dello stato in­
sieme con il suo patrimonio.3 Veniva marchiato col fuoco, gli
si rasava a metà la capigliatura, doveva lavorare assicurato alle
catene o ai ceppi e sotto sorveglianza militare. La damnatio era
una pena di per sé in perpetuum anche se di solito, quando di­
veniva inabile al lavoro, il condannato veniva restituito alla fa­
miglia.4
1 Era opinione diffusa anche tra gli antichi: cf. Vittorino (PL Suppl. 1,14 3 .
144), Girolamo (ibid. 143) e Primasio (PL 68,79613). Tra i moderni cf. Ram-
say, Salguero, Morris, Barclay.
2Th. Mommsen, Le droit pénal romain in, Paris 1907 (Leipzig 1898) 290
n. 3. 295. - Nonostante abbia scritto nel xix secolo, questo autore resta il
più documentato in materia di diritto romano e sarà citato ripetutamente.
3 Ibid. in, 290-291. Mommsen aggiunge che, per essere distinto dagli schia­
vi, appartenenti allo stato ad altro titolo, chi era damnatus ad metalla ve­
niva chiamato servo o schiavo della pena (servus poenae).
4 Ibid. ni, 293-294.

85
La seconda e la terza possibilità erano la deportano in insu-
lam e la relegatio in insulam. In tutti e due i casi si trattava del­
l’internamento o confino: in Sardegna, in Corsica, in un’isola
dell’Egeo o in qualche oasi dei deserti dell’Asia e dell’Africa.1
Tutte e due queste pene si infliggevano a coloro che apparte­
nevano alle classi più alte e con disponibilità di risorse econo­
miche perché il condannato non fosse a carico dello stato ma
potesse essere mantenuto attingendo ai suoi stessi averi.2 Le
due pene differivano in quanto la deportatio, in assenza di pre­
cisazioni, era perpetua, comportava la perdita della cittadinan­
za, la confisca del patrimonio e la pena capitale in caso di in­
frazione del confino. La relegatio invece poteva essere anche
ad tempus, non modificava la capacità giuridica del condanna­
to, non comportava la confisca dei beni, né la pena di morte
per il contravventore dei confino.3

4. Damnatio, deportatio o relegatio


Riguardo a tutti e tre questi modi di configurare il soggiorno
forzato di Giovanni a Patmos ci sono difficoltà. Una damnatio
ad metalla difficilmente si può ambientare a Patmos perché
nell’isola non esistono miniere. Esiste bensì una piccola cava di
marmo, ma «il marmo bianco della montagna di Kynops o Ge-
noupas è di qualità mediocre» e «l’insieme dello sfruttamento
della cava non va oltre il bisogno dell’isola».4
1 Cf. G. Sabatini, Deportazione: Novissimo Digesto Italiano v, Torino
1960, 491. - In Sardegna furono per esempio deportati non solo papa Pon-
ziano e il suo presbitero Ippolito, nel 235, al tempo della persecuzione di
Massimino il Trace, ma i cristiani «a centinaia»: così M. Pia, Deportazione,
EncTr x i i , Milano 19.31, 633. - In Corsica, è noto, fu esiliato Seneca (Oc-
tavia 382); per le oasi dell’Egitto cf. Digesto, 48,22,75,1.
2 Mommsen, Droit in, 315, precisa che per la stessa colpa gli appartenenti
alle classi inferiori erano condannati ad metalla. Informazioni più partico­
lareggiate si trovano in V. Arangio Ruiz, Storia del diritto romano, Napoli
*1942, 251. 3 Digesto 48,22,17,2. Cf. Sabatini, Deportazione, 490.
4 G. Camps, Patmos, DBS v i i , Paris 1966, 74. Alla colonna precedente
Camps scrive: «Non esistevano miniere né cave sfruttate dallo stato». J.N.
Sanders, St John on Patmos: NTS 9 (1962-1963) 76, aggiunge che un con­
dannato ai lavori forzati non è nelle condizioni di potersi dedicare alla let­
teratura o di poter sopravvivere per farlo. Swete, Apocalypse, ci.xxvu n. 1
e Hemer, Letters, 27, e n. 5 di p. 222, parlano di cave (non miniere) nella

86
Contro la deportati() e la relegatio sta il fatto che nessun te­
sto deirantichità elenca Patmos tra le isole Egee che la magi­
stratura d’epoca imperiale aveva selezionato come luoghi di pe­
na, tra le quali, secondo le fonti antiche, figuravano per esem­
pio le isole di Donousa, Kìnaros, Sèriphos, Gyàros.1 In secon­
do luogo le due pene generalmente erano da scontare in luoghi
remoti dal luogo di residenza o di attività, e invece Giovanni,
chiaramente attivo in Asia,2 sarebbe stato al confino a neanche
50 miglia di navigazione da essa.3 In terzo luogo deportatio e
relegatio erano pene per persone di rango e di qualche ricchez­
za e Giovanni difficilmente rispondeva a queste caratteristi­
che.4 Di qualche peso a favore della relegatio è il fatto che essa
potesse essere comminata anche da autorità provinciali se esi-

parte settentrionale dell’isola. - Contro la damnatio sono Zahn, Lohmey-


er, Hadorn («totalmente falso»), Feuillet e Yarbro Collins.
1 Per la mancanza di testimonianze antiche su Patmos come isola di confi­
no cf. soprattutto Saffrey, Relire, 398; G.B. Caird, A Commentary on thè
Revelation of St John thè Divine (B’sNTC), London 21984, (’ 1966) 21 n.
2, e Renan, Antéchrist, 374 n. 1, il quale scrive: «Patmos non è mai stata
tra le isole di confino» e aggiunge: «le isole di deportazione erano scelte
espressamente perché non avevano né porti né città. Patmos ha invece ot­
timi ancoraggi e ospitava una città di discrete dimensioni». - Gli elenchi
più completi delle isole di confino e degli autori antichi da cui si ricavano
le informazioni sono in Saffrey, Caird e in E. Meyer, Sèriphos, KPauly v,
Munchen 19 75,137 e Id., Gyaros, ihid. n, 884.
2 Che Giovanni sia stato espulso dall’Asia Minore lo nega solo Sanders, Si
John on Patmos, 76, il quale scrive: «Il luogo del crimine per il quale fu
mandato al confino difficilmente fu così vicino a Patmos come Efeso. Già
più probabili sono Gerusalemme, Alessandria o Roma. ·In ogni caso egli
probabilmente non mise mai piede a Efeso prima di essere rilasciato da
Patmos». Hemer, Lelters, 22 n. 6 critica l’opinione di Sanders in base alla
conoscenza che Giovanni dimostra di avere delle sette chiese.
3 Più precisamente a trentotto miglia dalla foce del Meandro (nei pressi di
Mileto) e a sessantacinque miglia circa da Efeso; cf. Hemer, Letters, 27 e
S.T. Carroll, Patmos, ABD v, New York 1992,179.
4 Ramsay, Lellers, 84, insiste giustamente su questa difficoltà; similmente
Caird e U.B. Mùller. Giovanni è invece ritenuto uno honestior da Sanders,
St John on Patmos, 76-yy, che fa di lui un sadduceo ricollegandosi all’in­
formazione riferita da Policrate di Efeso secondo cui Giovanni era sacerdo­
te che indossava il TtÉTaXov. A parte il fatto che il fondamento di tali ipo­
tesi storiche è, come ben si vede, quantomeno precario, resta comunque
da chiedersi che valore avessero i titoli religiosi del giudaismo per il diritto
greco-romano in Asia Minore.

87
steva un’isola adeguata allo scopo nella loro giurisdizione,1 e
dunque non era impossibile che essa potesse essere scontata
dal servuspoenae dentro i confini della provincia.2
Ma la discussione va impostata non a partire dalle pene pre­
viste dal diritto romano in generale, bensì - come si vedrà - dal­
la personale posizione giuridica in cui Giovanni si trovava per
le autorità che si dovettero occupare di lui.

5. Il contributo di H.D. Saffrey


Unico tentativo di far uscire la questione da tale vicolo cieco è
un articolo di H.D. Saffrey.3 Oltre che sul corpus delle iscri­
zioni patmie - 1 6 in tutto - pubblicate da G. Manganaro (1963‫־‬
1964), Saffrey ha lavorato sulla base di un articolo di B. Haus-
soullier (1902),4 il quale ha dimostrato come a partire dall’epo-
ca ellenistica Patmos fosse entrata a far parte del territorio di
Mileto insieme con altre isole dell’ Egeo.5 Con altre isole mile-

1 Cf. Caird, Revelation, 22, e Hemer, LeClers, z, che rimandano al Digesto


(48,22,6-7).
2 Interpreti come Lohmeyer, Sanders, U.B. Muller, Caird portano a favo­
re della relegatio il fatto che di relegano parla Tertulliano {Praescr. 36; PL
2, 59-60), uomo che padroneggiava bene il linguaggio giuridico. Per Ter-
tulliano-'giurista’ questi autori però si rifanno a Eusebio che scrive bensì:
Tertullianus, legum Romanarum peritissimus (Hist. eccl. 2,4), ma Eusebio
confonde Tertulliano di Cartagine con il Tertulliano, egli sì giurista (200
d.C. ca.), che sarà citato 22 volte nel Digesto (1,3,27, pr. 1; 28,y,3,3,1 ecc.).
3 II contributo di Saffrey (Relire VApocalypse a Patmos, KB 1975) ha atti­
rato l’attenzione di pochi (Karrcr,Johannesoffenbarung ah Brief, 187-188
n. 213; D.A. Desilva, The Social Setting o f thè Revelation to John: Con-
fliets Within, Fears Withoutr. WTJ 54 [1992] 285-286).
4 G. Manganaro, Le iscrizioni delle Isole Milesie: Annuario della Scuola Ar­
cheologica di Atene 41-42 (1963-1964) 293-349 (per Patmos, pp. 331-346);
B. Haussoullier, Le tles Milésiennes: Leros, Lepsia, Patmos, les Korsiae:
RPhiì 26 (1902) 125-143. - Manganaro è citato in Saffrey, Relire, 386 n. 3,
e I Iaussouliier ibid. n. 4.
5 Anche Hemcr, Letters, 28, si chiede se Patmos appartenesse alla provin­
cia d’Asia o a quella della Grecia e cita Tolomeo (Alessandria, floruit 127-
148 d.C.) che, elencando le isole appartenenti alla provincia d’Asia e
quelle appartenenti all’Acaìa, in nessuna delle due liste mette Patmos, si­
tuata in posizione marginale rispetto a tutti e due gli ambiti. - Hemcr pro­
pende per l’appartenenza di Patmos alla provincia asiatica ma mostra di
non conoscere né Haussoullier né Saffrey, i quali appunto nel 1902 e rispet-

88
sìe, quelle di Leros e Lepsia, Patmos era poi tra gli avamposti
fortificati (9poùpta) per la difesa della città dalla parte del ma­
re.1 Popolato con cittadini di fedeltà provata nei confronti del­
la madrepatria in base alle consuetudini di isopolitia,2 il phrou­
rion di Patmos era particolarmente adatto ad essere luogo di
confino per persone indesiderate nell’ambito della città di M i­
leto.3
Così, dopo aver fatto osservare che se Giovanni fosse stato
condannato dalle autorità provinciali sarebbe stato inviato alle
isole destinate allo scopo e non a Patmos, Saffrey giunge a ipo­
tizzare che quella di Giovanni fu una questione interna al mu­
nicipio di Mileto.4 Saffrey ha buon gioco nel constatare che
non si ha notizia di alcun altro confino a Patmos se non di
quello di Giovanni e nel confutare la diffusa ma inesatta infor­
mazione secondo la quale sarebbe Plinio il Vecchio a indicare
in Patmos un’isola di confino.5 Infine, poiché l’esistenza di una
comunità cristiana a Mileto non sembra essere presupposta né
dal libro degli Atti, ne da 2 Tim. 4,20 e tanto meno dalla stes-

tivamente nel 1975, avevano già dato risposta alla importante domanda.
Anche E. Meyer, Patmos, KPauly iv, Mùnchen 1975, 549 di Patmos scri­
ve: «apparteneva a Mileto».
1 II phrourion era una fortezza alle frontiere del territorio; cf. Saffrey, Re­
lire, 386-391, e la bibliografia sui phrouria alla n. 7, di pp. 387-388. Saffrey
è in grado di fornire testi di documentazione per i phrouria di Leros e di
Lepsia, e non per quello di Patmos, come onestamente riconosce (p. 389).
Egli comunque propone di individuare il phrourion patmio nel luogo
chiamato oggi Kastellion/Castelli. I resti di mura ciclopiche e la colloca­
zione strategica - sul Iato occidentale dell’istmo sul cui lato orientale si tro­
va il porto di Skala - si prestano alPipotesi, ma non si ha alcuna documen­
tazione né letteraria né epigrafica. Una descrizione sommaria di Kastellion
dal punto di vista archeologico si trova in Camps, Patmos, 79.
2 Tra i nuovi cittadini poteva essere phrourarchos solo chi godeva dei di­
ritti civici da dieci o vent’anni; cf. Saffrey, Relire, 388-389.
3 Karrer,Johannesoffenbarung als Brief, 187 n. 213, in questo approva Saf­
frey scrivendo: «L’isola di Patmos era adatta come luogo di confino, es­
sendo un presidio militare di difesa». 4 Saffrey, Relire, 398 n. 48.
5 Plinio si limita a dare il perimetro dell’isola scrivendo: Patmus circuitu
X X X (Nat. hist. 4,69). - Circa l’inesattezza su Plinio, Saffrey, Relire, 391
n. 2j, cita solo Charles (1, 21. 22) e Schutz, ma la lista di coloro che invo­
cano a torto l’autorità di Plinio il Vecchio per Patmos come luogo di pena
è lunga: cf. per esempio Bousset, Swete, Beckwith, Frings, Lohmeyer, Ge-
lin, Wikenhauser, Sanders, Salguero, Kraft, Carroll.

