TOMMASO D'AQUINO
LA SOMMA
TEOLOGICA
TRADUZIONE E COMMENTO
A CURA DEI DOMENICANI ITALIANI
TESTO LATINO DELL'EDIZIONE LEONINA
II
VITA E OPERAZIONI DI DIO
(I, qq. 14- 26)
Finito di stampare nel mese di maggio 1992 presso le Grafiche Dehoniane - Bologna
VITA E OPERAZIONI DI DIO
(I, qq. 14-26)
VITA E OPERAZIONI DI DIO
(I, qq. 14- 26)
I
I principii della scienza teologica.
II
I principii sintetici della Teologia di S. Tommaso
nelle questioni concernenti la scienza di Dio.
III
Gli stessi principii nelle questioni concernenti la volontà
e l'amore di Dio.
IV
La provvidenza e la predestinazione alla luce
degli stessi principii.
8 - La stessa unità organica di pensiero va rilevata nelle altre
questioni di interesse ancora più grande riguardanti la provvi-
denza e la predestinazione. Queste sono conseguenti all'onni-
scienza divina e all'amore che Dio porta alle creature, a cui
volle liberamente donare l'esistenza. Le ha create per un fine,
che fu ab aeterno limpidamente presente al suo pensiero. Il
fine è l'ultima perfezione che le creature conseguiscono, corona
di tutte le altre perfezioni. L'ordine, che è il fine intrinseco al-
l'universo, è il bene che lo rende partecipe di una somma più
grande di bontà divina. Il fine, e l'ordine al fine, di tutte le
cose, preconcepito dall'eternità, è ciò che si chiama provvi-
denza di Dio (q. 22, a. 1). Ad essa tutte le creature in universale
e in particolare sottostanno, non escluse quelle dotate di libero
arbitrio.
Come potrebbe essere diversamente se egli è la prima causa
universalissima dell'essere? "La causalità di Dio, il quale è
l'agente primo, si estende a tutti gli esseri non solo quanto ai
principii della specie, ma anche quanto ai principii individuali,
sia delle cose incorruttibili, sia delle cose corruttibili. Quindi
è necessario che tutto ciò che in qualsiasi modo ha l'essere, sia
da Dio ordinato al suo fine» (a. 2). E non per questo scompare
dal mondo il fortuito e il casuale, come non scompare il con-
tingente e il libero, essendo nel disegno stesso di Dio, che al-
cuni effetti siano fortuiti rispetto alle loro cause prossime. La
provvidenza non elimina il fortuito e il casuale, ma lo fa es-
sere nelle cose con l'efficacia della sua causalità. È anch'esso
un modo di essere; e dunque viene dalla fonte prima dell'es-
sere» (ad 1).
Il male non è un modo di essere, ma privazione di entità e
di ordine al fine. E tuttavia entra nei disegni della provvidenza
INTRODUZIONE 19
universale per una somma maggiore di bene nel creato. :E; fatto
servire a un ordine superiore pur essendo disordine (ad 2).
"Sebbene il male, in quanto esce dall'agente proprio sia cosa
disordinata, e sotto questo aspetto si definisca come privazione
di ordine, ossia disordine, nulla impedisce che da un superiore
agente sia introdotto in un ordine; ed è così che cade sotto la
provvidenza,, (De Verit., q. 5, a. 4, ad 3).
Nell'art. 4 ritorna ancora una volta la delicata questione ri-
guardante i rapporti tra causa prima e cause seconde libere.
La provvidenza rende forse necessario e ineluttabile tutto ciò
che le è soggetto? La questione è per S. Tommaso già risolta
in antecedenza (cfr. q. 19, a. 8). Dio vuole la ricchezza del-
l'universo che è costituita dalla molteplicità e dalla varietà
degli esseri, alcuni determinati e "necessitati"· altri liberi.
Proprio della provvidenza divina è governare tutte le creature
secondo la loro natura conforme al disegno preconcepito. Ci
sono effetti necessari, perchè Dio ha voluto e posto nell'essere
cause necessarie; e ci sono effetti liberi perchè Dio ha voluto
e posto nell'essere cause che operano liberamente.
9 - Rispond·~ndo a un'obiezione, limpidamente, conforme ai
principii stabiliti della universale causalità dell'Ente per es-
senza, scioglie la difficoltà che sempre grava sulla nostra in-
telligenza quando si tratta dei rapporti tra l'azione di Dio e
le nostre azioni libere. " Se la mente di Dio tutto ha preve-
duto, se la volontà di Dio tutto ha disposto, e se l'essere tutto
promana da Dio come da causa prima, senza che la sua azione
possa essere frustrata, come si salva la libertà delle creature?"·
La risposta suona così: " effetto della divina provvidenza non
è soltanto che una cosa avvenga in un modo qualsiasi; ma che
avvenga in modo contingente, o necessario. Perciò quello che
la divina provvidenza dispone che avvenga infallibilmente e
necessariamente, avviene infallibilmente e necessariamente;
quello che il piano della provvidenza diYina esige che avvenga
in modo contingente, avviene in modo contingente» (q. 22,
a. 4, ad i). E nelle due risposte successive ribadisce che l'ordine
certo e infallibile della provvidenza, anche circa le cose con-
tingenti, non è concepibile se non per la stessa ragione: l'effi-
cacia della causa suprema: l'ordine della provvidenza è certo
ed immobile, perchè le cose cadono sotto di essa non soltanto
secondo il loro essere sostanziale, ma altresì secondo il loro pro-
prio modo di essere. Ora contingente e necessario sono due
modi di essere conseguenti all'essere come tale; quindi le cose
cadono sotto l'ordine della provvidenza e secondo l'uno e se-
condo l'altro modo ; sicchè " avvengono tutte nel modo da Dio
prefisso; cioè in modo necessario o contingente,, (ad 2).
Contro la tentazione di insistere (data la difficoltà intrinseca
della materia), che, pure essendo l'evento contingente, è tuttavia
20 VlTA E OPERAZIONI DI DIO
V
L'onnipotenza divina.
VI
Conclusione.
I
I) l'esistenza
II) la natura
~
(vedi vol. I)
!I) volere
b) attributi diretti della
volontà l 1)
!I)
l'amore di Dio (q. !BO).
la giustizia e la miseri-
coraia (q. !1).
1) la divina provvidenza
(q. 22).
e) attributi spettanti
insieme all'intelletto I !) la predestinazione e la
e alla volontà ) riprovazione (q. !3).
ARTICOLO 1
Se in Dio vi sia scienzL 1
ARTJCULUS 1
Utrum in Deo sit scientia.
I Sent., d. 35, a. t ; I ront. Gent., c. 44: ne Vertt., q. !, a. t;
Compend. Theol., c. 28; lf Metaphys., lect. 8.
queste cose oon una sola e semplice cognizione, come vedremo a suo
luogo. Quindi l'unica cognizione di Dio si può denominare con
tutti questi termini: purchè, da ciascun di essi, in quanto si applica
a Dio, si elimini tutto ciò che vi ha d'imperfezione e si consideri
quanto vi si trova di perfezione. In questo senso è detto in Giobbe:
"In lui è la sapienza e la fortezza; egli possiede consiglio e in-
telligenza ". •
3. La sdenza si uniforma al modo di essere del soggetto cono-
scente, giacchè la cosa conosciuta si trova nel conoscente secondo
il modo di esso. E perciò, siccome il modo di essere di Dio è più
alto del modo di essere delle creature, la scienza divina non ha le
modalità della scienza creata, cioè a dire non è universale o parti-
colare, abituale o potenziale, o conformata secondo uno di questi
modi.
ARTICOLO 2
Se Dio conosca se stesso.
ARTICULUS 2
Utrum Deus intelligat se.
I Cont. Gent., c. 47; De Verti., q. 2, a. 2; Compena. Theol .• c. 30:
Il Metaphys., lect. 11 ; De Causts, Iect. 13.
AD SECUNDUM SIC PROCEDITUR. Videtur quod Deus non intelligat se.
Dicitur enim in libro De Causis [prop. 15, lect. 15], quod « omnis
sciens qui scit suam essentiam, est rediens ad essentiam suam r-edi-
tione completa"· Sed Deus non exit extra ess-entiam suam, nec aJiquo
modo movetur: et sic non competit sibi redire ad essentiam suam.
Ergo ipse non est sciens essentiam S'Uam.
2. PRAETEREA, intelligere est quoddam pati et moveri, ut dicitur in
3 De Anima [c. 4, lect. 9, 12]: scienti a etiam est assimilatio ad rem
scitam: et scitum etiam est perfectio scientis. Sed nihil movetur, vel
patitur, vel perficitur a seipso; « nequ-e similitudo sibi -est '" ut Hi-
larius dicit [De Trinit., I. 3, c. 23]. Erga Deus non est sciens seipsum.
3. PRAETEREA, praecipue Deo sumus similes secundum intellectum:
quia secundum mentem sumus ad imaginem Dei, ut dicit Augustinus
[Super Gen. ad litt., I. 6, c. 12; De Trinit., I. 15, c. 1). Sed intellectus
noster non intelligit se, nisi sicut intelligit alia, ut dicitur in 3 De
Anima [c. 4, lect. 9). Ergo nec Deus intelligit se, nisi forte intelli-
gendo alia.
scono se stesse. Per questo è scritto nel li.lbro De Causis che 11 chi
conooce la propria esseriza ritorna sopra se stesso"· ' Ora, sussistere
per sè compete soprattuttc a Dio. Quindi, secondo questo modo di
parlare, soprattutto lui ritorna sopra la propria essenza e conosce
se stesso.
2. Passività e moto sono termini equivoci, presi qui nel senso in
cui p·er Aristotele lo stesso intendere è una certa passività e una
specie di moto. Infatti, l'intendere non è il moto che è atto di cose
imperfette, che si ha nel passaggio di una cosa in un'altra; ma è
atto di cose perfette, che rimane nel soggett.o operante. 2 E così,
I' intelletto è perfezionato dall'oggett.o intelligibile e ne prende la
somiglianza, se si tratta di un intelletto che talora è in potenza ;
difatti questo differisce dall' intelligibile perchè è in potenza, e ne
prende la somiglianza per mezzo della specie intelligibile, che è
l'immagine della cosa conosciuta; ed è perfezionato da es:sa, come
la potenza dall'atto. .Ma l intelletto divino, che in nessun modo è
in potenza, non viene perfezionato da un oggetto intelligibile, nè
ha bisogno d1 averne la somlglianza: ma t la sua provria perfezione
ed il p.roprio intelligibile.
3. L'esistenza fisica non appartiene alla mate'l-ia prima, entità po-
tenziale, se non in quanto questa viene portata all'atto dalla forma.
Ora, il nostro intelletto possibile è, nell'ordine intellettual.e, quello
che la materia prima è nell'ordine delle cose naturali, perchè è in
potenza rispetto agli oggetti intelligibili, come la materia prima
rispetto alla realtà fisica. Conseguentemente il nostro intelletto pos-
sibile non può aver e operazioni intellettuali se non in quanto è
perfezionato dalla specie intelligibiLe di un qualche oggetto. 3 E così
oonosce se stesso mediante la specie intelligibile, come conosce tutte
le altre cose: è evidente, infatti, che oonoscendo un oggetto intelli-
gibile, intende la sua stessa intellezione e per mezzo di tale opera-
zione conosce la facoltà intellettiva. Dio, invece, è atto puro tanto
nell'ordine dell'esistenza quanto nell'ordine della conoscenza: per-
ciò intende se stesso per mezzo di se stesso. •
flessivo a differenza dell'intelletto. La. verità è nei sensi, dice S. Tommaso (lvi)
come conseguente all'atto del sensi, secondo che 11 gludlzlo che essi fanno delle
cose percepite, è conforme alla realtà delle cooe: ma essi non conoscono questa
conformità, mentre invece l'intelletto conosce la sua conformità alla cosa cono-
sciuta.
' II ne Causls, come già Ri disse (voi. I, p. 132, nota 2), è un compendio dl dot-
trine nooplatonlche. La proposiztone XV, qui citata, mette bene in evidenza
l'unione perfettissima cli oggetto e sog·getto nella conoscenza intellettiva, e la
spiritualità, o semplicità dell'anima umana, dimostrata dalla rifte»sione totale.
• Omnis sciens qui sclt essentiarn snarn. est rediens ad essentiam suam reditlone
completa. Quod est, quia scientla non est ni&i actio intelligentis. Cum ergo sit
sclens suam essentiarn tunc redit per operationem suam I ntelligibilem ad essen-
tiam suam. Et hoc non est ita. nisl qula sciens et scituru sunt res una .... Quod
est, quia propterea quod sclentla est scientja scientis... : ergo substa.ntia elus est
rediens ad essentiam iterum. Et non significo per reditionem substantiae ad es
sentiam suam iterum nisl qula est stans fixa per se, non indigens in sua fixlone
et sua essentia re aliqua regente lpsam: quoniam est substantia simplex i;uffi-
ciens slbi per seipsam ».
2 Il moto (o diven.ire), In senso proprio e stretto, è definito da Aristotele·
•Attualità di un ente imperfetto'" Infatti nell'ente che sta movendosl (o dive-
nendo) c'è un'attualità eh~ non si trova nel medesimo ente quando è privo di
quel moto: e per tanto al moto sta bene il concetto e il termine di attualità. Ma
appunto perchè sottoposto al moto,. un ente mostra la sua Imperfezione, perchè
sta movendosl al possesso della perfezione, di cui è privo. Platone e Aristotele
LA SCIENZA DI DIO 39
ARTICOLO 3
Se Dio comprenda se stesso.
ARTICOLO 4
Se il conoscere stesso di Dio sia la sua sostanza. 1
SEMBRA che il conoscere stesso di Dio non sin. la sua sostanza. In.
fatti:
1. Il conoscere è una certa operazione. Ora, ogni operaziune indica
qualche cosa che esce dall'operante. Dunque il conoscere di Dio non
è la sua stessa sostanza.
2. Conoscere se stesso nell'atto di conoscere non eq.uiva!e a in-
tendere qualche cosa di gra11de e di primario nell'ordine intellettivo,
ma qualche cosa di secondario e di accessorio. Se dunque Dio è il
suo stesso conoscere, conoscersi sarà per Iddio, come è per noi il
conoscere che conosciamo. E quindi conoscersi non sarà per Iddio
qualche cosa di grande [e di primario].
3. Ogni conoscere è un conoscere qualche cosa. Quando dunque
Dio si conosc.e, se egli stesso non è altro che il suo oonoscere, [biso-
gnerebbe dire che] il conoscere divino [e quindi la sostanza divina]
è un conoscere di conoscere che conosce di conoscere; e cosi ali' in-
finito. L'intendere di Dio non è dunque la stessa cosa che la sua
sostanza.•
IN CONTRARIO: S. Agostino dice: «Per Iddio l'essere è esser sa-
piente"· Ora, esser sapiente è lo stesso che conoscere. Dunque per
Jddio l'essere è conoscere. Ora, l'essere di Dio è la sua sostanza.
Dunque il conoscere di Dio si identifica con la sua sostanza.
RISPCNDO: :E: necessario dire che il conoscere di Dio è la sostanza
stessa di lui. Infatti, se il conoscere di Dio fosse cosa di,stinta dalla
sua sostanza, bisognerebbe, come dice Aristotele, che atto e perfe-
zione della sostanza divina fosse qualche altra cosa, alla quale la
divina sostanza direbbe ordine come potenza all'atto (il che è im-
possibile): hl conoscere è perfezione ed atto di colui che conosce.•
Ora, è da approfondirsi come ciò avvenga. Sopra infatti abbiamo
detto che il conoscere non è un'azione che ha un termine esterno,
ma resta nell'operante come atto e perfezione di esso, allo stesso
modo che l'essere è perfezione dell'esistente; perchè come l'essere
dipende dalla forma, così il conoscere dipende dalla specie intelli-
gibile. Ora, in Dio non vi è una forma che sia distinta dal suo es-
sere, come si è provato più sopra. Quindi, siccome la sua essenza è
anche la sua specie intellig!<bile, come si è già detto, ne viene di ne-
cessità che il suo stesso conoscere è anche la sua essenza ed il suo
essere. •
1 Si è già dimostrato che lntelletw s sostanza di Dio sono identica cosa ; cosi
ARTICULUS 4
Utrum ipsum intelligere Dei sit eius substantiL
Cont. Gent .. c. 45; Compend. Theol., c. 31; lf Metaphys., Iect. 11.
ARTICOLO 5
Se Dio conosca le cose da sè distinte.
ARTICULUS 5
Utrum Deus cognoscat alia a se.
I Sent., d. 35, a. 2; I Cont. Gent., cc. 48, 49; De Vertt., q. 2, a. 3;
Compend. Theol., e. 30; 12 Metuphys., lect. 11 ; De Caus1s, leet. 13.
noscono tutte le cose, alle quali tale potenza si estende. Siccome dun-
que la potenza di Dio si estende a ciò che è fuori di lui, giacchè,
come sopra abbiamo dimostrato, essa è la prima causa efficiente di
tutti gli esseri; è logico che Dio conosca le cose da S'è distinte. - E ciò
diviene più evidente se si aggiunga che l'essere stesso della prima
can.sa efficiente, cioè di Dio, è il suo stesso conoscere. Quindi, qual-
siasi effetto preesista in Dio come nella causa prima, è necessario ·
che sia anche nel suo conoscere, e che tutte le cose in lui si trovino
sotto forma di conoscenza: p·erchè tutto ciò che è in un altro, vi è
secondo la maniera propria di chi la possiede. '
Per precisare, poi, in qual modo Dio conosca tutte le cose da sè
distinte, bisogna considerare che una cosa può e·ssere conosciuta in
due maniere: in se stessa o in un'altra. Un oggetto è conosciuto in
se steS>So, se viene ad essere conosciuto per mezzo della sua specie
intelligibile adeguata a se medesimo in quanto conosc1bile: come
quando l'occhio vede un uomo per mezzo dell' immagine di tale
uomo. Una cosa invece è veduta in un'altra quando è veduta per
mezzo dell' immagine di ciò che la contiene: come quando la parte
si vede nel tutto per mezzo dell' immagine del tutto, oppure quando
un uomo è veduto nello specchio per mezzo deH' immagine dello
specchio; e così ogni volta che un oggetto viene ad essere conosciuto
in un altro.•
Dunque, analogamente, bisogna di.re che Dio vede se stesso in se
medesimo, perchè vede se medesimo nella sua propria essenza. Le
altre cose poi, distinte da sè, le vede non in se stesse, ma in se me-
desimo, in quanto la sua essenza contiene la somiglianza degli altri
esseri distinti da lui.
SOLCZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. L'affermazione di s. Agostino, ((Dio
non vede niente fuori di sè n, non significa che Dio non vede niente
di quello rhe è fuori di Dio; ma che quanto è fuori di lui n-0n lo vede
che in se stesso, come si è detto.
2. L'oggetto conosciuto è perfezione del soggetto conoscente, non
già secondo la sua natura, ma secondo la sua immagine, mediante
la quale è presente all' intelligenza come forma e perfezione di
essa: «nell'anima, infatti, non c'è la pietra, ma I' immagine della
pietra», osserva Aristotele. Ma le cose che sono di.stinte da Dio,
sono conosciute da lui in quanto l'essenza di Dio contiene le loro
immagini, come si è detto. Quindi, non ne viene che perfezione del-
1' intelletto divino sla. una cosa diversa dalla stessa essenza di Dio.'
3. La conoscenza non viene specificata dall'oggetto che è cono-
sciuto di riflesso, ma dal suo oggetto principale, nel quale tutti gli
altri oggetti sono conosciuti. Difatti il conoscere intanto è specifi-
cato dal proprio oggetto, in quanto la forma intelligibile diviene
nella s11~ essenza che è causa totale del loro essere. Non si rivolge ad esse, quasi
debba presupporre in qualche modo Il loro essere, per conoscerle, come fa li no-
stro Intelletto. L"essenza di Dio è specchio di tutte le creature; essendo di esse
causa efficiente, causa esemplare, causa finale: non soltanto parziale, ma totale;
non solo tiella loro natura specilìc.i, ma della 10rn indivldualttà stessa; non solo
dei loro eleinenf1 statici, ma del loro agire e divenire. Vedere le cose in tale sca-
turigine, attualissima e imrnutahile. 'ernpN> In atto di effondere l'es."f're delle
cose e di tutti i suoi rnod i, P. a>>ili più perfetto che conoscere le cose In se stesse
(\"ed.I a. 8). E chi.aro tuttavia che <;e !"espressione "conoscere le cose In se stesse.,
fosse pr<·sa ned slgniflcat,, di conosoerl<> perfettamente e adeguatamente, blsogne-
.rebbe attribuire a Dlo una tale conos"oenza. Senza che Dio per q11esto debba uscire
da se 'te,so, come è detto nella prima sol1121(\ne.
2 Altri m.)di sono, r. rs., vpclere le proprietà nell ·essenza, I "effett-0 nella causa.,
la eonclusione nel principio, p,.,..
3 L'essenw di Dio contiene l" lmma!!"ine delle cose nel senso che si è detto
nella nota precedente. Nella sua semplicissima Infinita. attnaltssirna perfezione,
Dio precontiene l'essere che le cose variamente partecipano. La perfezione delle
cose è un certo modo di tmltnzlone ·della dlvin;i essenza (cfr. più nvanti q. t5l.
48 LA SOMMA TEOLOGICA, I, q. 14, aa. 5-6
ARTICOLO 6
Se Dio conosca le cose con una cognizione appropriata. 1
SEMBRA che Dio non conosca le cose con una cognizione appro-
priata. Infatti:
1. Si è detto che Dio conosce le cose da sè distinte perchè sono
in lui. Ora, esse sono in lui come nella causa prima e universale.
Dunque esse saranno conosciute da Dio [solo virtualmente] come
nella causa prima ed universale. Ma questo è un conoscere in modo
generico, e non secondo una cognizione propria e distinta. Dunque
Dio conosce le cose genericamente e non secondo una cognizione
approp•riata. 2
2. Quanto dista l'essenza della creatura dall'essenza divina, al-
trettanto dista l'essenza divina da quella della creatura. Ora, me-
diante l'essenza della creatura non si può conoscere l'essenza di-
vina, come fu dimostrato. Dunque neppure l'essenza della creatura
si può conoscere per mezzo di quella divina. E così, siccome Dio
niente conosce se non mediante la propria essenza, ne segue che non
conosce la creatura secondo la natura della medesima, in modo
da conoscerne la quiddità: che è quanto dire avere di tale cosa una
cognizione appropriata.
3. Non si ha cognizione appl'opriata di una cosa che per mezzo
della natura di essa. Ora, siccome Dio conosce tutte le cose nella
propria essenza, non pare che le conosca una per una, mediante
il loro costitutivo formale, perchè un'unica e medesima realtà non
può esseT"e costitutivo formale proprio di più cose diverse. Dunque
Dio non ha delle cose una conoscenza appropriata, ma generica;
perchè conoscere le cose non secondo il loro costitutivo formale è
un conoscere generico.
IN CONTHARIO: Avere delle cose una conoscenza appropriata è co-
noscerle non soltanto in generale, ma secondo che sono tra loro di-
stinte. Ma Dio conosce le cose in questa maniera. Per cui S. Paolo
dice che «[la parola di Dio) è penetrante sino a dividere l'anima e
Io spirito e le giunture e le midolle: e scrutatrice dei sentimenti e dei
pensieri del cuore: e non vi è creatura che rimanga nascosta davanti
a lui».
1 Cognizione proprta o appropriata qui indica una cognizione non generica
e Indeterminata., ma tale che raggiunga tutti gli elementi che costituiscono una
cosa. - Se, p. es., si conoscesse l"uomo soltanto come animale si restere,bbe nel ge-
LA SCIENZA DI DIO 49
Iectualis operationis: nam omnis operatio specificatur per formam
quae est principium operationis, sicut calefactio per calorem. Unde
per illam formam intelligibilem specifìcatur intellectualis operatio,
quae facit intellectum in actu. Et haec est species principalis intel-
lecti: qua e in Deo ni·hil est aliud quam essentia sua, in qua omnes
species rerum comprehenduntur. Unde non oportet quod ipsum in-
telligere divinum, vel potius ipse Deus, specificetur per aliud quam
per essentiam divinam.
ARTICULUS 6
Utrum Deus cognoscat alia a se propria cognitione.
I Sent., d. 35, a. 3 ; I Cont. Gent., c. 50 ; De Pot .. q. 6, a. 1 ;
De Vertt., q. 2, a. 4; De Causts, lect. 10.
hanno origine tutti i raggi di una sfera. Ma le dissomiglianze sono più nume-
rose e più importanti che quella somiglianza, come espone S. Tommaso. Cosi per
la luce. Anch'essa è causa di tutti I vari colori che &ono nelle cose, perchè senz::1
luce non c• è visibilità di colori: quindi la luce ha una certa analogia con la cau-
salità divina: ma le dissomiglianze sono ancora più importanti. Nell'un caso e
nell'altro si tratta di una causalità generica e parziale, slcchè conoscere il centro
è oonoscere tutti i raggi possibili in generale, ma non come sono effe.ttivarnenfle
dl5egnatl nello spazio. Cosi conoscere la luce è conoscere I colori possibili in ge-
nerale, ma non come essi risultano effettivamente nelle varie cose.
152 LA SOMMA TEOLOGICA, I, q. 14, a. 6
• Ricordare: una cosa conosciuta ha due modi di essere: ti modo dt essere na-
turale (l'essere assoluto che costituisce la natura di essa} ; e ti modo di essere
•ntenztonale (l'essere essenzialmente relativo che è nella facoltà di colui che co-
nosce). Una cosa Infatti, come conosciuta, è nel soggetto conoscente.
Non sempre la facoltà conoscitiva 0<>nosce Il proprio oggetto anche secondo
l'essere intenzionale, perchè ci sono facoltà che non sono in grado di riflettere
sul proprio atto (cfr. pp, 36-37, note 3, 6). Queste facoltà conosoon-0 l'assere naru-
LA SCIENZA DI DIO 53
4. II
LA SOMMA TEOLOGICA, I, q. 14, aa. 6-7
ARTICOLO 7
Se la scienza di Dio sia discorsiva. 1
Dio. Ma anche nelle distanze spaziali non è identico il rapporto, p. es., da Atene a
Tebe, e da Tebe ad Atene (come notava Aristotele) se si guarda ad altre cose con-
crete oltre che alla pura estensione lineare; perchè da una parte si sale, e dal-
l'altra si scende. Le distanze tra gli enti sono le loro differenze; e tra gli enti
uno è più comprensivo dell"altro, e Dio è onnicomprensivo. Per la qualcosa Dio
in sè conosce tutte le cose, ma le creature, conoscendo se stesse, non conoscono
l'essenza di Dio.
1 S. Tommaso spiega nell'articolo il senso di questo termine. Scienza discorsiva
propriamente è la scienza che non abbraccia tutti i suol oggetti simultaneamente
con un solo colpo d'occhio, ma pr-0e.ede da dati noti a dati non ancora noti, ma-
nifestando questi per mezzo di quelli. Cosi da un elemento essenziale conosciuto
si possono arguire altri elementi essenziali o le proprietà dell"oggetto; da un
attributo noto si può arguirne un altro ; dalla conoscenza di una causa si può
giungere a conoscere quale sarà !"effetto. In questi casi si usano procedimenti
discorsivi. La scienza discorsiva è Imperfetta e progressiva, ed è propria di chi
conosce per gradi, senza arrivar mai ad una conoscenza totale ed adeguata del-
l'essere.
LA SCIENZA DI DIO 55
ARTICULUS 7
Utrum scientia Dei sit discursiva.
Infra, e;;. 85, a. 5; I Cont. Gent., cc. 55, 57; De Vertt., q. !J, a. 1, ad 4, li; a. 3, ad 3;
a. 13; Compenà. Theol., c. 29; tn lob., c. 12, lect. 2.
AD SEPTIMUM SIC PROCEDITUR. Videtur quod scientia Dei sit discur-
siva. Scientia enim Dei non est secundum scire in habitu, sed secun-
dum intelligere in actu. Sed secundum Philosophum, in 2 Topit:.
[c. 10], scire in habitu contingit multa simul, sed intelligere actu
unum tantum. Cum ergo Deus multa cognoscat, quia et se et alia,
ut ostensum est [aa. 2, 5], videtur quod non simul omnia intelligat,
sed de uno in aliud discurrat.
2. PRAETEREA, cognoscere effectum per causam est scire discurrentis.
Sed Deus cognoscit alia per seipsum, sicut effectum per causam.
Ergo cognitio sua est discursiva.
3. PRAETF.REA, perfectius Deus scit unamquamque creaturam quam
nos sciamus. Sed nos in causis creatis cognoscimus earum effectus,
et sic de causis ad causata discurrimus. Ergo videtur similiter esse
in Deo.
SED CONTRA EST quod Augustinus dicit, in 15 De Trinit. [c. 14), quod
Deus "non particulatim vel singillatim omnia videt, velut alternante
conspectu hinc illuc, et inde huc ; sed omnia videt simul "·
RESPONDEO DICENDUM quod in scientia divina nullus est discursus.
Quod sic patet. In scientia enim nostra duplex est discursus. Unus
secundum successionem tantum: sicut cum, p-0stquam intelligimus
aliquid in actu, convertimus nos ad intelligendum aliud. Alius di-
scursus est secundum causalitatem: sicut cum per principia perve-
nimus in cognitionem conclusionum. Primus autem discursus Deo
convenire non potest. Multa enim, quae successive intelligimus si
uuumquodque eo·rum in seipso consideretur, omnia simul intelligi-
2 Conoscer'0 tn. 'I tto e conoscere per abito sono modi differenti, secondo la ter-
minologia scolastica: il primo è proprio di chi sta considerando gli oggetti dlell.-i
~clenza; il second-0 è propri-0 di chi ha tutte le condizioni che lo mettono tn grado
di constdErare gli oggetti d·ella scienza, senza tuttavja che al presente li stia con-
siderando (cfr. p. 30, nota 2). - Abito, infatti si chiama in termine scolastico
la disposizione stabile di una facoltà che l'abilita e la rende pronta ad agire In
un determinato mocL-0 intorno a una determinata materia. Virtù, arte, scienza
5ono ahiti. L'ab.ito s! produce e s! rafforza con l'eserclzi-0 degli atti, i quali - si
dice in linguaggio comune - creano l'abitudine. Chi si esercita nello studio delle
cose ft5icl1e, acquista la scienza fisica, cioè l'abit-0 di essa; per cui, poi, con pron·
tezza, facilità, sicurezza, quando vuole, considera le nozioni acquisite. L'abito, o
abitudine, è un vantaggio e una ricchezza per noi ; ma è anche un indice della
nostra limitatezza In ogni genere di perfezione. Chi ha l'arte, la scienza o la virtù
tn alltto, ha Il possesso di molti eLement1 preziosi che gli facilitano e potenziano
l'azione. Non è nella condizione, assai più povera, d1 chi è pura capacità di co-
noscere e di agire hene; però è tuttavia in potenza. Gli manca l'ultima perfezione
del sapere o dell'agire, che è l'attuale considerazione e l'attuale bene operare.
Ecco perchè la sctenza-abtto non può convenire a Dio, come dice l'oblclente.
56 LA SOMMA TEOLOGICA, I, q. 14, aa. 7-8
ARTICOLO 8
Se la scienza di Dio sia causa delie cose. 1
SEMBRA che la scienza di Dio non sia causa delle cos·e. Infatti:
1. Origene scrive: 11 Una cosa sarà non peirchè Dio sa che dovrà
essere; ma poichè avverrà, perciò Dio la conosce prima ohe av-
venga'" 2
2. Posta la causa, segue l'effetto. Ma la scienza di Dio è eterna.
Dunque, se la scienza di Dio è causa delle cose, è evidente che le
creature esistooo dall'eternità.
3. Il conoscibile è anteriore alla scienza e ne è la misura, come
dice Aristotele. Ma ciò che è posteriore e misurato non può essere
causa. Dunque la scienza di Dio non è causa delle cose.
IN CONTRARIO: Dke S. Agostino: "Tutte le creature, corporali e
ARTICULUS 8
Utrum scientia Dei sit causa rerum.
I Sent., d. 38, a. 1; De Verit., q. 2, a. 14.
AD OCTAVUM SIC PROCEDITCR. Videtur quod scientia Dei non sit causa
rerum. Dicit enim Origenes, super Epistolam ad Rom. [I. 6, super
c. 8, 30 J: "non propterea aliquid erit, quia id scit Deus futurum ; sed
qui a futurum est, ideo scitur a Deo antequam ftat "·
2. PRAETEREA, posita causa ponitur effectus. Sed scientia Dei est
aeterna. Si ergo scientia Dei est causa rerum creatarum, videtur
quod creaturae sint ab aeterno.
3. PRAF.TEREA, scibile est prius scientìa, et mensura eius, ut dicitur
in IO Metaphys. [c. 1, lect. 2). Sed id quod est posterius et mensu-
ratum, non potest esse causa. Ergo scientia Dei non est causa rerum.
SED CONIBA EST quod dicit Augustinus, 15 De Trinit. [c. 13; cfr. 1. 6,
megl!o d1 colui che, considerandola già fatta, se ne fa un'Idea; perchè dipende
dalla concezione dell'artefice, di cui è la realizzazione nella materia.
Cosi è la ~clenza di D!o; con la differenza tuttavia grandissima che tutto l'es-
sere delle cose dipende daLJ' Idea divina, mentre non tutto l'essere di un lavoro
dipende dal!' idea dell'artefice. Ma, salvo questa differenza, la scienza dell 'ar-
teflce, in qu;rnto t:tle, ci fornis~e Ja migliore analogia della scienza divina.
• Questa fra~ di Origene sembra affermare l'esistenza di un ordine di realtà,
almeno possibile, non dipendente dalla causalità divina, Dio, dunque, secondo
questo modo d'intendere, non sareobe causa prima universale dell'essere.
LA SOMMA TEOLOGICA, I, q. 14, a. 8
ARTICOLO 9
Se Dio abbia la scienza delle cose che non sono. 1
SEMBRA che Dio non abbia la scienza delle cose che non sono. In-
fatti:
1. La scienza di Dio non può e~ere che del vero. Ora, il vero e
l'ente si identificano. Dunque la scienza di Dio non è delle cose che
non sono.
2. La scienza richiede una perfetta somiglianza tra il soggetto
conoscente e la cosa conosciuta. Ora, ciò ohe non è, non può avere
somiglianza alcuna con Dio, il quale è l'essere stesso. Dunque le
cose che non sono non possono essere conosciute da Dio.
3. La scienza di Dio è causa delle cose che Dio conosce. Ora, il
non essere non può avere cau'Sa. Dunque Dio non ha la scienza del
non essere.
IN CONTRARIO: L'Apostolo dice: « Egli chiama le cose che non sono
come quelle che sono».
RISPONDO: Dio conosce tutte le cose che sono, in qualunque modo
siano. Ora, niente impedisce che quanto in senso pieno e assoluto
non esiste, in qualche modo e·sista. Esistono in senso pieno e asso-
luto le cose che hanno esistenza attuale: quelle poi che non hanno
esistenza attuale, sono in potenza, o di Dio medesimo, o delle crea-
ture; sia che si tratti di potenza attiva o di potenza passiva, sia
che si tratti della possibilità di pensarle, d' immaginarle, o di espri-
merle in qualunque modo. Qualunque cosa adunque possa esser
fatta, o pensata, o detta dalle creature, ed anche tutto ciò che può
fare egli stesso, tutto Dio conosce, anche se non esista attualmente.
Ed ecco perchè si può dire che Dio ha la scienza anche delle cose
che non esistono.
Però tra le cose che non sono in atto bisogna notare una certa
diversità. AlcU!I1e di esse, sebbene non siano in atto ora, però lo fu-
rono o lo saranno: e tali cose si dice che Dio le conosce con la scien-
za di visione.• Perchè, siccome l'intellezione di Dio, che si identHìca
col suo essere, è misurata dall'eternità, che senza successione com-
prende tutto il tempo, Io sguardo di Dio si porta su tutti i tempi e
su tutte le cose esistenti in qualsiasi momento del tempo, come su
oggetti posti alla di lui presenza. • - Ve ne sono altre, le qua.Ii sono
in potenza o di Dio o della creatura, che tuttavia nè esistono, nè
esisteranno, nè mai sono esistite. Rispetto a queste non si dice che
1 Questa. dottrina della causalità divina per Intelletto e volontà avrà li suo
proprio sviluppo nel trattato della Creaztone (I, qq. 44 ss).
• La questione potrebbe anche essere post.a così: se la scienza di Dio sia llmi-
tata solo alle cose che esistono, oppure si estenda anche alle cose che non esl·
stono, ma sono puramente pos.stblll.
LA SCIENZA DI DIO 61
mensura eius, ita scientia Dei est prior quam res naturales, et
mensura ipsarum. Sicut aliqua domus est media inter scientiam
artificis qui eam fecit, et scientiam illius qui eius cognitionem ex
ipsa iam facta capit.
ARTICULUS 9
Utrum Deus habeat scientiam non entium.
t Sent., d. 38, a. 4; 8, d. 14, a. 2, qc. 2; I cont. Geni., c. 66;
De Verti., q. 2, a. 8.
ARTICOLO 10
Se Dio conosca il male.
