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La Penitenza
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ENRICO MAZZA
PREMESSA
Quando oggi si parla del rito, o sacramento, della penitenza si fa riferimento alla
confessione cos com nota dalla prassi recente della chiesa, ossia alla prassi di questi ultimi
secoli. Il rito presto descritto: si tratta di confessare al sacerdote i propri peccati e questi, costatato
il pentimento, assolve il peccatore che, pertanto, ritorna nella grazia di Dio. Il rapporto tra il
penitente e il sacerdote personale e privato, tutelato dal segreto, senza alcuna dimensione pubblica
o sociale: il segreto riguarda sia le colpe accusate, sia lidentit del penitente, sia la pena inflitta che,
daltra parte, solo simbolica. Questo rito chiamato sia confessione, dato che lelemento
fondamentale dal quale tutti gli altri dipendono laccusa dei peccati, sia penitenza auricolare, per il
suo carattere quasi privato che la distingue dalla cosiddetta penitenza solenne .
La penitenza non sempre stata cos; questa penitenza auricolare cos com' giunta fino a noi,
ha avuto la sua formulazione a partire dal dodicesimo e tredicesimo secolo quando si cominciato a
considerare lintenzione e le motivazioni interiori dellagire umano come decisive per considerare e
valutare luomo e il suo comportamento . Lodierna penitenza auricolare espressione di questa
nuova maniera di intendere luomo; tutta lattenzione posta sulla coscienza del penitente e sul suo
mondo interiore in modo da valutare la sua azione e il suo pentimento in base alle motivazioni
interiori del penitente stesso.
La storia del sacramento della penitenza molto complessa perch rappresenta lo sforzo
pastorale della chiesa nei confronti del peccatore. In questa sede ci occuperemo non della penitenza
auricolare ma delle altre forme della penitenza che la storia ci ha documentato , per mettere in
evidenza come sia stato inteso il rapporto colpa e pena soprattutto per i problemi posti alla vita della
comunit.
I periodi in cui si articola la storia della penitenza sono diversi a seconda
che si prenda in considerazione lOriente o lOccidente, oppure che si
considerino aspetti specifici della prassi, o rito, della penitenza.
Il prof. Cyrille Vogel, studioso della penitenza occidentale, ha elaborato una
suddivisione delle varie epoche in funzione degli sviluppi della penitenza in
Occidente. Ecco le quattro tappe principali.
1) Epoca paleocristiana: penitenza antica.
2) Alto Medioevo: penitenza tariffata.
3) Periodo carolingio, fino al XII secolo: penitenza pubblica per le colpe
gravi pubbliche, e penitenza tariffata per le colpe gravi occulte.
4) A partire dal XII secolo convivono tre forme di penitenza: penitenza
pubblica solenne, penitenza privata sacramentale, pellegrinaggio penitenziale .
1
Lefficacia di questo rito sta nellassoluzione proferita dal sacerdote; da parte del peccatore,
oltre allaccusa dei peccati, si richiede solo il pentimento, ossia il dolore e la detestazione del
male commesso, la volont di non pi peccare e la riparazione del danno arrecato. Questa
celebrazione liturgica ha lo scopo di conferire il perdono di Dio al peccatore che, in forza di
ci, reso di nuovo giusto ad immagine di Dio. Si tratta dunque delleliminazione del peccato
nel senso pi radicale del termine.
2 Questo argomento stato trattato in modo magistrale da CHENU M. D., Leveil de la
conscience dans la civilisation mdivale, (= Confrences Albert le Grand), Vrin, Paris 1969.
3 La storia del sacramento della penitenza risulta molto ricca e sfaccettata perch ogni epoca
ha lasciato la sua traccia sulla celebrazione di questo rito.
4 C. VOGEL, Il peccatore e la penitenza nel medioevo, LDC, Torino Leumann, 1970, p. 30 (Cf.
anche: IDEM, Il peccatore e la penitenza nella chiesa antica, LDC, Torino Leumann, 1967).
M.-F. BERROUARD, La pnitence publique durant les six premirs sicles. Histoire et
sociologie, La Maison-Dieu, 118 (1974), pp. 92-130.
CAPO PRIMO
PENITENZA NELLA SACRA
LA
SCRITTURA
Nei primi due secoli la penitenza un fatto abbastanza raro e appartiene alla vita cristiana pi
come eccezione che come regola. Si tratta di episodi aneddotici di piccole comunit caratterizzate
da quel fervore e da quel rigore etico che tipico di ogni minoranza religiosa. Si tenga presente
inoltre che il battesimo ricevuto in et adulta aveva garantito una forte formazione di base. Il rigore
morale e il fervore erano rinforzati anche da quella particolare cultura che si accompagna allattesa
escatologica. In questo quadro, dunque, il peccato postbattesimale era uneccezione. Le fonti
parlano solo di casi singoli e di penitenze individuali: di fronte a questi casi isolati ogni chiesa si
comportava in modo autonomo e cercava la soluzione che sembrava la pi conveniente: questo
fenomeno non aveva ancora generato il bisogno di una istituzione penitenziale . Ci che
conosciamo del rito della penitenza in questepoca non molto, e pu essere cos riassunto: la
penitenza esige che il peccatore riconosca il proprio peccato, che cessi di peccare e che si sottometta
alla volont di Dio con un deciso cambiamento di condotta. Per ottenere il perdono di Dio il
peccatore fa ricorso ai consueti mezzi: preghiera, digiuno, elemosina. Si tratta di piccole comunit e
quindi tutta la chiesa si sente coinvolta e interviene con la correzione fraterna e con la preghiera,
personale e liturgica, perch il peccatore possa ravvedersi e rientrare nella comunione della chiesa.
Questo quanto possiamo ricostruire del rito, o prassi, penitenziale fino alla fine del secondo
secolo.
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1.
Ges in mezzo allassemblea
Soprattutto a causa della riforma liturgica, negli anni immediatamente seguenti il Concilio
vaticano II, la preghiera liturgica prevale nettamente sulla preghiera privata e silenziosa.
Solitamente si adduce, come motivazione, che la preghiera liturgica ha un valore teologico
superiore alla preghiera privata: la preghiera liturgica, infatti, preghiera della chiesa, mentre le
preghiera personale solo la preghiera di quel determinato individuo. Come fondamento biblico di
questa posizione si adduce Mt 18, 19-20: In verit vi dico ancora: se due di voi sopra la terra si
accorderanno per domandare (atswntai) qualunque cosa, il Padre mio che nei cieli ve la
conceder . Perch dove sono due o tre riuniti nel mio nome (sunhgmnoi ej t mn
noma), io sono in mezzo a loro . Se consideriamo attentamente linterpretazione degli esegeti,
vediamo che questo testo ha una valenza un po diversa da quella or ora descritta a proposito del
valore della preghiera comunitaria. E vero che, gi nellambito giudaico, la preghiera in comune
ritenuta pi valida di quella personale , ma qui si parla non tanto della preghiera, quanto della
1
domanda (atswntai): qui si chiede a Dio qualcosa che, secondo Joachim Gnilka, riguarda un
fratello che ha peccato, il cui caso discusso nella comunit. Largomentazione si basa sul contesto
immediatamente precedente che tratta del peccato e della correzione fraterna (Mt 18, 15-17) . Si
noti, tuttavia, che Gnilka non distingue tra domanda e preghiera, come, invece, distingue bene
Sand.
Alexander Sand, allineandosi a Derret, mette in evidenza che qui non si tratta di una
assemblea di preghiera, ma di una riunione di correzione fraterna, nella quale ci si rivolge a Dio per
domandare qualcosa in ordine alla soluzione del caso: Quindi ci che, riguardo a una mancanza
commessa, fanno, progettano e presentano a Dio due membri della comunit, costiuisce
ladempimento di un mandato divino . Il testo dice due al versetto 19, e aggiunge tre al
versetto 20: questaggiunta sarebbe stata fatta per contemplare il caso che due pacificatori non si
trovino daccordo fra loro, s che un terzo arbitro imparziale renda possibile una sentenza .
Secondo la concezione ebraica queste decisioni hanno validit anche in cielo. Altrettanto avviene
nella comunit cristiana che, riunita in assemblea, sa che il Cristo siede in mezzo ad essa al centro
di due (o tre) giudici arbitrali e legittima la loro sentenza .
A parte il diverso modo di intendere il verbo chiedere, domanda o preghiera, i due autori
concordano ampiamente sulla interpretazione del brano che, dunque, riguarderebbe unassemblea
liturgica che riunita (davanti a Dio) nel nome di Cristo per decidere qualcosa che appartiene
allarea della penitenza e della correzione fraterna. Qualsiasi cosa sar chiesta, posta larmonia
interiore degli oranti , verr da Dio concessa.
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2.
Alcune caratteristiche della penitenza nelle Lettere di Paolo
Nel suo stadio iniziale la penitenza rappresenta lo sforzo pastorale della chiesa affinch il
battezzato, che eventualmente abbia peccato, possa ritrovare la via tracciata da Cristo. Questo stadio
della penitenza privo di particolari elementi rituali e si realizza nelliniziativa dei singoli che, nelle
varie chiese, cercano di rispondere al bisogno delle singole situazioni.
2.1
accaduto nella medesima comunit di Corinto e narrato nella Seconda ai Corinzi . Non sappiamo
quale fosse la colpa in questione, sappiamo solo che Paolo ritiene che lallontanamento dalla
comunit, ossia la scomunica, abbia gi prodotto leffetto desiderato e che il peccatore non debba
pi essere lasciato al potere di Satana. Paolo ritiene che, a questo punto, il peccatore possa essere
riammesso alla vita della comunit. Paolo non dice che debba essere assolto dai suoi peccati o
riconciliato con Dio: parla solo di riammissione alla comunit.
Nel corpus paulinum le lettere pastorali sono state scritte da un discepolo di Paolo, e qui
troviamo altri due casi che concordano con quanto abbiamo appena detto per Corinto. Ci sono due
cristiani che hanno fatto naufragio nella fede e che, pertanto, sono stati scomunicati, ossia
consegnati a Satana perch imparino a non pi bestemmiare (1Tim 1, 19-20). Lesclusione dalla
comunione dei fratelli ha funzione terapeutica e medicinale, e viene praticata come modo normale
perch i fedeli che hanno gravemente peccato possano ravvedersi. In questi testi non c alcun
accenno a un rito particolare con il quale il peccatore viene riammesso alla comunit, ad eccezione
forse di 1Tim 5, 20 che fa pensare che ci sia un rito di imposizione delle mani. Anche la scomunica
pare essere sprovvista di elementi rituali, ma deve essere deliberata in unassemblea liturgica della
chiesa: Voi vi riunirete, voi e il mio spirito, nel nome del Signore nostro Ges Cristo e con la sua
potenza (1Cor 5, 1-5). Diciamo che si tratta di unassemblea liturgica perch tenuta nel nome di
Cristo.
Non sembra rilevante che esista o non esista un determinato rito di riammissione, dato che,
nella prospettiva di questi testi, gli effetti desiderati sono legati al fatto della scomunica e al fatto
della riammissione piuttosto che al modo rituale con cui si celebra lesclusione o la riammissione
alla comunione. Ci che conta, in conclusione, di dover vivere fuori della comunione della chiesa
e, rispettivamente, di poter tornare a vivere nella comunione della chiesa dato che nella chiesa che
c la salvezza. La spiegazione di ci si trova nella dottrina paolina sulla chiesa, la quale definita
semplicemente cos: corpo di Cristo. Questa dottrina avr un'eco costante nella concezione della
liturgia nella chiesa delle origini e la ritroveremo presentata in varie maniere. E utile citare un testo
liturgico degli inizi del terzo secolo che esprime con chiarezza limportanza della partecipazione
alla chiesa: si tratta della Tradizione apostolica che esorta a partecipare allassemblea liturgica
perch l fiorisce lo Spirito .
Se la chiesa il corpo di Cristo e il luogo dello Spirito Santo, si comprende perch sia
importante, anzi, decisivo essere ammessi alla comunione oppure esserne allontanati e consegnati a
Satana. La consegna a Satana non lultima parola, poich la scomunica data in vista del
ravvedimento e del ritorno.
Tutto questo non da confondere con la remissione dei peccati, come vedremo subito a
proposito delluso paolino del lemma riconciliare.
2
2.2
ROUILLARD Ph., Histoire de la pnitence des origines nos jours, (Histoire), Cerf, Paris 1996,
p. 21.
6 ROUILLARD Ph., Op. cit., p. 22.
7 Questo non un problema marginale dato che da qui nasce la questione, ancora irrisolta, se
la penitenza sia, direttamente, assoluzione dei peccati o riammissione alla chiesa.
CAPO
SECONDO
LA PENITENZA CANONICA IN OCCIDENTE
1.
I primi elementi della penitenza in Occidente
Un buon esempio di questa situazione non istituzionale e non ritualizzata
dato dalla Prima lettera ai Corinzi di Clemente Romano. Un altro caso
descritto da Ireneo che fa vedere come sia stato limpegno dei fratelli a
provocare il ritorno alla chiesa della moglie di un diacono sedotta dal mago
Marco . La preoccupazione per i fratelli affinch si salvino ben attestata anche
dalla Seconda lettera ai Corinzi di Clemente.
In questo periodo c un primo dato storico di cui dobbiamo tenere conto:
la testimonianza di Erma, autore di unopera di grande successo, Il Pastore,
scritta verosimilmente ai tempi di Clemente Romano (fine I secolo) con
aggiunte posteriori attribuite allepoca di Pio I (140-150) . A questultima parte
appartengono le parti sulla penitenza che ci interessano. Erma si riferisce a una
persecuzione che noi non riusciamo a identificare; in ogni caso si tratta di una
persecuzione che ha dato una forte scossa alla comunit cristiana: accanto ai
martiri si erano rivelati i codardi e gli apostati . Qui, come anche altrove in
circostanze analoghe, c una corrente rigorista (encratiti) che nega agli
apostati il ritorno alla chiesa, ossia che nega la loro riammissione alla
comunione della chiesa. Dato che la chiesa comunit di salvezza, ne segue
che per gli apostati non c speranza di salvezza.
Infatti il battesimo lunica forma di penitenza, come ben si esprime il
Pastore: Udii, dico, Signore, da alcuni maestri che non c altra penitenza se
non quella di quando discendemmo nellacqua e ricevemmo la remissione dei
nostri peccati passati. Mi dice: bene udisti; cos infatti. Bisognerebbe che chi
ha ricevuto la remissione dei peccati non peccasse pi, ma si stabilisse
nellinnocenza .
Di fatto, per, gli uomini continuano a peccare e la cosa, dopo le
persecuzioni, ben evidente. E a causa di ci che Erma, per incarico di un
angelo in una visione, ha il compito di annunciare che c ancora una possibilit
anche per i peccatori. Essi debbono ravvedersi prima di un giorno fissato
come limite , ma questo giorno non determinabile dato che si tratta di
qualcosa che tributario del genere apocalittico ed escatologico. In ogni caso
evidente che per Erma la riconciliazione con la chiesa ancora possibile ed egli
afferma chiaramente che c possibilit di penitenza e riconciliazione per tutti
quelli che hanno peccato, ma questa lultima occasione per ottenere il
perdono di Dio .
1
2.
Il ruolo di Tertulliano
Lepoca successiva quella segnata dalla presenza di Tertulliano che,
secondo alcuni, sarebbe allorigine della prassi dellunica penitenza in vita. L.
M. Chauvet oppone la testimonianza di Erma a quella di Tertulliano dicendo che
mentre nel Pastore cera una pastorale per il peccatore, per portarlo a
conversione, invitandolo a cogliere loccasione unica della misericordia di Dio
prima dei tempi ultimi, Tertulliano mette in piedi listituzione dellunicit della
penitenza . Credo che questo giudizio abbia bisogno di essere sfumato per
meglio cogliere la posizione di Tertulliano sulla quale ci dobbiamo soffermare
un poco.
Nellepoca di Tertulliano la chiesa si d le sue istituzioni e si organizza
anche nella propria prassi con una pi precisa impostazione dottrinale.
Dobbiamo usare con circospezione i testi di Tertulliano sia perch egli ha
conosciuto due periodi, nella sua riflessione dottrinale, il periodo cattolico e il
periodo montanista segnato dal rigorismo, sia perch egli non sembra avere
una prospettiva sistematica o teoretica. Sappiamo che Tertulliano testimone
della penitenza una sola volta in vita, ma sappiamo che questa non lunica
testimonianza che egli ci trasmette e quindi, ci dobbiamo collocare allinterno
di un quadro pi ampio, per chiederci perch egli asserisca lunicit della
penitenza.
Effettivamente Tertulliano parla anche della penitenza ricevuta pi volte in
vita. Infatti egli attesta che Marcione, espulso due volte dalla chiesa, ricevette
la possibilit di una terza riconciliazione . Da qui si vede che la norma di una
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Sim. 8, 6, 2.
Adversus haereses, 3, 3, 4.
