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Bibbia e accompagnamento spirituale -1

Bibbia e accompagnamento spirituale

Come sappiamo il discernimento è prezioso e necessario per la pratica


della direzione spirituale poiché soltanto tramite esso potremo scegliere tra le
diverse possibilità concrete e scoprire la volontà di Dio per portarla a
compimento nella nostra vita.
Il cammino della direzione spirituale, quindi, deve essere ben fondato in
una comprensione adeguata del discernimento il che ci spinta a rivolgerci alla
Bibbia per capire cos’è discernere nella Sacra Scrittura, soprattutto nel Nuovo
Testamento.

Discernimento e saggezza nell’Antico Testamento

Una lettura accurata dei testi dell’Antico o Primo Testamento ci


permetterebbe trovare diversi brani nei quali risalgono consigli o strategie per il
discernimento (cfr. 1 Sam 16, 1-13) ma anche dove non è permesso recarsi per
conoscere le strade giuste da percorrere (cfr. ibidem, 28, 3-25; Lv 19,31; Dt
18,11).
Nonostante il termine non viene mai usato, il suo contenuto possiamo
trovarlo attraverso quasi tutti i libri dell’Antico Testamento: “l’uomo, infatti, sin
dalle prime pagine della Bibbia, è posto in un contesto di scelta in cui deve
operare un discernimento per mantenere integra la sua fedeltà verso Dio”1.
Adamo ed Eva, Caino, Abramo e Mosè hanno dovuto discernere le strade
giuste che li conducessero al compimento della volontà di Dio. Il popolo stesso
sarà anche chiamato a discernere (cfr. Es 19,8; 24,3; Gios 24,15; Dt 28,1.15).
Nell’epoca monarchica, di fronte alle debolezze del popolo e dei suoi
governanti, i profeti dovranno discernere le giuste vie per decifrare la volontà di
Dio, ma anche i Re e il popolo dovranno imparare a discernere tra profeti veri e
falsi (cfr. Ger 23,16-17).
Anche se combattuto, il vero profeta è conosciuto facilmente dal popolo
per la forza dei segni e prodigi da lui annunciati. La sua parola si realizza perché
parola di Dio, mentre la parola del falso profeta, che cerca soltanto di
accontentare chi lo ascolta, cade nel vuoto (cfr. Ger 23,9-40; 28,1-17).
Inoltre “il profeta […], si distingue dai ciarlatani per l’esperienza
profonda della sua elezione, che lo spinge con forza incoercibile a parlare in
nome del Signore [cfr. Is 6; Ger 1; Os 1-3; 7,14-15; Ez 1-3]. Come sentinella in
mezzo al suo popolo, colui che profetizza nel nome del Signore vive la
conversione della propria vita (cfr. Ger 15,19-20), agisce secondo la volontà di
1
G. JEANGUENIN, Discernere: pensare e agire secondo Dio, San Paolo, Cinisello Balsamo (MI), 2008, 25.
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Dio, denuncia i comportamenti idolatrici e rammenta costantemente a Israele le


esigenze dell’Alleanza”2.
Sono tuttavia i Libri Sapienziali a illuminare il destino degli individui e a
fornire il popolo di Israele di consigli e insegnamenti che diventano luce e guida
per il cammino, sotto la forma –all’inizio- di piccole sentenze facili da ricordare;
col passare del tempo questa forma semplice (masal o proverbio) diventerà più
complessa e gli insegnamenti si presenteranno anche come parabole o discorsi.
Anche se fuori del corpo dei Sapienziali, il testo di 1Re 3,9-12 diventa,
referenziale per capire la relazione tra saggezza e discernimento: “Concedi al
tuo servo un cuore docile perché sappia rendere giustizia al tuo popolo e sappia
distinguere il bene dal male, perché chi potrebbe governare questo tuo popolo
così numeroso?». Al Signore piacque che Salomone avesse domandato la
saggezza nel governare. Dio gli disse: «Perché hai domandato questa cosa e non
hai domandato per te né una lunga vita, né la ricchezza, né la morte dei tuoi
nemici, ma hai domandato per te il discernimento per ascoltare le cause, ecco
faccio come tu hai detto. Ecco, ti concedo un cuore saggio e intelligente: come
te non ci fu alcuno prima di te né sorgerà dopo di te”.
Rimane allora chiaro che:

 Il discernimento è un dono di Dio.