89
sa Apoc., Saffrcy fa l’ipotesi che Giovanni abbia provocato il
provvedimento milesio nei suoi confronti allorché, volendo dif­
fondere l’annuncio cristiano a Mileto, venne probabilmente a
scontrarsi con la Sinagoga locale.1
Saffrey ha il merito di far luce sulla vita civica, culturale e re­
ligiosa di Patmos c sul suo possibile collegamento con Mileto
anziché con Efeso, e ha il merito di porre il problema del con­
fino di Giovanni in termini municipali ovviando all’obiezione
che Patmos non figura negli elenchi delle isole di confino. Saf­
frey manca però di discutere la situazione giuridica di Giovan­
ni di fronte alle autorità municipali o provinciali.

6. Le autorità municipali
e il vagus Giovanni
Quanto a Giovanni, non solo è ben diffìcile ipotizzare che co­
me Paolo godesse della cittadinanza romana,2 ma anche che fos­
se a qualche titolo considerato dai municipi di Efeso o di Mile­
to come loro cittadino (cives, πολίτης).3 Non è impossibile in­
fatti che Giovanni fosse originario della Palestina come fanno
pensare la sua conoscenza dell’ebraico (cf. 9 ,11 e 16,16) e tutto
il suo bagaglio culturale4 e che dunque fosse un peregrìnus, o,
meglio ancora, un vagus. i\ peregrìnus era uno straniero in suo­
lo romano5 che avrebbe dovuto eventualmente comparire non
1 Saffrey, Relire, 390-391.
2 Tanto meno si può ipotizzare che Giovanni fosse un cittadino romano
di alto rango, soggetto, come si è visto, a relegaiio o deportatio, più che alla
damnatio ad metalla.
3 Giovanni non era per esempio nemmeno un liberto né un barbaro assol­
dato come mercenario nell’esercito, i rapporti coi quali erano basati su un
qualche genere di contratto; cf. Mommsen, Droit 1,144-145.
4 R.K. Mac Kenzie, The A uthor o f thè Apocalypse. A Review o f thè Pre-
vailing Hypothesis o f Jewish-Christian Authorship, Lewinston 1997, è in­
vece convinto che l’autore di Apoc. abbia origini e cultura ellenistica.
5 Secondo Ae. Porcellini, Thesaurus tolius Latinitatis, Padova 1940 (11771)
ad v., peregrìnus o hospes (ξενικός, εξωτικός), è «quicumque extra patriam
et provinciam suam versatur». Peregrìnus è dunque l’opposto di cives (Ci­
cerone, In Verr. 2,4.77; Quintiliano 5,10.26), così che redigere in peregri-
nitatem (Svetonio, Claud. 16,2) o peregrìnus fieri (Gaio 1,90) significa «pri­
vare o essere privato di cittadinanza (romana)» e peregrinor significa «es­
sere trattato come straniero» (Cicerone, De fin. 3,400).

90
davanti a un comune magistrato, bensì davanti al praetor pere­
g rin a , per rispondere del proprio operato in base alle leggi del
suo paese d’origine.1 Un vagus o vagabundus invece era senza
patria e, in tal modo, un senza-legge, anche se non automatica­
mente un fuori-legge.2 Di fatto, D. Aune e A. Yarbro Collins,
per esempio, parlano di Giovanni come di un profeta itineran­
te,3 lasciando capire che poteva trattarsi di una persona civica­
mente non integrata.
Quanto al regime giuridico vigente nell’Asia proconsolare,
poi, da un lato i municipi greci non erano soggetti al diritto ro­
mano, e dall’altro non esisteva un diritto unificato per la metà
greca delPimpero, così che ogni circoscrizione giuridica era au­
tonoma e si regolava secondo le consuetudini in base al princi­
pio del suis legibus uti.4 Anche per questo è difficile immagi­
nare in base a quali norme le autorità municipali di Mileto, o
quelle di Efeso o di Pergamo,5 potrebbero avere regolato il ca­
so di Giovanni. Si può così applicare alla vicenda di Giovanni
ciò che G. Camps scrive dei non-romani in genere: «Se aveva­
no a che fare con dei non-romani, le autorità provinciali pote­
vano agire in modo molto arbitrario». O quanto Th. Momm-

1 Cf. D. Mcdicus, Peregrmus, KPauly iv, Miinchen 1975, 624, che scrive:
«Di norma il peregrmus è soggetto all’ordinamento giuridico del suo pae­
se, non a quello romano».
2 In greco άπολις, άπολίτης (cf. Erodoto 7,104; 8,61) ο πλάνης (cf. Isocra­
te, ,4 egw. 6,2), πλανήτης, πλανητός (Platone, Resp. }yid ; Tim. i$e). Gli
scrittori romani parlano di gentes vagae, praedatores vagì (Livio, Per. 63,
7; 103,16; Ab Urbe cond. 7,39.11), c di latrones evagantes (Scriptores Hi-
storiae Augustae, Gali, duo 4,9.4). Cicerone abbina vagus a exsul in Clu-
ent. 175. 1 (1cum vagus et exsul erraret, atque undique exclusus, Oppia-
nicus etc.). - Ch. Du Cange, Glossarium mediae Latinitatis, Graz 1934
(11883-1887) adv., scrive: «Vagabundus est qui non habet domicilium, sed
hodie hic et cras alibi».
3 D. Aune, The social Matrix ofthe Apocalypse o f John·. BR 26 (1981) 18-
19. 29, e Yarbro Collins, Crisis, 46.
4 Cf. la trattazione in Mommsen, Droit 1,134 -14 1. Alla p. 136 n. 2, Momm-
sen cita Dione 63^14, secondo il quale, durante il suo soggiorno in Grecia,
Nerone non volle andare a Sparta perché le leggi di Licurgo - che dunque
erano ancora in vigore - contrastavano con i suoi principi.
5 Nella ricostruzione di Saffrey non è del tutto soddisfacente il collega­
mento di Giovanni con Mileto perché la città non è mai menzionata in
Apoc. Di per sé un allontanamento forzato da Efeso o da Pergamo si con-
cilierebbe meglio con l’interesse di Apoc. per quelle città.

91
sen scrive a proposito del caso di turbativa religiosa nelle città
greche: «Si può fare l’ipotesi che, per i delitti di religione, i di­
ritti locali o i costumi giuridici dei paesi greci e orientali siano
stati in rapporto con il potente fanatismo che vi regnava e che
abbiano oltrepassato di molto la moderazione del diritto del­
l’impero».1
In conclusione, con la tradizione antica e la maggioranza dei
moderni si può ritenere che a Patmos Giovanni fosse al confi­
no per qualche ragione collegata con l’annuncio cristiano (i,
9c), anche se molte delle circostanze concrete del suo interna­
mento sfuggono ad ulteriori messe a fuoco.

II. DUE D IVERSE IM M A G IN I D I «P E R SE C U Z IO N E »


n e l l ’a p o c a l is s e

i. Ostilità locale in Apoc. i -j


Allargando il discorso alle difficoltà sperimentate dalle chiese
d’Asia, bisogna dire che in Apoc. 1-3 e rispettivamente in Apoc.
n - 2 1 Giovanni propone due differenti immagini di «persecu­
zione».2 La prima ha carattere locale ed è descritta in termini
misurati e credibili, mentre l’altra è a raggio mondiale ed è de­
scritta in termini esasperati e perfino mitici.
Quanto ad Apoc. 1-3, Giovanni è anzitutto in grado di fare
il nome del martire Antipa (2,13). Poiché poi della sua uccisio­
ne si parla di passaggio nell’elogio rivolto alla chiesa pergame­
na per il suo attaccamento al Cristo (2,13) e poiché in secondo
luogo con parole analoghe è elogiata anche la chiesa di Filadel­
fia (3,8.10), una qualche forma di persecuzione deve avere col­
pito sia Pergamo che Filadelfia. In 2,iob inoltre è prevista l’in­
carcerazione non per una ma per più persone della chiesa di
Smirne, per la quale è messa in conto anche la prospettiva del

1 Camps, Patmos, 73; Mommsen, Droìt 1 , 136.


2 È bene precisare che quello di «persecuzione» è un concetto soggettivo:
le misure repressive prese in base alla legislazione in vigore sono sentite co­
me persecuzione in particolari circostanze da chi ne è colpito, ma le auto­
rità non si sentono nella veste del persecutore quando applicano leggi e
sanzioni e quando fanno leggi in difesa dello stato. Lo stesso si deve dire
della resistenza e dell’aggressività che di solito si oppone a nuovi movimen­
ti e sètte.

92
martirio di sangue. Giovanni sembra dunque parlare di perse­
cuzione per tre delle sette chiese asiatiche: di due al passato
(Pergamo, Filadelfia) c di una (Smirne) per un futuro imminen­
te e prevedibile, ovviamente in base alla presente, esplosiva si­
tuazione.

2. La persecuzione extra-asiatica di Apoc. 12-20


I testi della persecuzione nel ciclo della Bestia (Apoc. 12-16) c
nel ciclo dei giudizi (Apoc. 17-20) parlano di fedeltà «fino alla
morte» (12 ,11), di morte e di restrizioni economiche contro i
non-segnati con il marchio della Bestia (13 ,15 -17 ), di incarce­
razione e morte di spada (i3,ioc), e fanno allusione al versa­
mento del sangue dei santi, testimoni, servi o profeti cristia­
ni (16,6; 17,6; 18,24; 1 9»2» 20>4)· In secondo luogo si può ricor­
dare come Giovanni dica di Babilonia che è ebbra del sangue
dei testimoni di Gesù (17,6) e dunque come egli chieda di im­
maginare la città-capitale insanguinata fino alla sazietà, del san­
gue dei cristiani che perseguita. La stessa immagine viene ripre­
sa ed ampliata in 18,22-23 dove all’elenco appassionato e liri­
co delle cose che non si troveranno mai più in Babilonia fa se­
guito l’affermazione secondo la quale nella città fu invece tro­
vato, esso sì, «il sangue dei profeti e dei santi c di tutti coloro
che furono uccisi sulla terra» (18,24). L e dimensioni della per­
secuzione sono amplificate infine attraverso le immagini miti­
che che soprattutto in Apoc. 12-13 e in Apoc. 18-20 universaliz­
zano i problemi delle chiese asiatiche facendo di esse un episo­
dio del più universale conflitto tra ordine e caos.
Da un lato, benché evidentemente non poco enfatizzate, a
queste immagini va dato credito storico perché, se basate sul
nulla, sarebbero state esposte a facile smentita. Dall’altro, dal
momento che Babilonia non può in alcun modo essere am­
bientata in Asia, il loro riferimento è a una crisi extra-asiatica,
e con ogni probabilità a quella neroniana del 64 d.C., divenuta
nei decenni memorabile e paradigmatica nell'immaginario di
tutte le chiese.

