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L’Apocalisse
e i suoi enigmi
Paideia
Giancarlo Biguzzi
L’Apocalisse
e i suoi enigmi
Paideia Editrice
Tutti i diritti sono riservati
© Paideia Editrice, Brescia 2004 ISBN 8 8 .3 9 4 .0 6 9 1 . 3
Indice del volume
15 Premessa
Parte prima
Circostanze storiche
Capitolo 1
21 Un libro contro «Babilonia»:
contro Roma o contro Gerusalemme?
21 1. «Babilonia»
nella storia dell’interpretazione
21 1. Il problema e le alternative
23 2. Da Ireneo a Gioacchino da Fiore
26 3. Da Gioacchino da Fiore all’esegesi contemporanea
29 II. Critica all’ipotesi antiromana
29 1. Difficoltà dell’ipotesi antiromana
32' 2. Configurazione dell’ipotesi antigerosolimitana
36 in. Bilancio circa le due interpretazioni
3é 1. Valutazione dell’ipotesi antigerosolimitana
42 2. Valutazione dell’ipotesi tradizionale
Capitolo 2
47 La terra di Apoc. 13 ,11
e la geografia fisico-politica
47 I. La bestia di Apoc. 13 ,11 e il suo salire dalla terra
47 1. Il «bell’odioso» della Bestia che sale dalla terra
48 2. Il termine -$ir]piov e il simbolismo teriomorfo
49 3. La provenienza «dalla terra»
5i 4 .1 v e r b i x a T a [ 3atvco - à v a ( 3aiv&)
e la sfera di appartenenza
53 II.1 diversi ambiti d’azione delle due bestie
53 1. L ’adorazione della Bestia a dimensione ecumenica
54 2. L ’adorazione della statua della Bestia
in una diversa atmosfera
55 3. L ’adorazione della statua della Bestia
a dimensione regionale
7
56 4. Flagelli distinti per gli adoratori della Bestia
e per il suo trono
57 5. La successione «mare-terra» e l’angelo di Apoc. io
59 6. Quale mare e quale terra
59 h i . La terra di Apoc. 13 ,11
nella storia dell’interpretazione
59 x. Interpretazioni escatologica e storico-ecclesiastica
60 2. Interpretazioni di storia contemporànea
Capitolo 3
63 Le due idolatrie di Apoc. 8-16 a Efeso
63 1. L ’idolatria nel Nuovo Testamento
e nell’Apocalisse
63 1. L ’idolatria nell’esperienza quotidiana delle chiese
63 2. L ’Apocalisse e le due idolatrie
65 11. L ’idolatria tradizionale a Efeso
66 m . Efeso e il culto del sovrano
66 1. Il «neocorato» imperiale di Efeso
sotto Domiziano
69 2. Il tempio efesino
per il culto degli imperatori Flavi
71 3. La statua cultuale di un imperatore Flavio
74 4 .1 giochi domizianei e il culto del sovrano
75 5. La scelta degli spazi come persuasore occulto
75 6. Il culto dell’imperatore
quale nuovo centro di coesione
76 iv. Il tempio imperiale e la datazione dell’Apocalisse
Capitolo 4
79 Giovanni di Patmos, Patmos, e la «persecuzione»
79 1. Giovanni di Patmos - Giovanni a Patmos
79 1. Giovanni di Patmos
82 2. Giovanni a Patmos.
Ipotesi di un soggiorno volontario
85 3 . Giovanni a Patmos.
Ipotesi di un soggiorno obbligato
86 4. Damnatio, deportatio o relegatio
88 5. Il contributo di H.D. Saffrey
90 6. Le autorità municipali e il vagus Giovanni
92 11. Due diverse immagini di «persecuzione»
nell’Apocalisse
92 1. Ostilità locale in Apoc. 1 3־
8
93 2. La persecuzione extra-asiatica di Apoc. 12-20
94 3. Il grido dei «martiri» in Apoc. 6,9-10
95 ni. Le autorità coinvolte e l’epoca della persecuzione
95 1. Persecuzione reale o crisi «percepita»
96 2. Intolleranza popolare e iniziativa delle autorità
97 3. Persecuzione in Asia, autorità responsabili
e datazione dell’Apocalisse
Parte seconda
Linguaggio
Capitolo 5
i °3 Una grammatica delle immagini
e delle tecniche narrative
104 1. Singolarità delle immagini giovannee
104 1 . 1 canti di descrizione
106 2 ״. La metamorfosi delle immagini
1 09 11. Singolarità delle tecniche narrative giovannee
1 09 1. Autarchia dei singoli episodi e dettagli
III 2. Le lacune narrative
112 3. Discontinuità negli itinerari
e nell’identità dei protagonisti
113 4. Anomala sequenza dei tempi verbali
115 5. Gli episodi narrati da prospettive complementari
118 6 .1 doppioni d’anticipazione
121 in. Il mondo surreale e onirico di Giovanni
121 1. Un mondo oltre la logica e l’esperienza comune
123 2. Il mondo surreale dell’Apocalisse,
la sua natura e il suo scopo
124 iv. Leggibilità e unitarietà dell’Apocalisse
Capitolo 6
127 I numeri e il loro linguaggio
12 8 1.1 numeri e la perfezione dell’agire divino
12 8 1. Il numero sette in Apoc. 1-3
131 2. Il numero dieci in Apoc. 2
132 3. Il sette di Dio e dell’Agnello in Apoc. 4-22
134 4. Il quattro e il suo simbolismo cosmico
135 5. Il dodici come numero del popolo di Dio
137 11. La triade antidivina
e il risvolto diabolico dei numeri
137 1. La Triade antidivina e la parodia del tre e del sette
9
138 x. Il soprannumero dei dieci corni e diademi
139 3. «Tre e mezzo» come sette dimezzato e mancato
140 in. Calcolare il numero della Bestia (Apoc. 13,18)
140 1. Coinvolgimento del lettore nei calcoli
142 2. Il 666 secondo gli antichi e secondo i moderni
147 3. Bilancio e prospettive circa l’interpretazione del 666
149 4. Tentativi di interpretare il 666
in base al simbolismo del 6
150 5. Il 666 in relazione al dodici e non al sette
Capitolo 7
153 Il caos di Apoc. 22,6-20 e il linguaggio pneumatico
153 1. Il caos, innegabile ma non selvaggio
153 1. Pluralità e intermittenza delle voci
155 2 .1 temi e l’articolazione del testo '
156 3. Il parallelismo tra 22,6-1 o e 22,16-20
159 4. Le tre «strofe» e le voci che interloquiscono
160 11. L ’interlocutore reale in Apoc. 22,6-20
160 1. Attesa della venuta e destinatari reali
161 2. Esortazioni etiche e destinatari reali
163 3. Legittimazione del libro e destinatari reali
164 4. Legittimazione del libro e profeti-fratelli
166 ni. Giovanni e gli ambienti profetici d’Asia
166 1. L ’interferenza delle voci in tutta l’Apocalisse
167 2. L ’ipotesi di U.B. Miiller, Apoc. 22,6-20 e 1 Cor. 14
169 3· La prassi profetica e i rapporti di Giovanni
con i profeti-fratelli
Parte terza
Difficoltà
Capitolo 8
173 Gli angeli delle chiese (Apoc. 2-3)
173 1 ׳. L ’Apocalisse come «Engelbucb» ׳
e «gli angeli delle chiese»
173 1. Un libro pieno di angeli
174 2. La difficoltà della formula
175 11. Le interpretazioni, i loro argomenti
e contro-argomenti
175 1. Gli angeli delle chiese come esseri celesti
176 2. Gli angeli delle chiese come controparte celeste
delle chiese
io
1 77 3· Gli angeli delle chiese come uomini
179 4. Tutta la questione è res obscurissima
180 in. Le categorie e i ruoli degli angeli nell’Apocalisse
180 1. Gli angeli della liturgia celeste
180 2. Gli angeli ministri di Dio e del Cristo
182 3. Gli angeli che sovrintendono agli elementi cosmici
183 4. Gli angeli «delle porte»
nella Gerusalemme escatologica
184 iv. La natura degli angeli delle chiese
184 1. Gli angeli delle chiese
come angeli delle dodici tribù
185 2. Gli angeli delle chiese
e gli angeli «degli elementi cosmici»
187 3. Schema dualistico
e sostituzione di cielo e terra nell’escatologia
188 v. Gli angeli delle chiese
nella strategia retorica di Giovanni
188 1. La pari dignità degli angeli di Apoc. 19,10
e 22,8-9 con Giovanni
189 2. La fallibilità e colpevolezza degli angeli
in Apoc. 2,16
191 3. Tanti elogi e nessun rimprovero
in seconda persona plurale
192 4. Angeli fittizi e strategia retorica di Giovanni
Capitolo 9
195 II Drago, la Donna e il Messia (Apoc. 12)
196 1. L ’articolazione del testo e il suo baricentro
1 96 1. L ’articolazione del testo
197 2. Il collegamento delle tre scene
e il baricentro dell’episodio
198 li. Gli attributi e la vicenda della Donna
198 1. L ’alone di luce di sole
199 2. La luna sotto i piedi
200 3. La corona dì dodici stelle
201 4. Le doglie del parto e il seguito della vicenda
della Donna
202 ni. Gli attributi e la vicenda del Drago
202 1. Un drago 7tuppó? e [xÉya!;
204 2. Sette teste, dieci corni, sette diademi
206 3. «Con la coda trascina un terzo delle stelle»
207 4. Il serpente antico, chiamato Diavolo, o Satana
11
5. La vicenda a tre atti del Drago
211 6. Il Drago e gli altri due segni
212 rv. Gli attributi e la vicenda del figlio
2 X2 1. Un figlio che reggerà i popoli con scettro ferreo
2l6 2. Un figlio, un maschio
217 3. Il parto e il rapimento in cielo
220 v. Giovanni di Patmos e i suoi lettori in Apoc. 12
2 20 1. La collocazione del cap. 12 nell’Apocalisse
22 X 2. Un avversario odioso ma nient’affatto invincibile
222 3. In situazione critica ma per un nuovo esodo
223 4. «Non ancora, ma già»
224 vi. Tra interpretazione ecclesiologica e mariologica
224 1. Identità collettiva della Partoriente-Madre
227 2. Un esempio e la formula di Ruperto di Deutz
Capitolo 10
229 L ’Apocalisse e lo spirito di vendetta
229 1. Il problema etico e teologico dell’Apocalisse
22 9 1. La vendetta nell’Apocalisse
e due uomini di lettere
232 2. La vendetta nell’Apocalisse e gli uomini di chiesa
236 il. L ’episodio delle anime degli uccisi
236 1. Il sangue dei servi di Dio
e la richiesto di vendetta (6,9-10)
237 2. La prospettiva di Giovanni e la sua risposto (6,11)
238 3. 1 flagelli dell’ira divina (Apoc. 8-11; 15-16)
239 4. Flagelli medicinali in vista della conversione
24I in. L ’episodio dei Due Testimoni
241 1 . 1 Due Testimoni e la loro attività (11,3-13)
243 2. Non vendetta ma giudizio lasciato a Dio
244 3. Non vendetta ma epilogo pasquale
245 iv. Uno scrittore intemperante
e un retore eccessivo
Capitolo 1 1
249 Apoc. 17
e i riferimenti alla storia contemporanea
249 1. L ’articolazione di Apoc. 17 e le sue contraddizioni
249 1. L ’articolazione del capitolo
251 2. La profezia circa la Bestia e le spiegazioni
253 3. La profezia circa la Prostituta e le spiegazioni
254 4. Le volute contraddizioni del capitolo
12
254 n · La contraddizione e le qualifiche della pome
254 1. La contraddizione dei tre «sgabelli» della Bestia
258 2. Le altre qualifiche della porne
e le motivazioni del giudizio
259 3. La geografia politica presupposta in Apoc. 17
259 ni. Le contraddizioni e le qualifiche della Bestia
259 1. La Bestia «non è, ma salirà dall’abisso»
261 2. Le sette teste sono sette monti ma anche sette re
262 3. La Bestia si identifica con una sua testa
263 4. Una delle sette teste è anche l’ottava
264 iv. Le due profezie di Apoc. 17 e i loro tempi
264 1. La profezia circa la fine della Bestia (Apoc. 17,14)
265 2. La profezia circa il giudizio della porne (Apoc. 17,16)
266 3. Diacronia, sincronia e anacronismi in Apoc. 17
267 v. I possibili riferimenti alla storia contemporanea
267 1. Babilonia, la pome corruttrice e persecutrice
269 2. L ’ottavo re che, colpito a morte,
ritorna per la perdizione
Capitolo 12
273 Il ristabilimento della giustizia e il regno millenario
273 1. 1 mille anni di Apoc. 20,1-10 e il millenarismo
273 1. Il millenarismo dei primi secoli
275 2. Il fronte antimillenarista fino ad Agostino
277 3. Il millenarismo fino ad oggi
277 11. L ’interpretazione millenaristica e Vanalogia fidei
%J7 1. Difficoltà di natura storico-teologica
280 2. Difficoltà circa i tempi della giustizia di Dio
nell’Apocalisse
281 in. Le tecniche narrative in Apoc. 11,1- 13 e il millennio
281 1 . 1 procedimenti narrativi di Apoc.11,1- 13
282 2. Sincronismi di Apoc. 11
e interpretazione di Apoc. 11-20
283 3. Periodizzazione di Apoc. 1 1
e interpretazione del millennio
284 iv. Conclusione sulla linea di Agostino
Conclusioni
287 Un libro di enigmi, di battaglie, di esortazione
13
Premessa
Per espugnare l’ardua cittadella dell’Apocalisse sono necessarie
più rincorse e più assalti.
Il primo assalto deve mirare alla comprensione del suo im
pianto globale e della sua trama narrativa. È la difficoltà mag
giore. Se non la si risolve, la soluzione delle altre difficoltà, che
si possono chiamare «di secondo grado», sarà sempre accesso
ria e non-risolutiva: a poco serve conoscere qualche albero se
poi ci si perde nella foresta. A quella difficoltà ho dedicato un
ampio studio nel 19961 i cui punti d’arrivo, che qui saranno
come presupposti, sono una mezza dozzina.
Qui, dunque, in pratica si presupporrà che:
1. L ’Apocalisse è articolata in due parti di diversa ampiezza
(opinione maggioritaria tra gli interpreti; l’alternativa è ritene
re che sia costruita a chiasmo). I capp. 1-3 (prima parte) posso
no essere intitolati «Il Cristo e le sette chiese d’Asia», e i capp.
4-22 (seconda parte) possono essere intitolati «Piano e inter
vento di Dio nella storia».2
2. Con le visioni o gli antefatti che li introducono, i quattro
settenari ritmano il testo di Apoc. e dunque devono guidare il
lettore e l’interprete.3 Il settenario dei messaggi alle sette chie-
1 G. Biguzzi, 1 settenari nella struttura dell’Apocalisse. Analisi, storia della
ricerca, interpretazione (RivB.S 31), Bologna 1996.
1 Per la divisione di Apoc. in due parti cf. Biguzzi, Settenari, 281-294.
3 Sui settenari e sulla loro funzione strutturante cf. ibid. 295-310 e G. Bi
guzzi, La trama narrativa e l’impianto letterario [dell’Apocalisse]: ParV 45
(1, 2000) 13-19 e Id., I settenari dell’Apocalisse■. ParV 45 (3, 2000) 11-14 . Si
ispira ora al criterio dei settenari anche C. Doglio in Logos, 7. Opera Gio
vannea, Leumann-Torino 2003,137-141. - Nella sua recensione su Biblica
(78 [1997] 294-297) P. Prigent esprime la convinzione che Apoc. non pos
sa avere un piano o un ordine dal momento che il suo testo è pieno di asim
metrie e di irregolarità, (p. 296). Prigent aggiunge: «Come dimenticare che
al riguardo si fanno tentativi da ben 20 secoli sènza che alcun piano si sia
mai imposto?» (p. 297). Ma la regola invocata da Prigent comporta la morte
di ogni ricerca.
15
se d’Asia (Apoc. 2-3) è introdotto dalla cristofania di Apoc. 1; il
settenario dei sigilli aperti dall’Agnello (Apoc. 6,1-8,1) è intro
dotto dalla visione del Trono e del rotolo di Apoc. 4-5; il sette
nario delle trombe (Apoc. 8,2-11,19) non ha antefatti,1 mentre
l’antefatto del settenario delle coppe (Apoc. 16) è il costituirsi
dell’idolatria della Bestia (Apoc. 12-13[-14]).
3 . 1 settenari di trombe e coppe scatenano i flagelli dell’ira di
vina sul mondo dell’idolatria dei demoni e degli idoli (settena
rio delle trombe, cf. 9,20-21) e delPidolatria della Bestia (sette
nario delle coppe, cf. 16 ,9 .11 ) 2 per indurre i non-servi di Dio
alla conversione - (è soprattutto la mancata comprensione di
questi capitoli centrali che compromette la comprensione di
tutto il libro).
4. D i conseguenza i settenari di trombe e coppe sono da dif
ferenziare da quello di Apoc. 6-8 perché aprire i sigilli che im
pediscono la lettura di un rotolo è fare opera di rivelazione, e
non significa invece scatenare flagelli o catastrofi.5
1 II rito degli incensi all’altare celeste in 8,2-5 è il rito d’investitura dei sette
angeli delle trombe (analogo a quello di Apoc. 15 per gli angeli delle cop
pe), che non costituisce un ciclo di antefatti come quello di Apoc. 12-14.
2 Perle due idolatrie di Apoc. 8-16 cf. Biguzzi ,Settenari, 15 1-16 1, 165-178,
e, qui sotto, il capitolo terzo. - Al riguardo Prigent scrive nella sua recen
sione: «Biguzzi ha brillantemente messo in luce la specificità dei settenari
delle trombe e delle coppe, al di là dei loro parallelismi» (p. 297) e in L ’Apo-
calypse de Saint Jean. Edition revue et augmentée (CNT 14), Genève 2000,
71 n. 307: «Biguzzi mostra in modo convincente che il settenario delle cop
pe non è una semplice ripetizione di quello delle trombe: dalla denuncia
deH’idolatria tradizionale si passa all’identificazione del suo nuovo volto,
quello della realtà politico-religiosa del culto imperiale».
3 Cf. Biguzzi, Settenari, 41-48. 118-120. 149. 176-178. - Nonostante qual
che riconoscimento a questa analisi, nel suo articolo di reazione allo studio
sui settenari (The Opening o f thè Seals: Revelation 6,i-8,6: Bib 79 [1998]
198-220; ora riprodotto in Analecta Biblica 147, Roma 2001, 357-377) J.
Lambrecht resta dell’opinione che anche quello dei sigilli sia un settenario
di flagelli: «È nostra ferma convinzione che, infrangendo i sigilli e aprendo
il libro, l’Agnello non solo rivela il piano escatologico di Dio, ma che la ri
velazione è anche ‘realizzazione’ ... Quanto alP'azione’, la serie dei sigilli
non è differente dalle altre due: Giovanni considera i tre settenari come tre
serie di castighi» (p. 218). Alla convinzione di Lambrecht si può contrap
porre che: 1. il quinto sigillo non può essere un flagello, dal momento che
contiene la richiesta di vendetta da parte dei «martiri» e la risposta ad essa
(lo riconosce lo stesso Lambrecht); 2. quella richiesta a Dio di intervenire
colloca nel seguito i flagelli che ne verranno; 3. ma anche il sesto sigillo am-
16
5· Sorprendentemente tre dei quattro settenari sono «aperti
e infranti»: le rivelazioni dell’Agnello terminano in 7 ,11 (a me
tà del sesto sigillo), i flagelli delle trombe terminano in 9,21 (do
po il primo dei tre episodi della sesta tromba), e i flagelli delle
coppe terminano in 16 ,11 (quinta coppa).1
6. Giovanni ha scritto per infondere speranza in mezzo alle
difficoltà più che per consolare e, soprattutto, per dare un’iden
tità forte a comunità cristiane tentate di sincretismo e di com
promesso.2
La seconda incursione interpretativa in Apoc. va dedicata al
le difficoltà «di secondo grado» e questo volume si propone di
intraprenderla con i suoi dodici approfondimenti. Il titolo par
la di «enigmi»: sono gli enigmi che riguardano le circostanze
della composizione (cf. i capitoli 1-4), il linguaggio (cf. i capi
toli 5-7), e testi o dettagli particolarmente ermetici sui quali si
discute da sempre (cf. i capitoli 8-12). Questo o quel capitolo è
apparso su riviste come Estudios Biblicos (1998), Novum Te-
stamentum (1998, 2003), Liber Annuus (2000), Rivista Biblica
(2001, 2002), Ricerche Storico Bibliche (2002) ma, profonda
mente rielaborato, qui si integra in una sintesi che non è la sem
plice somma di scritti precedenti. - Sintesi che è proposta nelle
brevi ultime pagine.
Il primo capitolo cerca preliminarmente di chiarire contro
chi Giovanni scrive il suo libello, perché sapere chi sono i desti
natari significa sapere come leggere il libro: la scelta è da fare tra
interpretazione antiromana e interpretazione antigiudaica di
Apoc. Il secondo capitolo completa il primo cercando di mette-
bienta nel futuro l’ira divina (prima scena, 6,12-17), parlando della previa
preservazione da essa dei servi di Dio (seconda scena, 7,1-8); 4. quanto ai ca
valieri dei primi quattro sigilli, è detta la loro comparsa e la loro investitu
ra (6,1-8) ma essi non entrano in azione, mentre dei flagelli di trombe e cop
pe sono riferiti sia l’azione che gli effetti.
1 Per i settenari infranti e aperti cf. Biguzzi, Settenari, 217-235. Contro que
sta analisi Lambrecht, Opening, opta per l’interpretazione quasi-tradizio-
nale deU’inglobamento delle trombe nel settimo sigillo (p. 218), ma da un
lato egli non si occupa dell’analogo problema circa la settima tromba e la
settima coppa e, dall’altro, sembra affidarsi a una petitio principii: «il setti
mo elemento deve avere a che fare con il compimento e la fine, e quindi co
stituisce un climax» (p. 206).
2 Cf. il capitolo intitolato «Situazione delle chiese di Asia e strategia reto
rica di Giovanni», in Biguzzi, Settenari (pp. 311-342).
17
re in luce qual è la geografìa fisico-politica presupposta in Apoc.
13 e Apoc. 18. Il capitolo terzo illustra l’idolatria «dei demoni e
degli idoli» a partire dalPArtemision efesino e l’idolatria «della
Bestia» a partire dall’attività edilizia che in epoca domizianea
sconvolse la metropoli di Efeso per dotarvi di nuovi spazi il cul
to del sovrano. Il quarto capitolo conclude gli approfondimen
ti circa la composizione dell’Apocalisse occupandosi dell’auto
re, del suo soggiorno obbligato a Patmos e, a più largo raggio,
della «persecuzione» cui qua e là Apoc. fa riferimento.
Per i capitoli dedicati alle difficoltà del linguaggio giovanneo,
il quinto capitolo tenta di inventariare e di ridurre a sistema le
eccentricità sia nelle immagini che nelle narrazioni giovannee.
Il sesto capitolo raccoglie in sistema, invece, e cerca di interpre
tare i numeri cardinali, ordinali e frazionali di Apoc., compreso
il numero del nome della Bestia, il 666 di Apoc. 13,18. Il settimo
capitolo cerca di spiegare nel quadro del carismatismo proto
cristiano l’interferenza di una voce sull’altra nell’ultima pagina
di Apoc.
Quanto al terzo blocco di capitoli, infine, l’ottavo classifica e
valuta le interpretazioni che nella storia sono state date della
formula «All’angelo della chiesa di...» con cui iniziano i sette
messaggi di Apoc. 2-3. Il nono capitolo prova a diradare il pol
verone esegetico sollevato nei secoli attorno alla Donna di
Apoc. 12. Il decimo capitolo discute l’accusa solitamente rivol
ta all’Apocalisse di essere un libro di odio e di vendetta. L ’undi
cesimo capitolo studia il difficile testo di Apoc. ly, quello in cui
l’angelus interpres introduce Giovanni al «mistero» della Gran
de Prostituta e della Bestia che la porta. Il dodicesimo e ultimo
capitolo si occupa delia difficoltà storico-ideologica per eccel
lenza di Apoc., e cioè del regno millenario.
Ogni enigma è una difficoltà e insieme un piacere: voglia il
cielo che anche allo studio degli enigmi dell’Apocalisse non
manchi la piacevolezza del gioco e della scoperta così come non
mancano le difficoltà.