' Dio conosce tutte le cose nella sua essenza: a/ Le conosce come in uno spec-
chto universale, ossia In se medesimo come causa esemplare di tutte le cose.
E allora si dice che la scienza di Dio è di semplice 1.nteUtgenza. l>) Le conosce
nella sua essenza come causa esemplare e insieme come volonta di creare deter-
minate cose fra tutle le cose possibilt: e allora rispetto a queste cose si dice che
la scienza di Dio è scienza di visione. I tomisti chiamano " decreto " 1'essenza di-
vina, in quanto ha scelto di creare alcune cose a preferenza di altre. Le cose pas-
sate o future sono viste da Dio come presenti " nel suo decreto"·
Tra la sctenza di semplice tnteUigenza e .la scienza dt visione, in cui s. Tom-
maso divide la scienza di Dio (in rapporto agli oggetti di questo sapere) Lutgt
Mol!na S. J. (t 1600), seguendo Pietro da Fonseca (t 1599), Introdusse la scienza
media; che fu chiamata così, perchè partecipa dei carntlerl dell'una e dell'al-
tra, essendo libera in certo modo come è li11era la sci,enza di visione, e neces-
saria in certo modo come è necessari;; la scienza di semplice intellig€nza. Alla
suddetta scienza dovrebbero appartenere gli enti futuri condizionati, che però non
saranno chiamati all'esistenza, perché le conrlizioni d.el loro esistere non saranno
poste mal (sono I cosi detti futuril>ili). Secondo Molina la causalità dell'eterna
scienza di Dio per rispetto alle creature si svolgerebbe come in tre momenti:
't) pre-cognizione dei possibili (scienza di semplice tntcu.tgenza, necessaria) ; 2) pre-
cognizlon<i dei futurillili, cioè degli enti cl1e accadrebbero, se fossero poste certe
condizioni che però non sRrann,1 poste lscienvi mcdla, con caratteri ùi necessità;
pe:rchè qu<iSto ordine è necessario in 5è nè dipende da.I volere di Dio; ma altresl
con caratteri di libertà, percllè gli enti liberi collocati nelle varie circe>.5tanze non
LA SCIENZA DI DIO 63
visionis, sed simplicis intelligentiae. Quod ideo dicitur, quia ea
quar vidf'ntur apud nos, habE:nt esse distinctum extra videntem.
An PRIMUM ERGO DICENDUM quod, secundum quod sunt in potentia,
sic habent veritatem ea quae non sunt actu: verum est enim ea esse
in potentia. Et sic sciuntur a Deo. ·
Ao SECLNDUM DICENDUM quod, cum Deus sit ipsum esse, intantum
unumquodque est, inquantum participat de Dei similitudine: sicut
unumquodque intantum est calidum, inquantum participat calorem.
Sic et ea quae sunt in potentia, etiam si non sunt in actu, cogno-
scuntur a Deo.
Ao TERTITJM DICENDUM quod Dei scientia est causa rerum, voluntate
adiuncta. Unde non oportet quod quaecumque scit Deus, sint ve!
fuerint vel futura sint: sed solum ea quae vult esse, vel permittit
esse. - Et iterum, non est in scientia Dei ut illa sint, sed quod esse
possint.
ARTICULUS 10
Utrum Deus cognoscat mala.
I Sent., d. 36, q. 1, a. 2; I Coni. Gent., c. 71; De Vertt., q. 2, a. 15; Quodl. 11, q. 2.
• Questa dottrina spiega In modo generico oome Dio r.onosca Il male. In !, q. 49,
Il probLema sarà trattato In particolare (•se Dio possa essere causa del male»)
e verrà data la soluzione già accennata nell'a. 9, ad 3.
• Le torme semplici ed Indivisibili non sono nella nostra mente, se non In po-
tenza; In quanto oe ne possiamo fare un'Idea, negando la complessità alle forme
composte e divisibili. L'Idea del punto, p. es., ce la formiamo in questo modo; e
anche l' Idea delle cose sp.lrituall. Ed è per questo che la cognizione di tali cose
è per noi più negativa che positjva. Invoce Le sostanze separate (angeli, Dio) hanno
Idee dirette del1e realtà semplici, e una conoscenza tutta positiva, appunto perché
il loro Intelletto precontlen.e In atto I principi! della conoscenza e non ll riceve
per dipendenza dal sensi, come il nostro intelletto (cfr. I, q. 84, a. 8).
66 LA SOMMA TEOLOGICA, I, q. 14, a. 11
ARTICOLO 11
Se Dio conosca i singolari.
ARTICULUS 11
Utrum Deus cognoscat singularia.
I Sene., d. 36, q. 1, a. 1 ; f, d. 3, q. 2, a. 3 ; I Cont. Geni., cc. 50, 63, 65;
De Antma, a. 20; De Vertt., q. 2, a. 5;
Compend. Theol., cc. 132, 133 ; I Pertherm., lect. 1,.
5 Dunque in quanto 11 produce, per mezzo ~Ite cause universall, fin nel parti-
colari individuali. S. Tommaso o55erva giustamente che la prodmione, se non è
cieca attività, presuppone la cognizione dell'effetto. Nel caso nostr<> la cognizione
divin:i del particolare è presuppost?. appunto perchè la scienza è causa del partl-
~olare e non ne dipende.
• L'artista pr.esuppone la materia non creata da lui o dalla sua abilità che
serve a dare la concreta fisionomia dell'opera d'arte. Egli dunque, in forza della
sua Idea, non conosce che parzialm!'nte la sua opera d'arte; mentre Dio è cre:1tore
anche della materia, cioè della totalità dell'essere. Da tutto questo risulta chi,1 ·
ramente che se un qualsiasi frammento od ombra di essere sfuggisse alla causa-
lità di Dio - e cioè se la sua essenza non ne fosse prtnciplo attivo - la conoscenza
di esso sfuggirebbe a Dio.
7 L'intelletto che desume Il suo oggetto daJle cose materiali, con il processo di
astrazione cui è legato, non può avere un'Idea ~omprenstva che Includa le nole
Individuanti. Esse sono d'ordine materiale e sono oggetto del sensi, i quali agi·
scono mediante organi corporei. Un tale intelletto ha Idee astratte, che prescindono
70 LA SOMMA TEOLOGICA, I, q. 14, aa. 11-12
AHTICOLO 12
Se Dio possa conoscere infinite cose.
cioè dalle condizioni mateMall, che si ritrovano ancora nel fantasma, ma non più
nell'idea intellettiva. L'idea è Immateriale, ma ha lasciato, per divenire tale, una
parte di realtà. La sua universalità permette di conoscere ciò che nella cosa esi-
stente vi è di più importante e d'Immutabile. ma ci imredlsce di conosceTe di
essa tutta la concretezza. Mentre le Idee di Dio soruo onnicomprensive e creatlv~
di tutte le realtà, snperuniversall e s11perpartlcolaM, slcchè nessuna parte della
realtà concreta sfugge alla conoscenza divina.
1 La materia, pura potenza, non è Il null:i.: ma è reale potenza soggettiva so·
stentante e Individuante la forma specltlca, oon la quale compone l'ente concreto.
L'ente concreto è materia e forma Insieme (pot.enza ed atto): materia eststente,
os~la attuata per la forma, e forma recepta In una materia deteTmlnata. Il con-
cetto di mateMa « ent.e che non è, non ente che è" intuito da Platone e chiarito da
Aristotele, si Impone per rendere Intelligibili il mutamento e la m-0Iteplicltà del
LA SCIENZA DI DIO 71
AD sECUNDUM DICENDUM quod, quamvis species intellectus divini
secundum esse suum non habeat conditiones materiales, sicut spe-
cies receptae in imaginatione et sensu ; tamen virtute se extendit ad
immatPrialia et materialia, ut dictum est [in corp.].
An TEHTIUM DlCENDUM quod materia, licet recedat a Dei similitudine
secundum suam potentialitatem, tamen inquantum vel sic esse ha-
bet, similitudinem quandam retinet divini esse.
ARTICULUS 12
Utrum Deus possit cognoscere infinita.
f Seni., d. 39, q. 1. a. 3: f Cont. Gent., c. 69: D~ Veril. q. 2, a. 9; q. 20, a. 4, ad 1;
Quodl. 3, q. 2, a. 1 : Compend. Theol., c. 133.
reale, negati da Parmenide. Pertanto la ma.tena, essendo realtà essa pure, parte-
cipa della somiglianza con Dio.
2 Gli enti possibili sono infiniti, e Dio conosce certissimamente tutte le possi·
bilità di essere. La scienza di sempltce tntelltgenza a.dunque (ctr. p. 58, nota 4), si
estende a infinite cose, non conosciute in potenza ma conosciute in atto, perchè da
Dio è esclusa ogni qualsiasi potenzialità. Conoscendo se stesso come Infinita par-
tecipabilità, conosce tutte le possib111 partecipazioni. distintamente, in atto, seb-
bene le cose possib111 non siano In atto: perchè l'esemplare in cui le vecte, è mas-
simamente attuale e perfettamente compreso dall'inteli.etto divino, nella sua to·
talità. Nella sua semplicissima unità, immensamente ricca., rifulgono come in uno
specchio tutte le possibilì partecjpazlonl di essere tlno al confine del nulla. Ma il
nulla per Dio è solo l'assurdo: ossia Impossibilità di essere e di intelligibilità
• Vedi p, 62. nota 1.
72 LA SOMMA TEOLOGICA, I, q. 14, a. 12
' f; di fede che il mondo non sia ab aeterno (cfr. /, q, .\6, a. 2). f.; nota la post
zlone filosofica di S, Tommaso a riguardo della pos.sibilità che il mondo esista
ab aeterno. Rispettoso dei diritti den.1 ragione, egli insegnò costantemente, che
con si può apoditticamente dimo5trare che tale lmpossibilitàlripugnl. Sappiamo
con certlezza che Il mondo non è ab aeterno, ma non per una dimostrazione scien-
titlca, bensl per rivelazj.one,
• Mlsterlo8a scienza di Dio 1 Essa è mo stesso; 11 quale è l'eternità: totalità di
perfezione, intuita, simultanea, che avviluppa tutto Il tempo e lo penetra vedendo
limpidamente e distintamente non con atti successivi, ma con un S10lo atto, colmo
"" immutabile, quanto nel tempo si svolge, Le cose che non sono davanti allo
LA SCIENZA DI DIO 73
sguardo di Dio sono tX>me se fossero. Dal momento che ogni essere dipende da lui
in tutte le sue minime parti, ed egli è Immutabile pienezza di intellezione, non
può accadere che ignori oggi, anche in parte, quel che saprà domani; ossia non
può accadere che Il flusso delle cose rechi novità nel suo pensiero. L'Infinita suc-
cessione degli atti e dPgll effetti è presente alla sua mente senza successione:
"omnia slmul "· E ciò senza possibile contraddizione, perchè tutto egli vede nella
comprensione dell'unità onnicomprensiva e onnicausativa della sua essenza.
• L'Impossibilità, dunque, di una moltitudine di esseri numericamente Infinita
in atto, che S. Tommaso ha dimostrato (cfr. q. 7, a. 4). non tmpedi;ce che la
scienza divina dt vtstone si estenda In atto a infiniti oggetti. Anzi deve essere cosi:
sotto qualunque aspetto si oonslderi, la scienza di Dio, sia riguardo agli enti pos·
sibili, sia riguardo agli enti reali, necessariamente ha un'estensione attuale in-
finita.
• C'è dunque un'adeguazione che non si produce per via di moto, enumera.odo
le parti, ma per via di essere, per cui un infinito adegua un altro Infinito. Nel
7.f. LA SOMMA TEOLOGICA, I, q. 14, aa. 12-13
ARTICOLO 13
Se la scienza di Dio si estenda ai futuri contingenti.
caso l'infinità di Dio, d"altro ordine. superiore ali" infinità numerica o quanti·
tativa, non solo ade,gua. ma trascende, senza possibilità di confronti, 1' infinità
quantitativa. Essa è misura dell'essere e della verità delle cose quantitative; e
quindi anche delle parli Infinite che contengono, senza dipendere da esoe.
i La parola "misura " ha più sensi: mtsura quantitativa e mi.sura dt essere e di
verttà. L'infinito non ha misura •ruantitat!va, ma può avere misura di essere e
di verità. Il che vuol dire che nessuna cosa creata. o serie di cose create, per
quanto la si pensi Infinita. realizza una quantit:\ tntensivn·mente infinita di per-
fezione. Le cose "hanno sempre l'e:;sere finito e determinato'" e pertanto mtsu·
LA SCIENZA DI DIO
rato. ossia perfettamente compnso dalla scienza divina. La verità delle cose è un
adeguarsi, come a misura trascendente, alla scienza divina, dalla quale dipende
la quantità d'essere che possiedono: come la verità di un'opera d'arte è il suo
concordare con !"arte che è nella mente dell'artefice, dalla quale dlIHJnde. Dalla
scienza di Dio le cose ricevono l'essenza e le proprietà, tra cui le infinità di parti
in potenza; le quali sono quindi limpidamente prewnti alla scienza di Dio che
Ilio\ è causa consapevolissima. Anche per queste sottili questioni il principio riso-
lutivo è quello già più volte indicato: la suprema causalità divina universalis-
sirna che rende presente ali' Intelletto divino •tutto ciò che possiede natura di
ente; qu111utd habet rationem entts "·
2 La scienza (=cognizione certa) riguarda le cose che certamente sono cosi
come le pensiamo, e di cui siamo consapevoli che certamente sono come le IHJn-
slamo. In questo sen50 è vero che l'oggetto della scienza è necessario: non PO·
trebbe non essere, altrimenti saremmo nel campo dell'opinione, non in quello
della scienn.
76 LA SOMMA TEOLOGICA, I, q. 14, a. 13
mato i loro cuori, egli che scruta tutte le opere loro n, 1 cioè degli
uomini. Ora, le opere degli uomini sono contingenti, essendo sotto..
messe al libero arbitrio. Dunque Dio oonosce i futuri contingenti.
RISPONDO: Avendo noi già dimostrato che Dio conosce tutte le
cose, non solo quelle che esistono attualmente ma anche quelle che
sono ancora potenzialmente in lui o nella creatura ; ed essendo
alcune di queste per noi futuri contingenti, ne segue che Dio co-
nosce i futuri contingenti.
Per mettere in chiaro la cosa, bisogna notare che un essere con-
tingente si può considerare in due maniere. Prima di tutto in se
stesso, come già in atto. E così non si considera futuro, ma presente:
quindi non come indifferente verso due o più termini opposti, ma
come determinato ad uno solo. Per questo motivo, esso può essere
cosi oggetto sicuro di una conoscenza certa, p. es., del senso della
vista, come quando vedo Socrate che è a sedere. In secondo luogo,
8i può considerare il futuro nella sua causa. E così vien considerato
come futuro, e più come un contingente non anoora determinato in
un dato senso: pe.rchè la causa contingente è indifferente verso ter-
mini opposti. Sotto questo aspetto il contingente non è oggetto di
alcuna cognizione certa. • Quindi chi conosce un effetto conttngente
soltanto nella sua causa, non ha di esso che una oonoscenza con·
getturale. Ora, Dio conosce tutti i contingenti, non solo in quanto
esistono nella loro causa, ma anche in quanto ognuno di essi esiste
effettuato in se medesimo.•
E sebbene i contingenti si attuino uno dopo l'altro, pure mo nqn
li conosce in loro stessi, successivamente, come li conosciamo noi,
ma tutti insieme. Perchè la sua conoscenza, come anche il suo es-
sere, ha per mi.sura l'eternità: e l'eternità, esistendo tutta insieme,
chiude nel suo ambito tutti i tempi, come fu dimostrato altrove.
Quindi tutte le cose esistenti nel tempo sono presenti a Dio ab ae-
terno, non solo perchè ne ha presenti presso di sè i tipi ideali, come
dicono alcuni; ma perchè il suo sguardo si porta dall'eternità su
tutte le cose in quanto sono presenti dinanzi a lui.•
E dunque evidente che i contingenti sono insieme infallibilmente
conosciuti da Dio, perchè presenti al suo cospetto, e tuttavia, riman-
gono ancora futuri e contingenti in rapporto alle loro cause [pros-
sime].•
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Sebbene la causa suprema sia ne-
i Il stgnUlcato originale del testo sembra essere 11 seguente: " Colui che è at
tento a tutte le loro opere"· S. Tommaso ·interpreta "che scruta,, o "che cono-
sce•, stando alla Volgata.
2 Il futuro conttngente come futuro e come contingente non è conoscibile se
non congetturalmente. Questo vale anche per la conoscenza divina. Essendo In-
determinato, considerato In tale modo, nessuna conoscenza potrebbe vederlo come
determinato, giacchè l'oggetto e la cognizione devono adeguarsi.
• DI.o dunque non li vede come futuri e come contingenti, ma li vede come
determinatamente esistenti ; e ciò è possibile perchè Il suo essere è eterno.
Da notare, per non abus.are di questo testo per lnterpretazi-0nl non acc6ttablll.
che qui S. Tommaso si domanda non In qual mezzo Dio conosce i futuri contin-
genti (questo mezzo non può è.ssere se non la sua essenza o Il suo intelletto In
quanto ha congiunta la volontà, come aveva già pensato a determinare in ante-
cedenza) ; ma si domanda se con-OSCa i futuri contingenti, e stabilisce quale è la
condizione che deve verificarsi per la loro conoscibilità, cioè che siano presenti. e
che siano determinati. Il che si verifica per l'eternità di Dio. Del resto l'eternitil
dl Dllo è lo stes6o Dio eterno, è l'essenza stessa di Dio, v:tle a dire li suo tnreUtgere
e ti suo vel.lf'. mre che egli vede 1 futuri contingenti nell'eternità, è dire: li vooe
LA SCIENZA DI DIO 77
Iatim corda eorum, qui intelligit omnia opera eo.nun », scilicet ho-
minum. Sed opera hominum sunt contingenti.a, utpote li.bero arbitrio
subiecta. Ergo Deus scit futura contingentia.
RESPONDEO DICENDUM quod, cum supra [a. 9] ostensum sit quod Deus
sciat omnia non solum quae actu sunt, sed etiam quae sunt in po-
tentia sua ve! creaturae; horum autem quaedam sunt contingentia
nobis futura; sequitur quod Deus contingentia futura cognoscat.
Ad cuius evidentiam, considerandum est quod contingens aliquod
dupliciter potest consid.erari. Uno modo, in seipso, secundum quod
iam actu est. Et sic non consideratur ut futurum, sed ut praesens:
neque ut ad utrumlibet contingens, sed ut determinatum ad unum.
Et propter hoc, sic infallibiliter subdi potest certae cognitioni, utpote
sensui visus, sicut cum video Socratem S'edere. Alio modo potest con-
siderari contingens, ut est in sua causa. Et sic consideratur ut fu-
tm:um, et ut contingens nondum determinatum ad unum: quia causa
contingens se habet ad opposita. Et sic contingens non S'Ubditur per
certitudinem alicui cognitioni. Unde quicumque cognoscit effectum
contingentem in causa sua tantum, non ha.bet de eo nisi coniectura-
lem cognitionem. Deus autem cognoscit omnia contingentia, non
solum prout sunt in suis cansis, sed etiam prout unumquodque eo-
rum est actu in seipso.
Et licet contingentia fiant in actu successive, non tamen Deus
successive cognoscit contingentia, prout sunt in suo esse, sicut nos,
sed simul. Quia sua cognitio mensuratur aeternitate, sicut etiam
suum esse: aeternitas autem, tota simul existens, ambit totum tem-
pus, ut supra [q. 10, a. 2, ad 4] dictum est. Unde omnia quae sunt
in tempore, sunt Deo ab aeterno praesentia, non solum ea ratione
qua habet rationes rerum apud se praesentes, ut quidam dicunt:
sed quia eius intuitus fertur ab aeterno super omnia, prout sunt in
sua praesentialitate.
Unde manifestum est quod cootingentia et infallibiliter a Deo co-
gnoscuntur, inquantum subduntur divino conspectui secundum suam
praesentialitatem: et tamen sunt futura contingentia, suis causis
comparata.
AD PRIMLM ERGO DICENDUM quod, licet cam•a suprema sit necessaria,
nel suo lnlelltgcre e nel suo vel.le. Il che significa che ll vede nel ooo decreto; e
non che ci sia un ordine di futuri contingenti (o di futurlbtlt) che Dio contempli
come tali senza che la loro " futnrizione " dipenda da luL
• L'opinione, a cui qui si allude, è di Avicenna (vedi p. 68, nota 1). Per Il
fatto che Dio possiede l' idea di una e.osa futura, la sua cognizione sarebbe la
cognif.ione di un possibile, non di un futuro che avrà certamente l'essere, pur
essendo, quanto all'esistere, indeterminato ndle sue cause prossime. Allìnchè la
cognizione del futuro contingente. o Indeterminato a esistere, sia certa e non
congetturale, si richiede che Il futuro contingente e,sca dall'indeterminazione,
cioè sia veduto come avente l'essere. Soltanto l'eternità di Dio fornisce questa
condizione e solò l'eternità quindi permette questa visione.
a La contmgenza dunque e il temJY> non ci sono affatto nella causa suprema
universale e necessaria, immutabile ed eterna, ma sono nelle cause prossime che
producono gli eventi nel tempo in modo conting-ente. Questo basta per dire che
gli effetti sono futuri e conting-enti, sebbene sottostiano allo sguardo di Dio de·
terminatamente e immobilmente. Dio si trova in una sfera eterna che avvolge,
penetra e trascende Il tempo e tutte le cause che operano nel tempo. La sua co-
gnizione riveste necessariamente caratteri propriamente divini, che non possono
convenire alle cose in se stesse. Si confondono dunque le due sfere - l'increata
ed eterna, e la creata e temporale - quando si vuol dedurre, dalla neces.~ità e im-
mobilità della scienza divirn1, la neirnzione della contingenza o della libertà negli
evpnf1 rrPM1.
78 LA SOMMA TEOLOGICA, I, q. 14, a. 13
la protasi ; " percbè tutto ciò che è, mentre è, è necessario che sia >>o
come dice Aristotele. 1
3. Le cose che si attuano nel tempo, da noi sono conosciute suc-
cessivamente nel tempo, ma da Dio son conosciute nell'eternità, la
quale è al disopra del tempo. Quindi i futuri contingenti non pos-
sono esser certi per noi, perchè li apprendiamo come tali ; ma sol-
tanto per Iddio, il quale conosce le cose nella eternità, al disopra
del tempo. E come chi vada per una strada e non vede coloro che
gli vengono dietro; mentre un-0 che dall'alto di un monte abbraccia
con lo sguardo lutto il perc0<rso·,. vede simultaneamente tutti quelli
che vi camminano. Perciò quel che conosciamo noi [per potersi dire
necessario], bisogna che sia necessario anche cons.iderato in se stesso,
perchè d,elle cose che sono in se stesse futuri contingenti, noi non
possiamo avere certezza. Le cose, invece, conosciute da Dio, devono
essere necessarie in quanto sono oggetto della scienza divina, come
si è spiegato ; ma prese in se stesse, in quanto considerate nelle
loro proprie cause, non lo sono affatto. - Perciò è invalso l'uso di
distinguere anche questa affermazione: Ogni cosa conosciuta da
Dio è necessario che sia. [Il termine necessario] si può riferire alla
cosa asse~·ita, o alla stessa asserzione. Riferito alla cosa asserita, si
prende in senso diviso e abbiamo una proposizione falsa, perchè
significa: Tutte le cose che Dio conosce sono necessarie. Riferito
dell'asserzione stessa, la proposizione si prende in senso composto,
ed è vera, perchè vuol dire: Questa affermazione, " quello che Dio
conosce esiste n, è necessaria.
Ma alcuni 2 fanno istanza, e dicono che questa distinzione ha luogo
soltanto nelle forme separabili dal loro soggetto, in questa propo-
sizione, p. es. : può capitare che una cosa bianca sia nera. Se l'enun-
ciato viene riferito all'asserzione, è falSIO; se riferito alla cosa, è
vero; perchè una cosa che è bianca può diYentar nera; ma l'asser-
zione, il bianco può esser nero, non potrà mai essere vera. Nelle
forme poi non separabili dal loro soggetto, la suddetta distinzione
non ha luogo: p. es., se io dico che un corvo nero può essere bianco,
questo enunciato è falso in tutti e due i sensi. 3 Ora, per una cosa
essere conosciuta da Dio è una propl'iietà inseparabile, perchè quello
che da Dio è conosciuto non può non essere conosciuto. - Questa
obbiezione varrebbe se il te,rmine conosciuto implicasse una qualche
disposizione inerente all'oggetto della conoscenza ; ma siccome non
implica che l'atto di colui che conosce, allora, sebbene si couosca
sempre, all'ogget:to preso in se stesso si può attribuire qualche cosa
che non gli si attribuirebbe precisamente in quanto oggetto di co-
noscenza: così alla pietra considerata in se stessa si attribuisce la
mate.rialità, che non le si attribuisce in quanto è i11telligibile. •
' Teniamo dunque le cose nel loro proprio ordine: ordine del oon-0scere (or-
dine del conoscere divino) e ordine dell'esi~tere (ordine fisico). I nessi tra le cause
logiche possono essere necessari senza che Io siano I nessi delle cause fisiche. Se
I-o vedo, è necessario che 10 veda. Da questa ipotesi "se io vedo"• consegue neces-
sariamente che il mio atto è in una speciale relazione con l'oggetto veduto; e
non potrebbe non essere, per l'ipotesi fatta. Ma da ciò non segue che Il mio atto
di vedere sia un atto fisicamente necessario. S. Tomm:-tso nella risposta seguente
dirà rhe la proposizione: •ogni cosa conosciuta da Dio è necessal'ia '" è vera se la
necessità è al'lermata della proposizione stl'85a (che è un ente logico, ossia una
composizione mentale), è vera de 11tcto (in senso composto); ma non è vera se la.
LA SCIENZA DI DIO 81
rium est, sicut et antecedens: " quia omne quod est, dum est, necesse
est esse», ut dicitur in 1 Periherm. [c. 9, Iect. 15].
AD TERTIUM DICENDVM quod ea quae temporali.ter in actum redu-
cuntur, a nobis successive cognoscuntur in tempore, sed a Deo in
aeternitate, quae est supra tempus. Unde nobis, quia cognoscimus
futura contingentia inquantum talia sunt, certa esse non possunt:
sed soli Deo, cuius intelligere est in aeternitate supra tempus. Sicut
ille qui vadit per viam, non videt illos qui post eum veniunt: sed
ille qui ab aliqua altitudine totam viam intuetur, simul videt omnes
transeuntes per viam. Et ideo illud quod scitur a nobis, oportet esse
necessarium etiam secundum quod in se est: quia ea quae in se
sunt contingentia futura, a nobis sciri non possunt. Sed ea quae sunt
scita a Deu, oportet esse necessaria secundum modum quo su.bsunt
divina e ·scientiae, ut dictum est [ad 1): non autem absolute, secun-
dum quod in p11opriis causis considerantur. - Unde et haec propo-
~itio, omne scitum a Deo necessarium est esse, consuevit distingui.
Quia potest esse de re, ve! de dicto. Si intelligatur de re, est divisa
et falsa: et est sensus, om11 is res quam Deus scit, est necessaria. Ve!
potest intelligi de dicto: et sic est composita et vera ; et est sensus,
hoc diclum, scitum a Deo es.rn, est necessarium.
Sed obstant quidam, dicentes quod ista distinctio habet locum in
formis separnbilibus a subiecoo ; ut si dicam, album possibile est esse
niqrum. Quae quidem de dicto est falsa, et de re est vera: res enim
quae est alba, potest esse nigra ; sed hoc dictum, album esse nigrum,
rnmqnam potest esse verum. In formis autem inseparabHibus a sub-
iect·o, non habet locum praeùicta distinctio ; ut si di.cam, corvum
nigrum possibile est esse alflum: quia in utroque sensu est falsa.
Esse autem scitum a Deo, est inseparabile a re: quia quod est scitum
a Deo, non potest esse non scitum. - Haec autem instantia locum
haberet, si hoc quod dico scitum, importaret aliquam dispositionem
subiecto inhaerentem. Sed cum importet actum scientis, ipsi rei sci-
tae, licet semper sciatur, potest aliquid attribui secundum se, quod
non attribuitur ei inquantum stat sub actu sciendi: sicut esse ma-
teriale attribuitur lapidi secundum se, quod non attribuitur ei se-
cundum quod est intelligibile.
ARTICOLO 14
Se Dio conosca i giudizi e le proposizioni. 1
ARTICULUS 14
Utrum Deus cognoscat enuntiabilia.
1 sent .. d. 38, a. 3; d. 41, a. 5; I Cont. Gent., cc. 58, 59; De Vertt., q. 2, a. 1.
AD OECIMCMQUARTUM SIC PllOCEDITUR. Videtur quod Deus non co-
gnoscat enuntiabilia. Cognoscere enim enuntiabilia convenit intel-
lectui nostro, secundum quod componit et dividit. Sed in intellectu
divino nulla est compositio. Ergo Deus non cognoscit enuntiabilia.
2. PRAETEREA, omnis cognitio fit per aliquam similitudinem. Sed
in Deo nulla est similitlldo enuntiabilium, cum sit omnino simplex.
Ergo Deus non cognoscit enuntiabilia.
SED CONTRA EST quod dicitur in Psalmo 93, Il: " D<lminus scit cogi-
tationes horninum n. Sed enunt:abilia continentur in cogitationibus
hominum. Ergo Deus cognoscit enuntia.bilia.
RESPONOEO DICENDLM quod, cum formare enuntiabilia sit in potestate
intellectus nostri; Deus autem scit quidquid est in potentia sua vel
creaturae, ut supra [a. 9] dictum est; necesse est quod Deus sciat
omnia enuntiabilia quae formari possunt. Sed, sicut scit materialia
immaterialiter, et composita simpliciter, ita scit enuntiabilia non
per modurn enuntiabilium, quasi scilicet in intellertn eius sit compo-
sitio ve! divisio enuntiabilium; sed unumquodc;ue cognoscit pe·r sim-
plkem int.elligentiam, intelligendo essentiam uniuscuiusque. Sicut
si nos in hoc ipso quod intelligimus quid est homo, inteHigeremus
omnia quae de homine praedicari possunt. Quod quidem in intellectu
nostro non contingit, qui de uno in aliud discurrit, propter hoc quod
species intelligibilis sic repraesentat unum, quod non repraesentat
aliud. Unde, intelligendo quid est homo, non ex hoc ipso aiia quae
ei insunt, intelligimus; sed divisim, secundum quandam successio-
nem. Et propter hoc, ea quae seorsum intelligimus, oportet nos in
unum redigere per rnodum compositionis ve! divisionis, enuntiatio-
nem formando. Sed spedes intellectus divini, scilicet eius essentia,
sufficit ad demonstrandum omnia. Unde, intelligendo essentiam
suam, cognoscit essentias omnium, et quaecumque eis accidere pos-
sunt.
AD PRJMl.iM ERGO DICENDUM quod ratio illa procederet, si Deus co-
gnosceret enuntiabilia per modum enuntiabilium.
An SECUNDUM DICENDUM quod compositio enuntiabilis significat ali-
quod esse rei : et sic Deus per suum esse, quod est eius essentia, est
similitudo omnium eorum quae per enuntiabilia significantur.
sto del sapere per giudizi che formula medianne delle proposizioni: apprende suc-
cessivamente diversi aspetti della realtà, se ne forma molteplici ooncettl ; e pol
mette questi concetti in rapporto tra di loro. DI qui nascono le enunciazioni af-
fermative (compostttones) e le enunciazioni negative (dtvtstones). Si dice pertanto
che li nostro Intelletto procede per composizione e divisione: "intelligit compo-
nendo et dividendo" (ctr. /, q. 85, a. 5). Da ciò hanno origine tutti gli enti della
Logica, scienza-arte che studia e ordina I rapporti tra I termini nelle proposizioni,
d.ove enunziano un gludizJo, e nelle argomentazioni, dove servono come stru-
menti per giungere al possesso di altre verità. Dlo conosce tutto questo?
LA SOMMA TEOLOGICA, I, q. 14, a. 15
ARTICOLO 15
Se la scienza di Dio sia variabile.
• Il senso della questione viene chlartto dalle st.esse dlmcoltà che sl oppon·
gono: una scl1lnza relativa a oggetti in continuo mutament.o pul> e&sere lmmu·
tabileT .
LA SCIENZA DI DIO 85
ARTICULUS 15
Utrum scientia Dei sit variabills.
t sent., d. 38, a. li; d. 39, q. 1, aa. 1, 2; d. 41, a. 5; De Verit., q. 2, a. 5, ad tt; a. 18.
AD DECIMUMQUINTUM SIC PROCEDITI.JR. Videtur quod scientia Dei sit
variabilis. Scientia enim relative dicitur ad scibile. Sed ea quae im-
portant relationem ad creaturam, dicuntur de Deo ex tempore, et
variantur secundum variationem creaturarum. Ergo scientia Dei est
variabilis, secundum variationem creaturarum.
2. PRAE"rnREA, quidquid potest Deus facere, potest scire. Sed Deus
potest plura facere quam faciat. Ergo potest plura scire quam sciat.
Et sic scientia sua potest variari secundum augmentum et diminu-
tionem.
3. PRAETEREA, Deus scivi.t Chri·stum nasdturum. Nunc autem nescit
Christum nasciturum: quia Christus nasciturus nQn est. Ergo non
quidquid Deus scivit, scit. Et ita scientia Dei videtur esse variabilis,
SE.D CONTRA EST quod dicitur lac. 1, 47, quod apud Deum «non es.t
transmutatio, neque vicissitudinis obumbratio 11.
RF.SPONDEO DICENOUM quod, cum scientia Dei sit eius substantia, ut
ex dictis [a. 4] patet; sicut subst.antia eius €St omnino immutabilis,
ut supra [q. 9, a. 1] ostensum est, ita oportet scientia.m eius omnino
invariabil em esse.
AD PRlML;M ERGO DICENDUM quod Domim.ts et Creator, et huiusmodi,
important relationes ad creaturas secundum quod in seipsis sunt.
Sed scientia Dei importat relationem ad creaturas secundum quod
sunt in Deo: quia secundum hoc est unumquodque intellectum in
actu, quod est in intelligente. Res autem creatae sunt in Deo inva-
riabiliter, in seipsis autem variabiliter. - Vel aliter dicendum est,
quod Dominus et Crcator, et huiusmodi, important relationes quae
consequuntur actus qui intelliguntur terminari ad ipsas creaturas
secundum quod in seipsis sunt: et ideo huiusmodi re.Jationes vari.i
de Deo dicuntur, secundum variationem creaturarum. Sed scientia
et amor, et huiusmodi, important relationes quae consequuntur actus
qui intelliguntur in Deo esse: et ideo invariabiliter praedicantur
de Deo.
An SECliNDL'M DICENDL'M quod Deus scit etiam ea quae potest facere
et non facit. Unde ex hoc quod potest plura facere quam facit, non
sequitur quod possit plura scire quam sciat, nisi hoc referatur ad
scientiam visionis, secundum quam dicitur scire ea quae sunt in
actu secundum aliquod tempus. Ex hoc tamen quod scit quod aliqua
possunt esse quae non sunt, ve! non esse quae sunt, non sequitur
quod scientia sua sit variabilis: sed quod cognoscat rerum variabi·
litatem. Si tamen aliquid esset quod prius Deus nescivisset et postea
ARTICOLO 16
Se Dio abbia delle cose una scienza speculativa.
SEMBRA che Dio non abbia delle cose una scienza speculativa. In-
fatti:
1. La scienza di Dio è causa delle cose, come si è dimostrato so-
pra. Ora, la scienza speculativa non è causa delle cose conosciute.
Dunque la scienza di Dio non è speculativa.
2. La scienza speculativa si ottiene per via di astrazione: la qual
' Il nominalismo è una dottrina che riguarda la questione degli universali. La
realtà contenuta e significata nel concetto universale, secondo qu.esta dottrina.
non esiste affatto: è un puro nome. Intorno alla difficoltà qui risolta S. Tommaso
ha un lungo articolo in I Sent. {d. 41, a. 5), dove dà preziose splegazilont.
• Le cose considerate come enunciabili in altrettante proposizioni sono sapute
da Dio come esistenti quando sono esistenti, come future quando sono future,
come passate quando sono passate. E chiaro lJUindi cbe, p. es., sarebbe falsa que-
sta proposizione: •Tutto Ciò cbe Dio ha saputo come futuro, Io sa come futuro "•
LA SCIENZA DI DIO 87
sciret, esset eius scientia variabilis. Sed hoc esse non potest: quia
quidquid est vel potest esse secundurn aliquod tempus, Deus in ae-
terno suo scit. Et ideo ex hoc ipso quod ponitur aliquid esse secu11-
dum quodcumque tempus, oportet poni quod ab aeterno sit scitum
a Deo. Et ideo ncm debet concedi quod Deus possit plura scire quam
sciat: quia haec propositio implicat quod ante nesciverit et postea.
sciat.
An TERTIUM DICENDUM quod antiqui Nominales dixerunt idem esse
enuntiabile, Christurn nasci, et e$Se nasciturum, et esse natwn:
quia eadem res significatur per haec tria, scilicet nativitas Christi.