93
3 · Il grido dei «martiri» in Apoc. 6,9-10

Il riferimento alla persecuzione più difficile da valutare è il gri­


do degli uccisi in 6,9-10. Ma è anche il più importante. Infatti
quell’invocazione di vendetta che viene da sotto l’altare è nu­
cleo genetico non solo dell’arco narrativo del rotolo, ma di tut­
ta la seconda parte delPapocalisse giovannea.1
Quel testo, che parla di soppressione fisica di più persone
(twv s^ayjj-évwv), per qualche commentatore sarebbe soltan­
to generalizzazione e drammatizzazione di difficoltà di routi­
ne.2 Ma svigorire a tal punto il testo di 6,9-10 significa fare
una lettura debole e inadeguata del libro perché si mette alla
scaturigine di tutta la sua seconda parte un luogo comune. A l­
tri commentatori sono convinti che gli uccisi di 6,9-10 siano i
martiri del giudaismo o la multitudo ingens messa a morte da
Nerone a Roma nel 64 d.C.5 Tale invettiva contro la persecu­
zione romana è però difficilmente ambientabile in una provin­
cia, alla periferia dell’impero: l’apocalisse giovannea non è una
disquisizione teorica sulla persecuzione subita da chissà quali
credenti in luoghi e in tempi lontani, ma è nata dal vivo, in re­
azione a un trauma tanto prossimo quanto ingiusto.4
1 Cf. Biguzzi, Settenari, 147-148. 3 11. Sembrano accettare questa analisi sia
Prigent, Biblica 1997, 294 («Poi viene la domanda centrale, quella dei mar­
tiri: Dio lascia forse mano libera ai persecutori e mette i suoi nelle loro ma­
ni? La risposta avvia tutta la vicenda seguente: Dio ha il suo piano»), sia
Lambrecht, Opening, 205. 209, che scrive: «Si deve riconoscere che l’atten­
zione riservata da Biguzzi al quinto sigillo è giusta», e che parla di «funzio­
ne cardine» del quinto sigillo per la trama di Apoc.
2 Per esempio A. Le Grys, Conflict and Vengeance in thè Book o f Revela-
tion: LxpT 104 (1992) 76, dopo aver parlato di conflitti sociali espressi nel
linguaggio della persecuzione, scrive: «Tutti gli altri riferimenti alla perse­
cuzione oltre al martirio di Antipa e al confino di Patmos sono generaliz­
zazioni come per esempio quello di 6,9-11». Le espressioni di A. Le Grys
meravigliano perché lui stesso riconosce l’importanza di 6,9-10 quando,
alla stessa pagina, circa i martiri del quinto sigillo giustamente dice che
svolge un ruolo cruciale nel provocare, con quella richiesta di vendetta, la
sequenza dei flagelli escatologici.
3 Si tratta dei martiri del giudaismo per Kraft, Feuillet, Corsini, Giblin e,
invece, dei martiri neroniani per Bousset, Charles, Allo, Wikenhauser, Cer-
faux-Cambicr. Per tutti cf. Sanders, StJohn on Patmos, 78, che scrive: «Non
è necessario che le anime dei martiri siano martiri asiatici. La chiesa di Ro­
ma aveva provveduto martiri a sufficienza».

94
I II. L E A U T O RIT À CO IN VO LTE
E l ’ e p o c a D EL LA PE R SEC U ZIO N E

i. Persecuzione reale o crisi «percepita»


G li episodi di ostilità anticristiana accertabili in Apoc. sono dun­
que il confino di Giovanni a Patmos, l’eliminazione fisica di
Antipa, le difficoltà sostenute in passato dalla comunità di Fi­
ladelfia e di Pergamo, quelle prevedibili e imminenti per la co­
munità di Smirne, i martiri probabilmente ancora asiatici di cui
parla 6,9-10, e poi il sangue cristiano versato a più vasto raggio
secondo 16,6; 17,6; 18,24; 20,4.
Di fronte al numero ridotto di episodi persecutòri che si ri­
esce ad accertare in Apoc. e di fronte alla tendenza di Giovanni
all’ enfasi e all’esagerazione, alcuni commentatori parlano di
«crisi percepita (perceived crisis)». Essi non negano che in Apoc.
siano presenti accenni alla persecuzione, ma sottolineano l’im­
portanza della consapevolezza di fronte ai fatti, più che l’im­
portanza dei fatti stessi. Essi dicono che all’origine di ogni apo­
calisse sarebbe una diffusa situazione di sofferenza e, più sen­
sibile e lucido dei suoi interlocutori, l’autore apocalittico co­
glierebbe gli elementi di crisi e di essi renderebbe consapevole
il suo pubblico. Prima del suo intervento la crisi non ci sareb­
be; dopo di esso, essendo percepita, la crisi diventerebbe psico­
logicamente e sociologicamente rilevante.1
Quegli autori rendono possibile l’applicazione di questa
analisi all’apocalisse giovannea con due operazioni. La prima è
dunque quella di attribuire a Giovanni, quale autore apocalit-
4 Cf. Biguzzi, Settenari, 131-133. - È giusto ma un po’ eccessivo dire che
l’Apocalisse è stata scritta non perché ci si trovava in difficoltà con l’am­
biente ma perché ci si difendesse dalle sue seduzioni; così H. Giesen, «Das
Bucb mit den sieben Siegeln». Heil fiir Aujlenseiter. Zum Zweck der Jo -
bannesoffenbantng, in lyooth Aniversary o f St. John’s Apokalypse. Pro-
ceedings of thè International and Interdisciplinary Symposium (Athens-
Patmos, 17-26 September 1995), Athens 1999, 583-603 (in particolare pp.
601-603).
1 Cf. Yarbro Collins, Crisis, 84: «L’elemento cruciale non è tanto se uno sia
realmente oppresso, quanto invece se si senta (Jeels) oppresso» (corsivo nel
testo), ma cf. soprattutto Thompson, Book, 28, che cita Rowland e scrive:
«Le dimensioni della crisi sono evidenti solo attraverso l’angolo di visione
dell’autore. La crisi diventa visibile attraverso la conoscenza indotta da
un’apocalisse; prima di quella conoscenza non esiste alcuna crisi».

95
tico, un ruolo determinante prima nell’awcrtire e poi nel con­
figurare agli occhi delle chiese d’Asia come persecuzione san­
guinaria quella che era solo una diffusa crisi di rapporto con
l’ambiente.1 La seconda è la riabilitazione dell’imperatore D o­
miziano che va sollevato sia dalle accuse di crudeltà montate
contro di lui dagli storici di corte del suo successore e rivale
Traiano, sia da quella di Eusebio di Cesarea che ha fatto del
terzo imperatore Flavio un persecutore di cristiani senza che
egli lo sia stato.2
Questi commentatori dicono senza dubbio cose interessanti
sulla psicologia di Giovanni di Patmos e sugli scrittori di corte
di epoca traianea, ma si può dubitare sulla reale precedente
mancanza di consapevolezza circa la persecuzione da parte de­
gli interlocutori di Giovanni. Il testo di 6,9-10 infatti dice co­
me Giovanni risponda a una precisa, preesistente crisi di teodi­
cea. In altre parole Giovanni ha trovato diffusa nelle sette chie­
se, e non ha affatto prestato ad esse, l’obiezione sul silenzio di
Dio di fronte al persecutore. Se la persecuzione era oggetto di
comune consapevolezza, la reazione era però differenziata:
c’era chi da una parte chiedeva un intervento pronto di Dio
contro i persecutori, come esigeva la sua natura di Sovrano
giusto e verace e, dall’altra, c’era Giovanni che parlava di testi­
monianza fedele anche nella bufera.

2. Intolleranza popolare
e iniziativa delle autorità
Quanto alla provenienza delle ostilità anticristiane in Asia si
possono fare solo ipotesi. Per il tempo di Paolo, e dunque già

1 Cf. in Yarbro Collins, Crisis, il titolo «The Social Situation - Perceived


Crisis» (p. 84) e p. 77: «Giovanni fu più attivo di quanto di solito si pensi.
Piuttosto che semplicemente consolare i suoi compagni di fede in situazio­
ne di grave crisi, egli scrisse per far notare una crisi che molti di essi non
percepivano». - Cf. la crìtica di Prigent, Apocalypse, 54.
2 Cf. il capitolo intitolato «Domitian’s Reign: History and Rhetoric», in
Thompson, Book, e poi le pp. 15-16, e Warden, Imperiai Persecutori, 206-
207. - Eusebio a sua volta cita Melitone di Sardi che abbina Domiziano
come persecutore a Nerone (Hist. eccl. 4,26,9); ma cf. anche Tertulliano,
Apoi. 5,4 (PL 1, 344), con la famosa definizione di Domiziano qualeportio
Neronis de crudelitate.

96
per gli armi jo, l’autore degli Atti degli Apostoli ambienta ad
Efeso il tumulto popolare nato dalla protesta degli argentieri
che prosperavano all’ombra dell’Artemision.1 Luca definisce
«non piccolo» quel tumulto (Atti 19,23), vi vede una possibile
occasione di commettere qualcosa di inconsulto e di irreparabi­
le (v. 36) e giuridicamente giunge a configurarlo come στάσις
(sommossa, v. 40) passibile di citazione di fronte al tribunale
proconsolare (v. 38). Luca poi attribuisce alla folla il sequestro
di Gaio e Aristarco (v. 29), mentre il consiglio giunto a Paolo
dagli asiarchi di tenersi lontano dal luogo di assembramento (v.
31) comporta che Paolo corresse pericolo fisico. Per i lettori di
Luca era dunque credibile il racconto di un tumulto popolare
in cui i cristiani erano esposti a violenze fisiche e anche al ri­
schio della vita. E questo potrebbe essere il quadro entro il qua­
le immaginare l’uccisione di Antipa a Pergamo.2
Se per la morte di Antipa può essere fatta l’ipotesi di un lin­
ciaggio popolare, bisogna invece chiamare in causa qualche au­
torità per il carcere di cui si parla in 2,10 per Smirne. Ma ci si
deve chiedere di quali autorità potesse trattarsi.

3. Persecuzione in Asia, autorità responsabili


e datazione dell’Apocalisse
Le indicazioni storiche di Apoc. sulla persecuzione sono og­
getto di dibattito tra i sostenitori della sua datazione neroniana

1 Sui risvolti giuridici dell’episodio cf. R.F. Stoops, Riot and Assembly. The
Social Context o f Acts 19,23-41: JB L 108 (1989) 73-91; R. Selinger, D ieD e-
metriosunruhen (Apg 19,23-40). Eine Fallstudie aus recbtshislorischer Per-
spektive: ZNW 88 (1997) 249-259.
2 Così pensano Hadorn, I.ohse, Schusslcr Fiorenza, Beasley-Murray,
Thompson. - Ritengono il martirio di Antipa dovuto invece alle autorità
romane e legato al problema del culto imperiale per esempio Allo, Salgue-
ro, Morris, Klauck. Per Ramsay, Swete e Briitsch, Antipa potrebbe essere
stato un predicatore itinerante - non dunque necessariamente un cittadino
pergameno - portato davanti al tribunale provinciale di Pergamo da qual­
cuno dei paesi attorno. Per Kraft, Offenbarung, 65, infine, (*άρτος potreb­
be significare «testimone della resurrezione»; Antipa potrebbe essere uno
dei 500 fratelli di / Cor. 15; potrebbe essere morto di spada e, quindi, do­
vrebbe essere stato un personaggio altolocato; e, infine, dovrebbe essere sta­
to martirizzato al tempo di Traiano. Le speculazioni a catena di Kraft sono
a ragione giudicate non convincenti da Klauck, Sendschreiben, 164 n. 45.