Parte prima
Circostanze storiche
Capitolo i
i. Il problema e le alternative
1 Per esempio secondo K.M. Alien, The Rebuilding and Destruction o f Ba-
bylon: BSac 133 (1976) 19-27, Babilonia risorgerà dalle sue attuali rovine,
sarà il quartier generale dell’Anticristo e sarà definitivamente distrutta nel
gran giorno del Signore (pp. 19-20). Secondo C.H. Dyer, The Identity of
21
sa atemporalmente come simbolo della città di Satana che nel
corso di tutta la storia combatte contro Dio e contro il C risto;1
3. «Babilonia» va intesa come simbolo delle forze del male che
combatteranno contro Dio e contro il Cristo nella crisi escato
logica;2 4. «Babilonia» è la Roma del culto imperiale e della per
secuzione anticristiana di Nerone o Domiziano;3 5. «Babilo
nia» è la Gerusalemme che aveva rifiutato e messo a morte il
Cristo, e che al tempo di Giovanni viveva le attese messianiche
in chiave politica.4
Babylon in Revelation 17-18: BSac 144 (1987) 308-316.433-449, risorta dal
le rovine, Babilonia sarà poi distrutta dallo stesso Anticristo (p. 449).
1 Tra gli antichi cf. soprattutto Agostino, che vedeva in Apoc. la lotta tra la
civitas diaboli e la civitas Dei fino alla parousia (per totum hoc tempm,
quod liber iste complectitur, a primo scilicet adventu Cbristi usque in sae-
culifinem, quo erit secundus eius adventus, Civ. 20,8,1). Tra i moderni cf.
M. Rissi, Die Hure Babylon und die Verfiihrung der Heiligen. Eine Studie
zur Apokalypse des Johannes (BWANT), Stuttgart-Berlin-Kòln 1995, 58
(Babilonia è la comunità mondiale degli ingannati e degli ingannatori, im
magine di contrasto con la comunità dei santi); G.K. Beale, The Book of
Revelation (NIGTC), Grand Rapids 1999, 885-886 (Babilonia è il corrot
to sistema economico-religioso mondiale).
2 Cf. Th. Zahn, Die Offenbarung des Johannes il, Leipzig-Erlangen 1926,
450 (La bestia che sorge dal mare è l’Anticristo della fine dei tempi); J.
Sickenberger, Die Johannesapokalypse und Rom: BZ 17 (1925-1926) 280
(Babilonia vive ora nelle grandi metropoli del regno antidivino e la sua
scellerataggine esploderà con particolare veemenza alla fine dei tempi); E.
Lohmeyer, Die Offenbarung des Johannes (HNT 16), Tubingen 1926 ,112
(le due bestie sono il nemico di Dio per eccellenza degli ultimi tempi); W.
Foerster, -Siqptov, G LN T iv, Brescia 1968 (Stuttgart 1938) 504. 506 (la pri
ma bestia è l’Anticristo, la seconda è il falso profeta della fine dei tempi).
3 Tra i moltissimi, a titolo di esempio, cf. H. Rongy, Rome au chapitre
X V II de l ’Apocalypse: REccl(Liège) 23 (1931-1932) 31 («La donna, la gran
de prostituta, è Roma»); M. Dibelius, Rom und die Christen im ersten
Jahrhundert, in Botschaft und Geschichte. Gesammelte Aufsdtze 11, Tubin-
gen 1956, 219 («Roma, e solo Roma, è la città dell’assassinio del Cristo...
Troppo chiara è l’allusione ai sette colli»); R.H. Mounce, The Book o f Rev
elation (NICNT), Grand Rapids 1977, 313-314 («Dai tempi di Servio Tul
lio Roma era una urbs septicollis»); J.C. Wilson, The Problem o f thè Do
minarne Date o f Revelation: NTS 39 (1993) 599 (nessuno mette in dubbio
l’identificazione di Babilonia con Roma); J. Lambrecht, The People o f God
in thè Book o f Revelation, in Collected Studies on Pauline Literature and
on thè Book o f Revelation (AnB 147), Roma 2001, 385 («Non sono possi
bili dubbi: con Babilonia Giovanni intende la Roma imperiale, potente ed
anticristiana»).
4 Cf. gli autori passati in rassegna sotto, al paragrafo 11,1-2.
22
Per escludere le prime tre interpretazioni - atemporali o
escatologiche - , basta richiamarsi a 17,10 dove Pecruv di ó eiq
èc'uv «uno [dei sette monarchi] ‘è’ [presentemente]» ambienta
la vicenda di Apoc. nel tempo stesso di Giovanni.1 L ’alternati
va si pone dunque soltanto tra interpretazione antiromana e in
terpretazione antigerosolimitana.
23
dall’altra, Florus c riconducibile a flos, -ris, «fiore».1 Il secondo
nome, XaTetvo;, rimanda ovviamente all’impero romano, tanto
è vero che lo stesso Ireneo scrive: «quel termine significa l’ulti
mo regno. I Latini sono infatti quelli che ora regnano (־k azsi-
voi; nomen valde verisimile est, quoniam novissimum regnurn
hoc habet vocabulum. Latini enim sunt qui nunc regnarti)».1 Il
terzo nome evoca non solo i Titani della mitologia greco-lati
na ma anche il culto del sole.3 Ad Ireneo ׳rei-rav piace più che i
due nomi precedenti perché non rimanda a nessun protagoni
sta del suo tempo, e tuttavia la sua preferenza va all’interpreta-
zionc simbolica del 666 secondo la quale il numero significhe
rebbe la ricapitolazione di ogni iniquità. In conclusione, le in
terpretazioni più o meno tradizionali che Ireneo riporta sono
abbastanza chiaramente politiche (la Bestia e un re, anzi un ti
ranno), antipagane e antidolatriche (la Bestia ha a che fare con
la mitologia greco-romana) e, in particolare, sono antiromane
(la Bestia è l’impero latino, e la Roma che aveva provocato la
ribellione del 66 d.C.).
Dopo Ireneo, va ricordato Vittorino di Poetovio (fine in
sec.)4 perché in tre passi del suo commentario, che è il più an-
lio, Noctes Atticae 3,9.3.2), o per i capelli dell’uomo (Pacuvio 19; Virgilio,
Aen. 12, 605).
1 Così F.H. Colson, Euanthas: JTS 17 (1916) 100-101, che circa l’odiosità
di Gessio Floro cita Flavio Giuseppe e Tacito (duravit tamen patientia
Iudaeis usque ad Flomm procuratorem). Sulla scia di Colson, cf. J. Bonsir-
ven, L'Apocalypse de Saint Jean (VS 16), Paris 1951, 235-236 n. 1. - Per
molti autori suav-Sa!; è invece un nome senza significato: cf. H.B. Swete,
The Apocalypse o f St. John, London 21907 (, 1906) 175 («l’impossibile
termine £uav3׳a?»); W. Barclay, Revelation X III: ExpT 70 (1959) 295 («su-
av-Sat; è in se stesso senza significato»); J. Massyngberde Ford, Revela
tion. Introduction, Translation and Commentary (AB 38), Garden City
41980 (’ 1975) 226 («Euantas è senza significato»); E. Lupieri, L ’Apocalisse
di Giovanni (SGL), Milano 1999,216: «suavSa? non ha per noi alcun signi
ficato riconoscibile e sembra introdotto da Ireneo per mostrare che esisto
no nomi il cui calcolo è 666, ma che non sono significativi».
2 Ireneo, Haer. 5,30,3.
3 Cf. poi per esempio anche la recensio Victorini (Teitan, quern gentiles So-
lem Phoebumque appellant, PI. Suppl. 1, 157), o Bruno di Segni (Tetan,
quod dicitur sol, PL 165,677 b ).
4 La comune opinione che Vittorino sia morto martire sotto Diocleziano
nel 303-304 è stata messa in dubbio da M. Dulaey, Victorin de Poetovio,
premier exégete latin I-II, Paris 1993, e da R. Gryson, Les commentaires
24
tico di quelli giunti fino a noi, dà all’interpretazione antiroma
na la forma che poi diventerà classica. Commentando 16,19,
Vittorino scrive laconicamente ed esplicitamente: m ina Baby-
lonis, id est civitatis Romanae. Commentando 17,9, Vittorino
scrive: Capita septem [.sunt] septem montes, super quos mulier
sedet: id est civitas Romana, et reges septem sunt.1 Infine, com
mentando 17 ,11 congiuntamente a 13,3, Vittorino vede un’al
lusione alla leggenda del Nero redivivus nella testa della Bestia
colpita a morte ma poi guarita. Egli prima scrive: cum ille [il
Nero redivivus] mouerit ab oriente, mittentur ab urbe Roma
na cum exercitibus suis, e poi aggiunge: Unum autem de capiti-
bus quasi occisum in mortem et plagam mortis eius curatam,
Neronem dicit. Constai enim, dum insequeretur eum equitatus
missus a senatu, ipsum sibi gulam succidisse. H unc ergo suscita-
tum Deus mittet.1 Per Vittorino dunque l’Apocalisse si scaglia
contro la Roma dei proverbiali sette colli, la Roma degli impe
ratori e del Nero redivivus e redux?
25
Quest’interpretazione fu a lungo seguita sia in Oriente che
in Occidente. Per l’Oriente si possono citare gli interpreti che,
secondo Andrea di Cesarea (fine vi secolo, inizio v i i ), vedono
nella Prostituta di Apoc. 17 la Roma dei sette colli: «Alcuni han
no interpretato questa meretrice come la vecchia Roma che sor
ge su sette monti», c per l’Occidente quelli cui rimanda Cas-
siodoro ( f 580 ca.): meretrix illa... quam nonnulli de Romana
volunt intelligere civitate quae supra septem montes sedet, et
mundum singolari dicione possidet.1 In Occidente l’interpreta
zione antiromana fu pian piano sostituita dall’esegesi moraliz
zante del donatista Ticonio, che ebbe grande influsso su san-
t’Agostino. Ticonio (scripsit 385, f 390 ca.) e Agostino ( f 430)
infatti videro in Apoc. non uno scritto che riflette la situazione
storica contemporanea all’autore, ma il libro dell’eterno scon
tro tra la città di Satana e la città di Dio. Quest’interpretazione
atemporale, che permise di superare il lacerante scontro tra mil
lenaristi e antimillenaristi e quindi di propiziare la definitiva ac
coglienza di Apoc. nel canone, ispirò l’esegesi di Apoc. per qua
si mille anni, fino a Martino di Leon (xm secolo),2 fino a quan
do cioè non irruppe sulla scena Gioacchino da Fiore ( f 1202)
secondo il quale in Apoc. sono profetizzate le varie epoche del
la chiesa.
3. Da Gioacchino da Fiore
all'esegesi contemporanea
Fatta propria dallo spiritualismo estremizzante francescano di
Pier di Giovanni Olivi (f 1298) e di Ubertino di Casale (־j1328 ־
ca.), l’interpretazione kirchengeschichtlich di Gioacchino3 fu
26
poi usata e abusata nei secoli delle controversie confessionali
tra protestanti e anglicani da una parte, e cattolici romani dal
l’altra. Come è noto, gli uni leggevano nel numero 666 il papa
to (per esempio ιταλική εκκλησία, παπεισκος) e gli altri invece
il movimento luterano (per esempio λου-δερανα).1 I repertori di
storia della ricerca di Apoc. dicono però anche che proprio in
quest’epoca, da una parte si ritornò all’interpretazione antiro
mana e, dall’altra, si inaugurò quella antigerosolimitana.
Secondo le rassegne storiche dell’interpretazione di Apoc.,
l’orientalista protestante svizzero Th. Buchmann (o Bibliander,
1504-1564; scripsit 1549) vide l’impero romano nella Bestia, la
morte di Nerone nella ferita mortale di 13,3, la restaurazione
dell’impero ad opera di Vespasiano nella guarigione di quella
ferita, e gli imperatori romani da Galba a Nerva nei sette re di
17 ,10 -11 (l’ottavo sarebbe Traiano).2 Sarebbe stato comunque
il gesuita spagnolo J. de Mariana (1536-1624; scripsit 1619), a se
gnare il pieno e definitivo ritorno alla saga del Nero redivivus3
e a mettere i Due Testimoni di Apoc. 11 in riferimento con la
morte di Pietro e Paolo nella persecuzione neroniana del 64
d.C. Sempre secondo de Mariana nelle sette teste della Bestia
sarebbero da ravvisare gli imperatori romani da Caligola a N e r
va, con l’omissione dei tre imperatori del 68-69. L ’interpreta
zione antiromana di Apoc. si rafforzò poi nel xvm secolo con
J.S. Semler (1766), H. Corrodi (1783), J.S. Herrenschneider
calypse à l’histoire universelle de l ’Eglise: REccl(Liège) 23 (1931-1932) 92-
96, e il giudizio severo di E.-B. Allo, Saint Jean. L'Apocalypse (EtB), Paris
1921, ccxxxn: «Questo sistema interpretativo misconosce più di qualsiasi
altro lo scopo e lo spirito di Giovanni». - Tutto all’opposto e saggiamen
te, come s’è visto Ireneo preferiva l'interpretazione che meno parlasse di
protagonisti del suo tempo.
! Cf. Barclay, Revelation X III, 295-296.
2W. Bousset, Die Offenbarung Johannis (KEKNT), Gòttingen 61906
(11896) 87, e, sulla sua scia, Lupieri, Apocalisse, xxni n. 3. - Per gli autori
di questo periodo, le cui opere sono spesso difficilmente reperibili, tutti at
tingono alle rassegne storiche dei commentari di Bousset (1896) e di Allo
(1921).
3 Cf. Bousset, Offenbarung, 95, secondo il quale Mariana, con la pruden
ziale aggiunta: «Si quis meliora attulerit, gratias habeo», rimanda a Vitto
rino, Girolamo e Sulpizio Severo. - Su J. de Mariana, storico, umanista,
filantropo e filosofo, cf. M. de los Rios, E l P. Juan de Mariana, escritura-
rio: EstB 2 (1943) 279-289; 3 (1935) 34 7-36 3·
2-7
(1786), J.G . Eichhorn (1791), ecc.,1 fino a che non divenne un
quasi-dogma esegetico nel corso del 1800 ad opera per esem
pio di F. Liicke (1832), W.M.L. de Wette (1848), H. Ewald
(1862), E. Renan (1873). U n’importante conferma all’ipotesi
era nel frattempo venuta dall’interpretazione del numero, della
Bestia con nrwn qsr («Nerone imperatore», in lettere ebrai
che), data negli anni 30 da quattro autori, ognuno indipenden
temente dall’altro.2
Quanto invece al sorgere dell’interpretazione antigerosoli
mitana, il geronimita belga J. Henten (scripsit 1545) per primo
parlò di synagogae abrogatio per Apoc. 1 - 1 1 vedendo la distru
zione di Gerusalemme in Apoc. 1 1 , e di excidium gentilismi per
Apoc. 12-22. In questa interpretazione «antigiudaica», anche se
parziale, Henten fu seguito tra gli altri dai gesuiti spagnoli A.
Salmeron (t 1585) e L. de Alcazar (t 1613), dei quali il secon
do ebbe imitatori fino al xix secolo, sia tra i cattolici che tra i
protestanti (H. Grotius, o Van de Groot, 1644; H. Hammond,
1653; D. Herve, 1684 ecc.).3 Il primo a vedere Gerusalemme
nella Babilonia di Apoc. sarebbe stato però il gesuita francese J.
Hardouin (1646-1729) secondo il quale, addirittura, i sette mes
saggi di Apoc. 2-3 sarebbero indirizzati ai giudeo-cristiani di
Gerusalemme.4 Sulla stessa linea, il calvinista francese F. Abau-
1 Cf. Bousset, Offenbarung, 104-106.
2 L ’informazione si trova in Bousset, Offenbarung, 105-106, e Allo, Apo-
calypse, c c x l . - La scrittura difettiva q s r (invece di q y s r ) che costituiva
una difficoltà per l’accettazione dell’ipotesi, è stata poi confermata da uno
dei documenti di Wadi Murabba'at (DJD n, nr. 18, tav. xxix), come docu
menta D.R. Hillers, Revelation 13,18 and a Scroll from Murabba'at: BA
SOR nr. 170 (1963) 65.
3 Su Henten (che scrisse non un commentario, ma una prefazione al com
mentario di Areta di Cesarea), sulla sua precisa identità, sull’esegesi di Sal
meron e Alcazar e su tutta la loro sequela, cf. H. Rongy, L ’application de
l ’Apocalypse à l ’Egliseprimitive: REccl(Liègc) 23 (1931-1932), 220-224.
4 Cf. Lupicri, Apocalisse, xxiv, che scrive: «Il dotto gesuita francese Jean
Hardouin... è convinto che l’Apocalisse debba essere situata in ambiente
palestinese: le sette lettere erano indirizzate ai giudeocristiani di Gerusa
lemme e, sebbene le sette teste della bestia fossero altrettanti imperatòri
romani sino a Nerone, Babilonia era Gerusalemme». - J. Hardouin fu
uomo enciclopedico ma bizzarro, convinto per esempio che, tranne alcu
ne opere di Cicerone, di Virgilio e di Orazio, tutti gli altri scritti che pas
sano per antichi sono invece falsificazioni del xm secolo. Su di lui cf. G.
Sommervogel, Hardouin Jean, DB in, Paris 1910, 427.
28
zit (1679-1767) identificò la Bestia con il Sinedrio giudaico, i
sette monti di 17,9 con le sette colline su cui sarebbe costruita
Gerusalemme, la distruzione di Babilonia con la caduta di G e
rusalemme e le sette teste della Bestia con gli ultimi sette som
mi sacerdoti.1 È però solo nel xx secolo che l’interpretazione
antigerosolimitana di Apoc. ha raccolto il consenso di circa una
quindicina di autori.
Di questa nuova interpretazione qui sotto si presenterà pri
ma la pars destruens elencando gli argomenti in essa portati
contro l’interpretazione di «Babilonia-Roma», e poi la pars con-
struens descrivendo le versioni più rappresentative della nuova
ipotesi.
29
peratori sia precedenti che seguenti.1 In terzo luogo, se davve
ro a differenza degli altri scritti del i secolo Apoc. fosse uno
scritto antiromano, non si comprende quale evento storico p o
trebbe essere all’origine del cambio di atteggiamento nei con
fronti di Roma, da attribuire a Giovanni di Patmos.2
Un secondo gruppo di argomenti è tratto dai titoli e dalle
immagini con cui Giovanni parla di Babilonia in Apoc. 17-18 .
Babilonia è chiamata «prostituta», «Grande Prostituta», «Ma
dre delle prostituzioni». E allora: «se l’alleanza con y h w h fa di
Israele il suo popolo e la sua sposa, come può una nazione che
non è Israele essere chiamata ‘Prostituta’ ? È l’alleanza che fa la
sposa, e la sua rottura fa l’adultera». Di conseguenza «convin
ce poco che Roma sia pensata prostituirsi con l’impero roma
no, mentre è più convincente che Giovanni lamenti, in toni tra
dizionali, la prostituzione di Israele, ovvero di Gerusalemme,
con il potere pagano».3 Di Babilonia Apoc. dice poi che è «eb
bra del sangue dei santi» (17,6) o che in essa «fu trovato il san
gue dei profeti e dei santi» (18,24), ma fu Gerusalemme e non
Roma che uccise i profeti, secondo l’accusa stessa di Gesù (Mt.
23 ecc.).4 Infine, Roma non è mai nominata in Apoc., mentre la
nuova Gerusalemme ha grande parte nel finale del libro e la sim
metria che esiste tra Apoc. 17-18 e Apoc. 21 suggerisce di vede
re in Babilonia la Gerusalemme storica come controparte della
nuova Gerusalemme.5
In terzo luogo, non si adatterebbero all’interpretazione anti
romana questo o quel dettaglio di Apoc. 17. Poiché per esem
pio la Prostituta siede sulla Bestia, ne verrebbe che Roma siede
su Roma, e, poiché secondo 17,16 la Bestia distruggerà Babilo
nia, ne verrebbe che Roma distrugge Roma.6 Il ricorso alla sa-
1 Cf. L.L. Thompson, The Book o f Revelation. Apocalypse and Empire,
New York - Oxford 1990, 104-107; D. Warden, Imperiai Persecution and
thè Dating o f 1 Peter and Revelation·. JETS 34 (1991) 207-208; De Water,
Reconsidering, 246. 2 Sickenberger, Rom, 275.
3 Massyngberde Ford, Revelation, 285, e rispettivamente Lupieri, Apoca
lisse, 2j2. 4 Cf. Massyngberde Ford, Revelation, 286-288.
5 Ihid. 286; A. Nicacci, La Grande Prostituta e la sposa dell’Agnello, in L.
Padovese (ed.), VI Simposio di Efeso su S. Giovanni Apostolo, Roma 1996,
137 ־1 39·
6 Per il primo argomento cf. Massyngberde Ford, Revelation, 285; per il
secondo cf. Ph. Carrington, The Meaning of Revelation, London 1931,
30
ga del Nero redivivus poi, «invece di risolvere le difficoltà, non
fa che aggiungerne delle altre».1 Infatti, da un Iato la leggenda
che parlava di ritorno dai morti per Nerone sarebbe posteriore
a Traiano e, dall’altro, si dovrebbe pensare che Giovanni ha fu
so due diverse versioni della saga, una positiva in cui il ritorno
di Nerone era desiderato dalle folle e una negativa secondo cui
Nerone sarebbe ritornato in Domiziano, suo odioso successo
re.2 Una difficoltà viene anche dall’espressione k~xh. opr) di 17,
9 la quale è sconosciuta nella lingua greca in riferimento ai set
te colli di Roma: gli scrittori greci poi usavano l’ aggettivo èn-
'zó.'Xocpoc, invece del mai ricorrente érTaopoc.3 Infine si fa nota
re la manifesta incapacità, nell’ipotesi antiromana, di conteggia
re in modo soddisfacente i sette re o imperatori di 17,10: «Le
ipotesi di soluzione che su queste parole si accavallano a getto
continuo non fanno che confermare l’inutilità dei tentativi di
far coincidere totalmente l’ottica d d l’Apocalisse con quella
temporale e storica».4
L ’argomento più forte contro l’interpretazione antiromana
è comunque quello per cui l’Apocalisse designa con l’epiteto
di «Grande Città» sia Babilonia, come si è appena visto, sia la
città di 11,8 la quale non può essere altro che Gerusalemme dal
momento che è la città del santuario e dell’altare (v. 1), la città
santa (v. 2) e, soprattutto, la città nella quale «il loro Signore
[dei Due Testimoni] è stato crocefisso» (v. 8).5
274; Nicacci, Grande Prostituta, 142 («[da 17,12] deriverebbe che Roma
distrugge Roma»).
1 Cosi E. Corsini, Apocalisse prima e dopo, Torino 1980, 450.
2 Così Lupieri, Apocalisse, 205-206. - Di fatto questa è l’interpretazione di
R.J. Bauckham, The Climax o f Prophecy. Studies on thè Book o f Revela-
tion, Edinburgh 1993, 431-441, che poi distingue tra il risanamento della
ferita (Apoc: 13) come parodia della resurrezione del Cristo, e il riemerge
re dall’abisso della Bestia (Apoc. 17) come parodia invece della parousia.
3 Così Lupieri, Apocalisse, 271.
4 Così Corsini, Apocalisse, 443, il quale parla poi di «discussione intermi
nabile che si agita a proposito della lista degli imperatori romani che do
vrebbero corrispondere ai sette re adombrati dalle sette teste». Cf. poi, per
esempio, De Water, Reconsidering, 254: «Nel tenace sforzo di identificare
la bestia con l’impero molti hanno tentato di identificare le sue sette teste
e i suoi sette comi con vari imperatori romani. Nessuna di quelle opera
zioni però è soddisfacente».
5 Così Corsini, Apocalisse, 293, ma cf. Massyngberde Ford, Revelation,
31
2. Configurazione dell'ipotesi antigerosolimitana
32
In ambito italiano l’interpretazione di Babilonia-Gerusalem-
me è stata proposta nel 1980 da E. Corsini, il quale è stato poi
seguito da A. Nicacci (1996), da Clementina Mazzucco (1999)
e da E. Lupieri (1999). Corsini prende il via da 17,16 dove si
parla dell’annientamento della Grande Prostituta da parte del
la Bestia: tutto ciò è «un’improbabile profezia sulla distruzio
ne di Roma da parte di Nerone redivivo o dei barbari», scrive
Corsini. Più plausibilmente il versetto allude alla rivolta giu
daica e alla distruzione di Gerusalemme ad opera di Roma nel
70. Corsini continua scrivendo: «In quella circostanza... le due
realtà malvagie, che si erano collegate in una mostruosa allean
za ai danni del Messia, si dividono e si affrontano in un duello
mortale». Per Corsini infatti la Bestia che sale dal mare e R o
ma o l’impero romano, da intendere come corruzione del po
tere politico operata da Satana.1 La seconda bestia con i suoi
due corni è invece il giudaismo con Legge e Profeti, messi al
servizio degli affari mondani: è il giudaismo corrotto, aggrap
pato alle speranze di gloria e alla ricchezza per cui è divenuto
«sinagoga di Satana», avendo operato un vero e proprio tradi
mento in quel suo intendere in senso materiale e mondano le
promesse divine. Per Corsini tutto questo è detto in modo pla
stico e paradigmatico nel.l’allegoria della Prostituta assisa in
groppa alla Bestia in cui è ritratto «il mostruoso connubio» tra
potere politico romano e potere religioso giudaico. Quanto ai
sette monti su cui siede la Prostituta, «il termine ‘monte’ [è]
simbolo di entità spirituale opposta a Dio, di orgoglio che si
innalza e attenta alla sua sovranità, significato che era corrente
nella tradizione giudaica».2
Il contributo quantitativamente più consistente a favore del
l’interpretazione antigerosolimitana è la dissertazione dottora
le di A .J. Beagley, discussa nel 1983 e pubblicata nel 1987, nel
la quale l’autore cerca di ricostruire quali erano le ostilità spe
rimentate dalle chiese d’Asia. Per Beagley non si può escludere
1 Cf. Corsini, Apocalisse, 334. che parla poi di tentazione dell’apoteosi, di
aspirazioni alla divinizzazione, di pretesa dello Stato di assurgere a valore
assoluto, aggiungendo: «Tutto ciò... Giovanni poteva constatarlo nella re
altà contemporanea dell’impero romano, nelle tendenze assolutistiche e
teologizzanti che vi si erano insinuate, e vi andavano assumendo forme e
proporzioni allarmanti» (p. 335).
