2021-2022
• Libri di testo
Fondamentali
– M. VANZINI, Introduzione alla Teologia, Dispense ad uso degli studenti, Roma
2019.
Consigliati
– A. BLANCO - A. CIRILLO, Cultura e teologia. La teologia come mediazione specifica
della fede, Ares, Milano 2001.
– A. STRUMIA, Scienza e teologia a confronto, Fede e Cultura, Verona 2014.
Marco Vanzini
INTRODUZIONE ALLA
TEOLOGIA
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Caratteristiche generali dei testi
• Il testo del prof. M. VANZINI, Introduzione alla Teologia (citeremo IT) si pone l’obiettivo di acquisire la
consapevolezza di come si fa Teologia . Il volume è suddiviso in sei capitoli
– cap. I La Teologia nella vita della Chiesa, che approfondisce l’origine del termine Teologia e della
scienza omonima fino all’epoca contemporanea;
– cap. II Teologia e Rivelazione , in quanto soggetto-oggetto della Teologia è Dio che si rivela fino alla
sua pienezza in Cristo;
– cap. III Teologia e fede, aspetti sapienziali che studia la dimensione oggettiva (fides quae) e soggettiva
(fides qua) della fede e la dimensione ecclesiale della Teologia;
– cap. IV Teologia e linguaggio su Dio, nel quale si chiede quale filosofia sia più adatta a un linguaggio
su Dio;
– cap. V Teologia come scienza: fede e ragione nel lavoro teologico risponde alla domanda sul rapporto
esistente tra la Teologia( scienza della fede) e gli altri ambiti del sapere;
– cap. VI Le fonti della Teologia (Rivelazione, Tradizione e Magistero) e cap. VII Il metodo teologico,
intendono risponde su quali sono fondamenti e qual è il metodo scientifico della Teologia.
• Il libro A. BLANCO - A. CIRILLO Cultura e teologia. La teologia come mediazione specifica tra fede e cultura
(citeremo CT) affronta il tema del rapporto tra la ragione e la fede, nelle sue varie articolazioni:
– nel primo capitolo si approfondisce la nozione di cultura (che non vuol dire saccenteria o
sapere un sacco di cose, ma lo stile di vita di un popolo, le espressioni che fanno parte di una
civiltà, tra cui la dimensione religiosa e quella della fede) e si prendono in esame i vari modi in
cui la fede influisce su di essa.
– nei successivi capitoli (quelli che riguardano il corso) si passa a trattare della scienza della
fede, ossia la Teologia, per approfondirne
* il metodo
* il valore per la vita cristiana: cosa serve per la vita e non solo per gli studiosi.
* e i collegamenti con le altre discipline, le scienze umane, ma non solo.
Poiché questo testo non è più in circolazione, è possibile scaricare il pdf nella piattaforma didattica.
• Il libro Scienza e teologia a confronto di A. STRUMIA è soltanto consigliato per l’approfondimento personale.
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Obiettivo dello studio
• Lo scopo della Introduzione alla Teologia è quello di offrire la conoscenza
– della Teologia in quanto scienza (i criteri per definirla come tale e il suo
sviluppo storico)
– del metodo teologico (in che modo si fa Teologia. Ogni scienza ha un
proprio metodo) e
– di accennare ai fondamenti (da dove partiamo ? Gli assiomi per il
matematico, gli esperimenti per il fisico, ma la Teologia dove trova i suoi
fondamenti?)
* della fede cristiana
* e della Teologia
• Lo studio dei fondamenti della Teologia (Rivelazione, Tradizione, Magistero) sarà oggetto della
Teologia fondamentale.
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PRIMA FASE DI STUDIO
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INTRODUZIONE
In realtà, come vedremo nel seguito, è la Chiesa intera, più che il singolo credente, il "soggetto"
che approfondisce la conoscenza della verità in cui crede, il soggetto cioè dell'attività teologica.
La teologia dunque è la disciplina (che ha carattere di scienza, come vedremo) grazie alla quale la
verità rivelata, accolta nella fede, viene esplicitata, compresa, approfondita ed espressa nel
linguaggio umano». (IT p. 3)
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«L'attività teologica è necessaria poiché la verità che Dio ha manifestato nella rivelazione supera
le capacità di comprensione dell'uomo; al tempo stesso, nonostante tale "sproporzione" tra la
verità rivelata e le capacità della ragione umana, l'attività teologica è possibile poiché, grazie alla
luce della fede, l'uomo è in grado di comprendere, in una certa misura, ciò che ha creduto.
Come sintesi delle considerazioni appena svolte leggiamo, nel documento della Congregazione
per la Dottrina della Fede Donum Veritatis (1990) nn. 1e 6, un breve ma significativo passaggio:
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Per esempio:
a. il Mistero della Trinità
b. l’Incarnazione del Figlio di Dio perfectus Deus perfectus homo
c. l’inabitazione dello Spirito Santo nell’anima in grazia
d. la divina maternità di Maria e madre nostra
e. la presenza reale di Gesù nell’Eucarestia
f. la risurrezione della carne e la vita eterna
g. la Chiesa
sono verità rivelate da Dio e che l'uomo accoglie con fede, ma che non sono evidenti alla ragione.
Non basta crederle, ma ci si rende conto che uno sforzo dell'intelletto è necessariamente richiesto nel
momento stesso in cui si accolgono tali verità.
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1 . OGGETTO E FONTI DELLA TEOLOGIA CRISTIANA
1. 1. UNA DEFINIZIONE
San Tommaso d’Aquino (1225 –1274) per estrarre una definizione dalle parole
(nomi), era molto spesso solito partire dalla loro etimologia (origine e significato
di una parola).
Teologi erano i poeti (Esiodo, Omero, Orfeo) (IX – VIII sec. a.C.), predecessori dei
filosofi, che creavano miti sulla natura degli Dei. La teologia era sinonimo di
mitologia. Essa aveva, per Platone, un forte valore educativo.
Platone (Atene, 428/427 a.C. – Atene, 348/347 a.C.), è sua la definizione precedente di
Teologi, difende la bontà degli dei, e critica i poeti per aver attribuito alla divinità la
causa non solo dei beni, ma anche dei mali. A questa teologia propone di sostituire la
filosofia.
Anche Aristotele (Stagira, 384 a.C. o 383 a.C.– Calcide, 322 a.C.) ne parla negli stessi
termini, eccetto in un caso, in cui con il vocabolo theologia designa la parte della
metafisica che tratta di Dio (cfr. Metafisica, Libro E (sesto), 026 a 19)» (IT p. 8).
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«Presso gli stoici troviamo una distinzione chiara fra tre tipi di teologia:
- quella mitica, propria dei poeti;
- quella fisica, che elaborano i filosofi nello studio della natura;
- quella civile o politica, il cui luogo era il culto pubblico reso alle
divinità.
Nel Neoplatonismo (dalla metà del sec. II d. C.), con Plotino (Licopoli, 203/205 –
Campania, 270), il suo significato prevalente sarà quello filosofico senza riferimento ad
una rivelazione soprannaturale da parte della divinità» (IT p. 8).
11
«Il termine Teologia non è :
- presente nella Bibbia (AT e NT)
- e nemmeno nei Padri Apostolici.
Così sono definiti gli esponenti della prima generazione di Padri della Chiesa, tra la fine del I secolo e la
metà del II, poiché le loro opere sono il riflesso della predicazione degli Apostoli e il complemento dei
testi canonici che da poco erano stati scritti (mentre non era ancora fissato il canone della Scrittura, cioè
l'elenco dei libri accolti come ispirati e normativi per la fede della Chiesa). […] Clemente Romano,
l'Epistola di Barnaba, Erma, Ignazio di Antiochia, Policarpo di Smirne, la Didaché, la Lettera a Diogneto
inaugurano la letteratura cristiana non canonica e sono la più antica testimonianza dell'attualizzazione
del messaggio di Gesù nella vita cristiana, nella formazione del dogma, nella dottrina e nella prassi
morale, nella liturgia, nell'organizzazione e nella disciplina ecclesiastica: echi del kérigma e immagine
fedele della vita della Chiesa nascente (cfr. IT, p. 11).
Solo con molte cautele è entrato nel vocabolario dei cristiani, anche a causa dei possibili malintesi con il
significato che esso aveva nella cultura pagana.
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A. PADRI GRECI
Origene (185 – 254) lo distingue con cura dall’uso pagano, dicendo che la Teologia è
una dottrina vera, degna di Dio.
Eusebio di Cesarea (260 c. – 339) intitola Theologia ecclesiastica una sua opera. Egli
distingue tra theologia propriamente detta come sacra dottrina sulla Trinità ed
oikonomia (economia) come dottrina dell’incarnazione. Il termine economia designa
l’agire di Dio nella storia per venire incontro all’uomo e salvarlo» (IT p. 8).
Secondo tale distinzione, che diverrà classica in Oriente anche grazie all'influenza
dei Padri Cappadoci (Basilio Magno, Gregorio di Nissa e Gregorio Nazianzeno IV
secolo) la teologia si occupa propriamente del mistero di Dio in senso stretto — di Dio
Trinità — astraendo dal suo intervento nella storia, mentre l’economia comprende tutte
le sue opere ad extra, quelle che costituiscono la storia della salvezza, e in particolare
l'incarnazione che ne è il culmine.
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B. PADRI LATINI
«In Occidente, fra i Padri latini, l’unico significato conosciuto del termine theologia, rimase, per molti
secoli, quello pagano».
S. Agostino (354 – 430) pur utilizzando il termine, più spesso usa l’espressione
ratio sive sermo divinitate: scienza o dottrina intorno a Dio (De Civ. Dei, VIII,1).
Abelardo (1079-1142) introdusse per primo il termine Teologia, nell’ambito delle scuole
cristiane. Inizialmente veniva ancora usato con un duplice significato: come conoscenza di
Dio distinta dall’oeconomia, oppure semplicemente come discorso su Dio» come lo si
intende oggi (IT, p. 9).
14
Infatti, fino a S. Tommaso (1225-1274) (Doctor Angelicus) incluso, si preferiva
ancora usare i termini di:
– scientia fidei,
– sacra doctrina,
– doctrina christiana,
– divina pagina,
– sacra eruditio.
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1.2 . LE ORIGINI DELLA TEOLOGIA
«Le origini dell'attività teologica vera e propria in seno alla Chiesa dei primi secoli coincide con la
nascita del cristianesimo.
Essa infatti fu immediatamente motivata da due esigenze:
1) dalle necessità della trasmissione della fede;
2) dalla necessità di giustificare e difendere la fede nei confronti dei non
credenti.
Per quanto riguarda la prima esigenza, la diffusione del messaggio cristiano richiedeva tre fasi
1. l'annuncio (kérigma) del Vangelo a coloro che ancora non lo
conoscevano;
2. la catechesi, ossia l'insegnamento che introduceva più a fondo
nella conoscenza della fede i nuovi battezzati: era perciò necessario
spiegare la verità rivelata rendendola il più possibile accessibile
all'intelligenza dei nuovi cristiani.