1 L. M. CHAUVET, Evolutions et rvolutions du sacrement de la rconciliation, in: L. M.
CHAUVET - P. DE CLERCK, Le sacrement du pardon entre hier et demain, Descle, Tournai
1993 (Culte et culture), pp. 33-39.
2 Nam constat illos (= Marcion, Valentinus) neque adeo olim fuisse, Antonini fere principatu,
et in catholicae primo doctrinam credidisse apud ecclesiam romanensem sub episcopatu
Eleutheri benedicti, donec ob inquietam semper curiositatem, qua fratres quoque uitiabant,
semel et iterum eiecti, Marcion quidem cum ducentis sestertiis quae ecclesiae intulerat,
nouissime in perpetuum discidium relegati, uenena doctrinarum suarum disseminauerunt.
Postmodum Marcion paenitentiam confessus cum condicioni datae sibi occurrit, ita pacem
recepturus si ceteros quoque, quos perditioni erudisset, ecclesiae restitueret, morte
praeuentus est (De praescriptione haereticorum, 30; REFOUL R. F. (ed) Q. S. F. Tertulliani. De
Praescriptione haereticorum, (= Corpus christianorum. Series latina, 1), Brepols, Turnholti,
1954, p. ? ).
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unaltra volta, dopo che una persona lo ha percorso gi due volte, una volta per
il battesimo e una volta per la penitenza. Era pensabile che una persona si
convertisse per ben due volte e poi, dopo aver peccato ancora, provasse a
convertirsi unaltra volta ancora, con un cammino penitenziale di altri due o tre
anni? Tertulliano mostra di non credere a questa possibilit.
Possiamo concludere dicendo che la posizione di Tertulliano consiste in un
giudizio di fatto e non di dottrina, dato che egli dice che la terza penitenza
inutile (frustra); cos facendo egli mette in primo piano non latto della
riconciliazione dei penitenti, bens la conversione che, giustamente, va ritenuta
come fatto fondamentale del regime penitenziale.
In tal modo si attenua un poco la distinzione tra il Tertulliano del periodo
cattolico e il Tertulliano montanista, quando egli fa sfoggio di un radicale
rigorismo, anche perch il rigorismo una deriva comune a tutto lepiscopato
africano di quellepoca ossia dellepoca che sta tra il De paenitentia e il De
pudicitia. Il montanismo ha avuto buon gioco proprio perch ha fatto sue,
esacerbandole, le istanze di una parte della chiesa dAfrica. Per il periodo
immediatamente successivo abbiamo la testimonianza di Cipriano che attesta
che alcuni vescovi africani non ritenevano che la pace dovesse essere data agli
adulteri e proibivano decisamente che il peccato di adulterio fosse sottomesso
alla penitenza . Anche a Roma il rigorismo si fa strada; basti guardare la
protesta di Ippolito contro le misure di indulgenza introdotte da papa Callisto .
7
3.
La penitenza una volta in vita
Il rigorismo esce sconfitto da questa contesa della fine del secondo e inizi
del terzo secolo, ma, come sempre accade, alcune delle ragioni degli sconfitti
finiscono per essere accettate, di fatto, e per imporsi alle epoche successive.
Effettivamente bisognava evitare che il regime penitenziale cadesse nel
lassismo.
Per evitare questo, vengono resi pi severi gli interdetti del regime
penitenziale che, pertanto, restano presenti anche dopo che il penitente stato
riconciliato e lo accompagnano per tutta la vita. Entrare in penitenza, dunque,
significa entrare in uno stato che di fatto durer tutta la vita. Come si pu
entrare in penitenza una seconda volta, se lo stato di penitente non era mai
cessato? E questo il nucleo della questione, ossia la spiegazione dellunica
penitenza in vita. E nata cos listituzione della penitenza una sola volta in vita.
Questo processo attinger il suo culmine con la penitenza canonica, ossia
quando ci saranno concili che delibereranno alcuni canoni che regolano la
penitenza in modo identico per tutti. Ormai la penitenza un fatto
squisitamente giuridico e il vescovo che la amministra in tutto e per tutto un
giudice. Prima di diventare istituzionale, il regime penitenziale un fatto locale
gestito direttamente dai presbiteri e dai vescovi, ma nel trascorrere del tempo
il vescovo assume un ruolo sempre pi diretto in materia.
In conclusione dobbiamo dire che ci che passato alle epoche successive
non la posizione del Pastore di Erma, con il suo valore pedagogico dellunica
occasione che ancora viene offerta ai peccatori perch si convertano; e non
nemmeno la posizione di Tertulliano, nel suo insieme e nella sua complessa
problematicit.
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4.
Gli elementi costitutivi del regime penitenziale e lordine
dei penitenti
Nel periodo che va dalla prima met del III alla fine del VI secolo, si forma il sistema
penitenziale dellantica chiesa doccidente.
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parte di Dio. Conseguentemente il rito della riammissione dei penitenti diventa sempre pi il rito
del perdono dei peccati. E la situazione che troveremo nella penitenza medievale.
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4.3
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CAPO TERZO
LA LITURGIA VISIGOTICA
1.
secolo
1.1
Premessa
Le forme della penitenza della chiesa antica, in Occidente, sono quelle della penitenza
canonica e arrivano senza significativi cambiamenti fino al quinto e sesto secolo, quando la
penitenza antica comincia a subire una forte crisi. Fino a questepoca la paenitentia antiqua ha le
medesime strutture e le medesime caratteristiche, sia nelle chiese dOriente sia in quelle
dOccidente. A seconda dei luoghi e delle epoche possono esserci delle accentuazioni particolari,
ma il fondo sentito come un fondo comune alle varie chiese. In Occidente si affacciata una
caratteristica nuova, la non reiterabilit della penitenza, che si affermata a poco a poco, a partire
dal terzo secolo. Questa caratteristica gi segno di una concezione giuridica della penitenza,
dovuta al fatto che gli interdetti penitenziali sono permanenti e collocano il penitente in un
particolare Ordo: lordine dei penitenti.
C un autore che ha interpretato con grande cura le istanze della
penitenza canonica e che ha cercato di trovare una soluzione ai problemi che
questa penitenza poneva. Si tratta di Cesario di Arles (500 circa - 543) che nel
506 ha presieduto il concilio di Agde, un concilio che, a detta di Berrouard,
registra il fallimento della penitenza canonica . Cesario un grande pastore, seriamente
preoccupato della situazione che si era creata a causa del regime penitenziale basato sullingresso
nellordine dei penitenti. In pratica anche i pi ben disposti non potevano permettersi di entrare tra i
penitenti a causa degli interdetti che duravano tutta la vita. Di conseguenza la penitenza viene
lasciata come occasione per let avanzata o per il pericolo di morte.
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1.2
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2.
Chi Cesario di Arles (470-542)
Per parlare della penitenza occidentale necessario rifarsi a Cesario di Arles, che un testimone
privilegiato. Nato nel 470 in Burgundia da una famiglia agiata, lascia ogni cosa per ritirarsi nel
monastero di Lrins, da dove uscir per motivi di salute. Divenuto vescovo di Arles per
designazione del predecessore, suo parente, ebbe molte difficolt con il mondo dei Visigoti perch
considerato, in definitiva, uno straniero, soprattutto quando ci fu la guerra dei Visigoti contro i
Burgundi e i Franchi. Le difficolt personali di Cesario con i Visigoti cessano nel 514 dopo la visita
al re Teodorico, a Ravenna, con lepisodio della liberazione dei cittadini di Oranges riscattati da
Cesario. Bisogna anzitutto ricordare che Arles una citt ricca e attiva, dedita al commercio che si
articola sui due porti, fluviale e marittimo, con notevole successo dei mercanti siriani. Citt
cosmopolita, ospita da secoli una fiorente colonia giudaica e una ben pi importante comunit
cristiana di lingua greca, cosicch in certi quartieri il greco prevale sul latino e Cesario fa cantare i
salmi in latino o in greco a seconda dei luoghi . In questa citt c un cristianesimo molto antico e
vivace, con una forte componente di intellettuali . Dobbiamo ricordare infine che, nel suo
insegnamento, Cesario di Arles si fonda quasi esclusivamente sulla Scrittura.
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2.1
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tutta la chiesa che prega per un penitente . Gli interdetti penitenziali restano per tutta la vita, sia per
lespiazione sia per la prevenzione di nuove ricadute nel peccato .
In questa penitenza lideale che il penitente si rechi, egli stesso, dal
vescovo per chiedere la penitenza, senza esservi costretto da alcuno, tuttavia
Cesario invita i fedeli a denunciare i peccati pi gravi, tra i quali ladulterio e il
concubinato , e Cesario rimpiange di non poter scomunicare tutti i concubini e
tutti gli adulteri a causa del loro numero troppo elevato. Il vescovo, chiamato
in causa da queste denuncie, esorta il colpevole a entrare in penitenza, oppure
procede direttamente alla scomunica. La liturgia dellingresso in penitenza
una liturgia pubblica alla presenza della chiesa anche quando si tratta di
peccati occulti . Questo rito comporta limposizione delle mani da parte del
vescovo e la vestizione del penitente con il cilicio . Alla fine il penitente viene
espulso dalla chiesa. La permanenza nella penitenza ha carattere infamante e
quindi anche dopo la riconciliazione non si pu accedere agli ordini
ecclesiastici. Durante la penitenza non si pu svolgere attivit commerciale, o
entrare nellesercito, o intentare processi. Durante la penitenza, che dura molti
anni, proibito vivere col proprio coniuge avendo rapporti coniugali e la
continenza obbligatoria anche dopo la riconciliazione. Il penitente divenuto
vedovo non pu contrarre nuovo matrimonio n prima n dopo la
riconciliazione. In Gallia il penitente celibe non pu sposarsi prima della
riconciliazione e sembra che non possa neanche dopo, mentre a Roma il papa
Leone Magno d lautorizzazione a sposarsi dopo la riconciliazione. Nella
mentalit dei contemporanei lo stato penitenziale esige la castit perfetta
come nella professione monastica. Entrando in penitenza il penitente si
impegna in uno stato definitivo che non termina nemmeno con la
riconciliazione. In pratica egli continua ad appartenere allordine dei penitenti
fino alla morte: i peccati sono stati perdonati ma restano gli obblighi
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Norme penitenziali
Le norme ecclesiastiche stesse, rendendosi conto della situazione, recepivano questo disagi e
finivano per sconsigliare i giovani a entrare nella penitenza. Nella prima met del sesto secolo
abbiamo tre concili, quello di Agde (506) e due di Orlans (511; 538), che si muovono nella linea
ora descritta.
Cominciamo col citare Agde: I penitenti nel momento in cui chiedono la penitenza,
riceveranno limposizione delle mani come pure il cilicio sul capo, dalle mani del vescovo come
stabilito dappertutto. Se non si vogliono tagliare i capelli o se non vogliono abbandonare i loro abiti
secolari, saranno espulsi, e se non si correggono non saranno ricevuti .
Passiamo al concilio di Orlans: I peccatori che abbiano ricevuto la penitenza e poi,
dimentichi degli obblighi del loro stato, ritornino alle cose secolari, abbiamo deciso che siano
tagliati fuori dalla comunione e separati dalle riunioni di tutti i cattolici. Se qualcuno, dopo questo
interdetto, si permetter di mettersi a tavola con uno i loro, sar anche lui privo della comunione . I
vescovi stessi si rendono conto delle difficolt di questo regime penitenziale e, pertanto,
sconsigliano di entrare in penitenza; ecco come si esprime il concilio di Agde (506): Alle
persone ancora giovani si conceda molto difficilmente la penitenza a motivo
della debolezza della loro et . Anche il concilio di Orlans (538) va nella
stessa direzione: Nessuno si permetta di concedere la penitenza a persone ancora giovani.
Nessuno si permetta di concederla a persone sposate, senza aver ottenuto il consenso dellaltro
coniuge, e a condizione che i coniugi siano di et avanzata .
Ricordiamo che chi appartiene allordine dei penitenti non pu accostarsi alla comunione
eucaristica, e che non possono accostarsi nemmeno i peccatori che non possono o non vogliono
entrare nellordine dei penitenti. Questi per il momento sono esclusi dalleucaristia e, anche
secondo i consigli dei loro vescovi, si preparano a ricevere la penitenza in extremis . A ci si
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aggiunga che il concilio di Agde (506) nega la qualifica di cattolico a chi non si accosta
alleucaristia almeno tre volte allanno .
Posto questo, bisogna ammettere che laccesso alla penitenza era un vero problema nella vita
della chiesa dato che, in pratica, la penitenza era accessibile solo alle persone anziane e con la
clausola che il coniuge desse il suo consenso .
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Can. 18.
Questa situazione descritta formalmente dal concilio di Orlans del 538 (can. 24): Vt ne
quis benedictionem paenetentiae iuuenibus persunis credere praesumat; certe coniugatis nisi
ex consensu parcium et aetate iam plena eam dare non audeat (C. DE CLERCQ (ed.), Concilia
Galliae 511-695. Concilium Aurelianense a. 538, (= Corpus christianorum. Series latina,
148A), Brepols, Turnholti 1963, p. 124).
20 Pro capitalibus vero criminibus non hoc solum sufficit, sed addendae sunt lacrimae et
rugitus et gemitus, continuata et longo tempore protracta ieiunia, largiores elemosinae etiam
plus quam nos ipsi valere possumus erogandae: ultro nos ipsos a communione ecclesiae
removentes, in luctu et in tristitia multo tempore permanentes, et paenitentiam etiam publice
agentes (Sermones, 179, 7, in: G. MORIN (d.), Caesarius Arelatensis. Sermones Caesarii uel
ex aliis fontibus hausti, (= Corpus christianorum. Series latina, 104), Brepols, Turnholti 1953,
p. 727).
21 Qui fuit superbus, sit humilis: qui fuit incredulus, sit fidelis: qui fuit luxoriosus, sit castus:
qui fuit latro, sit idoneus: qui fuit ebriosus, sit sobrius: qui fuit somnolentus, sit vigilis: qui fuit
avarus, sit largus: qui fuit bilinguis, sit beneloquius: qui fuit detractor aut invidiosus, sit purus
et benignus: qui aliquando ad ecclesiam tarde veniebat, modo frequentius ad eam currat.
Elimosinarum copia unusquisque se redimat: quia sicut aqua extinguit ignem, ita elimosina
extinguit peccatum. Decimas per annos singulos de omni fructu quod collegitis inter ecclesias
et pauperibus erogate. Ieiunium amate, voracitatem et crapulam vini devitate. Esurientes
pascite, sitientes potate, nudos vestite, infirmos visitate, et qui positi sunt in carcere requirite.
Hospites in domos vestras collegite, et pedes eorum lavate, linteo extergite, ore exosculate, et
lecta ipsorum praeparate. Nullus furtum faciat, non homicidium, non adulterium, non
periurium, non falsum testimonium dicat. Honoret patrem et matrem, ut sit longaevus super
terram. Diligat Deum plus quam seipsum, amet proximum suum sicut seipsum. Quicumque de
his supradictis commisit, cito emendet, confessionem donet, veram paenitentiam agat, et
remittuntur ei peccata sua. Si haec quae suggessi, fratres, adimplere volueritis, remissionem
peccatorum promerebitis, et vitam aeternam consequeritis: auxiliante Domino nostro Iesu
Christo, qui vivit et regnat in saecula saeculorum. Amen (Sermones, 10, 3, in: G. MORIN
(d.), Caesarius Arelatensis. Sermones, (= Corpus christianorum. Series latina, 103),
Brepols, Turnholti 1953, p. 53).
22 Sermones, 12, 5 (G. MORIN (d.), Caesarius Arelatensis, (= Corpus christianorum. Series
latina, 103), p. 62).
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19
egli si premura di chiarire che la penitenza di cui parla non la penitenza canonica; ecco il testo:
Sed forte, quando generaliter omnes ad paenitentiam provocamus, aliquis intra se cogitet dicens:
ego iuvenis homo uxorem habens quomodo possum aut capillos minuere aut habitum religionis
adsumere? Nec nos hoc dicimus, fratres carissimi, non hoc praedicamus, ut iuvenes, qui coniugia
habere videntur, habitum magis quam mores debeant conmutare . Cesario ripete lo stesso discorso
anche per chi nellesercito . Di fronte alla impraticabilit della penitenza antica, Cesario di Arles
sceglie di annunciare i valori evangelici senza insistere pi sulla disciplina penitenziale sulla quale,
tuttavia, egli non pronuncia alcun giudizio negativo. Come c unet in cui non si pu dare la
penitenza, cos c unet in cui la si pu e la si deve dare: la penitenza in extremis . Cesario
conosce bene il costume di non accedere alla comunione eucaristica ex conscientia gravium adque
ingentium peccatorum ; egli non approva che si possa restare lontani dalla comunione,
aumentando, quindi, la gravit del proprio comportamento e suggerisce: Si quis ex vobis conscius
criminum suorum indignum se communione ecclesiastica putat, dignum esse se faciat . Bisogna
che questi abbandoni gli errori precedenti e chieda la penitenza. E la disciplina penitenziale detta
exomologesis satisfactione che lo monda dai peccati.