2 Ibid. 24. 329-334. 363-365.428. 444.
33
che il libro di Giovanni alluda anche alla persecuzione di R o
ma, ma è la persecuzione giudaica di cui è detto del tutto espli
citamente in 2,9 e 3,9 che preoccupa l’autore. Anche per Beag-
ley la Grande Prostituta assisa sulla Bestia è un’immagine che
presuppone l’alleanza fra Gerusalemme e Roma, nella quale al
leanza Roma è il braccio esecutivo per gli attacchi del giudai
smo ai discepoli di Gesù. Giovanni scrive dunque per dimo
strare che l’Israele carnale, avendo rigettato il Messia, non è il
popolo di Dio ma il nemico di Dio: la caduta di Gerusalemme
ne è prova.1
A Josephine Ford e a E. Corsini fa eco A. Nicacci che scrive:
«La grande prostituta è la Gerusalemme che ha rifiutato e mes
so a morte Gesù, cioè il potere religioso della città santa collu
so con il potere politico romano. La Città riceve il medesimo ti
tolo che le attribuirono i profeti a motivo dell’infedeltà a Dio,
infedeltà che per Giovanni è giunta ora al colmo».2 Sulla stessa
linea di Josephine Ford e di E. Corsini si colloca anche E. Lu-
pieri. Anche per lui la prima bestia è il potere politico militare,
l’impero romano, presentato tuttavia in modo tale da trascen
dere qualsiasi identificazione univoca, mentre la seconda bestia
è il giudaismo che si è venduto agli interessi del mondo pagano.
Come gli antichi profeti, Giovanni accusa Israele di idolatria:
avendo rifiutato il Messia, per Lupieri quel popolo è spiritual-
mente colpevole di paganesimo. Quanto ai sette monti di 17,9,
a Lupieri si deve la tagliente precisazione che in greco i colli di
Roma non sono mai detti δρη, bensì sempre λόφοι. Una volta
esclusi i sette colli di Roma, in alternativa Lupieri fornisce due
interpretazioni di 17,9. Sulla scia di Corsini, anzitutto egli in
terpreta i monti come «realtà di natura angelica» equivalenti a
«regni-periodi, rappresentati come montagne». In secondo luo
go, intende i sette monti in analogia con le bamòt cananee
contro cui si scagliavano i profeti delPA.T.: «Gerusalemme ha
abbandonato il monte santo, cioè il Sion, per prostituirsi sulle
alture pagane, i sette angeli-diavoli che peccarono sin dall’inizio
ecc.».3
1 A.J. Beagley, The «Sitz im Leben» o f thè Apocalypse with Particular
Reference to thè Role of Church’s Enemies (BZNW 50), Berlin - New York
1987, 3 1 .1 1 0 .1 1 2 . 2 Nicacci, GrandeProstituta, 148.
3 Lupieri, Apocalisse, 203. 21 x. 270-271.
34
Un ultimo sostenitore dell’ interpretazione antigerosolimita
na è R. De Water per il quale Apoc. è bensì un libro scritto nel
mezzo della persecuzione, ma essa non viene dall’impero per
ché nel i secolo solo Nerone fu persecutore dei cristiani, su isti
gazione giudaica e solo limitatamente a Roma. La persecuzio
ne di cui parla Apoc. è invece la persecuzione che viene dal giu
daismo palestinese e da quello della diaspora, il quale avvertiva
nel messianismo spirituale dei cristiani un avversario del pro
prio messianismo teocratico e nazionalistico. Più precisamente
la prima Bestia rappresenta il potere politico degli Erodi per
ché la «terra» di cui parla Apoc. è la ,eres dell’A.T., mentre la
seconda Bestia è il messianismo politico di «tutta la terra», e
cioè delle regioni in cui sono dispersi i giudei della diaspora.1
La Grande Prostituta, poi, che siede sulla Bestia (= il potere de
gli Erodi) è il Sommo Sacerdozio di Gerusalemme o la stessa
Gerusalemme: essa sarà distrutta non dai romani ma, come di
rà anche Flavio Giuseppe nella sua avversione agli Zeloti, dal
partito della guerra (i dieci re di Apoc. 17). Sulla sua identifica
zione dei sette re con i sette Erodi, De Water basa la datazione
di Apoc.·. essa sarebbe stata scritta negli anni 44-48, e cioè nel
tempo in cui, già caduti i primi cinque Erodi e prima che ritor
nasse sulla scena politica il settimo, i romani amministrarono
la Palestina direttamente. In quel tempo va ambientato il sesto
Erode, il sovrano che «non è» di 17,10, il quale sarebbe Erode
di Calcide.2 De Water conclude affermando che solo dopo il
135 d.C. i cristiani interpretarono Apoc. in chiave antiromana,
35
quando il giudaismo come loro persecutore fu sostituito dagli
imperatori di Rom a.1
Con tutto ciò, l’esegesi globale di Apoc. è inevitabilmente
cambiata. Avendo preso forma oramai un’interpretazione mol
to circostanziata la quale solleva tutt’una serie di difficoltà con
tro quella tradizionale e contrappone argomenti che vanno in
altra direzione, anche chi restasse sostenitore della sentenza tra
dizionale deve rivedere il proprio armamentario difensivo, dal
momento che ora si trova di fronte a obiezioni prima scono
sciute.
Per completare lo status quaestìonis intrapreso, resta ora da
tentare un bilancio critico tra l’interpretazione tradizionale e
la nuova ipotesi. Poiché fino ad ora sono stati presentati gli ar
gomenti a favore dell’ipotesi di Babilonia-Gerusalemme e gli
argomenti contro l’ipotesi di Babilonia-Roma, ora si farà in so
stanza l’esatto contrario.
I II. B IL A N C IO C IR C A LE DUE IN T E R PR ET A Z IO N I
37
L ’idolatria dei simulacri e dei demoni (9,20-21) e l’idolatria del
la Bestia (13,4.8) promossa dal falso profeta (13 ,12 -17 ) non pos
sono infatti essere intese in senso metaforico, per poi essere più
facilmente ambientate a Gerusalemme. E questo per almeno tre
ragioni: anzitutto a motivo degli idoli di cui si parla in 9,20-21
i quali sono idoli reali, essendo fatti d’oro, d’argento, di pietra
0 di legno; in secondo luogo a motivo delle altrettanto reali e
concrete «carni immolate agli idoli» di cui si parla in 2,14.20; e,
infine, a motivo della statua della Bestia che è anch’essa una
statua reale, essendo manipolata perché diventi statua parlante
(13,15). Ora, mentre non si saprebbe come identificare in Geru
salemme o nel giudaismo del 1 secolo le due diverse idolatrie, es
se sono molto naturalmente ambientabili nel mondo greco-ro
mano, costellato com’era di templi della religione tradizionale
e di templi del culto dell’imperatore. Dopotutto, il vocabolario
dell’idolatria mal si applica all’accusa, sollevata contro Gerusa
lemme, di collusione con il potere politico-militare di Roma.
La difficoltà più grave cui l’ipotesi antigerosolimitana va in
contro è comunque quella della datazione di Apoc. Eugenio
Corsini, per esempio, da un lato afferma che l’Apocalisse fu
scritta dopo la distruzione di Gerusalemme1 e, dall’altro, dice
che Giovanni scrive contro il connubio tra il corrotto potere
politico di Roma e il corrotto potere religioso di Gerusalem
me. Ma dopo il 70 Gerusalemme era senza tempio e senza cul
to, e in nessun modo il potere religioso del giudaismo poteva
essere in alleanza con Roma perché invece contro di essa l’in
tero giudaismo nutriva la più implacabile ostilità.2 Nella stessa
1 Corsini, Apocalisse, 24-25, scrive: «invece di vedervi [in 17,16!, come si è
fatto e si fa, un’improbabile profezia sulla distruzione di Roma da parte di
Nerone redivivo o dei barbari, perché non vedervi una molto più plausibi
le allusione alla rivolta giudaica e alla distruzione di Gerusalemme ad ope
ra dei Romani nel 70?... possiamo trame lo spunto per dire che la com
posizione dell’Apocalisse è probabilmente avvenuta in una data posteriore
allo svolgersi degli avvenimenti del 70». A p. 451, l’affermazione di Corsi
ni è ancora più netta: «la distruzione a cui allude [17,16 ]... non può che ri
ferirsi a quella compiuta dai Romani nel 70 d.C.: soltanto allora infatti, in
seguito al deicidio compiuto, Gerusalemme era diventata, agli occhi di Gio
vanni e dei primi cristiani, in modo completo c definitivo la ‘prostituta’, il
contrario della ‘città santa’ che essa era in precedenza».
2 Lo stesso Corsini parla addirittura di «duello mortale» (p. 24), e non si
vede in che modo due città possano essere in alleanza e in complicità dopo
38
contraddizione tra pretesa alleanza di Gerusalemme con Roma
e datazione di Apoc., cade non solo Edmondo Lupieri per il
quale Apoc. fu scritta nel tempo che va dal 70 al 100, ma anche
Josephine Ford che colloca la composizione di Apoc. nel 66-67
d.C. Dal 66 d.C. infatti Gerusalemme era in guerra con Roma,
e non in alleanza.1 Ha dunque ragione K. Wengst a dire che
quando Giovanni scriveva, probabilmente Roma era potente
mentre Gerusalemme era in rovine, e ha ragione G .K . Beale a
dire che, se Babilonia è Gerusalemme, allora la data di compo
sizione di Apoc. deve essere collocata anteriormente al 70 d.C.2
L ’unica ipotesi che evita lo scoglio della datazione post-70 è
quella di R. De Water il quale colloca la composizione di Apoc.
tra il 44 e il 48 d.C., come s’è visto, ma una datazione così bas
sa avrà prevedibilmente e giustamente molte difficoltà ad esse
re accettata.
A tutto questo bisogna aggiungere poi che non è inattacca
bile neanche l’argomento più forte dell’ ipotesi di Babilonia-
Gerusalemme, quello per cui la Babilonia di Apoc. 16-18 è Ge-
cssersi affrontate in un duello mortale, quando dunque una delle due (nel
nostro caso, Gerusalemme) sarebbe «morta». - La difficoltà non si risolve
neanche dicendo che, dopo il 70, Giovanni scrive contro la Gerusalemme
che aveva messo a morte Gesù negli anni 30, a motivo di 17,10 secondo cui
la vicenda narrata è contemporanea a Giovanni e alle chiese d’Asia. Tra
l’altro è lo stesso Corsini a parlare di «realtà contemporanea» a Giovanni.
1 Lupieri, Apocalisse, lxvi-lxvii, scrive: «La caduta di Gerusalemme nel
70 pare un fatto già avvenuto, che l’autore spiega ai fedeli, così come face
vano, sia pure in modi diversi, tutte le apocalissi giudaiche di quegli an
ni... Con questo si arriva a una datazione molto vicina a quella tradiziona
le, cioè fra il 70 e il 100 d.C. ca.». Similmente Beagley, «Sitz im Leben»,
112, parla di Gerusalemme già caduta e della nazione già rigettata. —An
che Josephine Massyngberde Ford non va esente dalla contraddizione: poi
ché Apoc. (o questa parte di Apoc.) sarebbe stata scritta dopo il viaggio in
Grecia di Nerone (66 d.C.) durante il quale Vespasiano cadde in disgrazia,
si dovrebbe concludere che, pur prendendo le armi contro Roma proprio
in quell’anno, Gerusalemme sarebbe con Roma in alleanza.
2 K. Wengst, Babylon thè Great and thè New Jerusalem: The Visionary
View o f Politicai Reality in thè Revelation of John, in H. Reventlow et al.
(ed.), Politics ant Theopolitics in thè Bible and Postbiblical Literature
(JSOT.S 171), Sheffield 1994, 197; Beale, Revelation, 18. Bisogna poi ag
giungere che, se la rivolta antiromana scoppiò solo nel 66, l’ostilità contro
Roma covava da molto tempo sotto la cenere e, di conseguenza, la data pre
bellica dovrebbe essere in ogni caso notevolmente bassa, anche se non ne
cessariamente come quella di R. De Water.
39
rusalemme perché è chiamata «Grande Città» come Gerusa
lemme lo è in Apoc. i i . La ragione è che in Apoc. n Gerusa
lemme e il giudaismo non sono affatto il bersaglio della pole
mica di Giovanni perché «la Grande Città... dove anche il loro
Signore è stato crocefìsso» (11,8) non è la Gerusalemme giu
daica che si vorrebbe. Di fatto, la Gerusalemme di Apoc. u è
divisa in due. Da una parte stanno il santuario e gli adoratori
che Giovanni deve «misurare» per metterli sotto protezione
divina, i quali rappresentano senz’ombra di dubbio i cristiani.1
Dall’altra, stanno il cortile esterno del tempio e la città santa
che sono dati in potere agli e ׳$ vy ), «le genti, i ‘pagani’», e che sa
ranno poi i destinatari della testimonianza dei Due Testimoni,
anch’essi certamente cristiani, perché hanno il Crocefìsso co
me loro Signore (v. 8). In Apoc. n , dunque, Gerusalemme è
sempre simbolo o di cristiani2 o di pagani, e mai di qualcosa o
di qualcuno che possa essere definito giudaico o giudeo.3 In
secondo luogo, la parte di città che prima è calpestata dalle
«genti» e poi diviene scenario della vicenda dei Due Testimo
ni, oscilla tra dimensioni urbane (w . 2 e 8), e dimensioni uni
versali (w . 9 e 10bis: «da ogni popolo, tribù, lingua e gente»,
«gli abitanti della terra»), e infine dimensioni nuovamente a
misura di città (v. 13). Questo comporta chc la «Gerusalem
me» di Apoc. 1 1 sia simbolo del mondo intero quale luogo di
40
scontro tra le forze messianiche (gli adoratori del v. i, i Due
Testimoni, il loro Signore) e quelle antimessianiche (le «genti»
del v. 2, la Bestia che sale dall’abisso del v. 7, gli abitanti della
terra dei w . 9-10, i «nemici» del v. 12), le quali imiteranno i
crocefissori del Signore.1
Apoc. 11 non può comprovare dunque alcuna lettura anti
gerosolimitana di Apoc. dal momento che mai mette in scena la
parte giudaica di Gerusalemme. Che poi il santuario gerosoli
mitano, il suo altare e gli adoratori siano per Giovanni i cristia
ni, si spiega all’interno del suo costante schema teologico per il
quale non c’è mai separazione tra A.T. e N .T .2 Per Giovanni
tutto ciò che è del giudaismo è assunto dal Cristo e chi non ac
cetta il Cristo si fa «sinagoga di Satana» e mente a definirsi «giu
deo» (2,9; 3,9). È così infatti che i 144000 delle dodici tribù dei
figli d’Israele (7,4-8) recano sulla fronte il nome dell’Agnello e
lo seguono ovunque vada (14,1.4), ed è così che nella Gerusa
lemme escatologica ci saranno dodici porte con i nomi delle
dodici tribù d’Israele (21,12) e dodici fondamenti con i nomi
dei dodici apostoli dell’Agnello (21,14). Attraverso quelle por
te - è detto esplicitamente - avranno accesso alla città escato
logica anche i provenienti dal paganesimo (21,24-26), mentre è
evidente che per il giudeo-messianico Giovanni di Patmos non
1 Interpretano la Gerusalemme di Apoc. 11 come «mondo intero» com
mentatori come M. Kiddle, The Revelation o f St. John (MNTC), London
1940, 184-185: «La grande città non è né Gerusalemme né Roma, e tutta
via in certo senso è sia Gerusalemme che Roma. È infatti la città del pre
sente ordine mondiale, la città terrena, che include tutti i popoli. È la città
totalmente aliena dal volere di Dio»; M. Bachmann, Himmlisch: der «Tem-
pel Goltes» von Apk ii,i : NTS 40 (1994) 477: «La grande città dove il lo
ro Signore è stato crocefisso è in qualche modo tutta la terra»; Beale, Rev
elation, 591: «il mondo irreligioso». Ma cf. soprattutto Allo, Apocalypse,
135: «Gerusalemme rappresenta il mondo intero... Tutta la terra è in qual
che modo la città di Dio corrotta e profanata dal paganesimo persecutore»,
e J. Roloff, Die Offenbarung des Johannes (ZB.NT 18), Zùrich 1984, 117:
«Come ‘Sodoma’ ed ‘Egitto’, in 11,8 anche Gerusalemme trascende il puro
dato geografico e diviene immagine del mondo ostile a Dio. Anzi, l’imma
gine di Gerusalemme si sovrappone e si confonde con quella di Roma».
2 C f. per esempio Bonsirven, Apocalypse, 214: «In Apoc. la chiesa compren
de tutta l’economia salvifica che comincia con i patriarchi e termina alla
paromia»׳, F. Contreras Molina, La mujer en Apocalipsis 12 : EphM 43
(1993) 374: «L’Apocalisse non distingue tra popolo di Dio dell’antica al
leanza e della nuova, e la parte migliore dell’A.T. si realizza nella chiesa».
41
oltrepasseranno quelle porte i giudei storici non-messianici. In
Apoc. 7 e Apoc. 21, dunque, con il linguaggio delle dodici tribù
non si designa l’Israele non-credente in Gesù, ma si designano
i cristiani quali unici eredi del patrimonio del popolo di Dio
dell’A.T. Allo stesso modo in Apoc. 1 1 essi, e non i giudei stori
ci, sono il santuario di Gerusalemme e gli adoratori o la città
santa (w . 1-2), così che la Gerusalemme di Apoc. 1 1 non è la
Gerusalemme giudaica corrotta e in collusione con Roma, del
l’ipotesi antigerosolimitana.
42
quanto non faccia il sangue dei profeti del giudaismo o del cri
stianesimo primitivo versato da Gerusalemme. La seconda pre
cisazione è che in Asia la persecuzione di certo non era ancora
quella autorizzata da rescritti come quello di Traiano in rispo
sta a Plinio o da editti imperiali come quelli di Decio, Valeria-
no o Diocleziano. Erano invece provvedimenti delle autorità
municipali per tutelare l’ordine pubblico in scontri che scop
piavano tra gruppi etnici o religiosi diversi, come si vedrà nel
prossimo capitolo che si occupa anche della persecuzione. Si
può aggiungere infine che a favore dell’ipotesi antiromana è
l’ epiteto di «Babilonia» dato da Giovanni alla città nemica per
eccellenza. Come è noto, apocalissi giudaiche del i sec. d.C. co
me 4 Esd., 2 Bar., e scritti cristiani come i Pt. e le interpolazio
ni negli Oracoli Sibillini danno a Roma il nome di «Babilonia»
per avere essa incendiato il tempio e distrutto Gerusalemme nel
70 d.C., così come aveva fatto la Babilonia di Nabucodonosor
nel 586 a.C.1
Quanto al culto imperiale che Domiziano non avrebbe affat
to incrementato,2 basti tenere presente che - come si dirà nel
capitolo terzo - , sotto il suo principato, tra P89 e il 91 d.C., a
Efeso fu costruito a cura del koinon dell’Asia un tempio in ono
re degli imperatori della famiglia Flavia e, a cura del municipio
efesino, un impianto sportivo di enormi dimensioni per i gio
chi in onore dell’imperatore. Bastano questi sconvolgimenti ur
banistici di Efeso in funzione del culto dell’imperatore a spie
gare la composizione di Apoc. da parte di Giovanni, senza bi
sogno di chiedersi se Domiziano abbia o no incrementato il
culto del sovrano e senza bisogno di chiedersi quale evento di
politica internazionale abbia provocato l’ostilità di Giovanni
nei confronti di Roma.
1 4 Esd. 3,1-2.28-31; .2 Bar. 10,173; 11,1; 67,7; / Pt. 5,13; Or. sib. 5,143.159.
Per 1 Pt. cf. già Andrea di Cesarea: «Nella lettera di Pietro l’antica Róma è
chiamata ‘Babilonia’» (PC 106, 377C). - L ’argomento e stato illustrato so
prattutto da C.-H. Hunzinger,. Babylon als Deckname fiir Rom und die
Datierung des 1. Petmsbriefes, in H. Reventlow (ed.), Gottes Wort und
Gottes Land. Fs H.-W. Hertv.berg, Gottingen 1965, 67-77; ma c^· P°i an־
che Yarbro Collins, Crìsis, 57-58; Beale, Revelation, 25, il quale fa osser
vare come non ci sia alcun testo che, prima o dopo il 70 d.C., attribuisca
l’epiteto di «Babilonia» a Gerusalemme.
2 Così Thompson, Book, 208, e Warden, Imperiai Persecution, 207.
43
Anche le difficoltà sollevate circa Apoc. 17 non sono insor
montabili. Se è vero che per parlare dei sette colli di Roma i
greci coniarono l’aggettivo έπτάλοφος e se è vero che preferi
vano επτά λόφο׳, all’espressione επτά δρη, è vero anche che es
si usavano δρος per i singoli colli e che gli scrittori latini hanno
parlato usualmente di m ontes e di septim ontium .1 Quanto al
l’aggettivo έπτάορος, i greci possono averlo eluso per la loro
avversione allo iato, e cioè al «molesto scontro di vocali all’ini
zio e in fine di parole.contigue»2 o - va aggiunto, per il nostro
caso - in parole composte: dopotutto era un aggettivo encomia
stico, ufficiale e di origine dotta e, per ciò stesso, esigeva ricer-
45
si senta vincolato alla realtà storica ma per amore del numero
sette, come d’altra parte gli era già successo di fare a proposito
della serie settenaria delle chiese in Apoc. 1-3.
In conclusione, l’ipotesi che la Babilonia di Apoc. sia Geru
salemme non sembra in grado di imporsi e, al contrario, l’ipo
tesi di Babilonia-Roma è quella che meglio di ogni altra rende
conto sia dei dettagli di Apoc. che di tutta la sua trama narrati
va. Aveva dunque ragione il terzo evangelista a scrivere che il
vino vecchio è migliore di quello nuovo (Le. 5,39). Il vino vec
chio, nel nostro caso, è quello dei contemporanei di Ireneo e
soprattutto quello di Vittorino di Poetovio.
Capitolo 2
47
che col farsi adorare dagli abitanti di tutta la terra (13,3-4.8) e
col pronunciare bestemmie contro il nome di D io, contro la
sua dimora e la sua corte (13,6). La Bestia terrestre non cerca in
vece nulla per sé e tutto fa a vantaggio della Bestia marina: in
duce gli abitanti della terra a prosternarsi ad essa in adorazione
(13,12), a farsene un’immagine cultuale (13,14), e poi si mette
ad animare quella statua così clic abbia il potere di parlare e di
far morire chi le rifiuta l’adorazione (13,15). Infine, sempre a
beneficio della prima Bestia, contrassegna con un marchio i
suoi adoratori perché sia possibile escludere dalla vita com- >
mereiaio e sociale chi non accetti quel marchio e chi non renda
quel culto (13,16 -17). In questo coniugare falsità e persecuzio
ne sanguinaria con la contrastante virtù del disinteresse, G io
vanni censura il servilismo, sempre troppo generoso ed altrui
sta, con arte insuperabile. Un ultimo tocco magistrale di G io
vanni nella rappresentazione della Bestia terrestre è il ritardo
con cui le dà l’epiteto di «pseudoprofeta»: non nella lunga pre
sentazione iniziale, ma soltanto tre capitoli più tardi, in 16,13.
In 13 ,11- 18 infatti il lettore segue ciò che Giovanni dice della
Bestia e, accumulando nella sua mente un connotato dopo l’al
tro, va forse chiedendosi che titolo affibbiarle per la sua odio
sità, finché in 16,13 Giovanni gli fornisce a sorpresa la folgoran
te definizione di «falso profeta».
Della Bestia terrestre si potrebbe illustrare l’attività religio-
so-profetica in base alla quale si distingue dalla Bestia marina,
attiva invece sul terreno religioso-politico, ma di tutta la sua vi
cenda qui interessa soprattutto la dimensione geografica, per
ché può fornire elementi utili all’identificazione storica delle
due Bestie e, di conseguenza, utili all’interpretazione globale
dell’Apocalisse.