97
da una parte, e di quella domizianea dall’altra. Il punto del
contendere è se Domiziano abbia o no perseguitato i cristiani.
Se Domiziano è stato un persecutore, allora la datazione do­
mizianea di Ireneo diventa credibile.1 Se invece Domiziano non
è stato persecutore, la composizione di Apoc., che appunto par­
la di una persecuzione recente, va ambientata piuttosto nel 69
d.C., l’anno turbolento che seguì il suicidio di Nerone.
La discussione, però, non deve essere posta in questi termi­
ni. Le fonti antiche o gli eventi storici non sempre sono equi­
parabili perché non sono sempre della stessa natura. Per quan­
to ci riguarda, per esempio, altro è un episodio di intolleranza
popolare come quello di Atti 19, altro sono un processo e una
esecuzione capitale messi in atto in nome della legge. In secon­
do luogo, quanto ai processi, quelli condotti dalle magistrature
locali sono altra cosa da quelli celebrati da un proconsole im­
periale come Plinio (Ep. 10,96). Quanto ad Apoc., di certo vi si
trovano informazioni omogenee a quelle delle fonti su Nerone
e di Plinio, ma si trovano nei testi di Babilonia ebbra del san­
gue dei martiri, proprio perché parlano di persecuzione extra­
asiatica. Il discorso che si deve fare per l’Asia è però un altro,
anzitutto perché come si e detto le città si autoamministravano
in base alle proprie antiche consuetudini giuridiche, e poi per­
ché i romani impegnavano le loro forze d’ordine nelle zone
calde dell’impero mentre nelle province più tranquille - come
quella d’Asia che, significativamente, era provincia senatoriale
- lasciavano il mantenimento dell’ordine pubblico alla polizia
e ai tribunali del luogo, soprattutto dei singoli municipi.2
1 Ireneo, Haer. 5,30,3 (e Eusebio, Hist. eccl. 3,18,1). Ireneo fu seguito da
Ippolito, Origene, Vittorino, Eusebio, Girolamo. - Comunque, una con­
ferma circa le iniziative anticristiane delle autorità imperiali di quel tempo
viene dalla lettera di Plinio il Giovane all’imperatore Traiano che fa riferi­
mento a quanto era accaduto vent’anni addietro (ante uiginti: Ep. 10,96,6).
2 Cf. per esempio A.N. Sherwin-White, Roman Society and Roman Law
in thè New Testament, Oxford 1963, 98: «Solo i governatori di province
di frontiera avevano a disposizione consistenti forze militari. I proconsoli
e i legati delle province più tranquille avevano poche unità, se pur ne ave­
vano»; Bell, Date, 101: «Pensare che i romani potessero imprigionare i cri­
stiani significa presumere che avessero soldati o forze di polizia per farlo.
Non c’erano truppe romane stanziate in Asia, che era una provincia sena­
toriale... Se si fa eccezione per le grandi metropoli dell’impero o per seri
problemi sociali come il banditismo, i romani lasciavano il normale man-

98
Al tempo in cui Apoc. è stata scritta, perciò, le autorità re­
sponsabili per le misure anticristiane in Asia Minore probabil­
mente non erano le autorità romane ma quelle municipali. In
altre parole, si deve affermare qui qualcosa di analogo a quan­
to si e detto a proposito del provvedimento di confino di cui
fu vittima Giovanni. Come in quel caso le informazioni delle
fonti antiche sulla deportatio o sulla relegatio in insulam non
necessariamente spiegavano la presenza di Giovanni a Patmos
perché Giovanni non era un cittadino romano di classe medio­
alta ma un vagus, così le difficoltà sperimentate a livello muni­
cipale dalle chiese di Pergamo, Tiatira e Smirne ecc. non sono da
mettere in relazione con procedure come quelle attuate in Biti-
nia da quell’alto funzionario imperiale che era Plinio.
Se così è, allora è fatica sprecata cercare di giustificare i testi
di Apoc. che parlano di versamento di sangue cristiano ricorren­
do aWeffugium della persecuzione non reale ma «percepita». La
persecuzione era reale e va affermata in ogni caso (come esige
il testo di Apoc.) anche se Domiziano non è stato persecutore
di cristiani. In secondo luogo, la datazione domizianea di Apoc.
fornita da Ireneo non è di per sé affatto impossibile, la si può
anzi ritenere più probabile di quella neroniana e di quella
traianea (cf. il capitolo precedente) ma, per correttezza meto­
dologica, non può essere affermata a partire dai testi che in
Apoc. parlano di persecuzione. La ragione fondamentale è che,
in fondo, l'Apocalisse riflette il modesto mondo di piccole co­
munità cristiane di provincia, nonostante le sue immagini miti­
che e nonostante il suo gigantismo.
Comunque sia, anche se cioè parla del provvedimento di
confino nei confronti di un profeta del tutto sconosciuto negli
ambienti imperiali e anche se parla della sofferenza di piccole
comunità e dell’azione ostile di magistrati locali, l’Apocalisse
resta pur sempre un libro di martirio e di invito al martirio.
Non per nulla J. Schmid, M. Dibelius ed E. Lohmeyer defini­
scono Apoc. «un appello al martirio», «un vero e proprio manua-

tenimento dell’ordine pubblico all’iniziativa locale»; Price, Rituals, 2: «Da­


ta l’esiguità del personale, il governatore poteva fare poco più che trattare
i casi legali più importanti. I municipi continuavano a gestirsi da se stessi
ed erano essi, più che Roma, punto di riferimento per gli abitanti». E infi­
ne cf. soprattutto l’intero articolo di Warden, Imperiai Persecution.

99
le per il martirio della chiesa» e, rispettivamente, «un libro per
martiri scritto da un martire».1
i J. Schmid, Zur Textkritik der Apokalypse: ZNW 43 (1950-51) 119 («Auf-
forderung zum Martyrium»); Dibelius, Rom, 218 («das eigentliche Màrty-
rcrbuch der Kirche»); Lohmeyer, Offenbarung, 198 («das Buch eines Màr-
tyrers fiir Màrtyrer»), Cf. poi Zahn, Offenbarung 1, 1-4, che scrive: «Da
nessun altro libro biblico come da Apoc. i cristiani hanno attinto sostegno
nelle sofferenze della persecuzione e coraggio per confessare la loro fede
con la parola e con il sangue». - Nell’antichità Apoc. è stata subito il mani­
festo del martirio cristiano. È infatti con le sue parole che le passiones
martyrum narrano la vicenda di chi patisce e muore per la fede. Così, il
martire va dove il Cristo lo conduce (Apoc. 14,4; cf. la lettera delle chiese
di Lione e di Vienne, in Eusebio, Hist. eccl. 5,1,10, ma cf. anche 5,1,58); i
cristiani perseguitati sono le stelle del cielo travolte dalla coda del Drago
(Apoc. 12,3-4; cf. Mari. Pionii 12,3); e il «confessore» non accetta il titolo
di martire per lasciarlo al solo Cristo, [·!.àpTuc fedele (Apoc. 1,5 c 3,14; cf.
Eusebio, ibid. 5,1,58). Il martire poi è colui che persevera nella giustizia
mentre il persecutore persevera nell’empietà (Apoc. 22,11; cf. Eusebio,
ibid. 5,2,3) e, ancora, l’apostata diviene preda della «Bestia» (Apoc. 13,1 ss.;
cf. Eusebio, ibid. 5,2,6), mentre il martire è portato davanti al trono di Dio
e davanti ai Vegliardi per udire il canto incessante del trisagion, come Gio-
vanni in Apoc. 4 (Passio Perp. 12,1-4).
Parte seconda

Linguaggio
Capitolo 5

Una grammatica delle immagini


e delle tecniche narrative
Nel 1900 E.W. Benson diede a un capitolo della sua introdu­
zione all’Apocalisse il titolo di «A Grammar of Ungrammar»
grammatica delle sgrammaticature. Con quelPossimoro Benson
voleva parlare delle selvagge trasgressioni di Apoc. soprattutto
nel campo delle concordanze di caso, numero e genere. Prima
e dopo Benson, studiosi come Bousset, Charles e Allo e più re­
centemente Mussies e Aune hanno catalogato e sistematizzato
le irregolarità grammaticali del libro di Giovanni.1 Ma c’è un’al­
tra grammatica che bisognerebbe scrivere: quella delle immagi­
ni e delle narrazioni dell’Apocalisse, che non sono meno sor­
prendenti dei suoi solecismi filologici e che con essi contribui­
scono a dare vita allo stile «inimitabile» di Apoc., come M.-É.
Boismard lo chiama.1
Le «sgrammaticature» figurative e narrative di Apoc. hanno
attirato poca attenzione: al massimo si è parlato di «stranezze»
(,l’étrange, P. Prigent, 1982), di «eccentricità logiche e crono­
logiche» (M.E. Boring, 1989), o di descrizioni che «sfidano i
normali concetti» (G.K. Beale, 1999), ma senza approfondi­
menti. Per questo, qui sotto si farà il tentativo di inventariare
le anomalie delle immagini e delle narrazioni giovannee in una
grammatica sui generis: una grammatica che, anche se non esau­
stiva, anzitutto contribuisca alla conoscenza del particolare lin­
guaggio di Giovanni e, in secondo luogo, mostrando la conti­
nuità di quel linguaggio in tutto il libro, insinui e in qualche
misura comprovi l’unicità dell’ autore di Apoc.

1 E.W. Benson, The Apocalypse. An Introductory Study o f thè Revelation


of St. John thè Divine, London 1900,131. Cf. anche E.-B. Allo, Apocalypse,
DBS 1, Paris 1928, 308, che scrive: «Bisognerebbe scrivere una grammatica
speciale per questo libro le cui stranezze sembrano obbedire a una sorta di
regola soggettiva».
2 M.-É. Boismard, «VApocalypse», ou «les Apocalypses» de S. Jean: RB 56
(1949) 509.

103
I. SIN G O LA R IT À D E L LE IM M A G IN I G IO VAN N EE

i. I canti di descrizione
Quando introduce nella vicenda un nuovo protagonista o quan­
do ripropone un personaggio in una fase nuova di essa, G io ­
vanni descrive al lettore quel personaggio con una sorpren­
dente ricchezza di dettagli soprattutto anatomici. Succede al­
lora come se una telecamera indugiasse a riprendere una per­
sona o un animale, dettaglio per dettaglio. Detto in termini di
generi letterari, il risultato sono «canti di descrizione» (Be-
schreibungslieder).'
Il primo e più ampio dei canti di descrizione è quello del «Si­
mile a Figlio d’uomo» (1,12-16). L ’ordine secondo cui i vari ele­
menti vengono passati in rassegna sembra essere quello per cui
l’occhio del veggente coglie dapprima tutta la persona (veste
lunga fino ai piedi, con cintura d’oro, v. i3b), poi la sua parte
superiore (testa, con i capelli c gli occhi, v. 14), poi quella infe­
riore (i piedi, v. 1 $a), e infine gli elementi centrali (voce, v. 1 jb;
destra che regge sette stelle, v. i6a; spada che esce dalla bocca,
v. i6b), per arrestarsi infine sul volto splendente come il sole (v.
i6c). I sette elementi della visione sono da decodificare uno al­
la volta. La descrizione, insomma, non mette davanti ad una fo­
tografia ma a un dipinto divisionista la cui frammentarietà cro­
matica disturba l’occhio di chi lo contempla troppo da vicino
e la cui armonia e ricchezza si colgono invece stando a giusta
distanza. In secondo luogo, i dettagli descrittivi di per sé potreb­
bero essere di numero maggiore, perché all’autore importava
non comporne un elenco completo ma suscitare un’impressio­
ne - l’impressione di severità e gloria - , e di mettere i lettori al­
la presenza di Uno che e partecipe d d l’eternità, dello splendo­
re c del giudizio di Dio, e che ispira venerazione e timore.

1 Per i canti di descrizione, o Bescbreibungslieder, ci sono precedenti e pa­


ralleli. Basta pensare al Cantico e alle sue descrizioni della bellezza fìsica
delPamata (Ci. 4,1-5; 6,4-7; 7>20 (10‫ ־‬dello sposo (Ct. 5,10-16), anche se i
modelli di Giovanni sono nel libro di Daniele. Per esempio, la descrizione
dell’uomo vestito di lino (Dn. 10,5-6) ha ispirato la descrizione del «Simi­
le a Figlio d’uomo» (1,12-17), mentre la descrizione delle quattro bestie
(Dn. 7,3-8) ha ispirato la descrizione della Bestia che emerge dal mare (13,
1-2). Cf. poi anche l’immagine dell” Antico dei giorni’ in Dn. 7,9-10, e poi
2 Hen. 1,4-5; 4 Q 186 (4QCryptic) r>I_‫ ״‬I! 2»1;4Q561 UQHor. ar.) 1,1-11; 2.

