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I Libri Sapienziali.

Un itinerario di esperienza spirituale


(Fabrizio Pieri)

La questione centrale nei Libri di cui ci occuperemo nel nostro itinerario di


ricerca è cosa voglia dire “essere umano” e come si viva da “essere Umano”.
Al contrario di ogni altra sezione della Scrittura dove il punto di partenza è
sempre Dio e la sua azione, nel nostro caso l’asse d’attenzione si sposta da Dio
all’uomo, alla sua vita, all’esperienza che ha dall’ambiente in cui vive.
Partendo da questa esperienza, scopo della sapienza veterotestamentaria
è quello di fornire la saggezza, che porti al dominio dell’ambiente ed alla piena
realizzazione dell’uomo stesso sostanzialmente.
Tanto per fare un esempio potremo dire che il Credo principale non è Dt
26,5-9, ma la capacità umana di dominare la sua situazione con la sua
intelligenza.
L’uomo è chiamato in pratica ad imparare dalla sua esperienza e da quella
del popolo in modo che derivino da tutto questo principi come la tolleranza per
le opinioni altrui ed il dovere di realizzare la persona umana, elemento che
coinvolge evidentemente un’antropologia ed un’etica.
Riguardo alla sapienza, tema centrale del nostro riflettere, dobbiamo
mettere subito in chiaro che non è primariamente una fonte teologica, pur se
ha elementi dogmatici utili per esempio per la cristologia.
In essa si trova piuttosto un umanesimo religioso che una teologia,
elemento da cui possiamo attingere anche noi oggi, certo senza un riporto
pedissequo alla nostra situazione, ma prendendo in considerazione valori
universali come la giustizia, la verità, la tolleranza.
In particolare riguardo alla Tradizione giudaica della Sapienza sono da
prendere in considerazione questi altri punti seguenti: da un lato la Sapienza
biblica si presenta come teista in quanto ammette una Divinità creatrice e di
conseguenza la natura creaturale del cosmo e dell’uomo.
Dall’altro lato proprio per la natura creaturale l’uomo ha un dovere di
creazione, è cioè responsabile per il mondo creato; e in questo ambito si
colloca la capacità umana, che si ritiene innata di capire i retti valori umani e di
portare a compimento il progetto uomo.
E a proposito ancora della cosiddetta “Letteratura sapienziale” biblica
seguiremo nella nostra riflessione la divisione classica ebraica del TANAK così la
nostra attenzione andrà agli Scritti (i ketûbîm), sezione che contiene tutti i
sapienziali.
Nella Sapienza biblica l’uomo tenta di dare risposta di fronte al mondo
creato per cercare di capirlo e di dominarlo: il tema principale è perciò l’uomo
davanti al mondo creato e naturalmente al Creatore.
Ed in particolare nell’incontro con quest’Ultimo c’è prima una risposta
affettiva, che si esprime nella preghiera ( si pensi ai Salmi) e quindi una
risposta intellettuale (si pensi a Gb e Qo) così da cercare e trovare una visione
coerente dell’uomo e del mondo.
Nel cammino della riflessione e dello studio contemplativo, che vogliamo
intraprendere insieme tenteremo di ripercorrere questo itinerario esperienziale
e di vedere il pensiero dei vari contributi sapienziali.
INTRODUZIONE
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1. La Tradizione Sapienziale

1.1 Orientamento

Il movimento sapienziale fa parte del complesso letterario-strutturale


dell’Antico Testamento; ed è utile per capire la sua posizione nel contesto della
tradizione dell’Antico Testamento come pure la sua mentalità idiosincratica
ripercorrere brevemente la formazione dell’AT.

Dal 1900 al 1000 a.C. più o meno abbiamo il periodo di rivelazione diretta
seminale: diretta perché la tradizione orale si trova in forma di conversazione
tra Dio e le persone dell’antica storia di Israele; seminale poiché qui si trova il
seme della tradizione teologica posteriore, dato che evidentemente qui ci
troviamo nel periodo orale primitivo.
Dal 1000 al 500 più o meno troviamo le quattro grandi sintesi teologiche
jahvista, elohista e quindi probabilmente nel periodo esilico deuteronomica e
sacerdotale. Così per più o meno di cinquecento anni incontriamo lo sforzo di
costruire una sintesi teologica sulla base della tradizione orale.
In particolare è difficile dire quando sia cominciata la tradizione
deuteronomistica, ma la redazione finale di questa e della tradizione
sacerdotale si deve far risalire all’esilio.
Nel periodo immediatamente posteriore e fin forse al periodo ellenistico si
trova il lavoro del Cronista.
In questo stesso periodo affianco a questo sforzo dialogico, quasi
accademico si colloca un secondo movimento teologico in Israele, che va più o
meno dal 900 al 100 a.C. ed è la Tradizione profetica.
Finalmente abbiamo un terzo movimento, il più tardivo, che è la
Letteratura sapienziale, che inizia con la redazione finale del Libro dei Proverbi
nel 400 a.C. circa per arrivare fino al 100.a.C. circa, anche se il primo sforzo di
fare una collezione letteraria della Sapienza si può rintracciare nel lavoro degli
Scribi di Ezechia nel 700 a.C. circa; in ogni caso le origini orali della Sapienza in
Israele risalgono alle origini stesse del popolo.
Da questo abbozzo cominciamo la nostra introduzione con un’intuizione di
Gerard Von Rad presente nella Sua Teologia dell’Antico Testamento, redatta
ormai più di 40 anni fa. Per lui si può vedere nell’Antico Testamento la
registrazione di un incontro tra Dio e l’uomo: nei primi movimenti della Teologia
più accademica per così dire della Torah e di quella più popolare della
tradizione profetica (nebi’îm) appare il Dio Signore della storia, il Dio
dell’alleanza, un Dio insomma che parla all’uomo. E la risposta dell’uomo a
questo dialogo di iniziativa divina si trova nella tradizione sapienziale
(ketûbîm).
Certo non dobbiamo assolutizzare questa idea di Von Rad, rimane
comunque un utile punto di partenza per capire lo spirito della Sapienza biblica
che, al contrario della Legge e di Profeti, che si muovono in un contesto di
alleanza, si muove in un contesto di vita secolare: qui non compare quasi per
niente la Parola divina o la sua rivelazione, il protagonista è sempre e quasi
elusivamente l’intelletto umano.
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1.2 Capacità umana: intelletto, ragione , giudizio come Fonte della Sapienza