3. la giustificazione della fede di fronte ai non credenti, che esigeva
una riflessione adeguata,
- sia nei confronti degli appartenenti al popolo ebraico
- sia nei confronti del mondo ellenico di religione pagana»
(IT p. 9)
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«In entrambi i casi, sia per l'annuncio e la catechesi che per la difesa e giustificazione del
cristianesimo nei confronti del mondo ebraico e greco-romano,
Quest'opera venne realizzata anche mediante l'assunzione del pensiero filosofico da parte dei
teologi cristiani.
Si trattò di un'assunzione critica, nel senso che il pensiero cristiano che si andava sviluppando
si avvaleva della filosofia,
• ma aveva chiara coscienza che la fonte della verità si trovava nella
Rivelazione: in Cristo questioni ultime sull'origine della vita e il destino
dell'uomo avevano già trovato la loro risposta.
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«Tra i fattori all'origine della Teologia in seno alla Chiesa dei primi secoli
non vi furono solo quelli di carattere esterno che abbiamo appena evidenziato
— annuncio e difesa del messaggio cristiano,
In effetti, già dall’etimologia della parola Teologia possiamo trarre due informazioni significative:
II Nuovo Testamento non offre particolari chiarimenti, si limita ad affermare senza spiegare, lasciando
alla Chiesa il compito di rendere intellegibile in qualche modo il mistero.
Ciò ha comportato, su questa come su molte altre questioni, un lungo sforzo di riflessione teologica,
non privo di difficolta e di tensioni in seno alla Chiesa stessa.
Si sono dovute coniare parole nuove, non presenti nella Scrittura (si pensi al termine homousios =
consustanziale, inserito nella Professione di fede del Concilio di Nicea), capaci di tradurre la realtà
consegnata nella Rivelazione.
Cosi procede il lavoro teologico nella Chiesa lungo i secoli: si tratta sempre dello sforzo di
comprendere ciò che è creduto nella fede, esprimendolo in termini e concetti umani. (IT, p. 10).
È lasciato all’approfondimento personale lo studio del § 3 cap. I Lo sviluppo storico della teologia
cfr. IT pp. 11-28.
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1.3. DIO, SOGGETTO TRASCENDENTE E PERSONALE DELLA
TEOLOGIA
Come abbiamo visto, il contenuto, l’oggetto della Teologia è Dio, «Dio che rivela Se stesso e il suo
disegno di amore [di salvezza] nei confronti degli uomini :
Piacque a Dio nella sua bontà e sapienza rivelarsi in persona e manifestare il mistero della sua
volontà (cfr. Ef 1,9), mediante il quale gli uomini per mezzo di Cristo, Verbo fatto carne, hanno
accesso al Padre nello Spirito Santo e sono resi partecipi della divina natura (cfr. Ef 2,18; 2 Pt
1,4). Con questa Rivelazione infatti Dio invisibile (cfr. Col 1,15; 1 Tm 1,17) nel suo grande
amore parla agli uomini come ad amici (cfr. Es 33,11; Gv 15,14-15) e si intrattiene con essi (cfr.
Bar 3,38), per invitarli e ammetterli alla comunione con sé. (DV 2)
La Rivelazione viene qui descritta come un dialogo tra Dio e l'uomo, nel quale Dio stesso si fa
conoscere in persona e manifesta anche il mistero della sua volontà: la volontà di salvare l'uomo,
facendolo entrare in comunione con Sé.
La realtà che si rivela nei segni — eventi e parole (cfr. Dei Verbum, n. 2) ― che costituiscono la
Rivelazione è dunque Dio stesso.
Essendo la Teologia una riflessione scientifica sulla Rivelazione divina accolta nella fede, l'argomento
fondamentale della Teologia,
• il suo oggetto, è pertanto Dio considerato alla luce della Rivelazione
• che Egli (soggetto) ha fatto di Sé» (IT, p. 28).
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Pertanto, «la distinzione tra lo studio filosofico su Dio e lo studio di tipo teologico è fondata proprio
sulla diversa luce nella quale lo stesso soggetto viene indagato:
• quello della ragione naturale nel primo caso,
• quello della Rivelazione divina nel secondo (cfr. S.Th. I, q.
1., a. 1 co., ad 2) (IT, p. 28).
Quindi, ripetiamo l'oggetto della Teologia è Dio:
• considerato alla luce della Rivelazione, che Egli stesso ha
fatto di Sé;
• non semplicemente Dio in quanto termine di un percorso
filosofico a partire dalla conoscenza delle cose create.
• Ma di Dio, così come è in Sé, di cui la Rivelazione stessa dichiara
l'assoluta santità e trascendenza.
Anche il fine della Rivelazione, che è la salvezza dell’uomo, non potrebbe pervenirci dalla sola ragione
umana.
Essendo il mistero di Dio di per sé inaccessibile alla ragione umana, […], né i concetti ricavati
dall'intelletto umano a partire dalla conoscenza delle creature, né le parole e le immagini offerte dalla
stessa Rivelazione, sono sufficienti a rappresentare adeguatamente la Realtà che è il Dio uno e trino:
l'oggetto della Teologia o più propriamente il suo Soggetto: non è assolutamente riducibile ai concetti
teologici nel tentativo di illuminarne il mistero».
Per cui «data l'unicità del suo oggetto, la teologia stessa in quanto scienza [come vedremo] possiede
caratteristiche peculiari rispetto alle altre, che determinano anche la specificità del suo metodo» (IT, pp.
28-29). e21
«Dio trascende tutto ciò che è creato e ogni concetto umano, pertanto accostarsi alla sua rivelazione
richiede disposizioni di umiltà e di costante apertura della mente e del cuore» (IT, p 29).
Era necessario per la salvezza dell’uomo che, oltre alle discipline filosofiche oggetto di indagine
razionale, ci fosse un’altra dottrina procedente dalla divina Rivelazione.
Prima di tutto perché l‘uomo è ordinato a Dio come a un fine che supera la capacità della ragione,
secondo il detto di Isaia [64, 3]: “Occhio non vide, eccetto te, o Dio, che cosa hai preparato per coloro
che ti amano”. Ora, è necessario che gli uomini conoscano in precedenza questo loro fine, perché vi
indirizzino le loro intenzioni e le loro azioni. E così per la salvezza dell’uomo fu necessario che
mediante la divina Rivelazione gli fossero fatte conoscere cose superiori alla ragione umana.
Anzi, anche su ciò che intorno a Dio l‘uomo può indagare con la ragione fu necessario che egli fosse
ammaestrato dalla Rivelazione divina, poiché una conoscenza razionale di Dio non sarebbe stata
accessibile se non a pochi, dopo lungo tempo e non senza errori; eppure dalla conoscenza di tali verità
dipende tutta la salvezza dell’uomo, che è riposta in Dio.
Quindi, per provvedere alla salvezza degli uomini in modo più conveniente e più certo, fu necessario
che sulle realtà divine essi fossero istruiti per divina Rivelazione. Di qui la necessità, oltre alle
discipline filosofiche oggetto dell‘indagine razionale, di una dottrina avuta per divina rivelazione.
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1.4. ESTENSIONE DELL’OGGETTO DELLA TEOLOGIA
Sia per i pensatori antichi come per i moderni, una scienza necessita di fondamenti, cioè di punti
di partenza: in matematica gli assiomi, nella geometria i postulati di Euclide, in fisica i dati
sperimentali, ecc.,.
• Si hanno scienze esatte che conducono a verità necessarie: la matematica e logica
e le scienze naturali ( biologia, la chimica e la fisica)
• e scienze solo ipotetiche, formalmente corrette, ma non necessariamente vere; dei
puri strumenti di calcolo o previsione o al massimo delle scienze verosimili, per
esempio le scienze sociali (come l'economia, la psicologia e la sociologia).
La Teologia rientra nel primo tipo di scienza, perché ha i suoi punti di partenza che le vengono:
• dalla Rivelazione e sono accettati per fede (articoli del Credo)
• e ne anche altri che vengono dalla filosofia e dalle scienze umane
(preambula fidei)
La Teologia mette insieme, quindi, il dato della Rivelazione con il dato della ragione e trae delle
conseguenze, sviluppa una disciplina.
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«Come abbiamo già avuto modo di vedere la teologia non parla esclusivamente di Dio, ma tocca
numerosi argomenti, come la dottrina sulla creazione, sugli angeli, sull’uomo e il suo destino
futuro, sulla Chiesa, sulla Madonna, sui sacramenti, ecc., […].
Eppure, secondo San Tommaso,
• nonostante l’ampiezza di argomenti che sono oggetto della teologia,
• essa è una scienza unica,
• il cui oggetto unico è, come poc'anzi affermato, Dio.
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«Tutto ciò implica anche che l’oggetto della teologia non si identifichi strettamente con quello
della fede, ma sia più ampio.
Oggetto della fede è il contenuto della Rivelazione, mentre la teologia può occuparsi anche di
realtà che non sono oggetto della Rivelazione, ma che possono essere illuminate a partire da essa.
Così come può avvenire che verità conosciute grazie ad altre scienze possano contribuire ad
illuminare il contenuto della fede.
Si pensi alla riflessione teologica che verte su aspetti fondamentali della vita umana:
a. l’indole sociale dell’uomo,
b. le relazioni tra i popoli,
c. la natura della famiglia,
d. gli innumerevoli aspetti legati alla santificazione della vita
quotidiana, del lavoro e delle relazioni umane,
e. le problematiche legate alla bioetica, ecc. » (IT, p. 30).
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1.5. LE FONTI DELLA TEOLOGIA CRISTIANA
Il titolo del nostro Punto 2: Le fonti della Teologia cristiana aggiunge al termine Teologia la
determinazione, la specificazione di
cristiana
Questo aggettivo (cristiana) ci aiuta già ad incominciare a rispondere
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1.6. IL CRISTOCENTRISMO DELLA TEOLOGIA
Quindi, una scienza che si occupa di Gesù (di quello che lo precede, di quello che ha detto e
fatto e di quello che lo segue e trae sviluppo da Lui) è Teologia, un discorso su Dio, perché se
Cristo è Dio, parlare di Cristo è parlare di Dio.
Cristo stesso è la Rivelazione in persona, vedendo Lui vediamo il Padre, egli ci ha rivelato
alcune cose
a. che noi non conoscevamo prima di lui e
b. che erano inaccessibili alla nostra intelligenza.
Ha parlato
― della Trinità:
• del Padre,
• dello Spirito Santo,
• di se stesso come Figlio
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Gesù
ha parlato anche di cose che con difficoltà sono accessibili all’intelligenza;
ha svelato e confermato alcune verità umane, che alcuni Antichi avevano intravisto,
e le ha rese più accessibili, più chiare:
• l’esistenza di Dio;
• gli attribuiti divini: onnipotente, onnisciente,
eterno, spirituale, non corporeo ecc.
Infatti una vecchierella cristiana, lasciandosi illuminare da Cristo che è Dio fatto carne,
possiede su Dio e sulle cose necessarie alla vita eterna una conoscenza di ordine soprannaturale,
mentre gli antichi sapienti non potevano andare al di là di quello che riusciva a comprendere la
mente umana. Alla vecchierella le vengono dette, rivelate e le accoglie con fede.