Et secundum hoc sequitur quod D.eus quidquid scivi1., sciat: quia
modo scit Christum natum, quod significat idem ei quod est Christum
esse nasciturum. - Sed haec opinio falsa est. Tum quia diver-sita~
partium orationis diversitatem enuntiabilium causat. Tum etiam
quia sequeretur quod propositio quae sPrnel est vera, esset semver
vera: quod est conti-a Phikisophum, qui dicit [Cateyor., c. 3] quod
haec oratio, Socrate.~ sedei, vera est eo sedente, et eadem falsa est,
eo surgente. - Et ideo concedendum est quod haec non est vera,
quidquid Deus sci"l;it, scit, si ad enuntiabilia referatur. Sed ex hoc
non sec1uitur quod scientia Dei sit variabilis. Sicut enim absque va-
riatione divinae scientiae est, quod sciat unam et eandem rem quan-
doque esse et quandoque non esse; ita absque variatione divinae
scientiae est, quod sclt aliquod anuntiabile quandoque esse ver:nm.
et quandoque esse falsum. Esset autem ex hoc scientia Dei variabilis,
si enuntiabilia cognosceret per modum enuntiabilium, componendo
et dividendo, sicut accidit in intellectu nostro. Unde cognitio nostra
variatur, ve! secundum veritatem et falsitatem, puta si, mutata re,
eandem opinionem de re illa retineamus: ve! secundum diversas
opiniones, ut si primo opinemur aliquem sedere, et postea opinemur
eum non sedere. Quorum neutrum potest esse in Deo.
ARTICULUS 16
Utrum Deus de rebus habeat scientiam speculativam.
De Vertt., q. 3, a. 3.
Ao DECIMUMSEXTUM SIC PROCEOITl'R. Videtur quod Deus de rebus
non habeat scientiam speculativam. Scientia enim Dei est causa
rerum, ut supra [a. 8] ostensum est. Sed scientia speculativa non
est causa rerum scitarum. Ergo scientia Dei non est speculativa.
2. PRAETEREA, scientia speculativa est per abstractionem a rebus:
se si riferisce alle cose stesse. Altro esempio: Dio conosce Cristo come futuro
perchè lo ha conosciuto come futuro. Si capisce subito che in questo periodo c'è
una ralsità.
• Dio per intendere non tormu1a proP-Os!zlool la cut anima è il verbo, a cui è
essenz!n!e il tempo. Il suo modo di Intendere è in assoluta semplicità e al disopra
delta contingenza del tempo.
8S LA SO:vtMA TEOLOGICA, I, q. 14, a. 16
cosa non conviene alla scienza divina. Dunque la scienza di Dio non
è speculativa.
IN CONTRARIO: Tutto ciò che vi ha di più nobile si deve attribuire
a Dio. Ora la scienza speculativa è più nobile di quella pratica, come
dimostra il Filosofo. 1 Dunque Dio ha delle oose una scienza specu-
lativa.
RISPONDO: Vi son delle scienze puramente speculative, ve ne sono
di semplicemente pratiche, e ve ne sono di quelle in parte specula-
tive ed in parte pratiche. A chiarimento di ciò, bisogna ricordare
che una scienza può essere considerata speculativa per tre ragioni.
Primo, a motivo delle cose conosciute che risultano non fattibili dal
soggetto conoscente: tale è la conoscenza che l'uomo ha della natura
o di Dio. Secondo, per il modo [a.strattol di conoscere, come quando
un architetto considera la casa determinando, analizzando e pon-
derando in generale i suoi requisiti. Procedere così, è un cons.ide-
rare ciò che è fattibile in modo speculativo e non in quanto fattibile;
una cosa viene fatta invece applicando la forma alla materia, non
già risolvendo il composto nei suoi elementi universali e costitutivi.
Terzo, in ragione del fine; poichè, al dire di AristoteJ.e, "l' intelletto
pratico si differenzia dall'intelletto speculativo per il fine». Difatti
l' intelletto pratico ha per fine l'operazione, e l'intelletto specula-
tiYo la considerazione della verità.• Quindi, sie un architetto con-
sidera come una casa possa essere costruita, non per costruirla di
fatto, ma solo per sapere come si costruisce, la sua considerazione
sarà, quanto allo scopo, speculativa, però di una cosa fattibile. -
Dunque, una scienza che è speculativa a motivo della stessa cosa
conosciuta, è soltanto speculativa ; quella invece che è speculativa,
o secondo il modo o secondo il fine, è in parte speculativa ed in
parte pratica; quando poi è indirizzata al fine dell'operazione, è
semplicemente pratica.
Supposte tali distinzioni, adunque, bisogna dire che Dio ha di
se stesso una conoscenza puramente speculativa, perchè egli non
è fattibile. Di tutte le altre cose, invece, ha una conoscenza e spe-
culativa e pratica. Speculativa per il modo: tutto quell0 infatti che
speculativamente conosciamo nelle cose, determinando ed analiz-
zando, Dio lo conosce molto più perfettamente di noi. Delle cose
invece che egli potrebbe fare, ma che non farà mai, non ha c01,o.
scenza pratica, in quanto una scieuza si dice pratica in ragione del
fìne. In questo senso, ha conoscenza pratica delle cose che effettu <t
in un dato tempo. Il male poi, sebbene non operabile da lui, pure
cade sotto la conoscenza pratica di Dio, oome il bene, in quant1l o
lo permette, o lo impedisce, o lo indirizza ai suoi fini: come cadono
sotto la scienza pratica del medico le malattie, in quanto questi con
la sua arte le cura.
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. La scienza di Dio è causa, non
già di Dio stesso, ma delle altre cose ; di alcune effettivamente, di
quelle cioè che in un dato tempo vengono compiute ; di altre vir-
tualmente, cioè di quelle che può fare, e che mai tuttavia verranno
all'esistenza.
2. Che la scienza derivi dagli oggetti, non conviene di pe:r sè alla
scienza speculativa, ma solo accidentalmente, in quanto è umana. •
• Clr. 6 Melaphys., c. 1, lect. 1.
LA SCIENZA DI DIO 89
quod divinae scientiae non competit. Ergo scientia Dei non est spe-
culativa.
SED CONTRA, omne quod est nobilius, Deo est attribuendum. Sed
scientia speculativa est nobilior quam practica, ut patet per Phi-
Iosophum in principio Metaphys. [l. 1, c. 1, lect. 1]. Ergo Deus habet
de rebus scientiam speculativam.
RESPONOEo DICENOUM quod aliqua scientia est speculativa tantum,
aliqua practica tantum, aliqua vero secundum aliquid speculativa et
secundum aliquid p·ractica. Ad cuius evidentiam, sciendum est quod
aliqua sc.ientia potest dici speculativa tripliciter. Primo, ex parte re-
rum scitarum, quae non sunt operabiles a sciente: sicut est scientia
hominis de rebus naturalibus ve! divinis. Secundo, quantum ad mo-
dum sciendi: ut puta si aedificator consideret domum defìiniendo et
dividendo et considerando universalia praedicata ipsius. Hoc siqui-
dem est opera.bilia modo sp·eculativo CQIJlsiderare, et non secundum
quod operabi!La sunt: operabile enim est aliquid per applicationem
fornrne ad materiam, non per resolutionem compositi in principia
universalia formalia. Tertio, quantum ad finem: nam '' intellectus
practicus differt fine a speculativo», sicut dicitu.r in 3 De Anima
[c. 10, led. 15). Intellectus enim practicus ordinatur ad finem operar
tionis: finis autem intellectus speculativi est consideratio veritatis.
Unde, si quis aediftcator consideret qualiterposset fieri aliqua domus,
non ordinans ad finem operationis, sed ad cog!loscendum tantum,
erit, quantum ad finem, speculativa consideratio, tamen de re ope-
rabili. - Scientia igitur quae est speculativa ratione ipsius rei sci-
tae, est speculativa tantum. Quae vero speeulativa est vel se.cundum
modurn vel secundum finem, est secundum quid speculativa et se-
cundum quid practica. Cum vero ordinatllll" ad finem operationis, est
simpliciter practica.
Secundurn hoc ergo, dicendum est quod Deus de seipso habet scien-
tiam speculativam tantum: ipse enim operabilis non est. De omnibus
vero alfa, habet scientiam et speculativam et practicam. Specula-
tivam quidem, quantum ad modum: quidquid enim in rebus nos
speculative cognoscimus definiendo et dividendo, hoc totum Deus
multo perfectius novit. Sed de bis quae potest quidem facere. sed
secundum nullum tempus facit, non habet practicam scientiam, se-
cundum quod practica scientia dicitur a fine. Sic autem habet pra-
cticam scientiam de his quae secundum aliquod tempus facit. Mala
vero, licet ab eo non sint operabilia, tamen sub cognitione practica
ipsius cadunt, sicut et bona, inquantum permittit vel impedit vel
ordinat ea: sicut et aegritudines cadunt sub practica scientia me-
dici, inq1iantum per artem suam curat eas.
AD PRIML'M ERGO DICENDUM quod scientia Dei est causa, non quidem
sui ipsius, sed aJio,rum: quorundam quidem actu, sci!icet eorum
quae socundum aliquod lrnllpus fìunt; quoru1ndam vero virtute,
scilicet eorum quae potest facere, et tamen nunquam fiunl
AD SECUNDUM DICENDt!M quod scientiam esse acceptam a rebus scitis,
non per se convenit scientiae speculativae, sed per accidens, inquan-
tum est humana.
' Risponde anche all'argomento •In contrarlo•, perchè prova troppo, e sembra
negare a Dio la scienza pratica, quasi che tale scienza smlnulsca la nobiltà della
eclenza divina.
• Perciò la cognizione, che Dio ha di quanto egli opera nell'universo, non com-
LA SCIENZA DI DIO 91
Ad id v1iro quod in contrarium obiicitur, dicendum quod de ope-
rabilibus perfecta scientia non habetur, nisi sciantur inquantum
operabilia sunt. Et ideo, curo scientia Dei sit omnibus modis per-
fecta, oportet quod sciat ea quae sunit a se operabilia, inquantum
huiusmodi, et non solum secundum quod sunt speculabilia. Sed
tamen non receditur a nobilitate speculativae scientiae: quia omnia
alia a se videt in seipso, seipsum autem speculative cognoscit; et
sic in speculativa sui ipsius scientia, habet cognitionem et specu-
lativam et practicam omnium aliorum.
ARTICOLO 1
Se esistano le idee.
ARTICULUS 1
Utrum ideae sint.
Infra, q. «, &. a: I Sent., d. 36, q. 2, a. 1; De Vertt., q. a, a. 11
I M etaphys., lect. 15.
AD PRIMlJM SIC PROCEDITL"R. Videtur quod ideae non sint. Dicit enim
Dionysius, 7 cap. De Div. Nom. [lect. 3], quod Deus non cognoscit
res secundum ideam. Sed ideae non ponuntur ad aliud, nisi ut per
eas cognoscantur res. Ergo ideae non sunt.
2. PRAETEREA, Deus in seipso cognoscit omnia, ut supra [q. 14, a. 5]
dictum est. Sed seipsum non cognoscit per ideam. Ergo nec alia.
3. PRAETEREA, idea ponitur ut principium cognoscendi et operandi.
Sed essentia divina .est sufficiens principium cognoscendi et ope-
randi omnia. Non ergo necesse est ponere ideas.
SED CONTRA EST quod dicit Augustinus, in libro Octoqinta trium
Quaest. [q. 46]: "Tanta vis in ideis constituitur, ut, nisi his i.r1tel-
1ectis, sapiens esse nemo possit "·
RESPONDEO DICENDVM quod necesse est ponere in mente ·divina
ideas. Idea enim graece, latine forma dicitur: unde per ideas in-
telliguntur fomme alianum rerum, p raete.r ipsas res existeutes.
0
Forma autem alicuius rei praeter ipsam existens, ad duo esse pot-
est: vel ut sit exemplar eius cuius dicituT forma; ve! ut sit prin-
cipium cognitionis ipsius, secundum quod formae cognoscibilium
cltà in Dio di principii interiori di conoscenza, ma so!o molteplicità di cose cono-
sciute. Le Idee 5ono Di-o str,,so, Il Verbo eterno: l'atto con cui, dicendo se stesso,
dice simultaneamente tutte le posslbjli e reali parteclpaztonl di sè.
Le Idee, cioè la divina essenza, pur essendo causa delle cose, non entrano in
modo concreto nella costituzione lntrln5era delle medesime; come non entra nella
costituzione di un'opera d'arte l'Idea viYa e spirituale che l'ha originata cosi
r.orne si trova nella mente dell'artista. L'esemplare, che è per l'artefìre principio
di conoscenza e principio di azione, rimane esterno alla cosa prodotta in confor-
mità ad esso. Esso rappr·esentJt alla mente tutta la realtà oggettiva della cosa
fatta (e secondo questo rispetto si chiama più propriamente tdea, ralto): inoltre
guida la mano dell'artefice nella produzione dell'opera (e sotto questo aspetto si
chiama più propriamente esemplare). Analogamente l'essenza divina considerata
come principio del conoscere divino è più propriamente tdea di tutte le cose (ratl9
cognoscendt, vedi q. H, a. 6, ad 3); riguardat.'l come modello che le cose, In mi-
sura diversa, riproducono è pii) propriamente esemplare (cfr. a. I, ad 3 e a. 3;
1, q. 44, a. 3).
94 LA SOMMA TEOLOGICA, I, q. 15, aa. 1-2
ARTICOLO 2
Se vi siano più idee.
ARTICULUS 2
Utrum sint plures ideae.
Infra. q, 44, a. 3; q, 47, 11.. 1, ad 2; I Seni .. d. 36, q. 2, a. 2; Il, d. 14, a. !!, qc. 2;
I Coni. Geni., c. 54; De Poi., q. 3, a. 16, ad 12, 13; De Verti., q, 3, a. 2; Quodl. 4, q. t.
ossia non è dello stesso ordine dell'Idea che lo ba diretto nell'opera. La sostanza
dell'idea è di ordine superiore all'effetto prodotto, pur essendo vera causa di esso:
è e.ansa analogica. (Cfr. Dtz. Tom .. •Analoga"• • Aequlvoca •, S).
• .Dionigi parla di Idee, che secondo la sentenza di Platone formerebbero un
mondo eslf>tente fuorl dt Dio. Dio non puil dipendere nel suo conoscere da realtà
e~tranee a lui.
96 LA SOMMA TEOLOGICA, I, q. 15, a. 2
causa universale - Dio -, che lo vuole direttamente e lo raggiung·e per mezzo delle
cause subordinate, dirette ognuna a produrre un effetto suo proprio. L'ordine OO·
smioo è Il fine Intrinseco dell'universo. ordinato a sua volta alla manifestazione
della gloria di Dio che è Il fine estrinseco (cfr. I, q. 65, a. 2; 3 Cont. Gcnt., c. 22).
• S. Tommaso jn 1, q, t03, a. 1. d;1lla constatazione dell'ordine esistente nell'uni-
verso dimostra resistenza dell'ordinatore: e dall'unità che l'ordine Importa de·
duce l'unità dell'ordinatore stesso (a. 3). "L'ordine stabile delle cose dell'universo
dimostra manifestamente che c'è un governatore del mondo" (a. 1). L ordine è 0
unità e armonia del molteplice; " causa propria e per sè dell'unità è l'uno '" non
il molteplice come tale (a. 3). Onde uno è il governatore dell'universo e di tutte le
parti di e&so fln nel minimi particolari. Questi sono stati voluti e posti In essere
direttamente da Dio per conseguire Il fine ultimo, cioè l'ordine che lui solo può
rrodurre. E lo stesso ilrgomento riportato nell:l. presente que&tione.
• Cfr. I, q. 45, a. 5 dove si confuta questa opinione che è di Avlcen111a (Metaph .•
tract. 9, c. 4). a cui ha già accennato alla q. 8, a. 3.
98 LA SOMMA TEOLOGICA, I, q. 15, a. 2
ARTICOLO 3
Se per tutte le cose che Dio conosce vi siano delle idee distinte.
SEMBRA che in Dio non vi siano delle idee distinte per tutte le cose
che egli conosce. Infatti:
1. In Dio non c' è l' idea del male, perchè altrimenti ci sarebbe il
male in Dio. Ma Dio conosce il male. Dunque Dio non ha le idee
di tutte le cose che conosce.
2. Dio conosce le cose che non sono, che no11 saranno e che non
sono state, come abbiamo detto sopra. Ora, di tali cose non si
dànno idee, perchè dioe Dionigi che " gli esemplari sono divine vo-
lontà che determinano e producono le cose». Dunque in Dio non
ci sono le idee di tutto ciò che conosce.
3. Dio conosce la materia prima, la quale non può avere un'idea
corrispondente, non avendo alcuna forma. Dunque .... come sopra.
4. Consta che Dio conosce non soltanto le specie, ma anche i ge-
neri, e i singolari e gli accidenti. Ora, di queste cose non si dànno
idee, secondo Platone, che pure per primo ha introdotto la do0ttrina
delle id.ee, come sappiamo da S. Agostino. ' Non sono, dunque, in Dio
le idee di tutti gli esseri da lui conosciuti.
IN CONTRARIO: Le idee sono nozioni esistenti nella mente di Dio,
come spiega S. Agostino. Ora, di tutte le oose che conos.ce, Dio ha
in sè delle nozioni appropriate. Dunque Dio ha l' idea di tutto ciò
che conosce.
RISPONDO: Le idee, sec.ondo il pensiero di Platone, sono conside-
rate quali principii di conoscenza e di produzione delle oose, perciò
anche le idee oome noi le poniamo nella mente di Dio rivestono
questo duplice carattere. In quanto è principio di produzione delle
cose, l'idea si chiama esemplare [o modello], e appartiene alla
scienza pratica: in quanto, poi, è p.rincipio di conoscenza, si dice
propriamente ragione [o nozione]• e può anche riferirsi alla scienza
speculativa. Quindi l'idea, presa in senso di esemplare, riguarda
tutte le cose che Dio effettua in qualsiasi tempo; presa invece come
principio di conoscenza, abbraccia tutte le cose che Dio conosce,
anche se non saranno mai effettuate nel tempo ; nonchè tutte le cose
che Dio conosce nella propria essenza, perohè viste da lui come in
uno specchio.
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Il male è conosciuto da Dio non
per una sua propria nozione ; ma mediante la nozione di hene.
Perciò il male non ha un'idea corrispondente in Dio, sia che si
prenda il termine idea nel significato di esemplare, sia che si prenda
in quello dli rayione. •
2. Di ciò che non è, ncm sarà, nè mai fu, Dio ha una oonoscenza
pratica in quanto ciò è oggetto possibile della sua potenza. Quindi
1 Agostino, evidentemente, non è stato per l'Aquinate l'unica fonte di l.nforma.-
zione a questo proposito; egli però merita dl essere citato accanto a Platone
quando si tratta di tale argomento, perchè più di ogni altro ha c,mtrlbuito 11
rettlftcare e a valorizzare la grande intuizione del filosofo greco.
LE IDEE 101
ARTICULUS S
Utrum omnium quae cognoscit Deus, sint ideae.
1 Sent., d. 36, q. 2, a. 3; De Pot., q. 1, a. 5, ad 10. 11; q. li, a. t, ad 13:
Ve vertt., q. 3, aa. 3 ss. ; De Dtv. Nom., c. 5, lect 3.
rispetto a tali cose non vi è in Dio I' idea, ne.I significato di esemplare,
ma solo nel significato di ragione [o nozione].
3. Platone, secondo alcuni, ha affermato che la materia non è
stata creata: e perciò non ammise che ci fosse un'idea della mate-
ria; ma che l' idea fosse causa delle cose insieme alla materia. Ma
siccome noi ammettiamo che la materia è stata creata da Dio, non
però priva della sua forma, secondo noi la materia ha in Dio la
sua idea corrispondente, non distinta tuttavia dal!' idea del compo-
sto. Ed invero, la materia di suo non ha nè essere nè conoscibilità.
4. I generi non possono avere un'idea distinta da quella delle
specie corrispondenti, se si prend.e idea nel senso di esemplare, per-
chè il genere non si effettua che in una qualche specie. Lo stesso si
dica degli accidenti che accompagnano inseparabilmente il soggetto:
perchè essi si attuano sempre insieme al soggetto. Gli accidenti in-
vece che si sono aggiunti al soggetto, hanno un'idea a parte. L'ar-
chitetto, infatti, con la forma della casa produce la casa e tutti gli
accidenti che l'acc·ompagnano fin dal principio ; ma quelli che si
sono aggiunti dopo alla casa già fatta, come pitture od altro., li
produce con una nuova forma. Degli individui, per Platone, non
si dava altra idea che quella della specie: sia perchè i singolari si
individuano mediante la materia, che egli poneva, a detta di alcuni,
increata e come causa simultanea all'idea; sia perchè la natura
mira alla specie, nè produce gli individui se non perchè mediante
essi si salvi la specie. Ma la divina provvidenza non si estende so-
lamente alla specie, ma anche ai singolari, come si dirà in seguito. 1
tuto tantum. Unde respectu eorum non est idea in Deo, secundum
quod idea significat exemplar, sed solum secundum quod significat
rationem.
AD TERTIUM DICENDlJM quod Plato, secundum quosdam, posuit ma-
teriam non creatam: et ideo non posuit ideam esse materiae, sed
materiae c-0ncausam. Sed quia nos ponimus materiam creatam a
Deo, non tamen sine forma, habet quidem materia ideam in Deo,
non tamen aliam ab id,ea compositi. :\iarn materia secundum se ne-
que esse habet, neque cognoscibilis est.
AD QUARTUM DICENDUM quod genera non possunt habere idéam
aliam ab idea speciei, secundum quod idea significat exemplar:
quia nunquam genus fit nisi in aliqua specie. Similiter etiam est de
accidentibus quae inseparabiliter concomitantur subiectum: qui a
haec simul fiunt cum subiecto. Accidentia autem quae superveniunt
subiecto, specialem ideam habent. Artifex enim per formam domus
facit omnia accidentia qua e a principio concomitantur domum: sed
ea quae superveniunt domui iam factae, ut picturae ve! aliquid
aliud, facit per aliquam aliam formam. Individua vero, secundum
Platonem [Phaedonis, c. 49], non habebant aliam ideam quam
ideam speciei: tum quia singularia individuantur per materiam,
quam ponebat esse increatam, ut quidam dicunt, et concausan1
ideae; tum quia intentio naturae consistit in speciebus, nec parti-
cularia producit, nisi ut in eis species salventur. Sed providentia
divina non solum se extendit ad species, sed ad singularia, ut infra
[q. 22, a. 2) dicetur.
e di Averroè, I quali sottraevano alla provvidenza di Dio, e quindi alla sua ro-
noscenza. gli Individui corruttibili. Su questo errore vedi anche q. 8, a. 3;
q. 22. a. 2.
QUESTIONE 16
La verità.
ARTICOLO 1
Se la verità sia soltanto nell' intelletto.
SEMBRA che la verità non sia soltanto nell' intelletto, ma che sia
piuttosto nelle cose. Infatti:
1. S. Agostino riprova questa definizione del vero: « il vero è quello
che si vede '' : perchè, se così fosse, le pietre che si trovano nelle vi-
scere della terra, non sarebbero vere pietre dal momento che non
si vedono. Rigetta anche quest'altra: "il vero è ciò che così appare
al soggetto conoscente, quando voglia e possa conosceTlo '' : perchè
ne segue che niente sarebbe vero, se nessuno potesse conoscere. Così
invece egli definisce il vero: «il vero è ciò che è n. E quindi la verità
è nelle cose, non già nell'intelletto.
2. Tutto ciò che è vero, è vero in forza della verità. Se dunque la
verità è solo nel!' intelletto, niente sarà vero se non in quanto è co-
nosciuto; ma questo è l'errore di antiohi fi.losofi, 2 i qua.Ii dicevano
che vero è quello che apparisce tale. Ne scguire1bbe che affermazioni
contraddittorie sarebbero simultaneamente ve.re, perchè tesi contrad-
dittorie possono apparire simultaneamente ve,re a più soggetti.
3. Dice Aristotele: «Ciò che causa in altri una data qualità, deve
possederla anch'esso e con intensità maggiore n. • Ora, a detta del
medesimo Filosofo, «precisamente dal fatto che una cosa è o non è,
• L'Importanza della presente questione è m;i,nlfesta. Come già circa la. bontà
(cfr. q. 5), anche circa la verità S. Tommaso vuole rhe Il teologo abbia !dee pre-
cise, senza di che la dottrina teologica resterebbe senza 5pina dorsale. La meta-
fl~lca è ~trumento necessario di lavoro per Il teologo che voglia non accumulare
nozioni, ma scientificamente costruire. I limr>idi~siml articoli sono da meditarsi
attentamente. Chi desiderasse ulteriori precisazlcml wnsultl I commenti di Gae-
tano e la q. 1 del ne Veritate.
2 Gli antichi filosofi, ;i, cui si accenna, sono I sofisti. Aristotele nomina espre&sa-
mente Protagora e n~rnoc,rito. Questo relativismo della conoscenza che si esprime
col detto: • 11 vero è cii) che sembra ad ognuno'" viene a galla ogni volta che si
QUAESTIO i6
De veritate
tn octo arttculos divisa.
ARTICULUS 1
Utrum veritas sit tantum in intellectu.
' Sent., d. 19, q. 5, a. 1; 1 Cont. Gent., c. 60; De Vertt. q, 1, a. 2:
t Pertllerm., lect. 3; 6 Metapllys., lect. 4.
miscono~ce il rapporto di reale dipendenza del nostro Intelletto dalle cose est·
stenti, e si fa di ess1J Il creatore o 11 fabbricatore della verità ; o, come diceva
Protagora. lo si fa " misura delle cose"· Le cose stesse allora non hanno più ve-
rità se non relativamente al molti mtellet.ti che 1·os,;ono essere contrastanti: pos-
sono essere e non essere nello stesso tempo 1uello che sono, In modo contraddit-
torio. (ARIST., I De Anima, c. 2; ~ Metaphys., c. 5).
3 Abbiamo qui la traduzione del aelebre assioma: • Propter quod unumquodque
tale, et lllud magls "· Per renderlo lntelllgitiile slamo stati costretti a servirci
del termine qualttd. Ma è evidente che quest'ultimo termine qui non va preso
nel suo rigoroso significato filosofico.
106 LA SOi\IMA TEOLOGICA, I, q. 16, a. 1
ARTICOLO 2
Se la verità sia soltanto nell' intelletto che unisce
o che separa dei concetti. •
SEMBRA che la verità sia soltanto nell' intelletto che unisce o che
separa [dei concetti]. Infatti:
1. Dice il FiloS'ofo che come i sensi nel percepire il sensibile pro-
prio • non ingannano mai, così anche I' intelletto. quando apprende
la quiddità [delle cose]. Ma la composizione e la divisione non si
verifica nel senso, e neppure nell'intelletto che conosce la quiddità.
Dunque la verità non è solo nell'atto del comporre P. del dividere
che fa l' intelletto.
2. Isacco dice che la verità è adeguazione tra la cosa e I' intel-
letto. • Ma come il giudizio intellettuale si può adeguare alle cose,
cosi anche l' intellezione dei concetti semplici, ed anche il senso che
percepisce la cosa come è. Dunque la verità non è esclusivamente
nell'operazione dell'intelletto che compone e divide.
IN CONTRARIO: Secondo il Filosofo finchè si tratta di oggetti sem-
i QUR6ta definizione è del filosofo ebreo Isacco Ber. Israell, che vis.5e In Egitto
negll anni 845·940 (vedi a. s. arg. 2). E divenuta classica nella flJ.osofla. S. Tom·
maso dice che può esprimere sia la verità del!' intelletto per rapporto alla cosa
conosciuta (verità logica), sia la vel'itA della cos1 conosciuta In rapporto ali' In·
telletto da cui dipende (verità ontologica). Difatti la si può intendere cosi: •ade·
guazione della cosa all'Intelletto da cui dipende'" allora si ha la verità onto-
logica : oppure « adeguazione dell' Intelletto conoscente alla cosa conosciuta "• e
allora sl ha la verità logica.
• Tl r~ pporto delle cose con h. immutabile lnM!lgenza divina evita gli !neon-
LA VERITA 109
autem dicitur quod "veritas est adaequatio rei et intelleclus n [ cfr.
a. 2, arg. 2], potest ad utrumque pertinere.
AD PRIMUM ERGO DICENDUM quod Augustinus loquitur de veritate
rei ; et excludit a ratione huius veritatis, comparationem ad intel-
Iectum nostrum. Nam id quoò est per accidens, ab unaquaque de-
finitione excluditur.
AD SECliNDUM DICENDUM quod antiqui philosophi species renim na-
turalium non dicebant procedere ab aliquo intellectu, sed eas pro-
venire a casu: et quia consideraibant quod verum importat compa-
rationem ad intellectum, oogebantur veritatem rerum oonstituere in
ordine ad intellectum nostrum. Ex quo inconvenientia sequebantur
quae Philosophus prosequitur in 4 Metaphys. [cc. 5, 6, lect. 9 ss.].
Quae quidem inconvenientia non accidunt, si ponamus veritatem
re.rum cons.i.stere in comparatione ad intellectum divinum.
AD TERTWM DICENDUM quod, licet veritas intellectus nostri a re cau-
setur, non tamen oportet quod in re per prius inveniatur ratio ve-
ritatis: sicut neque in medicina per prius invenitur ratio sanitatis
quam in animali; virtus enim medicinae, non s.anitas eius, causat
sanitatem, cum non sit agens univocum. Et similìter esse rei, uon
veritas eius, causat veritatem intellectus. Unde Philosophus dicit
quod opinio et oratio vera est <<ex eo quod res est», non u ex eo quod
res vera est».
ARTICULUS 2
Utrum veritas sit in intellectu componente et dividente.
I Sent., d. 19, q. 5, a. 1, ad 7; I Cont. Gent., c. 59; De Vertt., q. 1, aa. 3, 9;
I Pertherm., lect. 3; 6 Metaphys., lect. 4; $ De Anima. lect. 11.
ARTICOLO 3
Se il vero e l'ente si identifichino.'
1 In che senso vada Intesa l'affermazione dello Stagirita apparirà dalla discus-
sione che seg·ue: nell'intelletto non c'è verità propri:rn;ente intesa, e cioè come
adeg-uazione con-0sciuta o afferma.La tra il P<'nsi.ero e l:i cos1: Yerità in senso pro-
prio e formule. Nelle cose, d'altra parte, non c· è la verità se non in senso secon-
dario, per derivazione dall'Intelletto. Non nega Aristotele che nel!' Intelletto che
apprende le cose semplici e le quiddità ci sia la verità ontologica (la verità del-
1' intelletto che apprende le essenze, si trova, dice S. Tomma&o, "come in una cosa
che è vera"• cioè ad~uata a un intelletto: vale a dire adeguata a quello divino
da cui di pende ogni realtà). In que~to a.rticolo si tratta della verità In senso pro-
prio e formale.
• L'animale vede e avverte di vedere; ma avverte non con l'occhio medesimo,
ma con un oen!.Q interno, col senso comu11e lcfr. Dtz. Tam.). Essendo legato a un
organo, nessun senso è in gi'ad-0 di, ritlettere come: si richiede per avvertire ossia
LA VERITA 111
quod circa simplicia et quod quid est non est veritas, nec in intel-
lectu neque in rebus.
HEsPONDEO 01CENDUM quod vsrum, sieut dictum est [a. 1], secundum
sui primam rationem est in intellectu. Cum autem omnis res sit vera
secundum quod habet propriarn formam naturae suae, necesse est
quod intellectus, inquantum est cognoscens, sit verus inquantum
habet similitudinem rei cuguitae, quae est forma eius inquantum
est cognoscens. Et propte r hoc per conformitatem intellectus et rei
veritas definitur. Unde confonuitatem istam cognoscere, est cogno-
scere veritatem. Hanc autem nullo modo sensus cognoscit: licet
enim visus liabeat similitudinem visibilis, non tamen cognoscit com-
parationem quae est inter rem visam et id quod ipse apprehendit
d·~ ea. Intellectus autem c011formitatem sui ad rem intelligibilem
cognoscere potest: sed tarneu non apprehendit eam secundum quod
cognoscit dre aliquo 11uod quid est; s:ed quando iudiicat rem ita se
habere sicut est forma quam de re apprehendit, tunc primo cogno-
scit et dicit vernm. Et hoc facit componendo et divide11do: nam in
omni propositione aliquam formam significatam per praedicatum,
ve! applicat alicui rei sig11ifìcatae per subiectum, ve! removet ab ea.
Et ideo bene invenitur quod seusus est verus de aliqua re, vel intel-
lectus cognoscendo quod quid est; sed non quod cognoscat aut
dicat verum. Et similìter est de vocibus complexis aut incomplexis.
Veritas quide111 igitur potest esse in sensu, ve! in intellectu cogno-
sceute quod quid est, ut in quadam re vera: non autem ut cognitum
it1 cognoscente, quod importat nomen veri; perfectio enim intel-
lectus est verurn ut r:ognitum. Et ideo, proprie loquendo, veritas est
in intellectu componrnte et dividente: non autem in sensu, neque
in intellectu cognoscente quod quid est.
Et ptr hoc patet solutio ad obiecta.
ARTICULUS 3
Utrum verum et ens convertantur.
f Sent., d. 8, q. 1, a. 3; d. 19, q. 5, a. 1, ad 3, 7; De Vertt., q. 1, a. 1; a. 2, ad 1.
ARTICOLO 4
Se il bene sia concettualmente prima del vero.
di vero, poichè il vero è attritrnito alle cose a motivo del loro rapporto di con-
formità ali' intelligenza; o piuttosto a motivo del rapporto d€ll' Intelligenza ad
esse, come si è spiegato; e) l'ente è Jntelligibile perchè vero, ossia adeguato a
una intelligenza; d) Sù l'intellezione si produce. il vero delle cose diviene presente
all'Intelligenza; e) se dalla semplice intellezione si passa al giudizio, abbiamo la
verità propria e formale (cfr. SoM. FRANC., Dieu, tom. 2, nota 163).
1 L'ordine del concetti dunque è questo: ente, vero, buono. Una cosa anzitutto
è (ha ordine all'essere, possiede l'es>ere), poi è 1:era (ha ordine ali' intelligenza),
quindi è fiuona (ha or<line nlla volontà mediante la conoscenza). Questi prtma e
pot si devono intendere d1 una priorità e posteriorità non di tempo, ma di natura
o di concetto. La nozione di vero suppone e Implica quella di ente (che dunque
LA VERITÀ 115
ARTICULUS 4
Utrum bonum secundum rationem sit prius quam verum.
De Vertt., q. 21, a. 3; HelJr., c. 11, lect. 1.
AD QUARTUM SIC PROCEDITUR. Videtur quod bonum secundum ratio-
nem s.it prius quam verum. Quod enim est universalius, secundum
rationem prius est, ut patet ex 1 Physic. [c. 5, lect. 10]. Sed bonum
est universalius quam verum: nam verum est quoddam bonum, _s.ci-
licet intellectus. Ergo bonum prius est secundum rationem quam
verUlll.
2. PRAETEREA, bonum est in rebus, verum autem in compositione
et divisione intellectus, ut dictum est [a. 2]. Sed ea quae sunt in re,
sunt priora bis quae sunt in intellectu. Ergo prius est secundum
rationem bonum quam verum.
3. PRAETI::RE.-1, veritas est quaedam species virtutis, ut patet in
4 Ethic. [c. 7, lect. 15]. Sed virtus continetur sub bono: est enim
bona qualitas mentis, ut dicit Augustinus [ex 2 De lib. Arbitrio, c. 19].
Ergo bonum est prius quam verum.
SED çoNTRA, quod est in pluribus, est prius secundum rationem.
Sed verum est in quibusdam in quibus non est bonum, scilicet in
mathematicis. Ergo verum est prius quam bonum.
RESPONDEO DICENDUM quod, \icet bonum et verum supposito con-
vertantur cum ente, tamen ratione differunt. Et secundum hoc ve-
rum, absolute loquendo, prius est quam bonum. Quod ex duobus
apparet. Primo quidem ex hoc, quod verum propinquius se habet
ad ens, quod est prius, quam bonum. Nam verum respicit ipsum
esse simpliciter et immediate: ratio autem boni consequitur esse,
secundum quod est aliquo modo perfectum ; sic enim appetibile est.
- Secundo apparet ex hoc, quod cogr..itio naturaliter praecedit ap-
petitum. Unde, cum verum respiciat cognitionem, bonum autem
appetitum, prius erit verum quam bonum secundum rationem.
AD PRIMUM ERGO DICENDUM quod voluntas et intellectus mutuo se
includunt: nam intellectus intelligit voluntatem, et voluntas vult
intellectum intelligere. Sic ergo inter illa quae ordinantur ad obie-
ctum voluntatis, continentur etiam ea quae sunt intellectus ; et e
converso. Unde in ordine appetibilium, bonum se habet ut uni-
versale, et verum ut particulare: in ordine autem i11telligibilium
est e converso. Ex hoc ergo quod verum est quoddam bonum, sequi-
tur quocl bonum sit prius in ordine appetibilium: non autem quod
sit prius simpliciter.
AD sECUNDliM DICENDUM quod secundum hoc est aliquid prius ra-
ARTICOLO 5
Se Dio sia verità.
ARTICULUS 5
Utrum Deus sit veritas.
1-11. q. 3, a. 7; t Sent., d. 19, q. 5, a. 1: I Cont. Gcnt., cc. 59 ss. : 8, c. 51.