 Lui lo concede a chi vuole servire umilmente la verità e la
giustizia.

Nella divisione classica dei libri biblici, sono ritenuti Sapienziali i


Ketubim (scritti): Giobbe, Proverbi, Qoèlet, Siracide e il libro della Sapienza ma
è anche possibile trovare questo genere letterario in altri libri, come quelli dei
profeti o i piccoli libri storici (Tobia, Giuditta, Ester, ecc.)3.
Nei suoi scritti, i saggi si presentano al popolo come maestri di sapienza,
capaci di conoscere le realtà quotidiane e di scoprire la presenza di Dio nelle
vicende di ogni giorno. Non sono, come i profeti, portavoce di Dio, ma se
fondano nella propria esperienza per costruire le sue risposte. La vita è per loro
la radice fondamentale del suo pensiero, a patto di essere vissuta con intensità e
con attenzione alla volontà di Dio in essa nascosta, giacché la vera sapienza non
è soltanto frutto delle capacità umane, ma vera figlia di Dio, sua compagna
dall’eternità e nell’inizio dei tempi, operatrice della creazione (cfr. Pr 8,22ss).
Essa invita l’essere umano a partecipare da lei come di un banchetto (cfr. ibidem
9,1-16).
Tuttavia, perché l’uomo è limitato, bisogna un lungo percorso per
assimilare la saggezza divina ed è sempre in pericolo di perdersi
nell’insensatezza. È necessario quindi fare sempre attenzione perché il cammino
2
Ibídem, 28.
3
Cioè soprattutto nella letteratura postesilica, quando si produce l’assimilazione definitiva di un genere letterario
molto usato nell’Oriente Antico che Israele aveva prima rifiutato.
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non diventi buio ma pieno di luce: “La strada dei giusti è come la luce dell’alba,
che aumenta lo splendore fino al meriggio. La via degli empi è come l’oscurità:
non sanno dove saranno spinti a cadere” (ibidem 4,18-19).
Il vocabolario usato nei libri sapienziali ci permette stabilire i criteri
essenziali per una vita giusta e saggia:

Dio: Non soltanto una realtà spirituale che domina la storia ma un vivente, presente en
tutti gli spazi della vita, perfino in quelli più segreti.
Il Timore di Dio: Termine essenziale il quale esprime non una paura reverenziale ma
la capacità di riconoscere la sua presenza; è piuttosto un rispetto amoroso.
Saggezza: Capacità umana e principio di vita la quale proviene da Dio. C’è un'altra
saggezza semplicemente umana, che nei libri sapienziali è compresa come stoltizia.
Giustizia: Soltanto possibile se abbellita dalla Saggezza divina, guida l’uomo saggio e
gli aiuta a prendere decisioni corrette.
Dottrina – Legge: Alla fine la saggezza diventa dottrina e s’identifica con la Legge di
Mosè (cfr. Sir 24, 23).

Per arrivare –e accompagnare altri- alla vera saggezza, il maestro deve


non soltanto guardare ma osservare con accuratezza la vita e la storia, con uno
sguardo profondo col fine di capire, comprendere. Non esiterà a raddrizzare se
stesso ma anche correggerà gli altri quando ci sia bisogno (cfr. Pr 1,2.3.7).
In definitiva, lo scopo del saggio e portare se stesso e gli altri dall’impietà
alla giustizia. Il giusto è anche saggio mentre l’empio è definito nei libri
sapienziali con aggettivi molto pesanti: insensato, stupido, stolto e, ancora
peggio, arrogante e insolente due atteggiamenti che dimostrano non soltanto la
sua mancanza di saggezza ma anche una certa incapacità di raggiungerla.