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Va precisato a questo punto che nella formula:
Rivelazione in Cristo
C’è la tendenza a isolare il messaggio di Cristo dalla sua Persona: è tutt’uno. Ciò che Lui ha detto e
fatto, il cosiddetto “messaggio evangelico”, è parte integrante della sua Persona.
Si parla in proposito di Cristo come evento, che comprende anche dei contenuti che, in quanto
comunicati (rivelati) e diventano fonte di una scienza su di Lui in quanto
che ha assunto una natura umana: Dio-uomo (cristologia)
è Dio (Teo-logia)
ed è il Salvatore degli uomini (soteriologia)
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Terminiamo questa parte con Dante.
Nel Purg. III, 34-45 dice che è folle chi spera con la sola ragione umana di poter capire il
Mistero Trinitario e gli altri misteri della fede. La gente deve accontentarsi di ciò che è stato
rivelato. Così scrive:
1Iltermine latino quia, nel gergo filosofico della scolastica medioevale, e in particolare del tomismo,
sottintendendo il verbo est serviva a ribadire in maniera tautologica l'esistenza di qualcosa solo «in quanto
esiste» («quia est»). Dante si richiama alla dottrina di Tommaso d'Aquino, secondo il quale con l'ausilio
della ragione noi possiamo arrivare a conoscere il "quia est" di Dio («il fatto che Egli è») ma non il "quid
est" («che cosa è»): l'essenza di Dio rimane oggetto di fede, oppure definibile solo per via negativa.
Tommaso infatti affermava: «Siccome di Dio non possiamo sapere che cosa è, ma piuttosto che cosa non è,
non possiamo indagare come Egli sia, ma piuttosto come non sia» (S.Th., I, q. 3, prologo)
31
Ecco entrare in gioco, un po’ alla volta, i termini che caratterizzano le
32
SECONDA FASE DI STUDIO
33
3. TEOLOGIA E FEDE
Cuore inteso nel senso biblico, come centro delle facoltà e delle energie psichiche della persona. Il
cuore non semplicemente come sede dei sentimenti, ma come sede di una “razionalità” che va oltre
quella del puro intelletto/ragione
34
3.1 . DIMENSIONE OGGETTIVA (FIDE QUAE) E SOGGETTIVA DELLA FEDE (FIDES
QUA)
«Il contenuto della fede, cioè l'insieme delle verità che sono credute dal singolo cristiano, viene designato
con il nome di fides quae (il significato è quello di fides quae creditur: la fede che è creduta). Tale
contenuto di verità è ciò su cui il teologo riflette in modo approfondito.
La fides quae è la dimensione oggettiva della fede del credente, poiché si tratta di un contenuto che non è
lui ad elaborare, ma a cui è chiamato ad aderire poiché gli viene — attraverso la Chiesa — da Dio che si
rivela.
Esiste anche una dimensione soggettiva della fede: è la cosiddetta fides qua (il significato quello di fides
qua creditur: la fede con cui / grazie alla quale si crede), cioè la fede in quanto atto umano, atto della
persona che accoglie e fa proprie le verità rivelate.
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«Agostino, a partire dalla Sacra Scrittura, mostra come esistano realmente le due dimensioni, che abbiamo
detto oggettiva e soggettiva, nell'atto di fede.
Egli constata infatti che la fede:
I. è unica, la stessa in tutti i credenti, quanto al suo contenuto (ciò che si crede, ea quae
creduntur: la fides quae),
II. ma è anche diversa a seconda della persona, poiché in alcuni è più grande e in altri
più piccola, più forte o più debole. E questa è la fede intesa come adesione personale
a ciò che si crede, la fides qua creditur, che può essere diversa a seconda della grazia
di Dio e della risposta dell'uomo alla grazia.
Riguardo alla fides quae, basta per il momento specificare che, trattandosi del contenuto della fede del
credente, essa non è altro che la verità contenuta nel deposito rivelato (Sacra Scrittura e Tradizione), quel
deposito che la Chiesa custodisce e trasmette (Magistero) ad ogni generazione.
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B. Le ragioni che fondano il credere (motivi di credibilità)
Il problema degli argomenti razionali o motivi di credibilità che inducono a credere e fondano
razionalmente l’ atto del credere,
Si tratta di quella indagine razionale che ha visto impegnata, fin dal II secolo cristiano, l’apologetica
tradizionalmente intesa.
37
Tommaso parla [S.Th., II-II, q. 2, a. 1], a questo proposito, di una ricerca che chi crede compie
preliminarmente all’assenso volontario.
La ragione
— NON è chiamata a dimostrare la verità degli enunciati che le vengono
proposti da credere
— MA ad indagare sulla loro credibilità cioè:
– sulla attendibilità di colui che parla (testimone) e
– sulla non contraddittorietà logica degli enunciati che asserisce.
Ciò è necessario, perché:
– il credere umano
– e in particolare la fede in Dio
siano razionalmente fondati, cioè siano ragionevoli.
III Sent, d. 23, q. 2, a. 2b ad 3um: «La fede non si accompagna ad una ricerca compiuta dalla ragione
naturale per dimostrare ciò che si crede, ma [ad un’indagine] sui motivi che inducono l’uomo a
credere: come, ad esempio, il fatto che certe cose sono rivelate da Dio e confermate dai miracoli.
Colui che ha fede crede a un uomo non perché è uomo, ma perché è Dio a parlare in Lui, cosa che
può rilevare sulla base di dati di esperienza sicuri».
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3.2. L’ATTO DI FEDE
«La domanda che ci dobbiamo porre è: come viene accolto dal soggetto credente ciò che Dio ha rivelato
e che la Chiesa custodisce e propone alla fede?
Questa domanda non è di poca importanza, perché come ben sappiamo la realtà divina che è oggetto
della fede non è evidente all’uomo: «Dio, nessuno lo ha mai visto» (Gv 1, 18) dice Giovanni.
La realtà conosciuta nella fede
• non si impone per la sua evidenza,
• e neppure è la conclusione di un ragionamento razionale.
[…] Dunque: come avviene – quando essa si realizza – l’accoglienza da parte dell’uomo
della verità che Dio rivela?
La tradizione cattolica ha sempre sostenuto che, pur essendo il contenuto della fede superiore a ciò che
la ragione può comprendere,
la fede è
• un atto autenticamente umano,
• né irragionevole
• né cieco
E grazie a tale atto l’uomo è reso realmente
partecipe della conoscenza propria di Dio,
sebbene in modo adeguato alle capacità della propria natura.
Ciò che abbiamo espresso in termini di verità divina e di capacità della ragione umana, può essere
espresso anche in termini di grazia donata da Dio e di libertà umana: l’atto di fede avviene per il
concorso dell’aiuto della grazia e della libera decisione dell’uomo » (IT, p. 41). 39
«La modalità di questo connubio tra azione di Dio e libertà dell’uomo, tra conoscenza divina e
conoscenza umana è stata a lungo oggetto di riflessione nel corso della storia:
si tratta della cosiddetta analysis fidei, l’analisi dell’atto di fede e del
suo fondamento formale.
Possiamo dire che:
1. L’atto di fede è un atto che coinvolge tutta la persona («l’uomo gli si
abbandona tutt’intero»), non solo la ragione.
2. La fede è vista come risposta («obbedienza») rivolta liberamente dall’uomo a Dio. In
termini di adesione alla verità rivelata, si dice che l’uomo presta assenso alla
Rivelazione volontariamente.
3. Perché ciò possa avvenire –ovvero perché la risposta sia libera e l’assenso
volontario– occorrono la grazia e l’aiuto interiore dello Spirito Santo.
I segni esterni della Rivelazione – eventi e parole trasmessi dalla Chiesa nella Scrittura e nella sua
Tradizione viva – non sono da soli sufficienti perché l’uomo riconosca in essi il volto di Dio e possa
prestare «il pieno ossequio dell’intelletto e della volontà». Occorre anche l’aiuto interiore da parte di
Dio. Alla dimensione esteriore della Rivelazione si accompagna cioè una dimensione interiore:
l’impulso dello Spirito che dia «dolcezza nel consentire e nel credere alla verità». La teologia ha messo
in luce due aspetti di tale aiuto interiore:
→ una illuminazione dell’intelletto e
→ una mozione nella volontà » (IT, pp. 41-42).
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«L’illuminazione è detta lumen fidei ed è necessaria per rendere in qualche modo connaturale
all'intelletto umano la verità rivelata, affinché la ragione possa accoglierla.
La verità, così, sebbene superiore alla capacità della ragione, appare dotata di una reale intellegibilità,
che consente alla ragione di riconoscerla e di accettarla.
Dato però che, anche così, tale verità non risulta evidente (e inoltre richiede all’uomo un
coinvolgimento completo e un cambio talvolta radicale di vita), occorre che la volontà sia assistita dallo
Spirito Santo nella decisione di assentire, di una mozione del cuore (DV, n.5), un termine che è più
ampio della sola volontà:
ciò in effetti sembra in accordo con il fatto che l’uomo
― non ha bisogno solo di luce nell’intelligenza e di forza nella volontà,
― ma anche di un certo risanamento e coinvolgimento delle sue potenze
affettive,
per riuscire a riconoscere e ad aderire alla verità» (IT, p. 42).
Cuore inteso nel senso biblico, come centro delle facoltà e delle energie psichiche della persona. Il
cuore non semplicemente come sede dei sentimenti, ma come sede di una “razionalità” che va oltre
quella del puro intelletto/ragione.
Ebbene, possiamo dare l’assenso della fede per il fatto che il nostro cuore è “toccato” da Dio, ed è
toccato nel “punto” più intimo, che è il suo desiderio di felicità.
Grazie a questo essere toccato dalla Parola di Dio, il cuore riconosce in essa una verità non astratta e
lontana, ma la verità che ha a che fare con la sua personale “salvezza”, con la sua felicità (IT, p. 43).
41
«Ebbene, possiamo dare l’assenso della fede per il fatto che il nostro cuore è “toccato” da Dio, ed è
toccato nel “punto” più intimo, che è il suo desiderio di felicità.
Grazie a questo essere toccato dalla Parola di Dio, il cuore riconosce in essa una verità non astratta e
lontana, ma la verità che ha a che fare con la sua personale “salvezza”, con la sua felicità.
Il motivo per cui l’uomo dà l’assenso di fede non è l’evidenza delle cose credute (che restano non
evidenti alla ragione) ma l’autorità di Dio stesso che si rivela.
Così leggiamo nella definizione di fede proposta dal Concilio Vaticano I (Dei Filius, c. III):
La Chiesa cattolica professa che questa fede, che è l’inizio della salvezza dell’uomo, è una virtù
soprannaturale, con la quale, sotto l’ispirazione e la grazia di Dio, crediamo che le cose da Lui rivelate
sono vere, non per la loro intrinseca verità individuata col lume naturale della ragione, ma per l’autorità
dello stesso Dio rivelante, il quale né può ingannarsi, né può ingannare.