Che cosa dobbiamo, dunque, pensare della pastorale di Cesario di Arles sulla penitenza? Da
un lato, egli conosce bene la disciplina della penitenza canonica e le sue ragioni ma, dallaltro lato
egli ammette che questa disciplina non praticabile da chi giovane, da chi sposato o da chi
nellesercito. Se non praticabile, lecito accostarsi alleucaristia? Egli reputa molto grave che si
accosti alleucaristia colui in peccato; ma allora, che cosa dobbiamo pensare? Apparentemente il
problema insolubile ma, se cos fosse, faremmo torto allintelligenza di Cesario. La soluzione pu
essere la seguente: dato che Cesario preferisce lasciare da parte la rigidit della penitenza canonica
per appellarsi ai valori evangelici insiti nelle opere penitenziali, in quanto tali, possiamo ritenere
che, per Cesario, sia importante che le opere penitenziali ci siano, in ogni modo, tanto che vengano
imposte dal vescovo con la penitenza canonica, quanto che vengano scelte dal penitente che si
autoimpone il rigore della penitenza, ossia preghiere, digiuni, carit e grandi opere penitenziali. E
la penitenza che conta, non la sua struttura giuridica. Penso che Cesario impegni il peccatore a
sottoporsi alla penitenza, scegliendo lui stesso delle opere penitenziali che non sono meno
impegnative della penitenza canonica la quale, come abbiamo detto, non pu essere ricevuta. Credo
che dobbiamo interpretare in questa luce un testo in cui Cesario di Arles ammonisce che non basta
invocare il perdono divino, ma che bisogna compiere opere penitenziali: Illi vero qui et corpora
sua ante nuptias adulterina coniunctione corrumpunt, et postea per totam vitam suam male videndo,
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Sermones, 56, 3 (G. MORIN (d.), Caesarius Arelatensis, (= Corpus christianorum. Series
latina, 103), p. 250).
24 Sed forte est aliquis qui dicat: ego in militia positus sum, uxorem habeo, et ideo
paenitentiam agere quomodo possum? quasi nos, quando paenitentiam suademus, hoc
dicamus, ut unusquisque magis sibi capillos studeat auferre, et non peccata dimittere; et
vestimenta potius evellat, quam mores. Qui hac dissimulatione decipere se magis quam
excusare conatur, adtendat, quia regem david nec honor regni nec dignitas vestimenti ad
paenitentiam agendam potuit inpedire (Sermones, 65, 2, in: G. MORIN (d.), Caesarius
Arelatensis, (= Corpus christianorum. Series latina, 103), Brepols, Turnholti 1953, p. 280).
25 Non incongrue potest credi tribus modis ad istam subitaneam paenitentiam perveniri , si
a me paenitentiam petierit, et est illi aetas cui aut dari possit aut debeat, paenitentiam illi
dare possum (Sermones, 60, 1-3, in: G. MORIN (d.), Caesarius Arelatensis, (= Corpus
christianorum. Series latina, 103), pp. 263-265).
26 Sermones, 62, 1 (G. MORIN (d.), Caesarius Arelatensis, (= Corpus christianorum. Series
latina, 103), p. 271).
27 Sermones, 62, 1 (G. MORIN (d.), Caesarius Arelatensis, (= Corpus christianorum. Series
latina, 103), p. 271).
28 Cesario ricava questa espressione da Agostino, In Psalmum 74, 9: Quid ergo modo
faciemus? praeueniamus faciem eius, en exomologsei (E. DEKKERS - J. FRAIPONT (ed.),
Augustinus Hipponensis. Enarrationes in Psalmos, (= Corpus christianorum. Series latina, 39),
Brepols, Turnholti 1956, p. 1032).
20
male audiendo, male loquendo, animas suas violare non desinunt, si eis dignae fructus paenitentiae
non subvenerit, clausis ianuis sine causa clamabunt: Domine Domine, aperi nobis; et audire
merebuntur: amen dico vobis, nescio vos unde sitis . Ma allora in che cosa consiste la
sacramentalit? Con questa chiave di lettura, la sacramentalit questa la preoccupazione di
oggi consisterebbe nellinsieme della disciplina penitenziale, la cui parte pi rilevante starebbe
nelle opere penitenziali stesse .
Dobbiamo chiederci se il caso di questa penitenza autoimposta, che abbiamo ora descritto,
abbia o non abbia una componente liturgica. Di per s, questa penitenza arituale e quindi non ha
un suo rito liturgico che la concluda, tuttavia si vede bene che Cesario di Arles la collega alla
liturgia del venerd santo. Sembra che in questo giorno ci sia un rito penitenziale simile a quello
della liturgia spagnola, che vedremo nel paragrafo successivo. La cosa plausibile anche perch
larea geografica della liturgia visigotica comprende sia la Spagna sia la Gallia meridionale. Inoltre
possiamo ricordare che siamo in unepoca di invasioni e che sia la Spagna sia la Provenza sono
occupate dai Visigoti . Parlando della parasceve, Cesario di Arles si raccomanda che i fedeli, che si
sono tanto impegnati con il digiuno penitenziale per quaranta giorni, non trascurino di andare in
chiesa proprio il venerd santo. Egli paragona le penitenze quaresimali al lavoro e la parasceve al
raccolto della messe . Se i fedeli non vanno in chiesa in questo giorno, non raccolgono il frutto di
tutto il lavoro svolto nella quaresima. Non pu trattarsi del digiuno del venerd santo, in quanto
digiuno pi impegnativo degli altri giorni, dato che Cesario parla di recarsi alla chiesa; si tratta,
dunque, della celebrazione liturgica del venerd santo, la quale decisiva se congiunta con le
penitenze e il digiuno quaresimale. Da qui possiamo ricavare che queste penitenze, se non
culminano nella liturgia del venerd santo, non sono sufficienti per la remissione dei peccati. Lo
stesso vale per il rito liturgico che non ha una efficacia autonoma, rispetto alla penitenza
quaresimale. Infatti, il rito il raccolto, ma se non c il lavoro (i digiuni e le penitenze quaresimali)
non pu esserci nemmeno il raccolto. Questa conclusione vale anche per la penitenza in extremis,
ossia quando la cattiva salute del penitente non gli consente di fare le opere penitenziali e deve
accontentarsi del solo rito liturgico .
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Lomelia 202, 5, che abbiamo citato, solo un indizio, tuttavia ci permette di affermare che ad
Arles cera una liturgia simile al rito penitenziale della liturgia visigotica del venerd santo. In
conclusione, possiamo dire che Cesario di Arles teste dei riti della paenitentia antiqua in
Provenza, ma teste anche della sua impraticabilit e, dunque, della sua fine. La penitenza antica
ormai superata. Nella prospettiva di Cesario il rito della disciplina ecclesiastica meno importante
dei valori evangelici della penitenza ed su questi che egli fonda la sua pastorale in ordine alla
penitenza. Egli, dunque, suggerisce una penitenza che, anche se non stata imposta dal vescovo in
modo canonico, ha tutti gli elementi della paenitentia antiqua. Lassenza di un rito liturgico
supplita dalla liturgia della parasceve che il compimento (conpleatis) dellimpegno quaresimale,
al punto che lassenza da questa liturgia fa perdere tutto ci che stato acquisito in quaresima. Dato
che la celebrazione pasquale potr essere celebrata solo da chi ha partecipato allassemblea liturgica
del venerd santo, possiamo dire che la funzione di questo rito la stessa della liturgia Ad nonam
pro indulgentia della chiesa spagnola.
2.4
Conclusione
Possiamo concludere che la severit e la rigidit giuridica del carattere penale del regime della
penitenza canonica, una sola volta in vita, ha ottenuto lopposto delleffetto desiderato, rendendo
impraticabile listituto penitenziale.
Come faceva, dunque, la chiesa a risolvere un problema cos intricato
come quello del regime penitenziale del sesto secolo? La risposta avrebbe
potuto essere quella di riformare listituto penitenziale, ma nessuno dei
protagonisti di quel secolo riusc a pensare qualcosa di simile. Il regime
penitenziale era quello della tradizione e, anche se di fatto era impraticabile,
non si pensava che potesse essere diverso. Cesario, in una serie memorabile di sermoni
alla chiesa di Arles, trasferisce i decreti penitenziali nella pastorale della sua chiesa ma, pieno di
spirito evangelico, ripropone ai suoi fedeli il valore originario della conversione del cuore e
dellamor di Dio e del prossimo. Pur rispettando pienamente le norme canoniche, delle quali
convinto assertore, egli si rende conto che queste non sono allaltezza del bisogno dei fedeli, e
pertanto inizia a praticare una pastorale che si colloca a lato della penitenza canonica, cercando di
recuperare quei valori spirituali ed evangelici che le norme sugli interdetti penitenziali lasciavano
da parte.
Come rimedio alla situazione Cesario di Arles insiste nel predicare che ci
che conta non il cilicio o gli anni di mortificazione, bens un cuore contrito e
puro. Nei sermoni nei quali parla della virt della conversione e nei quali esorta
allamore di Dio e del prossimo, sembra quasi che il regime penitenziale non
giochi alcun ruolo nella logica pastorale di questo grande vescovo. Tutto questo
va visto non in antitesi ai riti liturgici dato che, oltre ai riti della penitenza
canonica Cesario di Arles considera il caso della liturgia del venerd santo che
33
In questo caso Cesario di Arles conclude che non si pu essere sicuri del perdono divino,
come quando si compiono le opere penitenziali: Numquid dico, damnabitur? Non dico; sed
nec liberabitur dico. Et quid mihi dicis, sancte episcope? Quid tibi dico? Nescio. Dixi, non
praesumo, non promitto, nescio plus de Dei voluntate. Vis te, frater, a dubio liberare? Vis quod
incertum est evadere? Age paenitentiam, dum sanus es. Si enim agis veram paenitentiam,
dum sanus es, et invenerit te novissimus dies, curre et reconcilieris. Si sic agis, securus es.
Quare securus es, vis dico tibi? Quia egisti paenitentiam eo tempore, quo et peccare potuisti.
Ecce dixi tibi quare securus es. Si autem tunc vis agere ipsam paenitentiam, quando peccare
iam non potes, peccata te dimiserunt, non tu illa. Sed unde scis, inquis, si mihi Deus
misereatur, et dimittat mihi peccata mea? Verum dicis, frater, verum dicis, unde scio? Et ideo
tibi do paenitentiam, quia nescio (Sermones, 63, 3 (G. MORIN (d.), Caesarius Arelatensis,
(= Corpus christianorum. Series latina, 103), p. 274).
22
3.1.1 Tradizione B
Il Missale Mixtum del card. Cisneros e il Breviarium Mozarabum riportano un rito
penitenziale In Parasceve ad Nonam pro Indulgentia. Lultima delle letture bibliche, il testo di Mt
27, 57-66 ossia il racconto su Giuseppe dArimatea che chiede a Pilato di poter togliere il corpo di
Ges dalla croce per seppellirlo. A questo punto ci sono le preci sui penitenti: Penitentes orate:
Flectite genua Deo: deprecemur Dominum Deum nostrum: ut indulgentiam criminum et
remissionem peccatorum nobis donare dignetur . Dopo le preci e linvitatorio (Tu pastor bone
animam tuam pro ovibus posuisti), larcidiacono fa recitare al popolo per trecento volte
linvocazione Indulgentiam. Larcidiacono e il diacono fanno pregare ancora, in forma
responsoriale, dopo di che il sacerdote dice lorazione: Unigenite Fili Dei Patris, cuius caro
preciosa. Al termine il diacono esclama Indulgentia e fa recitare al popolo la supplica
Indulgentiam per duecento volte. Si riprende il rito recitando ancora, come dopo le preci, Tu pastor
bone animam tuam pro ovibus posuisti. Larcidiacono invita a pregare e il vescovo pronuncia una
serie di invocazioni alle quali si risponde Indulgentia. Al termine egli pronuncia lorazione:
Unigenite Fili Dei Patris, qui celum rediturus in terris dignatus es nasci, ut nos elevares ad
celos. Dopo alcune suppliche in forma responsoriale, il diacono dice per la terza volta
Indulgentia, e fa ripetere al popolo, per cento volte linvocazione Indulgentiam.
Come conclusione c una preghiera del vescovo, in forma responsoriale, al termine della
quale comincia il rito delladorazione della croce che si conclude con la comunione dei
presantificati.
Nel rito dellIndulgentia non c alcuna preghiera del vescovo per la remissione dei peccati.
Tutto lasciato allopera dei diaconi che fanno dire al popolo Indulgentiam, per trecento, duecento
e cento volte, per un totale di seicento volte. E importante la simbologia di questi numeri
3
Le due tradizioni si configurano come due diverse evoluzioni di un fondo comune. I testi
della liturgia vetus-hispanica che ci sono pervenuti appartengono al periodo di massima
fioritura di questo rito, ossia ai secoli VI-VII. E possibile, tuttavia, che si possa risalire pi
indietro, sia al fondo originario comune, sia alla tradizione africana di cui il rito spagnolo
sarebbe un ulteriore sviluppo e rielaborazione.
2 J. PINELL, Unit et diversit dans la liturgie hispanique, in: A. M. TRIACCA - A. PISTOIA
(d.), Liturgie de l'glise particulire et liturgie de l'glise universelle, (= Bibliotheca
Ephemerides liturgicae. Subsidia, 7), CLV - Edizioni liturgiche, Roma 1976, pp. 245-260.
3 J.-P. MIGNE (ed.), Patrologiae cursus completus. Series latina, Parisiis 1841-1864, Vol. 85,
col. 421.
4 J.-P. MIGNE (ed.), Patrologiae Series latina, Vol. 86, col. 607.
5 Missale mixtum secundum regulam beati Isidori (J.-P. MIGNE (ed.), Patrologiae Series
latina, Vol. 85, col. 427).
23
nellalfabeto greco: seicento scritto con la lettera Chi, iniziale della parola Xristo/j, e trecento
scritto con la lettera Tau, segno della croce di Cristo; duecento scritto con la lettera Sigma e 100
con la lettera Ro, che sono rispettivamente liniziale e la finale della parola swth/r.
Questa supplica non seguita da alcuna preghiera di remissione dei peccati o di riaccoglienza
nella chiesa. E il popolo che chiede il perdono a Dio, a lui che solo pu rimettere i peccati (Mc 2,
7).
3.1.2 Tradizione A
Al venerd santo, la Tradizione A ha lo stesso rito dellIndulgentia della Tradizione B, con
qualche variante. Invece di ripetere tre volte linvocazione, in blocchi di trecento, duecento e cento
volte, c un solo momento in cui si fa linvocazione e questa viene ripetuta per non pi di
settantadue volte. Laltra differenza sta nella conclusione: qui c una preghiera del vescovo perch
Dio esaudisca i fedeli che hanno chiesto perdono a Dio (Indulgentiam). Passiamo ora allo
svolgimento del rito.
Dopo la venerazione della croce, il versus Popule meus e il vangelo, il vescovo pronuncia il
seguente sermone: Karissimi, hodie Dominus Deus noster in statera crucis pretium nostrae salutis
appendit . Arrivato alle parole pronunciate dal buon ladrone, Memento mei, Domine, dum
ueneris in regnum tuum, il vescovo si interrompe per dar modo al popolo di ripetere quelle stesse
parole, dopo le quali fa dire il salmo 50. Dopo di che, il vescovo riprende il sermone, per
concluderlo con le parole: Nos autem, Fratres, ea que diximus cum gemitu repetamus. Il popolo
ripete: Memento mei, Domine, dum ueneris in regnum tuum. Il vescovo, dopo essere disceso dal
pulpito, fa cantare il responsorio Tu pastor bone. Vengono recitate le Preci, al termine delle quali si
risponde Indulgentiam , il diacono invita il popolo dicendo: Indulgentiam a Domino postulemus.
Un secondo diacono fa dire al popolo Indulgentiam, non pi di settantadue volte. Al termine il
vescovo prega in silenzio lorazione Ingeniti Patris Unigenite Christe. Dopo altre due orazioni,
c la preghiera conclusiva: Exaudi, Domine, supplicum preces, et tibi confitentium parce peccatis:
ut quos conscientie reatus accusat, indulgentia tue miserationis absoluat . Questo testo raccomanda
a Dio la preghiera del popolo ma non pu essere definito come assoluzione. Nessuno risponde
Amen e cos, nel silenzio generale, termina il rito dellIndulgentia della Tradizione A.