Discernimento nel Nuovo Testamento

Secondo O. Cullman, la chiave di tutta la morale del Nuovo Testamento è


il discernimento4. Infatti, Gesù stesso richiama l’attenzione sui segni dei tempi
per riconoscere in essi la presenza del Messia e allo stesso tempo, denuncia la
durezza del cuore che fa sì incapaci di esercitare il discernimento spirituale a
quelli capaci di esercitarne il naturale (Lc 12,56-57): vedono i fatti che
accadono, la storia che si realizza davanti ai loro occhi, ma sono nell’incapacità
di riconoscere la verità palesata da quei segni.
Il termine discernimento registra ventidue ricorrenze nel Nuovo
Testamento, otto di cui appartengono alle lettere paoline (cfr. Rm 12,12; 1 Cor
11,28-29; 12,10; 2Cor 13,5; Gal 6,4; Ef 5,10; Fil 1,9-11; 1Ts 5,21).
Inoltre, l’apostolo Paolo fa un riferimento al discernimento come
necessità del credente è l’intera comunità nella Lettera ai Colossesi, anche se
non usi il termine concreto: “Non cessiamo di pregare per voi e di chiedere che
abbiate piena conoscenza della sua volontà, con ogni sapienza e intelligenza
4
Cfr. G. JEANGUENIN, Discernere…, 30.
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spirituale, perché possiate comportarvi in maniera degna del Signore” (Col 1,9-
10).
La “intelligenza spirituale” paolina è “una conoscenza giudiziosa,
intuitiva e perspicace, che di solito si trova nella solitudine, il cui frutto è
l’intuizione profonda dell’interconnessione di tutte le cose, attraverso la quale
possiamo collocarci nel tempo e nello spazio per conoscere la volontà di Dio e
compiere la opera di Dio nel mondo”5.
In altra delle sue lettere, in questo caso nella prima ai corinzi, Paolo esorta
i cristiani a usare il discernimento spirituale per esaminare la propria coscienza
prima di accostarsi alla comunione. “ciascuno esamini se stesso e poi mangi il
pane e beva il calice; perché chi mangia e beve senza discernere il corpo del
Signore, mangia e beve la propria condanna” (1 Cor 11,28-29).
San Paolo quindi esorta gli individui e le comunità a praticare il
discernimento e, secondo i testi citati, lo presenta come sguardo verso la realtà
ma anche come sguardo sull’interno dell’uomo.
Nel primo caso, chiama la comunità dei colossesi a sviluppare
un’intelligenza spirituale capace di penetrare il mondo e le sue vicende, ma
anche le altre persone, per vedere attraverso le apparenze, e così scoprire la
presenza di Dio, del suo Spirito nel creato e in ogni creatura. Il fine ultimo, lo
scopo di questa mossa, questo sguardo allungato, è capire “la volontà di Dio,
cioè trovare, accettare e affermare il modo unico in cui l’amore di Dio si
manifesta nella nostra vita”6 il che soltanto è possibile in un rapporto di amicizia
con Lui e, allo stesso tempo, lo favorisce.
Non dobbiamo dimenticare però il secondo spazio nel quale si svolge il
discernimento, e cioè, l’interiorità, il che esige lo sguardo su noi stessi per la
verificazione dell’accettazione e dell’affermazione della volontà di Dio nella
propria vita, il che suppone “il desiderio di vivere appieno” 7 la propria
vocazione scoperta tramite il discernimento.
L’impegno del discernimento, quindi, tocca la persona che, secondo
Paolo, deve svolgerlo come parte essenziale della cura di se stessa. Siamo
chiamati quindi a sviluppare uno sguardo contemplativo ma anche a metterci
nelle mani dei nostri fratelli e sorelle perché loro possano aiutarci a una corretta
contemplazione di noi stessi. Se è forse possibile contemplare la realtà che ci
circonda senza la guida di altri, ma sempre sotto l’obbedienza allo Spirito 8, è
comunque impossibile guardare noi stessi senza l’appoggio della comunità.
Ancora più chiaro diventa Paolo in questo testo tratto dalla lettera ai
Romani: “Non uniformatevi al mondo presente, ma trasformatevi continuamente
nel rinnovamento della vostra coscienza, in modo che possiate discernere che
cosa Dio vuole da voi, cos’è buono, a Lui gradito e perfetto” (Rm 12,2).
5
HENRI J. M. NOUWEN, Il discernimento. Leggere i segni della vita quotidiana, Queriniana, Brescia 22014, 40.
6
Ibidem, 43.
7
Ibidem.
8
Obbedienza che non ha niente che vedere con la sottomissione ma piuttosto con le esigenze dell’amore.
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Soltanto così faranno “del loro corpo e della loro vita un sacrificio a Dio, gradito
ai suoi occhi”9.
In fondo, Paolo ci invita, a essere capaci di aprirsi a un modo diverso di
vedere la realtà, quello dell’uomo nuovo in Cristo 10, il Maestro è il Signore,
guida nel cammino che ci porta a discernere quello che è buono e perfetto
secondo il piano divino. È questa anche una nota molto importante nella pratica
del discernimento: le scelte secondo lo Spirito sono molto diverse ai giudizi
scattati della mentalità di questo mondo.
Torniamo a Gesù, uno col Padre e lo Spirito Santo per cui maestro
nell’arte del discernimento: loderà Pietro per aver giudicato secondo il volere di
Dio (cfr. Mt 16,17), anche se subito dopo lo rimprovererà per lasciarsi trascinare
per gli schemi mentali del mondo, del Satana (cfr. ibidem, 22): in questo modo,
Gesù rileva l’importanza del discernimento dei pensieri e dei sentimenti che ci
spingono a parlare e ad agire in una certa direzione: è molto facile, infatti,
lasciarsi trascinare dallo spirito meramente umano o diabolico piuttosto che
seguire le ispirazioni e mozioni divine e farlo, come nel caso di Pietro, convinti
di agire per bene. In questi e altri tratti del Vangelo –ad esempio nelle guarigioni
degli indemoniati o nella denuncia dell’ipocrisia e la falsità religiosa-, Il Signore
si rivela come praticante e guida del discernimento degli spiriti.
Gesù è anche solito a praticare il discernimento spirituale. Lui è capace di
guardare le persone attraverso, di non giudicare dall’esterno ma dall’intimità
della persona, come ci indica il dialogo con Natanaele (Gv 1,47-51). Grazie alla
sua presenza viva e vivificante per la forza dello Spirito Santo nella Chiesa,
anche noi possiamo essere da Lui visti. Bella questa definizione del
discernimento da H. Nouwen: vedere ed essere visti da Dio11.
Per quello che riguarda al discernimento degli spiriti troviamo il testo più
significativo del Nuovo Testamento nella prima lettera di Giovanni: “Discernete
gli spiriti, se provengono da Dio […]. Ogni spirito che riconosce Gesù Cristo
venuto nella carne, è da Dio; ogni spirito che non riconosce Gesù, non è da Dio
[…]. Noi siamo da Dio: chi conosce Dio ascolta noi; chi non è da Dio non ci
ascolta. Da questo noi discerniamo lo spirito della verità e lo spirito dell’errore”
(1Gv 4,1-6).
Il criterio essenziale, dunque, del discernimento degli spiriti è di natura
cristologica ed ecclesiale. Col retroscena della contesa con i gnostici, Giovanni
insegna come il buon spirito riconosce e rivive il mistero di Cristo: incarnato,
morto e risorto per noi, accolto tramite la parola della comunità. Chi non
riconosce Cristo né da ascolto alla comunità ecclesiale e mosso da uno spirito
cattivo che lo porta all’errore.