42
3.3 . LA CONOSCENZA DI FEDE
«Per questo motivo, la fede è una forma autentica di conoscenza della verità, e non una pura adesione
sentimentale priva di qualunque carattere intellegibile.
Siccome l'intelletto è giunto all'assenso grazie alla mozione del cuore, e non perché ha colto la verità
nella sua evidenza, il pensiero non è potuto giungere a una conclusione, "non trova pace", resta in
movimento, in ricerca.
Dunque nella fede l'uomo possiede una conoscenza autentica, ma si tratta anche di una conoscenza
imperfetta.
Non nel senso che essa sia erronea;
tutt'altro:
→ la conoscenza di fede è infatti la più sicura e certa perché fondata su Dio e
riconosciuta come Sua rivelazione dal cuore del credente.
→ È imperfetta nel senso che non è una conoscenza di cui la mente umana abbia
evidenza.
→ In tal senso, la conoscenza perfetta sarà, sebbene secondo le capacita creaturali,
quella che avremo nella visione beatifica, poiché allora conosceremo per
evidenza […] grazie al lumen gloriae» (IT, pp. 44-45).
43
«Inoltre, la conoscenza che abbiamo grazie alla fede è mediata
• da parole e concetti umani,
• dalle immagini e dai fatti che Dio ha scelto per
rivelarsi.
Egli si è fatto conoscere in maniera proporzionata alle capacità di noi uomini.
Termini come
paternità,
figliolanza,
amore,
alleanza,
fedeltà,
o immagini come quelle di
re,
pastore,
maestro,
banchetto,
vengono impiegate nella Rivelazione per rappresentare il mistero di Dio e la sua relazione con l'uomo».
(IT, p. 45).
44
«Tali concetti e immagini
sono adeguati alle nostre attuali capacità
ed essendo impiegati da Dio abbiamo la garanzia che non sono menzogneri,
ma al tempo stesso non sono pienamente adeguati a rivelare il mistero di
Dio.
Svilupperemo meglio il rapporto tra parole umane e mistero di Dio che in esse si rivela, quando
parleremo del linguaggio e dell'impiego dell'analogia nell'attività teologica.
Per ora e importante dire che, per queste caratteristiche intrinseche della conoscenza di fede —
imperfetta e mediata da parole umane —, essa tende a svilupparsi in una attività conoscitiva ulteriore da
parte dell'uomo: tende cioè a dare vita alla riflessione teologica.
Nell'attività razionale e discorsiva che è la teologia, la conoscenza di fede si sviluppa e diviene una
conoscenza che sempre più risplende nella ragione/intelletto dell'uomo, illuminandolo e a sua volta
prendendone la forma, secondo le esigenze del conoscere umano» (IT, p. 45).
45
4. TEOLOGIA E LINGUAGGIO SU DIO
Quanto abbiamo visto finora va sviluppato per vedere come dalle radici della fede si eleva
l’albero della teologia.
Tale albero si eleva grazie all’attività riflessiva del credente, dell’uomo di fede che cerca di
comprendere meglio ciò che crede e che conosce in modo incipiente nella fede.
Il teologo dà vita alla teologia riflettendo sul contenuto della propria fede (fides quae) e
riflettendovi con l’aiuto della luce stessa che è la fede (fides qua).
46
Quanto detto fin qui, ci «fa già capire che fede e ragione si trovano indissolubilmente
relazionate,
• tanto nell'atto con cui il credente aderisce alla verità che Dio gli rivela,
• quanto nella successiva attività di approfondimento razionale, che è la Teologia».
Premesso ciò, esaminiamo il modo di operare della ragione nella Teologia, cominciando con la
questione del linguaggio teologico.
Il linguaggio infatti è
l'attività razionale per eccellenza, non solo nel senso che il linguaggio umano deriva dalla
ragione, ma anche nel senso che i simboli e i segni linguistici sono come un terreno sul quale la
ragione stessa si costituisce. La ragione si trova alla radice del linguaggio e questo a sua volta dà
forma alla ragione1.
Il linguaggio è in un certo modo tutt'uno con il pensiero. Dunque, se la ragione umana vuole
cercare di comprendere il mistero creduto per fede, deve necessariamente impiegare un
linguaggio adeguato e, all'occorrenza, inventare nuovi termini.
Ma c'è di più: Dio stesso, per rivelarsi, ha scelto di farlo impiegando parole umane, autorizzando
la Teologia a fare altrettanto nel suo lavoro di comprensione e spiegazione della verità rivelata»
(IT, p. 49).
1 MORALES, Introducción a la Teología, pp. 91-92.
47
4.1. ANALOGIA ENTIS
Il termine analogia, nell’accezione comune della lingua italiana odierna, sta ad indicare un
«rapporto di somiglianza tra alcuni elementi costitutivi di due fatti od oggetti, tale da far dedurre
mentalmente un certo grado di somiglianza tra i fatti e gli oggetti stessi»1.
L’esigenza di introdurre l’analogia, nel quadro del pensiero greco, sembra nascere
simultaneamente da due ordini di problemi:
A. l’uno strettamente “logico-linguistico”,
B. l’altro più propriamente “metafisico”.
A. Dal punto di vista “logico-linguistico” Aristotele, come più tardi Tommaso, partono dalla
constatazione che nel linguaggio comune — che esprime e quindi riflette all’esterno la struttura
del procedimento del pensiero — uno stesso termine (“predicato”) può essere attribuito a diversi
soggetti in modo
univoco, animalità: nel cavallo, nel leone;
umanità in Pietro e in Paolo
equivoco, cane: dell’animale e della costellazione
analogo: sapiente: proporzionato tra Dio e l’uomo
L’origine del termine analogia, come suggerisce la sua radice greca (analoghía), si fonda sul
concetto matematico di proporzione (a : b = c : d), che stabilisce una similitudine dovuta ad una
uguaglianza di rapporti.
Dal momento che i nomi (le parole) usati nel linguaggio non sono altro che segni dei
concetti, possiamo dire, in modo equivalente, che
49
«Vediamo più esattamente in cosa consiste l’impiego del linguaggio analogico in Teologia,
avvalendoci del pensiero di S. Tommaso.
«Per S. Tommaso e la Teologia cristiana la conoscenza naturale della divina natura, qual è
possibile su questa terra, resta infinitamente inadeguata: noi sappiamo che Dio è spirito e
purissimo spirito, conosciamo cosa significa essere spirito e che Dio è spirito infinito. Ma
poiché noi siamo finiti e finita è ogni creatura che ci è scala a Dio, noi non possiamo
assolutamente conoscere la pienezza della spiritualità divina: conosciamo che è spirito, non
come lo è, e non conoscendo il come anche il che è rimane vago e indeterminato» (C. FABRO,
Dio. Introduzione al problema teologico, EDIVI , Segni (RM) 2017, p. 101).
È il carattere apofatico della teologia, dal greco ἀπὸ apò- (lontano da, distante) + φημὶ phemì
(parlare)
Cioè, sebbene Dio trascenda l'ordine creato, ciò non preclude la possibilità della mente umana
di avere una qualche conoscenza di Lui: possiamo conoscere Dio in qualche modo:
“Dio [...] sorpassa tutto ciò che esiste, in quanto è il suo proprio essere. Ma da questo non
segue che sia inconoscibile, bensì che supera ogni conoscenza (cognitio). In questo senso si
può dire che è incomprensibile (non comprehendi)” (S.Th., I, q. 12, a. 1, ad 3).
Si tratta dei nomi affermativi, che significano perfezioni assolute (non relative, cioè
prive di riferimenti a quanto è creato) e privi dei limiti propri di ciò che è creato; alcuni
esempi di nomi di questo genere sono: buono, vivente, potente, sapiente, ecc.» (IT, p.
50).
«Prendiamo come esempio la frase Dio è buono: il termine buono, qui applicato a Dio,
51
4.2. LA TRIPLICE VIA DI S. TOMMASO
Tale fondamento è la similitudine tra Dio e le cose create: similitudine fondata sul fatto
che Dio è principio e causa di tutto (causa formale)ciò che esiste.
52
«Al tempo stesso, poiché la partecipazione delle creature all'essere è necessariamente
limitata rispetto all'infinita perfezione dell'Essere divino, dobbiamo affermare, secondo la
definizione del Concilio Lateranense IV, che
non si può asserire alcuna somiglianza tra Creatore e creature, senza esprimere al tempo
stesso una dissomiglianza ancora più grande (DH 806) (IT, p. 51).
1 Il Corpus Dionàsianum o Areopagiticum è un corpus di manoscritti originariamente prodotti in greco antico, i cui autori e la data di
realizzazione sono incerti. Il corpus fu tradotto in latino nel IX secolo da Giovanni Scoto Eriugena. Era composto dal De coelesti
hierarchia, dal De ecclesiastica hierarchia, dal De divinis nominibus, dal De màstica theologia e da dieci lettere, anche se molto
probabilmente il complesso originale era molto più ampio di quello riscoperto nel tardo Medioevo e che è giunto fino ai giorni nostri.
Le opere vengono attribuite ad uno pseudo-Dionigi l'Areopagita.
53
Secondo S. Tommaso tali momenti sono:
1. la via dell’affermazione (via causalitatis seu affirmationis),
2. la via della negazione (via negationis)
3. la via dell’eminenza (via excellentiae seu eminentiae).
Anzitutto, poiché Dio è causa di tutte le perfezioni delle nature, queste perfezioni Dio deve
in qualche modo contenerle e possono quindi tali perfezioni esserGli attribuite come a
Prima fonte. Perciò ci sono due tipi di perfezioni:
I. le perfezioni miste ovvero quelle che nella propria essenza contengono la limitatezza
della materia come l'esser pietra, serpente, il vegetare, il sentire - tali perfezioni a Dio
possono essere attribuite soltanto causaliter. Salvo però anche l'uso delle “metafore”
come quando nella Scrittura Dio è detto “pietra” “leone”... per indicare la immobilità,
consistenza e forza della divina essenza.
II. Poi ci sono le perfezioni pure come la vita, la bontà, la scienza, l‘amore... Non c'è
dubbio che tali perfezioni competono a Dio formalmente, anzi prima a Dio che a
qualsiasi altra creatura perché soltanto in Dio esse ottengono la piena espansione o
purità formale. A questo momento interviene il processo di purificazione razionale
suggerito da Dionigi.
Invero,
1. dopo averle affermate in Dio, dato che queste perfezioni
semplici esigono l'assoluta purezza metafisica,
2. così come da noi son conosciute, devono piuttosto essere
negate che attribuite a Dio.
54
3. Perciò tale negazione costituisce il «momento di passaggio» al
momento ultimo della predicazione per excellentiam ovvero per
eminentiam: le perfezioni pure che vediamo nelle creature non
convengono a Dio secondo il modo creato, ma oltre ogni misura, in
modo eminente. Perciò Dionigi a ogni attributo divino premette il
super: essere supremo (superens), bontà infinita (superbonus) ecc.1,
perfettissimo , santissimo, amabilissimo, ecc.
1. cfr.Summa contra gentes, I, c. 30; cfr. S. Th., I, q. 13, a. 1, resp. e ad 1; C. FABRO, Dio, cit., pp. 102-
103).