6
3.2
24
non si proclama la passione del Signore . La liturgia del venerd santo contiene i seguenti riti: a)
lufficiatura, b) lannuncio della passione, c) un rito per la remissione dei peccati che consente la
comunione eucaristica il giorno di pasqua, che descritto cos: indulgentiam criminum clara
voce omnem populum postulare. La precisione di questa descrizione non lascia dubbi: si tratta del
rito dellIndulgentia, che abbiamo visto supra. Il concilio specifica che i peccati in oggetto sono dei
crimina, che nel linguaggio dellepoca si oppongono ai peccata minuta, e che sono anche qualificati
peccata capitalia . I crimina comprendono anche quei peccati che erano sottoposti alla penitenza
canonica. Lefficacia del rito dellIndulgentia espressa con chiarezza: i peccatori sono sanati dalla
conversione del cuore (poenitentiae compunctione mundati) e i peccati sono rimessi (remissis
iniquitatibus). La partecipazione a questo rito consente ai fedeli di accedere alla comunione
eucaristica nel giorno di pasqua (corporisque ejus, et sanguinis sacramentum mundi a peccatis
sumamus) . E evidente che per il concilio Toletano IV la liturgia penitenziale, praticata dalla
maggior parte dei fedeli, ormai questa: il rito dellIndulgentia del venerd santo, ferma restando la
possibilit che il vescovo abbia imposto una penitenza canonica per qualche caso particolarmente
grave che, per, resta un fatto eccezionale.
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11
12
4.
Valutazione della penitenza nella Spagna e nella Gallia
meridionale del VI e VII secolo
La situazione della penitenza nel sesto e settimo secolo, e la sua crisi, ben rappresentata
nelle omelie di Cesario di Arles, un pastore danime che interviene affinch i peccatori possano
accedere ai valori della penitenza anche in una situazione in cui la penitenza canonica non pi
praticabile. In definitiva Cesario chiede ai peccatori di convertirsi e di praticare quelle penitenze che
erano state il nucleo della disciplina canonica: preghiere, lacrime, digiuni, mortificazioni, astinenza
dalle carni e dai rapporti coniugali, elemosine, cilicio, etc. La differenza tra ci che raccomanda
Cesario e la penitenza antica sta nel fatto che, a parit di contenuti, luna fatta per libera iniziativa
del penitente mentre laltra imposta dal vescovo su richiesta del penitente stesso; inoltre, luna
sembra essere senza riti liturgici, mentre laltra regolata da una ritualit molto precisa, coordinata
con lanno liturgico, con un forte sapore di teatralit . A parit di contenuti, la differenza solo
questa: luna fatta dal penitente, laltra viene ricevuta dal vescovo ed eseguita sotto il suo
controllo. La sostanza della penitenza identica in entrambi i casi perch la penitenza consiste nelle
opere penitenziali. I valori in gioco sono i medesimi nei due casi, a parte il rito della riconciliazione
che non viene citato, sia perch non pu esserci un rito di riconciliazione se non c stata la
1
10
Comperimus, quod per nonnullas ecclesias in die sextae feriae passionis Domini, clausis
basilicarum foribus, nec celebratur officium, nec passio domini populis praedicatur; dum idem
Salvator noster apostolis suis praeceperit, dicens: Passionem et mortem et resurrectionem
meam omnibus praedicate. Ideo oportet eodem die mysterium crucis quod ipse Dominus
cunctis nuntiandum voluit, praedicari, atque indulgentiam criminum clara voce omnem
populum postulare; ut poenitentiae compunctione mundati, venerabilem diem dominicae
resurrectionis, remissis iniquitatibus, suscipere mereamur; corporisque ejus, et sanguinis
sacramentum mundi a peccatis sumamus (J. MANSI (ed.), Sacrorum conciliorum nova et
amplissima collectio, Paris-Leipzig 1901, Vol. 10, p. 620).
11 J. CHLINI, Laube du Moyen ge. Naissance de la chrtient occidentale. La vie religieuse
des lacs dans lEurope carolingienne (790-900), Prface de P. Rich. Postface de G. Duby,
Picard, Paris 1991, 2me d. 1997, p. 376ss.
12 In et giovanile Isidoro aveva redatto un De ecclesiasticis officiis, ove aveva dedicato un
lungo paragrafo ai penitenti; da un lato, egli dava grande importanza alle opere penitenziali
che dovevano essere compiute ma, dallaltro lato, egli non dava alcuna indicazione sui riti
della liturgia penitenziale (De ecclesiasticis officiis, 2, 17, in: C. W. LAWSON (ed.), Isidorus
Hispalensis. De ecclesiasticis officiis, (= Corpus christianorum. Series latina, 113), Brepols,
Turnholti 1989, p. 80).
1 Si pensi alla riconciliazione dei penitenti secondo la descrizione del sacramentario
Gelasiano.
25
scomunica, sia perch si rimanda alla liturgia del venerd santo che deve essere analogo a quello
vetus-hispanico, stante linsistenza di Cesario di Arles sulla necessit che i penitenti partecipino ai
riti della parasceve.
La situazione spagnola, descritta dai libri liturgici visigotici e da Isidoro di Siviglia, attesta
limportanza delle opere penitenziali, e la quaresima caratterizzata dal sacramentum ieiunii;
inoltre, nel rito del venerd santo c il perdono i peccati e la riammissione alla comunione.
Lessenza di questo rito sta nella sincera domanda di perdono. E la richiesta di perdono che
garantisce il perdono divino: effettivamente non c alcuna preghiera assolutoria, in questi riti, ma
una preghiera insistente perch Dio voglia perdonare.
Possiamo dunque concludere che, per quanto riguarda larea della Gallia meridionale e della
penisola Iberica, la crisi della penitenza canonica viene risolta non dalla ricerca di una soluzione
liturgica, o da una soluzione canonica, ma dalla ricerca dei valori evangelici della conversione,
concretizzati nellesecuzione delle opere penitenziali e dallautenticit della domanda di perdono.
Tutto questo richiama da vicino gli elementi della penitenza orientale che abbiamo gi descritto.
26
CAPO QUARTO
LA PENITENZA TARIFFATA
1.
Una nuova forma di penitenza
La crisi della penitenza antica una crisi definitiva che la fa scomparire di scena, anche se i
vescovi ne hanno conservato il ricordo e, di tanto in tanto, hanno cercato di ripristinarla come, ad
esempio, in epoca carolingia. Al posto della penitenza antica, che non risorger, non ci sar la linea
pastorale elaborata da Cesario di Arles che insiste sullefficacia delle opere penitenziali, in quanto
tali, o la linea liturgica della tradizione mozarabica che propone la preghiera insistente del venerd
santo per ottenere il perdono divino, come abbiamo appena visto. Queste due linee, per quanto
importanti, restano localizzate nella loro area geografica e non svolgono alcun ruolo nella pratica
penitenziale dei secoli successivi.
Anche se le chiese celtica e anglosassone hanno conosciuto la penitenza antica, come appare
da alcuni Ordines, tuttavia sono rimaste celebri per aver creato ed esportato nel continente europeo
una nuova forma di penitenza, la penitenza toties quoties, ossia una penitenza che pu essere
ricevuta non solo una volta in vita ma tutte le volte che il penitente la chiede al confessore.
E stato lo sforzo missionario di san Colombano e dei suoi discepoli a propagare questa forma
penitenziale che una vera e propria rottura con il rito della penitenza antica. E importante la
testimonianza del concilio di Toledo (489) ove questa nuova penitenza, nata da usi monastici e
trasferita a tutti i fedeli, viene qualificata come execrabilis praesumptio . Il concilio prescrive
anche di tornare allantica normativa. Nondimeno il rito antico era di fatto impraticabile e cos si
impose la penitenza tariffata che conobbe un grande successo. Da questo rito avr origine la
confessione nel dodicesimo secolo.
La penitenza tariffata facile da descrivere non solo perch la sua grande diffusione ha
lasciato ampie testimonianze in vari tipi di fonti, ma anche perch ne abbiamo il rituale nel
Pontificale romano germanico, composto a Magonza nel 950 , e in altri Ordines liturgici.
Mentre la penitenza canonica era sotto il diretto controllo del vescovo, la penitenza tariffata
amministrata da monaci e preti; la penitenza antica era legata allordine dei penitenti, mentre questa
non comporta alcun ingresso in detto ordine; quella aveva interdetti penitenziali che duravano tutta
la vita, mentre in questa le opere penitenziali cessano con la riconciliazione; in quella sar certo
esistita la confessione delle colpe al vescovo affinch questi potesse dare al peccatore la giusta
penitenza, ma laccusa delle colpe non aveva il ruolo che ha poi nella penitenza tariffata, della quale
il punto centrale. La penitenza antica era possibile solo una volta in vita ed era inaccessibile al
clero che, al suo posto, subiva la degradazione o deposizione dallordine. La penitenza tariffata
invece pu essere ricevuta ogni volta che si desidera ed aperta anche al clero che, quindi, ne pu
fruire come i laici. La penitenza antica era essenzialmente pubblica in tutte le sue componenti,
mentre la tariffata formalmente privata, ossia legata allincontro tra il peccatore e il sacerdote;
qui non c la pubblicit della dimensione ecclesiale. In tutto questo c un chiaro carattere
anticanonico; in conseguenza di ci comincia ad apparire un significativo cambiamento: mentre
nella penitenza antica la riconciliazione dei penitenti, dopo la scomunica, va intesa primariamente
come riammissione alla comunione della chiesa, nella penitenza tariffata latto di riconciliazione
viene inteso soprattutto come assoluzione dei peccati.
1
Can. 11.
C. VOGEL - R. ELZE (d.), Le Pontifical romano-germanique du Xme sicle, Tome II:
Le texte, Bibliotheca apostolica vaticana, Citt del Vaticano 1963 (Studi e testi, 227),
pp. 14-20.
2
27
1.1
10
11
12
Per una loro catalogazione cf.: C. VOGEL, Les Libri paenitentiales, Brepols, Turnhout
1978 (Typologie des sources du moyen ge occidental, 27).
4 Questo termine fu usato per la prima volta da A. Boudinhon (Sur lhistoire de la pnitence,
Revue d'histoire et de littrature religieuses 2 (1897) 306-344; 496-524).
5 Cf. G. MITCHELL, Columbanus on Penance, Irish Theological Quaterly 18 (1951) 43-54;
IDEM, The Origins of Irish Penance, Irish Theological Quaterly 22 (1955) 1-14.
6 J. CHLINI, Laube du Moyen ge, p. 369.
7 B. POSCHMANN, Die abendldishe Kirchenbusse im frhem Mittelalter, (= Breslauen Studien
zur historischen Theologie, 16), Mller und Seiffert, Breslau 1930.
8 K. RAHNER, Tractatus historico-dogmaticus. De paenitentia, Innsbrck 1952 (2 ed.).
9 K. DOOLEY, From Penance to Confession: the Celtic Contribution, Bijdragen 43 (1982) 390411.
10 Non stabilita pubblica riconciliazione in questa provincia, perch non c mai stata
pubblica penitenza (Penitenziale di Teodoro, I, 13, can. 4).
28
14
15
16
17
1.2
11
Die Canones Theodori Cantuariensis und ihre berlieferungsformen, Weimar 1929, pp.
158-163.
12 J. T. MCNEILL - H. M. GAMER (ed.), Medieval Handbooks of Penance. A Translation of the
Principal Libri Poenitentiales and Selections from Related Documents, (= Records of Western
Civilisation Series), Columbia University Press, New York - Chichister - West Sussex 1938,
new reprint 1990, p. 195, nota 89.
13 P. PALMER, Jean Morin and Private Penance, Theological Studies 6 (1945) 338-339.
14 K. DOOLEY, From Penance , p. 395.
15 Tuttavia il peccato, nelle sue dimensioni esteriori, si configurava anche come violazione
della norma.
16 A. SANTANTONI, La confessione dei pensieri e delle colpe segrete nella Regula Benedicti,
Benedictina 28 (1981) 647-680; IDEM, La penitenza. Una pagina di storia antica utile per i
nostri giorni, LDC, Torino Leumann 1983. Cf., la sintesi in: IDEM, Riconciliazione. C/. In Roma
e nellOccidente non romano, in: A. J. CHUPUNGCO (ed.), Scientia liturgica. Manuale di
liturgia, Vol. IV: Sacramenti e sacramentali, Piemme, Casale Monferrato (Alessandria) 1998, p.
146s.
17 Cf., ad esempio, C. VOGEL, La reforme liturgique sous Charlemagne, in: Karl der Grosse.
II. Das geistige Leben, Dusseldorf 1964, pp. 217-232.
18 Per valutare questa letteratura, cf.: C. VOGEL, Les "Libri paenitentiales", (= Typologie des
sources du moyen ge occidental, 27), mise jour par A. J. Frantzen, Brepols, Turnhout 1978.
29
della gerarchia ecclesiastica. Lattivit sinodale in Gallia si era arrestata nel 675, quindi liniziativa
dei monaci pot svilupparsi indisturbata. Tutto si basa su questi libri, senza i quali impossibile
celebrare la penitenza; tutti i sacerdoti ne debbono possedere uno. Il canone 38 del concilio di
Chlon-sur-Sane (813) reagir contro i libri penitenziali e sar il suo modo di prendere posizione
nei confronti di questa penitenza.
1.3
19
Per una guida in questa importante letteratura, cf.: VOGEL C., Les Libri paenitentiales, (=
Typologie des sources du moyen ge occidental, 27), Brepols, Turnhout 1978; e anche: IDEM,
Medieval Liturgy. An Introduction to the Sources, Revised and translated by W. G. Storey and
N. K. Rasmussen, (= NPM Studies in Church Music and Liturgy), The Pastoral Press,
Washington D. C., 1986.
30
quando si riammessi alla comunione. Tuttavia la penitenza non terminata con la riammissione
alla chiesa, e al bacio di pace, oppure alla comunione eucaristica: il penitente in questione resta
penitente per tutta la vita anche se le pratiche penitenziali che deve osservare sono ormai ridotte a
poca cosa rispetto agli inizi della penitenza. Burchardo conclude dicendo: Ti concediamo per
bont, ma non secondo le disposizioni canoniche, queste mitigazioni. I canoni dicono infatti: se
qualcuno uccide volontariamente e per cupidigia, lasci il mondo, entri in monastero e serva Dio
umilmente.
J. Chlini ha messo in sinossi alcune delle pene dovute secondo i vari penitenziali . Ritengo
utile seguirlo e riportare alcuni di questi esempi che mostrano le penitenze da imporre per alcuni
peccati.
20
Penitenziale di S.
Colombano21
(fine VI sec.)
Omicidio
Adulterio
Sodomia
Aborto
Furto
Ubriachezza
(fine IX sec.)
7 anni; 40 giorni in
caso di guerra
1 settimana a pane e
acqua
15 giorni
12 giorni
Corrector sive
Medicus
di Burkardo di
Worms24
(X sec.)
Una quaresima a pane
e acqua, pi 7 anni
con pene mitigate
Se in una chiesa, 7
anni
Se in una chiesa,
restituzione del
quadruplo e 3 anni di
digiuno
15 giorni
Nonostante le differenze che ci sono tra i vari penitenziali, si deve rilevare che, in linea di
principio, sono tutti accomunati da una grande severit. Questa viene vista come una necessit
pedagogica; lesistenza stessa delle liste di penitenze vista come fatto pedagogico nel penitenziale
di san Colombano: La vera penitenza consiste nel non commettere pi gli atti meritevoli di
20
31
penitenza e nel rimpiangere le colpe commesse. Ma, a motivo della loro debolezza, molti, per non
dire tutti, trasgrediscono questa regola; bisogna dunque conoscere le tariffe penitenziali. Il principio
generale, enunciato dai nostri santi Padri, consiste nel fissare la durata del digiuno secondo la
gravit della colpa .
25
1.4
2.
Il rito della penitenza tariffata
La ritualit della penitenza stata studiata da Cyrille Vogel che, dopo averne trattato
sommariamente in varie occasioni, ha esposto la questione in modo organico nella Miscellanea in
onore di A. Bugnini .
Egli rileva che il primo elemento da sottolineare la necessit di una confessione dettagliata
affinch si possa stabilire quale penitenza deve essere eseguita, in base ai libri penitenziali; non
bisogna dimenticare laspetto quantitativo delle penitenze, dato che la penitenza meritata per ogni
peccato commesso viene moltiplicata per il numero delle volte e si somma con le penitenze meritate
per le altre colpe. A volte, per, il cumulo delle penitenze rende impossibile la soddisfazione
penitenziale e, pertanto, si pone la necessit di operare delle commutazioni. Un digiuno pi severo,
ma corto, pu riscattare un digiuno lungo anni e anni, ma meno severo. Il fare celebrare una o pi
messe pu riscattare vari tempi di digiuno: Una messa riscatta 3 giorni di digiuno; 3 messe
riscattano una settimana di digiuno; 12 messe riscattano un mese di digiuno e 12 volte 12 messe
1
25
32
riscattano un anno . E ancora: Per i malati che non possono digiunare, lequivalente di un mese o
di un anno di digiuno sar il prezzo di uno schiavo, uomo o donna . Oppure: Cento salmi recitati
durante la notte, pi 300 frustate, riscattano 3 giorni di digiuno) . Lesecuzione della penitenza
molto impegnativa e costituisce la sostanza stessa del procedimento penitenziale. I Libri
penitenziali si preoccupano solo di questo e non danno molte indicazioni sulla celebrazione liturgica
e sulle preghiere essenziali di questa liturgia.