9
M. RUIZ JURADO, Il discernimento spirituale. Teologia, storia, pratica, San Paolo, Cinisello Balsamo (MI)
1997, 17.
10
Cfr. Ibidem, 18.
11
Cfr. HENRI J. M. NOUWEN, Il discernimento…, 43.
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Bisogna quindi imparare a discernere per distinguere i falsi dei veri


profeti, esorterà Giovanni alla comunità offrendo allo stesso tempo dei criteri di
discernimento.

Un percorso di accompagnamento spirituale: il cieco di Gerico

Testo: Mc 10,46-52: Lc 18,35-43

 Ogni dettaglio della narrazione ha un contenuto oltre al miracolo e


descrive un processo di conversione dalla mano di Gesù: diventare
discepolo.
 Il ceco si trova in situazione bisognosa, emarginato, debole (nessuno deve
perdere la speranza, né l’accompagnante deve fargliela perdere).
o Buttato per terra, c’è ancora per lui un’opportunità di ricostruire la
vita (Gerico è 400 metri sotto il livello del mare: non si può andare
più giù? La città peccatrice).
o Non ha la luce ed è senza orientamento: fermo, incapace, alla riva
del cammino ma senza strada.
 Gerico è metropoli affondata e peccatrice ma anche città di speranza.
o Il Giordano: porta per il popolo di Israele verso la Terra Promessa,
luogo della salita ai cieli di Elia, città di Zaccheo.
o Nel ceco, però sboccia una scintilla di fede: si alzerà, camminerà,
andrà dietro a Gesù.
o Occorre: liberarsi di qualcosa (butta giù il mantello), ricuperare la
visione, unirsi a Gesù.
 Le mediazioni: comunità, accompagnante spirituale:
o A volte non aiutano (Mc 10,48) …
o Ma devono essere di aiuto al rapporto Maestro-discepolo (Mc
10,49).

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