IO4
Altri canti di descrizione presentano i Ventiquattro Vegliar­
di e i Quattro Viventi (4,4 e 4,6-8), l’Agnello (5,6), i cavalli e
cavalieri dei primi quattro sigilli (6,1-8), e poi - con numerosi
dettagli - le cavallette della quinta tromba (9,7-10), la cavalle­
ria infernale della sesta tromba (9,15-19), l’angelo forte di Apoc.
10 che porge a Giovanni il piccolo rotolo (w . 1-2), la Donna e
rispettivamente il Drago che insidia il suo nascituro (12 ,1-2 e
12,3-4), la Bestia che sale dal mare (13 ,1-3 , cf. anche 17,3) e la
Bestia che sale dalla terra (13 ,11) , la Grande Prostituta (17,4-6)
e, infine, il Cavaliere vittorioso, o Logos di Dio, con i suoi eser­
citi (19 ,11-16 ). Uno studio particolareggiato di queste descri­
zioni non e qui necessario, ma si possono fare al riguardo tre
osservazioni.
La prima riguarda la grande varietà dei soggetti descritti,
chc vanno dal Cristo ai demoni, da adoratori celesti alla Gran­
de Prostituta, e così via. Quello della descrizione a frammenti
è dunque uno strumento duttile per mettere in scena qualsia­
si protagonista, maggiore o minore, umano o animale, positivo
o negativo. La seconda osservazione riguarda lo scopo: lo sco­
po dei Beschreibungslieder e quello di dire l’identità interiore e
la fisionomia morale dei personaggi attraverso la descrizione
dell’aspetto esteriore, perché - si potrebbe dire - non c’è nulla
di esteriore che non sia anche interiore. Il terzo rilievo riguar­
da il diverso aiuto che Giovanni fornisce per l’interpretazione
e identificazione dei suoi personaggi. Dell’angelo di 10,1 ss.
l’identità è detta in termini espliciti: è appunto un angelo che
funge da messaggero di Dio. L ’immagine del Drago va invece
interpretata e tradotta in termini diversi da quelli della zoolo­
gia mitica, ed è Giovanni stesso a dire che esso è il Serpente an­
tico, il Diavolo o Satana (12,9; cf. anche 20,2). Quanto alla
Grande Prostituta e alla Bestia-dalla-terra, invece, vengono in
aiuto del lettore didascalie come quella secondo cui la prosti­
tuta è Babilonia, la città dominatrice sui re della terra (17,5.18),
o informazioni come quella per cui la seconda Bestia è il falso-
Profeta (16,13). Ma Giovanni poi non dice quale città intenda
con «Babilonia» e quale concreto preteso profeta intenda con
«pseudoprofeta». Altre volte Giovanni non dà aiuto di sorta
all’interprete delle sue immagini. Per esempio, avendo presen­
tato la Bestia-dal-mare come estremamente pericolosa nel can­

105
to di 13 ,1 ss., lascia poi l’interprete a se stesso nel calcolo del mi­
steriosissimo numero del suo nome (13,18) che deve permet­
terne l’identificazione. Il lettore dei canti descrittivi si trova
dunque di fronte a tre diversi livelli di difficoltà, a volte dispo­
nendo e a volte non disponendo, di aiuto.

2. La metamorfosi delle immagini


Tra le singolarità delle immagini giovannee c’è la loro metamor­
fosi. Spesso, cioè, la configurazione di un’immagine non resta
fissa ma si trasforma, in qualche suo tratto o interamente. La
Grande Prostituta di 17,1 per esempio diventa «Babilonia la
Grande» (v. 5). La stessa metamorfosi da donna a città si ritro­
va in miniatura in 17,16 dove la fine della prostituta-città viene
descritta con quattro azioni delle quali la seconda e la terza
convengono perfettamente a una donna, mentre la prima e l’ul­
tima convengono di più ad una città. In un elegante crescendo,
dapprima si parla genericamente di distruzione per la città e di
denudazione per la donna (καί έρημωμένην ποιήσουσιν αυτήν
καί γυμνήν). Poi le due affermazioni vengono portate all’acme:
la denudazione della donna culmina nel mangiarne le carni (καί
τάς σάρκας αυτής φάγονται), mentre la distruzione della città
diventa incendio e annientamento col fuoco (καί αύτήν κατα-
καύσουσιν έν πυρί). Analoga è la metamorfosi della sposa del­
l’Agnello di 21,9 che nel v. 10 diventa la città di Gerusalemme:
«‘Vieni, ti mostrerò la sposa, la donna dell’Agnello’ . . e mi por­
tò in spirito su un monte alto ed eccelso e mi mostrò la città
santa, la Gerusalemme che discende dal cielo» (21,10).
Sono poi in metamorfosi le due presentazioni dei 144000
contrassegnati con il sigillo del Dio vivente. Mentre infatti in
Apoc. 7 i 144000 ricevono sulla fronte il sigillo del Dio vivente,
in Apoc. 14 sulla fronte essi hanno invece il nome - non il sigil­
lo - di Dio e, in più, il nome dell’Agnello. E ancora: in Apoc.
14 essi, da un lato non sono più esplicitamente collegati con le
dodici tribù, e dall’altro sono presentati come vergini. Argo­
mentando da queste differenze, A. Fcuillet distingue i 144000
di Apoc. 14 che sarebbero cristiani «vergini», dai 144000 di
Apoc. 7 che sarebbero da identificare con gli israeliti storici.1
1 Cf. A. Feuillet, L ’Apocalypse. État de la question (StN Subs. 3), Paris-

106
Anche qui però la discontinuità nei dettagli è piuttosto da
spiegare con la metamorfosi. Lo si può arguire dal parallelismo
con il «dodici» delle porte e dei fondamenti della Gerusalem­
me di Apoc. 2 1 .1 Apoc. 7 impiega infatti il linguaggio delle do­
dici tribù come 2 1,12 -13 a proposito delle porte, e Apoc. 14 met­
te i 144000 in relazione con l’Agnello così come 2 1,14 fa con i
dodici fondamenti sui quali sono i dodici nomi dei dodici apo­
stoli dell’Agnello. Da un lato Apoc. 14 è dunque in continuità
con Apoc. 7 e, dall’altro, agglutina metamorficamente elementi
nuovi, il più importante dei quali è il rapporto con l’Agnello.
Una metamorfosi tanto drastica da essere quasi irricono­
scibile è quella dell’ira di Dio di 7,1-3 in relazione ai flagelli
delle trombe. Prcannunciata in 6,17 («è giunto il giorno grande
della loro ira [di Dio e dell’Agnello], e chi potrà resistere?»),2
l’ira di Dio consisterà nello scatenarsi dei quattro venti secon­
do 7,1-3. Prima che questo accada, però, deve essere impresso
il sigillo del Dio vivente sulla fronte dei servi di Dio perché
siano protetti e preservati appunto dall’ira (w . 2-3). Quel con­
trassegno è di nuovo ricordato in 9,4 dove il flagello delle ca­
vallette dovrà colpire soltanto coloro che non hanno il sigillo di
Dio sulla fronte.3 Questo comporta che lo scatenarsi dei venti
Bruges 1963, 28. 50; Id., Les 144000 Israélites marqués d ’un sceau: N T 9
(1967) 19 1- 2 2 4 .- I 144000 di Apoc. 7 non sono da identificare con i 144000
di Apoc. 14 neanche per Bousset, Offenbarung, 380; Allo, Apocalypse, 92-
93.197; H.-M. Féret, UApocalypse de Saint Jean. Vision chrétienne de l ’his-
toire, Paris 1946, 244. 1 due gruppi, invece, si identificano per esempio, per
Charles, Schlatter, Lohmeyer, Bover, Boismard, Cerfaux-Cambier, Wiken-
hauser, Kraft, Bòcher, Lambrecht, Vògtle, Roloff, Yarbro Collins, U.B.
Miiller, Kretschmar, Caird, Ulfgard, Bauckham, Harrington, e per ITa-
dorn, Offenbarung, 149, che scrive: «Nessun lettore potrebbe dubitare che
Giovanni parli degli stessi 144000 ai quali è stata segnata la fronte con il
sigillo in 7,4».
1 Già gli antichi, per esempio Primasio (PL 68, 842C) e Ambrosio Autper-
to (f 784; CChr CM 27, 298,7-10), collegano il 144000 di Apoc. 7 e di
Apoc. 14 al dodici c al 144000 della Gerusalemme escatologica.
2 In 6,12-17 gli sconvolgimenti cosmici non sono il dispiegarsi dell’ira ma
solo il suo preannuncio, cf. Biguzzi, Settenari, 135-136.
3 Non si può infatti non mettere 9,4 («di non danneggiare... se non gli uo­
mini che non avessero il sigillo di Dio sulla fronte») in relazione con 7,3
(«finché non avremo impresso il sigillo del nostro Dio sulla fronte dei
suoi servi»). È grazie a quel prezioso versetto che siamo certi di dover
mettere in relazione i flagelli delle trombe con l’ira di Dio, annunciata

107
in 7,1-3 e la serie dei flagelli del settenario delle trombe di 8,6
ss. (fuoco contro la terra della prima tromba, acqua cambiata in
sangue della seconda e terza trom ba,... le cavallette della quin­
ta tromba ecc.) sono la stessa e medesima ira di Dio, presentata
da Giovanni «in metamorfosi».
U n altro esempio può essere quello di 1 1 ,1 dove a Giovanni
viene ingiunto di misurare non solo il santuario (comando del
tutto logico), ma anche l’altare (comando già più sfuggente,
per l’innesco della metamorfosi), e infine gli adoratori, a pro­
posito dei quali la canna mensoria e l’imperativo μέτρησον so­
no oramai del tutto fuori logica per il rapido esasperarsi della
metamorfosi.
U n’ulteriore metamorfosi va messa in conto tra Apoc. 17 e
Apoc. 19. In Apoc. 17 si preannuncia infatti la battaglia vitto­
riosa dell’Agnello contro la coalizione guidata dalla Bestia («co­
storo combatteranno contro l’Agnello ma l’Agnello li vince­
rà», v. 14), mentre in Apoc. 19 si dice che a vincere la Bestia e i
suoi eserciti è il Cavaliere che monta il cavallo bianco («E vidi
la Bestia e i re della terra e i loro eserciti radunati per dar bat­
taglia contro Colui che cavalca il cavallo [bianco] e contro i suoi
eserciti, e la Bestia fu catturata ecc.» vv. 19-20). Se Riccardo di
San Vittore diceva che Apoc. 5 annuncia un leone e poi mostra
un agnello,1 qui si può dire che Apoc. 17 annuncia un agnello e
Apoc. 19 mostra un cavaliere. Secondo Z.C . Hodges c’c conti­
nuità (e metamorfosi) anche tra il cavaliere su cavallo bianco di
6,2 e questo cavaliere su cavallo bianco di Apoc. 19,2 quantun-
dagli sconvolgimenti cosmici del primo quadro del sesto sigillo (6,17) e
ripresentata poi sotto l’immagine in metamorfosi dei quattro venti (7,1-3).
! Il contesto più ampio in cui Riccardo di San Vittore (f 1137) lucidamen­
te ed elegantemente, commenta la metamorfosi cristologica di 5,5-6 dice:
Superius posuit promissionem, hic subiungit promissionis exhibilionem.
Nam leonem audivit in promissione, agnum videt in exhibitione. Magna
est enim differentia inter leonem et agnum. Leo est magnus, agnus estpar-
vus. Sed, si utrumque consideramus, utrumque Redemptorem nostrum
comprobamus. Ipse est enim leo magnus per divinitatem, agnus per huma-
nitatem. Leo per potentiam maiestatis, agnus per mansuetudinem. Leo ma-
los puniendo, agnus bonos redimendo. Leo fortitudine, agnus pietate. Leo
in promissione ut spes infirma se roboret, agnus in exhibitione ne pavida
conscientia formidaret (PL 196,7560).
2 Identificano i due cavalieri per esempio Allo, Apocalypse, 73. 78-85; J.S.
Considine, The Rider on thè White Horse. Apocalypse 6:1-8: CBQ 6 (1944)

108
que tra l’uno e l’altro ci siano due notevoli variazioni. Il primo
è armato di arco e reca sulla testa una corona, mentre il secon­
do è armato di spada e reca sulla testa un numero non precisa­
to di diademi. Per Hodges la successione di arco (e cioè dell’ar­
ma per combattere da lontano) e di spada (e cioè dell’arma per
combattere corpo a corpo) esprimerebbe l’avvicinarsi tra i due
combattenti per il confronto all’arma bianca, mentre la corona
in Apoc. 6 e i diademi in Apoc. 19 esprimerebbero la vittoria in
prospettiva (victory in prospect) e il conseguimento della vitto­
ria (victory realized).’
Quanto alla funzione ermeneutica della metamorfosi gio­
vannea, essa aiuta a cogliere la complessità degli eventi, e l’evo­
luzione e il progredire della storia verso la meta intesa da Dio.