A giudizio di Vogel si debbono distinguere due periodi. 1) Il penitente confessa i propri
peccati e riceve la penitenza equivalente. Terminata lespiazione, egli pu considerarsi purificato
dei suoi peccati senza che si debba presentare di nuovo al confessore. Il penitenziale Vallicellianum
I (fine VIII, inizio IX sec.) nella istruzione iniziale dichiara: Qui si ieiunaverit et compleverit quod
illi commendatum est a sacerdote, purificabitur a peccatis . Ci sono anche altri penitenziali che si
rifanno al medesimo principio, per cui si pu concludere che il ruolo del sacerdote consiste
essenzialmente nellimporre la penitenza. 2) Altri penitenziali, invece, suppongono che il penitente
ritorni dal sacerdote alla fine della penitenza. E il caso, ad esempio, del penitenziale di Alitgario
(inizio sec. IX): In caso di necessit soltanto e in mancanza del sacerdote, il diacono riceva i
penitenti (per indicare loro lespiazione da compiere e ) per ammetterli alla santa comunione .
Le indicazioni rituali per questo tipo di penitenza si trovano sia nei libri liturgici sia nei libri
penitenziali. Lepoca la medesima per entrambi: la seconda met dellottavo secolo. I libri liturgici
che hanno un rito della penitenza sono due: il sacramentario Gelasianum vetus (Vat. Lat. Reginense
316), e il Pontificale romano germanico scritto a Magonza verso il 961; li esamineremo entrambi,
poi passeremo ai libri penitenziali.
1) Il rito del sacramentario gelasiano , presente alla fine del codice, non compare nella
Capitulatio iniziale del manoscritto: ne segue che questo rito stato aggiunto quando il
sacramentario era gi completo . Possiamo, dunque, pensare che laggiunta sia avvenuta quando il
manoscritto stato ricopiato nel monastero di Chelles, verso il 750. Lo sviluppo rituale il
seguente:
Salmo 6 (Domine, ne in furore tuo arguas me);
Salmo 102, 1-5 (Benedic anima mea Dominum renovabitur ut aquilae iuventus tua);
Salmo 50 (Miserere mei Deus).
Preghiera: Deum omnipotentem et misericordem qui non uult mortem peccatorum sed ut
conuerantur et uiuant, fratres karissimi, supplices deprecemur, ut conuerso ad uiam rectam famulo
suo illo misericordiae suae ueniam propiciatus indulgeat; et si qua sunt culparum suarum omnium
uulnera, quae post sacri lauacri unda contraxit, ita in hac publica confessione delicta sanentur, ut
nulla in eum ultra cicatricum signa remaneant: per Dominum nostrum. .
2
33
Preghiera: Deus, iustorum gloria, misericordia peccatorum da huic famulo tuo illo plenam
indulgenciae ueniam et paenitenciae loco exoratus indulge, ut qui praeterita peccata deplorat, futura
mala non senciat neque iam ulterius lugenda committat. Demitte ei, Domine, omnia crimina et in
semitas eum iusticiae placatus reinstaura, ut securus mereatur deinceps inter tuos bene meritis
currere et ad pacis aeternae praemia peruenire: per Dominum nostrum Iesum Christum. .
Preghiera: Domine Deus omnipotens sempiternae, qui peccatorum indulgenciam in
confessione celeri posuisti, succurre lapsis, miserere confessis, ut quos delictorum catena
constringit, miseracio tuae pietatis absoluat .
2) Il rito del Pontificale romano germanico ha una struttura praticamente identica a quella dei
Libri poenitentiales:
Il confessore si prepara (in chiesa, o ovunque sia);
Preghiera sul penitente;
Interrogazione del penitente sul Simbolo, lOratio dominica, il perdono delle offese e la sua
situazione sociale;
Salmo 102, 1-5 (Benedic anima mea Dominum renovabitur ut aquilae iuventus tua);
Salmo 50 (Miserere mei Deus).
Interrogazione dettagliata del penitente, in base a una lista di peccati contenuta nel pontificale;
Imposizione della penitenza;
Preghiere conclusive
3) Sono 14 i Libri poenitentiales che riportano un Ordo per la penitenza , la cui struttura pu
avere delle variazioni. Ne citiamo uno solo, il rito penitenziale dellOrdo Burchardi Wormatensis:
Il confessore si prepara con la preghiera, in chiesa, nella cella o, ovunque sia, in cuor suo ;
Interrogazione: a) sulla fede (simbolo); b) sul perdono delle offese; c) sulla condizione del
penitente se pentito (qualora sia incestuoso),diversamente non potr imporgli la penitenza;
Esortazione al penitente sulla necessit di una confessione completa, senza vergogna;
Interrogazione sui peccati e imposizione della penitenza;
Ulteriore esortazione con indicazioni su alcuni atteggiamenti interiori, come lorgoglio, lira
lavarizia etc., che si curano con le virt loro contrarie ;
Il penitente si prostra e si proclama peccatore chiedendo intercessione per poter ottenere il
perdono divino ;
Il sacerdote si inginocchia accanto al penitente e recita 5 salmi: 37; 102; 50; 53; 51.
Le preghiere sono 5 e le prime 4 sono tratte dal penitenziale di Alitgario : la prima chiede che
Dio si ricordi del suo servo che stato purificato dai suoi peccati; la seconda, chiede il perdono
divino per il peccatore; la terza chiede il perdono e fa memoria del fatto che Dio ha posto in una
pronta confessione il perdono dei peccati; la quarta chiede il perdono per il peccatore che ha
confessato i peccati e accenna al fatto che questi sar riammesso ai sacramenti; da ultimo c una
10
11
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preghiera conclusiva , tratta da Reginone ( 915), nella quale si chiede il perdono per i peccati
presenti, passati e futuri. Ecco il testo di Reginone: Deus omnipotens sit adiutor et protector tuus,
et praestet indulgentiam de peccatis tuis praeteritis, praesentibus et futuris .
Nel rito della penitenza contenuto nel Penitenziale di Burcardo, evidente che il peccatore
non dovr ritornare dal sacerdote, al termine della penitenza. Tuttavia, in base alla prima preghiera
che ricorda che il penitente stato purificato dalla penitenza , si pu pensare che la posizione
originaria di questa preghiera fosse dopo che il penitente aveva compiuto le opere imposte dal
sacerdote, ossia quando fosse ritornato da lui al termine della penitenza. La quarta preghiera merita
particolare attenzione perch fa veder che il penitente non viene purificato ora, durante il rito
penitenziale, a causa della preghiera del sacerdote, ma dopo; quando il penitente avr compiuto la
penitenza, il Signore gli perdoner ogni sua colpa. Ecco il testo della preghiera, che diretta a
Cristo: Signore, supplico la maest della tua clemenza e della tua bont: libera nella tua giustizia il
tuo servo (N.) che ti confessa i suoi peccati e i suoi delitti, e concedi a lui il perdono; sii benevolo
verso le colpe del passato, tu che sulle spalle hai ricondotto allovile la pecorella smarrita, tu che ti
sei commosso alle preghiere e alle suppliche del pubblicano, accogli benevolo, o Signore, le
preghiere del tuo servo: che egli possa vivere sicuro del tuo perdono, e che il suo pianto e la sua
supplica ottengano ben presto la tua clemenza, e riammesso ai sacramenti sia di nuovo partecipe
della speranza eterna e della gloria celeste. Tu che vivi e regni .
18
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21
3.
Il carattere giuridico della penitenza tariffata in epoca
carolingia
Per poter applicare la penitenza, che il peccatore aveva meritato a causa dei suoi peccati, la
chiesa deve poter conoscere in dettaglio ci che il peccatore ha commesso; spesso, per, il
peccatore non ha alcuna intenzione di esporsi al giudizio della chiesa oppure, talvolta, non ha
alcuna intenzione di ravvedersi e vuole restare nel suo peccato. Di qui nasce la necessit portare il
peccatore alla penitenza. In epoca carolingia Teodolfo, Giona dOrlans, Incmaro di Reims
stabilirono che sia i sacerdoti sia i fedeli avevano il dovere di denunciare al vescovo i peccati di cui
fossero stati testimoni . Per certi crimini i capitolari stabilirono il procedimento episcopale della
inquisitio: il vescovo doveva cercare i delitti, dopo di che veniva istruito un vero e proprio processo
che era, nello stesso tempo, un procedimento penitenziale. Lesecuzione delle opere penitenziali
comportava lallontanamento dalleucaristia, ossia la scomunica, ma cera anche un altro uso della
scomunica, diverso da questo. Venivano colpiti dalla scomunica coloro che non volevano
riconoscere il proprio peccato e non volevano sottostare al processo penitenziale; era il modo di
esercitare su di loro una forte pressione sociale e religiosa che li costringesse a rinunciare alla
resistenza e al rifiuto. Il timore del giudizio di Dio e delle pene eterne faceva il resto; era certo,
infatti, che chi morisse in stato di scomunica sarebbe stato condannato allinferno. La scomunica,
1
18
Ibidem.
REGINONE DI PRUM, Libri duo de synodalibus causis et de ecclesiastica disciplina (J.-P.
MIGNE (ed.), Patrologiae Series latina, Vol. 132, col. 252).
20 Ecco il testo: O Dio, della cui bont abbiamo bisogno, ricordati del tuo servo (N.) che
stato purificato dai peccati commessi dalla sua fragilit; concedi, te ne preghiamo, il perdono
a chi confessa e risparmia chi ti supplica: dalla bont sia salvato chi per le colpe sarebbe
condannato. Te lo chiediamo per il nostro Signore Ges Cristo (Penitenziale di Burcardo, n.
7, in: G. PICASSO - G. PIANA - G. MOTTA (ed.), A pane e acqua, p. 107; il corsivo mio).
21 Penitenziale di Burcardo, n. 7 (G. PICASSO - G. PIANA - G. MOTTA (ed.), A pane e acqua,
p. 107).
1 J. CHLINI, Laube du Moyen ge, p. 381.
2 La descrizione data da Reginone di Prum che, nel 906, scrive i Libri duo de synodalibus
causis et de ecclesiastica disciplina, Libro II, in: J.-P. MIGNE (ed.), Patrologiae Series latina,
Vol. 132, col. 230-232.
19
35
dunque, diventa un mezzo coercitivo per spingere a ravvedersi dal peccato. E una pena che ha
valore sia spirituale, perch allontana dalla comunione eucaristica, sia sociale perch aliena il reo
dal consorzio della vita civile. Inoltre, chi conserva rapporti con lo scomunicato scomunicato a
sua volta.
Il carattere giuridico della penitenza raggiunge il suo apice in epoca carolingia. Il caso di
Ludovico il Pio ne un chiaro esempio che merita di essere illustrato. Nel 833, resuscitando le
norme della penitenza antica, si impose la penitenza a Ludovico il Pio nella basilica di san Medardo
a Soissons, davanti a Lotario, i suoi Grandi e lepiscopato franco guidato da Ebbon, vescovo di
Reims . Il re depose pubblicamente le armi e rivest labito da penitente che gli diedero i vescovi. Lo
statuto tradizionale del penitente imponeva la castit perpetua e proibiva il ritorno alla militia, ossia
il ritorno allesercizio del potere e al portare le armi: in tal modo Ludovico il Pio era
definitivamente allontanato dalle funzioni di governo e da sua moglie, limperatrice Giuditta, donna
molto influente alla quale egli era molto legato.
Successivamente, le accuse che gli meritarono la penitenza si rivelarono frutto di
macchinazioni politiche dei prelati del partito imperiale, come ammise pubblicamente Ebbon nella
chiesa di santo Stefano di Metz. Non mai esistita la riconciliazione del re nella basilica di SaintDenis: Ludovico il Pio fu reintegrato nelle sue funzioni semplicemente perch la penitenza era stata
illegale . Il caso di Ludovico il Pio mostra bene quali sono le caratteristiche della penitenza antica.
La natura giuridica, tanto del rito quanto delle opere penitenziali, assieme al carattere perpetuo di
questi interdetti e al grande formalismo liturgico sono le qualit specifiche della penitenza canonica
occidentale.
La funzione della scomunica che abbiamo ora descritto, un fatto nuovo, senza riscontro nel
passato, dato che nella penitenza antica la scomunica era linterruzione della comunione del corpo
di Cristo, inteso sia in rapporto alla liturgia eucaristica, sia in rapporto alla vita della chiesa: la
visione mistica (in senso patristico) della comunione e della scomunica. In epoca carolingia questa
concezione ormai perduta ed stata sostituita dalla concezione giuridica. Di fronte a una
scomunica si poteva interporre appello a una istanza superiore di giudizio per ottenerne
lannullamento. Nel 755 il concilio di Ver (sotto Pipino) stabilisce un iter di tre gradi di giudizio,
dopo di che la sentenza di scomunica esecutiva; qualora la scomunica non sortisca alcun effetto
poich il peccatore non si vuole ravvedere, il re pronuncia una sentenza di condanna allesilio .
Spesso la scomunica un mezzo di autodifesa della chiesa contro chi non paga le decime, attenta
alla vita dei membri del clero o si impossessa dei beni dei monasteri, dei vescovi, delle chiese, o
non ne rispetta i diritti fiscali; questo spiega perch la scomunica fu uno strumento molto usato in
epoca carolingia. In questo modo si comprende lacuta osservazione di J. Chlini: La scomunica
non colpiva il delitto, in se stesso, ma il rifiuto di ricevere la penitenza ufficiale . In tal modo la
scomunica divenuta uno strumento per isolare il peccatore dal contesto sociale e per indurlo alla
penitenza. Non detto che tutto questo comporti quella maturazione interiore che restituisce al
credente la grazia battesimale, se non altro perch il processo penitenziale si basa sulla costrizione:
Primo carattere definitivo e permanente della penitenza ufficiale nel secolo carolingio, la
coercizione. Apparsa nel VII secolo, questa caratteristica, che separa in modo assoluto questa
penitenza ufficiale dalla penitenza antica, si generalizzer in modo universale nella legislazione
carolingia . Per dare un idea del carattere giuridico e coercitivo della penitenza, ricordiamo che nel
3
Reginone di Prum riporta ben cinque formule di scomunica, a seconda della gravit. La pi
grave una vera e propria formula di maledizione: Sint maledicti in civitate, maledicti in
agro, maledictum horreum eorum et maledictae reliquiae illorum, maledictus fructus ventris
illorum et fructus terrae illorum (Libri duo de synodalibus causis et de ecclesiastica
disciplina, Libro II, in: J.-P. MIGNE (ed.), Patrologiae Series latina, Vol. 132, col. 362).
4 J. CHLINI, Laube du Moyen ge, p. 403ss.
5 J. CHLINI, Laube du Moyen ge, p. 408.
6 Can. 9 (Monumenta Germaniae Historica, Capitularia, I, p. 35).
7 J. CHLINI, Laube du Moyen ge, p. 392.
8 J. CHLINI, Laube du Moyen ge, p. 402.
36
sacramentario gelasiano lingresso in penitenza nella feria in capite quadragesimae, un rito che
comporta lincarcerazione. La rubrica, infatti, stabilisce di imporre le ceneri sul capo del penitente
e, subito dopo, aggiunge: Inclaudis usque ad Caenam Domini . Non viene specificato dove il
penitente debba essere rinchiuso , ma la rubrica del gioved santo si ricorda bene di questo fatto e
recita: Egrditur poenitens de loco ubi poenitentiam gessit .
9
10
11
A. CHAVASSE (d.), Textes liturgiques de lEglise de Rome. Le cycle liturgique romain annuel
selon le sacramentaire du Vaticanus Reginensis 316, (= Sources liturgiques, 2), Cerf, Paris
1997, p. 188, n. 83.
10 Si pu pensare a un monastero o ad altro luogo sicuro come la sacristia o le diaconia, o i
catechumena (C. VOGEL, Les rites de la pnitence publique aux Xe et XIe sicles, in: P.
GALLAIS - Y.-J. RIOU (d.), Mlanges offerts Ren Crozet, loccasion de son soixante-dixime
anniversaire, Tome I, Socit dtudes mdivales, Poitiers 1966, p. 142)
11 A. CHAVASSE (d.), Textes liturgiques de lEglise de Rome, p. 188, n. 352.
37
CAPO QUINTO
LA RICONCILIAZIONE DEI PENITENTI SECONDO IL SACRAMENTARIO GELASIANO ANTICO
Il sacramentario Gelasiano antico contiene la liturgia romana dei tituli che la liturgia dei
presbiteri mentre la liturgia stazionale la liturgia papale. Possiamo dire che questa liturgia
rappresenta luso della fine del quinto secolo. Nei tituli era il prete che, in determinate occasioni,
celebrava il sacramento, mentre nelle altre chiese la penitenza era riservata al vescovo . Nel
Gelasiano abbiamo il formulario dellingresso in penitenza che viene celebrato il mercoled delle
ceneri , quando viene data ai penitenti la penitenza da fare e labito di cilicio da portare. In seguito
abbiamo un formulario di conferimento del perdono al gioved santo ; tra lammissione alla
penitenza e il perdono trascorreva un periodo pi o meno lungo che, col tempo e con la progressiva
riduzione della penitenza a un fatto puramente rituale, si identifica con la quaresima.