La parola usuale ebraica per indicare il fenomeno della sapienza è hokmâ,


che dal punto di vista filologico ha il significato primario di abilità, capacità
umana, cioè il possesso di un’arte per costruire, dire, fare qualcosa.
Naturalmente l’arte più importante è quella di saper vivere e di saper
insegnare agli altri come vivere, ma ancora più alta è la capacità di vivere
rettamente davanti a Dio ed ulteriormente maggiore è il saper insegnare
questo agli altri.
Sembra quindi che l’ideale sapienziale della persona umana sia il maestro.
In ogni caso la Letteratura sapienziale diventa nell’AT quasi una scuola non solo
per aiutare l’uomo a fare di se stesso una persona completa, con una carriera
ben riuscita nel senso profano, ma anche per vivere pienamente questa vita
umana nella vita secolare e davanti a Dio. Così per i saggi la buona vita
comprende due diversi aspetti: secolare e religioso, che rimangono tuttavia
complementari, dato che la vita stessa è ritenuta un’unità senza dicotomie tra
secolare e religioso.
Ricordiamo in particolare che quando si parlava della vita davanti a Dio si
riscontravano due atteggiamenti: una risposta nell’adorazione ed è la preghiera
,unita ad una comprensione dell’uomo e del mondo.
Ne segue che si trovano due tipi di sapienza: l’esercizio di un rapporto
personale con Dio e l’esercizio dell’intelletto umano, che pone sempre la
questione fondamentale: cosa vuol dire essere uomo, vivente in un mondo
estraneo.
Si è detto all’inizio che la radice ebraica della parola italiana sapienza è
hokmâ, ma questo non è totalmente esatto, infatti non c’è nessuna parola, che
in se stessa sia adeguata al concetto di sapienza nell’AT. Solo la sinfonia, la
combinazione dei termini tecnici usati può comunicare la ricchezza del
concetto di sapienza nell’AT.
L’esposizione definitiva sulla sapienza e il significato della capacità
umana, che la sapienza significa la troviamo in Pro 1,1-7:
1
Proverbi di Salomone, figlio di Davide, re d'Israele,
2
per conoscere la sapienza e la disciplina, per capire i detti
profondi,
3
per acquistare un'istruzione illuminata, equità, giustizia e
rettitudine,
4
per dare agli inesperti l'accortezza, ai giovani conoscenza e
riflessione.
5
Ascolti il saggio e aumenterà il sapere, e l'uomo accorto
acquisterà il dono del consiglio,
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per comprendere proverbi e allegorie, le massime dei saggi e i
loro enigmi.
7
Il timore del Signore è il principio della scienza; gli stolti
disprezzano la sapienza e l'istruzione.

Qui abbiamo i termini: hokmâ = sapienza.


tebunâ = comprensione.
bînah = intuito, discernimento.
da’at = conoscenza quasi scientifica.
mezzimah = circospezione.
4

mûsar = disciplina.

Tutti questi termini formano la sinfonia, che è la Sapienza secondo l’AT.

1.3 Metodo e scopo della Sapienza: esperienza/intelletto umano.


Come ogni individuo su questa terra, anche l’israelita cerca di sapere la
verità su se stesso e sul mondo che lo circonda per poi sviluppare regole di
comportamento per raggiungere la perfezione, come per es. in Sir 39,1-11 e
51, 13 ss, in cui è presente il ritratto dello studioso santo ben riuscito nella vita
secolare.
In questi due testi troviamo il vero scopo della sapienza: ricercando la
sapienza l’individuo può dominare il suo ambiente religioso e secolare e così
divenire una persona completa, in altre parole abbiamo qui la ricerca perenne
dell’uomo religioso: il desiderio di erudizione e di santità.
Lo scopo della conoscenza umana è così il dominio dell’ambiente, il
mondo esterno all’uomo stimola l’uomo stesso che deve reagire per mantenere
il controllo, ma come?
Alla base di qualsiasi sapienza c’è la conoscenza derivante dall’esperienza
passata e non dalla rivelazione divina.
In altre parole i sapienti riflettevano sull’esperienza umana e
trasmettevano il loro insegnamento con lo scopo di agevolare non soltanto la
vita sociale, ma anche quella individuale; il saggio insomma si serve della sua
conoscenza per dare forma al mondo intorno a lui.
L’intelletto umano così non è in opposizione alla religione: entrambi si
trovano fianco a fianco in questa Letteratura ed esperienza sapienziale. Ma
come risultato di questa riflessione ragionevole sull’esperienza ed anche dello
sforzo di ripensare l’esistenza dell’uomo sorgono due tipi di sapienza: in primo
luogo una sapienza convenzionale (Siracide, Proverbi e Cantico dei Cantici) e
quindi una sapienza intellettuale (specialmente In Giobbe e Qohelet) che
interroga l’ambiente e talvolta dubita della sapienza convenzionale arrivando
spesso alla conclusione di negare che ci siano regole fisse o leggi immutabili
dell’esperienza. Però sia per la prima che per la seconda la sapienza umana
sotto la tutela dell’intelletto è il fondamento per il dominio dell’ambiente;
esperienza e ragione sono i fondamenti della disciplina, che si chiama
Sapienza, la Rivelazione e la Parola divina non entrano in questo nostro
discorso.
In conclusione possiamo dire che la Sapienza sia la combinazione di
esperienza ed intelletto umani che danno all’uomo la possibilità di dominarlo
divenendo maestro dell’universo e quindi della vita: la sapienza diviene
praticamente la dinamica stessa dell’essere nel mondo dell’uomo.