48
che ci interessa, quella che sale dalla terra, o falso-profeta. ־S y)-
piov, comunque, in 37 ricorrenze su 38 designa l’una o l’altra
delle due Bestie di Apoc. 13, e con ogni evidenza è un termine
che deve presentarle in luce fortemente negativa.
È negativa anzitutto la semantica del termine. I commentato-
ri dell’Apocalisse mettono ·Srjpiov a contrasto con £r)׳ov, c fan
no osservare che il primo termine si applica soltanto agli anima
li in quanto contrapposti all’uomo, mentre il secondo designa
bensì gli animali, ma tra essi non le bestie feroci, e conviene an
che all’uomo in quanto anch’egli è un essere vivente (cf. 4,6 e
passim).1 Al dato filologico si aggiunge la valenza simbolica di
■Srjpiov: U. Vanni ha messo in luce come nell’Apocalisse gli ani
mali siano simbolo di forze che superano le possibilità umane
e che tuttavia sono sotto il potere e sotto il controllo di Dio.2
Di fronte alle due Bestie, ci si trova dunque di fronte a due for
ze negative, per noi irresistibili e soverchiami. La negatività del
le due Bestie è poi acutizzata dal fatto che Giovanni le dipinge
come mostri policefali e compositi: la Bestia marina ha sette te
ste, come già il Drago di Apoc. 12, e concentra in sé caratteri
stiche di leopardo, di orso, e di leone (13,2), mentre la Bestia ter
restre ha corni di agnello e ruggito di drago (13 ,11). A l contra
rio, l’Agnello di 5,6, protagonista positivo per eccellenza nel
l’Apocalisse, o l’aquila di 8,13, che ha il compito di annunciare
i tre «guai!» contro gli idolatri, sono di aspetto non ibrido ma
integro.
49
D ’altra parte, se Giovanni avesse voluto dire la negatività della
provenienza delle due Bestie, avrebbe più opportunamente as
segnato loro un unico luogo di provenienza, il regno del male,
e avrebbe potuto chiamarlo «l’abisso» come fa per la prima Be
stia in 17,8 (cf. anche 11,7) dove «dall’abisso» non significa «dal
mare» ma «dal non-essere»,1 o come fa in 9,1-3 dove «l’abis
so» significa «le viscere della terra / il mondo degli inferi»: «vi
di un astro cadere... sulla terra e gli fu data la chiave della,vora
gine2 dell’abisso e aprì la voragine dell’abisso ecc.».
Da mare e terra le due Bestie non «vengono» come ci si !
aspetterebbe, ma sorprendentemente «salgono» ($ηρίον άνα-
βαΐνον, 13 ,ι; άλλο ·δηρίον άναβαϊνον, I3>n)· La prima Bestia,
cioè, viene dal mare come viene una nave e non dalle profon
dità marine come un cetaceo. Lo dice il parallelismo tra il sali
re dal mare di 13 ,1 e il salire dalla terra di 1 3 ,1 1 , che presumi
bilmente non significa salire «dalle viscere» della terra. D ’altra
parte la vicenda della seconda Bestia ha qualcosa di tautologi
co in quel venire dalla terra ( 13 ,11) per poi operare nella stessa
terra (cf. 13 ,12 ss.). In 13 ,1 e 13 ,1 1 il verbo άναβαίνω dunque,
non essendo il verbo adeguato ai complementi di luogo che reg
ge, va probabilmente visto e spiegato in uno schema più vasto
una valenza negativa in 21,1: nella palingenesi non ci sarà posto né per il
primo cielo e per la prima terra né, appunto, per il mare («e il mare non
c’è più»). Ma nella maggioranza dei testi Giovanni parla del mare come di
una realtà neutra, certamente non negativa. In 12,12 per esempio il mare è
in tutto equiparato alla terra e, insieme con essa, contrapposto al cielo, per
dire che dal cielo il Drago viene scaraventato su terra e mare: nella loro re
lazione con il Drago, mare e terra sono semplicemente sfortunati e in pe
ricolo, non malvagi. Allo stesso modo, nel terzo lamento funebre su Babi
lonia il mare è luogo neutro di lavoro per «quanti lavorano in mare [lette
ralmente: il mare]» (18,17), a^ ° stesso modo che la terra è ambiente di la
voro per i mercanti del secondo lamento (18,11).
1 Di opinione diversa sono per esempio Foerster, ·δηρίον, 504 («viene dal
mare ossia, secondo 11,7, dall’abisso»); e O. O ’Donovan, The Politicai
Thonght o f thè Book of Revelation: TyB 37 (1986) 79 («Il mare qui come
altrove in Apoc. rappresenta l’abisso del caos e del disordine»).
2 II termine φρέαρ significa bensì anche «pozzo (artificiale)» (così le tradu
zioni CEI) tanto è vero che il termine è spesso contrapposto a κρήνη-sor
gente (Demostene 14,30; Erodoto 4,120). La traduzione con «voragine» è
giustificata per esempio dal fatto che in Erodoto 6,119 e Gen. 14,10 LX X
φρέαρ è una cava d’asfalto e in Plutarco è il cratere di un vulcano (Mor.
68b.2), danzare sul cui orlo è proverbialmente pericoloso.
SO
chc e tutto da mettere in luce.1 Per farlo, bisogna distinguere
«provenienza» occasionale da ultima «origine» o «sfera d’ap
partenenza» e mostrare come il verbo àvapaivm e il suo antite
tico y.aTafiaivM siano verbi di «varcamento di confini».
51
Dio. àvapacvw descrive il «varcamento dei confini» in direzio
ne opposta. In 9,2 per esempio, sale dalla voragine dell’abisso
un fumo che oscura sole e atmosfera. Da quel medesimo abis
so in 11,7 e 17,8 sale la prima Bestia, quella stessa che secondo
13 ,1 sale dal mare.1 Allo stesso modo, sciolto dall’abisso in cui
era incatenato, il Satana sale sulla spianata terrestre con i suoi
eserciti per l’ultima battaglia (20,9). Non dall’ abisso, ma invece
da Patmos (4,1-2), o dalla piazza della città in cui sono rimasti
insepolti per tre giorni e mezzo (11,12 ), salgono al cielo G io
vanni e, rispettivamente, i Due Testimoni, l’uno e gli altri chia
mati al cielo da una voce celeste. Dall’orizzonte orientale, co
me il sole, sale poi l’angelo che reca il sigillo del Dio vivente in
7,2·
Per Giovanni dunque il cosmo è tripartito: in basso sta
l’abisso tenebroso, in alto c il cielo, sede di Dio e dei suoi mi
nistri, e in mezzo è la terra, luogo di contrastante influsso e di
scontro tra le forze superiori del bene e le forze inferiori del
male.2 I confini sono netti, ma non sono invalicabili: separano
la zona di origine, non la sfera di attività. Così l’origine degli
angeli è in cielo, ma talora però essi varcano il confine del ciclo
scendendo sulla terra (10,1 ecc.) o nell’abisso (20,1-3) e yi agi־
scono agli ordini di Dio. Dell’abisso, luogo della sua apparte
nenza, Satana oltrepassa i confini, prima dando la scalata al cie
lo (Apoc. 12), e poi cercando complicità sulla terra per un rin
novato assalto a Dio o al suo Messia (12,18 ss.; 16 ,13-14 ; 20,8).
Alla fine, definitivamente sconfitto, viene precipitato nello sta
gno ardente di fuoco e zolfo (20,10), essendo costretto così per
sempre entro i confini che gli sono propri.
Tornando alle due Bestie, il loro salire dal mare e dalla terra
si trova bensì in cielo (12,3), ma già come nemico della Donna messianica
e di Dio, e non quindi come cittadino del cielo.
1 Per l’identità tra la Bestia di 13,1 e quella di 17,3 cf. Biguzzi, Settenari,
230 n. 38.
2 Cf. per esempio in 5,3 l’elenco delle tre zone che concorrono a compor
re il cosmo, dove è detto che in esse non c’è alcuno in grado di aprire i si
gilli del rotolo. Parlando della concezione cosmologica non di Apoc, ma
della letteratura apocalittica in generale, E. Schvissler Fiorenza, Apocalisse.
Visione di un mondo giusto (BB 16), Brescia 1994 (Minneapolis 1991) 39,
scrive: «Il mondo diventa come un palazzo a tre piani: cielo, terra e sotto
terra».
52
è negativo, dunque, non per le due regioni cosmiche della loro
occasionale venuta storica, bensì per la loro appartenenza me
tastorica, detta con la preposizione preverbale ava-, del verbo
àvajBat'vw.
S3
2. L'adorazione della statua della Bestia
in una diversa atmosfera
! Cf. D.A. Desilva, The «Image o f thè Beast» and thè Christians in Asia
Minor: Escalation o f Seclarian Tension in Revelation 13: TrinJ 12 (1991)
204-205: «Qui c’è bisogno di una ‘immagine della bestia’ che rappresenti
!"assente come presente’».
che diventi statua parlante. Sono espedienti propagandistici di
cui Giovanni non fa parola quando presenta la prima adorazio
ne e con cui dunque caratterizza e contraddistingue la seconda.
Tutto questo dice che la Bestia è oggetto di due distinte ado
razioni. Ora si deve vedere come una sia caratterizzata dall’uni-
versalità e l’altra da un’estensione soltanto regionale.
55
In conclusione, «la terra» di I3,i2.i4a.b in cui la Bestia terre
stre organi/za il suo culto è probabilmente una regione che si
distingue dall’ecumene di 13,3.8 in cui la Bestia marina veniva
già adorata.1 Questa importante deduzione di tipo geografico
ha nel testo almeno due conferme: il fatto che in Apoc. 16 le
due adorazioni siano colpite da flagelli distinti e la successione
di «mare e terra» in 1 3 ,1 .1 1 e non, viceversa, di «terra e mare».
1 Non tiene conto di una tale diversità geografica per esempio M. Ober-
weìs, Die Bedeutung der neutestamentlichen «Rdtselzahlen» 666 (Apk 13,
18) und 153 (Job 2 1,11): ZNW 77 (1986) 233, che scrive: «Probabilmente
nelle due bestie è rappresentato l’impero romano da una duplice prospet
tiva: il potere rivendicato ed esercitato sulla terra e quello esercitato sul
mare, o qualcos’altro di analogo». Cf. anche R. Bauckham, La teologia del
l ’Apocalisse (LetB 12), Brescia 1994 (Cambridge 19 9 3) 138, secondo cui la
terra di 13,12.14 è il mondo intero, come in 16,13-14; e Lambrecht, People
o f God, 384, secondo cui l’azione della seconda bestia è worldwide.
56
za con le caratteristiche di adorazione ecumenica e adorazione
regionale. Infatti, come la Bestia-dalla-terra mandava a morte
chi rifiutava di rendere culto alla statua (13 ,1 jc), così i flagelli
della seconda e terza coppa colpiscono i persecutori che hanno
versato il sangue dei santi e dei profeti (16,6). D ’altra parte, in
vece, come la Bestia-dal-mare era ripetutamente contraddistin
ta dalla bestemmia contro Dio (i3,i.5a.6, ma cf. anche 17,3),
così lo sono sia gli uomini colpiti dai flagelli della quarta cop
pa (i6,9b), sia i sudditi del regno della Bestia colpiti dal flagel
lo della quinta coppa (16 ,11), sia, infine, gli uomini colpiti dal
la grandine nella settima coppa (16,2 ib).
Gli schemi, anche geografici, di Apoc. 13 si prolungano dun
que in Apoc. 16: da una parte il mondo della seconda Bestia,
caratterizzato dalla «regionalità» e dalla persecuzione, e dal
l’altra il mondo della prima Bestia, caratterizzato dall’univer
salità, dal potere politico e dalla bestemmia.
5. La successione «mare-terra»
e Vangelo di Apoc. 10
La successione per cui sulla scena di Apoc. compare prima la
Bestia che viene dal mare (13 ,1) e dopo, come seconda, quella
che viene dalla terra ( 13 ,11) è meno scontata di quello che po
trebbe sembrare. Lo dicono le formule che in tutte le lingue
mettono istintivamente prima la terra e poi il mare, dal mo
mento che l’uomo vive sulla terra e coglie ed esprime la realtà
dalla prospettiva terrestre. I latini per esempio dicevano: terra
marique, mettendo istintivamente prima la terra e poi il mare,
con la stessa logica con cui dicevano ferro ignique, dal momen
to che in guerra prima si espugna una città con le armi e poi la
si dà alle fiamme. Per i greci basti citare Anassimandro per il
quale «per prima cosa l’aTtstpov ha tracciato il perimetro di ter
ra e mare», o Tucidide che impiega una trentina di volte la suc
cessione «terra-mare» e una sola volta la successione «mare-
terra».1
La successione inconsueta di «mare-terra» in 1 3 ,1 .1 1 ha una
1 Anassimandro, Testim. t,8; Tucidide, 1,2,2,2; 1,13 ,5 ,3 ; i >24>6,.i ; 1,110 ,4 ,4 ;
2,24,1,2 (ma cf. 2,41,4,6). Cf. anche Erodoto 6,18,2; 7,49,5; 8,64,4; Aristo
tele, Mund. 3 9 2 ^ 14 ; yj6a.,2y; 3968,27.
57
sorprendente premessa in Apoc. io. L ’angelo forte che porge a
Giovanni il piccolo rotolo, infatti, pone il piede destro sul ma
re e il sinistro sulla terra (io,2b-c). Per moltissimi autori il ma
re e la terra su cui l’angelo pone i piedi significherebbero l’uni
versalità della sua missione e dei destinatari del rotolo che tie
ne in mano. Ma non è così perché nelle formule bibliche di uni
versalità cosmica «terra» precede e «mare» segue. Nella stessa
Apoc. Giovanni mette sempre prima «terra» e poi «mare» (7,1.
2.3; 12,12, e cf. anche 20,8), con la sola eccezione appunto del
l’episodio dell’angelo forte (10,2.5.8) dove per tre volte Giovan
ni mette invece appunto prima «mare» e poi «terra».1 Questo
significa anzitutto che per Apoc. 10 e Apoc. 13 egli ha voluto
creare una formula nuova, diversa da quella che gli era altri
menti spontanea e, in secondo luogo, che in quella formula il
mare è più importante della terra.
Poiché in Apoc. 10 la singolare successione «mare--terra» per
la collocazione dei piedi dell’angelo è la stessa successione dei
luoghi da cui vengono le due Bestie di Apoc. 13, non è impos
sibile che «mare e terra» indichino gli ambiti geografico-politi-
ci (e non cosmici) contro cui Giovanni dovrà rivolgere i mes
saggi del rotolo che, come Ezechiele, deve prendere e inghiot
tire. Non per nulla, dopo che egli ha inghiottito il rotolo, gli vie
ne detto: «Devi profetizzare ancora [e questa volta le tue profe
zie saranno] contro1 popoli, nazioni, lingue e re numerosi». So
no le profezie «politiche» di Giovanni di Patmos, come E.-B.
Allo le chiama.3
1 Nel trinomio (non binomio) che compare nel v. 6 la terra è significativa
mente menzionata prima del mare (e dopo il cielo) proprio perché è in
una formula cosmica e non in relazione ai piedi deU’angelo: «il quale (=
Dio) creò il cielo... e la terra... e il mare».
2 Giustamente per S. Hrc Kio, The Exodus Symbol o f Liberation in thè
Apocalypse and its RelevanceforSomeAspecis ofTranslation: BTr 40 (1989)
134-135, l’èm λαοίς κτλ., retto da προψητεΰσαι, va tradotto non «riguardo
a», ma «contro»: a conferma basti citare Erodoto 1,61: «Risaputo ciò che
sì faceva contro di lui (έπ’αύτώ) ...». Contro Swete, Apocalypse, 132, che
scrive: «Giovanni non è inviato a profetare alla loro presenza (επί con
gen.), né contro ài essi (επί con acc.), ma semplicemente riguardo a essi (επί
λαοΐς κτλ.)» e contro W.J. Harrington, Revelation (SP 16), Collegeville
19 9 3,116 , che approva Swete.
3 Allo, Apocalypse, 125. - Per questo paragrafo cf. una trattazione più dif
fusa in Biguzzi, Settenari, 227-230.
58
In altre parole Giovanni dovrà rivolgere la sua parola profe
tica sia contro il mare, ossia la Bestia marina, sia contro la ter
ra, ossia la Bestia terrestre, attiva in una regione particolare.
I II. L A T E R R A D I ApOC. 13 , 1 1
N E L L A STO RIA D E L L ’ IN T E R PR ET A Z IO N E
59
cronismo di 17,10. Dicendo che il sesto monarca «è [presente-
mente]», l’ autore dell’Apocalisse non sembra in nessun modo
volere trasferire il lettore nei secoli xvi-xviii per parlare né del
papato né dei novatori protestanti, comc si pretendeva al tem
po delle controversie confessionali. Allo stesso modo che le
interpretazioni storico-ecclesiastiche, sono da escludere quelle
escatologiche: da quella di Ippolito (prima metà del 111 secolo)
a quella del gesuita spagnolo F. de Ribera (1591), a quelle più
recenti di Th. Zahn (1924, 1926), J. Sickenberger (1929), o W.
Foerster (1938). A titolo d’esempio, per Ippolito e per de Ri- -
bera la prima Bestia era l’Anticristo (termine, tra l’altro, che
non ricorre in Apoc.) e la Bestia che sale dalla terra era il suo
sommo sacerdote (Ippolito) o un predicatore insigne, suo pre
cursore: «praedicatorem aliquem magnum, ... praecursorcm
Antichristi» (de Ribera).1
Come richiede 17,10, le due Bestie vanno invece ambientate
nel tempo e, per quanto ci riguarda qui, nella geografia religio
so-politica di Giovanni.
60
Roma o Drago (cf. il «parlava come un drago» di 13 ,11) c per
ché offese la sensibilità giudaica innalzando le aquile romane
(cf. Petxcóv di 13,14 ) sulla porta del tempio e riproducendone
l’immagine sulle monete (cf. il ^״àpay^a sulla destra di 13,16 -
1 7).1 Per J. Massyngberde Ford invece la prima Bestia è Ve
spasiano, c la seconda Bestia è Flavio Giuseppe che fu profeta
della sua acclamazione a imperatore, come si è già detto. Per
questi autori la «terra» da cui viene la seconda Bestia è eviden
temente la Palestina: di Erode, appunto, e di Flavio Giuseppe.
Per altri la terra è invece PAnatolia. Venendo dall’Asia M i
nore, per P. Touilleux (1935) e per C. Spicq (1950) la seconda
Bestia sarebbero i sacerdoti di Cibele, madre degli dèi, che ma
nifestavano il loro lealismo a Roma prestando culto all’impe
ratore regnante.2 Molti infine identificano il falso profeta con
questo o quello dei promotori del culto imperiale in Asia: il
partito filoromano (J. WeifS, 1904), Plinio il giovane, inviato da
Traiano in Ponto e Bitinia come proconsole straordinario (A.
Vanni, 1929), il sacerdozio del locale culto del sovrano (R.H.
Charles 1920; M. Rist - L.H. Hough, 1989)^ o lo stesso koinon
61
d’Asia (W.M. Ramsay, 1904; W. Barclay, 1959; S.R.F. Price,
1984; S. Friesen 1993),1 e cioè l’assemblea dei rappresentanti
delle varie città asiatiche che si riuniva una volta l’anno e orga
nizzava riti, feste, giochi e costruzioni di nuovi templi impe
riali.
L ’interpretazione della «terra» di 1 3 ,1 1 come Anatolia ha a
suo favore: 1. il fatto che secondo 4,1 le visioni di cui Giovanni
e protagonista in Apoc. 4-22 (e quindi anche la vicenda delle
due Bestie) sono in continuità con la cristofania di 1,9 ss. la qua
le è ambientata a Patmos e non in Palestina; 2. il fatto che G io
vanni era coinvolto in prima persona con le sorti di almeno
sette chiese d’Asia Minore e che per esse scrisse il suo libro,· 3.
il fatto poi che le sette chiese d’Asia interessano Giovanni nella
concretezza dei loro abitanti (cf. Antipa, Gezabele, i Nicolaiti
ecc.), degli edifici o istituzioni (il trono di Satana) e delle loro
scelte di vita cristiana mentre, privi di ogni concretezza stori
ca, i luoghi palestinesi (Gerusalemme, il suo tempio, l’altare
del tempio, i suoi cortili, il monte Sion, ecc.) sono in Apoc. pu
ro simbolo. Quanto poi all’alternativa tra culto del sovrano e
quello di Cibele, l ’epiteto di pseudoprofeta dato alla Bestia-
dalia-terra conviene ai diretti promotori del culto imperiale
meglio che ai sacerdoti di Cibele che di quel culto erano solo
fiancheggiatori occasionali.
Relegato nella pietrosa Patmos, se guardava a occidente G io
vanni vedeva venire dal mare nostrum la Bestia che si faceva
rivale di Dio, mentre se si volgeva a oriente, all’Asia proconso
lare delle sette chiese, vedeva il falso Profeta tutt’intento a pro
muoverne il culto, intollerabilmente blasfemo.
Revelation o f St. John thè Divine (I’sB 12), Nashville 1989 (11957) 464
(«agisce come sacerdote del culto imperiale»).
1 W.M. Ramsay, The Letters to thè Seven Churches ofAsta and their Place
in thè Pian o f thè Apocalypse, London 1904; Barclay, Revelation X III,
293 («rappresenta l’organismo per la diffusione e l’incremento del culto im
periale»); S.R.F. Price, Rituals and Power. The Roman Imperiai Cult in
Asia Minor, Cambridge 1984; S. Friesen, Twice Neokoros. Ephesus, Asia
and thè Cult o f thè Flavian Imperiai Family (RGRW 116), Leiden ־New
York - Kòln 1993.
Capitolo 3
Le due idolatrie
diApoc. 8-16 a Efeso
1. l ’id o l a t r ia n e l n u o v o t e st a m e n t o
e n e l l ’a p o c a l is s e
63
(Apoc. 15-16), egli la descrive in ben tre capitoli di antefatti in
cui introduce sulla scena la protagonista, la Bestia che si fa ado
rare, e il suo mondo (Apoc. 12-14), e P °i in un'ulteriore descri
zione della Bestia e delle sue complicità (Apoc. 17), e infine nel
racconto della sconfitta e della fine (Apoc. 18-20).
A ciò si aggiunge l’accurata differenziazione delle due idola
trie. L ’idolatria degli idoli viene descritta in termini convenzio
nali e stereotipati presi dall’A .T .1 e viene accomunata a peccati
e delitti comuni come il furto e l’omicidio (9,20-21). Giovanni
presenta invece l’idolatria della Bestia con un’inesauribile ric
chezza di immagini di suo conio o di immagini bibliche e mi
tiche rielaborate creativamente. E poi si dilunga a qualificarla
come emanazione satanica e parla del suo carattere blasfemo,
della parodia e della concorrenza che oppone al governo di Dio
e dell’Agnello. Parla della città in cui quelPidolatria ha la sua
centrale, delle strutture politiche e militari di cui si avvantag
gia, dell’attività propagandistica e delle tecniche di mistificazio
ne e persuasione o costrizione con cui si procura consenso. Una
ultima differenziazione è nei termini con cui si designa l’og
getto di culto idolatrico: 9,20 parla di είδωλα, mentre in 13,14, f
e poi ripetutamente (13 ,15 ier; 14,9 .11; 15,2; 16,2; 19,20; 20,4) si
parla di una είκών, e questo con tre caratteristiche che è molto
istruttivo enucleare. Anzitutto, mentre il plurale di είδωλα par
la di molteplicità e di genericità, il singolare di είκών parla in
vece di unicità. In secondo luogo, mentre non è mai detto di
chi siano rappresentazione gli είδωλα, è esplicitamente detto
che 1’είκών è immagine del ■θηρίον che sale dal mare. In terzo
luogo το ׳δηρίον, nonostante il suo genere neutro, viene tratta
to come maschile almeno quattro volte: in 13,8 (προσκυνήσου-
σιν αυτόν κτλ.), in 13^14 (τΦ $ηρίψ δς εχει την πληγήν κτλ.),
in 17,3 (׳δηρίον... γέμοντα... έχων κτλ.) e in 17,11 (το ■δηρίον...
καί αυτός δγδοός έστιν κτλ.).
Tutto dunque in Apoc. dice che la seconda idolatria, chiara
mente caratterizzata come rivolta all'immagine di un uomo
(cf. il maschile di 13,8.14 ecc.), agli occhi di Giovanni era mol
to più minacciosa della prima. E tutto dice che era essa a costi-
1 La formula di 9,20 («idoli d’oro, d’argento, di bronzo, di pietra e di le
gno che non possono vedere né udire né camminare») è da confrontare
con Dt. 4,28; Sai. 115,4-7; 135,15-17, ma soprattutto con Dw. 5,4.23.