AD QUINTUM sic PROCEDITUR. Videtur quod Deus non sit veritas. Ve-
ritas enim consistit in compositione et d'ivisione intellectus. Sed in
Deo non est compositio et divisio. Ergo non est tbi veritas.
2. PRAETEREA, veritas, secundum Augustinum, in libro De Vera
Relig. [c. 36], est " similitudo principii "· Sed Dei non est similitudo
ad principium. Ergo in Deo non est veritas.
3. PRAETEREA, quidquid dicitur de Doo, dicitur de eo ut de prima
causa omnium: sicut esse Dei est causa omnis esse, et bonitas eius
est causa omnis boni. Si ergo in Deo sit veritas, ergo omne verum
erit ab ipso. Sed aliquem peccare est verum. Ergo hoc erit a Deo.
Quod patet esse fa!S'Um.
SED CONTRA EST quod dicit Dominus, Ioan. 14, 6: « Ego sum via, ve-
ritas et vita n.
RESPONDEO DICENDUM quod, sicnt dictum est [a. 1], veritas inveni-
tur in intellectu secundum quod apprehendit rem ut est, et in re
secundum quod habet esse conformabile intellectui. Hoc autem ma-
xime invenitur in Deo. Nam esse suum non solum est conforme suo
intellectui, sed etiam est ipsum suum intelligere ; et suum intelli-
gere est mensura et causa omnis alterius esse, et omnis alterius in-
tellectus ; et ipse est suum esse et intelligere. Unde sequitur quod
non solum in ipso sii veritas, sed quod ipse sit ipsa summa et prima
veritas.
AD PRIMUM ERGO DICENDUM quod, licet in intellectu divino non sit
compositio et divisio, tamen secundum suam simplicem intelligen-
tiam iudicat de omnibus, et cognoscit omnia comp.lexa. Et sic in in-
tellectu eius est veritas.
AD SECCNDUM DICENDUM quod verum intellectus nostri est secun-
dum quod conformatur suo principio, scilicet rebus, a quibus co-
gnitionem accipit. Veritas etiam rerum est secundum quod con-
ARTICOLO 6
Se vi sia una sola verità, secondo la quale tutte le cose sono vere. •
SEMBRA che vi sia una sola verità, secondo la quale tutte le cose
sono vere. Infatti:
1. Per S. Agostino niente è più grande della mente umana, tranne
Dio. Ora, la verità è superiore alla mente umana, chè altrimenti
questa giudicherebbe la verità; e invece giudica tutte le cooe secondo
la verità e non secondo se steE'-Sa. Dunque solo Dio è verità. Dunque
non vi è altra verità che Dio.
2. S. Anselmo dice che come il tempo sta alle cose temporali, così
b verità sta alle cose vere. Ora, il tempo è uno pH tutte le cose tem.
parali. Dunque non vi è che una verità, per la quale tutte le cose
&ono vere.
IN CONTRARIO: Nei Salmi si legge: "Le verità son diminuite tra
i figli degli uomini'"
RISPONDO: In un certo senso esiste un'unica verità, per la quale
tutti gli esseri son veri, mentre non è così in un altro senso. Per chia-
rire la cosa, giova riflettere che quando un aHributo si afferma di
• Nella teologia della Trinità si distinguono le proprietà dalle approprtaztont.
Proprietà è clò che conviene a una sola persona divina a esclusione delle altre
(p. es., la paternità è proprietà del Padre, la filia<.ione del Figlio .... ); appropria-
zione Invece è ciò che conviene a tutte e tre le r,ersone divine, ma si suole attri-
buirlo a una sola (le si appropria) 1Jer ragioni di somiglianza con le sue proprietà
e per meglifJ conoscerla e distinguerla. Cosi la creazione si suole appropriare al
Padre, la santificazione allo Spirito Santo. Ma sono azioni comuni a tutte le Per·
sone, come In generale tutti gli attributi essenziali e tutte le azioni riguardanti
le creature. Al Figlio si appropria la sapienza e la verità. In questo S€nso la
Verità divina, ossia il Figlio, ha un principio (il Padre) da cui procede e di cui
è somiglianza perfettissima.
• La verità è attributo essenziale di Dio In quanto appunto è comune alle tN>
Persone, come attributo proprio della natura divina che è una In tre Persone.
• La fallacia • acciden1.ls • nel ragionamento è un sofisma che consiste nel
concludere che una certa qualifica conviene a una cos<i essenzialmente P€r Il fatto
che le conviene accidentalmente. Ecco un sofisma del genere: l'uomo è specie;
ma Tizio è uomo; dunque Tizio è specie. "B evidentemente acclrtental15'51mo alla
LA VERITÀ 119
formantur suo princ1p10, scilicet intel!ectui divino. Sed hoc, pro-
prie Ioquendo, n-0n p-0test dici in ventate divina, nisi forte secun-
dum quod veritas appropriatur Filio, qui ha!)et principium. Sed si
de veritate essentialiter dieta lcquamur, non potest intelligi, nisi
resol\·atur affirmativa in negativam, 1;icut r.um dicitur, Pater est a
$C, quia non est ab alio. Et similiter dici po.test " similitudo princi-
pii ,, veritas divina, inquantum esse suum non est suo i.nte:Ilectui dis-
simile.
AD TEHTIU'W DICENDUM quod non ens et privationes non habent ex
seipsis veritatem, sed solurn ex apprehensione intellectus. Ornnis
autem appreileusio intelledus a Dea est: unde quid quid est veri-
tatis in hoc quod dico, isti.m f ornicari est verum, totnm est a Deo.
Sed si arguatur, era o ìstttm f ornìcari est a Deo, est fallacia acci-
dentis.
ARTICULUS 6
Utrum sit una sola veritas, secundurn quam omnia sunt vera.
t Sent., d. 19, q. 5, a. 2; 3 Cont. Gent., c. 47; De Vertt., q. 1, a. 6; q. 21, a. 4, ad~;
q. 27, a. 1, ad 7; Quodl. 10, q. 4, a. 1.
AD SEXTUM SIC PROCEDITUR. Videtur quod una sola sit veritas, se-
cundum quam omnia sunt vera. Quia, secundum Augustinum (15 De
Trinit., c. 1], nihil est maius mente humana nisi Deus. Sed veritas
es1 maior mente humaua: alioquin mens iudicaret de veritate ; nunc
autem omnia iudicat secundum veritatem, et non secundum se-
ipsam. Erg><> solus Deus est veritas. Ergo non est alia veritas quam
Deus.
2. PnAETEREA, Anselmus dicit, in libro De Veritate [c. 14], quod
sicut tempus se habet ad ternporalia, ita veritas ad res veras. Sed
unum est tempus omnium temporalium. Ergo una est veritas, qua
omnia vera sunt.
SED CONTH.\ r.sT quod Ìill Psalmo 11, 2 dicitur: " diminutae· sunt veri-
tates a fìliis hominum n.
Rr.sP0Nnro nrc:ENDLM quod quodammodo una est veritas, qua om-
nia sunt vera, et quodammodo non. Ad cuius evidentiam, sciendum
est quod, qunndo ali quid praedicatur uni voce de multis, illud in
realtà uomo !"essere cat:1logato dalla nostra mente negli schemi deHe categorie.
Non posso dunque concluder·e: Tizio è specie.
Cosi qui: l:i fornicazione e un fatto fisico e morale, che procede dalla volontà
disorclinata clell'uomo. A questo fatto è accidentale di essere conosciuto da me e
che io vi pronunci sopra un giudizio. Se lo formulo, esso è vero, e la fonte prima
della sua verità è qu1'lla <li tutte le cose vere, D!o. Ma tutto questo riguarda un
mondo rliverso che è in rapporto ~oltanto accidentale col fatto della fornirnzione.
• Analng-:i questione fu mossa circa la bontà nella q. 6, a. 4: "se ogni cos.1 sia
buona dell"unica Jiontà divina"· La conclusione fu, analoga!llentc a quella del
presente artic,olo: molte sono le bontà inerenti alle slng.ole wse; per questa loro
bontà ognuna è detta formalmente buona. Ma si può dire anche: c· è una sola
bontà da cui tutte le cose son dette buone, cioè quella divina, dalla quale tutti gli
enti p2rtcclpano la loro perfezione per una certa somiglianza con essa, che è il
principio efo€mplare, efficiente e flnale di tutte.
Questa considerazion-0 manifesta in che senso si nnò dire che Il mondo è di-
vino, secondo cioè I due moùi di analogia di attribU?ione e di proporzionalità
(cfr. Dtz. Tom •• • Analoga •• 2, 3), come s. Tommaso spiega nel presente articolo.
120 LA SOMMA TEOLOGICA, I, q. 16, aa. 6-7
ARTICOLO 7
Se la verità creata sia eterna.
ARTICULUS 7
Utrum veritas creata sit aeternL
Supra, q. 10, a. 3, ad 3; I Sent., d. 19, q. 5, a. 3; ! Cont. Gent., c. 35; I, cc. 82, 81:
De verti., q. 1. a. 5; De Pot., q. 3, a. 17, ad 27.
quinque. Sed horum veritas est veritas creata. Ergo veritas creata
est aeterna.
2. PRAETEREA, omne quod est semper, est aeternum. Sed univer-
salia sunt ubique et semper. Ergo sunt aeterna. Ergo et verum, quod
est maxime universale.
3. PRAETEREA, id quod est verum in praesenti, semper fuit verum
e»se futurum. Sed slcut veritas propositionis de praesenti est veri-
tas creata, ita veritas propositionis de futuro. Ergo aliqua veritas
creata est aeterna.
4. PRAETEREA, omne quod caret principio et fine, est aeternum. Sed
veritas enuntiabili um caret principio et fine. Qui a, si veritas incoepit
cum ante non esset, ve rum erat veritatem non esse: et utique aliqua
veritate verum erat, et sic veritas erat antequam inciperet. Et si-
militer si ponatur veritatem ha.bere fìnem, sequitur quod sit post-
quam desierit: verum enim erit veritatem non esse. Ergo veritas
est aeterna.
SED CONTRA EST quod solus Deus est aeternus, ut sup,ra [q. 10, a. 3)
habitum est.
RESPONDEO DICENDUM quod veritas enuntiabi!ium non est aliud
qnam veritas intellectus. Enuntiabile enim et est in intellectu, et
est in voce. Secundnm autem quod est in intellectu, habet per se
veritatem. Sed secundum quod est in voce, dicitur verum enuntia·
bile, secundum quod significat aliquam veritatem intellectus ; non
propter aliquam veritatem in enuntiaibili existentem sicut in subie-
cto. Sicut urina dicitur sana, non a sanitate quae in ipsa sit, sed
a sanitate animalis, quam significat. Similiter etiam supra [a. 1]
dictum est quod res denominantur verae a veritate intellectus. Unde
si nullus intellectus esset aeternus, nulla veritas esset aeterna. Sed
quia solus intellectus divinus est aeternus, in ipso solo veritas ae-
ternitatem habet. Nec propter hoc sequitur quod aliquid aliud sit
aeternum quam Deus: quia veritas intellectus divini est ipse Deus,
ut supra [a. 5) ostensum est.
AD PRIMUM ERGO DrCENDUM quod ratio circuii, et duo et tria esse
quinque, habent aeternitatem in mente divina.
Ao SECl'NDUM DICEND1;M quod aliquid esse semper et ubique, potest
intelligi dupliciter. Uno modo, quia habet in se unde se e:lltendat ad
omne tempus et ac! omnem Jocum, sicut Deo competit esse ubique
et semper. Alio modo, quia non habet in se quo determinetur ad
aliquem Iocum ve! tempus: sicut materia prima dicitur esse una,
non quia habet unam formam, sicut homo est unus ab unitate unius
formae, sed per remotionem omnium formarum distinguentium. Et
per hunc modum, quodlibet universale dicitur esse ubique et sem-
per, inquantum universalia abstrahunt ab hic et nunc. Sed ex hoc
non sequitur ea esse aeterna, nisi in intellectu, si quis sit aeternus.
2 L'eternità degli universali dunque (&ulla quale Insistono tanto gli innatlstl
per affermare che 11 concetto di essi non può provenire dalLe cose esistenti, le
quali non sono eterne) è un•eternltà che non ha se non una lontana somiglianza
con quella di Dio. Questa è ricchezza positiva. simultaneità di vita Interminabile,
semplicissima e perfettissima attualità onnicomprensiva. trascendente tutte le
perfezioni che nello spazio e nel tempo &i distendono. L'eternità del concetto uni-
versale invece è povertà e limite di perfezione, considerata µresclnd,endo dall'esi-
stenza che la attua nel tempo, dandole tutto quello che ha. Eternità negativa, che
non è perfezione delle cose pensate, ma del concetto In quanto concetto.
124 LA SOMMA TEOLOGICA, I, q. 16, aa. 7-8
3. Quello che esLste ora, prima di esistere era cosa futura, perchè
esisteva una causa capace di produrlo. Quindi, tolta la causa, la
sua produzione non sarebbe stata cosa futura. Ora, soltanto la causa
prima è eterna. Perciò non ne segue che sarebbe stato sempre vero
che le cose attualmente esistenti dovessero essere nel futuro, se non
dipendentemente dalla causa eterna. E tale causa è solo Dio.
4. Siccome il nostro intelletto non è eterno, neppure è eterna la
verità degli enunciati che noi formiamo, ma ha cominciato a es-
sere a un dato momento. Prima quindi che tale verità fosse, non
era vera l'aff.ermaziune che essa non esisteva se non a causa del-
1' intelletto divino, nel quale la verità è eterna. 1 Ma in q:uiesto mo-
mento è vero dire che quella verità allora non esisteva. Quest'ultima
affermazione però non è vera se non in forza di quella verità che
adesso è nel nostro intelletto, non già in forza di una verità ogget-
tiva della cosa. Perchè si tratta di una verità che ha per oggetto il
non ente: e il non ente non può -esser vero in forza di se stesso, ma
solo in forza dell' intelletto che lo concepisce. Quindi è vero dire
che la verità non esisteva, soltanto perchè noi apprendiamo la non
esistenza della Ill€de.sima come anteriore alla sua esistenza. 2
ARTICOLO 8
Se la verità sia immutabile.
t E una tendenza Incoercibile della nostra mente quella di credere cbe ci sia
una verità in sé, indipendente dalle cose stesse e dal!' intelligenza. Questa pue·
rllHà: "se non cl fosse niente, sarebbe vero che non c'è niente'" cl illude; e
quando vi si Insiste dicend-0: " se non cl fosse allora verità, sarebbe vero che non
e' è verità"• n-01 siamo tentati di ammirare questo prodigio. Ciò proviene da que·
sto cha per una finzione del nostro spirito, fatto per l'essere, noi prestiamo l'es-
sere al niente e parliamo di esso in seguito come se esiste.sse. Ma il niente non
esiste; non ha dunque nessuna qualittcanza: non è nè vero nè talso, n-0n c· è in
e&SO nè verità nè falsità. La verità appare quando appare un rapporto tra un og-
getto e una Intelligenza. Vi è dunque una verità eterna ma solo percllè c' è una
intelligenza eterna che pensa gli oggetti. DI modo elle, a prendere le cose in sé,
è vano voler provare Dio, come taluni banno tentato, per mezzo di una sedicente
verità eterna, che non ha senso se prima non si concede l'esistenza di Dio, che
invece si dovrebbe dimostrare.
Ciò cbe si può dire è che se una verità eterna esiste, esiste Dio, di m-Odo che ad
homtnem, per chi crede una verità eterna, credendo, p. es., a un mondo eterno,
l'esistenza di Dio s· impone. Ma provare Dio per mezzo della verità (non dico più
della •verità eterna .. ) è una prova autentica. Tale prova si aollega alla 4• via
dl S. Tommaso. Essa pa1·te dal ratto, che noi abbiamo l'evidenza dell'esistenza
della verità, come abbiamo quella delle cose. La verit:\ è legata alle cose come Rl
loro fondamento; a titolo formaLe essa è in noi, e poichè le cose sono, e poichè
noi siamo, anche la verità è; essa è solida come la creazione stessa. Partendo
da essa, come partendo daJ.la creazione, per ea· quae (acta sunt, con la medesima
validità, si può dunque provare l'esistenza di Dio. Queste considerazioni S-Ono del
Sertillanges (SOM. FRANC., Dteu, II, pp. 405-406).
LA VERITÀ 125
ARTICULUS 8
Utrum veritas sit immutabilis.
I Sent., d. 19, q. 5, a. a; De Vertt., q. 1, a. 6.
• Ci si trastulla quindi con enti di ragione dand-0 loro gratuitamente reale con-
sistenza, quando fingiamo di credere alla verità di simili proposizioni. Se l'ente
reale. su cui si fonrta la verità, JlfOn esistesse, non esisterebbe la verità che è ade-
guazione della cosa e dell'intelletto.. C-Osa e intelletto devono coesistere cotue
i due termini di una relazione. La verità eterna è l'Intellezione di Dio, ade-
guata, anzi identi1'cata, c.ol suo essere, nella quale tutte le cose sono pensate in
atto.
• I due termini generazione e corruzione sono propri della filosofia greco-scola-
stica; e>SI indicano una mutazlone da sostanza a sostanza: p. es., da una so-
stanza non vivente a una sostanza vivente. Una mutazione limitata alle qualità
la dicevano aUera<.ione. La mutazione sostanziale, o trasformazione, si chiama
gener11.zione In quanto è apparizione di una sostanza nuova in forza di una forma
sostanziale nuova; e si chiama corruzione In quanto è distruzione di una so-
stanza per la scomparsa della forma precedente. Donde il detto: "generatlo unius
e&t corruptlo alterius "· Cosi la forma specifica di un elemento chimico, p. es.,
il carbonio, quando viene assimilato da un vivente nella nutrizione, scompare
(si ha la corruzione del carbonio), mentre subentra la forma superiore della vita
che Impronta di sè quell'elemento facendolo vivo (generazione).
Questa trasformazione sostanziale, essendo un passaggio da torma a !orma,
suppone un elemento recettivo dell"una e dell'altra, un elemento quindi che resti
Identico sotto I due tnmini del mutamento; e si chiama "materia prima"· Qu.esta
perciò non è producibile r1er ge11erazione, ma solo per creazione (cfr. I, q. 44, a. ~}.
Genenzzzone ha un senso più sp.eeiiico, quando si tratta di viventi (cfr. Dtz. Tom.,
•Generati.on). - Anche gli ~colastic1 pi•i recenttl sostengono la validità di questa
soluzlone del problema cosmologico (cfr. Introd. Gen., nn. 165-167).
126 LA SOMMA TEOLOGICA, I, q. 16, a. 8
cose, cioè in quanto attuano quello che per esse è stato ordinato
dalla mente divina ; ma è detia v€ra anche in un suo modo partico-
lare, in quanto significa la verità dell' intelletto, la quale consiste
nella conformità tra l'intelletto e la cosa. Se scompare questa con-
formità, cambia la verità dell'opinione, e per conseguenza la verità
della proposizione. Perciò questa proposizione: Socrate siede, finchè
Soèrate di fatto siede, è vera doppiamente: vera di verità ontolo-
gica, in quanto è una data espressione verbale ; vera per il signifi-
cato (verità logica], in quanto esprime una opinione vera. Ma se
Socrate si alza, la prima verità rimane, la seconda invece viene
distrutta.
4. Il sedersi di Socrate, che è la causa d-ella verità di questa pro-
posizione, Socrn(e siede, non si può considerare :i.Ilo stesso modo
quando Socrate siede e dopo che è stato seduto e prima che sedesse.
Quindi anche la verità da esso causata presenta aspetti div.arsi (ri-
spetto al tempo], e si· esprime in diverse maniere nelle tre proposi-
zioni: al presente, al passato e al futuro. Perciò non ne viene che,
restando vera una delle tre proposizioni, resti invariaJbile un'unica
verità.
LA VERITÀ 129
sicut res aliae veritatem ha.bere dicuntur, inquantum implent id
quod de eis est ordinatum ab intellectn divino; sed dicitur habere
veritatem quodam speciali modo, inquantum significat veritatem
in1:ellectus. Quae quidem c,onsistit in conformitate intellectus et rei.
Qua quidem subtracta, mutatur veritas opinionis, et per consequens
veritas propositionis. Sic igitur haec propositio, Socrates sedet, eo
sedente vera est et veritate rei, inquantum est quaedam vox si-
gnificativa ; et veritate significationis, i11quantum significat opinio-
nem veram. Socrate vero i;urgente, remanet prima veritas, sed mu-
taturr st>cunda.
An QlJARTU!ll DICENDUM quod sessio Socratis, quae est causa veri-
tatis huius propositionis, Socrates sedet, non eodem modo se habet
dum Socrates sedet, et postquam sederit, et antequam sederet. Unde
et veritas ab hoc causata, diversimode se habet; et diversimode si-
gnificatur propositionibus de praesenti, praeterito et futuro. Unde
non sequitur quod, licet altera trium propositionum sit vera, quod
eadem veritas invariabilis maneat.
QUESTIONE 17
La falsità.
ARTICOLO 1
Se la falsità sia nelle cose.
ARTICULUS 1
Utrum falsitas sit in rebus.
1 Seni .. d. 19, q, 5, a. 1 : De Vertt., q. 1, a. 10: 5 llUtaphys., Iect. 22: 6, lect. 4.
Dopo aver esposto con mirabile chiarezza che cosa sia la falsità e dove prima-
riamente si trova, limiterà la portata di qm·•ta affermazione.
132 LA SOMMA TEOLOGICA, I, q. 17, a. 1
ARTICOLO 2
Se nei sensi vi sia falsità.
ARTICULUS 2
Utrum in sensu sit falsitas.
Infra, q. 85, a. 6; De Vertt., q. 1, a. 11 ; s De Anima., Iect. 6; 4 Metaphys., Iect. 12.
AD SECUNDUM SIC PROCEDITUR. Vid·etur quod in sensu non sit falsi-
tas. Dicit enim Augustinus, in libro De Vera Relig. [c. 33): cc Si omnes
corporis sensus ita nuntiant ut afficiuntur, quid ab e.is amplius exi-
gere debemus, ignoro ». Et sic videtur quod ex sensibuis non falla-
mur. Et sic falsitas in sensu non est.
2. PH\ETEREA, Philosophus dicit, in 4 Metaphys. [c. 5, lect. 14], quod
" falsitas non est propria sensui, sed phantasiae ».
3. PRAETEREA, in incomplexis non est verum nec falsum, sed solum
in complexis. Sed componere et dividere non pertinet ad sensum.
Ergo in sensu non est falsitas.
SED CONTRA EST quod dicit Augustinus, in libro Soliloq. [l. 2, c. 6]:
u Apparet nos in omnibus sensibus similitudine lenocinante falli ».
RESPONDEO DICENDUM quod falsitas non est quaerenda in sensu, nisi
sicut ibi est veritas. VeritM autem non sic est in sensu, ut se:r1sus
cognoscat veritatem ; sed inquantum veram apprehensionem habet
de sensibilibus, ut supra [q. 16, a. 2) dictum est. Quod quidem con-
tingit eo quod apprehendit res ut sunt. Unde contingit falsitatem
esse in sensu, ex hoc quod apprehendit vel iudicat res aliter quam
sint.
Sic autem se habet ad cognoscendum res, inquantum similitudo
rerum est in sensu. Similitudo autem alicuius rei est in sensu tri-
pliciter. Uno modo, primo et per se ; sicut in visu est similitudo
colorum et aliorurn propriorum sensibilium. Alio modo, per se, sed
non primo ; !'icut in visu est similitudo figurae vel magnitudinis, et
aliorum communium sensibilium. Tertio modo, nec primo nec per
se, sed per accidens; sicut in visu est similitudo hominis, non in-
quantum est homo, sed inquantum huic colorato accidit esse homi-
nem. Et circa propria sensibilia sensus non habet falsam cognitio-
nem, nisi per accidens, et ut in paucioribus: ex eo scilicet quod,
propter indispositio11em organi, non convenienter l'ecipit formam
sensibìlem: sicut et alia passiva, propter suam indispositionem, de-
ficienter recipiunt impressionem agenti.urrn. Et inde est quod, propter
corruptionem linguae, infirmis dulcia amara esse videntur. De sen-
sibilibus vero .communibus et p·er accidens, potest ess~ falsum i udi-
una forma o figura caratteristi ca. Si può dire che cade sotto la percezione dei
sen&i così come esso è, con tutto quello che gli appartiene. Ma propriamente par-
lando cade sotto la percezione àflll 'occt1io in quanto colorato, sotto quella del-
l'ud!t-0 ln quanto sonoro e cosi via. In quanto invece ha forma rotonda, è piccolo
o grande, in mot-0 o in quiete, non cade più soltanto sotto la vista, ma anche sotto
11 tatt-0 e sotto l'udito, sebbene ognuno di questi sensi peroep1sca queste qualità
comuni sotto un aspett-0 proprio. Forma, grandtzza, moto, quiete sono sensibtlt
136 LA SOMMA TEOLOGICA, I, q. 17, a.a. 2-3
che quando son ben disposti, possono sbagliare, perchè quelli non
cadono per se stessi e direttamente sotto i sensi, ma solo acciden-
talmente e indirettamente, in quanto hanno attinenza con altre cose.
SoLUZIOJliE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Ricevere l'impressione, per i S'ensi,
è lo stesso che se-ntire. Quindi, dal momento che i sensi ci manife-
stano le loro impressioni ne viene che noi non ci inganniamo quando
giudichiamo di sentire qualche cosa. Ma siccome talora i sensi rice-
vono un'impressione che non corrisp-0nde alle cose reali, ne viene
che ce le presentano in maniera inadeguata. Perciò siamo ingannati
dai sensi riguardo aJJe cose non riguardo al sentire stesso.
2. Si dice che l'errore non è proprio dei sensi, perchè i sensi non
si ingannano circa l'oggetto proprio. Quindi in un'altra traduzione
si dice più chiaramente che «i sensi non errano circa il sensibile
proprio n. Si attribuisce invece l'errore alla fantasia, perchè rap-
presenta l' immagi11e d.elle cose anche as.senti: per cui, quando uno
considera l' immagine della cosa come se fosse La cosa stessa, ne
risulta una falS'ità. E pe'!" questo anche il Filosofo dice che Le ombre,
le pitture e i sogni sono delle falsità, pe.rchè gli oggetti, dei quali
presentano l' immagine, non esistono.
3. L'a:rgomento prova solo che la falsità non è nel senso come in
un soggetto che conosce il vero e il falso.
ARTICOLO 3
Se la falsità sia nell' intelletto.
ARTTCULUS 3
Utrum falsitas sit in intellectu.
Infra, q. 58, a. 5; q. 85, a. 6 ; I Sent., d. 19, q. f>, a.. 1, ad 7; I Cont. Gent., e. 59;
s, c. 108 ; De Vertt., q. 1, a. 12; / Pertherm., lect. 3; s De Antma, leet. 11;
6 lltetaph.ys., lect. 4; 9, loct. 11.
di altri (cosi, p. es., il colorato è oggetto della vista); b) senstbtli comunt: quelli
che cadono non sotto uno solo, ma sotto cllversl sensi (cosi, p. es., la figura è un
sensibile comune: cade sotto la vista e sotto il tatto); e) se1Mtbtit • peT acctdens •
o improprit (cosi la vita di un animale che lo vedo è un sensibile improprio, og-
getto proprio dell'Intelletto, ma percepito Immediatamente nell'oggetto sensibile,
affermato per cosi dire riell"att!vità stessa dei sensi).
138 LA SOMMA TEOLOGICA, I, q. 17, a. 3
l'uomo potrà non avere più i due piedi, ma non cessare di essere
uomo; così la potenza conoscit.iva mai potrà venir meno nella co-
noscenza relativamente all'ogg.etto dalla cui immagine è informata;
lo può invece rispetto a quei dati che l'accompagnano o le si aggiun-
gono. Così la vista, come già vedemmo, non si inganna circa il sen-
sibile proprio, s' inganna però circa i sensibili comuni, a qucllo con-
nessi, e circa i sensibili improprii. '
Ora, come 1 sensi sono informati direttamente dal!' immagine dei
sensibili proprii, cosi l'intelletto è attuato direttamente dall' imma-
gine dell'essenza della cosa. 2 Quindi l'intelletto non può eirrare re-
lativa.mente all'essenza delle cose, come neanche i sensi rispetto ai
sensibili proprii. Invece, nell'unire o nel separare [tra loro] dei con-
cetti, può ingannarsi, quando attribuisce all'oggetto, di cui conosce
la natura, qualche cosa che è ad essa estranea, o addirittura oppo-
sta. Difatti l'intelletto nel giudicare di tali cose si trova come i sensi
nel giudicare dei sensi·bili comuni o di quelli irrnproprii. Vi è tuttavia
una differenza: come sopra si è detto a proposito della verità, il falso
può trovarsi nell' intelletto non solo perchè la conoscenza dell' intel-
letto è falsa, ma perchè l'intelletto conosce tale falsità, come co-
nosce la verità ; nei sensi invece il falso non vi si trova in quanto
conosduto, come SIÌ è detto.
La falsità propriamente si trova nell'intelletto solo quando unisce
dei concetti [nel giudizio], tuttavia può trovarsi accidentalment&
anche nella semplice apprensione, mediante la quale l' intelletto co-
nosce le essenze, perchè vi si possono nascondere delle composizioni
di concetti. E ciò può avvenire in due modi: o perchè l'intelletto
attribuisce a una oosa la definizione di un'altra, p. es., se attribui-
sce all'uomo la definizione del circolo, e in questo caso la definizione
d1 una cosa diventa falsa applicata a un'altra: oppure perchè in
una definizione uni~cc delle parti che non possono stare insieme ;
e in tal caso la defìJJizione è falsa non solo relativamente a quella
rhitn roso, ma in ~e stessa. Quando, p. es., l'intelletto forma questa
definizione, animale ragionevole quadrupede, nel definire cosi è falso,
perchè è falso quando esprime [in un giudizio] questa unione di
concetti, un certo nnimale ragionevole è un quadrupede. Percic'>
quando si tratta di conoscere delle C]IUiddità o nature semplici l' in-
telletto non può essere falso: o è vero, o non conosce assolutamente
niente. •
SOT.llZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. L'oggetto proprio del!' intelletto è
la quiddità o essenza delle cose, quindi, a rigore, si dice di conoscere
1111a data ~osa, solo quando giudichiamo di essa, riportandoci alla
sua essenza o natura, come accade nelle dimostrazioni, fatte senza
alcun errore. In questo ultimo senso va inteso il detto di S. Agostino
eh~ "chi sbaglia non ha cognizione deilla cosa in cui sbaglia,, :
nella sua attività conoscitiva non Implica nessun giudizio (non compone o divide).
è sempre vero: cioè conosce veramente ciò che nel semplice concetto roglle e nella
definizione psprime. Il concetto semplice manifesta interiormente, pone davanti
allo sgunrdo dell'anima, un'essenza o qulddità; la definizione la esprime In ter-
mini propri!. L'errore In questa conoscenza prima, da cui coerentemente dovreb-
bero derivar!' le ulteriori cono~nze che la completano, non è possibile; perchè
in essa o si coglie la realtà come è nel concetto della mente, o non -<I conosce
affatto. Nell'ulteriore processo l'errore s' lnfiltm per acctdens, per le ragioni
dette da S. Tommaso. Ma poichè I' intelletto può essere consapevole della falsità,
come è ronsapevole della verità, è possibile la correzione dell'errore e Il progresllo
nella conoscenza delle essenze (scoprendo le loro proprietà, 1 loro presupposti,
le consel(uenze che implh~ano) ~enza. uscire dalla verità. La scienza è Il complesso
orA"anlco delle conoscenze vere circa un dato oggetto, derivanti, In segult-0 ai pro-
cedimenti analitici e sintetici della ragione, dal primo Intuito della mente, che ha
colto nn 'essen1.a senza possibilità di errore.
140 LA SOMMA TEOLOGICA, I, q. 17, aa. 3-.\
ARTICOLO.\
Se il vero e il falso siano contrarii. 1
SEMBRA che il vero e iJ falso non siano contrrurii Infatti:
1. Il vero e il falso si oppongono come ciò che è e ciò che non è.:
S. Agostino, difatti, dice che il vero è ciò che è. Ora, ciò che è e ciò
che non è non si oppongono come contrarii. Dunque il vero e il
falso non sono contrarii. ·
2. Uno dei contrarii non è nell'altro. Ora, il falso è nel vero, per-
chè, al di.re di S. Agostino, u un attore non sarebbe un falso Ettore,
se n<in fosse un vero attore ». Dunque il vero e il falso non sono
tra loro contrarii.
3. In Dio non vi è alcuna contrarietà, poichè, come osserva S. Ago-
stino, niente è contrario alla sostanza divina. Ora, il falso si oppone
a Dio: infatti nella sacra Scrittura l' idolo è chiamato menzogna :
" Essi hanno abbracciato la menzogna», cioè << gl' idoli>>, spiega la
Glossa. Dunque il vero e il falso non sono oontrarii.
IN CONTRARIO: Il Filosofo insegna che l'opinione falsa è contraria.
all'opinione vera.
RISPONDO: Il vero e il falso si t>ppongono come contrarli, non già
secondo la tesi di alcuni, come l'aff.ermazione e la negazione. • Per
convincersene si osservi che la negazit>ne non importa cosa alcuna,
nè viene a determinare un dato soggetto ; e per questo motivo essa
si può attribuire sia all'ente che al non ente, come, p. es., il non ve-
dere e il non essere seduto. • Neppure la privazione importa qualche
cosa, ma determina un sogg-etto ; pexchè essa, al dire di Aristotele,
è negazione in un soggetto: cieco, p. es., non si diee se non di chi è
nato per vedere. La contrarietà invece importa l' idea di qualche
cosa, e insieme determina un soggetto ; così il nero è una specie del
colore [e si trova in un corpoì. - Ora, il falso importa qualche cosa.
La falsità infatti esiste, al dire di Aristotele, perchè una data cosa
vien detta o creduta essere quello che non è, o non essere quello che
è. E in realtà, come il vero importa un concetto adeguato alla cosa,
cosi il falso importa un concettt> non adeguato alla cosa stessa.
:E; evidente quindi che il vero e il falst> sono tra loro contrarli.
tur, non intelligit id in quo fallitur '': non autem ita, quod in nulla
operationie intellectus a.Iiquis fallatur.
AD SECUNDUM DICENDUM quod intellectus semper est rectus, secun-
dum quod intellectus est principiorum: circa quae non decipitur,
ex ead-em causa qua non decipitur circa quod quid est. Nam prin-
cipia per se nota sunt illa quae statim, initellectis terminis, cogno-
scuntur ex eo quod praedicatum ponitur in definitione subiecti.
ARTICULUS 4
Utrum verum et falsum sint contraria.
' " Si afferra facilmente in che consiste la risposta. Che una C06a non esista
nella realtà esteMore è una &emplice nega.zion.e o una privazione. L'affermazione
invece, fatta dall'Intelligenza, che quella cosa non è, Msulta posttiva e-0me l'af-
terma.zlone che essa è. La pura negazlon.e in questo caso sarebbe non dir niente,
non affermare niente, e allora non &i avrebbe l'errore•. (SERTILLANGES, SOM. FRANC.,
Dteu, II, p. 369).
LA FALSITA 143
• Cfr. I, q. 48, a.a. 2-4, dove s. Tommaso si domanda se 11 male è nel bene come In
suo soggetto. e se può corrompere tutto il bene nel quale si trova. La risposta è
che se Il male corrompesse tutto Il suo soggetto, cioè 11 be-ie in cui solo può tro-
varsi, distruggerebbe se stesso.
QUESTIONE i8
La vita di Dio.
ARTICOLO 1
Se il vivere appartenga a tutti gli esseri che sono in natura.
SEMBRA che il vivere appartenga a tutti gli esseri che sono in na-
tura. Infatti:
1. Il Filosofo dice che " il movimento è c-0me una oerta vita per
tutti gli esseri esistenti in natura"· Ora, tutte le cose partecipano
del movimento. Dunque tutte le cose naturali partecipano della vita.
2. Si dice che le piante vivono in quanto hanno in se stesse il
principio del movimento di sviluppo e di de<:rescenza. Ora, il moto
locale è più perfetto e per natura anteriore al moto di sviluppo e
di decrescenza, come lo prova Aristotele. Ma poichè tutti i corpi
fisici hanno un principio di movimento locale, è chiaro che tutti
vivono.
3. Tra tutti i corpi fisici i più imperfetti sono gli elementi. 2 Ma
ad essi si attribuisce la vita: si parla, infatti, di acque vive. Dun-
que a più forte ragione hanno vita gli altri corpi fisici.
IN CONTRARIO: Diolligi dice che " nelle piante rimane come l'ul-
tima eco della vita». Dal che si può dedurre che le piante occupano
l'ullimo gradino della vita. Ora, i corpi inanimati sono al disotto
delle piante, e quindi ad essi non si può attribuire la vita.
RISPONDO: Dagli esseri che possiedono con evidenza la vita si può
dedurre quali realmente vivano e quali non vivallo. Ora, gli esiseri
che possiedono con evidenza la vita sono gli animali: infatti, os-
serva Aristotele, « negli animali la vita è patente'" Perciò noi
dobbiamo distinguera gli esseri viventi dai non viventi in base a
quella proprietà per cui diciamo che gli animali vivono. E questa
è il segno che per primo rivela la Yita e ne attesta la presenza.
fino all'ultimo. Ora, noi diciamo che un animale vive appena co-
mincia a muoversi, e si pensa che in esso perduri la vita finehè si
ARTICULUS 1
Utrum omnium naturalium rerum sit vivere.