2. Il concetto di sapienza

2.1. La Sapienza e la sua conoscenza specifica

I Libri sapienziali si differenziano dai Libri storici e profetici fin dalla prima
lettura. Se nella Letteratura sapienziale è presente la creazione, sembra però
del tutto assente la Storia della salvezza. Spesso i Sapienziali sono stati per
questo contrapposti al resto dell'AT quasi proponessero una “teologia della
creazione” astratta dalla storia. Ciò non è esatto: già nei sapienziali più antichi
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la storia viene recuperata come storia del singolo uomo, la "storia" della vita
quotidiana. Poi già in parte Siracide e successivamente Sapienza,
recupereranno la dimensione storica anche in maniera più universale,
sottolineando il legame tra storia e creazione. Il passato diventa nella
tradizione sapienziale modello per il futuro, che Dio crea rinnovando il cosmo;
natura e storia quindi parlano entrambe al sapiente guidandolo sulla via della
vita.
I testi sapienziali possono per questo essere definiti, secondo
l'immagine proposta da K.Rahner, la mistica del quotidiano.
In Ger 18,18 troviamo l'indicazione di tre esperienze diverse e
complementari: "la legge non verrà meno ai sacerdoti, né il consiglio ai saggi,
né l'oracolo ai profeti".
La Torah (=istruzione) è il proprio del sacerdote, al profeta compete la
parola, al saggio compete il consiglio.
La Torah racchiude le credenze fondamentali della storia d'Israele e le
leggi del popolo di Dio; il sacerdote insegna i fondamenti della fede. Poi ci sono
i Profeti anteriori e posteriori, testimoni di come la legge sia “parola viva”,
comunicazione/esortazione diretta di Dio al suo popolo; il profeta esorta
all'ascolto fattivo delle legge. Ai saggi compete il consiglio, cioè la riflessione
sull'esistenza, che è certo esistenza davanti a Dio, nel popolo dell'Alleanza,
entro la storia di salvezza, ma non si può definire in maniera così netta come
l'esperienza e la produzione letteraria di sacerdoti e profeti.
Questa produzione letteraria è definita nel canone ebraico dei Ketûbîm,
gli (altri) Scritti, cioè una definizione in senso negativo, ciò che non è proprio
né dei sacerdoti né dei profeti. In senso stretto possono essere definiti
Sapienziali i libri seguenti: Pro, Gb, Qo e, al di fuori della Bibbia ebraica
(deuterocanonici), Siracide e Sapienza. In realtà non è che la Sapienza non sia
mai presente altrove, c'è chi parla ad esempio di "sapienza internazionale"
comunque la comprensione non è univoca per tutti, infatti sapere cosa è la
sapienza non è facile.

2.2. La sapienza come conoscenza empirica

Un distintivo della Sapienza orientale può essere il concetto di


conoscenza empirica, contrapposto a quello di conoscenza scientifica in
senso lato.
Cos'è la conoscenza empirica?
Per dominare l'esperienza e per mettere in ordine quel caos che è il
mondo ci si offrono due vie: la prima è quella sistematica (scienza) con cui si
vuole arrivare a formulazioni universali e necessarie. Il carattere distintivo
della scienza è quello di voler giungere ad una predizione esatta dei
fenomeni, che si compiranno a determinate condizioni. Il prezzo che essa
necessariamente paga è quello di una "semplificazione forzata" del reale,
con tutte le conseguenze che ciò comporta, ad esempio nel trattare il
fenomeno umano con tutte le sue sfaccettature.
La seconda via di comprensione del reale è la conoscenza empirica
(gnomica), che cerca invece di esprimere fasce di esperienza, con l'unica
pretesa di dire il reale, senza pretendere di arrivare all'universale. Si tratta di
allargare le capacità umane di percepire la complessità e ricchezza del
reale, di misurarsi con le soluzioni proposte nel passato a problemi concreti e
personalizzati.
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La finalità è quella di rendere l'uomo concreto e singolo capace, nel


momento della prova, di una risposta adeguata alla situazione, capace cioè
di dare una risposta sapiente.
La sapienza orientale ha scelto la via empirica, preoccupandosi più della
complessità dei fatti che della loro semplificazione. Capita perciò, abbastanza
spesso di imbattersi in affermazioni che apparirebbero contraddittorie, ma,
considerate come immagini non complete della realtà, si illuminano invece a
vicenda.
La conoscenza empirica, più usuale di quanto siamo portati a credere, è
quella che ci permette di vivere giorno per giorno. L'uomo deve affrontare
situazioni concrete diversissime, la conoscenza empirica lo orienta anche
se essa ha una notevole vulnerabilità, cioè è soggetta a continui mutamenti, e
quindi ad essere sorpassata.
L'uomo della conoscenza empirica vive perciò di tradizione e di apertura
ad esperienze nuove.
La conoscenza empirica si trasforma usualmente in letteratura
specialmente attraverso i proverbi e le sentenze semplici, che mantengono
la vivacità dell'esperienza.

2.3. Dalla Sapienza alla Letteratura sapienziale

Anche la conoscenza empirica, pur essendo apertura incondizionata al


mondo ed alle esperienze, è comunque una conoscenza, che non nasce dal
nulla e senza una base alle spalle.
L'uomo interpreta la realtà a partire dal proprio patrimonio di convinzioni
e dal proprio ambiente culturale (Sitz im Leben).
Occorre perciò collocare il discorso della sapienza nell'esperienza del
popolo d'Israele. Inoltre non bisogna lasciarsi ingannare dalla banalità e
sorvolare su testi apparentemente semplici, bisogna essere consci della fatica
della formulazione di un proverbio in una persona o in un ambiente. Proprio
l'analisi di questa "lunga e complessa gestazione" ci aiuta a percepire fino in
fondo il messaggio del testo e come tale e quale veniva percepito dal suo
lettore ideale.
Il compito dell'esegesi in questo ambito è quello di arricchire la nostra
capacità di leggere il testo mettendoci nelle condizioni del lettore ideale
(implicito) che il testo stesso mostra di pretendere.
I testi sapienziali per questo vanno spesso affrontati ciascuno a sé, sono
difficilmente malleabili e classificabili, fanno riferimento a un complesso d i
esperienze molto vasto che va tenuto almeno idealmente "tutto" presente.
Inoltre i termini della nostra cultura spesso non sono adatti ad esprimere
l'ordine del mondo come lo poteva intendere un ebreo e questo costituisce il
problema basilare della difficile traduzione di questi testi e della loro
altrettanto difficile interpretazione.
Alcuni esempi possono aprirci alla comprensione diretta di questa
difficoltà:
Pro 17,27-28: “Chi è parco di parole possiede la scienza; uno spirito
calmo è un uomo intelligente. Anche lo stolto, se tace, passa per saggio e, se
tien chiuse le labbra, per intelligente”
Certo sapienza e parlare poco vanno insieme, ma anche lo stolto, se
tace, appare saggio. Il discorso è confuso: se uno tace è perché è sapiente
o perché è stolto?
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E' fondamentale comprendere come i Proverbi non vogliano definire


una realtà dogmatica, ma piuttosto aiutare l'uomo a capire le cose, a
valutare i segni per quello che possono significare, senza cadere nell'illusione
di una lettura sempre univoca di un mondo reale, che è complesso.
Pro 26:4-5 “Non rispondere allo stolto secondo la sua stoltezza per non
divenire anche tu simile a lui. Rispondi allo stolto secondo la sua stoltezza
perché egli non si creda saggio”.
Questo testo appare ancora più strano, ma a ben vedere è chiaro:
davanti allo stolto non si può mai trovare l'atteggiamento giusto con
certezza. Ci sono due affermazioni contraddittorie, qual è quella giusta? A
seconda delle circostanze. Non c'è una ricetta valida in ogni situazione, nella
situazione concreta il saggio valuterà con sapienza e deciderà l'atteggiamento
da tenere.
La sapienza, come mostrano questi primi esempi non è tanto
l'oggetto della conoscenza, quanto uno strumento, non si tratta di imparare
i Proverbi come si trattasse di un manuale di buone maniere o di strategie di
mercato o di pubbliche relazioni, ma di conoscere meglio il mondo con l'aiuto
dei Proverbi.