Il Gelasiano conosce anche un altro Ordo che stato aggiunto posteriormente e che riguarda
la conclusione della penitenza . Questo il testo che riassume meglio gli elementi del rito della
penitenza che vogliamo mettere in evidenza. Ecco come si svolge: il penitente liberato dal luogo
ove era stato rinchiuso , viene condotto in gremio ecclesiae; il diacono fa una perorazione nella
quale illustra il cammino penitenziale del penitente, dicendo, tra laltro, che le lacrime profuse dal
penitente sono analoghe allacqua battesimale e che, pertanto, hanno valore purificatorio,
analogamente allacqua battesimale. Seguono alcune preghiere con le quali si implora il perdono di
Dio sul penitente . Dopo di che inizia la liturgia eucaristica ossia la messa del gioved santo
mattina.
Giustamente questo Ordo intitolato Riconciliazione dei penitenti dato che le preghiere di
assoluzione hanno come tema principale la riammissione del penitente alla chiesa. Si supplica Dio
di voler concedere, al peccatore pentito , il perdono dei peccati e di voler restituire alla chiesa il
penitente a causa della sua conversione, della preghiera della chiesa tutta, nonch del sacerdote.
Non c una formula che dica che il penitente accolto di nuovo nella chiesa; non ce n bisogno
perch la cosa evidente di per s, dato che il penitente condotto in chiesa e il sacerdote ha
pregato su di lui. In queste preghiere si ricorda che il penitente stato restituito purificato alla
chiesa, la quale pertanto non pi priva di uno dei suoi membri .
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MOHLBERG L. C. (ED.), Liber sacramentorum romanae aecclesiae ordinis anni circuli. (Cod.
Vat. Reg. lat. 316 / Paris Bibl. Nat. 7193, 41 / 56, (= Rerum ecclesiasticarum documenta Fontes, 4), Herder, Roma 1960.
13 Non dobbiamo pensare che la liturgia che veniva celebrata a Roma fosse la stessa in tutte le sedi. Cera una liturgia
per i tituli (oggi si chiamerebbero parrocchie), e una per le stationes, ossia le celebrazioni del papa in un
determinato luogo; inoltre cera una certa differenza tra la liturgia intra muros, ossia allinterno delle mura aureliane, e
la liturgia extra muros.
14 CHAVASSE A., Le sacramentaire glasien, (= Bibliothque de thologie 4: Histoire de la
thologie, 1), Paris, 1958.
15 Ibidem, p. 141.
16 MOHLBERG L. C. (ED.), Liber sacramentorum romanae aecclesiae ..., nn. 78-82.
17 MOHLBERG L. C. (ED.), Liber sacramentorum romanae aecclesiae ..., nn. 349-351.
18 MOHLBERG L. C. (ED.), Liber sacramentorum romanae aecclesiae ..., nn. 352-359.
19 MOHLBERG L. C. (ED.), Liber sacramentorum romanae aecclesiae ..., n. 352.
20 MOHLBERG L. C. (ED.), Liber sacramentorum romanae aecclesiae ..., nn. 353-354.
21 MOHLBERG L. C. (ED.), Liber sacramentorum romanae aecclesiae ..., nn. 356-359.
22 Ut ecclesiae tuae sanctae, a cuius integritate diviarat peccando ... restituatur innoxius
(MOHLBERG L. C. (ED.), Liber sacramentorum romanae aecclesiae ..., n. 357).
23 Ne ecclesia tua aliqua corporis portione uastetur nec grex tuus detrimentum sustineat
(MOHLBERG L. C. (ED.), Liber sacramentorum romanae aecclesiae ..., n. 358).
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39
CAPO SESTO
LA CONFESSIONE
Per comprendere il regime della confessione citiamo solo due testi che hanno un notevole
rilievo nello sviluppo di questa nuova tappa della penitenza. Il primo testo una Lettera a una
religiosa, attribuita ad Agostino ma che di un anonimo del decimo o undicesimo secolo; gi il
titolo significativo di per s perch mostra qual il problema che viene affrontato: De uera et
falsa poenitentia.
Questa lettera ha contribuito notevolmente a formare la mentalit del sacramento della
penitenza nel medioevo; basti pensare che questa lettera entrata del Decretum Gratiani, nelle
Sententiae di Pietro Lombardo e in Tommaso dAquino.
Ci sono di quelli che si pentono a causa dei castighi che al momento possono venire
comminati o inferti; questa una falsa penitenza; la penitenza falsa e inutile quella che non
procede dalla fede, dalla carit e dallunit . La penitenza vera quella spontanea, quella che cerca
Dio dolendosi di averlo perduto, ansiosa di raggiungere Dio senza il quale non c vita .
La penitenza qui descritta tesa alle motivazioni interiori del pentimento, quelle motivazioni
che decidono il peccatore alla penitenza, e questa la prima differenza rispetto alla penitenza antica
e anche alla penitenza insulare. La seconda grande differenza sta nel mettere tutto laccento
sullaccusa dei peccati: la confessione. A causa della vergogna che il penitente prova nel confessare
i peccati il rito dellaccusa prende il posto delle antiche espiazioni fatte di digiuni e di onerose
privazioni. La vergogna la vera penitenza che salva il peccatore, cosicch laccusa, o confessione,
diventa lelemento principale di questo rito e il suo costitutivo formale, come ben si vede da questo
testo: Erubescentia enim ipsa partem habet remissionis: ex misericordia enim hoc praecepit
Dominus, ut neminem poeniteret in occulto. In hoc enim quod per seipsum dicit sacerdoti, et
erubescentiam vincit timore Dei offensi, fit venia criminis: fit enim per confessionem veniale, quod
criminale erat in operatione. [...] Laborat enim mens patiendo erubescentiam. Et quoniam
verecundia magna est poena, qui erubescit pro Christo fit dignus misericordia .
La confessione pu essere fatta anche a un laico, in assenza del sacerdote, perch la
confessione raggiunge ugualmente il suo effetto dato che la sua efficacia dipende, alla fin fine, dalla
vergogna che si prova: Tanta itaque vis confessionis est, ut si deest sacerdos, confiteatur proximo.
Saepe enim contingit quod poenitens non potest verecundari coram sacerdote, quod desideranti nec
tempus nec locus offert .
Unaltra opera ha grande peso in questa questione; si tratta del Verbum abbreviatum di Pietro
il Cantore, tributario anchesso del De uera et falsa poenitentia. Nella descrizione della confessione
distingue tre tipi di confessione, la confessio cordis e la confessio oris e la confessio operis. la
confessio cordis viene fatta a Dio, mentre la confessio oris viene fatta al sacerdote . Il costitutivo
la confessio cordis, ma la confessio oris ugualmente essenziale ed stata introdotta nella chiesa
per tre motivi: ut superbo prius et cervicoso incutiatur, umilitas, et verecundia et erubescentia . Il
valore della confessio oris molto grande e cos conclude: Ipsa oris confessio maxima est pars
satisfactionis.
Da questo si capisce che la capacit espiatoria delle antiche opere penitenziali ormai
sostituita dalla confessione, a causa della vergogna che in essa si prova. Giustamente dunque questa
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tappa della confessione viene chiamata Confessione e, se pure con le precisazioni dottrinali della
scolastica e del concilio di Trento, rester immutata fino al concilio Vaticano II. Il regime della
confessione si sviluppa a partire dal dodicesimo secolo e avr grande fortuna, una fortuna che gli
viene decretata dal basso, ossia dai fedeli che lo frequentano, cos come stato per gli altri sistemi
penitenziali, o forme storiche del rito della penitenza che abbiamo esaminato.
Questo tipo di penitenza molto diversa da quella tariffata che lha preceduta. Mentre nella
penitenza tariffata lassoluzione pu essere data solo dopo la soddisfazione delle pene imposte, che
possono durare anche per anni, nella confessione lassoluzione viene data subito dopo laccusa.
Nella penitenza tariffata la soddisfazione molto onerosa e comporta reali privazioni, mentre nella
confessione la soddisfazione puramente simbolica. Nelluna laccusa dei peccati, con tutti i
dettagli, necessaria per poter fare la somma di tutte le pene meritate secondo i penitenziali, mentre
nellaltra la confessione in quanto tale appartiene allarea della soddisfazione. Lelemento principale
della penitenza antica era la soddisfazione, mentre dal dodicesimo secolo lelemento principale la
confessione, o accusa dei peccati, che svolge anche funzione espiatoria: la penitenza sostituita
dalla confessione.
41
CAPO SETTIMO
LA FORMULA DI ASSOLUZIONE
1.
Preghiere di intercessione per il penitente e nascita della
formula assolutoria
Abbiamo visto che, nella storia della penitenza occidentale compare spesso, anche se non
sempre, una liturgia con delle preghiere che chiedono a Dio misericordia per il penitente e il
perdono dei suoi peccati. In ogni caso, anche al di fuori di questa liturgia, la chiesa prega sempre
per coloro che hanno peccato. Nella liturgia penitenziale la preghiera una supplica a Dio solo
Lui pu rimettere i peccati (Mc 2, 7) affinch accolga la supplica della chiesa e voglia perdonare
le colpe del penitente. Per rafforzare la domanda, la preghiera viene ripetuta pi volte, in forme
diverse, anche se sono tutte dello stesso tenore. Progressivamente vengono inserite delle citazioni
bibliche che rafforzino la supplica affinch Dio perdoni. Le pi antiche sono citazioni che fanno
appello alla misericordia di Dio descritta nelle Scritture come, ad esempio: Forse che io ho piacere
della morte del malvagio, dice il Signore Dio, o non piuttosto che desista dalla sua condotta e
viva? (Ez 18, 23). Oppure: Davanti a lui rassicureremo il nostro cuore qualunque cosa esso ci
rimproveri. Dio pi grande del nostro cuore e conosce ogni cosa (1Gv 3, 19-20).
Successivamente vengono scelte quelle citazioni bibliche che descrivono il potere, se cos si pu
dire, della chiesa sul peccato, come, ad esempio: Ricevete lo Spirito Santo, a chi rimetterete i
peccati saranno rimessi e a chi non li rimetterete, resteranno non rimessi (Gv 20, 22-23); oppure:
A te dar le chiavi del regno dei cieli, e tutto ci che legherai sulla terra sar legato nei cieli, e tutto
ci che scioglierai sulla terra sar sciolto nei cieli (Mt 16, 19).
Tuttavia queste non sono lassoluzione nel senso odierno: sono ancora preghiere e suppliche
affinch Dio perdoni il penitente. La preghiera preghiera e non dobbiamo attribuirle altra portata
che questa. Con queste preghiere il sacerdote ammette alla comunione eucaristica il penitente, ma
non detto che gli conferisca il perdono dei peccati: questo lasciato a Dio ed per questo
motivo che si prega.
2.
La testimonianza di Raoul lArdente
E conoscenza comune che la prima testimonianza della formula di assoluzione (intesa in
senso proprio) si trovi in una omelia di Raoul lArdente ( verso il 1195-1200): Il cuore detesta le
nostre colpe, la bocca le accusa, con i nostri atti le espiamo. A chi confessarsi? La confessione
delle colpe gravi va fatta al sacerdote, poich lui solo ha il potere di legare e di sciogliere. La
confessione fatta ad altri non procura lassoluzione dei peccati; noi siamo qui assolti mediante
lumiliazione di noi stessi e mediante le preghiere dei nostri fratelli. Ecco perch non si dice in
questo caso: Ego dimitto tibi peccata tua, ma solo Misereatur tui Omnipotens Deus . Esiste,
dunque, una formula di assoluzione che dice: Ego dimitto tibi peccata tua.
1
3.
La prima attestazione della formula di assoluzione
A mio giudizio lorigine di questa formula deve essere pi antica, almeno di un secolo, e va
collocata nel primo quarto del XI secolo, dato che in questa epoca rimasta traccia di una polemica
suscitata dalla sua introduzione. Adelmanno di Liegi, in una lettera scritta tra il 1036 e il 1052,
1
Omelia 64, In Litania maiori (J.-P. MIGNE (ed.), Patrologiae Series latina, Vol. 155, col.
1900).
42
censura la novit di questa formula dichiarandola aliena dalla tradizione: Qua ergo temeritate
sacerdotes noui testamenti lepram spiritalem mundare se profitentur. Quem umquam sanctorum
inueniunt cuiquam peccatori dixisse: ego dimitto tibi peccata tua ac non potius communicatis
ieiuniis et orationibus id eis quibus subuenire uolebant a Domino impetrasse . Quod legimus in
aecclesiastica historia fecisse Iohannem apostolum pro iuuene illo quem a latrocinio reuocatum
Christo iterum parturiebat. Sed et ipse Filius hominis habens potestatem in terra dimittendi peccata
deuitata personae suae expressione non ait : remitto tibi omnia peccata tua sed quasi uerecunde :
homo inquit dimittuntur tibi peccata tua .
Successivamente, alla fine del dodicesimo secolo, compare la formula di assoluzione che
rester fissa fino a oggi nella chiesa latina: Ego te absolvo a peccatis tuis, in nomine Patris et Filii
et Spiritus Sancti, che ricalcata sulla formula battesimale Ego te baptizo etc.. La formula
assolutoria una formula giuridica che dichiara lefficace applicazione del potere assolutorio del
sacerdote sul penitente. Proprio per questo, la nostra formula non ha la struttura della preghiera che,
necessariamente, deve essere rivolta a Dio.
Se lessenza del sacramento della penitenza sta nella formula assolutoria, come dir tutta la
teologia scolastica e tridentina, ne segue che lessenza del sacramento posta non tanto nella
preghiera, quanto nella sua struttura giuridica.
1
Si censura anche il fatto che la liturgia penitenziale prevale sulla disciplina penitenziale.
Qui si imponevano digiuni e preghiere e laiuto che si voleva dare ai peccatori lo si chiedeva a
Dio nella preghiera.
2 ADELMANNUS LEODIENSIS, Epistula ad Hermannum Coloniensem (R. B. C. HUYGENS (ed.),
Textes latins du XIe au XIIIe sicle, Studi Medievali, 3a serie, 8 (1967) 490).
43
CAPO OTTAVO
LA RICONCILIAZIONE DEI PENITENTI SECONDO IL PONTIFICALE DI GUILLAUME DURAND
1.
La penitenza alla fine del XIII secolo
Nel XIII secolo gi esiste la penitenza privata, o confessione, e su di essa ci sono anche delle
ricche trattazioni pastorali, come si vede bene nel Aureum confessorium. Inoltre bisogna ricordare
che in questepoca la confessione viene celebrata anche come rito devozionale . Dunque, dopo il De
sacramentis di Pietro Comestor (scritto tra il 1165 e il 1170), ci sono tre tipi di penitenza: accanto
alla Penitenza privata, o confessione, per i peccati nascosti, di competenza del semplice sacerdote,
c la Penitenza pubblica per i peccati gravi (omicidio o altro peccato enorme) e, come terza
possibilit, c la Penitenza solenne. Questo rito della solenne riconciliazione dei penitenti ha per
oggetto peccati pubblici o di grande rilievo sociale, come, ad esempio, omicidio, sacrilegio, incesto,
infanticidio e ogni colpa grave e orribile ... che avesse portato turbamento nella citt, nel
villaggio . Questa penitenza viene data allinizio di quaresima, in quel giorno che prende il nome
dal rito in questione e che si chiama, gi a quellepoca, mercoled delle ceneri .
E in questo quadro che va collocata la rielaborazione del rito della penitenza canonica del
Pontificale di Guillaume Durand; ma perch deve esistere una penitenza solenne, se gi in
funzione la penitenza privata e la penitenza pubblica? La penitenza solenne ha una funzione
eminentemente sociale, che si esprime bene nellincarcerazione che dura per tutta la quaresima, dal
mercoled delle ceneri al gioved santo.
1
2.