64
tuire il vero obiettivo del suo ardente zelo antidolatrico, degno
di un Elia. L.L. Thompson interpreta dunque in modo insod
disfacente molti capitoli di Apoc. quando afferma: «Il proble
ma principale riguarda il rapporto dei cristiani con gli aderenti
al culto tradizionale, piuttosto che il loro rapporto con il culto
dclPimperatorc». È invece più vicino al vero D .A. Desilva il
quale scrive: «Giovanni non si riferisce alla religione tradizio
nale come principale nemico della vera adorazione. Piuttosto
egli sviluppa la sua polemica contro il culto imperiale, e lo fa
con ampiezza e con grande abbondanza di particolari».1
Per chi eventualmente cerchi un riscontro storico nella si
tuazione delle chiese d’Asia a questi dati letterari, la documen
tazione più ampia circa l’una e l’altra idolatria è quella offerta
dalla Efeso della seconda metà del i sec. d.C. Per questo la du
plice idolatria sarà qui evocata storicamente ed archeologica
mente a partire soprattutto dall’Artemision efesino per l’idola
tria tradizionale, e dal tempio che in quella metropoli fu edifi
cato e dedicato al culto degli imperatori biavi al tempo dell’im
peratore Domiziano.
II. L ’ ID O LA T R IA T R A D IZ IO N A L E A EEESO
<>5
rao.1 Per le donazioni, i lasciti, i possedimenti, per i depositi
bancari di cui era sede internazionale, l ’Artemision era un pi
lastro dell’economia di Efeso e dell’intera Asia, come fa capire
Elio Aristide (ca. 117 -17 8 d.C.), che chiama quel tempio «teso
ro e forziere dell’Asia».2
Il simulacro di Artemide, riprodotto all’infinito sulle mone
te, nelle statuette votive, negli ex-voto, nella decorazione delle
case, nei mosaici pavimentali, nei templi succursali della regio
ne e di tutta l’area mediterranea, si riteneva caduto dal cielo o
da Zeus,3 e questo ne legittimava il culto con l’alone mistico di
un’origine trascendente.
La documentazione letteraria, numismatica ed epigrafica
non lascia alcun dubbio sul fatto che Efeso si identificava con
il suo Artemision più che con qualsiasi, altra istituzione religio
sa o civica,4 e tuttavia le fonti antiche e l’archeologia documen
tano poi abbondantemente la presenza a Efeso, come è ovvio,
di templi e di immagini per il culto per esempio a Zeus, alla dea
madre, ad Afrodite, Apollo, Efesto, Asclepio, Atena, Demetra,
Dioniso, Serapide.
r
66
di S.R.F. Price (15)84) sul culto imperiale in Asia si ricava che
esso era presente in ognuna delle sette città di Apoc.: di cinque
- escluse Filadelfia e Laodicea - è sopravvissuta la documen
tazione per sacerdoti e altari, e di sei - esclusa solo Tiatira -
per i templi.1
Gestito in ogni provincia e città secondo forme discreziona
li, in Asia il culto del sovrano era coordinato da un’assemblea
(il xotvòv ’Aata<;, commune Asiae) dei rappresentanti delle va
rie città, che si riuniva ogni anno.2 Attraverso il koinon le sin
gole città partecipavano alla promozione e al finanziamento
delle feste, dei riti, dei sacrifici, dei giochi e dell’attività edili
zia. Per la costruzione di un nuovo tempio, per la quale la deli
bera del koinon doveva essere ratificata dal senato di Roma, le
città asiatiche erano in rivalità fra di loro, perché ospitare un
centro del culto imperiale coi relativi festeggiamenti costituiva
un ambito titolo di onore e di merito. Il primo tempio provin
ciale fu costruito nel 29 a.C. a Pergamo sotto Augusto,3 come
Tacito attesta, aggiungendo che quello di Pergamo fu preso poi
come esempio in altre province. È ancora Tacito a narrare co
me, cinquanta anni più tardi (21 d.C.), si giunse all’edificazio
ne, sotto Tiberio, di un secondo tempio provinciale: erano in
gara undici città e ognuna di esse dovette sottoporre ragioni e
meriti al giudizio del senato di Roma per l’assegnazione del
l’incarico e dell’onore. La scelta del senato cadde su Smirne per
i servizi resi dalla città al popolo romano in pace e in guerra e
per avere la città onorato Roma con un tempio in antica data,
e cioè in tempi non sospetti di opportunismo politico.4
67
Il terzo tempio imperiale della provincia d’Asia fu eretto ap
punto a Efeso, alla quale A tti 19,35 attribuisce il titolo di νεω-
κόρος, un titolo che, dalla fine del 1 fino al v secolo, designò
sempre più in modo esclusivo le città che ospitavano templi dei
culto imperiale.1 Insieme al testo di Atti 19 anche una moneta
del tempo di Nerone, che già attribuisce a Efeso un neocorato,
e monete domizianee, che parlano di un secondo neocorato
efesino, hanno fatto pensare a un primo neocorato imperiale
efesino sotto Claudio o Nerone.2 Ma quel neocorato più pro
babilmente era attribuito a Efeso in quanto custode de! tempio
di Artemide, come dice anche tutto il contesto di Atti 19.3 A
parte questo, che appunto è discusso e generalmente non ac
cettato come imperiale, il neocorato imperiale fu concesso a
Efeso quattro volte, delle quali la prima fu sotto Domiziano,
intorno agli anni 89-90 d.C.4
Per non essere da meno di Pergamo e Smirne, la rivale Efe
so dovette certamente fare pressioni sul governatore della pro
vincia, sul koinon, e più ancora sul senato di Roma e sull’im
peratore.5 Con la comprensìbile aspirazione di Efeso ad avere
un riconoscimento pari alla sua importanza di metropoli asia-
68
tica, dovettero però convergere anche le esigenze «di immagi
ne» della dinastia Flavia. Dopo i discussi imperatori della fa
miglia Claudia, e dopo i mesi bui seguiti alla fine di quella di
nastia per il suicidio di Nerone, la propaganda imperiale cercò
evidentemente di promuovere in tutti i modi il culto dei nuovi
prìncipi per imporre all’attenzione di tutti il «miracolo Flavio»,
che aveva portato al ristabilimento dell’ordine in tutte le pro
vince, alla restaurazione della potenza militare con la vittorio
sa conclusione della guerra giudaica, con la presa di Gerusalem
me - e che aveva portato alla generale ripresa economica.1 N on
sono solo queste particolari circostanze storiche a dire l’im
portanza che i responsabili dell’impero dovettero attribuire al
tempio e a Efeso come sua sede, ma anche il fatto che in quel
l’occasione per la prima volta il titolo di vcojxópoe; fu dato a un
tempio di culto imperiale.2 Anche con questa innovazione Efe
so si impose sulle città di tutta la provincia come loro rappre
sentante nel rendere omaggio alla nuova dinastia imperiale, e
superò definitivamente la rivale Pergamo alla cui passata gloria
Augusto aveva dovuto piegarsi al momento di autorizzare gli
inizi del culto imperiale in Asia.
2. Il tempio efesino
per il culto degli imperatori Flavi
Il tempio efesino per il culto imperiale fu il primo in Asia ad
avere rilevanza urbanistica.3 Elevato su di una piattaforma ar
tificiale di m 50 x 100, alle falde del monte Coresso, oggi mon
te Bùlbul, era uno pseudodiptero di stile corinzio, con otto
colonne sulla facciata e tredici sui lati. Una stoa con colonnato
a tre ordini copriva il lato settentrionale del podio e le botte
ghe ricavate nelle volte che lo sostenevano. Per tutta l’esten
sione di quello splendido lato lungo del complesso templare,
le colonne dell’ordine superiore erano decorate con statue di
divinità che, a modo di cariatidi o di atlanti, sembravano costi-
1 Cf. R. Beauvery, /-e culte imperiai et le mite de Rome dans l:Apocalypse
johannique. Approche numismatique 1 (diss. datt.), Lyon 1984, 159; Frie
sen, Twice Neokoros, 155-1 $6.
2 Cf, Price, Riluals, 65 n. 47; Friesen, Twice Neokoros, 56-59.
3 W. Zschiezschmann, Ephesos, KPauly n, Mùnchen 1975, 294.
69
tuire il solido sostegno dell'impero e dei suoi potenti e divini
governanti/ II bassorilievo che invece decorava l’altare rappre
sentava un intreccio di armature, lance, scudi, trofei di guerra,
un prigioniero, e un animale sacrificale: il simbolismo questa
volta era quello della religione che legittima e sublima le im
prese militari delio stato e che eleva il sovrano al di sopra dei
mortali fino a meritare i loro sacrifici/
Dai tempi del recupero archeologico si riteneva che il tem
pio fosse dedicato a Domiziano, ma in base a quei documenti
ufficiali che sono le iscrizioni erette dalle città del koinon asia
tico per l’inaugurazione del tempio,3 S. Friesen ha recentemen
te dimostrato che il tempio fu dedicato ai SepaoToi (al plurale),
c dunque non a un solo imperatore.4 Friesen elenca poi tra gli
Augusti in questione anzitutto Tito, a motivo del ritrovamen
to in situ della statua che lo raffigura; poi Domiziano suo fratel
lo, per i nomi dei proconsoli in carica al suo tempo che figura
no nelle iscrizioni e perché nelle iscrizioni è evidente la rasura
del suo nome (decretata dal senato di Roma alla sua morte per
la damnatio memorìae); e infine Vespasiano, il cui nome nelle
dediche fu sostituito a quello eraso di Domiziano.5 Friesen poi
prosegue escludendo che altri imperatori fossero venerati nel
tempio efesino o perché a qualche altro titolo già cooptati in
>
1 Cf. Friesen, Twice Neokoros, 75. Per la datazione domizianea della log
gia-nord cf. T. Hilke, Ephesische Baubtitten in der Zeit der Flavier und der
Adoptivkaiser, in Lebendige. Altertumswissenschaft. Fs II. Vetters, Wien
15)85, 181. 186 n. 8, contro A. Bammer, [Éphèse]. Les fouilles récents dans
la ville romaine: MBib nr. 64 (1990) 22-33. Anche se la datazione dovesse
essere posticipata all’epoca degli Antonini come afferma A. Bammer, in
ogni caso la progettazione di essa non può non essere stata fatta se non
contestualmente a quella della piattaforma e del tempio.
2 Nei rilievo è raffigurato un toro che è condotto davanti all’altare per es
servi sacrificato. L ’immagine illustra bene il problema delle carni immola
te agli idoli (2,14.20) perché parte delle carni sacrificali era messa sul mer
cato. Il fregio scultoreo, comunque, sembra essere del II secolo: cf. W.
Alzinger Ephesos vom Beginn der ròmischen Herrschaft■ in Kleinasien bis
zum Ende der Principatzeit (archdologisch), ANRW 11, 7.2, Berlin - New
York 1980, 820; Friesen, Twice Neokoros, 67 n. 56.
3 Ibid. 29-75. La documentazione più particolareggiata e più completa
sulle iscrizioni (tredici di numero) si trova alle pp. 28-49.
4 Ibid. 35-36. Comunque cf. già Price, Rituals, 255 e Magie, Roman Rnle
11,1434. 5 Cf. Friesen, Twice Neokoros, 37.
7°
altri templi efesini (Augusto, Tiberio) o perché di infausta me
moria (Caligola, Nerone) o perché morti in tempi ormai lonta
ni (Claudio, e, in genere, gli imperatori prima di Vespasiano).
71
non poteva essere collocata se non contro una parete per esser
guardata solo dal davanti;' 3, per una statua di quelle dimen
sioni e di quella enfasi non era disponibile in zona altro luogo
coperto e adeguato se non la cella del tempio dei Flavi.
Dai tempi del primo rinvenimento si identificava l’impera
tore raffigurato nella statua con Domiziano e si tendeva a spie
gare il dato di fatto dei frammenti della statua come conseguen
za del suo abbattimento violento allessassimo dell’imperatore
e alla damnatio memoriae.1 Ma ora S. Friesen ripropone con
forza l’identificazione già proposta da G . Daltrop e M. Wegner
nel 1966, per la quale l’imperatore rappresentato è Tito, a mo
tivo delle fattezze del viso.3
1 Lo dimostrano i fori nella parte posteriore dell’avambraccio sinistro, i
tasselli sulle parti lisce dietro la testa e il fatto che la parte posteriore dei la
testa è non-finita, è non-rotonda ma piatta, e presenta un incavo di 40 x
47 cm, ricavato intenzionalmente per alleggerire il peso del marmo. Cf.
Friesen, Twice Neokoros, 62 n. 44 e soprattutto Merig, Rekonstrnktions-
versuch, 239-240.
2 Tra gir altri parlano di abbattimento violento per esempio Ch. Briitsch,
La Clarté de VApocalypse, Genève 51965 ['1940], 409 («La stame géante à
Ephèse fut culbutée par la foule delirante»), D. Knibbe, Epbesos vom Be-
ginn der romischen Herrschaft in Kleinasien bis zum Ende der Prinàpa-
ts/.eit (historisch), ANRW n, 7.2, Bcrìin - New York 1980, 775 (la statua
sarebbe stata fatta a pezzi e poi gettata «in den Keller») e Meri?, Rekon-
struktìonsversuch, 240 (la statua sarebbe stata gettata «in die Tiefe»), A f
fermazioni del genere creano bensì un’atmosfera molto romantica intorno
alla statua, ma sono fuori di ogni prospettiva realistica. Fra l’altro Meri?
presuppone che, pur essendo il tempio ridedicato a Vespasiano e quindi
regolarmente utilizzato per gli usi religiosi e civici del caso, i frammenti
della statua dell’imperatore damnatus siano rimasti a giacere per secoli in
un luogo di passaggio, di traffico e di commercio quale era il criptoportico
e il colonnato occidentale. Mcrìg addirittura giunge ad attribuire a una
statua di Vespasiano il. frammento di una mano ancora di statua colossale
ma non appartenente a quella in questione (cf. p. 240), cosicché la statua
di Domiziano, precipitata violentemente in die Tiefe, si sarebbe conservata
quasi integralmente e in buono stato, mentre quella del padre, ad eccezione
di quella sola mano, si sarebbe volatilizzata anche senza alcuna damnatio
memoriae e senza distruzioni violente. Il fatto è che la sostanziale integrità
della statua di Efeso, soprattutto della testa, con le ciocche di capelli o le
ciglia in perfetto stato di conservazione, sembra escludere un abbattimen
to violento.
3 Cf. Friesen, Twice Neokoros, 62, che cita G. Daltrop - V. Hausmann -
M. Wegner, Die Flavier, Berlin 1966. Cf. anche Hilke, Ephesische
Baubiitten, !86 n. 6, che cita J. Keil, Fiibrer durcb Epbesus, 'Wien '1964.
72
Questo già contribuisce a spegnere l’entusiasmo di chi vor
rebbe identificare la statua del museo di Sel^uk con quella di cui
parla 13,14 -15 , e cioè la statua della Bestia-dal-mare fatta co
struire e poi fatta adorare dalla seconda Bestia.' Ad escluderlo
c’è comunque anche il dato di fatto che la statua colossale di
Efeso non era una statua parlante come quella di 13 ,15 . Anzi
tutto, le sottostrutture della cella non presentano nulla di simi
le a quanto si trova per esempio nella cella del tempio degli dèi
egizi di Pergamo, detto «aula rossa», dove un cunicolo sotter
raneo conduceva al luogo della statua cultuale l’intruso che ad
essa doveva prestare la voce.2 La bocca della statua di Efeso poi
non è confezionata in modo da far passare la trachea di gru di
cui parlano gli autori antichi per altre statue parlanti,3 o co
munque da far passare la voce di uno speaker dal retro della
statua. E tuttavia, anche se questa non è la statua di Apoc. 13,
le sue colossali dimensioni parlano un linguaggio che ugual
mente aiuta a capire la reazione di Giovanni di fronte al culto
imperiale, perché dicono la pretesa natura e dignità più che
umane dell’imperatore.4
1 Cf. Dibelius, Rom, 222: «L’Apocalisse è sorta nei dintorni del tempio,
insieme con la statua colossale del dio-imperatore»; Stauffer, Christ, 99:
«Satana s’apposta sulla riva del mare e convoca lo pseudo-Cristo. Questo
sorge allora dal mare sotto la forma di un mostro a sei [sìcJ diademi. Si de
ve pensare qui aH’arrivo della statua imperiale al porto di Efeso?»; Price,
Rituals, 197: «Si è tentati di pensare che dietro al nostro testo c’è l’inaugu
razione del culto provinciale di Domiziano a Efeso, con la sua statua cul-
tica. Devo confessare che non ho incontrato alcun’altra interpretazione
che si attagli al contesto sia geografico che cronologico»; Beauvery, Culle
impérial x, 71, che sotto la riproduzione della starna di Efeso mette la di
dascalia: «Image de la Bete».
2 Cf. R. Salditt-Trappmann, Tempel der agyptischen Gótter in Griechen-
land und an der Westkiiste Kleinasiens (HPRO 15), Leiden 1970, 6. 20.
3 Cf. Luciano, Alexander 26, e Ippolito, Refut. omnium haer. 4,41, citati
da S.J. Scherrer, Signs and Wonders in thè Imperiai Cult: A New Look at
a Roman Religious Institution in thè Light o f Rev 13 ,13 -iy . JB L 193
(1984) 601-602. Sulle statue parlanti dell’antichità, oltre che i commentari
soprattutto di Bousset, Charles, Lohmeyer e Prigent, cf. F. Poulsen, Talk-
ing, Weeping and Bleeding Sculptures: ActAr 16 (1945) 178-195, e Price,
Rituals, 198, con bibliografia alla n. 151.
4 Secondo Price, ibid. 181-188, le dimensioni colossali delle statue degli
dèi e degli imperatori ad essi assimilati, esprimevano l’idea che il dio è così
grande da non poter essere contenuto in un tempio.
73
4· I giochi domizianei e il culto del sovrano
74
5· La scelta degli spazi come persuasore occulto
6. Il culto delVimperatore
quale nuovo centro di coesione
Questa era la tendenza evidentemente non solo di Efeso ma del
la provincia nella quale come nella metropoli la vita andava ri
organizzandosi e trovando un nuovo centro di coesione nel
l’omaggio al sovrano come artefice del comune benessere. Nel
vissuto d’ogni giorno l’imperatore era il dio concreto e vicino.
Egli era incarnazione della divina providentia, con l’appronta
1 Cf. Thompson, Book, 177, per il quale la gente era in grado di cogliere la
relazione tra centro religioso e centro politico «simply by walking thè
streets», e cf. il paragrafo intitolato: «The transformation of civic space» in
Price, Rituals, 136-146.
75
mento di strutture e servizi sociali un po’ dovunque, con le sue
sovvenzioni in tempo di carestie, incendi e terremoti.1 Tra im
peratore e province c’era come uno scambio reciproco, di pro
tezione da una parte e di gratitudine dall’altra, per cui più che
di culto dclPimperatore si dovrebbe parlare di culto del Bene
fattore/ Si compiva cosi quel processo tipicamente ellenistico
che aveva portato pian piano i cittadini della polis dell’epoca
classica a sentirsi cittadini dell’ecumene. In un tempo nel quale
oramai la polis, integrata nell’impero, non aveva un proprio e
autonomo futuro, l’imperatore sempre più prendeva posto ac
canto alle divinità civiche come protettore della città,5 e ancor
più come promotore della prosperità e dell’ordine del cosmo.
Apoc., oltre che libro di resistenza alla persecuzione, come si
presenta a prima vista, è dunque un libro di resistenza all’ideo
logia c allo stile di vita della pax Romana,. Si spiega così come
l’idolatria della Bestia polarizzi l’ interesse e la conseguente con-
danna di Giovanni più che non l’idolatria tradizionale: non tan
to o non solo a motivo del suo lato duro, quello della persecu
zione, bensì soprattutto del suo lato suadente, e cioè dell’ allet
tante prospettiva del benessere che insidiava gli spiriti.
7é
Secondo D. Warden, per esempio, non c’è alcuna prova che
Domiziano abbia promosso il culto del sovrano ad àmpio rag
gio e che in Asia quel culto, dove era tradizionale, da Domi
ziano sia stato incrementato in qualche modo. Alla seconda
precisazione, quella che riguarda l’Asia, Warden collega esplici
tamente la questione della data, scrivendo: «Ne segue [dal fat
to che Domiziano non avrebbe preteso titoli divini né favorito
l’incremento del culto imperiale] che non c’è motivo di datare
Apoc. agli ultimi anni del regno di Domiziano». E aggiunge:
«Tentare di fare questo significa confondere maldestramente
pettegolezzo imperiale (imperiai gossip) e intrighi romani con
il Sitz im Leben della chiesa in Asia Minore».1 Per il vasto mon
do dell’ impero egli cita Price secondo cui, durante i quindici
anni di regno di Domiziano, fu costruito un numero minore di
templi che non nei quindici anni precedenti e nei quindici se
guenti. Per l’Asia, invece, e per Efeso in particolare, egli non
può non ammettere il fatto della costruzione del tempio efesi
no e della presenza di numerose iscrizioni dedicatorie in onore
di Domiziano, e riconosce che il tutto potè essere avvertito co
me una minaccia da parte dei cristiani, ma - dice Warden - que
sto non comportò alcun cambio d’epoca nel versamento di san
gue cristiano e nella consistenza del culto dell’imperatore.
Warden insomma fa questione delPedificazione di pochi o
di molti templi. Ma per spiegare la composizione di Apoc. in
fondo è sufficiente l’edificazione di un tempio soltanto: dopo
tutto, in contrasto con i molti είδωλα dell’idolatria tradiziona
le, Giovanni collega con l’altra idolatria una sola εικών idola
trica. N on è dunque illegittimo pensare che egli abbia reagito a
fatti di rilevanza cittadina e provinciale come quelli della ri
strutturazione urbanistica di Efeso nella zona Ae\Yagora politi
ca e in quella delì’agora commerciale presso il porto. E questo
richiederebbe di ambientare la composizione di Apoc. non sot
to Nerone come vogliono alcuni interpreti di Apoc., ma sotto
Domiziano, anche se non proprio o comunque non necessa
riamente alla fine del suo principato, come dice il testimonium
Ir ertaci?
1 Warden, Imperiai Persecution, 207-208: 208.
2 Così Friesen, Cult, 245-250. - La datazione neroniana di Apoc. è soste
nuta da A.A. Bell, The Date o f John’s Apocalypse. The Evidence o f Some
77
Forse Giovanni di Patmos ha visto i lavori di costruzione del
tempio, o forse ha soltanto assistito o sentito parlare, esterre
fatto!, di qualche festa o rito cittadino in onore del «divino»
Domiziano. Senza farsi intimorire dall’uomo più potente della
terra che tutti riverivano, lo ha definito «la Bestia», e contro il
culto offertogli a Efeso dall’intera provincia asiatica stilò uno
dei libri più aggressivi che mai siano stati scritti.
Roman Historians Reconsidered: NTS 25 (15)79) 513102 ; ־R.B. Moberly,
When Was Revelation Conceivedf: Bib 73 (1992) 376-393; Wilson, Do-
mitianic Date, 587-605 e Th.B. Slater, Dating thè Apocalypse to John: Bib
84 (2003) 252-258. L ’argomento forte di questi tre autori è che Apoc. si
ambienta nei turbolenti 18 mesi seguiti al suicidio di Nerone meglio che
in qualsiasi altro tempo. Ma ciò che provocò la stesura di Apoc. è il micro
cosmo di Giovanni e delle sue chiese piuttosto che gli eventi della politica
intemazionale. - F.G. Downing, Pliny’s Prosecntions o f Christians: Revela
tion and / Peter: JSN T nr. 34 (1988) 105-123, propone con forza la datazio
ne di Apoc. all’epoca di Traiano.
Capitolo 4
Giovanni di Patmos ,
Patmos, e la «persecuzione»
I. G IO V A N N I D I PATMOS - GIO V AN N I A PATM OS
i. Giovanni di Patmos
L ’autore dell’Apocalisse si attribuisce il nome di Giovanni quat
tro volte: tre all’inizio (1,14 .9 ) e una alla fine del libro (22,8).
Poiché egli fa ricorso a tanti elementi propri della letteratura
apocalittica, bisogna anzitutto chiedersi se da quella letteratura
non prenda anche la pseudepigrafia, e cioè la consuetudine di
mettere uno scritto in spirituale continuità con l’opera di un
grande protagonista religioso del passato attribuendone a lui la
scrittura. Secondo l’ipotesi pseudepigrafica, dunque, un anoni
mo autore della tradizione giovannea avrebbe attribuito Apoc. a
Giovanni figlio di Zebedeo, autore anche del quarto vangelo.1
L ’ipotesi pseudepigrafica non può essere del tutto esclusa
ma non ha un alto grado di probabilità dal momento che in
Apoc. non ci sono gli indizi né i presupposti della pseudepigra
fia. In Apoc. per esempio non c’è alcuna esaltazione agiografica
dell’«autore» come si trova sia nell’A.T. per il Salomone del li
bro della Sapienza, sia nella letteratura pseudepigrafica interte-
stamentaria per esempio per Enoc, sia infine nel N.T. per il
Paolo delle Lettere Pastorali e per il Pietro di 1-2 Pt. Non si
comprende cioè come un ammiratore di Giovanni di Zebedeo,
che a lui attribuirebbe il proprio scritto ritenendolo un mae
stro senza uguali, lo privi del suo impareggiabile titolo di apo
stolo che pur conosce e celebra (21,14) e lo presenti invece co
me fratello di cristiani inclini al compromesso, tiepidi, medio
79
cri e nient’ affatto irreprensibili. Anche il comando di non si
gillare le parole del libro (22,10) va in senso contrario all’usua
le finzione pseudepigrafìca del ritrovamento di un libro scritto
da qualche grande personaggio del lontano passato.