55
«Oltre che su un corretto pensiero metafisico, la possibilità di impiegare l'analogia entis è
fondata sulla Rivelazione, per più motivi:
2. in secondo luogo, come abbiamo già visto (slide 42), per alcune
esplicite affermazioni della Scrittura secondo cui è possibile conoscere
il creatore a partire dalle sue creature (Sap 13, 5; Rm 1, 20);
a ben vedere, però, il fondamento più solido della fiducia nell'armonia tra umano e divino,
tra capacità della ragione umana e scienza divina che le si rivela, ci è dato nell'incarnazione
del Verbo.
“Gesù costituisce... un caso singolare che rende possibile radicalmente l'uso dell'analogia
nella riflessione teologica: vero Dio e vero uomo, in lui la differenza e la somiglianza
costituiscono un tutto armonioso. È dunque nell'incarnazione... che la Teologia trova il suo
linguaggio per eccellenza” 1» (IT, p. 52).
1 N. BRAS, Método teológico, voce Teologia in C. IZQUIERDO (dir.), J. BURGGRAF, F. M. AROCENA, Diccionario de
Teologia, EUNSA, Pamplona 2006, p. 945.
56
4.3. TEOLOGIA E FILOSOFIA
Come le altre scienze così anche la Teologia non può esaurirsi nei suoi assiomi (le sue fonti), ma per essere
una scienza, deve servirsi della ragione con le regole logiche e le conoscenze acquisite che le sono proprie,
tramite l’esperienza e la riflessione, anche prima di conoscere la Rivelazione, ovvero prima di incontrare
Gesù Cristo.
Questo bagaglio di conoscenze umane, derivanti dalla sola ragione, è ciò che cumulativamente viene
chiamato filosofia.
Un po’ come:
57
«Sia la teologia che la filosofia hanno per oggetto la verità.
La teologia la riceve nella Rivelazione, in cui Dio stesso si manifesta e ci svela il senso della nostra
esistenza, mentre la filosofia la scopre grazie alla luce della ragione.
In realtà sono numerose le discipline scientifiche, oltre alla filosofia, di cui la teologia può avvalersi nel
proprio lavoro di riflessione.
Tra esse hanno particolare importanza:
• le scienze storiche, per il fatto che la Rivelazione stessa ha carattere storico e
viene trasmessa nella Chiesa anche mediante documenti storici;
• le scienze umane, poiché, aiutando a comprendere chi è l'uomo e quali sono le
sue domande fondamentali, permettono di cogliere il carattere salvifico del
messaggio evangelico.
• le scienze naturali poiché, mettendo in luce l'ordine e l'intelligibilità delle leggi
del cosmo, corroborano l'affermazione biblica della creazione nel Logos.
58
4. 4. I requisiti per una filosofia che possa essere strumento adeguato per la teologia
«Giovanni Paolo II nell'enciclica Fides et ratio ha messo in evidenza quali caratteristiche siano necessarie
affinché una filosofia possa essere un valido interlocutore e offrire strumenti concettuali adeguati alla
teologia.
1) “Per essere in consonanza con la parola di Dio è necessario, anzitutto, che la filosofia ritrovi la sua
dimensione sapienziale di ricerca del senso ultimo e globale della vita. [...] La parola di Dio rivela il
fine ultimo dell'uomo e dà un senso globale al suo agire nel mondo. È per questo che essa invita la
filosofia ad impegnarsi nella ricerca del fondamento naturale di questo senso, che è la religiosità
costitutiva di ogni persona. Una filosofia che volesse negare la possibilità di un senso ultimo e globale
sarebbe non soltanto inadeguata, ma erronea” (Fides et ratio, n. 81).
2) “Una seconda esigenza: appurare la capacità dell'uomo di giungere alla conoscenza della verità; una
conoscenza, peraltro, che attinga la verità oggettiva, mediante quella adaequatio rei et intellectus a cui
si riferiscono i Dottori della Scolastica. [...]. Una filosofia radicalmente fenomenista o relativista
risulterebbe inadeguata a recare questo aiuto nell'approfondimento della ricchezza contenuta nella
parola di Dio. La Sacra Scrittura, infatti, presuppone sempre che l'uomo, anche se colpevole di
doppiezza e di menzogna, sia capace di conoscere e di afferrare la verità limpida e semplice” (Fides et
ratio, n. 82).
3) “Le due suddette esigenze ne comportano una terza: è necessaria una filosofia di portata
autenticamente metafisica, capace cioè di trascendere i dati empirici per giungere, nella sua ricerca
della verità, a qualcosa di assoluto, di ultimo, di fondante. [...]. →
59
“Una grande sfida che ci aspetta al termine di questo millennio a quella di saper compiere il passaggio,
tanto necessario quanto urgente, dal fenomeno al fondamento. Non è possibile fermarsi alla sola
esperienza; […] La parola di Dio fa continui riferimenti a ciò che oltrepassa l'esperienza e persino il
pensiero dell'uomo; ma questo "mistero" non potrebbe essere rivelato, né la teologia potrebbe renderlo in
qualche modo intelligibile, se la conoscenza umana fosse rigorosamente limitata al mondo dell'esperienza
sensibile. La metafisica, pertanto, si pone come mediazione privilegiata nella ricerca teologica. Una
teologia priva dell'orizzonte metafisico non riuscirebbe ad approdare oltre l'analisi dell'esperienza religiosa
e non permetterebbe all'intellectus fidei di esprimere con coerenza il valore universale e trascendente della
verità rivelata” (Fides et ratio, n. 83).
Una filosofia
1. aperta alla ricerca di un senso ultimo (sapienziale);
2. che riconosca la capacità dell'uomo di conoscere la verità;
3. infine che abbia una portata autenticamente metafisica.
Tale dovrebbe essere una filosofia potenzialmente adatta a svolgere un ruolo nella ricerca dell'intellectus
fidei» (IT, pp. 58-59).
60
Avviso
• Le pp. 64-68 di M. VANZINI, Introduzione alla Teologia, Dispense ad uso degli studenti, Roma
2019 sono lasciate allo studio personale dello studente.
• Le pp. 39-48 e 69-94 del medesimo testo non vanno studiate, perché saranno oggetto del
corso di Teologia fondamentale.
61
TERZA FASE DI STUDIO
62
Premessa: la Ratio e la Fides
L’intero campo della filosofia dipende esclusivamente dalla ragione: significa che la filosofia non
deve ammettere che ciò che è accessibile alla luce naturale e dimostrabile con le sue sole risorse.
La teologia, invece, si fonda sulla Rivelazione, cioè in fin dei conti sull’autorità di Dio.
La filosofia argomenta sempre cercando nella ragione i principi della sua argomentazione; la
teologia argomenta cercando i suoi principi primi nella Rivelazione.
Per s. Tommaso due sono le vie, ambedue legittime, per giungere alla Verità:
1. la Ratio (ragione) — abilita l’uomo a conoscere la Verità;
2. la Fides (fede) ― fa l’uomo partecipe di conoscenze veritative.
Fides e ratio non possono essere in conflitto, perché la Verità è una:
― la ragione storicamente può sbagliare,
― la fede no.
Quando esiste qualche divergenza ciò è dovuto al fatto che la ragione non ha ancora raggiunto la
Verità su alcuni argomenti.
Né la ragione, quando ne usiamo correttamente, né la Rivelazione, poiché ha Dio come origine,
potrebbero ingannarci.
Da ciò deriva che
• ogni volta che una conclusione filosofica contraddice il dogma, è segno
sicuro che questa conclusione è falsa.
• Toccherà alla ragione, debitamente avvertita, di criticare poi se stessa e di63
trovare il punto in cui si è verificato il suo errore.
Stando così le cose, cosa può fare la filosofia per la fede?
1. Può dimostrare i preambula fidei [per "preambula fidei" si intende l’insieme di quelle
verità la cui dimostrazione è essenziale alla fede stessa, tra le quali in primo luogo
l’esistenza di Dio], cioè quelle verità che hanno in un certo senso un ruolo propedeutico
rispetto alla fede.
2. Può contribuire ad approfondire il più possibile l’interpretazione dei dati della fede;
dalla verità rivelata si “scende”, per così dire, ad illuminare il piano della ragione, e
mediante quest’ultima si risale alla rivelazione, tentando di penetrarne l’inesauribile
profondità.
64
5. CARATTERE SCIENTIFICO DELLA TEOLOGIA
5.1. LA TEOLOGIA, SCIENZA DELLA FEDE
«Una comprensione del carattere scientifico della teologia presuppone l’accordo su una nozione di
scienza comune anche alle altre discipline che rivendicano tale carattere.
Una simile nozione è però difficilmente formulabile, data la diversificazione e la specificità delle
discipline scientifiche moderne (basti pensare alle peculiarità e alle differenze specifiche di due
grandi ambiti del sapere umano: quello delle scienze naturali e quello delle scienze umane).
Non possiamo, in altre parole, riconoscere validità scientifica al solo metodo delle scienze naturali —
basato essenzialmente su esperienza empirica e descrizione matematica delle regolarità osservate nei
fenomeni— per quanto esso abbia condotto ai progressi ben noti nell'ambito della conoscenza della
natura.
Occorre piuttosto formulare in modo rigoroso le richieste che una disciplina deve soddisfare per
potersi definire scienza». (IT, p. 61)
65
«Ebbene, tali richieste di scientificità possono essere ricondotte a due principali:
Per la teologia, significa anche saper esporre le proprie tesi in modo non contraddittorio per la ragione:
questo è un requisito specifico per la teologia, perché la sua fonte
primaria di sapere non è la ragione, bensì la Rivelazione accolta nella
fede».
Dobbiamo soprattutto a Tommaso d'Aquino una riflessione compiuta circa lo statuto scientifico della
teologia (IT, pp. 61-62).
66
«La principale questione affrontata dall'Aquinate fu quella relativa alla non evidenza dei principi,
cioè delle conoscenze prime, su cui si basa la teologia.
Tali principi infatti sono le verità di fede (o articoli di fede) ed essi non sono né evidenti alla
ragione, né accettati da tutti (cfr. S.Th., I, 1, a. 2).
Come si vede, tale questione riguarda direttamente il primo dei due requisiti che una scienza deve
soddisfare, sopra segnalati: il realismo gnoseologico, ossia la capacità — che la scienza deve
avere — di raggiungere la verità fornendone l'evidenza.
San Tommaso risolve la questione segnalando che anche buona parte delle altre scienze si fondano
su principi e concetti ricevuti da altre discipline, dei quali cioè non viene fornita dimostrazione
all'interno di quella determinata scienza.
La sua risposta ripropone l'argomento aristotelico delle scienze subalternate». (IT, p. 62).
67
Definizione di scienza secondo S. Tommaso:
«Bisogna tener conto del fatto che vi sono due generi di scienze.