3 Sent., d. 35, q. t, a. 1 ; 4, d. 14, q. 2, a. 3, qc. 2 ; d. 49, q. 1, a. 2, qc. 3:
I Cont. Gent., c. 97; De Vertt., q, 4, a. 8; De Pot., q. 10, a. 1;
De Dtv. Nom., c. 6, lect. 1; tn loan., c. 17, lect. 1: I De Antma, Iect. 14: !, lect. 1.
prto. nel quale era conservato allo stato di perfetto equilibrio. Luogo proprio della
terra era il centro del mondo; quello dell'acqua era sopra la terra; quello del-
l'aria era sopra la t~i-ra e l'acqua; quello dr-1 fuoco era -<Opra l'a'rta. Fuori del
luogo proprio gli elementi erano naturalmente come a disagio e tendevano per im-
pulso naturale verso di esso.
Questo moto o tendenza degll elementi al luogo propMo, nota S. Tommaso, non
è nn muovere se stessi alla maniera dei viventi. Ed è certo che esiste una essen-
zl'.tle diversità tra il moto rlei viventi e il moto meccanico e fisico-chimico del corpi
uon viventi, comunque si cerchi di spiegarla, al di fuori dell' ingenua teoria vi-
gente al tempi dell'Autore.
Qui l'Angelico nota che la tendenza al luogo connaturale è proprietà di cia-
scun corf)O; e non sorge dalla Sf)Ontaneità od efficienza dei corpi stessi, ma dal-
l'atto proouttivo (dalla genernztone, in S<>nso scolastico, vedi Dtz. Tom.). come
complemento del loro stesso essere. E quin<li proviene dal generante, il quale pro-
duce il nuovo corpo con l'attuale tendenza al proprio luogo. II moto non proviene
dal corpo r.tesw, ma da un agente estrinseco; quindi il corpo non vivo l'On muove
se stesso. La tendenza, che è sempre attuale nei corpi, può venire impedita da un
ostacolo sopraggiunto; e in questo caso il corpo è in riposo temporaneo, flnchè
una causa non rimuova l'ost;,colo. Q11~st 'ultima ii pur essa causa del movimento;
ma è estrinseca al corpo ancor più che il ger.erante. Ad ogni modo non c'è net
corpi non vivi un Intrinseco principio di movimento. come c'è invece nel viventi.
148 LA SOMMA TEOLOGICA, I, q. 18, aa. 1-2
acque stagnanti, invece, le quali non sono alimentate da una sor-
gente perenne, sono dette acque morte, come le acque delle cisterne
e delle paludi. Ma questo è detto pe.r metafora, perchè in quanto par•?
che si muovano hanno una certa somiglianza con la vita. Peraltro
in esse non e' è la vera vita, perchè tale' movimento non l'hanno
da se stesse, ma dal loro principio generatore, come avviene del
moto dei gravi e dei corpi leggeri.
ARTICOLO 2
Se la vita sia un'operazione.
ARTICULUS 2
Utrum vita sit quaedam operatio.
Infra, q, 54, a. 1, ad 2 ; 8 Sent., d. 35, q. 1, a. 1, ad 1 ; 4, d. 49, q. 1, a. 2, qe. 8:
f Cont. Gent., c. 98; De Dtv. Nom., c. 6, lect. 1.
AD SECUNDUM SIC PROCEDITUR. Videtur quod vita sit quaedam ope-
ratio. Nihil enim dividitur nisi per ea quae sunt sui generis. Sed
vivere dividitur per operationes quasdam, ut patet per Philosophum
in 2 libro De Anima [c. 2, lect. 3], qui distinguit vivere per quatuor,
scilicet alimento uti, sentire, moveri se.cundum locum, et intelligere.
Ergo vita est operatio quaedam.
2. PRAETEREA, vita activa dicitur alia esse a contemplativa. Sed
contemplativi ab activis non diversifìcantur nisi secundum opera-
tiones quasdam. Ergo v.ita esi quaedam operatio.
· 3. PRAETEREA, cognoscere Deum est operatio quaedam. Haec autem
est vita, ut pate-t per illud loan. 17, 3: "Haec est autem vita aeterna,
ur cognoscat te solum verum Deum '" Ergo vita est operatio.
SED CONTRA EST quod dicit Philosophus, in 2 De Anima [c. 4, lect. 7]:
« vivere viventilbus est esse 11.
RESPONDEO DICENDU:M quod, sicut ex dictis [q. 17, aa. 1, 3] patet, in-
tellectus noster, qui proprie est cognoscitivus quidditatis rei ut pro-
prii obiecti, accipit a sensu, cuius propria obiecta sunt accidentia
exteriora. Et inde est quod ex his quae txterius apparent de re, de-
venimus ad cognoscendam essentiam rei. Et quia sic nominamus
aliquid sicut cognoscimus illud, ut ex supradictis [q. 13, a. 1] patet,
inde est quod plerumque a proprietatibus exterioribus imponuutur
nomina ad significandas essentias rerum. Unde huiusmodi nomina
quandoqu e accipiuntur proprie pro ipsis essentiis rerum, ad quas
significandas principaliter sunt imposita: aliquando autem sumun-
tur pro proprietatibus a quibus imponuntur, et hoc minus proprie.
Sicut patet quod hoc nomen corpus impositum est ad significandum
quoddam genus substantiarum, ex eo quod in eis inveniuntur tres
dimensiones: et ideo aliquando ponitur hoc nomen corpus ad signi-
ficandas tres dimensiones, secundum quod corpus ponitur species
quantiwtis.
Sic ergo dicendum est et de vita. Nam 11itae nomen sumitur ex
quodam exterius apparenti circa rem, quod est movere seipsum:
non tamen est impositum hoc nomen ad hoc significandum, sed ad
significandam substantiam cui convenit secundum suam naturam
movere seipsam, vel agere se quocumque modo ad operationem. Et
secundum hoc, viuerc nihil aliud est quam esse in tali natura: et
vita significat hoc ipsum, sed in abstracto ; sicut hoc nomen cursus
siguificat ipsum currere in abstracto. Unde vfoum non est praedica-
150 LA SOMMA TEOLOGICA, I, q. 18, a.a. 2-3
ARTICOLO 3
Se a Dio convenga la vita.
ARTICULUS 3
Utrum Deo convepiat vita.
I Cont. Gent., cc. !n, 98; 4, c. 11; in Ioan., c. 14, Ject. 2; I! Me!aphy1., lact. 8.
ture delle cose per mezzo delle attlvit:\ proprie, in cui si manifesta.no. E la via
per noi unica e obbligata, poiché anche per la conoscenza intellettiva siamo tri-
butari dei sensi, i quali colgono l'essere fisico in concreto, soltanto nelle sue ap-
pareu.ze e all'estern-0. L'Intelletto, che cerca di penetrare flno all"essenza, ossia
flno alla ragione &tessa del concreto apparire fenomenico, è sempre legato, per
necessaria referenza, all'origine prima del suo C-Onoscere (cfr. /, q. 84, aa. 6-8).
152 LA SOMMA TEOLOGICA, I, q. 18, a. 3
1 Il m<>w vitale o spontaneo delle piante si svolge conformemente alla loro pro-
pr·Ja natura, alla forrna sµeciftca che le costituisce, tendendo a svolgere un ciclo
- fioritura, fruttificazione. moltipllcazione dei semi - nel modo caratteristico di
LA VITA Di DlO 153
ognuna. Il principio del moto (la form1J) e Il fine a cui tendono non se lo dànno
da sè, ma sono loro preft551 e determinati dalla natura. Eseguiscono spontanea-
mente, sotto l'influsso delle cause estrinseche, un piano che non conosoono. Sono
le più vicine aIJe cause strumentali, che eseguiscono in mOdo del tutto passivo
i piani altrui.
2 Il principio (\el moto nell'animale. in quanto animale, è la torma acquistata
per mezzo dei sensi, cioè lImmagine interiore che rappresenta l'oggetto verso cui
tendert'. Il senso lrn prodotto 1· immagine;<' arl 1.'Ssa segue una determinata orien-
tazione nella tendenza dell"animale, cau&'lta In certo modo dall'animale stesso
(dal suo potere estimativo), sebbene l'influsso della natura sia preponderante.
L'animale, quindi, muove se stesso, ossia si determina all'azione In un modo più
autonnu10 che la pianta: h'I cioè più vita (cfr /, 'l· 78, ~ .. 4!.
154 LA SOMl\TA TEOLOGICA, I, q. 18, a. 3
ARTICOLO 4
Se tutte le cose siano vita in Dio.
1- li contesto da cui è preso il versetto, è noto: " omnia per lpsum (Verbum)
racta sunt et slne Ipso !actum est nihll, qu-0d tactum est; In Ipso vita erat .... •.
La l'olgata dà questa Interpunzione che è quella seguita dalla maggioranza del
LA VITA DI DIO 157
ARTICULUS 4
Utrum omnia sint vita in Deo. ·
' cont. r.mt., c. 13 ; De Verti., q. ~. a. 8; tn Ioan., c. t, lect. Il.
AD QUARTUM SIC PROCEDITUR. Videtur quod non omnia sint vita in
Dea. Dicitur enùn Act. 17, ~: "in ipso vivimus, movemur et sumus »,
Sed non omnia in Dea sunt motus. Ergo non omnia in ipso smit
·vita.
2. PRAETEREI\, omnia sunt in Dea sicut in primo exemplari. Sed
exemplata debent conformari exemplari. Cum igitur nou omnia vi-
vant in seipsis, vidctur quod non omnia in Dea sint vita.
3. PRAETEREA, sicut Augustinus dicit in libro De Vera llelig. [c. 291,
substa11tia vivens est melior qualibet substantia non vivente. Si igi-
tur ea quae in seipsis non vivunt, in Doo sunt vita, videtur quod
verius sint res in Dea quam in seipsis. Quod tamen videtur esse fal-
sum, cum in seipsis sint in actu, in Deo vero in pote.ntia.
4. PRAETEREA, sicut sciuntur a Deo bona, et ea quae fiunt secun-
dum aliquod tempus; ita mala, et ea quae Deus potf.,sl facere, sed
nunquam fiunt. Si ergo omnia sunt vita in Deo, inquantum sunt
scita ab ipso, videtur quod etiam mala, et quae nunquam fiunt, sunt
vita in Dea, inquantum sunt scita ab eo. Quod videtur inconveniens.
SED CONTRA EST quod dJ.citur Ioan. 1, 3, 4: « quod factum est, in ipso
vita erat ». Sed omnia praet.er Deum facta sunt. Ergo omnia in Doo
sw1t vita.
RESPONDEO DICENDUM quod, sicut dictum est [a. praec.], vivere Dei
est eius intelligere. In Deo autem est idem intellectus, et quod in-
t.elligitur, et ipsum intelligere eius. Unde quidquid est in Deo ut in-
tellectum, est ipsum vivere vel vita eius. Unde, cum omnia quae
facta sunt a Dea, sint in ipso ut intellecta, sequitur quod omnia in
ipso sunt ipsa vita divina.
AD PRIMUM ERGO DICENDUM quod creaturae in Deo esse dicuntur du-
pliciter. Uno modo, inquantum oontinentur et conservantur virtute
divina: sicut dicimus ea ess.e in no bi~, quae sunt in nostra pote-
state. Et sic C'reaturae dicuntur esse in Deo, P-tiam prout sunt in
propriis naturis. Et hoc modo intelligendum est verbum Apostoli
dicenti.s, «in ipso vivimus, movemur et sumus n: quia et nostrum
vivere, et nostrum esse, et nostrum mov.eri causantur a Deo. Alio
modo dicuntur res esse in Dea sicut in cognoscente. Et Slic sunt in
Deo per proprias rationes, quae non sunt aliud in Deo ab essentia
divina. Unde res, prout sic in Dea sunt, sunt essentia divina. Et
quia essentia divina est vita, non autem motus, inde est quod res,
hoc modo loquendi, in Deo non sunt motus, sed vita.
AD SECUNDUM DICENOUM quod exemplata oport.et conformari exem-
plari secundum rationem formae, non autem secundum modum
ARTICOLO 1
Se in Dio vi sia volontà.
ARTICULUS 1
Utrum in Deo sit voluntas.
Infra, q. 54, a. 2: I Sent., d. 45, a. 1 : I Con!. Gent., cc. 72, 73; 4, c. 19:
De Verti., q, 23, a. 1: Compend. 7'heol., c. 32.
ARTICOLO 2
Se Dio, oltre se stesso, voglia altre cose.
SEMBRA che Dio, o.ltre se stesso, non voglia altre cose. Infatti :
1. La volizione divina è l'essere stesso di Dio. Ora, Dio non è
altra cosa che se stesso. Dunque non vuole altro all'infuori di sè.
2. L'oggetto voluto muove la volontà come, al dire di Aristotele,
l'appetibile muove l'appetito. Se dunque Dio volesse quakhe altra
cosa oltre se stesso, la sua volontà sarebbe mossa da un oggetto di-
~tinto da lui stesso: il che è imposs~bile.
3. Una volontà, alla quale basta l'oggetto che vuole, non va in
cerca di altro. Ma a Dio basta la sua .])ontà, in cui la sua volontà si
riposa. Dunque D1o non vuole altro fumi di sè.
4. Tanti sono gli atti della volontà quanti sono gli oggetti voluti.
Se dunque Dio, oltre ad avere se stesso come oggetto del su-0 volere,
avesse anche altre cose, l'atto della sua volontà sarebbe molteplice,
e per cons·eguenza anche il suo essere, che si identifica con il suo vo-
lere. Ora, ciò è impossibHe. Dunque Dio non vuole cose distinte da sè.
1 Dlo è puro atto di volere, come è puro essere e puro pensiero. Nessuna ombra
di potenzialità, nessuna complessità di composizione In lui, ma attualità pura e
assolutamente omogenea a se stess'l. (cfr. q. 3, a. 4; q. 14, a. 4). rutto è Dio In Dio.
Ma la Deità, ossia l'eminente semplici5slma realtà divina, è volere non meno che
LA VOLONTA DI DIO 163
vocatur appetitus naturalis. Unde et natura intellectualis ad bonum
apprehensum per formam intelligibilem, similem habitudinem ha-
bet : ut scilicet, cum habet ipsum, quiescat in illo ; cum vero non
habet, quaerat ipsum. Et utrumque pertinet ad voluntatem. Unde
in quolibet habente intellectum, est voluntas; sicut in quolibet ha-
bente sensum, ost appetitus animalis. Et sic oportet in Deo esse vo-
luntatem, cum sit in eo intellectus. Et sicut suum intelligere est
suum esse, ita suum velle.
AD PR!MUM ERGO DICENDl'.M quod, Iicet nihil aliud a Deo sit finis
Dei, tamen ipsemet est finis respectu omnium quae ab eo fiunt. Et
hoc per suam essentiam, cum per suam essentiam sit bonus, ut su-
pra [q. 6, a. 3] ostensum est: finis enim habet rationem boni.
AD SECUNDUM DICENDUM quod voluntas in nt>bis pertinet ad appe-
titivam partem: quae licet ailJ appetendo n<Jminetur, non tame.n hunc
solum habet actum, ut appetat quae non habet; sed etiam ut amet
quod habet, et delectetur in ilio. Et quantum ad hoc voluntas in Deo
ponituLI"; quae sernper habet Lonum quod est eius obiectum, cum sit
inJ.ifferens ab eo socundum essentiam, ut dictum est [ad 1].
Ao TERTllJM DICENDUM quod voluntas cuius obiectum principale est
bonum quod est extra voluutatem, oportet quod sit mota ab aliquo.
Sed obiectwn divinae vo.luntatis est b<Jnitas sua, quae est eius es-
sentia. Unde, cum voluntas Dei sit eius essentia, non movetur ab
ali<J a se, sed a se tantum, eo modo loquendi quo intelligere et velle
dicitur motus. Et secundum hoc Plato dixit [Phaedri, c. 24] quod
primum movens movet seipsum.
ARTICULUS 2
Utrum Deus velit alia a se.
1 Sent., d. 45, a. 2; I Cont. Gent., cc. 75, 76, 77; De Vertt., q. 23, a. 4.
essere e pensiero. Nell'atto puro og11i attributo implica tutti gli altri ed esprime
la tot:i.lltà di questa misterios't e5sema, sotto aspetti speciali che noi non riu-
sciamo ad ;ifferrare nel loro in~ieme, dovendo necessariamente conosoore Dio nel
rlftesso delle cose, dove quegli attributi Importano reale molteplicità.
2 Cfr. p. 146, nota 1.
164 LA SOMMA TEOLOGICA, I, q. 19, a. 2
SEo CONTRA EST quod Ap<>stolus dicit, I Thess. 4, 3: "haec est volun-
tas Dei, sanctificatio vestra n.
RESPONm:o nICENDUM quod Deus non solum se vult, sed etiam alia
a se. Quod apparet a simili prius [a. praec.] introducto. Res enim
natura!is non solum habet naturalem inclinationem respectu proprii
boni, ut acquirat ipsum cum non habet, ve! ut quiescat in illo cum
habet; sed etiam ut proprium bonum in alia diffundat, secundum
quod possibile est. Unde videmus quod omne agens, inquantum est
actu et perfectum, fadt sibi simile. Unùe et hoc pe1tinet ad rationem
voluntatis, ut bonum quod quis habet, aliis communicet, secundum
quod possibile est. Et hoc praecipue pertinet ad voluntatem divi-
nam, a qua, per quandam similitudinem, de,rivatur omnis perfectio.
Uude, si res naturales, inquantum perfectae sunt, suum bonum aliJis
communicant, multo magis pertinet ad voluntatem divinam, ut bo-
num suum aliis per similitudinem c<>mmunicet, secu.ndum quod
possibile est. Sic igitur vult et se. esse, et alia. Sed se ut finem,
alia ve1,o ut ad finem, inquantum condecet divinam bonitatem etiam
alia ipsam participare.
Ao PRIML:M ERGO oICENDLJM quod, licet divinum velle sit eius esse
secundurn rem, tamen differt ratione, secundum diversum modum
i11telligendi et significandi, ut ex superioribus (q. 13, a. 4] patet. In
hoc enim quod dico Deum esse, non irnportatur habitudo ad aliquid,
sicut in hoc quod dico, Deum velle. Et ideo, licet non sit aliquid ali ud
a se, vult tamen aliquid aliud a se.
Ao SECUNDLJM DICENDUM quod in his quae volumus propter finem,
tota ratio movendi est finis: et hoc est quod movet voluntatem. Et
hoc maxime apparet in his quae volumus tantum propter finem.
Qui enim vult sumere potionem amaram, nihil in ea vult nisi sa-
nitatem: et hoc solum est quod movet eius voluntatem. Secus autem
est in eo qui sumit potionem dulcem, quam non solum propter sa-
nitatem, sed etiam propter se aliquis velle potest. Unde, cum Deus
alia a se non velit nisi propter finem qui est sua bonitas, ut dictum
est (in corp.], non sequitur quod aliquid aliud moveat voluntatem
eius nisi bonitas sua. Et sic, sicut alia a se intelligit intelligendo
essentiam suam, ita alia a se vult, volendo bonitatem suam.
· An TERTILM DICENDUM quod ex hoc quod voluntati divinae sufficit
sua bonitas, non sequitu,r quod nihil aliud ve.lit: sed quod nihil ali ud
vult nisi ratione suae bonitatis. Sicut etiam intellectus divinus, licet
sit perfectus ex hoc ipso quod essentiam divinam cognoscit, tamen
in ea cognoscit alia.
perci0. non sono identici come concetti, pur riferendo5i alla stessa realtà sem-
plice e ineffalJile; e i termini che li esprimono n-0n sono sinonimi (cfr. q. 13, a. 4).
La molter.!icità dei concett.i è un modo, il n.ostro modo - il modo analogico - di
avvicinare intellettualmente un po' più la Deità trascendente: Il solo modo possi-
bile a n-0i creature, prima di essere elevate alla visione beatifica (cfr. tbtà., a.a. 5 e 6).
3 A tutto rlg-0re, quindi, si deve concludere che Dio non ha propriamente altro
oggetto della sua volontà, che se stesso, come, e si è già visto (q. 1', a. 5), non
ha altro oggetto di cono~enza elle se stesso. I voleri di DIO relativi alle creature
sono come annegati nell'eterna compiacenza elle Dio Ila verso la propria bontà.
Sono l'amore a que5ta medesima bontà, esteso alle sue partecipazioni, di cui con··
stano le creature. Non sono, quindi, voleri particolari elle facciano addizione al
volere essenziale, come le conoscenze di Dio relative alle cose ne>n sono conoscenze
particolari addlzionall alla eterna intuizione che Dio ha di sè ; come non è ad-
dlzi-0nablle l'essere che comunica· alle creature e l'essere che gli è proprio, E que·
sto Il mistero di Dio (cfr. So~r. FRAl'iC., Dteu, III, p. 276).
166 LA SOMMA TEOLOGICA, I, q. 19, aa. 2-3
ARTICOLO 3
Se tutto quello che Dio vuole lo voglia necessariamente.
ARTICULUS 3
Utrum quidquid Deus vult, ex necessitate velit.
I Coni. Geni., cc. 80 ss.; 3, c. 97; De Veril .. q. 23, a. 4;
/Je Poi., q. 1, a. 5 ; q. 10, a. 2, ad 6.
numerum esse parem vel imparem. Sic autem non est necessarium
Socratem sedere. Unde non est necessal"ium absolute, sed potest dici
necessarium ex suppositione: supposito enim quod sedeat, necesse
est eum sedere dum sedet.
Circa divina igitur volita hoc considerandum est, quod aliquid
Deum velie est necessarium absolute: non tamen hoc est verum de
omnibus quae vult. Voluntas enim divina necessariam habitudinem
habet ad bonitatem suam, quae est proprium eius obiectum. Unde
bonitatem suam esse Deus ex necessitate vult; sicut et voluntas
nostra ex necessitate vult beatitudinem. Sicut et quaelibet alia po-
tentia necessariarn habitudinem hahet ad proprium et princip[!lr
obiectum, ut visus ad colorem ; quia de sui ratione est, ut in illud
tendat. Alia autem a se Deus vult, inquantum ordinantur ad suam
bonitatem ut in finem. Ea autem quae sunt ad fìnem, non ex ne-
cessitate volumus volentes finem, nisi sint talia, sine quibus finis
e5se non potest: sicut volumus ciburn, volentes conservationem vi-
tae; et navem, volentes transfretare. Non sic autem ex necessitate
volumus ea sine quibus finis esse potest, sicut equum ad ambulan-
dum: quia sine hoc possurnus ire; et eadem ratio est in aliis. Unde,
cum bonitas Dei sit perfecta, et esse possit sine aliis, cum nihil ei
perfectionis ex aliis accrescat; sequitur q:uod alia a se eum velle,
non sit necessarium absolute. Et tamen necessarium est ex suppo-
sitione: supposito enim quod velit, non potest non velle, quia non
potest voluntas eius mutari.
AD PRIMUM ERGO DICENDUM quod ex hoc quod Deus ab aeterno vult
aliquiù, non sequitur quod necesse est eum illud velle, nisi ex sup-
positi<me.
AD SECUNDL:M DICENDUM quod, licet Deus ex necessitate velit boni-
tatem suam, non tamen ex neoessitate vult ea quae vult propter bo-
nitatem suam: quia bonitas eius potest esse sine aliis.
Ao TERTICM DICENDUM quod non est naturale Deo velie aliquid alio-
rurn, quae non ex necessitate vult. Neque tamen innaturale, aut con-
tra naturam: sed est voluntarium.
AD QUARTL'.\t DICENDUM quod aliqua.ndo aliqua causa necessaria
habet non necessariam habitudinem ad aliquem effectum: quod est
propter defecturn effectus, et mm propter defectum causae Sicut
virtus solis habet non necessariam habitudinem ad aliquid eorum
ARTICOLO 4
Se la volontà di Dio sia causa delle cose.
SEMBRA che la volontà di Dio non sia causa delle cose. Infatti:
t. Dice Dionigi: " Come il nostro sole, non ragionando o scegliendo,
ma per la sua propria natura illumina tutte le cose capaci di par-
i Nel t Coni. Gent., c. 82 l'Angelico mette in risalto l'eminenza della divina
volont:\, appunto per l' Indeterminatezza che ha rispetto agli oggetti creati.
«Può accadere in due maniere che una virtù sia Indifferente all'una e all'altra
di due determinazioni (ad utrumlibet) ; o per parte propria, o per parte del ter-
mine a cui è rivolta. Per parte propria. q11ando non ha conseguito ancora la sua
1·e1·fezione, per la qu~e venga determinata a un solo termine. E questo mostra
l' imperfezione della virtù, e come In essa vi sia potenzialità, come vediamo nel·
l'intelletto di chi dubita, che non ha ancora raggiunto I principi! per I quali venga
spinto a una determinazione. Per parte poi del termine a cui è rivolta, si ri-
scontra che una virtù è rivolta insieme all'una e all'altra di due cose, quando la
sua perfetta operazione non dipende da nessuna delle due, ma possono nondimeno
aversi l'una e l'altra. Tale è il caso di colui che può servirsi di vari strumenti,
per condurre 11g11nlmente a termine un medesimo lavoro. Ciò non indica imper-
fezion<i della virtù, ma [Jiut.tosto la sua eccellenza, in quanto oltrepassa l'uno e
l'altro degli opposti; e per questo non si determina a nessuno dei due (esctustva-
mente), ma all'uno e all'altro. E cosi avvlen·~ nella volontà divina rispetto alle
altre coSt". Il suo fine non dipende da nessuna di esse, restando tuttavia essa unna
perfettissimamente al suo fine. Non bisogna dunque ammettere potenzialità alcuna
nella volontà divina» (trad. A. Puccetti O. P., voi. I, p. 154).
2 La volontà divina st autodetermtna: è un'espressione metaforica. In realtà
non ha bisogno di uutodetermlnarsl, perchè non c'è In essa, come si è detto nella
nota prec., nessuna Indeterminazione. f·: Intrinsecamente ab aeterno autodetermi-
nata a volere tutta la serie delle cose; ma Il rapporto tra essa e le cose è cli as-
soluta eminenza e dominio da J.oartr della volontà, il cui oggetto, voluto da essa
come fine, è tutto in sè perfetto e tutto unito e posseduto in un gaudio Infinito.
LA VOLONT A DI DIO 171
quae contingenter hic eveniunt, non propter defectum virtutis sola-
ris, sed propter defectum effectus non necessario ex causa prove-
nientis. Et similiter, quod Deus non ex necessitate velit aliquid oorum
quae vult, non accidit ex defectu voluntatis divina.e, sed e:x: defedu
qui competit volito secundum suam ratiDnem: quia scilicet est tale,
ut sine eo esse possit perfecta bonitaR Dei. Qui quidem defectus con-
sequitur omne bonum creatum.
Ao QUINTt:M ERGO DICENDUM quod causa quae est ex se contingens,
oportet quod determinetur ab alìquo exteriori ad effectum. Sed vo-
Iuntas divina, quaé ex se necessitatem habet, determinat seipsam
ad volitum, ad quod habet habitudinem non necessariam.
Ao SEXTUM DICENDUM quod, sic:ut divinum esse in se est necessa-
rium, ita et divinum velie et divinum scire: sed divinum scire habet
necessariam habitudinem ad scita, non autem divinum velie ad vo-
lita. Quod ideo est, quia scientia habetur de rebus, secundum quod
sunt in sciente: voluntas autem comparatur ad res, secundum quod
sunt in seipsis. Quia igitur omnia alia habent necessarium esse se-
cundum quod SUIIlt in Deo ; non autem secundum quod sunt in se-
ipsis, habent necessitatem abs.olutam, ita quod sint per seipsa neces-
saria; propter hoc Deus quaecumque scit, ex necessitate scit, non
nutem quaecumque vult, ex necessitate vult.
ARTICULUS 4
Utrum voluntas Dei sit causa rerum.
I Stmt., d. 43, q. 2, a. 1 ; ti. 45, a. 3 ; f Cont. Gent., c. 23:
De Pot., q. 1, a. 5; q. 3, a. 15.
Con un unico atto di volere Dio vuole se stesso e tutte le cose; ma quest'unico
atto implica un duplice rappono: il rapporto alla di vina perfezione in se stessa
e il rapporto alle cose. Il primo è necessario e naturale; è li compiacimento in·
finito che costituisce l'essere stesso della volontà e della essenza divina. Il ran-
porto alle cose invece non è necessario e naturale, ma neppure innatur;:ile o vio·
lento: è volontario. Secondo una certa convenienza consistente In ciò: che delle
cose siano volute a manifestazione della bontà divina (I Coni. Gent., c. 82). Il
compiacimento della volontà divina verso questo oggetto nulla aggiunge a quel-
l'altro compiacimento, come il rillesso della luce solare nulla aggiunge alla IU·
rnino:;ità del wle. E un n-0nare con la massima liberalità, perché ivi e· è assoluto
disinteresse.
a Proprio nella conoscenza stessa di Dio S. Tommaso trova e indica la radice
della indifferenza della volontà divina circa le co..-;e da sè distinte. Dio è intelletto
e volontà. Le due perfezioni non sono che il suo esser.e necessario. La con06cenza
però, anche in Dio, è concepita da noi come antecedente al volere e causa del
volere stesso: una causa, tuttavia, per nulla esterna a D.io, essendo essa nuH'al-
tro che il divino essere. Quindi se diciamo "che la volontà di Dio è determinata,
nel voler qualche cosa, dalla cognizione del suo intelletto, non diciamo eh.e que-
sta dtterminazione avvenga per alcunchè di estraneo a Dio'" "Infatti la volontà,
essendo rleterminata dal bene conosciuto, come da proprio oggetto, e l'intelletto
<livino non essendo estraneo alla sua volontà, poichè si identificano ambedue con
la sua e&senza, se la volontà di Dio viene determinata a voler qualcosa dalla co-
noscenza del suo intruletto, tale determinazione non avverrà per opera di una
causa estranea. Infatti l'intelletto divino non solo percepisce l'essere divino, che
è la sua b-Ontà, ma anche gli altri beni. Questi poi li conosca come Immagini della
172 LA SOMMA TEOLOGICA, I, q. 19, a. 4
tecipare della sua luce, oosi anche il b€ne divino, per la sua stessa
natura, comunica a tutti gli esseri esistenti i raggi della sua bontà ».
Ora, ogni essere che agisce per volontà agisce precisamente ragio-
nando e scegliendo. Dunque Dio non agisce per volontà. E conse-
guentemente la volontà di Dio non è causa delle cose.
2. In ogni ordine di cose viene per primo ciò che è per essenza:
p. es., tra le co~ infocate la prima è il fuoco stesso. Ora, Dio è la
causa prima. Dunque egli causa col suo essere che è la sua natura.
Agisce, dunque, per natura e non per volontà. Per conseguenza la.
volontà divina non 1~ causa delle cose.
3. Tutto ciò che causa in forza di una proprietà essenziale, causa
per natura e non per volontà. Il fuoco infatti è causa del riscalda-
mento perchè è caldo; l'architetto invece è causa degli edifici, per-
chè li vuole costruire. Ora, S. Ag·ostino afferma che " noi eaistiamo
perchè Di-O è buono n. Dunque Dio è causa delle oose per natura e
non per volontà.
4. Di una sola e identica cosa non c'è che una causa. Ora, ab-
biamo già detto che causa degli esseri creati è la scienza di Dio.
Dunque non si può ammettere che causa di questi stessi esseri sia
la divina volontà.
IN CONTMRIO: Nel libro della Sapienza è detto: cc Come potrebbe
sussistere aJcunchè se tu non l'avessi voluto?"·
RISPONDO: E necessario asserire che la volontà di Dio è causa
delle cose, e che Dio agisce per volontà e non per necessità di natura,
come alcuni hanno pensato. E ciò si può provare in tre maniere.
Primo, considerando l'ordine delle cause agenti. Infatti, siccome
tanto l'intelletto, quanto la natura agiscono per un fine, come prova
Aristotele, è necessario che alla causa naturale siano prestabiliti
da u'Ila quaJche intelligenza superiore il fine e i mezzi adatti al fine;
come alla freccia vengono determinati dall'arciere il bersaglio e la
direzi.one. Quindi una causa che opera per intelletto e volontà deve
necessariamente precedere le cause operanti per natura. E perciò,
siccome Dio è la prima delle cause agenti, è necessario ch'egli agi·
sca pe'r intelletto e volontà.
Secondo, [si prova] dal concetto di causa naturale, cui spetta il p,ro-
durre un effetto unico: perchè la natura, salvo impedimento, agisce
sempre allo stesso modo. E questo perchè la causa naturale opera
in quanto è tale: ' per cui, finchè è tale, non produce che quel parti-
colare effetto. Ora, ogni agente naturale ha un essere delimitato o
determinato. Quindi, siccome l'essere di Dio non è limitato, ma con-
tiene in se stesso tutta la pi.enezza dell'essere, non si può ammettere
che operi per necessità di natura: eccetto il caso che ve.n1sse a pro-
durre un effetto illimitato ed infinito nell'essere; e cjò è affatto im-
possibile, come si è viste_, sopra. Non agisce dunque per necessità di
natura; ma dall'infinita sua perfezione procedono eff,etti determi-
nati in conformità della determinazione del suo volere e del suo in-
telletto. 1
bontà ed essenza divina, non come cagioni (prtncipiaì di tll!>Se · e e.osi la volontà
divina tende ad essi in quanto sono convenienti, ma non nee<?~ri. adla sua
bontfl •. E richiama l'analogia della volontà nostra: ,, Lo stes.~o accade nella no.
stra volontà: quando essa tende ad una cosa. quasi assolutamente necessaria per
un fine, viene spinta verso di essa con una certa necessità; mentre 5e vi tende
soltanto per una convenienza. non ha questa spinta nec~la. Perciò nemmeno
LA VOLONTA DI DIO 173
Terzo, [si d·imostra] daJ rapporto degli effetti con la causa. Gli
effetti derivano da.Ila causa agente in quanto preesistono in essa ;
perchè ogni ag.ente produce un qualcosa che gli somiglia. 1 Ma gli
effetti pre~sistono Ml'la causa secondo il modo di essere della me-
desima. Perciò, siccome l'essere di Dio si identifica con la sua in-
telligenza, gli effetti preesistono in lui come intelligibili. Quindi, de-
riveranno pure da lui alla stessa maniera. Per consegueinza. [deri-
veranno] come oggetto di volontà: perchè appartiene alla voJontà
I' impulso a compiere quello che è stato concepito dall' intelligenza.
Quindi la voJontà di Dio è causa delle cose.
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Con queste parole Dionigi non ha
inteso negare a mo in modo assoluto la lilbera scelta, ma [solo] in
un certo senso: in quanto cioè la scelta importa una qualche discri-
minazione; [Dio invece] non comunica la sua bontà soltanto ad
alcuni esseri, ma a tutti.
2. Poichè l'essenza di Dio si identifica con la sua intelligenza e la
sua volontà, e proprio perchè Dio opera in forza della essenza, ne
segue che operi come intelligenza e come volontà.
3. Il bene è l'oggetto della volontà. Perciò l'espressione: «Noi
esistiamo perchè Dio è buono" vale in qaanto è la sua bontà a fargli
volere tutte le altre cose, come si è detto sopra.
1.. Anche in noi un solo e identico effetto ha come causa direttiva
la scienza, che ooncepisce il piano dell'opera, e come causa deter-
minante la volontà: perchè il pian0 [o lidea], in quanto è soltanto
nell' intelletto, non viene rleterminato ad essere o non essere nell'ef-
fetto se non dalla volontà. Tanto è vero che I' intelletto speculativo
direttamente non riguarda l'operazione. La potenza invece è la
causa eisecutrice, perchè essa indica il principio immediato dell'ope-
razione. Ma tutte queste perfezioni, in Dio, non sono che una. sola e
identica cosa.
ARTICOLO 5
Se alla volontà divina si possa assegnare una causL
SEMBRA che alla volontà divina si possa assegnare una causa. In-
fatti:
1. S. Agostino si domanda: " Chi oserebbe affermare che Dio ha
creato tutte le cose senza ragione?'" Ora, per una causa volontaria
que,J che forma la ragione dell'operare, è anche causa del volere.
Dunque la volontà di Dio ha una causa.
2. Alle cose che vengono compiute da uno che le vuole senza nes-
suna causa non c'è da assegnare a.Jtra causa all'infuori deJla vo-
lontà del voJ.ente. Ora, noi abbiamo dimostrato che la volontà di Dio
è la causa di tutte le cose. Se dunque non esiste una causa del volere
di Di.o, non ci sarà bisogno di cercare in tutte le cose naturali altra
causa che la divina volontà. E cosi tutte le scienze diventerebbero
inutili, perchè esse mirano a trovare le cause di determinati effetti:
' L'assioma, • omne agens agli slbi simile•, potrebbe sembrare un'affermazione
Ingenua tratta dalle osservazioni empiriche degli antichi. Ciò In parte è vero 5"
LA VOLONTA DI DIO 175
ARTICULUS 5
Utrum voluntatis divinae sit assignare aliquam causam.
t Seni., d. 41, a. 3; t Coni. Geni., cc. 86, 87 ; 8, c. 97; De rertt., q. 6, a. ! ;
q. 23, a. 1, nd 3; a. 6, ad 6; Eph.es., c. 1, lect. 1.