Il personaggio
Guillaume Durand (1230-1296) giurista, uomo di governo, vescovo, compositore di trattati
giuridici, di libri liturgici e di commenti alla liturgia. Nel 1280 fu rector e capitaneus generalis del
Patrimonio di San Pietro in Tuscia. Tra il 1283 e il 1286 fu governatore della Romagna e rettore di
Urbino e della vicina Massa Trabaria. Nel 1295-1296 mentre governava la Romagna con il titolo di
conte, fu anche rettore della Marca Anconetana con il titolo di marchese . Il governo della Romagna
ebbe una prima fase dal 1281 al 1283 nella quale egli fu vicarius in spiritualibus per secondare, con
dei processi e sentenze giudiziarie, le censure spirituali . A questo titolo egli si interessato a tutte le
questioni della politica italiana dellultimo quarto del XIII secolo . La mente giuridica di Guillaume
Durand valutabile dallo Speculum iudiciale, che un caposaldo della letteratura procedurale
1
Ne abbiamo buone testimonianze nella vita di Luigi IX che teneva due confessori sempre a
sua disposizione, e che si confessava con grande frequenza, talvolta anche due volte al giorno
(cf.: LE GOFF J., Saint Louis et la pratique sacramentelle, La Maison-Dieu 197 (1994) 99124); cf. anche: . LE GOFF J., San Luigi, Einaudi, Torino 1996, pp. 633-640.
2 LONGRE J., La Pnitence selon le Repertorium, les Instruction et Constitutions, et le
pontifical de Guillaume Durand, in: GY P.-M. (D.), Guillaume Durand ..., p. 119.
3 Ibidem.
4 La liturgia della penitenza solenne ha inizio il mercoled delle ceneri; vengono benedetti e i
cilici e le ceneri, che vengono imposti ai penitenti, assieme alle penitenze.
1 VASINA A., Guillaume Durand recteur de Romagne, in: GY P.-M. (D.), Guillaume Durand
vque de Mende (v. 1230-1296). Canoniste, liturgiste et homme politique, Actes de la Table
Ronde du C. N. R. S., Mende 24-27 mai 1990, Editions du Centre national de la recherche
scientifique, Paris 1992, p. 34.
2 Ibidem, p. 39.
3 VERGER J., Les juristes languedociens et lItalie au XIIIe sicle, in: GY P.-M. (D.),
Guillaume Durand ..., p. 48.
44
canonica del XIII secolo, redatto a partire dal 1271-1272. Luomo medievale concepiva il diritto
come qualcosa di universale, valido per tutti gli uomini, articolato direttamente sulla giustizia di
Dio . In tal modo si spiega che in quanto canonista che Durand mostra tutta la sua competenza
liturgica, sia nella composizione del Aureum confessorium et memoriale sacerdotum, sia del
Rationale divinorum officiorum (1286), sia nella redazione del Pontificale (1293-1295).
4
3.
Il Rito della penitenza solenne
DallOrdo del sacramentario Gelasiano ha origine nel 950 a Magonza il Pontificale romanogermanico che ha inserito nel Rito per la riconciliazione dei penitenti alcuni elementi di
drammatizzazione, secondo il gusto della cultura dellepoca. Da qui al Pontificale di Guillaume
Durand, composto tra il 1293 e il 1295 , il passo breve. In questo Pontificale infatti si completa la
trasformazione dellantico rito della riconciliazione dei penitenti in un vera e propria messa in scena
dotata di grande spettacolarit: la riconciliazione dei penitenti viene celebrata, ma vorrei dire
rappresentata, con grande effetto drammatico che sicuramente coinvolge e affascina i presenti.
La riconciliazione si svolge il gioved santo a mezzogiorno, dopo che i sacerdoti hanno
ascoltato le confessioni per tutta la mattina e hanno discusso con il vescovo di riconciliare i
penitenti, visto che la penitenza prescritta stata eseguita. La liturgia si svolge in duomo; nella
navata ci sono i fedeli, mentre il vescovo e il clero si trovano nel coro, davanti allaltare, e i
penitenti si trovano davanti alla porta della chiesa, prostrati con in mano un cero spento; la porta
chiusa. Tutta la chiesa convocata ed presente a questo rito liturgico.
La riconciliazione dei penitenti deve avere un grande impatto sociale; siamo nel XIII secolo:
se presente la chiesa, con tutte le sue componenti, presente tutta la societ; anche i santi sono
presenti, attraverso le Litanie dei santi che sono state cantate appena il vescovo e il clero sono
entrati in chiesa. Quando le Litanie dei santi sono giunte allinvocazione dei patriarchi e dei profeti ,
che sono coloro che nellAntico Testamento hanno annunciato il bisogno della conversione, il
vescovo, che rappresenta Cristo, invia due suddiaconi alla porta della chiesa, con due candele
accese, ad annunciare ai penitenti che il Signore non vuole la morte del peccatore, ma piuttosto che
si converta e viva (Ez 18, 3 ). Spente le candele, i due suddiaconi ritornano presso il vescovo.
Quando le litanie invocano i martiri, il vescovo invia altri due suddiaconi che cantano ai penitenti
linvito evangelico: fate penitenza, si avvicinato il regno dei cieli. Spente le candele, ritornano dal
vescovo. Quando le litanie sono alla fine, ossia al momento dellAgnus Dei, il vescovo invia alla
porta della chiesa un diacono anziano con un grande cero per cantare lantifona Alzate il vostro
capo poich si avvicinata la vostra redenzione. Dal cero del diacono vengono accese le candele
dei penitenti; non viene spento il cero del diacono e questi torna dal vescovo. Terminate le litanie, il
vescovo si alza con tutto il clero e si reca in mezzo alla navata, rivolto verso la porta. La scena
molto solenne. Un arcidiacono si rivolge al vescovo con una perorazione, simile a quella del
Gelasiano, con la quale presenta al vescovo i penitenti come degni di assoluzione e di accoglienza
avendo ben compiuta la penitenza. Allora il vescovo si reca in fondo alla chiesa, in mezzo alla
porta, e fa unesortazione ai penitenti sulla misericordia divina e su come essi debbano vivere da
quel momento in avanti. Il vescovo torna in chiesa; dopo tre antifone e due genuflessioni si canta il
salmo Benedir il Signore in ogni tempo, e in quel momento i penitenti entrano in chiesa, in
lacrime, e corrono a buttarsi ai piedi del vescovo, ove stanno fino alla fine del salmo. Un arciprete si
rivolge al vescovo pregandolo di reintegrare nella chiesa i penitenti, e il vescovo gli risponde
chiedendo se sa che i penitenti ne siano degni; ricevuta una risposta affermativa, c lintervento di
1
NRR K. W., A propos du Speculum iudiciale de Guillaume Durand , in: GY P.-M. (D.),
Guillaume Durand ..., p. 64.
1 VOGEL C. - ELZE R. (D.), Le Pontifical romano-germanique du Xme sicle, (= Studi e testi,
226 - 227 - 269), Tomes I - II - III, Citt del Vaticano 1963-1972.
2 ANDRIEU M. (D.), Le pontifical romain..., p. 10.
3 ANDRIEU M. (D.), Le pontifical romain..., III, 2, 11-44 (pp. 560-569).
45
un diacono che fa alzare i penitenti. Il vescovo allora prende un penitente per mano, mentre gli altri
si tengono per mano a loro volta, e li conduce alla sua sede, ossia al faldistorio, in mezzo alla
navata. Devessere stato di sicuro effetto il vedere questa catena umana guidata dal vescovo su su
per la navata. Dopo il canto di unantifona tratta dal racconto evangelico del figlio prodigo, il
vescovo pronuncia lassoluzione dei peccati: Dio onnipotente ed eterno vi assolva da ogni legame
dei peccati, affinch abbiate la vita eterna e viviate. Per nostro Signore Ges Cristo ecc. Amen .
Allassoluzione dei peccati segue una lunga preghiera, a mo di prefazio. In questa preghiera,
commemorata lassoluzione dei peccati e fatta la citazione di alcuni personaggi dellAntico
Testamento, il vescovo chiede a Dio che i penitenti siano reintegrati nella chiesa: Tuae ecclesiae
gremio redde. Lo scopo duplice, che il demonio non abbia a prevalere su di loro e che i penitenti
assolti possano partecipare alleucaristia. Dopo che il vescovo, il clero e i fedeli sono rimasti
prostrati per i canti e per varie preghiere, il vescovo si alza in piedi, asperge con acqua benedette i
penitenti e li incensa. Data loro unindulgenza qualora lo abbia ritenuto opportuno, alza le mani e
tenendole stese sui penitenti li benedice con la lunga formula della benedizione pontificale.
I penitenti sono ormai assolti e completamente reintegrati nella chiesa.
4
4.
Conclusione
a) La cosa che colpisce maggiormente in questo rito, limportanza del canto che la linea
guida di questa liturgia, dallinizio alla fine . Il canto principale la litania dei santi allinterno della
quale ci sono alcune azioni rituali, come abbiamo visto. In seguito c il canto di alcuni salmi,
studiatamente collocato in precisi momenti per drammatizzare il passaggio da un'unit rituale
allaltra. Il vescovo, e anche gli altri ministri, talvolta si esprimono cantando delle antifone che, pi
che antifone, sono dei veri e propri proclami ai penitenti di ci che il rito offrir loro.
Non possiamo trascurare il grande effetto pedagogico ed educativo che questa spettacolarit
pu raggiungere. Gi a partire dallalto medioevo la liturgia particolarmente legata alla cultura
dellimmagine, ma non si pensi che ci sia dovuto solo a ragioni culturali; il fatto che la liturgia
qualcosa di difficile da comprendere. Questa la ragione fondamentale. La soluzione viene cercata
nella cultura del momento che una cultura che coltiva il gesto e la sua simbologia . Di
conseguenza la liturgia viene, talvolta, affiancata dal dramma liturgico, mentre altre volte vira essa
stessa verso il dramma liturgico, e recepisce al suo interno alcuni caratteri drammatici che hanno
una presa immediata sui fedeli . Dobbiamo sottolineare la novit di Guillaume Durand: la forte
drammatizzazione che accentua la carica emotiva che il rito gi possiede di suo, e che diventa uno
strumento di comunicazione molto efficace, anche se estraneo allarea della sacramentalit.
b) La liturgia della penitenza solenne, in questo Pontificale, stata pensata appositamente per
una pastorale sulla societ. Il vescovo un uomo pubblico e il rito un atto pubblico che ristabilisce
un legame tra i penitenti e la societ. La liturgia, dunque, in quanto atto pubblico e ufficiale,
consacra lordine sociale. Per Guillaume Durand la pubblicit dellatto ci che ne garantisce
lefficacia. Questa la testimonianza del Pontificale di Durand. Nessun altro libro in grado di
dirci con altrettanta chiarezza come le idee religiose reggono tutto ledificio della societ
medievale .
1
46
c) Dobbiamo ora chiederci che cos la liturgia della riconciliazione solenne dei penitenti nel
Pontificale di Guillaume Durand. Certamente non solo assoluzione dei peccati: per questo sarebbe
bastata la penitenza privata. E qualcosa di diverso, sia perch riguarda i peccati che hanno avuto
unincidenza sociale, sia perch c un controllo pubblico e ufficiale sul come stata fatta la
penitenza, sia perch i peccatori con questo rito vengono reintegrati nella chiesa e nella societ,
anche se non completamente. La penitenza solenne sacramentale e pertanto non pu essere
celebrata dai sacerdoti ma solo dal vescovo, perch essa si fonda non sul potere di giurisdizione
bens di ordine che, come tale, non pu essere delegato. Come altri canonisti del XII secolo, a
differenza dei teologi, Guillaume Durand sembra considerare la forma solenne della penitenza come
lunica forma sacramentale .
Concludendo possiamo rilevare che in questa liturgia lassoluzione dei peccati nettamente
distinta dalla riconciliazione con la chiesa, e che lassoluzione dei peccati prevale nettamente
sullaspetto ecclesiologico della penitenza. Inoltre dobbiamo ricordare che alla penitenza solenne
connesso un certo quid di infamante , e quindi la reintegrazione nella chiesa non mai una piena
riabilitazione. Questo rito, in definitiva, pi legato alla comunicazione dei simboli della
riconciliazione che alla efficace e reale reintegrazione del penitente nella chiesa.
5
5.
Il Pontificale romano postridentino
Il concilio di Trento ha dato uninterpretazione dottrinale del rito della penitenza che in asse
con levoluzione che abbiamo descritto: lassoluzione dei peccati prevale nettamente su ogni altro
aspetto della penitenza. La dottrina tridentina sulla penitenza si riflette nel Rituale Romanum del
1614 che come sacramento dellassoluzione dei peccati offre solo il rito della confessione. La
conversione del cuore ormai appartiene al privato, come fatto religioso interiore; i pentiti vengono
assolti dai loro peccati con la confessione auricolare, che un rito silenzioso e riservato ove viene
protetta anche lidentit del penitente che incontra il sacerdote da dietro una grata. La penitenza
solenne del Pontificale di Guillaume Durand sopravvive nel Pontificale Romanum di Innocenzo
VIII (1485), ripubblicato in varie edizioni a stampa dopo il concilio di Trento. Questo rito, per la
teologia dellepoca, ritenuto privo di valore sacramentale. In pratica solo la reliquia di un rito
ormai desueto, che il Pontificale Romanum recepisce per fedelt storica alle proprie fonti liturgiche,
allo stesso modo di come recepisce, ad esempio, il rito per armare un cavaliere.
Effettivamente il rito della penitenza solenne contenuto nel Pontificale Romanum non usato
n per lassoluzione dei penitenti n per lassoluzione dalla scomunica. E un rito che ormai
appartiene al dramma liturgico e che, se proprio lo si volesse utilizzare, potrebbe servire solo come
cerimonia sociale e politica.
Ormai, dopo la riforma tridentina, questo rito ha unesistenza soltanto letteraria.
ANDRIEU M. (D.), Le pontifical romain au moyen ge., (= Studi e testi, 88), Tome 3: Le
Pontifical de Guillaume Durand, Bibliotheca apostolica vaticana, Citt del Vaticano 1940, p.
IX.
5 LONGRE J., La Pnitence selon le Repertorium, les Instruction et Constitutions, et le
pontifical de Guillaume Durand, in: GY P.-M. (D.), Guillaume Durand ..., p. 119.
6 Quando Luigi IX si fa crociato e va a ricevere dal vescovo il bordone e labito di penitente,
suscita un forte stupore nei contemporanei che, sapendolo uomo virtuoso e alieno da ogni
peccato, non comprendono che bisogno egli abbia di intraprendere quel rito di pubblica
penitenza che il cammino della crociata.
47
CAPO NONO
LA PENITENZA NELLINSEGNAMENTO DI ALCUNI PADRI DELLA CHIESA ORIENTALE
Sappiamo veramente poco della prassi penitenziale della chiesa dei primi secoli. Inizialmente,
tanto in Oriente quanto in Occidente, abbiamo la penitenza ecclesiastica con usanze molto simili tra
loro. Questo vale anche per il terzo e quarto secolo, quando la chiesa assume una forma pi
istituzionale. In Oriente, soprattutto per la Siria e lEgitto, si deve rilevare: a) il ruolo prevalente del
vescovo; b) lassenza di tassazione; c) la mancanza di un Ordine dei penitenti; d) il carattere
pubblico della riammissione alla vita della comunit.
1.
Premessa
Gregorio il Taumaturgo, vescovo di Neocesarea (270) liniziatore di quel cammino che,
poi, dar origine alla penitenza canonica. Tuttavia, bisogna notare che, nellevoluzione dei canoni
penitenziali, c un progressivo addolcimento delle norme perch il principio della misericordia
verso il peccatore e della terapia della malattia spirituale prevale su ogni altra considerazione.
Questo si vede soprattutto quando il numero di coloro che commettono un determinato peccato
troppo grande; in questo caso c un addolcimento della disciplina penitenziale in merito . Questo
non il principio del lasciar correre ma dellattenzione evangelica verso chi pi bisognoso di
aiuto e che, come primo passo, va accettato. E in questa chiave che va capita la maggior
misericordia mostrata da Basilio nelle lettere canoniche ad Anfilochio, vescovo di Iconio, rispetto ai
precedenti canoni . C anche una frase di Giovanni Crisostomo (345/354-407), con la quale egli si
attir notevoli critiche: Anche se hai fatto penitenza mille volte, vieni . A Crisostomo non
interessa tanto la lunghezza dello spazio temporale, ma la correzione dellanimo . La misericordia
contenuta nelle lettere canoniche di Basilio, sar posta alla base di ogni successiva normativa
penitenziale.
Le differenze nascono in Occidente, dal quarto secolo alla met del quinto, quando la
penitenza assume carattere sempre pi giuridico, ma soprattutto dalla met del quinto secolo alla
fine del sesto, quando la penitenza si riduce sempre pi ai suoi aspetti rituali . Fino al quarto secolo
gli aspetti rituali non sono il costitutivo formale della penitenza occidentale come, invece, accadr
in epoche successive.