3. La Sapienza nel Vicino Oriente

La Sapienza di Israele naturalmente fa parte di uno sviluppo storico, che


abbraccia tutto il vicino Oriente in un movimento internazionale di carattere
intellettuale.

3.1 Contesto Generale: disciplina “internazionale”


Come attributo umano la sapienza è una capacità innata per interrogare la
sapienza umana e sviluppare teorie per raggiungere la pienezza umana: essa si
è dunque sviluppata in un contesto di evoluzione umana e di cambiamenti di
circostanze storiche e sociali.
In primo luogo, dato il campo internazionale nel quale è cresciuta questa
teologia della persona umana fa parte a suo modo di una tradizione
intellettualmente sofisticata senza frontiere.
Un testo abbastanza interessante, che sta all’inizio dello sviluppo storico
della Sapienza si trova in 1Re 5, 9-14 e così recita:

5, 9 Dio concesse a Salomone saggezza e intelligenza molto grandi


e una mente vasta come la sabbia che è sulla spiaggia del mare.
10
La saggezza di Salomone superò la saggezza di tutti gli orientali e
tutta la saggezza dell'Egitto.
11
Egli fu veramente più saggio di tutti, più di Etan l'Ezrachita, di
Eman, di Calcol e di Darda, figli di Macol; il suo nome divenne noto
fra tutti i popoli limitrofi.
12
Salomone pronunziò tremila proverbi; le sue poesie furono
millecinque.
13
Parlò di piante, dal cedro del Libano all'issopo che sbuca dal
muro; parlò di quadrupedi, di uccelli, di rettili e di pesci.
14
Da tutte le nazioni venivano per ascoltare la saggezza di
Salomone; venivano anche i re dei paesi ove si era sparsa la fama
della sua saggezza.
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E’ importante notare questo inizio sotto Salomone della Sapienza di


Israele dato che in questo periodo nasce lo Stato nazionale istituzionale con i
relativi doveri di educazione e formazione.

In secondo luogo questa teologia della persona umana è fondata sul


principio che ogni persona umana ha la capacità innata di scoprire Dio e di
capire il mondo (cf Sir 42): è come se la verità fosse un fiore di campo a
disposizione di ciò che voglia raccogliere con la ragione e l’intelletto.

In terzo luogo la sapienza ci offre una via d’accesso alla personalità


umana ed al Creatore: per i saggi l’amore dell’erudizione conduce senz’altro a
Dio anche se la strada personale di ogni individuo può essere diversa. Ciascuno
deve scoprire la propria via di accesso a Dio ed alla Sapienza stessa.
Data questa prospettiva della Sapienza d’Israele quale è il ritratto del
saggio che ne viene fuori?
Il saggio d’Israele (hakam) è colui che prime scopre ed apprezza e poi
comunica agli altri una comprensione matura della vita umana.
Su questo argomento si può vedere un interessante articolo di Scott in JBL
80 pp. 10ss.
Secondo Scott l’argomentazione del saggio basata sull’esperienza umana
è la ragione. Suo scopo è di scoprire un ordine, una struttura del mondo
percettibile; ordine che comprensibile all’intelletto umano sarebbe di origine
divina in quanto creato di natura morale e di scopo sociale.
Questo concetto di ordine cosmico si trova alla sorgente di ogni sapienza.
In Egitto si chiama Mahat in Mesopotamia me in Israele di solito viene
presentato come ‘esah che significa disegno divino. Un disegno divino secondo
il quale il mondo della natura e l’uomo stesso devono ordinare la propria
esistenza.

La Sapienza di Israele ha avuto rapporti con la sapienza orientale, è la


stessa Bibbia a riconoscerlo, come abbiamo già visto in 1 Re 5,10-11 la
sapienza di Salomone è messa a confronto con la sapienza orientale di
ambito arabo beduino; Ger 49,7 parla di Teman che è da intendersi come
Edom; Pro 30,31, proverbi di Agur e Lemuel di Massa (Massa tribù ismaelita
del nord dell'Arabia); la sapienza dell'Egitto è ricordata in 1 Re 5,10; Is 19.