68
• Quindi, secondo quanto afferma S. Tommaso, la Teologia è una scienza
• subalternata e non assoluta (come invece lo sono l’aritmetica e la geometria), in quanto non
prova i suoi principi, ma li riceve (mediante la Rivelazione) da una scienza più alta, che è la
scienza di Dio e dei Beati (cfr. S. Th. I, 1 artt.1-2 e 3 ad 2)
• la più eccelsa delle scienze umane, in quanto trae la sua certezza da principi rivelati da Dio,
che né può ingannarsi né ingannare (cfr. S. Th. I,1, a. 5)
• la più nobile delle scienze per la dignità della materia. Infatti mentre le altre discipline
trattano di cose accessibili alla ragione, la Teologia è la più nobile
per l’oggetto che considera: Dio;
e per il fine, in quanto tende a condurci a Lui, nostra
felicità eterna (cfr. S. Th. I, 1, a. 5)
69
5. 2. LA SCIENTIFICITA’ DELLA TEOLOGIA
Finora abbiamo
Ma
la Teologia
ma è anche e soprattutto una scienza dimostrativa, cioè non dimostra la Trinità, la
risurrezione, ma trae delle deduzioni dai dati accettati per fede, che le vengono da
quelle fonti, come se fossero gli assiomi di una teoria scientifica; si impegna per
chiarire e spiegare tali verità, rendendole sempre più comprensibili alla ragione
70
Come ogni scienza anche la Teologia non si esaurisce nei suoi punti di partenza o assiomi. La teologia
svolge un ruolo “critico” nei confronti dei propri principi o fondamenti. “Critico” nel senso che la
teologia si impegna a giustificare tali fondamenti di fronte alla ragione, a rendere ragione della fede
(cfr. 1 Pt 3, 15) (cfr. IT, pp. 63-64)
teoremi
• né la fisica si ferma ai dati ricavati dagli esperimenti, ma nello sviluppo delle teorie
A partire dagli assiomi e dai dati ricavati, tutte le scienze deducono delle conseguenze logiche
71
Da quanto si è detto, consegue che la Teologia è una forma di conoscenza sul suo oggetto-soggetto
che è Dio (se non lo fosse, sarebbe insignificante).
In realtà, però, la gente vuole capire, ragionare. Perché questo accada, è necessario che la
Teologia sia sistematica, ovvero scientifica nel senso vero del termine.
72
B. Secondo l’altra accezione dell’etimologia (teologia = ragionamento su Dio), la Teologia è
invece addirittura un discorso argomentativo, suffragato da prove e da argomenti,
circostanziato, dimostrativo e quindi una scienza vera e propria.
• Ma la scienza, nel senso pieno del termine, è solo quella del primo tipo, una conoscenza di
tipo dimostrativo e come tale esplicativo, perché riconduce a principi noti delle conoscenze,
la cui causa resterebbe altrimenti sconosciuta.
73
*metodo deduttivo
mètodo
metodo [dal lat. methŏdus f., gr. μέϑοδος f., «ricerca, indagine, investigazione», e anche «il modo
della ricerca», composto di meta- (μετα-) che include qui l’idea del perseguire, del tener dietro, e odos
(ὁδός ) «via» quindi, letteralmente «l’andar dietro; via per giungere a un determinato luogo o scopo»
Il procedimento deduttivo procede per deduzione (come procedimento logico), usando cioè soltanto il
ragionamento e la logica senza far ricorso all’esperienza .
Il metodo deduttivo è un processo conoscitivo che parte dal generale e arriva al particolare. Nel
modello deduttivo lo scienziato parte dai principi generali per arrivare all'enunciazione di leggi in
grado di spiegare fenomeni particolari. Per esempio nel procedere matematico: «se un triangolo ha
due lati di uguale lunghezza allora ha due angoli di uguale ampiezza»
Il filosofo greco Aristotele utilizza il metodo deduttivo per costruire il concetto del
cosiddetto sillogismo aristotelico in base al quale, partendo da due affermazioni generali, si può
giungere a una conclusione particolare, seguendo un ragionamento logico.
75
6. IL METODO TEOLOGICO
«Ogni scienza si caratterizza per il proprio oggetto e per il metodo attraverso il quale procede
verso una conoscenza più completa e approfondita dell'oggetto stesso.
Nel caso della Teologia, abbiamo già visto che l'oggetto è quanto di più peculiare si possa
pensare: si tratta
• del mistero di Dio in Sé Stesso, rivelatosi nella storia e, in modo pieno e
definitivo, in Cristo e
• della relazione di tutto l'esistente — e in particolare dell'uomo
— con Lui;
Va notato che non si parla di due principi, ma di un principio duplice; ciò indica che non si possono
separare l'auditus fidei e l'intellectus fidei, come se fossero due momenti indipendenti del lavoro
teologico.
Si può riconoscere una certa affinità tra l'auditus fidei e l'atto di fede, grazie alla quale l'uomo
accoglie la verità rivelata; analogamente si riconosce un'affinità tra l'intellectus fidei e l'opera della
ragione che cerca di comprendere e fare proprio il mistero.
Ma,
1. così come la fede e la ragione operano insieme in ogni fase dell'attività teologica (e non
una successivamente all'altra): La fede e la ragione sono come le due ali con le quali lo
spirito umano s’innalza verso la contemplazione della verità (Fides et ratio, n. 1),
2. così l'ascolto (auditus) e la ricerca dell'intelligenza (intellectus) della fede si intrecciano e
si compenetrano costantemente» (IT, pp. 95-96).
77
4.2. L' AUDITUS FIDEI O MOMENTO POSITIVO DEL METODO TEOLOGICO
«Secondo il testo di Fides et ratio n. 65, nel momento dell'auditus fidei la Teologia
entra in possesso dei contenuti della Rivelazione così come sono stati esplicitati progressivamente
nella Sacra Tradizione, nella Sacra Scrittura e nel Magistero vivo della Chiesa.
Tale momento del lavoro teologico è detto anche momento positivo, per indicare che si tratta di
individuare e discernere con la maggior chiarezza possibile i dati che saranno poi oggetto della
riflessione speculativa.
A differenza delle scienze naturali, che ottengono i propri dati di partenza dall'osservazione dei
fenomeni, la Teologia ricava dalla Rivelazione (accolta dal teologo mediante la fede) la materia su
cui esercitare la propria speculazione, ossia le verità o misteri di fede.
Nel momento dell'auditus fidei, o momento positivo, il teologo deve dunque determinare che cosa
Dio ha rivelato, e pertanto egli prenderà in esame il contenuto della Scrittura e della Tradizione,
interpretate grazie al Magistero vivo della Chiesa.
I contenuti rivelati non sono espressi tutti con la stessa nitidezza e richiedono un lavoro di
interpretazione delle diverse espressioni sia della Scrittura che della Tradizione. →
78
Un buon modo di procedere è quello di tracciare la storia documentale dell'oggetto di indagine
(l'espressione di una particolare verità o una categoria teologica, come ad esempio quella di
santità o di redenzione, ecc.), esaminando
a. prima le affermazioni bibliche dell'AT e del NT;
b. passando poi in rassegna la Tradizione nelle sue molteplici voci e nel
suo sviluppo storico (i Padri, le espressioni liturgiche; i teologi; ecc);
c. infine considerando gli insegnamenti magisteriali in merito» (IT, p. 96).
In tal modo si può giungere ad una formulazione chiara del dato di fede così come esso è creduto,
trasmesso e proposto dalla Chiesa.
Su tale dato, e sulla sua relazione con le altre verità di fede, si svolgerà poi l'approfondimento
speculativo, nel momento dell'intellectus fidei.
79
Riguardo al contributo che la filosofia può fornire al momento dell'auditus fidei, la Fides et ratio
(n. 65) segnala in particolare che:
la filosofia reca alla Teologia il suo peculiare contributo nel momento in cui considera la struttura
della conoscenza e della comunicazione personale e, in particolare, le varie forme e funzioni del
linguaggio. Ugualmente importante è l'apporto della filosofia per una più coerente comprensione
della Tradizione ecclesiale, dei pronunciamenti del Magistero e delle sentenze dei grandi maestri
della Teologia: questi infatti si esprimono spesso in concetti e forme di pensiero mutuati da una
determinata tradizione filosofica. In questo caso, è richiesto al teologo non solo di esporre concetti
e termini con i quali la Chiesa riflette ed elabora il suo insegnamento, ma anche di conoscere a
fondo i sistemi filosofici che hanno eventualmente influito sia sulle nozioni che sulla
terminologia, per giungere a interpretazioni corrette e coerenti.
Il teologo, nel momento dell'auditus fidei, impiega certamente i risultati delle discipline storiche e
filologiche, come pure quelli dell'esegesi biblica, ma sempre inquadrandoli in una visione
propriamente teologica, cioè alla luce della fede.
In altre parole, il suo lavoro è sempre illuminato dalla fede personale, che è partecipazione della
fede della Chiesa.
Ciò significa che il teologo cerca di cogliere nelle espressioni –pur differenziate e
storicamente determinate– della Scrittura e della Tradizione, ciò che crede la Chiesa: questa
è infatti l’espressione vera (sebbene sempre parziale) di ciò che Dio ha rivelato. Il teologo deve
per questo ricordare l’unità della dottrina della fede, con la coerenza che la caratterizza, e deve
ascoltare con attenzione la voce della Chiesa che si esprime in modo autorevole nel Magistero.
[…] la formulazione di una verità di fede, alterandone il senso, ciò sarebbe segno di una scarsa
comprensione teologica del punto in esame, o di una insufficiente capacità di ascolto della voce 80
della Chiesa nella sua Tradizione» (IT, p. 97).
«L’auditus fidei cerca di rispondere alla domanda: che ha detto Dio? e all’altra in relazione con essa,
ma diversa: come lo ha detto?
In che modo i testi biblici e i documenti della Tradizione ci trasmettono la Parola divina e ciò che
questa Parola esprime?
L’intellectus fidei riflette sul significato di ciò che Dio ha detto e aspira a mettere in rilievo tutto il
suo contenuto intellettuale, manifestando anche la connessione tra i diversi contenuti del messaggio.
Le espressioni auditus fidei ed intellectus fidei riassumono in maniera semplice i diversi passi del
percorso teologico, ma non vanno separate perché si integrano mutuamente.
Il teologo non è uno storico o un filologo che viene successivamente sostituito dal filosofo, ma sin
dal primo momento è un credente che, fondandosi sulla fede, aspira a capirne con sempre maggiore
profondità il contenuto.
Perciò, in determinati momenti volge il suo sguardo alla storia, cercando di cogliere i particolari
degli avvenimenti. In altri, fissa l’attenzione sui testi col desiderio di situarli nella congiuntura
culturale nella quale furono scritti o di determinarne, mediante l’analisi, la struttura e il significato.
In altri ancora, riflette, mettendo in relazione tra loro i contenuti della Rivelazione o ricorrendo alla
comparazione o all’analogia con altre realtà. In questi passaggi, e in altri che potrebbero
menzionarsi, il teologo sistematico dovrà essere attento alla concreta natura dell’itinerario che sta
percorrendo, rispettando con rigore le norme e le regole proprie delle scienze con le quali entra in
dialogo e di cui si serve.