II. SIN G O LA R IT À D E L LE T EC N IC H E N A RRA TIVE


G IO V A N N EE

i . Autarchia dei singoli episodi e dettagli


Le narrazioni giovannec sono a volte in contraddizione con
quello che l’autore stesso ha precedentemente detto o narrato.
N ell’episodio dei Due Testimoni Giovanni dice, presentando­
li, che chi tocca quei due profeti muore: «e se qualcuno vuole
fare [loroj del male, un fuoco esce dalla loro bocca e divora i
loro nemici; [proprio così,] se qualcuno vorrà fare loro del ma­
le, allo stesso modo egli dovrà essere ucciso» (11,5). Detto que­
sto, però, due versetti più tardi, Giovanni dirà che «la Bestia
proveniente dall’abisso farà loro guerra... e li ucciderà» (v. 7),
e tutto avviene sorprendentemente senza che essi oppongano
la minima resistenza - nonostante le assicurazioni del v. 5.

418-422; Bonsirven, Apocalypse, 157; W. Hendriksen, More than Con-


querors. An Interpretation o f thè Book o f Revelation, London 1962, 94-
95; A. Fcuillet, Le premier cavalier de l'Apocalypse: ZNW 57 (1966) 250. -
Data la polivalenza di ogni simbolo, è del tutto comprensibile che a parti­
re dalle stesse caratteristiche il primo cavaliere sia interpretato all’estremo
opposto come l’Anticristo per esempio da M. Rissi, The Rider on thè White
Horse. A Study o f Revelation 6,1-8: Int 18 (1964) 414-418; E. Schùssler
Fiorenza, Eschatology and Composition o f thè Apocalypse: CBQ 30 (1968)
564, o come uno pseudo-Cristo da R.L. Thomas, Revelation 1-7. An Ex-
egetical Commentary, Chicago 1992,422.
1 Z.C.IIodges, The First Horseman o f thè Apocalypse: BSac 119 (1962) 333 s.

109
E ancora, l’angelo ostensore promette a Giovanni di mo­
strargli la Grande Prostituta che siede su molte acque (v. i),
ma poi Giovanni vede la donna seduta su di una Bestia scarlat­
ta (v. 3). Ancora più sorprendentemente, al di fuori di ogni co­
erenza, l’angelo nel v. 15 farà poi riferimento alle acque vedute
da Giovanni (in realtà now-vedute): «Quanto alle acque che
hai vedute (τα υδατα ά είδες), su cui la Prostituta siede ecc.»).
N on basta, perché oltre alle acque e alla Bestia scarlatta, il v. 9
parla di un ulteriore sgabello, aggiungendo che la Grande Pro­
stituta siede su sette monti. Qualcosa di analogo si incontra in
Apoc. 21 dove è preannunciata la misurazione della città, delle
sue porte e delle sue mura (v. 15), ma dove poi vengono misu­
rate soltanto la città e le mura (w . i6b; i7a) e non le porte, an­
che se i fondamenti e le porte vengono descritti nei dettagli
(w . 19-20 e 21).
Gli interpreti fanno notare poi che, se il «Simile a Figlio
d’uomo» regge nella destra le sette stelle («e aveva nella mano
destra sette stelle», 1,16), non dovrebbe essere in grado di met­
tere la destra su Giovanni come segno d’incoraggiamento («ed
egli pose la sua destra su di me dicendo...», 1,17), tanto più che
poco più tardi le stelle non sono state nel frattempo deposte,
essendo ancora nella sua mano («Queste cose dice colui che
regge le sette stelle nella sua destra ecc.», 2,1).
La stessa discontinuità si riscontra in ciò che accade agli ele­
menti e ai fenomeni cosmici. Così in 8,7 il flagello della prima
tromba brucia tutta l’erba verde eppure, come se nulla fosse
stato detto e nulla fosse successo, secondo 9,4 «fu detto loro
[alle cavallette] di non danneggiare l’erba della terra ecc.». Allo
stesso modo, nonostante che il sole venga oscurato in 6,12 così
da diventare nero come il crine, il flagello della quarta tromba
ha modo di oscurare un terzo della sua luce (8,12). E come se
questo non fosse sufficiente, in 16,8 esso splende ancora così in­
tensamente da ustionare gli uomini con la sua vampa infuoca­
ta. La stessa sorte tocca alle stelle, alla luna, al cielo e al mare.
Le stelle, cadute a terra come fichi avvizziti quando il vento
scuote gli alberi (6,13), sono invece ancora nel cielo quando un
terzo della loro luce viene colpito dal flagello della quarta trom­
ba (8,12) e quando vengono travolte dalla coda del Drago (12,
4). La luna, divenuta come sangue in 6,12, ha modo di perdere

no
un terzo della sua luce quando è colpita dal flagello della quar­
ta tromba (8,12) e, nonostante tutto, è sotto i piedi della Don­
na di Apoc. 12, presumibilmente nell’integrità della sua luce (12,
1). E ancora: il cielo, dopo che si è accartocciato come un roto­
lo in 6,14, è anch’esso ancora nel firmamento in 8,13 quando,
dal suo zenit, l’aquila annuncia i tre «guai!», o in 11,6 quando
da esso la pioggia può essere fermata per l’eventuale volontà
dei Due Testimoni (11,6) o, ancora, quando in esso appaiono i
tre segni di 12,1.3 e 1 J?1 » ecc· E, infine, il mare diviene sangue
due volte: in 8,8 per un terzo delle sue acque quando viene col­
pito dal flagello della seconda tromba, c in 16,3, presumibilmen­
te in tutte le sue acque più che nei rimanenti due terzi, quando
viene colpito dal flagello della seconda coppa.
Le narrazioni e le informazioni di Giovanni sono dunque
narrazioni autarchiche, a sistema chiuso, che stranamente si
ignorano a vicenda. Con tutto questo Giovanni vuole forse di­
re che l’occhio umano coglie solo la superficie contraddittoria
della storia e non è in grado invece di percepire le connessioni
profonde che tuttavia legano i suoi eventi.

2. Le lacune narrative
Giovanni lascia talvolta nel suo racconto delle lacune che il let­
tore deve integrare, provocato con ciò ad una lettura attiva e
invitato a farsi complice della narrazione.
Per esempio, tra l’annuncio della «sigillazione» dei 144000
(7,3) e la proclamazione del loro numero (w . 4-8: con cinque
versetti e ben 78 parole!), la sigillazione stessa è semplicemen­
te taciuta. Un altro esempio è nei versetti che parlano dei quat­
tro angeli legati presso il grande fiume Eufrate (9,14 ss.). Quan­
do l’angelo della sesta tromba comanda che siano rilasciati, il
suo comando c subito eseguito «così che [i quattro angeli] uc­
cidano un terzo dell’umanità» (v. 1 jb). Ma poi non si aggiun­
ge, come il contesto chiederebbe, che l’uccisione avviene inve­
ce per l’evocazione della cavalleria di venti migliaia di migliaia
dei cavalieri del v. 16 (cf. v. 18), né è menzionata l’irruzione
dai suoi accampamenti di quella cavalleria. Il segmento man­
cante dell’episodio, poi, è sostituito dall’ audizione del numero
dei cavalieri da parte di Giovanni (ήκουσα τον άρι$μόν αυτών,
v. i6b), esattamente come la sigillazione dei 144000 è .sostitui­
ta dall’audizione del loro numero da parte di Giovanni in 7,4a
(·ηχούσα τον àpi‫־‬#;j.òv των !σφραγισμένων). In modo simile,
mentre 17,16 prcannunciava che la coalizione della Bestia e dei
dieci suoi corni avrebbe distrutto Babilonia («la distruggeran­
no... e la inceneriranno col fuoco»), in Apoc. 18 Babilonia è
devastata e rimpianta senza che si faccia parola né della Bestia,
né dei suoi complici, né delle operazioni militari che hanno
messo fine alla metropoli.
Questi salti giovannei dall’annuncio al risultato che scaval­
cano le operazioni intermedie, accelerano il ritmo della narra­
zione, esprimendo ed ispirando il desiderio che il piano di Dio
giunga presto a compimento.

3. Discontinuità negli itinerari


e nell'identità dei protagonisti
Giovanni dice in 17,3 di essere stato trasferito nel deserto da
un primo angelo ostensore per la visione della Grande Prosti­
tuta, e in 2 1,10 di essere stato trasferito su un monte altissimo
da un secondo angelo per la visione della Gerusalemme escato­
logica. Ma analoghe indicazioni mancano in ampi tratti del suo
libro. Egli, per esempio, sale in cielo secondo 4,1-2, ma poi, sen­
za che segnali alcun suo trasferimento, si trova sulla riva del ma­
re: è ponendo il piede destro nel mare e quello sinistro sulla ter­
ra (10,2), infatti, che l’angelo gli porge il rotolo da inghiottire.
C ’è discontinuità poi nella localizzazione della battaglia e nel­
l’identità dei combattenti di Apoc. 12. Il Drago con i suoi eser­
citi combatte in ciclo contro Michele e contro i suoi eserciti,
ma il cantico di. commento sembra presupporre invece che la
battaglia del Drago sia avvenuta, ovviamente sulla terra, con­
tro i fratelli di coloro che elevano il cantico: «essi [i nostri fra­
telli] lo hanno vinto per mezzo del sangue dell’Agnello e per
mezzo della parola della loro testimonianza» (12 ,10 -11).
Quando c’è discontinuità negli itinerari, la continuità è assi­
curata dalla persona di Giovanni: il lettore deve seguire G io­
vanni nelle sue esperienze pneumatiche, lui che in spiritu si tro­
va davanti al «Simile a Figlio d’uomo» (1,10) o di fronte al tro­
no di Dio (4,2); lui che poi, ancora in spiritu, è trasportato nel

112
deserto per la visione di Babilonia e del suo giudizio (17,3), op­
pure su di una montagna altissima per contemplare la discesa
da Dio della nuova Gerusalemme (21,10). Quando invece sem­
bra esserci sovrabbondanza di soggetti e quando i rapporti vi­
cendevoli tra quei soggetti non sono affatto chiari, Giovanni
lascia al lettore di cogliere l’unità degli eventi nel legame tra
cielo e terra, così che Michele e i suoi angeli sono intercambia­
bili con combattenti terrestri, vittoriosi nel sangue del Cristo-
Agnello. In Apoc. dunque l’autobiografia e la comunione degli
spiriti sono più importanti della topografia e dell’identità per­
sonale.