3.1. La sapienza egiziana

Ha una tradizione antica, predomina un tipo di sapienza didattico-


conservatrice, non una sapienza critica che si pone questioni filosofiche.
Spesso è un re o un alto ufficiale che dà istruzioni a suo figlio o al
successore; questa forma sapienziale appare già nell'età delle piramidi
dal 2600 al 2175 a. C. e dura praticamente inalterata per due millenni.
a. Istruzione di Ptahotep (2450 a. C.) - E' un visir del faraone che dà
istruzioni al figlio perché acquisti equilibrio e saggezza nel modo di trattare
con le persone: essere modesto, onesto, fidato, rispettoso dei superiori e
ordinare la vita secondo giustizia e verità.
b. Istruzione per il re Merìkarè (2140 a. C.) Il re si rifà alla sua
esperienza e dà delle istruzioni per la difesa e la guida dello Stato. Anche qui
si sottolinea l'importanza dell'essere esperto nel parlare, di saper adattare il
discorso alle persone e alle situazioni, segno di intelligenza e sapienza
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ancestrale.
La prosperità di un re dipende dalla prosperità del popolo, dalla
capacità tecnica dei nobili (organizzazione burocratica efficace),
dall'attaccamento alla giustizia e alla verità.
Il comportamento del re sarà giudicato dagli dei e avrà conseguenze
eterne. Il re deve essere fedele agli dei e al culto e avere un retto
comportamento, deve prepararsi la sua necropoli per ricordarsi che sarà
sottoposto al giudizio dell'aldilà.
c. istruzione di Amenemope (1000 a. C.) - E' un testo breve in 30
capitoletti, non sempre collegati logicamente fra loro.
L'autore è un consigliere capace di persuadere, consapevole dei pregi
del suo scritto, che è presentato come un magazzino della vita; ha
preferenza per il cittadino onesto, silenzioso, che pesa le parole.
Novità: è presente il tema dell'amore verso il prossimo, rispetto per la
vecchiaia, premio di Dio per chi allieta gli umili, condanna per chi deride i
deformi. La moralità non è tanto la ricompensa dell'aldilà ma quello che
piace agli dei. Si tratta di una religione monoteistica. Sono evidenti i rapporti
di questa sapienza di Amenemope con una sezione del libro dei Proverbi
(Pro 22,20), molte istruzioni sono simili anche dal punto di vista verbale.
d. Istruzione di Onksheshonqi (V-IV sec a. C.) - Si tratta di detti brevi,
precetti e adagi, circa 250 proverbi; è un sacerdote che istruisce il suo figlio.
Non usa il parallelismo sinonimico antitetico, tipico dei proverbi.
Questa collezione abbraccia la sapienza per una comunità più ampia,
non solo per i nobili ma sapienza popolare. Solo il titolo e il preambolo
mantengono le forme delle antiche raccolte sapienziali.
e. Satire dei Mestieri (medio impero egiziano) - Si trova qualcosa di
simile in Siracide.
Un marinaio incoraggia il figlio a frequentare una scuola di scribi. La
vita è concepita come faticosa per chi esercita un lavoro manuale a
differenza della vita tranquilla degli scribi. L'idea dell' istruzione comunicata
da padre in figlio sarà recepita dalla Bibbia, così il valore del mestiere di
scriba e la sapienza come riconoscimento di un ordine della realtà voluto
da Dio, rispettare questo ordine è onorare ed accogliere la volontà degli dei.

3.2. Sapienza mesopotamica babilonese

Vedremo alcuni testi quando parleremo di Giobbe; è una sapienza più


contestatrice. Il termine usato per sapienza è nemequ: sembra si riferisca
all'arte divinatoria e alla magia.
Il saggio in Mesopotamia è colui che sa fare sortilegi e sa difendere da
essi. Vi è mescolanza fra cultura sumerica e semitica, rimane difficile
distinguere le due.
Dal punto di vista letterario vi sono liste, collezioni di proverbi,
discussioni, dottrine, oracoli, lamenti:
a. Liste: vogliono mettere in ordine le parole, la realtà; sono il primo
sforzo di una sapienza orientata allo studio del cosmo;
b. Dispute dei sapienti: di solito vengono risolte da un Dio che
interviene con un oracolo. Sitz im Leben è l'ambiente di corte in cui davanti al
re, garante dell'ordine cosmico, si discute sul mondo.
c. Istruzioni: ad esempio, la sapienza di Shuruppak e Ahigar (1000 a. C.);
corrispondono alla tarda sapienza egiziana. Nella sapienza babilonese sono
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documentate più le crisi che le dottrine ortodosse (vi sono testi simili a
Giobbe), dialoghi sulla miseria umana (la teodicea babilonese), dialogo
pessimistico tra un principe e il suo servo.

3.3. Sapienza cananea


(semiti nord occidentali) - Sappiamo poco dei loro proverbi; le tavolette di
Ugarit hanno poco di sapienziale; abbiamo qualche traccia nelle lettere di
Amarna.

4. La Sapienza in Israele

4.1. Lo specifico della Sapienza israelita


Inserito nel contesto internazionale che abbiamo prima sottolineato il
popolo di Israele ha probabilmente ben presto iniziato a sviluppare una sua
produzione sapienziale. Deve essere esistita una sapienza tribale dei clan, ma è
impossibile conoscerla non avendo dati testuali certi; poi c'e stata una
sapienza di scuola dalla quale ha avuto origine il materiale dei libri
sapienziali.
Dall'epoca dei primi re la corrente sapienziale si è sviluppata in modo
autonomo, con caratteristiche generali ben definibili, anche se non si è
staccata dal resto della Scrittura e della cultura ebraica (cultura nel senso di
fare delle cose interpretandole).
Una indagine sul vocabolario che definisce la sapienza entro l'AT
permette di tratteggiare alcune idee fondamentali sull'argomento in un ordine
che cerca di essere storico/genetico.

4.1.1. Saggio è colui che ha una conoscenza tecnica o pratica

(Sono sapienti gli artigiani, ecc.): Es 28,3 “parlerai agli artigiani più esperti ai
quali ho dato uno spirito di saggezza”; Es 31,3-6 “ho infuso saggezza agli
artisti”; cf Es 35,10-25. L'antichità di questo concetto è presupponibile per la
sua scarsa valenza etico-morale, infatti questa conoscenza pratica è definita
sapienza anche se risulta negativa negli effetti e moralmente riprovevole.
Sapienza è trovare la strada per raggiungere uno scopo, buono o
cattivo che sia. Ad es. in 2 Sam 13,3: Yonadab è definito “uomo molto
sapiente” perchè insegna ad Amnon come ingannare sua sorella per poterla
impunemente stuprare.
La sapienza più alta è quella che si esprime nel campo della politica; il
Signore dona la sapienza ai capi e ai consiglieri: cf Salomone e la sua preghiera
a Gabaon. Anche YHWH è sapiente in questo senso, perchè ha creato il mondo
come un artigiano straordinario (Is 40,13-14; Pro 3,19).
Nella sapienza Mesopotamica o Egizia di questa sapienza "artigiana"
fanno parte anche le arti magiche e divinatorie, che invece in Israele sono
bandite.

4.1.2. La sapienza insegna come comportarsi in ogni circostanza della vita


(povertà, ricchezza, gioia, tristezza, lavoro, mercato, ecc). La sapienza in
Israele diventa perciò sempre più l'arte di vivere. Insegna a gestire
positivamente i rapporti umani, a capire le persone (Pro 13,12;14,13), dando
un giudizio sicuro (20,14; 21,14). La sapienza ricevuta da Salomone, come
11

abbiamo già visto, secondo 1 Re 5,9-14: non è solo saggezza/scaltrezza


politica, ma vera cultura frutto della conoscenza di molte cose.