' Le scienze Infatti hanno di 111ir:i il sar1er• ~-"Il sapere consiste nel conoscere
le cause [prossime] per cui una cosa è, e perchè sono causa di essa., e che q1;e,rn
cosa non può essere altrimenti• (cfr. ARIST., I, Anut. l'osi., c. 2, 71 ', 9). Hicorr·ete
alla causa prima, saltando a piè 1•arl le cause seconùe, e dire: «è cosi, perth•J
così Dio ha voluto•, è fare dello pseudo misticismo, prP.clud.endo la via al sapere
scientifico e svalutandolo. I.a considerazione delle cause prossime, o ;econde, non
esclude tuttavia l'ulterl.'.lre considerazione della volontà e àell' Intelletto rlivino
quale ca.usa prima, rome dirà S. Tommaso nella risposta contro lo scientismo
LA VOLONTA DI DIO 177
quod videtur inconveniens. E::,i, igitur assiguare a.liquam causam vo-
luntatis divinae. ·
3. PRAETEREA, quod flt a volente non propter aliquam causam, de-
pendet ex simplici voluntate eius. Si igitur voluntas Dei non habeat
aliquam causam, sequitur quod omnia quae flunt, dependeant ex
simplici eius voluntate, et non habeant aliquam aliam causam. Quod
est inconveniens.
SEo CONTRA EST quod dicit Augustinus, in libro Octoginta trium
Quaest. [q. 28): "Omnis causa efficiens maior est eo quod efficitur;
nihil tamcn maius est voluntate Dei ; non ergo causa eius quae-
rend a est ,, .
RESPO:-\DEO DlCENDT.!M quod nullo modo voluntas Dei causam habet.
Ad eius evide11tiam, considerandum est quod, cum voluntas sequa-
tur iutellectum, eodem modo contingit esse causam alicuius volentis
ut velit, et alicuius int01Jigentis ut intelligat. In intellectu autem sic
est quod, si seorsum intelligat principium, et seorsum conclusio-
nern, intelligentia principii est causa scientiae conclusionis. Sed si
intellectus in ipso principio inspiceret conclusionem, uno intuitu ap-
prehcndens utrumque, in eo scientia conclusionis non causaretur
ab intellcctu principiorum; quia idem non est r,ausa sui ipsius. Sed
tamen intelligeret principia esse causas conclusionis. Similiter est
ex parte voluntatis, circa quam sic se habet flnis ad ea quae sunt
ad fìnem, sicut in intellectu principia ad conclusiones. Unde, si
aliquis uno actu ve lit finem, et alio actu ea quae sunt ad finem, velie
finem erit ei causa volendi ea quae sunt ad finem. Sed si uno actu
velit fìnem et ea quae sunt ad finem, hoc esse non poterit: quia
idem non est causa sui ipsius. Et tamen erit verum dicere quod
velit ordinare ea quae sunt ad fìnem, in finem.
Deus autem, sicut uno actu omnia in essentia sua intelligit, ita
uno actu vult omnia in sua bonitate. Unde, sicut in Deo intelligere
causam non est causa inte!ligendi effectus, sed ipse intelligit effectus
ill causa; ita velle fìnem non est ei causa volendi ea quae sunt ad
finem, sed tamen vult ea quae sunt ad fìnem, ordinari in finem.
Vult ergo hoc esse propter hoc: sed non propter hoc vult hoc.
Ao PRJMLl\I ERGO DICENDUM quod voluntas Dei rationabilis est, non
quod aliquid sit Deo causa volendi, sed inquantum vult unum esse
propter aliud.
Ao sECPNDUM DICENDl'M quod, cum velit Deus effectus sic esse, ut
ex causis certis proveniant, ad hoc quod servetur ordo in rebus;
non est supervacuum, etiam cum voluntate Dei, alias causas quae-
rere. Esset tamen supervacuum, si aliae causae quaererentur ut pri-
mae, et non dependentes a divina voluntate. Et sic loquitur Augu-
stinus in 3 De Trin. [c. 2): " Placuit vanitati philosophorum etiam
che vorrebbe incarcerare !l sapere umano nell'amllito della conoscenza delle cause
fisiche.
2 In una parola: I" intelletto divino vede il nesso eh~ e' è tra le cose, senza di-
r1endere dalle cose; è la scienza di Dio che causa questi nessi, Intendendo la di-
vina essenza come variamente partecipabile. Quindi I" intendere di Dio non ha
causa. E la volontà divina vuole che le cose esistano. cosi come I" Intelletto divino
le conosce. DI questo volere non occorre cercare altra causa. se non la bontà di-
vina che la volontà ama comunicare In varia misura alle creature. E tuttavia 11
nesso reciproco tra le cose volute·è reale, per cui una è per un'altra, voluta cosi
dalla volontà divina nel suo unico atto. La massima semplicità e Indipendenza In
Dio non esclude ma causa la complessità e r Interdipendenza delle cose.
1ì8 LA SOMMA TEOLOGICA, I, q. Hl, aa. 5-6
ARTICOLO 6
Se la volontà di Dio si compia sempre. 1
ARTICULUS 6
Utrum voluntas Dei semper impleatur.
I Sent., d. 46, a. 1 ; d. 47, aa. t, 3·; De Verti., q. 23, a. 2; I Ttm., c. 2, lect. t.
1 Secondo la cosmografia degli antichi Il prtmo cteio (IX cielo, detto anche
prtmo mobtle) sottostante all'emplroo, immobile, era causa ool suo moto circolare
di tutti I moti che avveng<>no nel corpi, Sia celesti, sia terrestri: causa universale
LA VOLONTA DI DIO 181
si aliqua causa particularis deficiat a suo effoctu, hoc est propter
aliquam aliam causam particularem impedientem, quae continetur
sub ordine causae universalis: unde effectus ordinem causae uni-
versalis nullo modo potest exir.e.· Et hoc etiam patet in èorporalibus.
Potest enim impediri quod aliqua stella non inducat suum effectum:
sed tamen quicumque eff·ectus ex causa. corporea impediente in rebus
corporalibus consequatur, oportet quod reducatur per aliquas cau-
sas medias in universalern virtutem primi caeli.
Cum igitur voluntas Dei sit liniversalis causa omnium rerum, im-
possibile est quod divina voluntas suum effectum non consequatur.
Unde quod recedere videtur a divina voluntate secundum unum
ordinem, relabituz: in ipsam secundum aliurn: sicut peccator, qui,
quantum est i~ se, recedit a divina voluntate' peccando, incidit in
ordinem divinae yoluntatis, dum per eius iustitiam punitur.
AD PRIMUM ERGO DICENDUM .quod illud verbum Apostoli, quod Deus
"vult omnes homines salvos fieri etc. », pot.est tripliciter intellig;i. Uno
rnoùo ut sit accomoda distriJbutio, secundum bune sensurp; " Deus
vult salvos fieri omnes homines qui salvantur >>: "non quia nullus
homo sit quem salvurn fieri non velit, sed quia nullus salvus fi~,
quem non velit salvum fieri, » ut dicit Augustinus [Enchirid., c. 103].
Socundo potest inteUigi, ut fìat distributio pro generilbus singulo~
rum, et ThOn pro singulis generum, secundum bune sensum: "Deus
vult de quolibet statu. hominum salvos fieri, mares et feminas, Iu-
daeos et Gentiles, parvos et magnos; non tarnen omnes de singulis
statibus n.
Tertio, secundum Damascenum [De Fide' Orth., J. 2, c. 29], intelli-
gitur de voluntate antecedente, non de ·voluntate consequente. Quae
quidem distinctio non accipitur ex parte ipsius voluntatis divinae,
iri qua nihil est prius vel posterius; sed .ex parte volitorum. Ad cuius.
intellectum, consid,erandum est·quod unumquodque, seeundum quod
bonum ·est, sic est voliturn a Deo. Aliquid autem potest esse in prima
sui considera.tione, secundum quod &bsolute consideratur, bonum
ve! malum, quod tamen, prout cum aliquo adiuncto consideratur,
quae est consequens consideratio eius, e contrario. se habet. Sicut ho-
minem vivere est bonum, et hominern occidi est malum, secundu!Ll
absolutarn considerationem: sed si addatur circa aliquem horninem,
quod sit homicida, ve! vivens in periculum multitudinis, sic bonum,
est euro occidi, et malum esbmrh vivere. Unde potest dici quod iudex
iustus antecedenter vult ornnem hornin.em vivere; sed consequenter
vult homicidam suspendL Similiter Deus antecedenter vult omnem
hominem salvari ; sed consequenter vult quosdam damnari, secun-
d um exigentiam suae iustitia.e. - Neque tarnen id quod anteceden-
ter volumus, simpliciter volmnus, .sed secundum quid. Quia voluntas
comparatur ad res, secundum quod in seipsis sunt: in seipsis autem
sunt in particulari: unde simpliciter volurnus aliquid, sec11nd11m
quod volumus illud consideratis omnibus circumstantiis particula-
del moto fisico. Il confronto tra tale motore, universale nel suo ordine, e la causa.
assolutamente universale dell'essere, che è Dio, tiene secondo il punto preciso
della somiglianza, come in ogni analogia: .tutte le cause, nell'ordine universale
del causare, dipendono dalla causa prima, come tutte le cause del moto fisico,
supponendo che ci sia una causa universale del moto fisico, dipenderebbero da
essa. La, causalità divina però comprende tutte le cause universali, essendo pro"
duttrice non solo di alcune determinazioni dell'essere, ma. di tutto l'ei.eere.
182 LA SOMMA TEOLOGICA, I, q. 19, aa. 6-7
ARTICOLO 7
Se la volontà di Dio sia mutabile.
' La c·onoscenza di Dio è più estesa, diremo così, che il volere divino. Dio co-
nosce tutti 1 posslblll, e non solo gli esistenti, conoscendo 50 stesso secondo tutti
I modi di partecipabilità. Ma Dio non vuole che tutti i possibili vengano all'esi-
stenza. Quindi la sua volontà, positivamente diremo, si porta solo agli esistenti.
E gli esistenti hanno l'essere secondo rhe ha decretato la volontà divina. •Molti
LA VOLONTÀ DI DIO 183
ribus: quod est consequenter velle. Unde potest dici quod iudex
iustus simpliciter vult homicidam suspendi: sed secundum quid vel-
let euro vivere, scilicet inquantum est homo. Unde magis potest dici
velleitas, quam absoluta voluntas. - Et sic patet quod quidquid Deus
simpliciter vult, fit; licet illud quod antecedenter vult, non fiat.
AD SECUNDUM · DICENDUM quod actus cognoscitivae virtutis est se-
cund um quod cognitum est in cognoscente: actus autem virtutis
appetitivai:: est ordinatus ad res, secundum quod in seipsis sunt.
Quidquid autem po1est habere rntionem entis et veri, totum est vir-
tualiter in Deo ; sed non totum existit in rebus creatis. Et ideo Deus
cognoscit omne verum: non tamen vult omne bonum, nisi inquan-
tum vult se, in quo virtualiter omne bonum existit.
AD TERTit:M DICENDUM quod causa prima tunc potest impediri a
suo effectu per defectum causae secundae, quando non est univer-
saliter prima, sub se omnes causas comprehendens: quia sic effectus
nullo modo posset suum ordinem evadere. Et sic est de voluntate
Dei, ut dictum est [in corp.].
ARTICULUS 7
Utrum voluntas Dei sit mutabilis.
t Seni .. d. 33, q. 1, a. 1 ; 11. 48. q. 2. a. 1, aù 2:
1 Ccnt. Gent .. ~. e2; 8, ce. 91, 96, 98:
De Vertt., q, 12, a. 11, ad 3; Hebr., c. 6, Iect. 4.
benl sono possibili e tuttavia non si fanno"· Il bene possibile non è, strettamente
parlando, un hene, perché il bene è proprietà dell'&s!stente. Si pnò dire tuttavia
che Dio ama ogni bene, anche I beni possil11!1, In quanto ama se stesso, bene Infi-
nito, virtualmente contenente tuttl i possibtll beni.
184 LA SOMMA TEOLOGICA, I, q. 19, a. 7
si mutino alcune cose. Infatti, uno, pur rimanendo ferma e im-
mobile la sua volontà, può volere che ora avvenga una co-sa, e in
seguito che avvenga il contrario. Invece si avrebbe cambiamento di
volontà se uno cominciasse a volere ciò che prima non vo-leva, o
SP cessasse di volere quello che voleva. E questo non può accadere
se non viene presupposto un mutamento o 11eJla conoscenza, o nelle
disposizioni intrinseche del soggetto volente. Infatti, siccome la vo-
lontà ha per soggetto il bene, può avvenire in due maniere che uno
cominci a volere una cosa. Primo, perchè quella tale cosa comincia
ad ess<:r per lui un bene. E cii; non è senza una sua mutazione;
e11me, P. PS., quando a.I venire del freddo, comincia ad essere bene
starsene a! canto del fuoco, mentre prima non lo era. Secondo, per-
chè uno viene a conoscere che quella data cosa è huona per lui, men-
tre prima lo ignorava; non per nulla ci tocca riflettere per sapere
qur.llo che per noi è tene. Ora, sopra abbiamo dimostrato che tanto
la sostanza di Dio, quanto la sua scjenza sono del tutto immutabili.
Perciò è necessario che anche la sua volontà sia assolutamente im-
rnu tabi! c.
SOLCZIO:'\F. DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Quelle parole del Signore devono
essere intese metaforicamente, per una certa analogia col nostro
modo di fare ; infatti, quando noi ci pentiamo, distruggiamo queJio
che abbiamo fatto. Quantunque ciò possa avvenire anche senza mu-
tamento di volontà, perchè un uomo, senza mutare volontà, può,
talora, voler fare qualche cosa, e aJ tempo stesso ave·r lintenzione
di distruggerla in seguito. Così, dunque, è detto per una somiglianza
col nostro modo di agire, che Dio si pentì in quanto con il diluvio
distrusse dalla faccia della terra 1'uomo che aveva creato.
2. La volontà di Dio, causa prima e universale, non esclude le
cause intermedie, che hanno il potere di produrre effetti determinati.
Ma poichè tutte le cause seconde non adeguano la virtù della causa
prima, vi sono molte co.se, come la resurrezione di Lazzaro, p, es.,
che non sono sottoposte aJ dominio delle cause inferiori, ma rien-
trano nella potenza, nella scienza e nella volontà di Dio. Quindi,
uno, guardando alle cause inferiori, poteva dire: Lazzarn non risor-
(ferà; guardando, invece, alla prima causa divina, poteva dire:
f,azzaro risor(ferà. Ora, Dio vuole l'una e l'altra cosa, cioè che un
dato evento debba avvenire in forza delle cause inferiori, e che, tut-
tavia, non possa avvenire in forza di una causa superiore ; oppure
viceversa. Così dunque deve dirsi che Dio talora annuncia un av-
venimento che dovrebbe accadere secondo che è contenuto nell'or-
dine delle cause inferiori, p. es., secondo le disposizioni di natura o
di merito ; e che tuttavia non si compie, perchè è stato stabilito di-
versamente nella superiol'e causa divina. Così nella sacra Scrittura
Dio fece ad Ezechia questa predizione: cc Dài le disposizioni per la
tua casa, perchè morrai e non guarirai più" ; e tuttavia ciò non
avvenne, perchè fin dall'eternità era stato deciso altrimenti nella
scienza e nella volontà divina, la quale è immutabile. • Per tale mo-
tivo S. Gregorio dice che «Dio muta sentenza, ma non muta con-
siglio n, cioè [il consiglio} della sua volontà. - Perciò le parole di
1 Ecco .il dranunatlco racconto dì questo episodio. cui si accenna nel testo: «In
quel giorni, Ezechia si ammalò a morte ; e ree.ossi da lu1 il profeta Isaia, figlio di
Amo:>, e gli disse: "Cosi dice Il Signore: - Dà! le disposizioni per la tua casa,
LA VOLONTÀ DI DIO 185
perchè morrai e non guarirai più - "". Ed Ezechia volse la laccia alla parete e
pregò 1l Signore, e disse: "Deh ! Signore. ricorda <ome io ho camminato dinanzi
a te con fedeltà e con pe1·fetto ·~uore, e ciò che ho creduto huono ai tuoi occhi 1· ho
fatto··. Poi dette in un gran pianto. E il Signore comunicò la sua parola a Isaia
nicenoogll: "Va', e lii' a Ezect!ia: - Il Signore Dio di David tuo padre dice cosi:
Ho udito la tua preghiera, e ho veduto le tue lacrime: ecco eh' io aggiungerò
quindici anni ai giorni della tua vita. E dalle mani del re degli Assiri io scam-
però te e questa città e la proteggerò•. (ls., :J8. J-6.)
186 LA SOMMA TEOLOGICA, I, q. 19; aa. i-8
ARTICOLO 8
Se la volontà di Dio renda necessarie le cose volute.
che vuole, ma non tutte.• Ora, alcuni hanno volaito trovare la ragione
di ciò nelle cause intermedi.e: [e affermano] che le cose che Dio pro-
duce mediante cause necessarie, sono necessarie ; qu€11e, invee€, che
produce mediante cause contingenti, sono contingenti. - Tale spiega-
zione, però, è insufficiente, per due motivi. Primo, perchè l'effetto
di una causa anteriore viene reso contingente da una causa seconda
i11 quanto l'effetto di quella è frustrato dalla deficienza di questa;
come la virtù del sole può diventare inefficace per u11 difetto della
pianta. Ora, nessuna deficienza di una causa seconda può far sì che
la volontà di Dio non produca il suo effetto. - Secondo, perchè se la
ARTICULUS 8
Utrum voluntas Dei necessitatem rebus volitis imponat.
t Cont. Gent., c. 85; 2, cc. 29, 30; De Ve1·1t., q. 23, a ~; De Malo, q 16, a. 7, ad 15;
Quodr. 11, q. 3 ; 12, q. 3, ad 1 ; t Pertherm., lect. 14.
AD OCTAVUM SIC PROCEDITliR. Videtur quod voluntas Dei rebus vo-
litis necessitatem imponat. Dicit enim Augustinus, in Enchirid.
[c. 103]: " Nullus fit salvus, nisi quem Deus voluerit sai vari. Et idoo
rogandus est ut velit, quia necesse est fieri, si voluerit ».
2. PR.\ETEREA, omnis causa quae non potest impediri, ex necessitate
suum effectum producit: quia et natura semper idem operatur, nisi
aliquid impediat, ut dicitur in .2 Physic. [c. 8, Iect. 14]. Sed voluntas
Dei non po test impcdi.ri: dicit enim Aposto! us, ad Rom. 9, 19: cc vo·
luntati enim eius quis resistit? "· Ergo voluntas Dei imponit rebus
volitis nece.ssitatem.
3. PRAETEREA, illud quod habet necessitatem ex priori, est neces-
sarium absolute: sicut animai mori est necessarium, quia est ex
contrariis oompositum. Sed res creatae a Deo, comparantur ad vo-
luntatem divinam sicut ad aliquid prius, a quo habent necessita-
tem: cum haec conditionalis sit vera, si aliquid Deus vult, illud est;
ornnis aut.em conditionalis vera est ne.cessa.ria. Sequitur ergo quod
omne quod Deus vult, sit necessarium absolnte.
SEn CONTRA, omnia bona quae fiunt, Deus vult fieri. Si igitur eius
voluntas imponat rebus volitis necessitatem, sequitur quod omnia
bona ex necessitate eveniunt. Et sic perit liberum arbitrium, et con-
silium, et omnia huiusmodi.
RESPONDFO DICE1'DlJl\1 quod divina v·oluntas quibusdam volitis ue-
cessitatem imponit, non autem omn;bus. Cuius quidem rationem
aliqui assignnre voluerunt ex causis mediis: quia ea quae producit
per ca11sas necessarias, sunt necessaria; ea vero quae producit per
causns contingentes, sunt contingentia. -- Sed hoc non videtur suffi-
cienter dictum, propter duo. Primo quidem, quia effectus alicuius
prima.e causae est contingens propter causam secundam, ex eo quod
impeditur effectus causa.e prima.e per defectum causae secu,ndae ;
sicut virtu~ solis pe•r defecturn p!antae impeditur. Jl\ullus autem de-
fectus causae secundae irnp·edire potest quin voluntas Dei effectum
suum producat. - Secundo, quia, si distinctio contingentium a ne-
• La conclusione dell'articolo oosl viene illustrata. da. Dante Alighieri:
•La. rontingenza. rhe fuor de.I quaderno
de la vo:::.tra ma.tera non si stende,
tutUI. è diµ1nta n~l co!5petto eterno;
necessità però quindi non prende,
se non come dal viso in che si specchia
nave che per corrente giù discende •.
f Paradilo. xvn, 37-0l-
188 LA SOMMA TEOLOGICA, I, q. 19, aa. 8-9
ARTICOLO 9
Se Dio voglia il male.
ARTICULUS 9
Utrum voluntas Dei sit malorum.
Infra, q. 48, a. 8; I Seni., d. 46, a. 4 ; 1 Cont. Geni., c. 95; De Poi., q/t, a. e;
De Malo, q. 2, a. 1, ad 16.
' Le inrlinazioni, tendenze o appetiti, negli esseri, sono di tre specie, come gli
esseri stessi. Gli esseri non dotati di conoscenza non hanno che una Inclinazione
natura.le verso fini che non conoscono affatto. Tale Inclinazione In terminologia
sc.o'.astic<1 si chiama apperilo natwn/e. Gli r'~rri dotati di conos•·onza sensitiva.
oltre la tendenza naturale, hanno un 'altra tendenza. che r.onsegue alla percezione
sensitiva: In terminologia scolastic~ si chiam:i 11ppctito sensitivo. Negli eswri do
tntl di lnt,elletto c'è ino!tre la voi onta. o appetito tntelletlivo, che tncllna Il sog-
geìto verso le c.ose conosciute per mezzo della ragione: conosciute cioè propria-
mente come frni o come mezzi proporzionati al fine. Ogni operazione procede da
un ap[Jetito ed è necessaria mente relativa a nn fine. Il fine è sempre un bene. Gli
fsserl non conoscitivi, o dotati soltanto di cono~nza sensitiva tendono a fini pr<'-
LA VOLONTA DI DIO 191
ARTICOLO 10
Se Dio abbia il libero arbitrio.
ARTICULUS 10
Utrum Deus habeat liberum arbitrium.
I Sent., d. 95, q, I, a. 1; I Cont. Gent., c. 88; De Vertt., q. 24, a. 3;
De Malo, q. 16, a. 5.
ARTICOLO 11
Se si debba distinguere in Dio una vowntà signilfoata.
soggetto attributi opposti che si escludono (p. es.: gli uomini sono buoni, gli uo-
mini sono cattivi; Dio vuole che li male esista, Dio vuole che Il male non esista).
Queste proposizioni non posson.o essere tutte e due vere, ma possono essere tutte e
due false. Non si può porre in Dio nè la contraddizione nè la r.ontrarietà. Per/\
S. T0mmaso dice: Dio nè vuole che il male sia, nè vuole che li male non sia; ma
m1nle pe1·metrerlo: cioè vuole non impedirlo. Di questo voler non impedirlo 1:1
ragione si è rhe dal male può uscire accidentalmente il tiene. E al tiene è diretto
il v0lere divino. "Chi dice: voglio che il male sia, (Jrende su di sè la responsa-
bilità del male e non quella della sua ut!lità, che è ad E:sso accidentale, come dice
!I nostro autore. Chi dioe: voglio lasciare Il campo libero al male per non strap·
J.l<lre il buon grano insieme con la gramigna, non fa nulla di simile,, (SERTILLAN·
GES, 80~1. FRANC., Dteu, III, p. 281).
• Può volere che una cosa sia oppure non sia, s'intende ,, assolutamente par-
lando»; badando cioè soltanto al nesso che e' è tra le cose volute e la volontà di
Dio, e non alla Immutabilità di Dio. Questo nesoo non. è necessario per le ragioni
dette nell'articolo 3, onde si deve dire che è libero.
Per meglio comprendere In che cosa propriamente consista la libertà del volere
divino, consideriamo gli elementi che ci sono In un atto di volizione. e· è l'atto
di volere, l'oggetto voluto, Il nesso tra l'uno e l'altro. Quando il nesso tra l'atto
del volere e l'or,getto volnto nqn è nec.e's'u·io (ossia la rag-ione determinativa del
voler quell'oggetto, non è nè l'oggetto stesso, nè una qualche necessità Intrinseca
al soggetto che vuole), allora guell 'atto è libero ; altrimenti no.
LA VOLONTA DI DIO HJ5
ARTJCULUS 11
Utrum sit disti11guenda in Deo voluntas signL
1 sent., d. 45, a. 6; De Vertt., q. 23, a. 3.
Ao UNDECIMUM SIC PROCEDITl:R. Videtur quod non sit distinguenda
in Deo 1;olunlas siyni. Sicut enim voluntas Dei est causa rerum, ita
et scientia. Sed non assignantur aliqua signa ex parte divinae scien-
Quando l'oggetto voluto non sempre è voluto, o non è voluto nello stesso modo
dal soggetto, e reca, quando è conseguito, nna. qualche perfezione al soggetto
sk'SSo, allora si ha inoltre contingenza e mutabilità. Cosi arcade sempre negli
atti liberi delle creature. In Dio Invece, se ne eonsi<Jerlanio il volere In rappo1to
i.Ha essenza, Il nesso tra l'uno e l'altra appare evidentemente necessnrio (sono in-
fatti un'Identica cosa); e perciò diciamo che l)i,o ama se. stesso, ossia la sua
bontà, di necessità ~ssoluta. In~ltre essa è ab net.erno amata, ab aeterno è il suo
stesso essere; qulnlli non si può neppure conce1iire la contingenza e la mutabilità
In Dio. Non c'è libertà in questo necesonrio •. olere, nè rnntingenza; mentre nelle
creature, anche quando vogliono un oggetto ne.ressariamente, lo vogliono oontin·
y.entemente e mutallilmente, perchè 11 loro volere non è Il !oro essere, e e' è ln esse
i:·assaggio dalla potenza .iil'atto. Se poi si consiclerano Il volere divino e le cre.a-
tu1·e da esso volute, allora, poichè la ragione determinativa del volerle non pro-
viene dalle cose create nè da una ne<'essità intrinseca a Dio (la cui perfezione ha
tutta la sua consistenza lndipenllentemente dalle cose, le quali nulla gli aggiun-
gono) allora l'atto del volere si deve dire libero. E polchè ab aeterno le creature
sono volute, e con quel medes1 mo atto con cui Dio vuole la sua bontà, si deve dire
che l'atto libero in Dio non introduce nè contingenza. nè mutabilità. L'unico sem-
i;lterno atto del divino volere, che è realmente id<'ntico con la divina essenza,
realizza In sè tutta la reale pe1·fezione dell'atto Jlbero, In quanto Il nesso con le
cose volute non Implica nessuna necPs~ltà.
TI volere qualifica propriamente Il soggetto che vuole; è una perfezione Im-
manente al ooggetto che pone il sog!!etto stesso In 1111 rapporto di compiacimento
196 LA SOMMA TEOLOGICA, I, q. 19, a. 11
con la cosa voluta.. Questo è il &ignlfìcato pro~rio di volontà. Essa c'è in DI<> In
raodo eminente, come si ~ detto finora; e non è altro che la sua stessa b<>ntà [es-
sere, cognizione. amore] la quale Infinitamente si compiace di se stessa e delle
partecipazioni poste nelle creature. La s1 chiama volontà dt beneplactto.
'°
' La volontà dt segno stont(icata, di cui In questi due ultimi articoli, è una
metafora desunta dal nostro modo di parlare: quello che tr. n0i è segno di volontà
(come il comando, la proibizione) quando proviene da Dio, lo diciamo volontà di
Dio: volontà significata in un quaiche effetto di essa. L'effetto st€8so viene detto
• volontà di Dio•.
LA VOLONTA DI DIO 197
tiae. Ergo neque debent assignari aliqua signa ex parte divinae vo-
Iuntatis.
2. PRAETEREA, omne signum quod non concordat ei cuius est si-
gnum, est falsum. Si igitur signa quae assignantur circa voluntatem
divinam, non concordant divinae voluntati, sunt falsa: si autem
concordant, superflue assignantur. Non igitur sunt aliqua signa
circa voluntatem divinam assignanda.
SEo CONTRA EST quod voluntas Dei est una, cum ipsa sit Dei es-
sentia. Quandoque autem pluraliter signifìcatur, ut cum dicitur
lPs. 110, 2]: "magna opera Domini, exquisita in omnes voluntatts
eius ». Ergo oportet quod aliquando sìgnum voluntatis pro volun-
tate accipiatur.
RESPONnEo DICENDUM quod in Deo quaedam dicuntur proprie, et
quaedam secundum metaphoram, ut ex supradictis [q. 13, a. 3] patet.
Cum autem aliquae rJassiones humanae in divinam praedicationem
metaphorice assumuntur, hoc fit secundum similitudinem effectus:
unde illud quod est signum talis passionis in nQbis, in Deo nomine
illius passionis metapliorice significatur. Sicut, ap11d nos, irati pu-
nire consueverunt, u1111de ipsa punitio est signum irae: et propter
hoc, ipsa punitio nomine irae signifìcatur, cum Deo attribuitur.
Similiter id quod solet esse in nobis signum voluntatis, quandoque
rnetaphorice in Deo voluntas dicitur. Sicut, cum aliquis praecipit
aliquid, signum est quod velit illud fieri: unde praeceptum divi-
num quandoque metaphorice voluntas Dei dicitur, siecundum illud
Matth. 6, IO: "fiat voluntas tua, sicut in caelo et in terra». Sed
hoc distat inter voluntatem et iram, quia ira d.e Deo nunquam
proprie dicitur, cum in suo principali intellectu includat passio-
nem : voluntas autem p1'0prie de Deo dicitur. Et ideo in Deo distin-
guitur voluntas proprie, et metaphorice dieta. Voluntas enim pro-
prie dieta, vocatur voluntas beneplaciti: voluntas autem metapho-
rice dieta, est voluntas signi, eo quod ipsum signum voluntatis vo-
luntas dicitur.
Ao PRIMliM ERGO DICENDUM quod scientia non est causa eorum quae
fiunt, nis.i per voluntatem: non enim quae scimus facimus, nisi ve-
limus. Et ideo signum non attribuitur scientiae, sicut attribuitur
voluntati.
AD SECUNDUM DICENDUM quod signa voluntatis dicuntur voluntates
divina.e, non quia sint signa quod Deus velit: sed quia ea quae in
nùbis solent esse signa volendi, in Deo divinae voluntates dicuntur.
Sicut punitio non est signum quod in Deo sit ira: sed punitio, ex
eo ipso quod in nobis est signum irae, in Doo dicitur ira.
2 n volere divino è del tutto Immanente a. Dio: s' ldent!llca col suo essere.
E lnetrablle: nessuna espres~ione per noi è PQssilille. La si~niftcazione della vo-
lontà divina può dirsi volontà divina per pura metafora, essendo estrinseca a
Dio; come quando si parla di. ira divina. Gli uomini, neppur essi, esprimono sem·
rore la loro volontà nei segni. quando, p. es .. non sono sinceri. Ma la volontà di
benepladto di Dio non può essere espressa in nessun segno, polchè essa in realtà
non è altro che I' infinito compiacimento oolla bontà divina, nella quale vlrtual·
mente è Incluso tutto ciò che Dio dona, proibisce, permette, comanda, consiglia
alle creature.
198 LA SOMMA TEOLOGICA, I, q. 19, a. 12
ARTICOLO 12
Se sia esatto stabilire che cinque sono i segni della volontà di Dio.
SEMBRA che non sia esatto stabilire che cinque sono i segni della
volontà di Dio e cioè: la proibizione, il precetto, il consiglio, l'ope-
razione e la permissione. Infatti:
l. Dio, talora, opera in noi quello che ci comanda o ci consiglia,
e qualche volta ci permette quello che ci proibisce. Dunque tali ter-
mini non si possono distinguere tra lorn.
2. Dio niente opera senza volerlo, come dice la Scrittura. Ora, la
volontà significata si distingue dalla volontà di beneplacito. Dunque
l'operazione non deve classificarsi sotto la volontà significata.
3. L'operazione e la perm.issione riguardano tutte le creature, per-
chè Dio opera in tutte le creature ed in tutte permette che qualcosa
accada. Invece il precetto, il consiglio e la proibizione riguardano
le sole creature ragionevoli. Dunque non sono ben classificati sotto
un'unica divisione, non appartenendo al medesimo ordine di cose.
4. Il male accade in più modi che il bene ; perchè il bene si attua in
una sola maniera, ed il male in tutte le maniere, come notano Ari,sto-
tele e Dionigi. Non è dunque esatto stalbililf'e per il male un solo segno,
cioè la proibizione, e due per il bene, cioè il consiglio ed il precetto.
RISPONDO: Si dicono segni [o espressioni) della volontà quelli, c-0n
i qua,]i noi siamo soliti fare intendere che vogliamo qualche cosa.
Ora, uno può mostrare che vuole qualche cosa o da se stesso, o me-
diante un altro. Da sè, quando compie direttamente, o indirettamente
ovvero accidentalmente qualche cosa. Direttamente agisce quando
compie di proposito qualche cosa: e in questo si ha il segno detto
operazione. Agisce poi indirettamente, quando non pone ostacoli ad
un dato evento: difatti chi elimina l'ostacolo, merita il nome di mo-
vente accidentale, come dice Aristotele. E con questo abbiamo il se-
gno detto permissione. Uno poi manifesta di v,olere qualche cosa per
me·zzo di altri, in quanto dispone altri a compierla; e questo o con
una disposizione obbligatoria, comandando quello che vuole e proi-
bendo il contrario; o con la persuasione che corrisponde al consiglio.
Qui11di, siccome questi cinque termini corrispondono ai modi di
manifestare la propria volontà, rispetto a una cosa, talora vengono
chia.mnti col nome di volontà divina, in quanto sono segni della me-
desima. Difatti dal testo del Vangelo, «si faccia la tua volontà,
come in cielo, così in terra n, appare evidente che il precetto, il
consiglio e la proibizione si dicono volontà di Dio. La permissione
poi e l'operazione si dicono anch'esse volontà di Dio, come nel passo
di S. Agostino: cc Niente avviene, senza che l'Onnipotente voglia che
avvenga, o la.sciando che si effettui, od operando lui ste5'SO n.
Si potrebbe anche dire che la permissione e l'operazione si riferi-
scono al presente; la permissione, relativa.mente al male ; l'opera-
zione, riguardo al bene. Al futuro, invece, si riferiscono: rispetto
al male, la proibizione; rispetto al bene neCiessario, il precetto ; ri-
spetto al tene supererogatorio, il con.dolio.
LA VOLONT A DI DIO 199
ARTICULUS 12
Utrum convenienter circa divinam voluntatem Ponantnr
quinque signa.
I Sent., d. !&5, a. !a; De Vertt., q. 23, a. 3.
' Nel De Vertt . , q. 23, a. 3, ad 2, S. T·ommaso chiarisce nel seguente modo que-
sta dottrina: "la volontà significata in tre modi ha rapporto con I.a volontà di
beneplacito: a) c'è un.a volontà significata che giammai concorda e coincide con
la volontà di beneplacito; tale è la volontà di permissione, con cui Dio permette
che il me.le m-0rale avvenga, mtmtre m~i vuole che esso avvenga. b) e· è una vo-
lontà significata che 11empre concorda e coincide con la volontà di beneplacito; e
LA VOLONTÀ DI DIO 201
ARTICOLO 1
Se in Dio ci sia l'amore.
cioè lintelletto deve giudicare della realtà conformemente alle idee - la mede-
sima !acoltà mostra ad tSSU che il contenuto delle idee è veramente attuato nella
realtà concreta (cfr. I, q. 84, aa. 7-8). Parimente nella facoltà appetitiva umana e' è
lo stesso legame tra volontà e appetito sensitivo. La volontit, appetito del bene
universale muove all'azicme mediante l'appetito del bene particolare. Soltanto ne.i
beni particolari, Infatti, sono realizzate, per noi uomini, le effettive partecipazioni
del bene. Sicchè e' è tutto il nostr•> essett psico-tisico In ogni nostra att.ività, sia
conoscitiva, sia ve.liti va. Le conseguenze sono quelle notate dall'Angelico: cioè
e' è sempre trasmntaiion~ ftslca, o passione, ln no\, anche quando la nostra atti
vità è più elevata, comunque si spieghi il giuoco concatenato dei movimenti fisio-
logici del nostro organismo. Noi non possiamo spogliarci delle passioni. Le quali,
del resto, in se stesse non sono un male, ma un bene, anche moralmente parlando
(c1r. I-II, qq. 22·25. specialmente q. 24, a. !.!).
206 LA SOMMA TEOLOGICA, I, q. 20, aa. 1-2
ARTICOLO 2
Se Dio ami tutte le cose.
' Nessuna composizione ha luogo in Dio, perchè nessuna relazione reale e' è in
Dio che lo ordini a noi. " Da Dio a noi, e da noi a Dio, le relazioni salgono e in
nessun modo discendono "• nota il Sel'tillanges. Ogni creatura è relativa a Dio, ma
Dio non è l'elativo a nulla, a causa della sua sovrana indipendenza. Per mezzo
L'AMORE DI DIO 207
AD TERTIUM DICENDUM quod actus amoris semper tendit in duo:
scilicet in bonum quod quis vult alicui ; et in eum cui vult bonum.