4. Anomala sequenza dei tempi verbali


L ’autore di Apoc. ama Physteron-proteron che, secondo i calcoli
di David Aune, in Apoc. s’incontra almeno una decina di vol­
te.1 Invertendo l’ordine degli elementi, Giovanni infatti scrive
per esempio: «Sono ricco, e mi arricchii» (3,17), «Tutte le cose
erano, e furono create» (4,11), «aprire il libro, e rompere i suoi
sigilli» (5,2), «avere potere sull’albero di vita, ed entrare nella
città» (22,14), ecc· Ma nel suo libro c’è di più di questa quasi
irrilevante figura retorica, perche egli costruisce le sue narra­
zioni su sorprendenti sequenze verbali «a rovescio». La narra­
zione di 1 1 ,1 - 1 3 comincia per esempio con sei futuri (1 !,2-3.7:
πατήσουσιν, δώσω, προφητεύσουσιν, ποιήσει, νικήσει, άποκτε-
νεΐ), e poi continua con quattro presenti seguiti da un residuo
futuro (w . 9-10: βλέπουσιν, ούκ άφίουσιν, χαίρουσιν, ευφραίνον­
ται, - πέμψουσιν), e si conclude infine con non meno di undici
aoristi (w . 1 1- 1 3 : είσήλ$εν, έστησαν, έπέπεσεν, ήκουσαν, άνέ-
βησαν, !·θεώρησαν, έγένετο, ecc.).
La successione dei tempi è anomala anche nella presentazio­
ne dei lamenti funebri su Babilonia in Apoc. 18. Dopo i futuri

1 D. Aune, Revelalion 1-5 (WBC J2a), Dallas 1997, 221. 259, rimanda a 3,
3.17; 5,5; 6,4; 10,4.9; 20>45‫־‬-I2‫ ־‬I3> iz >l 4■ L ’hysteron-proteron presenta «una
successione di avvenimenti in cui viene collocato dapprima Io stadio finale
della successione medesima (che interessa particolarmente dal punto di vi­
sta emozionale e quindi urge)»: così H. Lausberg, Elementi di retorica, Bo­
logna 1969 (Munchen 1967,11949), § 413, il quale tra l’altro cita come esem­
pio Virgilio: Moriamur, et in media arma marnasi (Aen. 2,353).

113
che hanno come soggetto grammaticale i re della terra (v. 9),
vengono due presenti e un ulteriore futuro, che hanno per sog­
getto i mercanti di terra (v. 1 1 e v. 15). E vengono infine, sor­
prendentemente, gli aoristi e gli imperfetti che hanno per sog­
getto gli uomini di mare (v. 17 ss.). In tal modo il primo la­
mento funebre è ambientato nel futuro (κλαύσουσιν, κόψονται,
v. 9), il secondo nel presente (κλαίουσιν, πεν$οΰσιν, v. x i; ma cf.
στήσονται, v. 15), e l’ultimo invece nel passato (έστησαν, εκρά-
ζον, εβαλον, εκραζον, νν. 17-19)· Ma è tutto il capitolo di Apoc.
18 che oscilla tra passato e futuro, per cui Babilonia è a volte
già divenuta dimora di ogni spirito immondo e maceria fu­
mante (εγένετο κατοικητήριον κτλ., 18,2), e altre volte essa è
ancora in grado di dirsi regina (κάδημαι βασίλισσα κτλ., 18,2)
0 i flagelli e l’incendio devono ancora devastarla (ηξουσιν ai
πληγαί κτλ., v. 8), e il popolo di Dio è invitato a uscirne per
non farsi complice dei suoi peccati e per non restare esposto
agli stessi suoi flagelli (v. 4). Secondo 18,21, poi, Babilonia sarà
in futuro sprofondata (βληθήσεται) nel mare come una macina
da mulino che va subito a fondo, e tuttavia secondo 19,3 il fumo
del suo incendio già sale (άναβαίνει) per i secoli dei secoli.
Altrettanto illogica è infine la successione dei tempi verbali
nella narrazione dell’assalto finale del Drago e della sua defini­
tiva sconfitta, dove a due futuri (λυ‫־‬$ήσεται, έξελευσεται, 20,7-
8) fanno seguito cinque aoristi (άνέβησαν, έκύκλευσαν, κατέβη,
κατέφαγεν, εβλή$η, νν. 9-ioa).1 La sequenza di tempi più sor­
prendente è comunque quella di 10,7 il cui aoristo έτελέσθη è
tradotto con il futuro (consummabitur) perfino da Girolamo,
solitamente rigoroso, nella sua Volgata.2 La traduzione di qucl-
l’aoristo con un futuro è dovuta al fatto che, secondo 10,7, il
mistero di Dio si compì (έτελέσ$η, aoristo) allo squillo della set­
tima tromba, la quale però squillerà soltanto più tardi, in 11,15 .
Con tutte queste anomalie nell’uso dei tempi verbali G io­

1 Cf. anche in 6,12-17 il presente λέγοικπν che viene dopo sette aoristi; cf.
poi il κράζουσιν di 7,10 preceduto da un imperfetto e seguito da aoristi; cf.
il σύρει di 12,4 che si trova tra verbi al passato, e cf. in 14 ,11 i presenti άνα-
βαίνει e ουκ έχουσιν che concludono una serie di futuri.
2 Altre traduzioni sono: «should be finished» (KJV), «will be fulfilled»
(NJB, NRSV), «alors sera Paccomplissement» (TOB), «wird vollendet
sein» (ELB), «dann ist vollendet» (LUT).

114
vanni vuole probabilmente dire che i tempi di Dio sono diversi
dai nostri c che il futuro compimento della volontà di Dio è co­
sì certo da poter essere espresso con i tempi greci del passato.1

5. Gli episodi narrati


da prospettive complementari
In Apoc. 11 - 1 3 quattro vicende sembrano estranee tra loro quan­
do invece, a motivo dei tempi in cui accadono, non lo sono.
Infatti secondo 1 1,2 il dominio delle genti sulla Città Santa du­
rerà quarantadue mesi, secondo 11,3 i Due Testimoni devono
profetizzare per r 260 giorni, secondo 12,6 e 12,14 la Donna
messianica resterà nel deserto sotto la protezione di Dio per
1 260 giorni e rispettivamente per «tre tempi e mezzo», mentre
infine secondo 13,5 la Bestia-dal-mare svolgerà la sua azione
ostile contro i santi per quarantadue mesi. Come dice l’equiva­
lenza tra i 1 260 giorni di 12,6 e i «tre tempi e mezzo» di 12,14
che si riferiscono allo stesso e medesimo soggiorno della Don­
na nel deserto,2 tutti i tempi in questione si equivalgono essen­
do «tre tempi e mezzo» l’equivalente di quarantadue mesi e di
1 260 giorni.3 Queste indicazioni temporali, strane per un let-
1 Al riguardo si sono espressi con particolare efficacia i medioevali. Beda il
Venerabile (f 735) a commento di 14,8 scrive: Cecidit, cecidit Babylon illa
magna. Dicit... more Scripturae, quae solet praelerilum ponete, quod no-
vit inevitabiliter adimplendum (PL 93, 174D). Cf. poi soprattutto Bruno
di Segni (scripsit 1079 ca.) che a commento di 18,2 scrive: Cecidit, cecidit
Babylon magna. Usilatissimus enim est iste locutionis modus, ut ea, quae
certissime fieri scimus, prius etiam quam fiant facta dicamus: unde et eos
iam vicisse dicimus, quos victores fore putamus, et eos quos morti propin-
quos videmus, iam mortuos nuntiamus. Sic ergo angelus in hoc loco, quia
non dubitai subito esse Babylonem perituram, ac si iam cecidisset quasi de
praeteritis loquens ait: Cecidit, cecidit Babylon magna. Lo stesso Bruno si­
gnificativamente commenta: Ac si dicat: Nullam spem in ea ulterius ba-
beatis, nullum amorem in ea ponatis, quia in proximo miserabiliter ruere
videbitis; non vos fallai, non vos decipiat, cuius omnis pulchritudo subito
evanescet (PL 16y, 701 c).
2 Cf. più sotto il paragrafo sui doppioni anticipativi.
3 Basti citare Swete, Apocalypse, 152: «La vicenda della Donna nel deserto
è in sincronia con (syncbronizes with) l’attività profetica dei Due Testi­
moni»; e soprattutto Allo, Apocalypse, 142, che scrive: «Giovanni altro non
intende fare se non un sincronismo», dopo aver affermato: «Il confronto
di 11,3 con 11,2 e 13,5 dice che questa misura di tempo s’applica a una sola

115
tore disinformato, in realtà sono abbastanza trasparenti per chi
conosce il libro di Daniele, perché in Dn. 7,25 e 12,7 «tre tem­
pi [= anni] e mezzo» segnano la durata della profanazione del
tempio di Gerusalemme ad opera di Antioco iv Epifane,1 che
durò dal giugno 168 a.C. al dicembre 165.
Un unico e medesimo tempo e dunque descritto da prospet­
tive diverse e ogni segmento narrativo si fonde con gli altri con­
tribuendo alla descrizione di un’unica vicenda. Succede qui co­
me se il narratore si sentisse incapace di esprimersi in un solo
tentativo e come se di conseguenza raccontasse la vicenda suc­
cessivamente da prospettive parziali che, composte «a spicchi
d’arancia»,2 danno la narrazione completa.3
e medesima epoca, non a due epoche contigue di uguale lunghezza: è du­
rante il tempo in cui i gentili calpestano la città santa e nel tempo in cui la
bestia furoreggia (13,5; cf. 11,7), che i Due Testimoni esercitano la loro at­
tività»; Prigent, Apocalypse, 72: «I numeri (12.60 giorni = quarantadue me­
si = tre anni e mezzo) uniscono i capitoli da 1 1 a 13». Per il ciclo mensile
arrotondato a trenta giorni cf. Ireneo, Haer. 1,17,1. - Il commentatore che
per primo andò in cerca di sincronismi in Apoc. fu J. Mede nella sua Cla-
vis Apocalyptica (Cantabrigiae "1627,31649), cf. Biguzzi, Settenari, 88-91.
x Hadorn, Offenbarmg, 8, parla di «danielische Zahl».
2 S. Chialà, Libro delle parabole di Enoc. Testo e commento (SB 117), Bre­
scia 1997, 78-79, rileva la stessa tecnica compositiva in 1 Hen.: «Le tre pa­
rabole che costituiscono il corpus dell’opera hanno come contenuto uno
stesso messaggio. Passando tuttavia dalla prima parabola a quelle successi­
ve si ha l’impressione che questo medesimo contenuto, ogni volta che vie­
ne ridetto, si accresca e si precisi». A p. 80 lo stesso autore fa riferimento
anche al libro di Daniele e, purtroppo senza esemplificare, ad Apoc.
3 Cf. Biguzzi, Settenari, 245-246. - Il fenomeno non è sconosciuto a que­
sto o a quel commentatore. Cf. P. Prigent, L ’étrange dans VApocalypse: une
catégorie théologique: LumVie 31 (1982) 57: «Non c’è prima il tempo dei
Due Testimoni, poi quello della fuga nel deserto, e infine quello del pote­
re della bestia. Si tratta sempre della stessa epoca... Su questo tempo l’au-'
tore getta illuminazioni successive: dapprima si tratta della rischiosa voca­
zione profetica (Apoc. 11), poi di quello nel quale satana è ridotto alla sua
azione terrestre (Apoc. 12), e infine di quello dell’impero (Apoc. 13)». Cf.
poi Schiissler Fiorenza, Visione, 51, che a proposito della composizione di
Apoc. in generale usa tre differenti immagini (lettura prismatica, sequenza
filmica da diverse angolature, variazione musicale dello stesso motivo me­
lodico) per dire che Giovanni talvolta descrive lo stesso protagonista o lo
stesso evento successivamente da differenti prospettive. Cf. infine Bauck-
ham, Teologia, 35, dove l’autore parla di «prospettive complementari [circa
la caduta di Babilonia]», e p. 64, dove scrive: «L’Apocalisse fa entrare in
gioco immagini che non possono dire tutto in una volta sola».