4.2 La Formazione della Letteratura Sapienziale


La tradizione sapienziale dell’AT è antica quanto la tradizione della
sapienza ebraica: le sue radici forse si trovano nell’insediarsi di Israele nella
terra di Canaan, ma per noi sorge con la nascita di Israele e termina nel I
secolo a.C.
Dal 1900 circa al 50 circa a.C. si pone il periodo della tradizione
sapienziale di Israele. Tradizione sapienziale simile a quella di qualsiasi
tradizione sapienziale di qualsiasi nazione.
In principio si ha una trasmissione orale e dopo una serie di sviluppi
succede lo stadio della “letteratura”.
Così anche per Israele dobbiamo distinguere un periodo orale, uno regale
(epoca della corte di Salomone) ed uno post esilico.

4.2.1 Lo stadio orale


Come è nata la sapienza in Israele?
Non si sa, ma si può dire che sia nata come risposta umana alle esigenze
della vita concreta del popolo e riflette le esigenze della mentalità speculativa
e pratica della comunità.
Così ogni aspetto della vita umana e ogni attività ebbe il suo genere di
sapienza ed i mezzi per trasmetterla.
Inoltre si formò una sapienza popolare fondata sulla sapienza comune.
Ad esempio un pastore aveva la propria sapienza, che lo aiutava nella vita
e nel lavoro; similmente un contadino aveva una sapienza propria, che gli
suggeriva il come far nelle attività inerenti il lavoro dei campi, l’allevamento e
la vita sociale.
Quindi abbiamo una varietà di sapienze:
Sapienze popolari: che riguardavano il controllo della vita. Potevano essere
proprie di una categoria di persone o “locale” cioè proprie di una classe
sociale (cf Pro 18,19-20; 14, 4-8).

Sapienza amministrativa: Dal punto di vista storico la nascita del sapiente


di Israele si pone nel periodo davidico ma si attua pienamente durante il
regno di Salomone, dopo cioè la nascita di una istituzione governativa
(circa il X secolo a.C.). In questo periodo si pensò di porre per iscritto una
serie di regole e di istruzioni (cf Pro 22,17-24,11).

Sapienza religiosa: In questo tipo particolare di sapienza il metodo


sapienziale è applicato anche al campo religioso senza però operare un
distacco della caratteristica secolare tipica della sapienza di Israele (cf Pro
1-9). Nei primi tempi la tradizione sapienziale ha per lo più un aspetto
religioso, ma con contenuti prevalentemente secolari e senza finalità
manifestamente secolari. Quest’ultimo aspetto diventò man mano
dominante e raggiunge il culmine nel periodo della nostra letteratura
sapienziale.

La Sapienza più antica, che si può rintracciare qua e là negli scritti degli
autori sapienziali è come la testimonianza di una antica tradizione.
12

Questa sapienza più antica è chiamata dagli studiosi “vecchia sapienza”.


Di solito ha il suo carattere popolare, secolare, folkloristico.
Ha una configurazione internazionale ed è per lo più una sapienza “di
carriera” utile per ottenere successo nella vita.
Si aggiungeva anche una sapienza appartenente al mondo accademico, la
quale si esprimeva con la formula tipica dell’insegnante che si rivolge
all’allievo: “ascolta…”.
Qui si trovano le formule di comportamento per una buona vita pubblica e
privata nonché per il mantenimento dell’ordine sociale.
Alla base di questo tipo di Sapienza vi è l’idea che dietro tutte le cose c’è
un ordine universale, un principio per il giusto andamento delle cose che si
attua con l’osservanza dell’uomo.
Una buona condotta porta effetti positivi nella società e viceversa. Però
alcune situazioni storiche determinarono un cambiamento della visione
teologica di Israele.
Questo cambiamento portò effetti anche nel campo sapienziale nel
periodo regale.

4.2.2 Il periodo regale


Nel periodo classico di Davide e Salomone, con l’introduzione di una
struttura di governo di affari esteri e di servizio civile, si ebbero nuove classi
sociali: gli amministratori della corte regale, accademie, scuole. Era tutta una
fascia sociale, che avendo capacità accademiche, portò alla creazione di una
sapienza accademica.
L’inizio della sapienza pratica chiamata “regale”, forse si può far risalire a
Salomone per il fatto che la nascita di uno Stato secolare con poter civili aveva
portato notevoli modifiche in Israele, che ciononostante rimase un salda
teocrazia.
In questo contesto la Sapienza assume i caratteri di un’etica di
convenienza. Ne derivò che per la prima volta la “vecchia sapienza”
tipicamente secolare, si trovò in una situazione dove le esigenze della politica e
della carriera si ponevano di fronte a quelle spirituali e religiose.
Questo confronto è riscontrabile in 1 Re 17.

Anche il messaggio profetico assume un ruolo particolare e si configurò


come una forma che influiva sulla Sapienza.
Ne derivò che la fede jahvista fu assimilata all’ambito sapienziale e diede
origine ad una nuova forma di dignità e di fede personale che prima occupava
un ruolo meno importante: la relazione tra sapienza e YHWH ed il governo del
mondo da parte di Dio e la realtà del mondo che è spesso ingiusto e senza
leggi eque.
La nuova Sapienza nacque così dall’integrazione con la fede jahvista: la
sapienza così è timore di Dio e l’ira di YHWH diventa sapienza.
Da ciò possiamo notare come la Tradizione sapienziale è antica quanto la
terra di Canaan, mentre la Letteratura sapienziale appartiene per lo più al
periodo più tardo.
Il pensiero viene prima della Scrittura. Naturalmente la sapienza scritta è
l’espressione più sofisticata, il punto di arrivo di una tradizione orale
precedente.