Se il nome di Giovanni è reale, allora possono entrare in que
stione Giovanni il Battista, Giovanni il Presbitero o Giovanni
di Zebedeo. La sorprendente ipotesi che Giovanni il Battista
abbia ispirato gran parte di Apoc. e che un suo discepolo l’ab
bia cristianizzata è stata bensì proposta1 ma com’era prevedi
bile non ha incontrato alcun favore. Giovanni il Presbitero, di
cui nell’antichità parla il solo Papia di Gerapoli,2 per essere
preso in qualche considerazione dovrebbe essere il Presbitero
che è autore di 2-3 G v. (e in qualche stretto rapporto con l’au
tore di 1 Gv.), il quale però non chiama mai se stesso «Giovan
ni». Le lettere poi sì occupano bensì della vita interna delle
chiese giovannee e delle loro crisi di crescita così come fa an
che Apoc. 2-3, ma in esse i problemi delle comunità giovannee
nascono da una disputa sulla venuta del Cristo «nella carne» (2
G v. 7; cf. / Gv. 4,2) che poi portò alla spaccatura e alla seces
sione (1 G v. 2,19), mentre in Apoc. l’autore è in contrasto con
Nìcolaiti e Gezabeliti circa la manducazione delle carni immo
late agli idoli (2,6.14-15.20-24) c quindi circa il rapporto da in
trattenere o no con l’idolatria che ispirava in grande misura la
vita delle professioni c in genere delle città. Mentre poi nei
confronti dei suoi destinatari l’autore delle lettere si sente in
rapporto paterno («Figli miei, questo vi scrivo ecc.», 1 G v. 2,1
e passim; 3 G v. 4), in Apoc. Giovanni si dichiara ripetutamente
fratello sia dei profeti locali (22,9), sia dei semplici fedeli (1,9).
Quanto infine allo stile, da un lato non c’è nulla di più mono
tono delia 1 G v., e dall’altro nulla di più coinvolgente di .Apoc.
Resta Giovanni di Zebedeo. La tradizione antica - con pochis-
1 Massyngberde Ford, Revelation, 28-46, cf. in particolare p. 37.
2 Papia è citato da Eusebio, Hist. eccl. 3,39,4. - Oltre a Bousset, Moffatt,
Lohmeyer, Lohse, per questa opinione cf. per esempio J.J. Gunther, The
Rider John Author o f Revelation: JSN T nr. 1 1 (1981) 3-20, e M. Hengel,
La questione giovannea (SB 120), Brescia 1998 (Tiibingen 1998) 300-303.
-T ra gli autori contrari basti citare P. Prigent, L ’Apocalypse de Saint Jean.
Edìtion revue et augmentée (CNT 14), Genève 2000, 35, il quale scrive:
«Ricorrere all’ipotesi del presbitero Giovanni è spiegare l’oscuro con il te
nebroso».
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simc eccezioni - lo ritiene autore sia di Apoc. che del quarto
vangelo,1 e non è facile disattenderla, perché per esempio G iu
stino ha scritto a distanza di pochi decenni dalla composizione
di Apoc. e Ireneo era originario dell’Asia dove essa è ambienta
ta. I sostenitori moderni della sentenza tradizionale spiegano
le differenze di teologia c di stile tra Apoc. e quarto vangelo a
partire dalla diversità di circostanze e di genere letterario o at
tribuendo il quarto vangelo ad un autore diverso da Giovanni
di Zebedeo. Le difficoltà che si possono sollevare contro que
sta opinione sono almeno tre:
1. L ’immagine che l’autore di Apoc. dà di sé non è quella di
chi è stato per anni a fianco di Gesù come suo discepolo, né
quella del fondatore di una delle più ricche e influenti tradi
zioni del N.T., né di chi quindi gode di quell’indiscussa auto
revolezza che nel quarto vangelo si attribuisce al Discepolo
Amato o di quella attribuita ai dodici apostoli dell’Agnello che
sono collocati a glorioso fondamento della città escatologica in
2 1,14 . È ׳invece un profeta-scrittore che trova rivali e opposi
tori in piccole chiese locali e da essi vi è messo in difficoltà.
2. Quanto al vocabolario e al linguaggio, l’autore di Apoc.
sembra comportarsi con il patrimonio giovanneo così come si
comporta con i testi dell’A.T. che sempre sottopone a persona
le rielaborazione. Quando per esempio nel vangelo un titolo
cristologico è accompagnato dal genitivo «di Dio», l’autore di
Apoc. usa il titolo assolutamente («Agnello di Dio» in G v.,
«Agnello» in Apoc.) e viceversa («Logos» in G v., «Logos di
Dio» in Apoc.). E ancora: mentre nel vangelo i segni sono ope
rati da Gesù per portare alla fede (2 ,11; 20,30-31), i grandi se
gni di Apoc. sono ambientati nel cielo, non sono opera di G e
sù, non devono portare alla fede e uno di essi è il Drago, l’av
versario per eccellenza. E ancora: l’autore di Apoc. osa descri
vere il trono di Dio e perfino l’aspetto di Dio che è quello di
due pietre preziose (4,3), mentre il vangelo afferma che «Dio,
nessuno mai lo ha visto» (1,18, cf. anche 1 G v. 4,12). Se queste
differenze possono essere dovute al variare del genere lettera
rio, lo stesso non si può dire per esempio del differente concet-
x Così fanno Giustino, Ireneo, Tertulliano, Clemente Alessandrino ecc.,
mentre le eccezioni sono quelle degli alogi, del presbitero romano Gaio e di
Dionigi d’Alessandria.
8l
to di «giudeo»: in Gv. è un concetto prevalentemente negati
vo, equivalendo a «chiuso alla fede in Gesù» e, se positivo, è con
nettezza distinto dal concetto di «discepolo di Gesù» («la sal
vezza è dai giudei», 4,22; cf. 9,22; 13,33), mentre in Apoc. è ti
tolo sempre del tutto positivo, negato all’Israele storico e riven
dicato per la chiesa cristiana (2,9; 3, 9; cf. 2 1,12 -14 ).
3. In Apoc. il modo di narrare non è quello del quarto evan
gelista. in Apoc. non c’è nulla della monotonia dei discorsi gio
vannea. C ’è invece una capacità ineguagliabile d’invenzione fan
tastica e narrativa. Se il quarto vangelo si può paragonare a un
fiume pigro e sonnolento, l ’Apocalisse è invece un tumultuoso
torrente di montagna che attraversa paesaggi sempre mutevoli
c che a volte si inabissa per riemergere più oltre. Narra, infatti,
lasciando al lettore di colmare lacune narrative, chiedendogli di
vedere le immagini in evoluzione metamorfica o facendogli udi
re un oracolo erratico alla prima persona singolare nel bel mez
zo di agitati preparativi militari (16,15) o tutt’una incalzante se
quenza di frasi, miscellanea e sincopata, nel gran concertato fi
nale (22,6-21).
In conclusione, sembra che l’autore di Apoc, sia vissuto nel
l’ambito giovanneo, sembra che si chiamasse davvero Giovan
ni, ma sembra essere un Giovanni diverso dal figlio di Zebe-
deo e un autore diverso dall’autore del quarto vangelo. Per
esprimere sinteticamente tale complessità di dati letterari e sto
rici, lo si può chiamare Giovanni «di Patmos».
a. Giovanni a Patmos.
Ipotesi di un soggiorno volontario
Sprovvista di qualsiasi rilevanza sia storica che simbolica, Pat
mos, la piccola isola delle Sporadi nella quale 1,9 1 ambienta la
vicenda di Giovanni, ben difficilmente fu da lui scelta coinè
scenario fittizio del suo soggiorno.2 Ma non c’è consenso circa
82
i motivi della sua effettiva presenza nelPisola. Da 1,90 (διά τον
λόγον τοΰ ■ίίεοΰ καί την μαρτυρίαν Ιησού) la tradizione antica
e gran parte dei moderni traggono la conclusione che Giovan
ni fu nell’isola in stato di confino. Le interpretazioni alternati
ve ipotizzano una motivazione apostolica o la ricerca di condi
zioni adatte alla rivelazione.
La ricerca di un campo apostolico a Patmos da parte di G io
vanni è difficilmente credibile.1 È ben vero che l’isola non era
affatto disabitata2 dal momento che, anche in mancanza di ri
cerche sistematiche, la documentazione epigrafica occasionale
la dice provvista di un ginnasio e fa di essa un centro del culto
di Apollo e la sede di un tempio di Artemide.3 Nel ginnasio bi
sogna tra l’altro ambientare una certa attività culturale animata
da maestri e da conferenzieri di passaggio, c attorno al tempio
di Artemide la festa annuale in onore della dea, della durata di
alcuni giorni almeno, alla quale certamente si accorreva dalle
83
isole vicine e da Mileto, Didyma e Efeso.1 Patmos poi, per la
sua particolare morfologia di isola a mezzaluna molto ricurva,
metteva a disposizione di chi faceva rotta tra Roma e l’Asia pro
consolare un porto naturale molto sicuro,2 l’ultimo tra Roma
appunto e Efeso o Mileto, da cui distava un giorno di naviga
zione.3 Nonostante tutto questo, però, per il numero ridotto
di abitanti, e per la mancanza di entroterra, Patmos non si pro
poneva affatto come centro di missione, soprattutto per uno
come Giovanni che dal punto di vista della strategia missiona
ria aveva fatto la scelta preferenziale della città, allo stesso
modo di Stefano e di Paolo.4
Che Giovanni poi fosse a Patmos in cerca di rivelazioni è al
trettanto improbabile.5 Contro questa strana ipotesi, sulla scia
di H.B. Swete e soprattutto di R.H. Charles, i commentatori
ripetono puntualmente quattro argomentazioni: 6 r. in Apoc.
διά con l’accusativo significa sempre «a causa di / in conse
guenza di», e mai «al fine di / per amore di»; 2. di fatto la stcs-
84
sa formula nei paralleli di 6,9 e 20,4 parla dell’uccisione dei mar
tiri cristiani; 3. la traduzione di Sta con valore finale non spie
gherebbe il fatto che Giovanni dica di essere, a Patmos, com
partecipe coi fratelli asiati nella tribolazione (1,9) c infine 4. la
tradizione antica ha sempre inteso 1,9 nel senso giuridico di
provvedimento restrittivo delle autorità contro Giovanni.
3. Giovanni a Patmos.
Ipotesi di un soggiorno obbligato
La presenza di Giovanni a Patmos dunque era probabilmente
dovuta a un provvedimento repressivo per avere egli in qual
che modo disturbato l’ordine e la quiete pubblica o con il suo
proselitismo o con l’opposizione a istituzioni o consuetudini
civiche.
Quanto alla configurazione giuridica della pena inflitta a
Giovanni le possibilità di solito prospettate sono tre. La prima
è la damnatio ad metalla, cioè la condanna ai lavori forzati nelle
miniere.1 La damnatio veniva decretata esclusivamente dal tri
bunale dell’imperatore ed era inflitta non a chi apparteneva al
le classi elevate bensì alle persone libere di rango inferiore, ol
tre che soprattutto agli schiavi.2 Era la pena più dura dopo la
pena di morte. Emessa la sentenza, il condannato cessava di ap
partenere alla sua famiglia e diveniva proprietà dello stato in
sieme con il suo patrimonio.3 Veniva marchiato col fuoco, gli
si rasava a metà la capigliatura, doveva lavorare assicurato alle
catene o ai ceppi e sotto sorveglianza militare. La damnatio era
una pena di per sé in perpetuum anche se di solito, quando di
veniva inabile al lavoro, il condannato veniva restituito alla fa
miglia.4
1 Era opinione diffusa anche tra gli antichi: cf. Vittorino (PL Suppl. 1,14 3 .
144), Girolamo (ibid. 143) e Primasio (PL 68,79613). Tra i moderni cf. Ram-
say, Salguero, Morris, Barclay.
2Th. Mommsen, Le droit pénal romain in, Paris 1907 (Leipzig 1898) 290
n. 3. 295. - Nonostante abbia scritto nel xix secolo, questo autore resta il
più documentato in materia di diritto romano e sarà citato ripetutamente.
3 Ibid. in, 290-291. Mommsen aggiunge che, per essere distinto dagli schia
vi, appartenenti allo stato ad altro titolo, chi era damnatus ad metalla ve
niva chiamato servo o schiavo della pena (servus poenae).
4 Ibid. ni, 293-294.
85
La seconda e la terza possibilità erano la deportano in insu-
lam e la relegatio in insulam. In tutti e due i casi si trattava del
l’internamento o confino: in Sardegna, in Corsica, in un’isola
dell’Egeo o in qualche oasi dei deserti dell’Asia e dell’Africa.1
Tutte e due queste pene si infliggevano a coloro che apparte
nevano alle classi più alte e con disponibilità di risorse econo
miche perché il condannato non fosse a carico dello stato ma
potesse essere mantenuto attingendo ai suoi stessi averi.2 Le
due pene differivano in quanto la deportatio, in assenza di pre
cisazioni, era perpetua, comportava la perdita della cittadinan
za, la confisca del patrimonio e la pena capitale in caso di in
frazione del confino. La relegatio invece poteva essere anche
ad tempus, non modificava la capacità giuridica del condanna
to, non comportava la confisca dei beni, né la pena di morte
per il contravventore dei confino.3
86
Contro la deportati() e la relegatio sta il fatto che nessun te
sto deirantichità elenca Patmos tra le isole Egee che la magi
stratura d’epoca imperiale aveva selezionato come luoghi di pe
na, tra le quali, secondo le fonti antiche, figuravano per esem
pio le isole di Donousa, Kìnaros, Sèriphos, Gyàros.1 In secon
do luogo le due pene generalmente erano da scontare in luoghi
remoti dal luogo di residenza o di attività, e invece Giovanni,
chiaramente attivo in Asia,2 sarebbe stato al confino a neanche
50 miglia di navigazione da essa.3 In terzo luogo deportatio e
relegatio erano pene per persone di rango e di qualche ricchez
za e Giovanni difficilmente rispondeva a queste caratteristi
che.4 Di qualche peso a favore della relegatio è il fatto che essa
potesse essere comminata anche da autorità provinciali se esi-
87
steva un’isola adeguata allo scopo nella loro giurisdizione,1 e
dunque non era impossibile che essa potesse essere scontata
dal servuspoenae dentro i confini della provincia.2
Ma la discussione va impostata non a partire dalle pene pre
viste dal diritto romano in generale, bensì - come si vedrà - dal
la personale posizione giuridica in cui Giovanni si trovava per
le autorità che si dovettero occupare di lui.
88
sìe, quelle di Leros e Lepsia, Patmos era poi tra gli avamposti
fortificati (9poùpta) per la difesa della città dalla parte del ma
re.1 Popolato con cittadini di fedeltà provata nei confronti del
la madrepatria in base alle consuetudini di isopolitia,2 il phrou
rion di Patmos era particolarmente adatto ad essere luogo di
confino per persone indesiderate nell’ambito della città di M i
leto.3
Così, dopo aver fatto osservare che se Giovanni fosse stato
condannato dalle autorità provinciali sarebbe stato inviato alle
isole destinate allo scopo e non a Patmos, Saffrey giunge a ipo
tizzare che quella di Giovanni fu una questione interna al mu
nicipio di Mileto.4 Saffrey ha buon gioco nel constatare che
non si ha notizia di alcun altro confino a Patmos se non di
quello di Giovanni e nel confutare la diffusa ma inesatta infor
mazione secondo la quale sarebbe Plinio il Vecchio a indicare
in Patmos un’isola di confino.5 Infine, poiché l’esistenza di una
comunità cristiana a Mileto non sembra essere presupposta né
dal libro degli Atti, ne da 2 Tim. 4,20 e tanto meno dalla stes-
tivamente nel 1975, avevano già dato risposta alla importante domanda.
Anche E. Meyer, Patmos, KPauly iv, Mùnchen 1975, 549 di Patmos scri
ve: «apparteneva a Mileto».
1 II phrourion era una fortezza alle frontiere del territorio; cf. Saffrey, Re
lire, 386-391, e la bibliografia sui phrouria alla n. 7, di pp. 387-388. Saffrey
è in grado di fornire testi di documentazione per i phrouria di Leros e di
Lepsia, e non per quello di Patmos, come onestamente riconosce (p. 389).
Egli comunque propone di individuare il phrourion patmio nel luogo
chiamato oggi Kastellion/Castelli. I resti di mura ciclopiche e la colloca
zione strategica - sul Iato occidentale dell’istmo sul cui lato orientale si tro
va il porto di Skala - si prestano alPipotesi, ma non si ha alcuna documen
tazione né letteraria né epigrafica. Una descrizione sommaria di Kastellion
dal punto di vista archeologico si trova in Camps, Patmos, 79.
2 Tra i nuovi cittadini poteva essere phrourarchos solo chi godeva dei di
ritti civici da dieci o vent’anni; cf. Saffrey, Relire, 388-389.
3 Karrer,Johannesoffenbarung als Brief, 187 n. 213, in questo approva Saf
frey scrivendo: «L’isola di Patmos era adatta come luogo di confino, es
sendo un presidio militare di difesa». 4 Saffrey, Relire, 398 n. 48.
5 Plinio si limita a dare il perimetro dell’isola scrivendo: Patmus circuitu
X X X (Nat. hist. 4,69). - Circa l’inesattezza su Plinio, Saffrey, Relire, 391
n. 2j, cita solo Charles (1, 21. 22) e Schutz, ma la lista di coloro che invo
cano a torto l’autorità di Plinio il Vecchio per Patmos come luogo di pena
è lunga: cf. per esempio Bousset, Swete, Beckwith, Frings, Lohmeyer, Ge-
lin, Wikenhauser, Sanders, Salguero, Kraft, Carroll.
89
sa Apoc., Saffrcy fa l’ipotesi che Giovanni abbia provocato il
provvedimento milesio nei suoi confronti allorché, volendo dif
fondere l’annuncio cristiano a Mileto, venne probabilmente a
scontrarsi con la Sinagoga locale.1
Saffrey ha il merito di far luce sulla vita civica, culturale e re
ligiosa di Patmos c sul suo possibile collegamento con Mileto
anziché con Efeso, e ha il merito di porre il problema del con
fino di Giovanni in termini municipali ovviando all’obiezione
che Patmos non figura negli elenchi delle isole di confino. Saf
frey manca però di discutere la situazione giuridica di Giovan
ni di fronte alle autorità municipali o provinciali.
6. Le autorità municipali
e il vagus Giovanni
Quanto a Giovanni, non solo è ben diffìcile ipotizzare che co
me Paolo godesse della cittadinanza romana,2 ma anche che fos
se a qualche titolo considerato dai municipi di Efeso o di Mile
to come loro cittadino (cives, πολίτης).3 Non è impossibile in
fatti che Giovanni fosse originario della Palestina come fanno
pensare la sua conoscenza dell’ebraico (cf. 9 ,11 e 16,16) e tutto
il suo bagaglio culturale4 e che dunque fosse un peregrìnus, o,
meglio ancora, un vagus. i\ peregrìnus era uno straniero in suo
lo romano5 che avrebbe dovuto eventualmente comparire non
1 Saffrey, Relire, 390-391.
2 Tanto meno si può ipotizzare che Giovanni fosse un cittadino romano
di alto rango, soggetto, come si è visto, a relegaiio o deportatio, più che alla
damnatio ad metalla.
3 Giovanni non era per esempio nemmeno un liberto né un barbaro assol
dato come mercenario nell’esercito, i rapporti coi quali erano basati su un
qualche genere di contratto; cf. Mommsen, Droit 1,144-145.
4 R.K. Mac Kenzie, The A uthor o f thè Apocalypse. A Review o f thè Pre-
vailing Hypothesis o f Jewish-Christian Authorship, Lewinston 1997, è in
vece convinto che l’autore di Apoc. abbia origini e cultura ellenistica.
5 Secondo Ae. Porcellini, Thesaurus tolius Latinitatis, Padova 1940 (11771)
ad v., peregrìnus o hospes (ξενικός, εξωτικός), è «quicumque extra patriam
et provinciam suam versatur». Peregrìnus è dunque l’opposto di cives (Ci
cerone, In Verr. 2,4.77; Quintiliano 5,10.26), così che redigere in peregri-
nitatem (Svetonio, Claud. 16,2) o peregrìnus fieri (Gaio 1,90) significa «pri
vare o essere privato di cittadinanza (romana)» e peregrinor significa «es
sere trattato come straniero» (Cicerone, De fin. 3,400).
90
davanti a un comune magistrato, bensì davanti al praetor pere
g rin a , per rispondere del proprio operato in base alle leggi del
suo paese d’origine.1 Un vagus o vagabundus invece era senza
patria e, in tal modo, un senza-legge, anche se non automatica
mente un fuori-legge.2 Di fatto, D. Aune e A. Yarbro Collins,
per esempio, parlano di Giovanni come di un profeta itineran
te,3 lasciando capire che poteva trattarsi di una persona civica
mente non integrata.
Quanto al regime giuridico vigente nell’Asia proconsolare,
poi, da un lato i municipi greci non erano soggetti al diritto ro
mano, e dall’altro non esisteva un diritto unificato per la metà
greca delPimpero, così che ogni circoscrizione giuridica era au
tonoma e si regolava secondo le consuetudini in base al princi
pio del suis legibus uti.4 Anche per questo è difficile immagi
nare in base a quali norme le autorità municipali di Mileto, o
quelle di Efeso o di Pergamo,5 potrebbero avere regolato il ca
so di Giovanni. Si può così applicare alla vicenda di Giovanni
ciò che G. Camps scrive dei non-romani in genere: «Se aveva
no a che fare con dei non-romani, le autorità provinciali pote
vano agire in modo molto arbitrario». O quanto Th. Momm-
1 Cf. D. Mcdicus, Peregrmus, KPauly iv, Miinchen 1975, 624, che scrive:
«Di norma il peregrmus è soggetto all’ordinamento giuridico del suo pae
se, non a quello romano».
2 In greco άπολις, άπολίτης (cf. Erodoto 7,104; 8,61) ο πλάνης (cf. Isocra
te, ,4 egw. 6,2), πλανήτης, πλανητός (Platone, Resp. }yid ; Tim. i$e). Gli
scrittori romani parlano di gentes vagae, praedatores vagì (Livio, Per. 63,
7; 103,16; Ab Urbe cond. 7,39.11), c di latrones evagantes (Scriptores Hi-
storiae Augustae, Gali, duo 4,9.4). Cicerone abbina vagus a exsul in Clu-
ent. 175. 1 (1cum vagus et exsul erraret, atque undique exclusus, Oppia-
nicus etc.). - Ch. Du Cange, Glossarium mediae Latinitatis, Graz 1934
(11883-1887) adv., scrive: «Vagabundus est qui non habet domicilium, sed
hodie hic et cras alibi».
3 D. Aune, The social Matrix ofthe Apocalypse o f John·. BR 26 (1981) 18-
19. 29, e Yarbro Collins, Crisis, 46.
4 Cf. la trattazione in Mommsen, Droit 1,134 -14 1. Alla p. 136 n. 2, Momm-
sen cita Dione 63^14, secondo il quale, durante il suo soggiorno in Grecia,
Nerone non volle andare a Sparta perché le leggi di Licurgo - che dunque
erano ancora in vigore - contrastavano con i suoi principi.
5 Nella ricostruzione di Saffrey non è del tutto soddisfacente il collega
mento di Giovanni con Mileto perché la città non è mai menzionata in
Apoc. Di per sé un allontanamento forzato da Efeso o da Pergamo si con-
cilierebbe meglio con l’interesse di Apoc. per quelle città.
91
sen scrive a proposito del caso di turbativa religiosa nelle città
greche: «Si può fare l’ipotesi che, per i delitti di religione, i di
ritti locali o i costumi giuridici dei paesi greci e orientali siano
stati in rapporto con il potente fanatismo che vi regnava e che
abbiano oltrepassato di molto la moderazione del diritto del
l’impero».1
In conclusione, con la tradizione antica e la maggioranza dei
moderni si può ritenere che a Patmos Giovanni fosse al confi
no per qualche ragione collegata con l’annuncio cristiano (i,
9c), anche se molte delle circostanze concrete del suo interna
mento sfuggono ad ulteriori messe a fuoco.
92
martirio di sangue. Giovanni sembra dunque parlare di perse
cuzione per tre delle sette chiese asiatiche: di due al passato
(Pergamo, Filadelfia) c di una (Smirne) per un futuro imminen
te e prevedibile, ovviamente in base alla presente, esplosiva si
tuazione.