Però in tutti e in ciascuno di questi passaggi l’ispirazione, la luce e l’impulso intimi verranno non da
queste scienze ma dalla fede».
FERNANDO OCÁRIZ, Intellectus Fidei: Teologia sistematica ed esegesi biblica, in PATH 3 (2004)
35-36.
81
4.3. L' INTELLECTUS FIDEI O MOMENTO SPECULATIVO DEL METODO
TEOLOGICO
«La ricerca, scientificamente svolta, dell'intellectus fidei è anche detta momento speculativo del
lavoro teologico, poiché qui viene esercitata la funzione propriamente speculativa della ragione
illuminata dalla fede.
È importante ancora una volta sottolineare l'intima unità tra ragione e fede poiché la speculazione
teologica si distingue formalmente da quella filosofica proprio in virtù di tale unità, ossia per il
fatto che la luce nella quale l'oggetto viene studiato e compreso è quella della ragione illuminata
dalla fede.
Nel momento speculativo del lavoro teologico, la ragione credente si applica ai dati rivelati per
approfondirne l'intellegibilità, per comprenderli nella misura di quanto è possibile.
Ossia, una volta che l'uomo ha accolto nella fede la verità rivelata si sente naturalmente spinto a
comprendere, ad assimilare anche in modo razionale ciò che crede. Infatti l'intelletto non riesce a
cogliere come evidenti i misteri della fede, perciò comincia così la ricerca rigorosa
dell'intellectus fidei [intelligenza o intelligibilità della fede] che è il fine della Teologia.
Tale attività della ragione si svolge secondo il suo modo proprio di procedere. Essa considera il
contenuto nuovo di conoscenza – acquisito dalla fede – cercando di esplicitarlo, di tradurlo in
concetti, e definizioni conformi ai propri bisogni secondo le proprie esigenze di intellegibilità, di
ordine e di unità» (IT, p. 98).
82
5. RAPPORTO TRA FEDE E RAGIONE
La fede e la ragione sono come le due ali con le quali lo spirito umano s’innalza verso la
contemplazione della verità (Fides et ratio, n. 1).
Ai nostri giorni si rileva una debolezza della ragione e, di conseguenza, nella filosofia come
disciplina dimostrativa (scientifica).
Oggi non si crede più che la filosofia sia una scienza. Occorre sottolineare quanto afferma la
Fides et ratio, n. 48:
L’attuale rapporto tra fede e ragione richiede un attento sforzo di discernimento, perché sia la
ragione che la fede si sono impoverite e sono divenute deboli l’una di fronte all’altra.
La ragione, privata dell’apporto della Rivelazione, ha percorso sentieri laterali che rischiano di
farle perdere di vista la sua meta finale.
La fede, privata della ragione, ha sottolineato il sentimento e l’esperienza [personale], correndo
il rischio di non essere più una proposta universale [chiara allusione al Modernismo] .
È illusorio pensare che la fede, dinanzi a una ragione debole, abbia maggior incisività; essa, al
contrario, cade nel grave pericolo di essere ridotta a mito o superstizione.
Alla stessa stregua, una ragione che non abbia dinanzi una fede adulta non è provocata a puntare
lo sguardo sulla novità e radicalità dell’essere.
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«Fin qui abbiamo considerato le esigenze che la ragione avverte nel momento in cui riceve la
conoscenza nuova apportata dalla fede.
Ora chiediamoci :
• come opera la ragione su tale conoscenza (la fede)?
• È, per così dire, autorizzata ad indagare su un oggetto soprannaturale come è il
mistero rivelato?
• Qual è il suo compito?
• Quale apporto reale può fornire in termini di conoscenza?
Per dare risposta a queste domande, partiamo da un significativo testo del Concilio Vaticano I che
descrive il ruolo della ragione in rapporto alla fede:
quando la ragione, illuminata dalla fede, cerca assiduamente, piamente e con sobrietà, con l'aiuto di
Dio ottiene una certa intelligenza dei misteri [aliquam... màsteriorum intelligentiam] molto feconda,
sia grazie all'analogia [ex analogia] con le cose che conosce naturalmente, sia grazie alla connessione
che gli stessi misteri hanno fra di loro e con il fine ultimo dell'uomo (Dei Filius, 4).
In questo passo troviamo una chiara affermazione che la ragione può svolgere un'opera di
comprensione nei confronti del dato di fede» (IT, p. 99).
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«Inoltre il testo indica due modi fondamentali che la ragione ha a disposizione per ricercare tale
comprensione, ossia per perseguire l'intellectus fidei:
1. l'impiego dell'analogia tra i contenuti di fede e la conoscenza acquisita naturalmente;
2. la ricerca dell'intelligenza del mistero evidenziando la connessione tra le diverse verità
di fede (i misteri) e il loro rapporto con il fine ultimo dell'uomo.
Questi due modi di esercizio della ragione vertono sul contenuto stesso della fede, nello sforzo di
penetrarlo razionalmente» (IT, p. 99).
Ad essi possiamo aggiungere altri due modi o funzioni dell’attività della ragione che non
riguardano però direttamente il contenuto della fede:
3. preparare il cammino della ragione umana verso la fede
a. dimostrando razionalmente i preamboli della fede (esistenza di Dio e i suoi
attributi, immortalità dell’anima umana, libertà, legge morale);
b. presentare motivi di credibilità circa la possibilità e storicità della
Rivelazione divina.
4. difendere la verità cristiana dagli errori che vorrebbero negarla (argomentazioni di
carattere apologetico), dimostrando la non contraddittorietà del dogma o la consonanza
del mistero rivelato con la natura umana» (IT, p. 99).
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Dedichiamoci invece più estesamente alla seconda modalità di esercizio della ragione teologica,
ossia: «la ricerca della connessione tra i misteri e della loro relazione con il fine ultimo dell'uomo.
1) L'impiego dell'analogia
L'analisi che abbiamo svolto riguardo al linguaggio analogico ci aveva permesso di affermare che è
possibile impiegare termini o concetti umani, ricavati dalla ragione naturale grazie alla conoscenza
delle creature (termini come uomo, figlio, persona, virtù, essere, relazione e così via) per esprimere le
verità rivelate, sebbene il contenuto di queste ecceda le capacità di significare del linguaggio umano.
Fondamento di tale possibilità — avevamo notato — è sia la scelta operata da Dio stesso di rivelarsi
impiegando parole e concetti umani, sia la metafisica dell'essere (da qui il termine analogia entis, con
cui è conosciuta questa modalità di impiego del linguaggio in Teologia).
Proviamo allora ad illustrare più concretamente l'applicazione dell'analogia entis nel ragionamento
teologico. Ebbene, le nozioni espresse nella Rivelazione (per esempio il fatto che Gesù Cristo è Re)
devono essere elaborate con l'aiuto della conoscenza naturale, filosofica o scientifica, che noi abbiamo
di tali nozioni.
Tuttavia, se ci limitassimo a questa operazione, ridurremmo il contenuto rivelato alla comprensione che
possiamo averne in base al solo pensiero filosofico (nell'esempio indicato, potremmo pensare che Gesù
è Re nello stesso senso in cui lo è un sovrano terreno, con i poteri che abitualmente gli vengono
attribuiti). In tal modo, però, non coglieremmo la portata nuova e superiore che il dato rivelato possiede
(ossia che Gesù non è un Re tra gli altri: tutta la Rivelazione punta a mostrare che egli è il solo vero Re,
ma in modo diverso da come lo sono gli altri)» (IT, p. 100).
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«Pertanto il punto cruciale per la Teologia è far sì che le nozioni conosciute naturalmente vengano
giudicate, corrette e perfezionate grazie alla conoscenza di fede, grazie cioè alla Rivelazione.
Così tali nozioni vengono elevate alla dignità di analogie teologiche, oggetto di una ragione teologica
(e non solo filosofica), ovvero di quella ragione illuminata dalla fede di cui parla il testo del Concilio
Vaticano I. In questo modo il contenuto della fede non viene alterato o "ridotto" a causa dell'apporto
della ragione.
Il contributo della ragione dunque permette una comprensione e una spiegazione del contenuto
rivelato: grazie a tale contributo la verità rivelata risulta esplicitata e illuminata, diviene via via
assimilabile dall'intelletto umano ed esprimibile in termini universalmente comprensibili.
La Teologia si costruisce così come autentico intellectus fidei, come conoscenza scientifica della fede,
come scienza della fede» (IT, pp. 100-101).
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2) La ricerca dell'intelligenza del mistero evidenziando la connessione tra le diverse verità di fede (i
misteri) e il loro rapporto con il fine ultimo dell'uomo.
«Un significato diverso, rispetto a quello di analogia entis, ha l'espressione analogia fidei (analogia
della fede).
a) Persona di Cristo
b) e quindi con il dogma trinitario,
c) ma anche con le missioni divine (del Figlio e dello
d) Spirito, tra loro inseparabili),
e) con la dottrina della grazia e delle virtù teologali e morali ad essa collegate,
f) con i doni,
g) i sacramenti,
h) la filiazione divina
i) e, infine, con la partecipazione alla risurrezione di Cristo
j) e con il giudizio» (IT, p. 101).
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5. 2. Spiegazione del dato rivelato – Argomenti di convenienza – Ragionamento deduttivo
«Tra i modi già visti, che la Teologia ha a disposizione per approfondire l'intelligenza del mistero,
possiamo menzionarli altri tre fondamentali:
1. Spiegazione del dato rivelato: fornire una nozione più precisa delle realtà rivelate
consegnate nella Scrittura e nella Tradizione della
Chiesa.
Alcuni esempi possono essere il chiarire il significato di espressioni come:
• la nozione di persona nella Trinità,
• l'essere assiso alla destra del Padre da parte di Cristo,
• la visione paolina della Chiesa come corpo di Cristo,
• le categorie come quella di redenzione, di grazia, amicizia
per la carità, e così via
90
«Un esempio è il modo in cui san Tommaso, nella prima questione della Summa Theologiae, Tertia
Pars, cerca di fornire ragioni di convenienza dell'incarnazione.
Egli si domanda se a Dio convenga, cioè se sia appropriato a Dio il fatto di aver assunto la natura
umana [utrum conveniens fuerit Deum incarnari].
Il principio utilizzato permette dunque di esplicitare in parte l'intellegibilità propria del mistero
(dell'incarnazione), nella misura in cui tale il principio può applicarsi alla vita stessa di Dio e al suo
agire. La libertà e gratuità assoluta dell'agire di Dio non significano infatti che esso sia arbitrario:
perciò, una volta conosciuta nel suo rivelarsi, l'economia della salvezza può essere penetrata in una
certa misura dall'intelligenza.
Come si può notare nell'esempio proposto, l'intelligenza si appoggia sulla conoscenza naturale e si
eleva grazie alla fede. Viene sempre salvaguardata, in tal modo, la precedenza e la superiorità della
Rivelazione rispetto al ragionamento umano che riflette e argomenta su di essa». (IT, p. 102)
91
3. Ragionamento deduttivo o dimostrazioni in senso proprio [lo abbiamo già visto]: la
spiegazione del dato rivelato può assumere anche la forma di un ragionamento nel
quale, da alcune verità, ne vengono dedotte altre che erano più o meno nascoste
all'interno del deposito rivelato.