4.2.3 Il periodo post-esilico


13

In questo periodo vi è lo sforzo di integrare la tradizione e la fede jahvista


con la prospettiva secolare della “vecchia sapienza”, e tutti i testi della Bibbia
ebraica derivano da questo periodo post-esilico, almeno per quanto riguarda la
stesura definitiva.
Come nella vita morale siamo figli della storia e qualsiasi cambiamento
storico esige un cambiamento della mentalità umana, così le cose non furono
diverse nel campo religioso di Israele.
La convenzionalità della religione e la compiacenza da parte della
gerarchia richiese l’intervento profetico.
Nel periodo post-esilico con la distruzione di Gerusalemme ed il crollo
delle certezze religiose si rese necessario uno sforzo per ripensare i fondamenti
della fede. Ormai era terminato il periodo della Rivelazione divina tramite i
profeti e ci si chiese se le promesse divine avessero ancora valore.
Ormai Israele considerava valida solo l’esperienza passata, la ragione e
l’intelletto.
Solo di ciò Israele si fidava, non delle parole divine.
La distruzione di Gerusalemme e l’esilio furono il termine di un’epoca e
l’inizio di una nuova.
Israele come nazione non esisteva più.
Ciò portò ad un crollo di identità anche nel campo religioso. Però dal
disastro nazionale nacque una nuova “comunità” con un nuovo senso di
identità e di fede.
A quel tempo si ebbe quella che si definisce l’epoca classica della
Letteratura sapienziale, che alla luce degli eventi storici espresse il ripensare la
fede di Israele. Così nacque la fede più intellettuale, espressione di questo
cambiamento.
La base di questo nuovo modo di concepire la fede fu non più la Parola di
Dio, perché le promesse divine erano in netta dissonanza con gli eventi storici,
ma la riflessione e l’esperienza.
Non ci si fidò più di un Dio nascosto e così ci si basò solo sulle capacità
umane, sul buon senso, tutte cose indubbiamente più concrete della Parola
divina. Vi è in tutto ciò una discreta dose di scetticismo, ma è uno scetticismo
molto equilibrato.
La rinascita di Israele dopo l’esilio avvenne ad opera degli esiliati ritornati
da Babilonia e non per iniziativa dei rimasti in patria. I deportati erano i
rappresentanti migliori della classe intellettuale e dirigente.
Arrivati a Babilonia furono inevitabilmente messi a contatto con una
diversa filosofia e mentalità. Così con il ritornare in patria portarono idee
nuove, visioni nuove della realtà e della religione.
Riassumendo:
Dal periodo primitivo all’esilio si pone la sapienza orale o popolare.
Dall’esilio in poi si ha una nuova prospettiva: nasce la Letteratura
sapienziale e la Tradizione sacerdotale (P). Questa è l’epoca della nascita del
Libro dei Proverbi e del Libro di Giobbe.
Il periodo ellenistico dà origine a Qohelet, il Cantico dei Cantici, Siracide e
forse nel 50 circa a.C. a Sapienza.

4.3. La crescita della valenza etica

La sapienza tende gradualmente ad identificarsi con il pensiero etico


anche se essa non nasce di per sé come normativa.
14

Le due sfere tenderanno a sovrapporsi finché nelle elaborazioni sapienziali


probabilmente più recenti si arriverà a identificare il saggio con l'uomo giusto e
l'ignorante con l'empio.
Pro 4,11: “Ti indico la via della sapienza; ti guido per i sentieri della
rettitudine”. Sapienza e rettitudine vanno insieme.
Pro 12,8: “Un uomo è lodato per il senno, chi ha un cuore perverso è
disprezzato”. L'opposto della sapienza è il cuore empio.
Pro 15,21 “La stoltezza è una gioia per chi è privo di senno; l'uomo
prudente cammina diritto”. La rettitudine va a braccetto con la saggezza.
Pro 1,7: “II timore del Signore è il principio della scienza; gli stolti
disprezzano la sapienza e l'istruzione”. La sapienza acquista anche una
sfumatura religiosa, tende ad identificarsi con il timore del Signore.

4.4. L'impostazione etica e l'idea di retribuzione terrena e materiale

Lo svilupparsi di una concezione che collega sapienza ed etica, nella


logica di un mondo giusto retto da Dio, porta alla promessa di una necessaria
ricompensa per chi vive con sapienza. Una vita "ben vissuta" deve produrre il
bene per chi la vive. E questo bene è ovviamente un bene molto concreto,
terreno e materia le . N ei testi più antichi della tradizione storica e profetica la
retribuzione per il "ben vivere" sembrava essere collettiva: Es 20,5: “Non ti
prostrerai davanti a loro e non li servirai. Perché io, il Signore, sono il tuo Dio, un
Dio geloso, che punisce la colpa dei padri nei figli fino alla terza e alla quarta
generazione, per coloro che mi odiano”. Es 34,7.
Ma l'idea di una retribuzione collettiva è sentita sempre più come
difficile da sopportare perché comporta la necessaria sofferenza anche
dell'innocente (Gen 18; Nm 16,22; 2 Sam 24,17).
La tradizione sapienziale più recente, comincia invece a parlare di una
retribuzione individuale e terrena.
Pro 11,21: “Certo non resterà impunito il malvagio, ma la discendenza dei
giusti si salverà”.
Pro 11,31: “Ecco, il giusto è ripagato sulla terra, tanto più lo saranno
l'empio e il peccatore”. Giusto, empio e peccatore vengono ripagati sulla
terra.
Pro 19,17: “Chi fa la carità al povero fa un prestito al Signore che gli
ripagherà la buona azione”. Quando la retribuzione non sembra esserci la
si sposta alla fine della vita
Sir 11,20-28: “Sta’ fermo al tuo impegno e fanne la tua vita, invecchia
compiendo il tuo lavoro. Non ammirare le opere del peccatore, confida nel
Signore e persevera nella fatica, perché è facile per il Signore arricchire un
povero all'improvviso. La benedizione dei Signore è la ricompensa del pio; in
un istante Dio farà sbocciare la sua benedizione. Non dire: «Di che cosa ho
bisogno e di quali beni disporrò d'ora innanzi?». Non dire: «Ho quanto mi
occorre; che cosa potrà ormai capitarmi di male?». Nel tempo della
prosperità si dimentica la sventura; nel tempo della sventura non si ricorda
la prosperità. È facile per il Signore nel giorno della morte rendere all'uomo
secondo la sua condotta. L'infelicità di un'ora fa dimenticare il benessere;
alla morte di un uomo si rivelano le sue opere. Prima della fine non
chiamare nessuno beato un uomo si conosce veramente alla fine”.

4.5. L'atteggiamento mentale della sapienza in Israele


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Mentre le istruzioni egiziane sono di solito riservate ai grandi, agli scribi,


ai burocrati, in Israele la sapienza riguarda tutti; è vero che ci sono proverbi
che riflettono un'origine aristocratica o di corte: Pro 14,28 “Un popolo
numeroso è la gloria del re; la scarsità di gente è la rovina del principe”. Pro 14,35
“il favore del re è per il ministro intelligente, il suo sdegno è per chi lo disonora”.
Ma di solito la sapienza è popolare e universalistica, preoccupata dell'uomo in
quanto tale. La sapienza monoteistica, legata a un Dio creatore, solo
responsabile e garante della giustizia.