93
3 · Il grido dei «martiri» in Apoc. 6,9-10
94
I II. L E A U T O RIT À CO IN VO LTE
E l ’ e p o c a D EL LA PE R SEC U ZIO N E
95
tico, un ruolo determinante prima nell’awcrtire e poi nel con
figurare agli occhi delle chiese d’Asia come persecuzione san
guinaria quella che era solo una diffusa crisi di rapporto con
l’ambiente.1 La seconda è la riabilitazione dell’imperatore D o
miziano che va sollevato sia dalle accuse di crudeltà montate
contro di lui dagli storici di corte del suo successore e rivale
Traiano, sia da quella di Eusebio di Cesarea che ha fatto del
terzo imperatore Flavio un persecutore di cristiani senza che
egli lo sia stato.2
Questi commentatori dicono senza dubbio cose interessanti
sulla psicologia di Giovanni di Patmos e sugli scrittori di corte
di epoca traianea, ma si può dubitare sulla reale precedente
mancanza di consapevolezza circa la persecuzione da parte de
gli interlocutori di Giovanni. Il testo di 6,9-10 infatti dice co
me Giovanni risponda a una precisa, preesistente crisi di teodi
cea. In altre parole Giovanni ha trovato diffusa nelle sette chie
se, e non ha affatto prestato ad esse, l’obiezione sul silenzio di
Dio di fronte al persecutore. Se la persecuzione era oggetto di
comune consapevolezza, la reazione era però differenziata:
c’era chi da una parte chiedeva un intervento pronto di Dio
contro i persecutori, come esigeva la sua natura di Sovrano
giusto e verace e, dall’altra, c’era Giovanni che parlava di testi
monianza fedele anche nella bufera.
2. Intolleranza popolare
e iniziativa delle autorità
Quanto alla provenienza delle ostilità anticristiane in Asia si
possono fare solo ipotesi. Per il tempo di Paolo, e dunque già
96
per gli armi jo, l’autore degli Atti degli Apostoli ambienta ad
Efeso il tumulto popolare nato dalla protesta degli argentieri
che prosperavano all’ombra dell’Artemision.1 Luca definisce
«non piccolo» quel tumulto (Atti 19,23), vi vede una possibile
occasione di commettere qualcosa di inconsulto e di irreparabi
le (v. 36) e giuridicamente giunge a configurarlo come στάσις
(sommossa, v. 40) passibile di citazione di fronte al tribunale
proconsolare (v. 38). Luca poi attribuisce alla folla il sequestro
di Gaio e Aristarco (v. 29), mentre il consiglio giunto a Paolo
dagli asiarchi di tenersi lontano dal luogo di assembramento (v.
31) comporta che Paolo corresse pericolo fisico. Per i lettori di
Luca era dunque credibile il racconto di un tumulto popolare
in cui i cristiani erano esposti a violenze fisiche e anche al ri
schio della vita. E questo potrebbe essere il quadro entro il qua
le immaginare l’uccisione di Antipa a Pergamo.2
Se per la morte di Antipa può essere fatta l’ipotesi di un lin
ciaggio popolare, bisogna invece chiamare in causa qualche au
torità per il carcere di cui si parla in 2,10 per Smirne. Ma ci si
deve chiedere di quali autorità potesse trattarsi.
1 Sui risvolti giuridici dell’episodio cf. R.F. Stoops, Riot and Assembly. The
Social Context o f Acts 19,23-41: JB L 108 (1989) 73-91; R. Selinger, D ieD e-
metriosunruhen (Apg 19,23-40). Eine Fallstudie aus recbtshislorischer Per-
spektive: ZNW 88 (1997) 249-259.
2 Così pensano Hadorn, I.ohse, Schusslcr Fiorenza, Beasley-Murray,
Thompson. - Ritengono il martirio di Antipa dovuto invece alle autorità
romane e legato al problema del culto imperiale per esempio Allo, Salgue-
ro, Morris, Klauck. Per Ramsay, Swete e Briitsch, Antipa potrebbe essere
stato un predicatore itinerante - non dunque necessariamente un cittadino
pergameno - portato davanti al tribunale provinciale di Pergamo da qual
cuno dei paesi attorno. Per Kraft, Offenbarung, 65, infine, (*άρτος potreb
be significare «testimone della resurrezione»; Antipa potrebbe essere uno
dei 500 fratelli di / Cor. 15; potrebbe essere morto di spada e, quindi, do
vrebbe essere stato un personaggio altolocato; e, infine, dovrebbe essere sta
to martirizzato al tempo di Traiano. Le speculazioni a catena di Kraft sono
a ragione giudicate non convincenti da Klauck, Sendschreiben, 164 n. 45.
97
da una parte, e di quella domizianea dall’altra. Il punto del
contendere è se Domiziano abbia o no perseguitato i cristiani.
Se Domiziano è stato un persecutore, allora la datazione do
mizianea di Ireneo diventa credibile.1 Se invece Domiziano non
è stato persecutore, la composizione di Apoc., che appunto par
la di una persecuzione recente, va ambientata piuttosto nel 69
d.C., l’anno turbolento che seguì il suicidio di Nerone.
La discussione, però, non deve essere posta in questi termi
ni. Le fonti antiche o gli eventi storici non sempre sono equi
parabili perché non sono sempre della stessa natura. Per quan
to ci riguarda, per esempio, altro è un episodio di intolleranza
popolare come quello di Atti 19, altro sono un processo e una
esecuzione capitale messi in atto in nome della legge. In secon
do luogo, quanto ai processi, quelli condotti dalle magistrature
locali sono altra cosa da quelli celebrati da un proconsole im
periale come Plinio (Ep. 10,96). Quanto ad Apoc., di certo vi si
trovano informazioni omogenee a quelle delle fonti su Nerone
e di Plinio, ma si trovano nei testi di Babilonia ebbra del san
gue dei martiri, proprio perché parlano di persecuzione extra
asiatica. Il discorso che si deve fare per l’Asia è però un altro,
anzitutto perché come si e detto le città si autoamministravano
in base alle proprie antiche consuetudini giuridiche, e poi per
ché i romani impegnavano le loro forze d’ordine nelle zone
calde dell’impero mentre nelle province più tranquille - come
quella d’Asia che, significativamente, era provincia senatoriale
- lasciavano il mantenimento dell’ordine pubblico alla polizia
e ai tribunali del luogo, soprattutto dei singoli municipi.2
1 Ireneo, Haer. 5,30,3 (e Eusebio, Hist. eccl. 3,18,1). Ireneo fu seguito da
Ippolito, Origene, Vittorino, Eusebio, Girolamo. - Comunque, una con
ferma circa le iniziative anticristiane delle autorità imperiali di quel tempo
viene dalla lettera di Plinio il Giovane all’imperatore Traiano che fa riferi
mento a quanto era accaduto vent’anni addietro (ante uiginti: Ep. 10,96,6).
2 Cf. per esempio A.N. Sherwin-White, Roman Society and Roman Law
in thè New Testament, Oxford 1963, 98: «Solo i governatori di province
di frontiera avevano a disposizione consistenti forze militari. I proconsoli
e i legati delle province più tranquille avevano poche unità, se pur ne ave
vano»; Bell, Date, 101: «Pensare che i romani potessero imprigionare i cri
stiani significa presumere che avessero soldati o forze di polizia per farlo.
Non c’erano truppe romane stanziate in Asia, che era una provincia sena
toriale... Se si fa eccezione per le grandi metropoli dell’impero o per seri
problemi sociali come il banditismo, i romani lasciavano il normale man-
98
Al tempo in cui Apoc. è stata scritta, perciò, le autorità re
sponsabili per le misure anticristiane in Asia Minore probabil
mente non erano le autorità romane ma quelle municipali. In
altre parole, si deve affermare qui qualcosa di analogo a quan
to si e detto a proposito del provvedimento di confino di cui
fu vittima Giovanni. Come in quel caso le informazioni delle
fonti antiche sulla deportatio o sulla relegatio in insulam non
necessariamente spiegavano la presenza di Giovanni a Patmos
perché Giovanni non era un cittadino romano di classe medio
alta ma un vagus, così le difficoltà sperimentate a livello muni
cipale dalle chiese di Pergamo, Tiatira e Smirne ecc. non sono da
mettere in relazione con procedure come quelle attuate in Biti-
nia da quell’alto funzionario imperiale che era Plinio.
Se così è, allora è fatica sprecata cercare di giustificare i testi
di Apoc. che parlano di versamento di sangue cristiano ricorren
do aWeffugium della persecuzione non reale ma «percepita». La
persecuzione era reale e va affermata in ogni caso (come esige
il testo di Apoc.) anche se Domiziano non è stato persecutore
di cristiani. In secondo luogo, la datazione domizianea di Apoc.
fornita da Ireneo non è di per sé affatto impossibile, la si può
anzi ritenere più probabile di quella neroniana e di quella
traianea (cf. il capitolo precedente) ma, per correttezza meto
dologica, non può essere affermata a partire dai testi che in
Apoc. parlano di persecuzione. La ragione fondamentale è che,
in fondo, l'Apocalisse riflette il modesto mondo di piccole co
munità cristiane di provincia, nonostante le sue immagini miti
che e nonostante il suo gigantismo.
Comunque sia, anche se cioè parla del provvedimento di
confino nei confronti di un profeta del tutto sconosciuto negli
ambienti imperiali e anche se parla della sofferenza di piccole
comunità e dell’azione ostile di magistrati locali, l’Apocalisse
resta pur sempre un libro di martirio e di invito al martirio.
Non per nulla J. Schmid, M. Dibelius ed E. Lohmeyer defini
scono Apoc. «un appello al martirio», «un vero e proprio manua-
99
le per il martirio della chiesa» e, rispettivamente, «un libro per
martiri scritto da un martire».1
i J. Schmid, Zur Textkritik der Apokalypse: ZNW 43 (1950-51) 119 («Auf-
forderung zum Martyrium»); Dibelius, Rom, 218 («das eigentliche Màrty-
rcrbuch der Kirche»); Lohmeyer, Offenbarung, 198 («das Buch eines Màr-
tyrers fiir Màrtyrer»), Cf. poi Zahn, Offenbarung 1, 1-4, che scrive: «Da
nessun altro libro biblico come da Apoc. i cristiani hanno attinto sostegno
nelle sofferenze della persecuzione e coraggio per confessare la loro fede
con la parola e con il sangue». - Nell’antichità Apoc. è stata subito il mani
festo del martirio cristiano. È infatti con le sue parole che le passiones
martyrum narrano la vicenda di chi patisce e muore per la fede. Così, il
martire va dove il Cristo lo conduce (Apoc. 14,4; cf. la lettera delle chiese
di Lione e di Vienne, in Eusebio, Hist. eccl. 5,1,10, ma cf. anche 5,1,58); i
cristiani perseguitati sono le stelle del cielo travolte dalla coda del Drago
(Apoc. 12,3-4; cf. Mari. Pionii 12,3); e il «confessore» non accetta il titolo
di martire per lasciarlo al solo Cristo, [·!.àpTuc fedele (Apoc. 1,5 c 3,14; cf.
Eusebio, ibid. 5,1,58). Il martire poi è colui che persevera nella giustizia
mentre il persecutore persevera nell’empietà (Apoc. 22,11; cf. Eusebio,
ibid. 5,2,3) e, ancora, l’apostata diviene preda della «Bestia» (Apoc. 13,1 ss.;
cf. Eusebio, ibid. 5,2,6), mentre il martire è portato davanti al trono di Dio
e davanti ai Vegliardi per udire il canto incessante del trisagion, come Gio-
vanni in Apoc. 4 (Passio Perp. 12,1-4).
Parte seconda
Linguaggio
Capitolo 5
103
I. SIN G O LA R IT À D E L LE IM M A G IN I G IO VAN N EE
i. I canti di descrizione
Quando introduce nella vicenda un nuovo protagonista o quan
do ripropone un personaggio in una fase nuova di essa, G io
vanni descrive al lettore quel personaggio con una sorpren
dente ricchezza di dettagli soprattutto anatomici. Succede al
lora come se una telecamera indugiasse a riprendere una per
sona o un animale, dettaglio per dettaglio. Detto in termini di
generi letterari, il risultato sono «canti di descrizione» (Be-
schreibungslieder).'
Il primo e più ampio dei canti di descrizione è quello del «Si
mile a Figlio d’uomo» (1,12-16). L ’ordine secondo cui i vari ele
menti vengono passati in rassegna sembra essere quello per cui
l’occhio del veggente coglie dapprima tutta la persona (veste
lunga fino ai piedi, con cintura d’oro, v. i3b), poi la sua parte
superiore (testa, con i capelli c gli occhi, v. 14), poi quella infe
riore (i piedi, v. 1 $a), e infine gli elementi centrali (voce, v. 1 jb;
destra che regge sette stelle, v. i6a; spada che esce dalla bocca,
v. i6b), per arrestarsi infine sul volto splendente come il sole (v.
i6c). I sette elementi della visione sono da decodificare uno al
la volta. La descrizione, insomma, non mette davanti ad una fo
tografia ma a un dipinto divisionista la cui frammentarietà cro
matica disturba l’occhio di chi lo contempla troppo da vicino
e la cui armonia e ricchezza si colgono invece stando a giusta
distanza. In secondo luogo, i dettagli descrittivi di per sé potreb
bero essere di numero maggiore, perché all’autore importava
non comporne un elenco completo ma suscitare un’impressio
ne - l’impressione di severità e gloria - , e di mettere i lettori al
la presenza di Uno che e partecipe d d l’eternità, dello splendo
re c del giudizio di Dio, e che ispira venerazione e timore.
IO4
Altri canti di descrizione presentano i Ventiquattro Vegliar
di e i Quattro Viventi (4,4 e 4,6-8), l’Agnello (5,6), i cavalli e
cavalieri dei primi quattro sigilli (6,1-8), e poi - con numerosi
dettagli - le cavallette della quinta tromba (9,7-10), la cavalle
ria infernale della sesta tromba (9,15-19), l’angelo forte di Apoc.
10 che porge a Giovanni il piccolo rotolo (w . 1-2), la Donna e
rispettivamente il Drago che insidia il suo nascituro (12 ,1-2 e
12,3-4), la Bestia che sale dal mare (13 ,1-3 , cf. anche 17,3) e la
Bestia che sale dalla terra (13 ,11) , la Grande Prostituta (17,4-6)
e, infine, il Cavaliere vittorioso, o Logos di Dio, con i suoi eser
citi (19 ,11-16 ). Uno studio particolareggiato di queste descri
zioni non e qui necessario, ma si possono fare al riguardo tre
osservazioni.
La prima riguarda la grande varietà dei soggetti descritti,
chc vanno dal Cristo ai demoni, da adoratori celesti alla Gran
de Prostituta, e così via. Quello della descrizione a frammenti
è dunque uno strumento duttile per mettere in scena qualsia
si protagonista, maggiore o minore, umano o animale, positivo
o negativo. La seconda osservazione riguarda lo scopo: lo sco
po dei Beschreibungslieder e quello di dire l’identità interiore e
la fisionomia morale dei personaggi attraverso la descrizione
dell’aspetto esteriore, perché - si potrebbe dire - non c’è nulla
di esteriore che non sia anche interiore. Il terzo rilievo riguar
da il diverso aiuto che Giovanni fornisce per l’interpretazione
e identificazione dei suoi personaggi. Dell’angelo di 10,1 ss.
l’identità è detta in termini espliciti: è appunto un angelo che
funge da messaggero di Dio. L ’immagine del Drago va invece
interpretata e tradotta in termini diversi da quelli della zoolo
gia mitica, ed è Giovanni stesso a dire che esso è il Serpente an
tico, il Diavolo o Satana (12,9; cf. anche 20,2). Quanto alla
Grande Prostituta e alla Bestia-dalla-terra, invece, vengono in
aiuto del lettore didascalie come quella secondo cui la prosti
tuta è Babilonia, la città dominatrice sui re della terra (17,5.18),
o informazioni come quella per cui la seconda Bestia è il falso-
Profeta (16,13). Ma Giovanni poi non dice quale città intenda
con «Babilonia» e quale concreto preteso profeta intenda con
«pseudoprofeta». Altre volte Giovanni non dà aiuto di sorta
all’interprete delle sue immagini. Per esempio, avendo presen
tato la Bestia-dal-mare come estremamente pericolosa nel can
105
to di 13 ,1 ss., lascia poi l’interprete a se stesso nel calcolo del mi
steriosissimo numero del suo nome (13,18) che deve permet
terne l’identificazione. Il lettore dei canti descrittivi si trova
dunque di fronte a tre diversi livelli di difficoltà, a volte dispo
nendo e a volte non disponendo, di aiuto.
106
Anche qui però la discontinuità nei dettagli è piuttosto da
spiegare con la metamorfosi. Lo si può arguire dal parallelismo
con il «dodici» delle porte e dei fondamenti della Gerusalem
me di Apoc. 2 1 .1 Apoc. 7 impiega infatti il linguaggio delle do
dici tribù come 2 1,12 -13 a proposito delle porte, e Apoc. 14 met
te i 144000 in relazione con l’Agnello così come 2 1,14 fa con i
dodici fondamenti sui quali sono i dodici nomi dei dodici apo
stoli dell’Agnello. Da un lato Apoc. 14 è dunque in continuità
con Apoc. 7 e, dall’altro, agglutina metamorficamente elementi
nuovi, il più importante dei quali è il rapporto con l’Agnello.
Una metamorfosi tanto drastica da essere quasi irricono
scibile è quella dell’ira di Dio di 7,1-3 in relazione ai flagelli
delle trombe. Prcannunciata in 6,17 («è giunto il giorno grande
della loro ira [di Dio e dell’Agnello], e chi potrà resistere?»),2
l’ira di Dio consisterà nello scatenarsi dei quattro venti secon
do 7,1-3. Prima che questo accada, però, deve essere impresso
il sigillo del Dio vivente sulla fronte dei servi di Dio perché
siano protetti e preservati appunto dall’ira (w . 2-3). Quel con
trassegno è di nuovo ricordato in 9,4 dove il flagello delle ca
vallette dovrà colpire soltanto coloro che non hanno il sigillo di
Dio sulla fronte.3 Questo comporta che lo scatenarsi dei venti
Bruges 1963, 28. 50; Id., Les 144000 Israélites marqués d ’un sceau: N T 9
(1967) 19 1- 2 2 4 .- I 144000 di Apoc. 7 non sono da identificare con i 144000
di Apoc. 14 neanche per Bousset, Offenbarung, 380; Allo, Apocalypse, 92-
93.197; H.-M. Féret, UApocalypse de Saint Jean. Vision chrétienne de l ’his-
toire, Paris 1946, 244. 1 due gruppi, invece, si identificano per esempio, per
Charles, Schlatter, Lohmeyer, Bover, Boismard, Cerfaux-Cambier, Wiken-
hauser, Kraft, Bòcher, Lambrecht, Vògtle, Roloff, Yarbro Collins, U.B.
Miiller, Kretschmar, Caird, Ulfgard, Bauckham, Harrington, e per ITa-
dorn, Offenbarung, 149, che scrive: «Nessun lettore potrebbe dubitare che
Giovanni parli degli stessi 144000 ai quali è stata segnata la fronte con il
sigillo in 7,4».
1 Già gli antichi, per esempio Primasio (PL 68, 842C) e Ambrosio Autper-
to (f 784; CChr CM 27, 298,7-10), collegano il 144000 di Apoc. 7 e di
Apoc. 14 al dodici c al 144000 della Gerusalemme escatologica.
2 In 6,12-17 gli sconvolgimenti cosmici non sono il dispiegarsi dell’ira ma
solo il suo preannuncio, cf. Biguzzi, Settenari, 135-136.
3 Non si può infatti non mettere 9,4 («di non danneggiare... se non gli uo
mini che non avessero il sigillo di Dio sulla fronte») in relazione con 7,3
(«finché non avremo impresso il sigillo del nostro Dio sulla fronte dei
suoi servi»). È grazie a quel prezioso versetto che siamo certi di dover
mettere in relazione i flagelli delle trombe con l’ira di Dio, annunciata
107
in 7,1-3 e la serie dei flagelli del settenario delle trombe di 8,6
ss. (fuoco contro la terra della prima tromba, acqua cambiata in
sangue della seconda e terza trom ba,... le cavallette della quin
ta tromba ecc.) sono la stessa e medesima ira di Dio, presentata
da Giovanni «in metamorfosi».
U n altro esempio può essere quello di 1 1 ,1 dove a Giovanni
viene ingiunto di misurare non solo il santuario (comando del
tutto logico), ma anche l’altare (comando già più sfuggente,
per l’innesco della metamorfosi), e infine gli adoratori, a pro
posito dei quali la canna mensoria e l’imperativo μέτρησον so
no oramai del tutto fuori logica per il rapido esasperarsi della
metamorfosi.
U n’ulteriore metamorfosi va messa in conto tra Apoc. 17 e
Apoc. 19. In Apoc. 17 si preannuncia infatti la battaglia vitto
riosa dell’Agnello contro la coalizione guidata dalla Bestia («co
storo combatteranno contro l’Agnello ma l’Agnello li vince
rà», v. 14), mentre in Apoc. 19 si dice che a vincere la Bestia e i
suoi eserciti è il Cavaliere che monta il cavallo bianco («E vidi
la Bestia e i re della terra e i loro eserciti radunati per dar bat
taglia contro Colui che cavalca il cavallo [bianco] e contro i suoi
eserciti, e la Bestia fu catturata ecc.» vv. 19-20). Se Riccardo di
San Vittore diceva che Apoc. 5 annuncia un leone e poi mostra
un agnello,1 qui si può dire che Apoc. 17 annuncia un agnello e
Apoc. 19 mostra un cavaliere. Secondo Z.C . Hodges c’c conti
nuità (e metamorfosi) anche tra il cavaliere su cavallo bianco di
6,2 e questo cavaliere su cavallo bianco di Apoc. 19,2 quantun-
dagli sconvolgimenti cosmici del primo quadro del sesto sigillo (6,17) e
ripresentata poi sotto l’immagine in metamorfosi dei quattro venti (7,1-3).
! Il contesto più ampio in cui Riccardo di San Vittore (f 1137) lucidamen
te ed elegantemente, commenta la metamorfosi cristologica di 5,5-6 dice:
Superius posuit promissionem, hic subiungit promissionis exhibilionem.
Nam leonem audivit in promissione, agnum videt in exhibitione. Magna
est enim differentia inter leonem et agnum. Leo est magnus, agnus estpar-
vus. Sed, si utrumque consideramus, utrumque Redemptorem nostrum
comprobamus. Ipse est enim leo magnus per divinitatem, agnus per huma-
nitatem. Leo per potentiam maiestatis, agnus per mansuetudinem. Leo ma-
los puniendo, agnus bonos redimendo. Leo fortitudine, agnus pietate. Leo
in promissione ut spes infirma se roboret, agnus in exhibitione ne pavida
conscientia formidaret (PL 196,7560).
2 Identificano i due cavalieri per esempio Allo, Apocalypse, 73. 78-85; J.S.
Considine, The Rider on thè White Horse. Apocalypse 6:1-8: CBQ 6 (1944)
108
que tra l’uno e l’altro ci siano due notevoli variazioni. Il primo
è armato di arco e reca sulla testa una corona, mentre il secon
do è armato di spada e reca sulla testa un numero non precisa
to di diademi. Per Hodges la successione di arco (e cioè dell’ar
ma per combattere da lontano) e di spada (e cioè dell’arma per
combattere corpo a corpo) esprimerebbe l’avvicinarsi tra i due
combattenti per il confronto all’arma bianca, mentre la corona
in Apoc. 6 e i diademi in Apoc. 19 esprimerebbero la vittoria in
prospettiva (victory in prospect) e il conseguimento della vitto
ria (victory realized).’
Quanto alla funzione ermeneutica della metamorfosi gio
vannea, essa aiuta a cogliere la complessità degli eventi, e l’evo
luzione e il progredire della storia verso la meta intesa da Dio.
109
E ancora, l’angelo ostensore promette a Giovanni di mo
strargli la Grande Prostituta che siede su molte acque (v. i),
ma poi Giovanni vede la donna seduta su di una Bestia scarlat
ta (v. 3). Ancora più sorprendentemente, al di fuori di ogni co
erenza, l’angelo nel v. 15 farà poi riferimento alle acque vedute
da Giovanni (in realtà now-vedute): «Quanto alle acque che
hai vedute (τα υδατα ά είδες), su cui la Prostituta siede ecc.»).
N on basta, perché oltre alle acque e alla Bestia scarlatta, il v. 9
parla di un ulteriore sgabello, aggiungendo che la Grande Pro
stituta siede su sette monti. Qualcosa di analogo si incontra in
Apoc. 21 dove è preannunciata la misurazione della città, delle
sue porte e delle sue mura (v. 15), ma dove poi vengono misu
rate soltanto la città e le mura (w . i6b; i7a) e non le porte, an
che se i fondamenti e le porte vengono descritti nei dettagli
(w . 19-20 e 21).
Gli interpreti fanno notare poi che, se il «Simile a Figlio
d’uomo» regge nella destra le sette stelle («e aveva nella mano
destra sette stelle», 1,16), non dovrebbe essere in grado di met
tere la destra su Giovanni come segno d’incoraggiamento («ed
egli pose la sua destra su di me dicendo...», 1,17), tanto più che
poco più tardi le stelle non sono state nel frattempo deposte,
essendo ancora nella sua mano («Queste cose dice colui che
regge le sette stelle nella sua destra ecc.», 2,1).