Hoc enim est proprie amar€ aliquem, velie ei bonum. Unde in oo
quod aliquis amat se, vult bonurn sibi. Et sic illud bonurn quaerit
sibi unire, in quantum potest. Et pro tanto dicitur amor vis unitiva,
etiam in Dea, sed absque compositione: quia illud bonum quod vult
sibi, non est aliud quam ipse, qui est per suam essentiam bonus, ut
supra [q. 6, a. 3) ostensum est. - In hoc vero quod aliquis amat
alium, vult bonum illi. Et sic utitur eo tanquam seipso, referens bo-
num ad illum, sicut ad seipsum. Et pro tanto dicitur amor vis con-
cretiva: quia alium aggregat sibi, habens se ad eurn sicut ad &e-
ipsum. Et sic etiam amor divinus est vis concretiva, absque compo-
sitione quae sit in Dea, inquanturn aliis bona vult.
ARTICULUS 2
Utrum Deus omnia amet.
Infra, q. 23, a. 3, ad 1; I·II, q. 110. a. 1; !l Sent . d. 26, a. 1; ~. d. 32, aa. 1, I;
t Cont. Geni., c. 111; s, c. 150; De Vertt., q. 'Il, a. 1;
De Vtrt., q. 2, a. 7, ad 2; tn Joan., c. 5, lect. 3; De Div. Nom., c. 4, le.et. 9.
AD SlCCNDt:M SIC PROCEDITVR. Videtur quod ~)eus non omnia am€t.
Quia, secundum Dionysium, 4 rap. De Div. Nom. [Iect. 10], amor
amantem extra se ponit, et eum quodammodo in amatum transfert.
Inconveniens .autem est diC€re quod Deus, extra se positus, in alia
transferatur. Ergo inconvenien;; est dicere quod Deus alia a se
amet.
2. PRAETEREA, amor Dei aeternus est. Sed ea quae sunt alla a Dea,
non sunt ab aeterno nisi in Deo. Ergo Deus non amat ea nisi in
seipso. Sed secundum quod sunt in eo, non sunt aliud ab eo. Ergo
Deus non amat alia a seipso.
3. PRAETEHEA, duplex est amor, scilioet concupiscentiae, et amici-
tiae. Sed Deus creaturas 1n-atio11a.les 11011 amat am1lff' con.cupiS1Cen-
tiae, quia nullius extra Sl' egei.: 11ec ctiam amore amicitiae, quia
non potest ad res irrationales haberi, ut patet per Philosophum, in
8 Elide. [cc. 2, 11, lect. 2, 11). Ergo Deus 11011 omnia amat.
4. PH.\ETEREA, in Psalrno [5, 7) dicitur: "Odisti omnes qui operan-
tur iniquitatem ». Nihil autem simul odio habetur et amatur. Ergo
Deus non omnia amat.
SEn CONTRA EST quod dicit.ur Sap. 11, 25: "Diligis omnia quae sunt,
et nihil od isti CD rum qua e fecisti "·
RESPO:SDEO DICENDU~t quod Deus omnia existc11tia amat. Nam om-
nia existentia, inquantum sunt, bona sunt: ipsum enirn esse cuius-
libet rei quoddam bonum est, et sirniliter quaelibet perfectio ipsius.
Ostensum est autem supra [q. 19, a. 4] quod voluntas Dei est causa
omnium rerum: et sic oportet quod intantum habeat aliquid esse,
dell'amore noi siamo uniti a Dio, ma soltanto per una reciprocità senza cui non
po.>slamo intendere le rela1ionl, si può dire che Dio è unito a noi. Lo si denomina
con termini esprimenti relazioni temporali, non 1ercl1è egli abbia ordine alle cose
create; ma perchè le cose create hanno ordine a lui (cfr. q. 13, a. 7).
208 LA SOMMA TEOLOGICA, I, q. 20, a. 2
ARTICOLO 3
Se Dio ami ugualmente tutte le cose.
1 Questa diversità nell'amore, che Dio porta alle creature ragionevoli, viene cosi
descritta da S. Caterina da Siena: •[Dio] alcuno ama come figliuolo, alcuno come
amico, alcuno come servo e alcuno come persona che è partita da lui e ha desi-
derio che torni ; e questi sono gli Iniqui peccatori che sono privati della grazia "·
(Lettera 94, ed. Mlsclattelli, II, p, 112).
L'AMORE DI DIO 211
ARTICULUS 3
Utrum Deus aequaliter diligat omnia.
I Sent., d. 26, a. 1, ad 2; s. d. 19, a. 5, qc. 1 ; d. 32, a. 4; 1 cont. Gent., c. 91.
ARTICOLO 4
Se Dio sempre ami di più le cose migliorL
SEMBRA che Dio non sempre ami di più le cose migliori. Infatti :
1. E evidente che Cristo è superiore a tutto il genere urna.no, es-
sendo Dio e uomo. Ma Dio ha amato più il genere umano che il
Cristo ; perchè sta scritto: " Dio non risparmiò il proprio Figlio, ma
per tutti noi lo diede "· Dunque Dio non sempre ama di più le cose
migliori. 1
2. L'angelo è superiore all'uomo; tanto è vero che nei Salmi così
si parla dell'uomo: ''Di pooo l' hai fatto inferiore agli angeli"· Ora,
Dio ha amato più l'uomo che l'angelo: infatti l'Apostolo dice: u Non
certo ad angeli egli viene in aiuto, ma viene in afoto al seme di
Abramo "· Dunque Dio non sempre ama di più le cose migliori.
3. Pietro era superiore a Giovarmi: perchè amava di più il Cristo.
Tanto è vero che il Signore, sapendo riò, oosì interrogò Pietro:
"Simone, figlio di Giona, mi ami più di questi?'" E tuttavia Cri-
sto amò più Giovanni ehe Pietro ; infatti, come dice S. Agostino, nel
commentare il pa.s.so: "Simone, figlio di Giona, mi ami tu? n, "Gio·
vanni si distingueva pe.r questo segno [dell'amore] dagli altri di-
scepoli; non che Gesù amasse soltanto lui, ma perchè lo amava più
degli altri"· Non sempre dunque Dio ama di più le cose migliori.
4. Gli innocenti sono migliori dei penitenti, perchè, al di.re di
S. Girolamo, "la penitenza è la seconda tavola dopo il naufragio"·
Dio invece ama più i penitenti degli innocenti ; pere.tè di essi più si
rallegra. Infatti si legge nel Vangelo: "Vi dico che vi sarà più festa
in cielo per un peccatore pentito, che per novantanove giusti, che non
abbisognano di penitenza"· Dunque non sempre Dio ama le cose
migliori.
5. Un giusto prescito 2 è migliore di un peccatore predestinato.
Ora, Dio ama di più il peccatore predestina.to, perchè gli vuole un
bene maggiore, cioè la vita eterna. Perciò non sempre Dio ama di
più le cose migliori.
IN CONTnARIO: Ogni essere è portato ad amare il proprio simile,
come risulta dalla sacra Scrittura: "Ogni animale ama il suo si-
mile"· Ora, wia cosa è migliore, nella misura in cui è più simile
a Dio. Dunque le cose migliori sono più amate da Dio-.
RISPONDO: E necessario affermare, stando a quel che si è già detto,
che Dio ama di più le cose migliori. Abbiamo spiegato infatti che
per Iddio amare di più un essere non vuol dire altro che dare a
quest'esse.re un bene più grande, essendo la volontà di Dio la causa
della bontà nelle cose. E quindi, proprio per questo vi sono delle
cose migliori, perchè Dio vuole ad esse un bene maggiore. Di qui la
conseguenza che le cose migliori Dio le ama di più.
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Dio ama il Cristo, non solo più di
tutto il gene.re umano, ma anche più che l'universo intero ; appunto
ARTICULUS'
An Deus semper magis diligat meliora.
8 Sent., d. 31, q. 2, a. 3, qc. 3 ; d. 32, a. 5.
AD QUARTUM SIC PROCEOJTUR. Videtur quod Deus non semper magis
diligat meliora. Manifestum est enim quod Christus est melior toto
genere humano, cum sit Deus et homo. Sed Deus magis dilexit genus
humanum quam Christum: quia dicitur Rom. 8, 32: «proprio Filio
suo non pepercit, sed pro nobis omnibus tradidit illum "· Ergo Deus
non semper magis diligit meliora.
2. PRAETF.REA, angelus est melior homine: unde in Psalmo 8, 6 di-
citur de homine: « minutsti eum paulo minus ab ange.Ji.s "· Sed Deus
plus dilexit hominem quam angelum: dicitur enim Hebr. 2, 16:
'' nusquam angelos apprehendit, sed sernen Abrahae apprehendit ».
Ergo Deus non semper magis diligit meliora.
3. PRAETEREA, Petrus fuit melior loanne: quia plus Christum dild-
gebat. Unde Dominus, sciens hoc esse V·erum, interrogavit Petrum,
dicens: "Simon Iosnnis; dìligis me plus bis?» [ Ioann., 21, 15]. Soo
tamen Christus plus dilexit Ioannem quam Petrum: ut enim dicit
Augustinus, super illud Ioan. 21, " Simon Ioannis diligis me? [in
Ioannis Evang., tract. 124, super c. 21, 20]: "Hoc ipso signo lo3Jl-
nes a ceteris discipulis discernitur ; non quod solum eum, sed quod
plus eum ceteris diligebat. » Non ergo semper magis diligit meliora.
4. PRAETEREA, melior est innocens poenitente ; cum poenitentia sit
'' secunda tabula post naufragiurn », ut dicit Hieronymus [in I.rniam,
3, 9]. Sed Deus plus diligit poenitentem quam innocentem, quia plus
de eo gaudet: dicitur enim Luc. 15, 7: " Dico vobis quod maius gau-
dium erit in caelo super uno peccatore poenitentiam agente, quam
super nonaginta novem iustis, qui non indigent poenitentia ». Ergo
Deus non semper magis diligit meliora.
5. PRAETEREA, melior est iustus praescitus, quarn peccator praede-
stinatus. Sed Deus plus diligit pecca.tovem praedestinatum: quia
vult ei maius bonum, scilicet vitam aeternam. Ergo Deus non sem-
per magis diligit meliora.
SEo CONTRA, unumquodque diligit sibi simile ; ut patet per illud
quod habetur Eccli. 13, 19: "omne anima.I diligit sibi simile». Sed
intantum aliquid est melius, inqu3Jltum est Deo similius. Ergo me-
liora magis diliguntur a Deo.
REsPONDEO DICENDUM quod necesse est dicere, secundum praedicta,
quod Deus magis diligat meliora. Dictum est enim [a. 3) quod Deum
diligere magis aliquid, nihil ali ud est quam ei maius bonum velie:
voluntas enim Dei est causa bonitatis in rebus. Et sic, ex hoc sunt
aliqua meliora, quod Deus eis maius bonum vult. Unde sequitur
quod meliora plus amet.
AD PRIMUM ERGO DICENOUM quod Deus Christum diligit, non solum
plus quam totum humanum genus, sed etiam magis quam totam
maso indulgerà al gusti del suo tempo, senza passare quei limiti oltre I quali sl
cade nella presunzione.
2 SI dice presctto colui che Dio nella sua prescienza sa che morrà lmvenltente
e quindi, per sua propria colpa, sarà condannato all' Inferno.
214 LA SOMMA TEOLOGICA, I, q. 20, a. 4
perchè gli ha voluto un bene più grande, poichè "gli diede il nome
che è sopra ogni nome n, cos.icchè fosse vero Dio. E niente toglie alla
di lui eccellenza il fatto che Dio lo dette alla morte per la salvezza
del genere umano ; chè anzi ne è uscito vincitore glorioso, secondo
le parole d'Isaia: "Il principato è stato posto sulle sue spalle».
2. La natura umana assunta dal Verbo di Dio nella Persona del
Cristo è amata da Dio più di tutti gli angeli: ed è più nohile spe-
cialmente a causa dell'unione [ipostatica]. Ma, parlando della na-
tura umana in generale, e paragonandola alla natura angelica
quanto all'ordine della grazia e della gloria, vi è parità, perchè,
come è detto nell'Apocalisse, "una stessa misura è per l'uomo e
per l'angelo»; 1 in maniera, però, che, sotto questo aspetto alcuni
angeli risultano superiori a certi uomini, e alcuni uomini superiori
a certi angeli. Se si parla però della loro condizione naturale, l'an-
gelo è superiore all'uomo. E perciò se Dio ha assunto la natura
umana, non è perchè assolutamente parlando amasse di più l'uomo,
ma perchè questi era più bisognoso. Ha fatto come un buon padre
di famiglia, il quale dà ad un servo malato un cibo più costoso che
ad un figlio sano,
3. Questa diffìcolta a proposito di Pietro e di Giovanni si scioglie
in molte maniere. s~ Agostino vi scorge un simbolo, dicendo che la
vita attiva, figurata in Pietro, ama di più Dio che la vita contempla-
tiva rappresentata da Giovanni, in quanto essa sente di più le an-
gu1stie della presente vita e con maggiore veemenza desidera di es-
serne liberata per andare a Dio. Iddio invece ama di più la vita
contemplativa, perchè la fa durare più a lungo: ed infatti essa non
termina con la vita del corpo, come la vita attiva. Altri dicono che
Pietro ha amato di più il Cristo nelle sue membra; e per questo
fu amato maggiormente da Cristo; che perciò gli affid0 la sua Chiesa.
Giovanni, invece, ha amato di più Cristo in persona e quindi fu pre-
diletto da Cristo, che perciò gli affidò la Madre. Altri dicono che è
incerto chi dei due abbia amato di più il Cristo con amore di carità,
così pure quale dei due Dio abbia amato di più in ordine a una mag-
giore gloria nella vita eterna, Ma si dice che Pietro ha amato di più
per una certa prontezza o fervore di spirito; e che Giovanni è stato
amato maggiormente per certi segni di familiarità che Cristo gli di-
mostrava a causa della sua giovinezza e della sua purità. Altri,
finalmente, dicono che Cristo ha amato di più l'apostolo Pietro per
un più eccellente dono di carità; Giovanni, poi, per il dono dcli' in-
telletto. Per questa ragione Pietro fu migliore e da Cristo più amato
in modo asso] uto; Giovanni lo fu di più sotto un certo nspetto. -
Tuttavia sa di presunzione vo.Jer giudicare di tali cose, perchè, come
dice la sacra Scrittura: "Ponderatore degli spiriti è il Signore'" e
non altri.
4. I penitenti e gli innocenti si possono trovare [confrontati tra di
loro] reciprocamente in vantaggio e in svantaggio. Penitenti o inno-
centi son() migliori e maggiormente amati quelli che hanno la g.ra-
zia in maggiore abbondanza. Tuttavia, a parità di condizioni, l' in-
nocenza è migliore e da Dio è maggiormente amata. Ma si dice che
Dio fa più festa per un penitente che per un innocente, perchè, di
• Evidentemente l'espressione dell'Apocaltsse non ha nessun rapporto con l'ar-
gomento ; ma è presa In senso accomodatlzio, ed è adattata anche nella sua strut-
L'AMORE DI DIO 215
universitatem creaturarum: quia scilicet ei maius bonum voluit,
quia "dedit ei nomen, quod est super omne nomen » [Philipp., 2, 9],
ut verus Deus es.set. Nec eius excellentiae deperiit ex hoc quod Deus
dedit eum in mortem pro salute humani generis: qu~nimmo ex hoc
factus est vietar gloriosus; " factus enim est principatus super hu-
merum eius '" ut dicitur lsaiae, 9, 6.
AD SECUNDUM DICENDUM quod naturam humanam assumptam a Dei
Verbo in Persona Christi, secundum pra.edicta [ad 1], Deus plus
amat quam omnes angelos: et melior est, maxime ratione unionis..
Sed loquendo de humana natura communiter, eam angelicae com-
parando, secundum ordinem ad gratiam et gloriam, aequalitas in-
venitur; cum eadem sit "mensura hominis et angeli>>, ut dicitur
Apoc. 21, 17; ita tamen quod quidam angeli qui!busdam hominibus,
et quidam homines quibusdam angelis, quantum ad hoc, potiores in-
veniuntur. Sed quantum ad conditionem naturae, angelus est melior
homine. Nec ideo naturam humanam assumps.it Deus, quia homi-
nem absolute plus diligeret: sed quia plus indigebat. Sicut bonus
paterfarnilias aliquid pretiosius dat servo aegrotanti, quod non dat
filio sano.
AD TERTIUM orcENDUM quod haec dubitatio de Petro et Ioanne
multipliciter solvitur. Augustinus namque refert hoc ad mysterium,
dicens [loco cit. in arg.] quod vita activa, quae significatur per Pe-
trum, plus diligit Deum quam vita contemplativa, quae significatur
per loanuem: quia magis s.entit praesentis vitae angu.stias, et aes-
tuantius ab eis liberari desiderat, et ad Deum ire. Contemplativam
vero vitam Deus plus diligit: quia magis eam conservat; non enim
finitur simul cum vita corporis, sicut vita activa. - Quidam vero
dicunt quod Petrus plus dilexit Christum in memb.ris; et sic etiam
a Christo plus fuit dilectus; unde ei ecclesiam commendavit. loan-
nes vero plus dilexit Christum in seipso; et sic etiam plus ab eo fuit
dilectus; unde ei commendavit Matrem. - Ali i vero dicunt quod in-
certum est quis horum plus Christum dilexerit amore caritatis: et
simìlìter quem Deus plus dìlexerit in ordine ad maiorem gloriam
vitae aeternae. Sed Petrus dicitur plus dilexisse, quantum ad quan-
dam promptitudinem ve! fervorem: loannes vero plus dilectus, quan-
tum ad quaedam familiarìtatis indicia, quae Christus ei magis de-
monstrabat, propter eius iuventutem et puritat.em. - Alii vero dicunt
quod Christus plus dilexit Petrurn, quantum ad excellentius donum
caritatìs: loannem vero plus, quantum ad donum intellectus. Unde
simplìciter Petrus fuit meli or, et magis dìlectus: sed Ioannes se-
cundum quid. - Praesurnptuosum tamen videtur hoc diiudicare:
quia, ut dicitur Prov. 16, 2, « spirituum ponderator est Dominus n, et
non alius.
An QUARTUM DICENDUM quod poenitentes et innocentes se habent
sicut excedentia et excessa. Nam sive sint innocentes, sive poeniten-
tes, ìlli sunt melìores et magis dilecti, qui plus habent de gratia.
Ceteris tamen parilbus, innocentia dignior est et magis dilecta. Di-
citur tamen Deus plus gaudere de poenitente quam de innocente,
tura materiale. Là si parla del cubito usato dall'angelo nel misurare le dimen-
sionidella nuova Gerusalemme. "A misura d"uomo qual' è quella deU' Angelo ....
Vuol dire semplicemente che le dette misure. benchè prese da un angelo, vanno
però computate secondo I calcoU ordinari degli .uomini .. (SALES M., Il Nuoi·o Te-
stamento, Torino, 1929, voi. Il, p. 6781.
216 LA SOMMA TEOLOGICA, I, q. 20, a. 4
solito, i peccatori pentiti risorgono più cauti, più umili e più fervo-
rosi. Per questo S. Gregorio' può affermare che «il capitano preferi-
sce nel combattimento un soldato che, d-0po esser fuggito, è ritornato
e incalza fortemente i.I nemico, ad uuo che mai è fuggito, ma nep-
pure ha compiuto atti di eroismo n. - Si può anche addurre un'altra
ragione, e cio·è che un uguale dono di grazia è maggiDT~ in rapporto
a un penitente il quale meritò una punizione, che in rapporto a
un innocente il quale non l'ha meritata. Così, cento marchi costi-
tuiscono un regalo più grande se si dànno ad un povero, che se si
dànno ad un re.
5. Dal momento che la volontà di Dio è causa della bontà delle
cose, il bene di uno che è amato da Dio dovrà giudkarsi in rapporto
a quel tempo nel quale costui dovrà ricevere dalla divina bontà un
tal bene. Quindi, un peccat.ore predestinato, rispetto al tempo in cui
dalla volontà divina gli sarà dato il bene maggiore [la vita eterna],
è migliore di un giusto non predestinato; sebbene in altri tempi sia
stato peggiore di lui. [Nè ciò è difficile a capi.rsi. quando sì pensi]
che vi fu anche un tempo nel quale non eTa nè buono nè cattivo. •
1 Il bra.no, di cui viene r!portat1 una delle comparazioni C<>nclus!ve, è tra ! più
e1<>quent1 squarci orat<>ril di S. Gregorio Magno (540-604). Dalle parole del Santo
Pontefloo, cosi aderenti alla quotidiana esperienza, il Dottore Angelico ha tratto
L'AMORE DI DIO 217
quia pilerumque poenit.entes cautories, humiliOT.es et ferventiores
resurgunt. Unde Gregorius dicit ibidem [homil., 34 in Evang.J, quod
"dux in praelio eum militem plus diligit, qui post fugam co•11versus,
fortiter hostem premit, quam qui nunquam fugit, nec unquam for-
titer fecit "· - Vel, alia ratione, quia aequale donum gratiae plus est,
comparatum poonitenti, qui meruit poenam, quam innocenti, qui
non meruit. Sicut centum marcae maius donum est, si dentur pau-
peri, quam si dentur regi.
An QUINTIJM DICENDUM quod, cum voluntas Dei sit causa bonitatis
in 1-ebus, secundum illud tempus pensanda est bonitas eius qui
amatur a Deo, secundum quod dandum est ei ex bonitate divina
aliquod bonum. Secundurn ergo illud tempus quo praedestinato pec-
catori dandum est ex divina voluntate maius bonum, melior est;
Iicet secundum aliquod aliud tempus, sit peior ; quia et secundum
aliquod tempus, non est nec bonus neque malus.
ARTICOLO 1
Se in Dio vi sia la giustizia.
ARTICULUS 1
Utrum in Deo sit iustitia.
4 sent .• d. 46, q. 1, a. 1, qc. 1 ; I Cont. Gent., c. 93; De Dtv Nom., e. 8, lect. 4.
AD PRIMUM SIC PROCEDITL'R. Videtur quod in Dea non sit iustitia.
Iustitia en1m contra temperantiam dividitur. Temperantia autem
11on est in Deo. Ergo nec iustitia.
2. PRAETEREA, quicumque facit omnia pro libito suae voluntatis,
non secundum iustitiam operatur. Sed, sicut dicit Apostolus, ad
Ephes. 1, H, Deus "operatur omnia secundum cons:ilium suae V'O-
luntatis "· Non ergo ei iustitia debet attribui.
3. PRAETEREA, actus iustitiae est reddere debitum. Sed Deus nulli
est debitor. Ergo Deo non competit iustitia.
4. PRAETEREA, quid.quid est in Deo, est eius essentia. Sed hoc non
competit iustitiae: dicit enim Boetius, in libro De Hebdomad. [lect. 4),
quod "bonum essentiam, iustum vero acturn r·espicit n. Ergo iustitia
non competit Deo.
SED CONTRA EST quod dicitur in Psalrno 10, 8: « Iustus Dominus, et
i ustitias dilexit n.
RESPONDEO orcENDUM quod duplex est species iustitiae. Una, quae
consistit in mutua datione et acceptione: ut puta qua e consistit in
emptione et venditione, et a!iis huiusmodì cnrnmunicationibus vel
commutationibus. Et haec d.icitur a Philosopho, in 5 Ethic. [c. 4,
lect. 6j, iuslltia commulatha, vel directi\a commutationum sive
commwnicationum. Et haec non competit Deo: quia, ut dic:t Apo-
stolus, Rom. 11, 35: « quis prior dedit illi, et retribuentur ei? »,
Alia, quae consistit in distribuendo: et dicitur distributiva i1rstitia,
secundum quam aliquis gubernator vel dispensator dat unicuique
secundum suam dignitatern. Sicut igitur ordo congruus familiae,
ve.I cuiuscumque multitudinis gubernata€, dernonstrat huiusmodi
iustitiam in gubernante; ita ordo universi, qui apparet tam in rebus
11aturalibus quam in rebus voluntariis, demonstrat Dei iustitiarn.
IJontà; al che segue che talvolta vengano meno"· È giusto che la Provvidenza
divina non Impedisca (ossia permetta) li loro venir meno, Il loro cadere In di-
fetto morale; afflnchè le cose si manifestino per quello che sono. Questo 1>ermet-
tere divino ha li 'uo fine giusto nello scopo di non impedire "il bene l'omple10
dell 'unlverso" ; infatti "se si lmpeòjsseoo tutti i mali, molti beni verrebhero a
mancare all'universo; p. es., non vi sarebbe la vita del leone se non vi fosse l:t
morte di altri animall; nè vi sarellbe la pazienza dei martiM se non vi fosse la
persecuzione dei tiranni " (q. 22, a. 2, ad 2).
• La rraRe aristotelica: "liberum est qnod sui causa est" vuol dire che l'essere
libero non è ordinato al bene degli altri, ma al suo proprio bene. Tale pensiero
~ chiarissimo nella traduzione di A. Carlini: "Libero diciamo chi ha Il fine In sè
e non In altro "·
22.2 LA SOMMA TEOLOGICA, I, q. 21, aa. 1-2
ARTICOLO 2
1 Sia come necessaria Integrazione, sia come esigenza per conseguire 1 suol fini.
2 Vuol dire che tutto ciò che è giusto è bene; ma non tutto ciò che è bene ap-
GIUSTIZIA E MISERICOHDIA DI DIO
A.RTICULUS 2
Utrum iustitia Dei sit veritas.
4 Seni., d. 46, q. 1, qc. 3.
AD SECUNDUM SIC PROCEDITUR. Videtur quod iustitia Dei non sit V&-
ritas. lustitia enim est in voi un tate: est enim "rectitudo voluntatis '"
ut dicit Anselmus (Dialog. De Verit., c. 13]. Veritas autem est in
intellectu, secw1dum Philosophum in 6 Metaphys. [c. 4, Ject. 4], et in
(i Etlii.r:. [c. 2, lect. 2]. Ergo iustitia non pertinet ad veri1atem.
~. l'RAETEREA, veritas, secundum Philosophum in 4 Elftir.. [c. 7,
lcct. 15], est quaedarn alia virt11s a iustitia. Nou ergo veritas pertinet
ad rationem iustitiae.
SEI> CONTRA i;sT quod in Psalmo 81, H, dicitur: «misericordia et
veritas obviavernnt r,,-ibi,, : et ponitur ibi veritas pro iustitia.
RESPONI>EO DICENDl'.M quod veritas consisitit in adaeq11atione intel-
lecti1s et rei, sicut supra [q. 16, a. l] dictum est. lntellectus autem
qui est causa rei, comparnt11r :i,d ipsam sicut rcgula rt rncnsurn: e
converso autem est de intellectu qui accipit scientinm a rebu'!.
Qua11do igitur res sunt rnensura et regula intellectus, veritas con·
sist it in hoc, quod intellectus adaequatur rei, ut in nobis accidit:
f'X co eriim quod res est ve! non est, opinio nostra et oratio vera ve!
falsa est. Sed quançlo intellectus est t egula ve! rnensura rerum, ve-
ritas consistit in hoc, quod res adaequ:rntur intellectui: sicut di-
citur artifex facere verum opus, quando concordat arti. Sicut autem
se habent artificiata ad artern, ita se habent opera iusta ad legem
cui concordant. lustitia igitur Dei, quae constituit ordinem in rebus
ARTICOLO 3
Se la misericordia si addica a Dio.
ARTICULUS 3
Utrum misericordia competat Deo.
11·11, q. 30, a . .; ; 4 Sent., d. 46, 'I· 2, a. 1, qc. 1:
I •.'ont. Gent. c. 91 , P>alm. 24.
ARTICOLO 4
Se in tutte le opere di Dio ci sia misericordia e giustizia.
AHTICULUS 4
Utrum in omnibus operibus Dei sit misericordia et iustitia.
.f Sent., d. 46, q. 2, a. 2, qc. 2 ; f Cont. Gent., c. 28; De Vertt., q. 28, a. 1, ad 8;
l'salm. 24; Rom., c. 15, lect. 1.
AD QUARTCl\1 SIC PROCEDITt:R. Videtur quod non in omnibus Dei ope-
ribus sit misericordia et iustitia. Quaedam enim ope,ra Dei attri-
buuntur misericordiac, ut iustificat:o impLl: quaedam vero iustitiae,
ut damnatio imp.io.rwn. Unde dicitur Iac. 2, 13: « iudicium sine mi-
sericordia fiet ei qui non fece·rit misericordiam ». Non ergo in omni
opere Dei apparet misericordia et iustitia.
:2. PRAETFHEA, Apostolu:3, ad liom. 15, 8, !J, conversionem Iudaeorum
atl.ribuit iustitiae et veritati; conversionem autem gentium, miseri·
cordiae. Ergo non in quulibet opere Dei est iustitia et misericordia.
3. PRAErERM, multi iusti in hoc mundo afftiguntur. Hoc autem est
iniustum. Non ergo in omni oprre Dei est iustitia et misericordia.
4. Pr.\F.TEREA, iustitiae est reddere debitum, misericordiae autem
sublevare miseriarn: et sic tam iustitia quam misericordia aliqui·J
praesupponit in suo opere. Sed creati0 niliil praesupponit. Ergo iu
creaUone neque misericordia est, neque iustitia.
SED CONTRA EST quod dicitur in Psalmo 24, 10: « omnes viae Domini
misericordia et veritas ».
RESPONflF.O mrn:-;ouM quod necesse est quod in quolil>et opere Dei
per le nostre colpe. È un richiamo al detto del SignOi!le: "Beati I misericordiosi,
perchè troveranno misericordia" (Matt., 5, 7).
2 La creazione è l'azione divina che dà Il primo essere sostanziale alle cose.
Non presuppone ne~snn altro esser<> se non l'onnipotente lddlo.
• Da questa " da analoghe espressioni scritturali è derivato l'articolo presente.
La vertt<i di cui parla il Sal. 24 sarebtw piuttost:> la fedeltà alle promesse. La re.
sponsabilità della interpretazione medievale e tomistica ricade specialmente su
S. Girolamo (cfr. Brevtarum t11 Psallerilrn1, Psalm. 24).
228 LA SOMMA TEOLOGICA, I, q. 21, a. 4
dalla prima miseria: il nulla; primo passo e primo dono, su cui altri doni la
mlsertcordia divina verserà e innesterà senza limiti. Nella creazione, per pura
bontà 5ua, Di-0 pooe la radice del nostro essere, come ha detto l'Autore; e· il suo
tnflus'o permane, anzi più fortemente opera, su tutto ciò che da queBta. prima
radice consegue. ·
QUESTIONE 22
La provvidenza di Dio.
ARTICOLO 1
Se in Dio possa esserci provvidenza.
ARTICULUS 1
Utrum providentia Deo conveniat.
I Sent., d. 39, q. 2, a. 1; De Veri!., q. 5, aa. 1, 2.
AD PRIMUM SIC PROCEDITUR. Videtur quod providentia Deo non con-
veniat. Providentia enim, secundum Tullium [De Invent., 1. 2,], est
pars prudentiae. Prudentia autem, cum sit bene consiliativa, se-
cundum Philosophum in 6 Ethic. [cc. 5, 9, lect. 4, 8) Deo compete.re
non potest, qui nullum dubium hahet, unde eum consiliari opor-
teat. Ergo providentia Deo non competit.
2. PP.AETEREA, quidquid ùSt in Deo, est aeternum. Sed providentia
non est aliquid aeternum: est enim circa existentia, quae non sunt
aeterna, secundum Damascenum [De Fide Orth., I. 2, c. 29]. Ergo
providentia non est in Deo.
3. PRAETEREA, 11ullum compositurn est in Deo. Sed providentia vi-
detur esse aliquid compositum: quia includit in se voluntatem et
intellectum. Ergo providentia non est in Deo.
SED CONTRA EST quod dicitur Sup. 14, 3: "Tu autem, Pater, 'guber-
nas omnia providentia '"
RESPONDEO DICENDl!M quod necesse est ponere providentiam in Deo.
Omne enim bonum quod est in rebus, a Deo creatum est, ut supra
[q. 6, a. 4] ostensum est. In rebus autem invenitur bonum, non so-
lum quantum ad substantiam rerum, sed etiam quantum ad ordi-
nem earum in finem, et praecipue in finem ultimum, qui est bonitas
divina, ut supra [q. 21, a. 4] habitum est. Hoc igitur b-Onum ordinis
in rebus creatis existens, a Deo creatum est. Cum autem Deus sit
causa rerum per suum intellectum, et sic cuiuslibet sui effectus
oportet rationem in ipso praeexistere, ut ex superioribus. [q. 1\ a. 2;
19, a. 4] patet ; necesse est quod ratio ordinis rerum in finem in
mente divina praeexistat. Ratio autem ordinandorum in finem, pro-
234 LA SOMMA TEOLOGICA, I, q. 22, a. 1
ARTICOLO fa
Se tutte le cose siano soggette alla divina provvidenza.
SEMBRA che non tutte le cose siano soggette alla divina provvi-
denza. Infatti:
1. Tutto ciò che è prediS'J)osto non è fortuito. Se dunque tutte le
cose sono state predisposte da Dio, niente vi sarà di fortuito; e c-0sì
scompaiono il caso e la fortuna. Ciò che è contro l'opinione c-0mune.
2. Ogni saggio provveditore elimina, più che può, dalle cose di
cui ha la cura, le òefìcienze ed i mali. Ora, vediamo che nelle cose
ci sono tanti mali. Dunque, o Dio non può impedirli ; e allora non
è onnipotente ; o non ha cura di tutte le cose.
3. Quello che accade per necessità non richiede provvidenza o
prudenza. Di qui l'affermazione del Fi.Josofo, che la prudenza «è la
saggia disposizione delle cose contingenti, per le quali vi è d.eHbe-
razione e scelta». Ma siccome molte cose avvengon-0 per necessità,
non tutto è soggetto alla divina provvidenza. 1
4. Chi è a.bbandonato a se stesso, non so.ggiace al.la provvidenza
di alcun governante. Ora, gli uomini sono da Dio abbandonati a se
stessi, secondo il detto dell' Ecclesiastico: « Iddi<' da principio creò
l'uomo e lo lasciò in mano del suo arbitrio » ; e in modo speciale i
malvagi « li abbandonò alla durezza del loro cuore"· Dunque non
tutte le cose soggiacciono alla divina provvidenza.
5. L'Apostolo scrive che « Dio non si dà pensiero dei buoi »: e per
lo stesso motivo neppure di tutte le altre creature irragionevoli.
Dunque non tutte le cose sono soggette alla provvidenza di Dio.
IN CONTRARIO: Nella sacra Scrittura leggiamo a proposito della
divina sapienza: «si estende con potenza da un'estremità all'altra
[del mondo], e tutto governa oon bontà».
RISPONDO: Alcuni hanno negato totalmente la provvidenza, come
Democrito e gli Epicurei, i quali afferma.rono che il mondo è pro-
duzione del caso. Altri hanno detto che soltanto gli esseri incorrut-
tibili dipendono dalla provvidenza; quelli corruttibili, invece, [ne
dipendono] non quanto agli individui, ma quanto alle specie, per-
chè sotto questo a.spetto souo incorruthbili. In persvna di costoro
cosi parlano gli amici di Giobbe: "La nube è per lui un nascondi-
glio, e attorno ai cardini dei cieli egli passeggia, e non si occupa
delle c<IBe nostre». Ma da questa condizione degli esseri corruttibi.li
Rabbi Mosè eccettuò gli uomini, per lo splendore dell' intelligenza,
che essi partecipano: quanto agli altri individui oorrutti.bili, seguì
l'opinione degli altri filosofi.
Ma è necessario dire che tutte le cose, non solo considerate in
generale, ma anche individualmente, sottostanno alla divina prov-
videnza. Eccone la dimostrazione. Siccome ogni agente opera per
• La prudenza sec-0ndo l'analisi ratta dal Filosofo (vedi 6 Ethtc., lect. ~. di
s. Tommaso) è un abito operativo, distinto dall"arte e dalla scienza, pur risie·
dend-0 anrh'!'~Sa nl'lla ragione. A cltfferPnza di queste ultime, suppone la rettltn·
LA PROVVIDENZA DI DIO 237
ARTICULUS 2
Utrum omnia sint subiecta divinae providentiae.
Infra, q. 103, a. 5; I ~ent., d. 39, q. 2, a. 2; 3 Cont. Gent., cc. 1, 64, 75, 9•;
De Verit., q. 5, aa. 2 ss.; Compend. T/l.eol .. cc. 123, 130, 132; Dc Angelts, cc. 13, 14, 15;
De mv. Nom., c. 3, lect. 1.
' Te&to accomodato. S. Paolo vuol dire che tutte le cose esistenti (quindi anche
le legittime potestà civili, di cui parla) sono istituite da Dio.
• Due ragioni dà S. Tommaso per dimostrare la tesi: a) La prima è metafl·
sica. Ogni agente opera per un llne; l'essere che viene cosi posto è ordinato al
flne per cui lo pone; In t.ant.o esiste, In quanto è ordinato a tale fine. Ora Dio
pone l'essere di tutte le cose; dunque tutte le cose. secondo tutto Il loro essere,
LA PROVVIDENZA DI DIO
ARTICOLO 3
Se Dio provveda direttamente a tutte le cose.