Si tratta di un procedimento presente nella Scrittura: è così che Paolo, ad esempio, a
partire dalla risurrezione di Gesù, può spiegare in che modo risorgeranno coloro che
credono in Lui (cfr. Fil 3, 20-21; 1 Cor 15).
ad esempio:
- Gesù è Figlio di Dio fatto uomo
- ogni uomo è libero
- Dunque Gesù è libero
L'unità permette al cuore dell'uomo di riconoscere nel sì della fede il Logos che gli si rivela in Cristo.
Mentre la tensione non è contrasto, ma provocazione salutare: la Rivelazione accolta nella fede
provoca la ragione a un'estensione e a un superamento di sé che aprono lo spazio ampio e fecondo della
riflessione teologica » (IT, p. 103).
93
6. CARATTERE ECCLESIALE DELLA TEOLOGIA
Pare che si possano individuare tre strade che la Teologia si può trovare a percorrere oggi:
• quella narrativa, che, pur essendo forse quella oggi più percorribile, non può
offrire un grado di sistematicità tale da essere una scienza dimostrativa;
Oggi la debolezza sta nella filosofia, che manca di criteri metafisici. Contrariamente a quanto sta
facendo la scienza, che sta riscoprendo la metafisica.
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Naturalmente:
E uno dei primi registri con i quali verificare questa compatibilità è il fatto che per
elaborare una Teologia si utilizzi
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«Un pensiero filosofico che rifiutasse ogni apertura metafisica, pertanto, sarebbe
radicalmente inadeguato a svolgere una funzione mediatrice nella comprensione della
Rivelazione».
(Fides et ratio, n. 83)
Per es. l’impianto filosofico della teologia di Rahner rimanda direttamente a Kant e al
razionalismo (Hegel), ma ha avuto (e dato) problemi.
«Alcune conoscenze si collocano oltre le possibilità conoscitive di qualunque essere umano, come
il fatto che Dio è uno e trino [. . . ]. Queste non sono dimostrabili per via scientifica.
Altre, invece, sono sì oltre la portata conoscitiva di alcuni uomini, ma non dell’uomo come tale.
Ora quelle che sono raggiungibili per dimostrazione solo dai più capaci e preparati, ma
rimarrebbero inaccessibili a quelli che non lo sono, possono essere rese alla loro portata mediante
la divina rivelazione».
(S. Tommaso, De Veritate, q. 12, a. 2 corpus)
Altrimenti non si ottiene una Teologia cristiana, ma, nel migliore dei casi un discorso su un “dio”
che è, almeno in certa misura arbitrario è frutto della propria soggettiva immaginazione, ma non è
il Dio vero ed unico (cfr. IT, pp. 56-60) .
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«Appare con evidenza il ruolo fondamentale che hanno la Scrittura, la Tradizione e il Magistero, tanto
nel momento positivo quanto in quello speculativo del lavoro teologico. Scrittura e Tradizione infatti
costituiscono un unico deposito della Rivelazione il cui interprete autorevole è il Magistero: da tale
deposito di fede, la Teologia ricava i dati su cui operare la propria riflessione, come pure buona parte
degli strumenti necessari per comprenderli. Sono queste le fonti principali della Teologia» (IT, pp. 103).
Non si può quindi fare Teologia (con l’iniziale maiuscola) se non appartenendo alla Chiesa ed
assimilandone
• insieme alla Rivelazione (Scrittura, presenza sacramentale di Cristo),
• anche la Tradizione (il modo di intendere la Rivelazione che nella fede della Chiesa si è
consolidato unanimemente nel tempo [dottrina, liturgia: lex orandi-lex credendi])
• e il Magistero: (organo istituito da Cristo dentro la Chiesa. Ha istituito gli Apostoli, i quali
hanno tramandato ai loro successori, i vescovi, e qui si è sviluppato quel mandato di
istruire e insegnare che Gesù aveva affidato agli apostoli) come autentico interprete della
dottrina della fede e delle regole della liturgia (anche nella scienza la comunità scientifica
che controlla se si pubblicano cose sbagliate e ne conferma i risultati).
Questi elementi sono come le regole epistemologiche (le regole che dicono i caratteri di una scienza; le
regole per cui una scienza possa dirsi tale. Per Platone l’ epistḗmē è il sapere certo, acquisito, che si
contrappone all'opinione del singolo) per la scienza che ha per oggetto Dio, in quanto si è rivelato in
Gesù Cristo. Il rifiuto di uno di questi elementi porta a snaturare la Teologia.
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«Accanto alle tre fonti principali, ve ne sono alcune altre, tra le quali è bene segnalare specialmente:
• l'esperienza credente: in particolare l'esperienza della fede vissuta e testimoniata dai santi è
per la Teologia una fonte di conoscenza di Dio e del suo modo di entrare in rapporto intimo
con l'uomo. La necessità del legame della Teologia con la santità e con la spiritualità vissuta,
che era stato messo tra parentesi per un lungo periodo, è oggi affermata con molta chiarezza.
• la storia: non si tratta in questo caso di una fonte in senso proprio, poiché la storia non ha un
valore costitutivo per la Teologia, bensì un ruolo di stimolo, di provocazione positiva. Nella
storia infatti si dispiega e si manifesta l'umano — ciò che è l'uomo in tutte le sue espressioni
individuali e sociali — ed è anche il tempo della Chiesa presente nel mondo. Più ancora, lo
stesso farsi presente di Dio nel mondo avviene nella storia e genera una storia, la storia della
salvezza. La conoscenza della storia aiuta dunque a comprendere e ad interpretare non solo la
realtà dell'uomo, ma anche a cogliere gradualmente l'agire di Dio e il senso del mistero cristiano
che si disvela nella storia.
In questa attenzione alla storia, si comprende anche l'importanza dell' auditus temporis, ossia di un
ascolto attento da parte della Teologia (e in generale della Chiesa) alle diverse manifestazioni ed
esigenze, ai problemi e alle domande, dell'uomo contemporaneo» (IT, pp. 103-104).
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7. RAPPORTO FRA RICERCA TEOLOGICA E AUTORITÀ DEL
MAGISTERO: SENTIRE CUM ECCLESIA
«Poiché depositaria e interprete della Rivelazione è la Chiesa, una garanzia di equilibrio metodologico
è il fatto che il teologo si collochi ben all'interno del sentire ecclesiale (sentire cum Ecclesia), ossia in
ascolto della voce della Tradizione e del Magistero vivo della Chiesa (cfr. IT, pp. 46-47).
Ci poniamo in effetti la domanda se possa definirsi veramente scienza una disciplina che e
soggetta ad una autorità dottrinale come quella del Magistero ecclesiastico: non costituisce forse
questo un limite alla piena liberta e alla necessaria autonomia della ricerca scientifica?
La risposta si può dare tenendo presente il carattere peculiare dell’ oggetto di studio della
teologia: si tratta del Dio che si è rivelato nella storia, attraverso una Parola che, dopo aver più
volte parlato attraverso i profeti e negli eventi della storia di Israele (cfr. Eb 1, 1-2; Dei Verbum, n.
2), si è incarnata nell'umanità di Gesù Cristo, il Figlio di Dio fatto uomo.
Tale Parola, dunque, si è rivolta ad un popolo e viene custodita e trasmessa da questo popolo: il
popolo di Dio che è la Chiesa in continuità con l’Israele dell'AT.
Per questo motivo non può che essere la Chiesa l'ambiente vitale del teologo; in essa sono
custodite le esperienze della fede con Dio.
Non vi è dubbio che la Parola custodita nella Chiesa viene prima e precede la ricerca teologica ed
è l'unita di misura della teologia, dato che questa non è altro che lo sviluppo intellettuale della
fede in tale Parola». (IT, pp. 104-105). 99
Analogamente a quanto accade in ambito scientifico, «per essere effettivamente custodita e
trasmessa dalla Chiesa, per non essere esposta all'arbitrio dei singoli, la Parola ha bisogno di
avere nella Chiesa un suo proprio organo — il Magistero, che Cristo ha affidato agli apostoli e per
loro tramite ai loro successori —.
È il primato della Parola, o se vogliamo il primato della fede della Chiesa sulle interpretazioni
soggettive della Parola, che conferisce autorità al Magistero.
Tale autorità, però, essendo proprio al servizio della Parola, non annulla l’autonomia
dell’indagine teologica, bensì le conferisce l’unico suo stabile fondamento2. Una teologia che
voglia dirsi veramente scientifica, dunque, non dovrà rifuggire il rapporto con il Magistero: al
contrario, se lo facesse mancherebbe il proprio obiettivo, poiché perderebbe di vista il vero
oggetto della sua indagine, che è la Parola di Dio.
Il teologo, in definitiva, deve sapere meglio di chiunque altro di non essere il padrone della Verità.
Egli è semmai posseduto dalla Verità che, più ampia e profonda dei limiti del suo spirito, vive
invece nella Chiesa per opera dello Spirito Santo.
Come membro vivo della comunione ecclesiale il teologo può contribuire a un reale progresso
nell'intelligenza della Verità che è Cristo, presente e vivente nella sua Chiesa» (IT, p. 106).
1 Il Comitato Scientifico è un organismo costituito con lo scopo di garantire e assicurare la qualità tecnico-
scientifica dei contenuti trattati e pubblicati nel campo delle scienze.
2J. RATZINGER, Natura e compito della teologia, Jaca Book, Milano 1993, p. 93 100
«In primo luogo, […] è grazie alla Chiesa e nella Chiesa che l'uomo entra in contatto con la
Rivelazione: attraverso la Scrittura che essa ci offre e ci aiuta a comprendere, come attraverso
molti altri canali: il culto liturgico, la catechesi –in famiglia, in parrocchia, ecc–, gli esempi di
santità che vediamo negli altri fedeli, la carità che sperimentiamo nella comunione con gli altri,
ecc. In sostanza, è grazie alla trasmissione viva della Rivelazione attuata dalla Chiesa che noi
possiamo riconoscervi Dio e aderire a Lui nell'atto di fede.
In secondo luogo va notato che la fede del credente dipende dalla fede della Chiesa anche quanto
al suo contenuto. Ha scritto in proposito Benedetto XVI:
non posso costruire la mia fede personale in un dialogo privato con Gesù, perché la fede mi viene
donata da Dio attraverso una comunità credente che è la Chiesa e mi inserisce così nella
moltitudine dei credenti in una comunione che non e solo sociologica, ma radicata nell'eterno
amore di Dio, che in Se stesso e comunione del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, è Amore
trinitario. La nostra fede è veramente personale, solo se è anche comunitaria: può essere la mia
fede, solo se vive e si muove nel "noi" della Chiesa, solo se è la nostra fede, la comune fede
dell'unica Chiesa1
Pertanto la teologia, attività del credente che è teologo, non può essere che un'attività
eminentemente ecclesiale, pena il tradimento della propria essenza e della propria missione a
servizio della fede» (IT, p. 47).
101
FINE
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