116
Una dissezione in prospettive complementari è anche in 1 ,1,
dove Giovanni riesce a ricostruire nella sua completezza la ca­
tena di trasmissione della «rivelazione» soltanto a costo di elen­
carne i protagonisti a due riprese. In i,ia menziona la prima
sorgente della rivelazione (Dio), il mediatore princeps (Gesù),
e i destinatari (i servi suoi). Invece in i,ib , trascurando i due
punti estremi (Dio, i servi) e illustrando il segmento centrale
della catena rivelativa, quello dei mediatori, menziona Gesù,
l’angelo da lui inviato, e se stesso. Condensare tutto in una so­
la elencazione sarebbe stato grammaticalmente pesante e con­
cettualmente molto più debole e inespressivo: la divisione in
due serie complementari, invece, evidenzia sia la grande dignità
della rivelazione (i,ia ), sia la sua struttura profetica (i,ib ).
Un terzo caso di prospettive complementari è quello di 20,
1 1- 1 5 dove Giovanni scompone in due spicchi (w . 11- 1 2 , e v.
13) la scena del giudizio.1 Nel primo, dopo aver introdotto il
Sovrano (e cioè il giudice, v. 11), i morti (v. i2a) e i libri sia delle
opere che della vita (i libri dunque del giudizio e della ricom­
pensa, v. i2b), Giovanni parla esplicitamente del giudizio dei
morti (καί έκρί$ησαν κτλ., v. i2c). Tre elementi, e cioè 1. l’au­
torità cosmica del giudice («Colui dalla cui presenza fuggì la
terra e il cielo, per i quali poi non ci fu più posto», v. 1 ib), 2. l’ar­
ticolo nell’espressione «i (τούς) morti», e 3. la totalità compor­
tata dal binomio «i grandi e i piccoli», orientano a identificare
in quei morti l’universalità dei morti: tutti i morti del giudizio
finale. Ma nonostante tale universalità, il v. 13 prende a parlare
di altre due categorie di morti. Gli uni sono i morti che il mare
deteneva (v. 133), e quindi probabilmente i morti che non han­
no avuto sepoltura; gli altri sono invece i morti che si trovava­
no in Thanatos e Hades (v. i3b), i morti detenuti dunque nel
regno degli inferi. E anche per i morti di queste due categorie,
Giovanni dice che furono giudicati (καί έκρί-δησαν κτλ., v. 1 3c).
Di queste due narrazioni di giudizio, quella dei «morti
grandi e piccoli» e quella dei «morti del mare e degli inferi»,
non è possibile affermare che siano né distinte né cronologi-

1 Aune, Revelation 17-22, 1081, parla di testo «problematico» e J. Lamb-


recht, FinalJudgments and Ultimate Blesstngs. The Climatic Visions o f Rev­
elation 20 ,11-21,8, in Collected Sludies on Pauline Literature and on thè
Book of Revelation (AnB 147), Roma 2001, 397 s., parla di «ripetizione».

117
camentc successive, perché non si sa dove collocare l’attesa del
giudizio per i morti «grandi e piccoli» se non proprio nel mare
o negli inferi. Se ne deve dunque concludere che anche qui G io­
vanni scompone lo stesso evento in due spicchi: tra un prologo
in cui viene presentato il trono del giudice (v. n ) e l’epilogo in
cui si annuncia lo sprofondamento di Tbanatos nello stagno di
fuoco e zolfo (v. 14), un unico e medesimo giudizio viene de­
scritto da due differenti prospettive, distinte tra loro per la loro
diversa universalità: l’universalità antropologica (i morti «pic­
coli e grandi», v. 12), e l’universalità cosmica (i morti «del ma­
re», i morti «degli inferi», v. 13).

6 .1 doppioni d'anticipazione
Giovanni talvolta mette in difficoltà i lettori e gli interpreti con
sorprendenti duplicati nei quali anticipa quanto dirà con ab­
bondanza di particolari a tempo e luogo giusto.
Un primo doppione è quello delle due fughe della Donna
nel deserto, l’una segnalata subito dopo il parto (12,6), e l’altra
al momento in cui il Drago si dà a perseguitarla (v. 14) dopo che
è stato estromesso dal cielo e precipitato sulla terra. È ben vero
che E. Corsini risolve la sovrabbondanza narrativa del testo so­
stenendo che si tratta di due distinte fughe. La prima sarebbe
«un’allegoria della caduta originale dell’umanità», mentre la
seconda sarebbe il compendio delFeconomia giudaica, o l’eso­
do.1 Anche prescindendo dalle opzioni metodologiche,2 l’afr
fermazione di Corsini della duplice fuga non è esente da diffi­
coltà. N ell’ipotesi di Corsini, infatti, il deserto sarebbe una vol­
ta negativo (caduta originale) e una volta positivo (esodo), men­
tre nel testo è palesemente sempre positivo. Non basta: l’assen­
za di persecuzione nella prima fuga, invocata da Corsini per di­
stinguerla dalla seconda,3 non ha nulla a che vedere né con l’im-
x Corsini, Apocalisse, 319; Id., La donna e il dragone nel capitolo 12 del­
l ’Apocalisse: RicSB 6 (1994) 261. Nella monografia del 1994 Corsini ha con­
servato ridentificazione della prima fuga con la caduta originale, mentre
ha collegato la seconda con l’esodo.
2 Intendere una fuga nel deserto come caduta d’origine è interpretare non
simbolicamente o tipologicamente ma allegoricamente. D ’altra parte lo
stesso Corsini ricorre con molta naturalezza al termine «allegoria».
3 Le due fughe si distinguono - dice Corsini - perché solo la seconda è col-

118
magine né con la realtà del peccato d’origine. A questa difficol­
tà, si potrebbe aggiungere quella che riguarda i luoghi e gli iti­
nerari: dopo avere raggiunto il deserto una prima volta, la D on­
na fuggirebbe di nuovo nel deserto senz’essersi allontanata dal
deserto della prima fuga. Il fatto è che invece, se il Drago si lan­
cia all’inseguimento del figlio della Donna là dove è portato in
salvo, di per sé la Donna non è da lui minacciata e non ha mo­
tivo di fuggire. È nel v. 13 che la Donna deve cercare scampo,
perché è allora che il Drago si rivolge contro di lei con ostilità
(èSico^ev: «inseguì», «diede la caccia», «perseguitò»). Se dunque
' il v. 6 parla di una fuga della Donna quando il tempo di fuggire
non è venuto, allora, con la maggioranza dei commentatori, si
può vedere nel v. 6 una sorprendente (e inutile) anticipazione
del v. 14, dove la fuga è invece cronologicamente al suo posto.1
Un secondo doppione anticipativo è in 16,18-19 dove Babi-
legata con la persecuzione, non la prima: i 1260 giorni della prima fuga
costituirebbero la prima mezza settimana di anni di Dn. che appunto non
è tempo di pcrsccuzionc, mentre i tre tempi e mezzo della seconda fuga sa­
rebbero la seconda mezza settimana di anni che è invece tempo di perse­
cuzione (Dn. 9,27: «Egli stringerà una forte alleanza con molti per una set­
timana e, nello spazio di una metà settimana... farà cessare il sacrificio e
l’offerta; sull’ala del tempio porrà l’abominio della desolazione ecc.»). La
somma dei due tempi darebbe come risultato la settimana dell’attesa mes­
sianica.
1 Parlano di anticipazione o prolessi per esempio Bousset, Swcte, Allo,
Lohmeyer, Gelin, Bonsirven, Behm, Salguero, Bartina, Beasley-Murray,
Prigent, Roloff. Cf. per tutti L. Cerfaux, La vision de la fèmme et du dra-
gon de l ’Apocalypse en relation avec le Protévangile, in Recueìl Cerfaux in
(BETL 71), Leuven 1985, 247: «Il v. 6 non è che un’anticipazione dei w .
13-18 ‫»׳‬. - Di quell’evidente doppione qualche altro autore fa invece un’im­
probabile «necessità narrativa»: così Hadom, Offenbarung, 13 1: «Biso­
gnava dire (es mufite gesagt werden) dove la comunità è dopo il rapimen­
to del Messia»; U. B. Miiller, Offenbarung, 236: «Dal momento che vuole
introdurre un nuovo pensiero di fondo, l’autore si sente obbligato (genó-
tigt) a questa interruzione»; H. Gollinger, Das «Grofie Zeichen» von Apo-
kalypse 12 (SBM n ), Stuttgart 19 7 1,117 . 178-179: «Nel quadro dell’inter­
pretazione globale la ripetizione si rivela piena di significato, se non pro­
prio necessaria (notwendig)», «Poiché è Dio che governa la storia e non
Satana, la Donna deve (mufi) essere già nel deserto quando Satana è preci­
pitato dal cielo. Nel suo contesto il v. 6 è dunque necessario (notwendig)
quanto lo è la più ampia narrazione della fuga e del soggiorno nel deserto
dei vv. 14-16. Il v. 6 non può essere eliminato quale insignificante doppio­
ne dei w . 13-14, come vorrebbe Charles (1, 321) e con lui tutt’una serie di
altri interpreti».

II9
Ionia è distrutta da un terremoto senza precedenti che la squar­
cia in tre parti. L ’effettiva sua distruzione però è annunciata più
tardi, in 17,16 («i dieci corni [della Bestia] e la Bestia la distrug­
geranno»), ed è poi presupposta (più che descritta) in Apoc. 18,
come risultato di un grande incendio (non di un terremoto).
Allo stesso modo, la discesa dal cielo della Gerusalemme nuo­
va di 21,2 anticipa inutilmente quella di 21,10 . La classica via
per spiegare questo ulteriore doppione è di ipotizzare l’uso di
due fonti diverse da parte dell’autore,1 ma l’ipotesi è impropo­
nibile perché il tenore delle parole nelle due descrizioni rivela
un’unica mano e perché 7,9-17 contiene il vocabolario e le im­
magini delle due pretese fonti, e cioè sia di 2 1,1-8 che di 21,9-
22,5. Meglio sarebbe allora attribuire allo stesso Giovanni due
testi originariamente distinti e poi messi l’uno dopo l’altro, co­
me fa M .-É. Boismard.2 Ma, a proposito di tutte queste ipote­
si, si può far valere quanto scrive L. Morris: «N on è il caso di
pensare a due narrazioni originariamente separate e poi messe
insieme da un editore così pasticcione e così ottuso da dimenti­
care ciò che aveva recepito otto versi prima».3 La quasi inevi­
tabile conclusione, perciò, è che anche qui si ha a che fare con
un doppione narrativo.4
1 Cf. per esempio Charles, Revelation 1, 15 1-153, per il quale una fonte
parlava della Gerusalemme celeste (21,1 ss.), e l’altra della Gerusalemme
del millennio (20,1 ss.); J. Moffatt, The Revelation o f St. John thè Divine
(E’sGT 5), London 1910, 478 («revisione di una fonte più antica»); Kraft,
Offenbamng, 262; e, poco convinto, W. Thusing, Die Vision des «Neuen
Jemsalem» (Apk 21,1-22,5) a^s Verheiftung und Gottesverkiindigung: TTZ
77 (1968) 20 n. 4 («possibile, non necessario»). Ma cf. per esempio le diffi­
coltà opposte a questa spiegazione da Georgi, Visionen, 355 n. 15.
2 Cf. Boismard, «L ’Apocalypse», o h «les Apocalypses», 524-527.
3 L. Morris, The Book o f Revelation. An Introduction and Commentary
(TyNT 20), Leicester - Grand Rapids 11987 (11969), 242.
4 Parla di «anticipazione» per esempio S. Bartina, Apocalipsis de San Juan
(La Sagrada Escritura, NT 3), Madrid 1967, 824. Simile è la frequente in­
terpretazione secondo la quale in 21,1-8 Giovanni darebbe una prima e
sommaria descrizione e in 21,9 ss. fornirebbe invece una descrizione più
dettagliata. Così per esempio Lohmeyer, Offenbamng, 167 («un comple­
tamento»); Bonsirven, Apocalypse, 305 («una descrizione particolareggia­
ta»); Brutsch, Clarté, 363 («una visione più sfumata»); U.B. Muller, Of­
fenbamng, 349 («descrive con più dettagli»); Roloff, Offenbarung, 197
(«un primo sguardo d’insieme»); J. Sweet, Revelation (TPINTC), London-
Philadelphia '1990 (11979), 296-297 («più in dettaglio»); J.-P. Charlier,

120
Giovanni ricorre a queste anticipazioni quando intende im­
primere al suo racconto quell’accelerazione per cui, prima che
un episodio sia concluso (Apoc. iz) o addirittura prima che sia
riferito (Apoc. 18 e 21), il lettore è già introdotto spiritualmen­
te in ciò che ancora deve venire e in anticipo si sente assicurato
della protezione e della vittoria di Dio.

III. IL M ONDO SU R R EA LE E O N IR IC O DI G IO V AN N I

1. Un mondo oltre la logi