4.6 Differenza di approccio alla realtà rispetto alla fede jahvista

La Torah è fondata sulla coscienza dell'elezione che fa di Israele un popolo


unico e privilegiato (Dt 14,2); questa coscienza in genere manca nella
sapienza.
Essa non tratta di Israele o di Giacobbe, ma dell'uomo. Nei sapienziali non
si parla mai di berît (unica volta in Pro 3,17 che parla di alleanza
matrimoniale).
La storia della salvezza è il fondamento della Torah, del comportamento
di Israele, della legge: Dio ha delle esigenze verso Israele perché prima c'è
stata una storia di salvezza. Nei libri sapienziali, invece, la storia della salvezza
non è posta come fondamento.
Torah e profeti si presentano come parola di Dio; la sapienza si presenta
come parola di uomo. Questo non vuol dire che non sia ispirata, è certo
percepita come tale ma non come rivelata. L'autore è arrivato alla sapienza
con un ragionamento e studio umano, non ha avuto illuminazioni particolari.
Mentre la Torah e i profeti sono normativi e usano spesso l'imperativo, i
sapienziali tendono più a consigliare: Pro 1,8 “Ascolta, figlio mio, l'istruzione di
tuo padre, non disprezzare l'insegnamento di tua madre”. (Cf anche Pro
2,1;3,1;4,2).
Nella Torah e nei sapienziali infatti vi sono addirittura esortazioni simili
nel contenuto, ma diverse nella forma: Dt 25,13: “Non avrai nel tuo sacco due
pesi diversi, uno grande e uno piccolo”. (Cf con Pro 20,10: “Doppio peso e
doppia misura sono due cose in abominio al Signore”. (Cf anche Es 20,16//Pro
25,18).
La sapienza proverbiale infatti generalmente non vuole esigere
obbedienza e dare ordini, ma persuadere, fare penetrare il suo insegnamento
con intelligenza: Pro 1,20-24: “La Sapienza grida per le strade nelle piazze fa
udire la voce; dall'alto delle mura essa chiama, pronunzia i suoi detti alle porte
della città: «Fino a quando, o inesperti, amerete l'inesperienza i beffardi si
compiaceranno delle loro beffe, gli sciocchi avranno in odio la scienza?
Volgetevi alle mie esortazioni: ecco, io effonderò il mio spirito su di voi e vi
manifesterò. Poiché vi ho chiamato e avete rifiutato, ho steso la mano e
nessuno ci ha fatto attenzione”. La sapienza lascia l'uomo libero di agire,
limitandosi ad offrirgli un orientamento.

4.7. Il problema della morte e la sapienza contestatrice

Davanti al problema della morte è possibile distinguere una posizione


classica e conservatrice della sapienza che viene messa in discussione nei testi
più recenti, come Qohelet o Giobbe.
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Per questo si parla anche di sapienza convenzionale e sapienza


contestatrice. Nella sapienza convenzionale la morte è presa in esame solo
quando è un evento causato dall'agire degli uomini, ad esempio: 1) da un
adulterio: Pro 2,16-18: “salvati dalla donna straniera, dalla forestiera che ha
parole seducenti, che abbandona il compagno della sua giovinezza e dimentica
l'alleanza con il suo Dio. La sua casa conduce verso la morte e verso il regno
delle ombre i suoi sentieri”, e cf Pro 5,5.23;7,27.
2) dall'abbandono della sapienza: Pro 8,36 “Chi pecca contro di me (la
sapienza), danneggia se stesso”; “quanti mi odiano amano la morte” (cf Pro
8,36; 1.3,14; 15,10);
3) dall'abbandono della giustizia e del timore del Signore: Pro 14,27: “il
timore del Signore è fonte di vita, per evitare i lacci della morte”. In questi casi la
morte è strumento della retribuzione divina dei malvagi.
Mentre la morte dei giusti, che giunge alla fine dei giorni non fa
problema, è percepita come un fatto naturale e pacifico. Però la morte,
improvvisa, imprevista, dolorosa e prematura è temuta. Per questo la sapienza
classica la riserva per i malvagi. Diversa è la fine del sapiente da quella dello
stolto: questi è sradicato prima del tempo, il sapiente muore al tempo giusto
dopo aver gustato la bellezza della vita (cf Pro 14,12-13; 18,20-25; 20,21). Il
mondo creato dal Signore è ordinato, conosciuto e guidato con sapienza da Dio.
Comportamenti e ricompense sono perciò collegati (Pro 15,11; 16,1; 20,12;
21,2; 22,2).
Ma Qohelet non la pensa così: contesta la visione ideale della
retribuzione che accompagna i comportamenti dell'uomo, e la visione della
morte diversa fra sapiente e stolto (cf Qo 2,10; 9,3). Ancora di più Giobbe
contesterà il principio della retribuzione delle buone azioni e della punizione dei
malvagi: una idea che volentieri sottoscriverebbe, ma che non corrisponde alla
sua esperienza di giusto sofferente. Questo contrasto entro la tradizione
sapienziale è, come vedremo in dettaglio, il passaggio più spinoso della
riflessione esegetica su questi testi che ci attende.

4.8. Una definizione sintetica

Dunque la sapienza ha un carattere internazionale ed appare


abbastanza evidente che la Sapienza biblica ha lungamente dialogato con
questa sapienza straniera da cui deriva sia stilemi che contenuti.
Essa vi aggiunge una fede chiara nel Dio biblico, che caratterizza il suo
particolare approccio. In definitiva la sapienza israelita può essere
caratterizzata così:
Esperienza personale e critica della realtà,
in dialogo con altre esperienze,
inserita nel quadro della Tradizione
illuminata dalla fede.

4.9. Attualità della Sapienza


La Sapienza di Israele è risposta al confronto tra il dato della fede in
YHWH e l'esperienza concreta della vita.
E' dunque il tentativo di esprimere criticamente la propria umanità
collegandola con la fede in Dio.
Al contrario del profetismo la sapienza pone l'accento più che sulla
rivelazione di Dio sull'itinerario umano di ricerca. La Sapienza israelita valorizza
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la riflessione critica dell'uomo sul suo agire quotidiano; ragione e fede non si
oppongono.
Così tutto ciò che è autenticamente umano può servire alla fede anche
ciò che in apparenza sembra esservi estraneo (da qui il dialogo con le altre
culture e le altre fedi e la dimensione di universalità della sapienza). Allo stesso
modo la Sapienza ci rende coscienti dei nostri limiti e ci apre ad un concetto più
alto di sapienza: quella divina.

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