ARTICULUS 3
Utrum Deus immediate omnibus provideat.
Infra. q. 103, a. 6; 3 Cont. Geni., cc. ~6. 77, €3, 94; Compe11d. T1teoi., ce. 130, 131:
De A nqells, c. 14.
AD TERTIUM SIC PROCEDITUR. Videtur quod Deus non immediate
omnibus provid"at. Quidquid enim est dignitatis, Deo est attribuen-
dum. Seù ad dignitatem alicuius regis pertinet, quod habeat mi-
nistros, quibus mediant.ibus subditis provideat. Ergo multo magis
Deus non immediate omnibus providet.
2. PRAETEREA, ad providentiam pertinet res in finem ordinare. Finis
autem cuiusl.ibet rei est eius perfectio et bonum. Ad quamlibet au-
tem causam pcrtinet effectum suum perducere ad bonum. Quaelibet
igitur causa agens est causa effectus providentiae. Si igitur Deus
omnibus immediate proviùet, subtrahuntur omnes causae secundae.
3. PRAETEREA, Augustinus dicit, in Enchirid. [c. 17], quod "melius
est qu.aedam nesciire quam scire », ut vilia: et idem didt Philoso-
phus, in 1Z Metaphys. [c. 9, lect. 11]. Sed omn.e quod eisit melius, Deo
est attribuendum. Ergo Deus non habet immediate provideintiam
quorundam vilium et malorum.
SEn CONTRA EST quod dicitur lob. 34, 13: « Quem constituit alium
super terram? aut quem posuit super orbem quem fabricatus est?».
Super quo dici:t Gregorius [24 Moral., c. 20]: « rnundum p·er seipsum
regit, quem per seipsum condidit ».
cose vili, che val meglio non pensare). Esso dunque se è ciò che v' ha di più per-
fetto, pensa se stesso, e !"atto del suo pensiero consiste nel pensamento dcl suo
stesso pensare .. (trad. A. Carlini, Bari, La.terza, 1928, pp. 398-99).
Abùiamo citata questa pagina per mostrare come S. Tommaso Interpreta e In-
tegra Aristotele. Commentandola, l'Aquinate fa vedere qual' è realmente la preoc-
cupazione dello Stagirita e la linea principale del suo ragionare. Vuol salvare la
dignità suprema dell'intelletto divino, •la più divina tra quante cose sembrano
divine"· Questa dignità dipende dall'-0ggetto proprio dell'intelletto divino, che
dEWe essere sempre in atto, anzi atto puro di Intellezione. In conclusione, questa
dignità suprema dell'intelletto divino non si salva se l'intendere divino avesse
un oggetto proprio di conoscenza diverso da se !-I.esso; se in Dio intelletto, intel-
lezione, oggetto inteso non fossero un'identica realtà (cfr. q. 14, a. 4).
Ma da questo non segue - si affretta a notare S. Tommaso - che Dio non co-
nosca le cose distinte da sè, ma segue che non le conosce se non nella conoscenz:t
del suo stesso conoscere, ossia del suo e55ere, che è l'oggetto proprio dell' inten-
dere divino. Avendo chiaro il concetto della causalità creatrice, S. Tommaso
trova facilie dimostrare che proprio nella conoscenza di sè Dio deve conoscere an-
che le cose (cfr. q. 14, a. 5). Tutto ciò che esiste, o può esis.tere, è partecipazione
dell'essere divino ; e quindi Dio, comprendendo &è pienamente, non può non com-
prendere tutte le sue partecipazioni, ossia le cose distinte da sè. Dio dunque non
è impedito o ritratto dal conoscere se stesso, conoscendo le cooe; la nobiltà del
suo intenderf' non ne scapita; anzi ne ocapiterebbe se non lo conoscesse (vedi
I? Metaph., c. I>, lcct. 11, 2611-15, ed. Cathala). Non si può negare che l' interpre-
tazione di S. Tommaso sia coerente al principi! dello Stagirita e valorizzi le sue
principali affermazioni, rillutandosi di accettare l'opinione che Il Filosofo neghi
la provvidenza.
244 LA SOMMA TEOLOGICA, I, q. 22, a. 3
ARTICOLO 4
Se la provvidenza renda necessarie le cose governate.
ARTICULUS 4
Utrum providentia rebus provisis neeessitatem imponat.
I Sent., d. 39, q. 2, a. 2: s Cont. Gent., cc. 72, 94; De Malo, q. 16, a. 7, ad t5;
Contra Graecos, Armeno1 etc., c. 10; Compend. Theoi., cc. 139, 140;
De Angelts, c. 15; I Pertherm., lect. 14; 6 llfelaphys., loct. 3.
solum est aliquid evenire quocumque modo ; sed aliquid evenire vel
contingentrr vel necessario. Et ideo evenit infal!ibiliter et necessa-
rio, quod divina providentia disponit evenire infallibiliter et neces-
sario: et evenit contingenter, quod divinae providentiae ratio habet
ut contingenter eveniat.
negarla anche del mondo creato. Qui la contingenza è reale, perchè reali sono gli
effetti prodotti con\.lngentemente dalle cause create, previste e .volute tali da Dio,
appunto percl1è nel mond.o ci fosse anche questo più nobile grado di perfezione:
la cau.<alità contingente e Jtbera.
• I due concetti di infall.ibile e di necessario non sono identici ; esprimono
modalità che possono non trovarsi unite. Dio ha preveduto e voluto gli evPnti e 11
loro modo proprio di accadere; ha preveduto e voluto che alcuni di essi avvenis-
sero oontingenternente e liberamente;. donde consegue un'infallibilità, non di
necessità, ma di contingenza e di libertà. TI ragionamento è semplice ed evidente:
248 LA SOMMA TEOLOGICA, I, q. 22, a.. 4
2 La frase - "ente in quanto ente" - esprime la realtà nella sua assoluta to-
talità: è un concetto universale, onnicomprensivo. Ogni realtà, qualunque possa
essere nell.a. sua particolare S[l€Cie e individualità, o è necessaria, o è contingente.
E poiché la causa universalissima, Dio, è causa creatrice delressere In quanto <'S-
SPre (cfr. /, q. 44, aa. 1, 2), ne segue che è causa prima sia della necessità, sia della
eontinµ;enza; permea con la sua azione con!'lervatrice, governatrice e provviden-
ziale, sia l'ente che ha il carattere della necessità, sia l'ente che ha quello della
,:ontingenza. Non bisogna dunque antropomorfizzare la cau;;alità di Dio, avvici-
nandola troppo alla causalità I>ropria delle creature, la quale non riguarda l'ente
in quanto ente, e pertanto neppure i modi propri! di esso. La questione è di quelle
supreme e resta oscura alla nostra mente, come tutto ciò che riguarda i misteri
dell'essere e della causalità divina. Ma Il procedimento di S. Tommaso è &tret-
tamente logico e aderente alle linee essenziali ed intelligibili dell'essere.
QUESTIONE 23
La predestina:lione.
ARTICOLO 1
Se gli uomini siano predestinati da Dio.
ARTICULUS 1
Utrum homines praedestinentur a Deo.
t Sent., d. 40, q. 1, a. 2; 3 Coni. Gent., c. 163; De Vertt., q. 6, a. 1;
ad Rom., c. 1, lect. 3.
scontro In una certa unità da parte degli oggetti. Gli ogg.ettl della provvidenza
Infatti, pur essendo molteplici, hanno tuttavia unità di ordine, polchè tutto Il
mondo Inferiore è per le creature superiori e specialmente per gli eletti (cfr. T,
q. 65, a. 2 e 3 Cont. Gent .• c. 22).
• La quale, dunque, è bensi una predeterminazione nella mente di Dio e n<>llll
sua volontà, che l'effetto segna infallibilmente; ma che segua infallibilmente da
una causa liberamente operante. Ciò che Dio vuole cosi, infallibilmente seguirà
In ta.l modo, per l'azione libera della causa libera. mossa da Dio conformemente
alla ~ua natura (crr. p. 247, nota 3).
254 LA SOMMA TEOLOGICA, I, q. 23, a. 2
ARTICOLO 2
Se la predestinazione risieda nei predestinati.
ARTICULUS 2
Utrum praedestinatio aliquid ponat in praedestinato.
t Sent., d. 40, q. t, a. t.
passione In un paziente. Qui S. Tommaso si domanda che cosa ponga di reale nel
predestinato il fatto di e~<ere prerlestinato. Più avanti si farà la stessa domanda
cir-ca la <TNl'l.ione: cJ1e CP~n non'~ !'H~lln rrfl~tnr(I il l'<ttto <11 ~sser creata-~ U. Q. 45,
a. 3). In altri termini: la J•rerlr-<t!nazlone è soltanto in Dio, o è qu~lcosa rii po·
sltlvo anche nelle creatnre predestinate·> La questione si scioglie distinguendo
bene, come fu fatto a propnslto rlrlla provvlrlenrn (vedi p. 235, nota 2), il r:oncetto
stretto ili prcil<>stina?ione (chP i> la prescienza e la volontà di Dio di dare ad al-
cuni In 1·itn ('ff'J'n-'' o1,.1 c(\ncetto rli e-;cruzionr ilella predestinazione, che si chiama
meno propria mente prcdrstinaz;one.
2 f'ioè. l'••sistenzn dcl prerl1·stinnto. La predestinazione pare che supponga per
lo n1cno questo: che un indivirlno Psista; altrinientl come lo si potrebbe prede-
5finflre '!
?56 LA SOM:\IA TEOLOGICA, l, q. 23, aa. 2-3
ARTICOLO 3
Se Dio riprovi qualcuno.
ARTICULUS 3
Utrum Deus aliquem hominem reprobet.
I Sent., d. 40, q. 4, a. t; s Cont. Gent., c. 163; ad Rom., c. 9, Ject. 2.
ARTICOLO 4
Se predestinati siano eletti da Dio.
ARTICULUS'
Utrum praedestinati eligantur a Deo.
I Sent., d. '1, a. »: De Verlt., q. 6, a. 2: aa Rom., c. 9, Iect. 2.
AD QUARTUM SIC PROCEDITUR. Videtur quod praedestinati non eli-
gantur a Dea. Dicit enim Dionysius, 4 cap. De Div. Nom. [lect. 1],
quod, sicut sol corporeus non eligendo omnibus corporibus lumen
immittit, ita et Deus suam bonitatem. Sed bonitas divina commu-
nicatur praecipue aliquibus secundum participationem gratiae et
glo·riae. Erg·o Deus absque electione gratiarn et gloriam communi-
cat. Quod ad p.raedestiuationem pertinet.
2. PRAETEREA, electiu eo;t eorum quae snnt. Sed praedestinatio ab
aeterno est etiam eorum quae non sunt. Ergo praedestinantur aliqui
absque electione.
:{. PRAETEREA, electio quandam discreUonem importat. Sed Deu3
« vult omries homines saJvos fieri», ut dicitur I Tim. 2, 4. Ergo prae-
destinatio, quae praeordinat homines in salutem, est absque ele-
ctione.
SED CONTR.\ EST quod dicitur Ephes. 1, 4: "Elegit nos in ipso ante
mundi constitutionem ».
RESPONDEO DICENDUM quod praedestinatio, secundum rationem,
praesupponit electionem; et electio dilectionem. Cuius ratio est,
quia praedestinatio, ut dictum e.i;t [a. l], est pars providentiae. Pro-
videntia autem, sicut et prudentia, est ratio in intellectu existens,
praeceptiva CJ.rdinationis aliquorum in finem, ut supra (q. 22, a. 1)
dictum est. Non autem praecipitiur aliquid ordinandum in finem, nisi
praeexistente voluntate finis. Unde praedestinatio aliquorum in sa-
lutem aeternam, praesupponit, secundwn rationem, quod Deus illo-
rum v·elit salutem. Ad quod pertinet electio et dìlectio. Dìlectio qui-
dem, inquantum vult eis hoc bonwn f>alutis aeternae: nam diligere
est velle alicui bonum, ut supra (q. 20, aa. 2, 3] dictum est. Electio
autem, inquantum hoc bonum aliquibus prae aliis vult, cum quos-
dam reprobet, ut supra [a. praec.] dictum est.
Electio tamen et dilectio aliter ordiuantur in nohis et in Dea: eo
quod in nobis voluntas diligendo non causat bonum ; sed ex bono
praeexistente incitamur ad diligendum. Et ideo eligimus aliquem,
quem diligamus: et sic electio dilectionem praecedlt in nobis. In
Doo autem est e converso. Nam voluntas eius, qua vult bonum
alicui diligendo, est causa quod illud bonum ab e.o prae aliis ha·
beatur. Et sic patet quod dilectio praesupponitur electioni, secundum
rationem ; et electio praedestinationi. Unde omnes praedestinati
sunt electi et dilecti.
della conversione e della perseveranza ai non eletti, per loro colpa c.aduti nel pec-
cai.o. Supposto quindi la non elezione e 11 peccato liberamente commesso e non
perdonato (perchè il peccatore ama liberamente il suo peccato e vuol rimanere in
esso), la riprovazione include la volontà, non permiS&iva soltanto, ma formale, di
conda.nnare alla pena eterna il preva.ricat.ore o&tinato. Quindi la riprovazione è
la provvidenza divina in quanto, a riguardo dei non eletti, proconosc.endo il corso
rtella loro vita, vuole non impedire che cadano nella colpa e vi si ostinino, e vuole
conseguentemente, per tale colpa, infliggere la pena eterna.
1 La nostra ana]jsi concettuale nella semplicità della divina predestinazione
mette in risalto come tre momenti: a) volontà cli dare 11 bene della vita eterna
262 LA SOMMA TEùLOGICA, I, q. 2..~, aa. 4-5
ARTICOLO 5
Se la previsione dei meriti sia la causa
della predestinazione.
ARTICULUS 5
Utrum praescientia meritorum sit causa praedestinationis.
i Le cose v-0lute da DlD esistono r~rc:l1è egli le vuole ; n.on le vuole perchè esi-
stono. Il volere di Dio è causa del loro essere e della loro bontà. Ma Dio vuole che
le cose abbiano un reale ordine tra loro: un ordine di cau&a e dl effetto; per
cui una cosa esiste veramente come causa di un'altra (causa efficiente o finale), e
LA PREDESTINAZIONE
fine a qnella dei Semipelagiani, vedi DAFFARA M. O. P., De Deo Uno et Trtno, To-
rino, 1945, p. 272.
' Quest'opinione. adunque, distingue evidentemente tra ciò che deriva dalla
grazia e ciò che deriva dal libero arbitrio.
2 Negli esseri cum1iosti di materia, quando una materia è disposta convenien-
temente, riceve per influsso della causa efflcien.te, e.conserva come effetto di essa,
LA PREDESTINAZIONE 267
mette che avvengano alcuni mali, in modo che non siano impediti
molti beni, come sopra ahhiami) visto. __ _ _
Perciò, consideriamo ora tutto il ge.ue:re umano alla stregua del-
l'universo. Dio volle che tra gli uomini alcuni, da lui predestinati,
rappresentassero la sua bontà :;otto l'aspetto della miseI'icnrdia, e
usò ad essi misericordia, e che altri, da lui riprovati, [rappreSL'll-
tasser0 la sua bontà] sotto l'aspetto della giustizia., e li sottopose
alla punizione. Questo è il motivo per ctti Dio elegge alcuni, ed altl"i
riprova.• L'Apostolo stesso nssPgnò una tale causa con le seguenti
parole: «Dio volendo mostrare l'ira sua"• cioè la giustizia vendica-
tiva, "e far riconoscere che egli pui1, tollerò"• cioè permise, "con
molta longanimità dei vasi d'ira pronti per la perdizione, anche al
fine di manifestare la ricchezza della su.a gloria. verso i vasi della
misericordia, già preparati per la gloria"· E in un altro luogo
egli afferma: «In una grande casa non vi sono soltanto vasi d'oro
e d'argento, ma anche di legno e d'argilla; gli uni a uso d'onore,
gli altri a uso vile"·
Ma il fatto che elegge questi alla gloria e riprova quelli, non ha
altra causa che la divina volontà. Perciò S. Agostino dice: " Se non
vuoi errnre, non voler giudicare perchè attiri a sè l'uno e non attiri
l'altro'" Così pure, nella natura si può trovare la ragione perchè
Dio, pur nell'uniformità della materia prima, ha creato una parte di
essa sotto la forma di fu.oca, un'altra sotto la forma di terra; pcrchè
cioè vi fosse varietà di specie nella natura. ;\la rhe questa parte di
materia prima. sia sotto la forma di fuoco e l'altra &o•t.to la forma di
te;rra, 2 dipende esclusivarne.nte daJ!a divina volontà. C-0me dipende
esclusiYa.mente dalla volontà del muratore che una data pietra sia
in questa parte della parete e una seconda da un'altra parte: seb-
bene la regola dell'arte richieda che alcune pietre siano coHcwate
qua ed altre là. •
Nè per questo, tuttavia, Dio è ingiusto dal momento che riserva
cose disuguali ad esseri non disuguali. Sarebbe contro le norme della
giustizia, se l'effetto della predes1inazione fosse dato per clebito e non
per grazia. Ma quando si tratta di cose che s.i dà1mo per grazia,
ciascuno pu!J dare a suo piaeimento a chi vuole, P·iù o meno, senza
pregìurlizio della giustizia . purchè a ness.1mo sottragga quello che
gli è dovuto. E ciò che dice il padre di famiglia [della parahola
evangeJkal: "Prendi il tuo, e vattene. Non mi è permesso di fare
quel che voglio?».'
del resto tutti I corpi composti da essi) risultano costituiti di materta prtma (ele-
mento cbe accomuna tutti gli enti fisici) e di forma sostanztale (elemento che li
distingue). La materia prima non esiste nè potrebbe esistere senza una forma. (Cfr.
Introd. Gen., nn. 165·167). - Dio l'avrebbe creata, secondo gli antichi, sotto la
torma del quattro elementi.
3 L'aquila del beati del Sesto Cielo nel Paradiso di Dante cosi riproduce quei.ti
pensieri In torma poetica :
e O predestinazion, quanto remota
è la radice toa da qoelli aspottl
che la prima. ragion non veggion tota I
E voi, morta.li, tenetevi stretti
a. giudica.r; chè noi, che Dio vedemo,
non C'onosciamo ancor tutti li eletti •.
Paradiso, xx. 130-135.
' Questa dottrina s0ttlntende quella che viene stud.lata nel trattato della
•grazia divina •: che cioè a nessuno son lasciati mancare gli aiuti sufficienti per
tare Il bene.
270 LA SOMMA TEOLOGICA, I, q. 23, a. 6
ARTICOLO 6
Se la predestinazione sia infallibile.
ARTICULUS 6
Utrum praedestinatio sit certa.
f Sent., d. 40, q. 3; ne Yerlf., q. 6, a. 3; Quodl. 11, q. 3; 12, q. 3.
AD SEXTlJM SIC PROCEDITlJR. Videtur quod pra.edes.tinatio non sit
certfl. Qnia super illud .4poc. 3, 11, " tene quod habes, ne alius acci-
piflt coronam tuam », dicit Augustinus [De Corrept. et Gratia, c. 13]
quod " alius non est accepturus, nisi iste perdiderit ». Potesi ergo
ei acquil'li et perdi corona, quae est praedestinationis effedus. Non
est igitur pracdestinatio certa.
2. PRAETEREA, posito possibili, nullum sequitur impossibile. Pos-
sihile est autem aliquem praedestinatiurn, ut Petrum, peccare, et
tunc occidi. Hoc autem posito, sequitur praedestinationis effectum
frustrari. Hoc igitur non est impoSS'ibile. Non ergo est p.raedestinatio
certa.
3. PRAETFREA, quidquid Deus potuit, potest. Sed potuit non praede-
stinare quem praedestinavit. Ergo mmc potest non praedestinare.
Ergo praedesti.nati'° non est certa.
SEo CONTRA EST quod super illud Rom. 8, 29, « quos praescivit, et
praedestinavit,, etc., dicit Glossa: « Praedestinatio est praes.cientia
et praeparatio benefìciorum Dei, qua certissime liberantur quicum-
que liberantur "·
TIESPONDEO DICENDLM quod praedestinatio certissime et infallibiliter
consequitur suw11 effectum: nec t.amen imponit necessitatem, u~ sci-
licet effectus eius ex necessitate proveniat. Dictum est enim supra
[a. 1) quod praedestinatio est pars providentiae. Sed non omnia
quae providentiae subduntur, necessaria sunt: sed quaedam con-
tingenter eveniunt, secnndum conditionem causarum proximarum,
quas ad tales effectus divina providentia ordinavit. Et tamen pro-
videntiae ordo est infallibilis, ut supra [q. 22, a. 4) ostensum est. Sic
igitur et ord-o praedcstinationis est certus; et tamen libertas arb~trii
1Jon tollitur, ex qua rontingenter provenit praedestinationis effcctus.
Ad hoc etiam consideranda sunt quae supra [q. 14, a. 13; q. 19, a. 8]
dirta sunt de divina scientia et de divina voluntate, auae contin-
gentiam a rebus non tollunt. licet certissima et infallibÙia sint.
An PRIMUM ERGO DICENDl;M qu-0d corona ùicitur e.sse alicuius, du-
pliciter. Uno modo, ex pracdestinatione divina: et sic nullus coro-
nam suam amittit. Ali o modo, rx merito gratiae: quod enim mere-
mur, quodammodo nostrum est. Et sic suam coronam aliqu:s amit-
tere potest per peccatum mortale sequens. Aliu.s autem illarn coro-
nam amissam accipit, inquantum loco eius subrogatur. Non enirn
permi1ttit Deus aliquos cadere, fJUin alios erigat, secundum ill11d lob
34, 24: « conteret multos et innumerabilrs, et stare faciet alios pro
ARTICOLO 7
Se il numero dei predestinati sia determinato.
eif' '" Sic enim in locum angelorum cadentium substituti sunt homi-
nes ; et in locum Iudaeorum, Gentiles. Substitutus autem in statum
gratiae, etiam quantum ad hoc coronam cadentis accipit, quod de
bonis quae alius fecit, in aeterna vita gruu.debtt, in qua unusquis.que
gaudebit de bonis tam a se quam ab aliis factis.
AD SECVNDUM DICENDUM quod, licet :;it possibile eum qui est prae-
destinatus, mori in peccato mortali, secundum se consideratum ;
tamen hoc est impossibile, posit-0 (prout scidicet ponitur) eum esse
praedestinatum. Unde non sequitur quod praedestinatio falli possit.
AD TERTIITM DIC.ENDt'M quod, cum praedestinatio includat divinam
voluntatem, sicut supra [q. 19, a. 3) dictum est quod Deum velle
aliquid creatum est necessarium ex suppositione, propter immuta-
hilitatem divinae voluntatis, non tamPn absolute; ita dicendum est
hir de praedestinatione. Unde non oportet dicere quod Deus possit
non praedestinare quem praedestinavit, in sensu composito acci-
p.iendo; licet, absolute considerando, Deus possit praedestinare vel
non praedestina.re. Sed ex hoc non tollitur praedestinationis cer-
titudo.
ARTICULUS 7
Utrum numerus praedestinatorum sit certus.
I Sent., d. 40, q. 3 ; De Vertt., q. 6. a.. 4.
AD SEPTIMUM SIC PROCEDITUR. Vide<tur quod numerus praedestina-
torum non sit certu!l. Numerus enim cui potest fieri additio, non est
cert11s. Sed numero praedestinatorum potest fieri additio, ut vide-
tur: dicitur enim Dwt. 1, Il: "Dominus Deus noster addat ad bune
numerum multa millia" : Gloi>sa [ordinaria]: "idest definitum apud
Deum, qui novit qui s11nt eius '" EJrgo numerus praedestinatorum
1ton est certus.
2. PRAETEREA, non potest assignari ratio quare magis in hoc nu-
mero quam in alio, Deus homines praeordinet art salutem. Sed nihil
a Deo sine ratione disponitur. Ergo non est certus numerus sal-
vandorum praeordinatus a Deo.
3. PR.\ETEREA, operatio Dei est perfectior quam operatio naturae.
Sed in operibus naturae bonum invenitur ut in pluribus, defectus
autem et malum ut in pauciori.bus. Si igitur a Deo institueretur
numerus salvandorum, plures essent salvandi quam rtamnandi.
Cuius contrarium ostenditur Matt. 7, 13, 14, uhi dicitur: <<lata et
spatiosa est via quae ducit ad perditionem, et multi sunt qui intrant
• La considerazione assoluta è quella che astrae dal fatto che uno è predesti-
nato. Constderand.o Invece il fatto della predestinazione, nel!' ipotesi che uno sia
predestinato, allora è evidente l' impossibilità che Dio possa non predestinarlo.
La proposizione: " Dio può non predestinare chi ha predestinato "• è una propo-
sizione composta; dice infatti: «un individuo è predestinato "• "quel medesimo
individuo può non salvarsi"· In senso composto, componendo cioè le due proposl-
zinni, è evidente l' impossibilità. Se Invece le due proposizioni si separano e si
considera la seconda proposizione in sè (considerazione assoluta, senso dii·tso, di-
cono i teologi), allora non oomporta nessuna impossibilità.
LA SOMMA TEOLOGICA, I, q. 23, a. 7
per eam : angusta est porta, et arcta via, quae ducit ad vitam, et
pauci sunt qui invenhm.t ea.m 11. Non ergo est praeordinatus a Doo
numerus salvandorum.
SED CONTRA EST quod Augustinus dicit, in libro De Correptione et
Gratia [c. 13J: « Certus est praedestinatorum numerus, qui neque
augeri potest, neque minui 11.
RESPONDEO DICENDUM quod numerus praedestinatorum est certus.
Sed quidam dixerunt eum esse certum formaliter, sed non materia-
liter: ut puta sii diceremus certum esse quod centum vel mille sal-
ventur, non autem quod bi vel illi. Sed hoc tollit certitudinem prae-
destinationis, de qua iam [a. praec.] diximus. Et ideo op(wtet dicere
quod numerus praedestinatorum sit certus Deo non solum formali-
ter, sed etiam materialiter.
Sed advertendum est quod numerus praedestinatorum certus Deo
dicitur, non solum ratione cognitionis, quia scilicet scit quot sunt
salvandi (sic enim Deo certus est etiam numerus guttarum pluviae,
et arenae maris) ; sed ratione electionis et definitionis cuiusdam.
Ad cuius evidentiam, est sciendum quod omne agens intendit fa.
cere aliquid flnitum, ut ex supradictis de infinito [q. 7, a. 4] apparet.
Quicumque autem intendit aliquam determinatam mensuram in suo
effectu, excogitat aliquem numerum in partibus essentialibus eius,
quae per se requiruntur ad perfectionem totius. Non enim per se
eligit aliquem numerum in bis quae non principaliter requiruntur,
sed solum propter aliud: sed in tanto numero accipit huiusmodi,
inquantum sunt necessaria propter aliud. Sicut aedificato.r excogitat
determinatam mensuram domus, et etiam determinatum numerum
mamsionum quas vult facere in domo, et determinatum numerum
mensurarum parietis ve! tecti: non autem eli.git determinatum nu-
merum lapidum, sed accipit tot, qu-0t sufficiunt ad explendam tan-
tam mensuram parietis.
Sic igitur considerandum est in Deo, respectu totius universitatis,
quae est eius effectus. Praeordinavit enim in qua mensura deberet
esse toturn universum, et quis numerus esset conveniens essentia.-
libus partibus universi, quae sci.licet habent aliquo modo ordinem
ad perpetuitatem; quot scilìcet sphaerae, quot stellae. quot elementa,
quot species rerum. Individua vero corruptìhilia non ordinantur
ad bonum universi :::iua;:,i priucipaliter, sed quasi secundario, in-
quantum in eis salvatur bonum speciei. linde, licet Deus sc.iat nu-
merum omnium individuorum, non tamen numerus vel boum vel
culicum, vel ali o rum huiu smodi, est per se µraeordinatus a Deo:
sed tot ex huiusmodi divina providentia produxit, quot sufficiunt ad
spocierum oonservationem.
Inter omnes autem creaturas, principalius ordinantur ad bonum
universi creaturae rationale.s, quae, inquantum huiusmodi, incor-
ruptibi1les sunt; et potissime illae quae beatitudinem consiequuntur,
qua.e immediatius attingunt ultimum flnem. Unde certus est Deo
numerus praedestinatorum, non solum per modum cognitionis, sed
etiam per modum cuiusdam principalis praefinitionis. - Non sic
autem omnimo est de numero repro.borum ; qui vide.ntur esse prae-
ordinati a Deo in b-Onum electorum, quibus omnia cooperantur in
bonum.
De numero autem omnium praedestinatorum hominum, quis sit,
dicunt quidam quod tot ex b()minibus salvahuntur, quot angeli ceci-
276 LA SOMMA TEOLOGICA, I, q. !!3, aa. 7-8
Altri, invece, dicono che se ne salveranno tanti, quanti sono gli an-
geli che perseverarono. Altri, infine, che si salveranno tanti, quanti
furono gli angeli decaduti, e in più tanti altri, quanti furono gli
angeli creati. Ma è meglio dire che "soltanto a Dio è noto il numero
degli eletti da collocarsi nella felicità sup,erna ». '
S-0Ll!ZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Questo testo della Scrittura va in-
teso di coloro che Dio ha prestabilito per il conferimento della grazia
nel tempo presente. Il numero di costoro, infatti, può crescere o
diminuire, ma non il numero dei predestinati.
2. La quantità di una parte trova la sua ragione nella propor-
zione che essa ha col tutto. E così c' è un motivo per cui Dio creò
tante stelle, tante specie di cose, e predestinò tanti uomini, ed è
[precisamente] la propQ/fZione di queste parti principali con la per-
fezione dell'universo.
3. Un bene proporzionato alla comune condizione della natura !".i
trova nel maggior numero dei casi; e la deficienza di un tale bene
è un'eccezione. Ma il bene che è al disopra della comune condizione
della natura si trova in un numero ristretto; mentre la deficienza
di esso si riscontra in un grande numero di casi. Così è chiaro che
son di più gli uomini i quali hanno una cognizione sufficiente per
regolare le funzioni ordinarie della vita, e in numero assai ridotto
quelli che ne sono privi, e che chiamiamo idioti o scemi: ma sono
pochi&simi, in confronto agli altri, quelli che arrivano ad avere una
cognizione profonda dei problemi del pensiero. Siccome, a.dunque, la
beatitudine eterna, consistente nella visione di Dio, supera la co-
mune condizione della natura, specialmente privata com'è della
grazia per la corruzione [prodotta) dal peccato originale, sono pochi
quelli che si salvano. E proprio in questo si mostra in modo spe-
cialissimo la misericordia di Dio, che innalza alcuni a quella sal-
vezza, che la maggioranza [degli uomini) non raggiunge, seguendo
il corso ordinario e l' inclinazjone della natura.•
ARTICOLO 8
Se la predestinazione possa essere aiutata
dalle preghiere dei santi.
' Cosi, con le parole de!La colletta Pro vivts et defunctts, conclude saggiamente
!"Angelico circa il numero dei predestinati. E infatti una questione inso!ubile per
noi, non avendo Dio nulla rivelato in proposito. Le opinioni suddette si fondano
su principii, la cui probabilità è quanto mai incerta. Che Dio, cioè, abbia prede·
finito il numero degli uomini predestinati al fine di compen~re con essi il vuoto
lasciato dagli Angeli caduti (ta opln.); oppure che Dio nel predestinare gli uomini
volesse uguagliare le schiere di essi con quella degli Angeli eletti (2a opin.) ; op-
pure, suppasta questa intenzione, abbia voluto cavare, permettendo la caduta degli
Angeli, un t,ene ancora rlù grandi' aumentando Il numero degli eletti (3" opin.).
• La (1uestione che qui S. Tommaso allronta, è delle più dibattute. Certamente
il numero assoluto di coloro che si salvano è grandissimo (cfr. Apoc., 7, 9). Ma
se facciamo un confronto tra predestinati e non predestinati, allora la questione
LA PREDESTINAZIONE ~7
ARTICULUS 8
Utrum praedestinatio possit iuvari precibus sanctorum.
slmi che ci arriva.no. Se dunque in minor numero saranno gli eletti rispetto al
dannati, non si offende nessuna legge universale di natura; anzi la gratuità della
misericordiosa predestinazione appare anche più evidente.
LA PREDESTINAZIONE 2i9
Anch" a questo propo<o, tuttavia, ~i può ripet.f're quello elle S. Tommaso dice
;>iù sopra (nf>l rorpo dell'artloolo, in fine): "è me{!lio dire che solo a Dio è notu
Il numero degli eletti da collocarsi nella felicità eterna"· In realtà ci manca la
connscenza <l<ògli elementi necessari per risolvere con certezza la questione. Do-
vremmo infatti conoscere Il fine concreto che Dio si è prefisso nel creare l'uni-
verso, in elle misura e In che modo ha deciso di manifestare la sua gloria ; e
dovre-rnno anche conoocere l'occulta opPrazione della grazia nelle anime. Il che
ci sfugge.
1 flei santi, val~ a dire, degli uomini nello stato di grazia o di gloria.
• s. Tommaso stesso dice nel De Veri!. (q. 6, a. 6): "Si dice che qu<>sta sia stata
l'opinione degli Epicurei, i quali ritenevano che tutto avvenga nccssariamente •.
3 Nel De Vertt S. Tommaso attribuisce questa opinione agli Stoici e ad Avi-
cenna.
280 LA SOMMA TEOLOGICA, I, q. 23. a. 8
ARTICOLO 1
Se il libro della vita sia la stessa cosa che la predestinazione.
SEMBRA che il libro della vita non sia la stessa cosa che la prede-
stinazione. Infatti:
1. Nella Scrittura si legge: "Tutte queste cose sono il libro della
vita» ; u cioè», commenta la Glossa, "il nuovo e il vecchio Te-
stamento». Ora, ciò non è la predestinazione. Dunque il libro della
vita non si identifica con la predestinazione.
2. S. Agostino dice che il libro della vita "è una certa forza di-
vina, che farà tornare in mente ad ognuno tutte le proprie opere
buone e cattive ». Ora, la forza divina non pare che si riallacci alla
predestinazione, ma piuttosto all'attributo della potenza. Dunque il
libro della vita non è la medesima cosa che la predestinazione.
3. Alla predrstinazione si oppone la riprcwazione. Se dunque il
libro della vita fos'le la predestinazione, dovrebbe rsserci anche il
libro drlla mortf'.
l'." 1.0NTllARIO: La Glossa, commentando il seguente versetto dei
S11/mi, "siano rnncellati dal lihro dei viventi,., afferma: "Questo
lihm è la conoscenza di Dio, per la quale egli ha predrst.inato alla
vita quelli che ha preconosciuto».
R ISPONno: Si parla in senso metaforico del libro della vita in
Dio, per ul!a analogia desunta dalle cose umane. C'è l'uso tra gli
uomini di iscrivere in un libro coloro che sono rletti a qualche uf-
ficio, come i soldati o i consiglieri che una volta erano chiamati
Pndri coscritti. Ora, apparisce chiaro da quel che al>hiamo già detto,
che tutti i predestinati sono eletti da Dio ad avrre la vita eterna.
Dunque la iscriziorn~ dei predrs.tinati si chiama libro della vita.
D'altra parte si dice, con una metafora, che è scritto nella mente
di qualcuno ciò che egli tiene fisso nella memoria; così, p. es., quando
si dice nei Prnrerbi: "Non dimenticare il mio insPgnamento. e il
tuo cuore conservi i orecefJti miei», poco dopo si aggiunge: "Scrivili
sulle tavole del tuo cuore». Del resto si scrivono le cose sui libri per
• Questa espressione m~taforica, che è un ebraismo. deriva dalla sacra Scrit-
tura, e direttamente dal libri del Nuovo Testamento: dalle Epistole di S. Paolo
(Ftl., 4, 3) e dell'ApncnlM"e (:i, 5; 13. 8, !'CC.). Ma già nel Vecchio Testamento tro-
QUAESTIO 24
De IÌbro vitae
tn tres articulos dtvtsa.
ARTICULUS 1
Utrum liber vitae sit idem quod praedestinatio.
I Sent., d. 40, q. 1, a. 2, ad 5; 3, d. 31, q. 1, a. 2, qc, 2; De Verit., q. 7, aa. t, 4:
ad Phtlipp., c. 4, lect. 1; ad Hebr., c. 12, lect. 4.
An PRJMUM SIC PROCEDITUR. Videtur quod lilber vitae non sit idem
quod praedestinatio. Dicitur enim E ccli. 24, 32: « Haec omnia liber
vitae»; Glossa [interlin.]: cc idest novum et vetus Testamentum ».
Hoc autem non est praedestinatio. Ergo liber vitae non est idem
quod praedestìnatio.
2. PRAETEREA, Augustinus, in libro 20 De Civ. Dei [c. 14], ait quod
liber vitae est « quaedam vis divina, qua fiet ut cuique opera sua
bona vel mala in memoriam reducantur ». Sed vis divina non vi-
detur pertinere ad prU;edestinationem, sed magis ad attributum po-
tentiae. Ergo liber vitae non est idem quod praedestinatio
3. PRAETEREA, praedestinationi opponitur