La stessa discontinuità si riscontra in ciò che accade agli ele
menti e ai fenomeni cosmici. Così in 8,7 il flagello della prima
tromba brucia tutta l’erba verde eppure, come se nulla fosse
stato detto e nulla fosse successo, secondo 9,4 «fu detto loro
[alle cavallette] di non danneggiare l’erba della terra ecc.». Allo
stesso modo, nonostante che il sole venga oscurato in 6,12 così
da diventare nero come il crine, il flagello della quarta tromba
ha modo di oscurare un terzo della sua luce (8,12). E come se
questo non fosse sufficiente, in 16,8 esso splende ancora così in
tensamente da ustionare gli uomini con la sua vampa infuoca
ta. La stessa sorte tocca alle stelle, alla luna, al cielo e al mare.
Le stelle, cadute a terra come fichi avvizziti quando il vento
scuote gli alberi (6,13), sono invece ancora nel cielo quando un
terzo della loro luce viene colpito dal flagello della quarta trom
ba (8,12) e quando vengono travolte dalla coda del Drago (12,
4). La luna, divenuta come sangue in 6,12, ha modo di perdere
no
un terzo della sua luce quando è colpita dal flagello della quar
ta tromba (8,12) e, nonostante tutto, è sotto i piedi della Don
na di Apoc. 12, presumibilmente nell’integrità della sua luce (12,
1). E ancora: il cielo, dopo che si è accartocciato come un roto
lo in 6,14, è anch’esso ancora nel firmamento in 8,13 quando,
dal suo zenit, l’aquila annuncia i tre «guai!», o in 11,6 quando
da esso la pioggia può essere fermata per l’eventuale volontà
dei Due Testimoni (11,6) o, ancora, quando in esso appaiono i
tre segni di 12,1.3 e 1 J?1 » ecc· E, infine, il mare diviene sangue
due volte: in 8,8 per un terzo delle sue acque quando viene col
pito dal flagello della seconda tromba, c in 16,3, presumibilmen
te in tutte le sue acque più che nei rimanenti due terzi, quando
viene colpito dal flagello della seconda coppa.
Le narrazioni e le informazioni di Giovanni sono dunque
narrazioni autarchiche, a sistema chiuso, che stranamente si
ignorano a vicenda. Con tutto questo Giovanni vuole forse di
re che l’occhio umano coglie solo la superficie contraddittoria
della storia e non è in grado invece di percepire le connessioni
profonde che tuttavia legano i suoi eventi.
2. Le lacune narrative
Giovanni lascia talvolta nel suo racconto delle lacune che il let
tore deve integrare, provocato con ciò ad una lettura attiva e
invitato a farsi complice della narrazione.
Per esempio, tra l’annuncio della «sigillazione» dei 144000
(7,3) e la proclamazione del loro numero (w . 4-8: con cinque
versetti e ben 78 parole!), la sigillazione stessa è semplicemen
te taciuta. Un altro esempio è nei versetti che parlano dei quat
tro angeli legati presso il grande fiume Eufrate (9,14 ss.). Quan
do l’angelo della sesta tromba comanda che siano rilasciati, il
suo comando c subito eseguito «così che [i quattro angeli] uc
cidano un terzo dell’umanità» (v. 1 jb). Ma poi non si aggiun
ge, come il contesto chiederebbe, che l’uccisione avviene inve
ce per l’evocazione della cavalleria di venti migliaia di migliaia
dei cavalieri del v. 16 (cf. v. 18), né è menzionata l’irruzione
dai suoi accampamenti di quella cavalleria. Il segmento man
cante dell’episodio, poi, è sostituito dall’ audizione del numero
dei cavalieri da parte di Giovanni (ήκουσα τον άρι$μόν αυτών,
v. i6b), esattamente come la sigillazione dei 144000 è .sostitui
ta dall’audizione del loro numero da parte di Giovanni in 7,4a
(·ηχούσα τον àpi־#;j.òv των !σφραγισμένων). In modo simile,
mentre 17,16 prcannunciava che la coalizione della Bestia e dei
dieci suoi corni avrebbe distrutto Babilonia («la distruggeran
no... e la inceneriranno col fuoco»), in Apoc. 18 Babilonia è
devastata e rimpianta senza che si faccia parola né della Bestia,
né dei suoi complici, né delle operazioni militari che hanno
messo fine alla metropoli.
Questi salti giovannei dall’annuncio al risultato che scaval
cano le operazioni intermedie, accelerano il ritmo della narra
zione, esprimendo ed ispirando il desiderio che il piano di Dio
giunga presto a compimento.
112
deserto per la visione di Babilonia e del suo giudizio (17,3), op
pure su di una montagna altissima per contemplare la discesa
da Dio della nuova Gerusalemme (21,10). Quando invece sem
bra esserci sovrabbondanza di soggetti e quando i rapporti vi
cendevoli tra quei soggetti non sono affatto chiari, Giovanni
lascia al lettore di cogliere l’unità degli eventi nel legame tra
cielo e terra, così che Michele e i suoi angeli sono intercambia
bili con combattenti terrestri, vittoriosi nel sangue del Cristo-
Agnello. In Apoc. dunque l’autobiografia e la comunione degli
spiriti sono più importanti della topografia e dell’identità per
sonale.
1 D. Aune, Revelalion 1-5 (WBC J2a), Dallas 1997, 221. 259, rimanda a 3,
3.17; 5,5; 6,4; 10,4.9; 20>45־-I2 ־I3> iz >l 4■ L ’hysteron-proteron presenta «una
successione di avvenimenti in cui viene collocato dapprima Io stadio finale
della successione medesima (che interessa particolarmente dal punto di vi
sta emozionale e quindi urge)»: così H. Lausberg, Elementi di retorica, Bo
logna 1969 (Munchen 1967,11949), § 413, il quale tra l’altro cita come esem
pio Virgilio: Moriamur, et in media arma marnasi (Aen. 2,353).
113
che hanno come soggetto grammaticale i re della terra (v. 9),
vengono due presenti e un ulteriore futuro, che hanno per sog
getto i mercanti di terra (v. 1 1 e v. 15). E vengono infine, sor
prendentemente, gli aoristi e gli imperfetti che hanno per sog
getto gli uomini di mare (v. 17 ss.). In tal modo il primo la
mento funebre è ambientato nel futuro (κλαύσουσιν, κόψονται,
v. 9), il secondo nel presente (κλαίουσιν, πεν$οΰσιν, v. x i; ma cf.
στήσονται, v. 15), e l’ultimo invece nel passato (έστησαν, εκρά-
ζον, εβαλον, εκραζον, νν. 17-19)· Ma è tutto il capitolo di Apoc.
18 che oscilla tra passato e futuro, per cui Babilonia è a volte
già divenuta dimora di ogni spirito immondo e maceria fu
mante (εγένετο κατοικητήριον κτλ., 18,2), e altre volte essa è
ancora in grado di dirsi regina (κάδημαι βασίλισσα κτλ., 18,2)
0 i flagelli e l’incendio devono ancora devastarla (ηξουσιν ai
πληγαί κτλ., v. 8), e il popolo di Dio è invitato a uscirne per
non farsi complice dei suoi peccati e per non restare esposto
agli stessi suoi flagelli (v. 4). Secondo 18,21, poi, Babilonia sarà
in futuro sprofondata (βληθήσεται) nel mare come una macina
da mulino che va subito a fondo, e tuttavia secondo 19,3 il fumo
del suo incendio già sale (άναβαίνει) per i secoli dei secoli.
Altrettanto illogica è infine la successione dei tempi verbali
nella narrazione dell’assalto finale del Drago e della sua defini
tiva sconfitta, dove a due futuri (λυ־$ήσεται, έξελευσεται, 20,7-
8) fanno seguito cinque aoristi (άνέβησαν, έκύκλευσαν, κατέβη,
κατέφαγεν, εβλή$η, νν. 9-ioa).1 La sequenza di tempi più sor
prendente è comunque quella di 10,7 il cui aoristo έτελέσθη è
tradotto con il futuro (consummabitur) perfino da Girolamo,
solitamente rigoroso, nella sua Volgata.2 La traduzione di qucl-
l’aoristo con un futuro è dovuta al fatto che, secondo 10,7, il
mistero di Dio si compì (έτελέσ$η, aoristo) allo squillo della set
tima tromba, la quale però squillerà soltanto più tardi, in 11,15 .
Con tutte queste anomalie nell’uso dei tempi verbali G io
1 Cf. anche in 6,12-17 il presente λέγοικπν che viene dopo sette aoristi; cf.
poi il κράζουσιν di 7,10 preceduto da un imperfetto e seguito da aoristi; cf.
il σύρει di 12,4 che si trova tra verbi al passato, e cf. in 14 ,11 i presenti άνα-
βαίνει e ουκ έχουσιν che concludono una serie di futuri.
2 Altre traduzioni sono: «should be finished» (KJV), «will be fulfilled»
(NJB, NRSV), «alors sera Paccomplissement» (TOB), «wird vollendet
sein» (ELB), «dann ist vollendet» (LUT).
114
vanni vuole probabilmente dire che i tempi di Dio sono diversi
dai nostri c che il futuro compimento della volontà di Dio è co
sì certo da poter essere espresso con i tempi greci del passato.1
115
tore disinformato, in realtà sono abbastanza trasparenti per chi
conosce il libro di Daniele, perché in Dn. 7,25 e 12,7 «tre tem
pi [= anni] e mezzo» segnano la durata della profanazione del
tempio di Gerusalemme ad opera di Antioco iv Epifane,1 che
durò dal giugno 168 a.C. al dicembre 165.
Un unico e medesimo tempo e dunque descritto da prospet
tive diverse e ogni segmento narrativo si fonde con gli altri con
tribuendo alla descrizione di un’unica vicenda. Succede qui co
me se il narratore si sentisse incapace di esprimersi in un solo
tentativo e come se di conseguenza raccontasse la vicenda suc
cessivamente da prospettive parziali che, composte «a spicchi
d’arancia»,2 danno la narrazione completa.3
e medesima epoca, non a due epoche contigue di uguale lunghezza: è du
rante il tempo in cui i gentili calpestano la città santa e nel tempo in cui la
bestia furoreggia (13,5; cf. 11,7), che i Due Testimoni esercitano la loro at
tività»; Prigent, Apocalypse, 72: «I numeri (12.60 giorni = quarantadue me
si = tre anni e mezzo) uniscono i capitoli da 1 1 a 13». Per il ciclo mensile
arrotondato a trenta giorni cf. Ireneo, Haer. 1,17,1. - Il commentatore che
per primo andò in cerca di sincronismi in Apoc. fu J. Mede nella sua Cla-
vis Apocalyptica (Cantabrigiae "1627,31649), cf. Biguzzi, Settenari, 88-91.
x Hadorn, Offenbarmg, 8, parla di «danielische Zahl».
2 S. Chialà, Libro delle parabole di Enoc. Testo e commento (SB 117), Bre
scia 1997, 78-79, rileva la stessa tecnica compositiva in 1 Hen.: «Le tre pa
rabole che costituiscono il corpus dell’opera hanno come contenuto uno
stesso messaggio. Passando tuttavia dalla prima parabola a quelle successi
ve si ha l’impressione che questo medesimo contenuto, ogni volta che vie
ne ridetto, si accresca e si precisi». A p. 80 lo stesso autore fa riferimento
anche al libro di Daniele e, purtroppo senza esemplificare, ad Apoc.
3 Cf. Biguzzi, Settenari, 245-246. - Il fenomeno non è sconosciuto a que
sto o a quel commentatore. Cf. P. Prigent, L ’étrange dans VApocalypse: une
catégorie théologique: LumVie 31 (1982) 57: «Non c’è prima il tempo dei
Due Testimoni, poi quello della fuga nel deserto, e infine quello del pote
re della bestia. Si tratta sempre della stessa epoca... Su questo tempo l’au-'
tore getta illuminazioni successive: dapprima si tratta della rischiosa voca
zione profetica (Apoc. 11), poi di quello nel quale satana è ridotto alla sua
azione terrestre (Apoc. 12), e infine di quello dell’impero (Apoc. 13)». Cf.
poi Schiissler Fiorenza, Visione, 51, che a proposito della composizione di
Apoc. in generale usa tre differenti immagini (lettura prismatica, sequenza
filmica da diverse angolature, variazione musicale dello stesso motivo me
lodico) per dire che Giovanni talvolta descrive lo stesso protagonista o lo
stesso evento successivamente da differenti prospettive. Cf. infine Bauck-
ham, Teologia, 35, dove l’autore parla di «prospettive complementari [circa
la caduta di Babilonia]», e p. 64, dove scrive: «L’Apocalisse fa entrare in
gioco immagini che non possono dire tutto in una volta sola».
116
Una dissezione in prospettive complementari è anche in 1 ,1,
dove Giovanni riesce a ricostruire nella sua completezza la ca
tena di trasmissione della «rivelazione» soltanto a costo di elen
carne i protagonisti a due riprese. In i,ia menziona la prima
sorgente della rivelazione (Dio), il mediatore princeps (Gesù),
e i destinatari (i servi suoi). Invece in i,ib , trascurando i due
punti estremi (Dio, i servi) e illustrando il segmento centrale
della catena rivelativa, quello dei mediatori, menziona Gesù,
l’angelo da lui inviato, e se stesso. Condensare tutto in una so
la elencazione sarebbe stato grammaticalmente pesante e con
cettualmente molto più debole e inespressivo: la divisione in
due serie complementari, invece, evidenzia sia la grande dignità
della rivelazione (i,ia ), sia la sua struttura profetica (i,ib ).
Un terzo caso di prospettive complementari è quello di 20,
1 1- 1 5 dove Giovanni scompone in due spicchi (w . 11- 1 2 , e v.
13) la scena del giudizio.1 Nel primo, dopo aver introdotto il
Sovrano (e cioè il giudice, v. 11), i morti (v. i2a) e i libri sia delle
opere che della vita (i libri dunque del giudizio e della ricom
pensa, v. i2b), Giovanni parla esplicitamente del giudizio dei
morti (καί έκρί$ησαν κτλ., v. i2c). Tre elementi, e cioè 1. l’au
torità cosmica del giudice («Colui dalla cui presenza fuggì la
terra e il cielo, per i quali poi non ci fu più posto», v. 1 ib), 2. l’ar
ticolo nell’espressione «i (τούς) morti», e 3. la totalità compor
tata dal binomio «i grandi e i piccoli», orientano a identificare
in quei morti l’universalità dei morti: tutti i morti del giudizio
finale. Ma nonostante tale universalità, il v. 13 prende a parlare
di altre due categorie di morti. Gli uni sono i morti che il mare
deteneva (v. 133), e quindi probabilmente i morti che non han
no avuto sepoltura; gli altri sono invece i morti che si trovava
no in Thanatos e Hades (v. i3b), i morti detenuti dunque nel
regno degli inferi. E anche per i morti di queste due categorie,
Giovanni dice che furono giudicati (καί έκρί-δησαν κτλ., v. 1 3c).
Di queste due narrazioni di giudizio, quella dei «morti
grandi e piccoli» e quella dei «morti del mare e degli inferi»,
non è possibile affermare che siano né distinte né cronologi-
117
camentc successive, perché non si sa dove collocare l’attesa del
giudizio per i morti «grandi e piccoli» se non proprio nel mare
o negli inferi. Se ne deve dunque concludere che anche qui G io
vanni scompone lo stesso evento in due spicchi: tra un prologo
in cui viene presentato il trono del giudice (v. n ) e l’epilogo in
cui si annuncia lo sprofondamento di Tbanatos nello stagno di
fuoco e zolfo (v. 14), un unico e medesimo giudizio viene de
scritto da due differenti prospettive, distinte tra loro per la loro
diversa universalità: l’universalità antropologica (i morti «pic
coli e grandi», v. 12), e l’universalità cosmica (i morti «del ma
re», i morti «degli inferi», v. 13).
6 .1 doppioni d'anticipazione
Giovanni talvolta mette in difficoltà i lettori e gli interpreti con
sorprendenti duplicati nei quali anticipa quanto dirà con ab
bondanza di particolari a tempo e luogo giusto.
Un primo doppione è quello delle due fughe della Donna
nel deserto, l’una segnalata subito dopo il parto (12,6), e l’altra
al momento in cui il Drago si dà a perseguitarla (v. 14) dopo che
è stato estromesso dal cielo e precipitato sulla terra. È ben vero
che E. Corsini risolve la sovrabbondanza narrativa del testo so
stenendo che si tratta di due distinte fughe. La prima sarebbe
«un’allegoria della caduta originale dell’umanità», mentre la
seconda sarebbe il compendio delFeconomia giudaica, o l’eso
do.1 Anche prescindendo dalle opzioni metodologiche,2 l’afr
fermazione di Corsini della duplice fuga non è esente da diffi
coltà. N ell’ipotesi di Corsini, infatti, il deserto sarebbe una vol
ta negativo (caduta originale) e una volta positivo (esodo), men
tre nel testo è palesemente sempre positivo. Non basta: l’assen
za di persecuzione nella prima fuga, invocata da Corsini per di
stinguerla dalla seconda,3 non ha nulla a che vedere né con l’im-
x Corsini, Apocalisse, 319; Id., La donna e il dragone nel capitolo 12 del
l ’Apocalisse: RicSB 6 (1994) 261. Nella monografia del 1994 Corsini ha con
servato ridentificazione della prima fuga con la caduta originale, mentre
ha collegato la seconda con l’esodo.
2 Intendere una fuga nel deserto come caduta d’origine è interpretare non
simbolicamente o tipologicamente ma allegoricamente. D ’altra parte lo
stesso Corsini ricorre con molta naturalezza al termine «allegoria».
3 Le due fughe si distinguono - dice Corsini - perché solo la seconda è col-
118
magine né con la realtà del peccato d’origine. A questa difficol
tà, si potrebbe aggiungere quella che riguarda i luoghi e gli iti
nerari: dopo avere raggiunto il deserto una prima volta, la D on
na fuggirebbe di nuovo nel deserto senz’essersi allontanata dal
deserto della prima fuga. Il fatto è che invece, se il Drago si lan
cia all’inseguimento del figlio della Donna là dove è portato in
salvo, di per sé la Donna non è da lui minacciata e non ha mo
tivo di fuggire. È nel v. 13 che la Donna deve cercare scampo,
perché è allora che il Drago si rivolge contro di lei con ostilità
(èSico^ev: «inseguì», «diede la caccia», «perseguitò»). Se dunque
' il v. 6 parla di una fuga della Donna quando il tempo di fuggire
non è venuto, allora, con la maggioranza dei commentatori, si
può vedere nel v. 6 una sorprendente (e inutile) anticipazione
del v. 14, dove la fuga è invece cronologicamente al suo posto.1
Un secondo doppione anticipativo è in 16,18-19 dove Babi-
legata con la persecuzione, non la prima: i 1260 giorni della prima fuga
costituirebbero la prima mezza settimana di anni di Dn. che appunto non
è tempo di pcrsccuzionc, mentre i tre tempi e mezzo della seconda fuga sa
rebbero la seconda mezza settimana di anni che è invece tempo di perse
cuzione (Dn. 9,27: «Egli stringerà una forte alleanza con molti per una set
timana e, nello spazio di una metà settimana... farà cessare il sacrificio e
l’offerta; sull’ala del tempio porrà l’abominio della desolazione ecc.»). La
somma dei due tempi darebbe come risultato la settimana dell’attesa mes
sianica.
1 Parlano di anticipazione o prolessi per esempio Bousset, Swcte, Allo,
Lohmeyer, Gelin, Bonsirven, Behm, Salguero, Bartina, Beasley-Murray,
Prigent, Roloff. Cf. per tutti L. Cerfaux, La vision de la fèmme et du dra-
gon de l ’Apocalypse en relation avec le Protévangile, in Recueìl Cerfaux in
(BETL 71), Leuven 1985, 247: «Il v. 6 non è che un’anticipazione dei w .
13-18 »׳. - Di quell’evidente doppione qualche altro autore fa invece un’im
probabile «necessità narrativa»: così Hadom, Offenbarung, 13 1: «Biso
gnava dire (es mufite gesagt werden) dove la comunità è dopo il rapimen
to del Messia»; U. B. Miiller, Offenbarung, 236: «Dal momento che vuole
introdurre un nuovo pensiero di fondo, l’autore si sente obbligato (genó-
tigt) a questa interruzione»; H. Gollinger, Das «Grofie Zeichen» von Apo-
kalypse 12 (SBM n ), Stuttgart 19 7 1,117 . 178-179: «Nel quadro dell’inter
pretazione globale la ripetizione si rivela piena di significato, se non pro
prio necessaria (notwendig)», «Poiché è Dio che governa la storia e non
Satana, la Donna deve (mufi) essere già nel deserto quando Satana è preci
pitato dal cielo. Nel suo contesto il v. 6 è dunque necessario (notwendig)
quanto lo è la più ampia narrazione della fuga e del soggiorno nel deserto
dei vv. 14-16. Il v. 6 non può essere eliminato quale insignificante doppio
ne dei w . 13-14, come vorrebbe Charles (1, 321) e con lui tutt’una serie di
altri interpreti».
II9
Ionia è distrutta da un terremoto senza precedenti che la squar
cia in tre parti. L ’effettiva sua distruzione però è annunciata più
tardi, in 17,16 («i dieci corni [della Bestia] e la Bestia la distrug
geranno»), ed è poi presupposta (più che descritta) in Apoc. 18,
come risultato di un grande incendio (non di un terremoto).
Allo stesso modo, la discesa dal cielo della Gerusalemme nuo
va di 21,2 anticipa inutilmente quella di 21,10 . La classica via
per spiegare questo ulteriore doppione è di ipotizzare l’uso di
due fonti diverse da parte dell’autore,1 ma l’ipotesi è impropo
nibile perché il tenore delle parole nelle due descrizioni rivela
un’unica mano e perché 7,9-17 contiene il vocabolario e le im
magini delle due pretese fonti, e cioè sia di 2 1,1-8 che di 21,9-
22,5. Meglio sarebbe allora attribuire allo stesso Giovanni due
testi originariamente distinti e poi messi l’uno dopo l’altro, co
me fa M .-É. Boismard.2 Ma, a proposito di tutte queste ipote
si, si può far valere quanto scrive L. Morris: «N on è il caso di
pensare a due narrazioni originariamente separate e poi messe
insieme da un editore così pasticcione e così ottuso da dimenti
care ciò che aveva recepito otto versi prima».3 La quasi inevi
tabile conclusione, perciò, è che anche qui si ha a che fare con
un doppione narrativo.4
1 Cf. per esempio Charles, Revelation 1, 15 1-153, per il quale una fonte
parlava della Gerusalemme celeste (21,1 ss.), e l’altra della Gerusalemme
del millennio (20,1 ss.); J. Moffatt, The Revelation o f St. John thè Divine
(E’sGT 5), London 1910, 478 («revisione di una fonte più antica»); Kraft,
Offenbamng, 262; e, poco convinto, W. Thusing, Die Vision des «Neuen
Jemsalem» (Apk 21,1-22,5) a^s Verheiftung und Gottesverkiindigung: TTZ
77 (1968) 20 n. 4 («possibile, non necessario»). Ma cf. per esempio le diffi
coltà opposte a questa spiegazione da Georgi, Visionen, 355 n. 15.
2 Cf. Boismard, «L ’Apocalypse», o h «les Apocalypses», 524-527.
3 L. Morris, The Book o f Revelation. An Introduction and Commentary
(TyNT 20), Leicester - Grand Rapids 11987 (11969), 242.
4 Parla di «anticipazione» per esempio S. Bartina, Apocalipsis de San Juan
(La Sagrada Escritura, NT 3), Madrid 1967, 824. Simile è la frequente in
terpretazione secondo la quale in 21,1-8 Giovanni darebbe una prima e
sommaria descrizione e in 21,9 ss. fornirebbe invece una descrizione più
dettagliata. Così per esempio Lohmeyer, Offenbamng, 167 («un comple
tamento»); Bonsirven, Apocalypse, 305 («una descrizione particolareggia
ta»); Brutsch, Clarté, 363 («una visione più sfumata»); U.B. Muller, Of
fenbamng, 349 («descrive con più dettagli»); Roloff, Offenbarung, 197
(«un primo sguardo d’insieme»); J. Sweet, Revelation (TPINTC), London-
Philadelphia '1990 (11979), 296-297 («più in dettaglio»); J.-P. Charlier,
120
Giovanni ricorre a queste anticipazioni quando intende im
primere al suo racconto quell’accelerazione per cui, prima che
un episodio sia concluso (Apoc. iz) o addirittura prima che sia
riferito (Apoc. 18 e 21), il lettore è già introdotto spiritualmen
te in ciò che ancora deve venire e in anticipo si sente assicurato
della protezione e della vittoria di Dio.
III. IL M ONDO SU R R EA LE E O N IR IC O DI G IO V AN N I