L. Ligier afferma che non facile stabilire quando avvenne il passaggio, in Oriente, dalla
penitenza canonica a quella privata. Nel secolo dodicesimo, infatti, i grandi commentatori del
1
48
diritto orientale Aristenos, Zonaras, Balsamone commentano i canoni della penitenza pubblica
(concilio di Ancira, Nicea, lettere canoniche di Basilio, etc.) come se fossero ancora in uso al loro
tempo . Egli dice che il passaggio, non ancora compiuto nel secolo sesto, forse iniziato nel settimo,
sembra che vada collocato tra lottavo e il nono secolo . E in questo periodo, infatti, che appaiono i
primi libri penitenziali . Bisogna per sottolineare che c diretta continuit tra la penitenza pubblica
e la penitenza privata. Un elemento caratteristico della continuit luso delle epitimie (pene,
castighi), regolato dalla chiesa, che sono un compromesso tra quelle della penitenza pubblica e
quelle dei monasteri; quanto alla durata, tendono ad essere in linea con il precedente regime
penitenziale, mentre per il tipo di azioni da compiere, sono legate agli usi monastici . Dalla
domanda di Atanasio Sinaita ( 700) sul modo in cui un peccatore, che non sia monaco, possa
ottenere il perdono delle colpe si pu inferire che la penitenza privata mira a estendere ai laici i
benefici della prassi monastica in materia . Teodoro Studita (759-826) ha composto una serie di
canoni sulla confessione e sulle corrispettive epitimie , ma non ha trasmesso alcun rito. Dobbiamo
quindi pensare che il rito non avesse ancora una struttura determinata e, ancor meno, fissata in
modo giuridico.
7
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11
12
2.
Basilio
Nellanno 373 o 374 Anfilochio viene ordinato vescovo di Iconio. E un amico di Basilio e
questi lo tiene in grande considerazione. Anfilochio ha scritto a Basilio chiedendogli di illustrare la
prassi penitenziale della chiesa e Basilio risponde con una serie di lettere, dette appunto canoniche,
che riportano le penitenze per i vari tipi di peccati. Se questi elogia Anfilochio per il suo desiderio
di conoscere gli usi penitenziali, significa che questi canoni, anche se tradizionali, non avevano
avuto una grande diffusione e non erano molto noti. Questo ci fa pensare che lapplicazione della
penitenza canonica non fosse cos diffusa e che rappresentasse, tutto sommato, uneccezione nella
vita normale di queste chiese. Basilio non il creatore di queste norme: solo testimone di una
prassi che gi nota da Gregorio il Taumaturgo e dal Concilio di Nicea; probabile per che egli
abbia interpretato questa prassi in senso pi pastorale. Basilio, infatti, non si limita a riportare la
norma della tradizione ma la illustra con un suo breve commento.
Per dare unidea dello spirito e della logica della penitenza orientale, occorre citare qualche
esempio tratto da alcuni di questi canoni. Lomicidio involontario punito con una penitenza di
undici anni e quello volontario con una pena di venti . Nella lettera 188 si parla di chi ha contratto
terze nozze: Noi abbiamo preso labitudine di allontanare coloro che hanno contratto terze nozze
per cinque anni, e questo non in obbedienza ai canoni, ma per accondiscendenza alla tradizione .
Ancora nella lettera 188 si esamina il caso di chi uccide il feto (can. 2). Dopo aver
argomentato sullequiparazione di questo delitto allomicidio, si conclude che la penitenza sia di
1
L. LIGIER, Introduzione alla liturgia del sacramento della penitenza in Oriente, Roma (pro
manuscripto) 1968, p. 60.
8 Ibidem, p. 61.
9 E. HERMANN, Il pi antico Penitenziale greco, Orientalia Christiana Periodica 19 (1952)
71-127.
10 Cf.: TEODORO STUDITA, Pene monastiche (J.-P. MIGNE (ed.), Patrologiae Series graeca, Vol.
99, col. 1733-1736).
11 L. LIGIER, Dimension personnelle et dimension communautaire de la pnitence en Orient,
La Maison-Dieu 90 (1967) 162s.
12 Pene monastiche, in: J.-P. MIGNE (ed.), Patrologiae Series graeca, Vol. 99, col. 17331758.
1 Lettera 188, can. 11 (Y. COURTONNE (d.), Saint Basile. Lettres, Tome 2, (= Collection des
Universits de France. Publie sous le patronage de l'Association Guillaume Bud), Socit
ddition Les Belles Lettres, Paris 1961, p. 130).
2 Lettera 217, can. 56 (Y. COURTONNE (d.), Saint Basile , Tome 2, p. 210).
3 Lettera 188, can. 4 (Y. COURTONNE (d.), Saint Basile , Tome 2, p. 125).
49
dieci anni. Subito dopo, per, si aggiunge: Non sul tempo, ma sullintensit del pentimento si
misura se unanima sanata . Nel can. 1, parlando del come vadano trattati gli Encratiti, Basilio
conclude: Se poi questa prassi fosse contraria al buon andamento generale, occorrer nuovamente
rifarsi alla consuetudine e seguire le disposizioni che ci hanno lasciato i Padri . Il caso pi
interessante sullapplicazione della tradizione dei Padri, anche di fronte alle difficolt poste dalla
norma, il caso del diverso trattamento tra uomo e donna nel caso di adulterio: La donna
accoglier il marito che ritorna dallaver commesso fornicazione; il marito, invece, scaccer dalla
propria casa la donna che si macchiata. La ragione di queste norme non facile a spiegarsi, ma la
consuetudine vuole cos .
Come abbiamo visto nellultimo caso, la forza della norma non sta n nella sua logica intrena,
n nel fatto che sia stata promulgata, bens nella tradizione che la sorregge. La tradizione, poi,
sempre da valutare e va accolta con discernimento. Basilio non conosce la rigidit giuridica della
norma; per lui lapplicazione della pena comporta sempre una grande saggezza pastorale.
E questa la grande differenza tra i canoni di Basilio e le norme canoniche che, negli stessi
anni, vengono emanate in Occidente.
Dobbiamo sottolineare che il vescovo, per poter assegnare la penitenza, deve conoscere quale
sia il peccato in questione. Lo pu conoscere in vari modi, o perch si tratta di un fatto notorio, di
cui tutti sono a conoscenza, oppure perch qualcuno gli ha comunicato il fatto, oppure perch il
peccatore stesso si recato dal vescovo e si confidato con lui. Non necessario che ci sia la
confessione del peccatore. Tuttavia una delle modalit della penitenza comporta una confessione,
come pubblica umiliazione e richiesta che gli altri fedeli preghino per il peccatore. E il caso di chi,
ad esempio, ha commesso un omicidio volontario; nei ventanni di penitenza, c il primo periodo
di quattro anni in cui il penitente dovr piangere, ritto fuori dalla porta della casa di preghiera,
confessando il proprio peccato e chiedendo ai fedeli che entrano di pregare per lui . La confessione
del peccato fa parte della penitenza ma, in ogni caso, non appartiene alla struttura essenziale del
rito. E solo un elemento delle opere penitenziali.
4
3.
A Costantinopoli durante gli episcopati di Nettario e di
Giovanni Crisostomo
Socrate, nella sua Storia della chiesa, ricorda un episodio accaduto sotto Nettario vescovo di
Costantinopoli (381-397) . Una nobildonna si rec presso il presbitero addetto alla penitenza e gli
confess dettagliatamente tutti i suoi peccati. Tra le colpe accusate cera anche una relazione illecita
con un diacono. A causa di questo fatto, il diacono venne escluso dal ministero e ci port grande
turbamento nella comunit. Il presbitero Eudaimone, originario di Alessandria, si present a
Nettario per suggerirgli una soluzione che avrebbe potuto evitare il ripetersi di tali deprecabili
incidenti per il futuro. Egli sugger di sopprimere la funzione del presbitero (incaricato) della
penitenza, permettendo a ciascuno di partecipare ai santi misteri secondo il giudizio della propria
coscienza . Effettivamente il patriarca Nettario ha soppresso la carica di penitenziere ufficiale e il
suo successore, Giovanni Crisostomo (398-407), non lha ripristinata; in ogni caso, questi non
affronta mai direttamente la questione della penitenza canonica, nelle sue omelie . Da questo
1
Lettera 188, can. 2 (Y. COURTONNE (d.), Saint Basile , Tome 2, p. 124).
Lettera 188, can. 1 (Y. COURTONNE (d.), Saint Basile , Tome 2, p. 123).
6 Lettera 199, can. 21 (Y. COURTONNE (d.), Saint Basile , Tome 2, p. 158).
7 Lettera 217, can. 56 (Y. COURTONNE (d.), Saint Basile , Tome 2, p. 210).
1 Cf.: F. VAN DE PAVERD, Possibilit di autoriconciliazione. Testimonianze dell'Oriente cristiano,
Concilium, 23 (1987/2) 306-316.
2 SOCRATE, Storia ecclesiastica, 5, 19 (J.-P. MIGNE (ed.), Patrologiae Series graeca, Vol. 67,
col. 617).
3 M. ARRANZ, La liturgie de lEuchologe slave du Sina, in: E. G. FARRUGIA - R. F. TAFT - G. K.
PIOVESANA (ed.), Christianity among the Slavs. The Heritage of Saint Cyril and Methodius,
Acts of the International Congress held on the Eleventh Centenary of the Death of St.
5
50
episodio sembra che la confessione dettagliata delle colpe sia unazione di devozione e che non sia
parte costitutiva del rito. Per Crisostomo, un peccatore che partecipi alla liturgia della chiesa senza
essere debitamente pentito, in una situazione ancora pi grave di un penitente che partecipa alla
liturgia senza aver ancora terminato il periodo penitenziale . Questo autore raccomanda spesso a
tutti di confessare i propri peccati, ma non necessario confessarli al ministro della penitenza;
sufficiente confessarli a Dio. Anzi, tra le varie incombenze del sacerdote, che Crisostomo elenca in
numero di diciassette, non compare mai lascolto della confessione dei peccati. In questo quadro
perfettamente comprensibile lepisodio accaduto sotto Nettario, di cui Giovanni Crisostomo
successore diretto.
4
4.
Teodoro di Mopsuestia
Nella XVI Omelia catechetica di Teodoro di Mopsuestia, ci sono molti dati sulla penitenza. E
un fatto ben conosciuto gi da quando Mingana fece ledizione di quelle omelie ; successivamente,
I. Oatiba ha fatto uno studio sulla dottrina di Teodoro sulla penitenza ecclesiastica . Egli
testimone degli usi della sua epoca, e li espone allinterno della sua dottrina escatologica. Una
dottrina che concepisce in modo molto particolare sia la redenzione che gli uomini conseguono in
questa vita, sia i riti liturgici che donano i beni della salvezza. Tutto questo non altro che
partecipazione dei beni futuri che saranno acquisiti solo con la risurrezione dei morti. Il battesimo,
ad esempio, la nascita alla vita nuova ma solo la prima nascita; la nascita vera e definitiva ci sar
solo con la risurrezione dai morti, ma perch questo avvenga, necessario che la vita morale del
cristiano abbia fatto crescere quei germi della risurrezione che il battesimo ha impiantato in ogni
persona . Il sacramento paragonato al concepimento e la risurrezione alla nascita. Tuttavia,
entrambi vengono chiamati nascita: la prima avviene con la liturgia battesimale, la seconda con la
risurrezione dei morti, ossia nellescatologia. In mezzo, tra le due, c la crescita, ossia la
formazione del prodotto del concepimento: senza questa maturazione non si possono avere i beni
promessi ossia la redenzione. Nel pensiero di Teodoro il sacramento da solo non mai sufficiente:
bisogna che intervenga quellimpegno cristiano, che proprio della vita vissuta.
Questo modo di impostare la questione lo troviamo anche nella concezione della penitenza.
Anzi, in questo settore, le opere penitenziali sono lelemento pi importante dato che, in
questepoca, listituto penitenziale non ha una ritualit molto sviluppata. In ogni caso, la redenzione
perfetta si avr solo con la risurrezione dai morti, quando luomo ricever i doni escatologici
dellimmortalit, impassibilit, incorruttibilit e immutabilit. Solo a questo punto egli sar salvo
dal peccato, perch ormai incapace di peccare.
Ci che viene prima, nella vita terrena, tipo, figura e immagine di questa realt futura, sia
ontologicamente sia come programma di vita: secondo il comando del Signore, il cristiano deve
modellarsi sulla vita immortale .
1
Methodius. Rome, October 8-10, 1985, under the direction of the Pontifical Oriental Institute,
(= Orientalia christiana analecta, 231), Pontificio Istituto Orientale, Roma 1988, p. 51.
4 Omelia 3, De Davide et Saule (J.-P. MIGNE (ed.), Patrologiae Series graeca, Vol. 54, col.
695s).
1 A. MINGANA (ed.), Commentary of Theodore of Mopsuestia on the Lord's Prayer and on the
Sacraments of Baptism and the Eucharist, (= Woodbroke Studies, 6), Cambridge 1933.
2 I. OATIBA, La doctrina de Teodoro de Mopsuestia sobre la penitencia eclesiastica, in: P.
GRANFIELD - J. A. JUNGMANN (Hrsg.), Kyriakon. Festschrift Johannes Quasten, Vol. 1, Verlag
Aschendorff, Mnster Westf. 1970, pp. 427-440.
3 E. MAZZA, Liturgie, eschatologie et vie chrtienne dans les Catchses de Thodore de
Mopsueste, in: A. M. TRIACCA - A. PISTOIA (ed.), Liturgie, thique et peuple de Dieu, (=
Confrences Saint Serge. XXXVIIe Semaine dtudes liturgiques, Bibliotheca Ephemerides
liturgicae. Subsidia, 59), Edizioni liturgiche CLV, Roma 1991, pp. 219-238. Si veda anche: I.
OATIBA, La vida cristiana, tipo de las realidades celestes. Un concepto bsico de la teologa
de Teodoro de Mopsuesta, Scriptorium victoriense, 1 (1954) 100-133.
51
Peccati irremissibili non ce ne sono per Teodoro, eccezion fatta per il peccato contro lo
Spirito, che non un genere di peccato, ma un atteggiamento interiore che consiste nel rigettare per
sempre la legge di Dio. Teodoro parla spesso dei peccati involontari che non sono da equiparare
ai peccati veniali delle odierne classificazioni.
La remissione delle colpe si ottiene anzitutto con la recitazione del Padre nostro, per porre
rimedio ai danni che quotidianamente fanno in noi le passioni . I pontefici hanno il compito di
amministrare la penitenza , nel senso che debbono dare le medicine necessarie perch il peccatore
possa guarire dal peccato. In questa prospettiva, il pontefice chiamato medico ed considerato
come un esperto che conosce i rimedi che Dio ha affidato alla sua chiesa e che egli deve usare
secondo la disciplina e la prudenza ecclesiastica . Teodoro, dunque, conosce le norme della chiesa
sui vari peccati e conosce anche le doti di moderazione, longanimit, pazienza e capacit pastorale
che il pontefice deve utilizzare nel correggere e reprimere . La prima misura che si prende verso il
peccatore la scomunica. Il pontefice deve, soprattutto, essere capace di dare consolazione dopo
che il peccatore ha accettato le decisioni della chiesa .
Il peccatore deve riconoscersi tale e deve recarsi con fiducia dal pontefice e manifestare il
proprio peccato . Certamente questa una confessione, ma non dobbiamo interpretarla come la
confessione della prassi occidentale dato che, nella descrizione di Teodoro, il peccatore va a
confidarsi dal medico per ricevere una penitenza che lo guarisca. In questa ottica si comprende
perch Teodoro insista tanto sulla conversione del cuore ; da qui nasce il giusto atteggiamento del
penitente che accetter la penitenza che il vescovo gli imporr .
Quando il peccatore ha terminato il tempo di penitenza assegnatogli e si emendato dalle sue
colpe , il pontefice lo riammette alla vita della chiesa. Questo atto consiste nel togliere la scomunica
in modo da poter accedere di nuovo alleucaristia. E lesecuzione della penitenza che provoca il
perdono dei peccati: (San Paolo) comand che egli (ossia il peccatore) tornasse alla sicurezza che
aveva precedentemente, dato che aveva ricevuto una correzione e si era emendato, e per mezzo di
una severa penitenza aveva ricevuto il perdono dei suoi peccati . E proprio la penitenza
correttamente eseguita ci che procura la remissione delle colpe: Per mezzo di questa correzione
ricevono il perdono delle loro colpe e si liberano della minaccia del castigo eterno per il mondo a
venire . Il perdono delle colpe riporta il penitente alla grazia battesimale che aveva
5
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52
precedentemente; il perdono dono dello Spirito santo che come il fuoco che distrugge le spine,
coprir sicuramente i nostri peccati .
Teodoro non ci d alcuna informazione, come riconosce anche Ignatio Oatiba, sugli aspetti
rituali della penitenza: non c alcuna notizia su di un eventuale rito liturgico che dia lassoluzione
dei peccati; quindi latto della chiesa che riammette il penitente alleucaristia, pu essere fatto in
qualsiasi modo; non necessario che sia una formula di perdono dei peccati.
Abbiamo appena detto che in Teodoro non ci sono informazioni sullaspetto rituale della
penitenza. Questo vero se intendiamo parlare di una eventuale liturgia della penitenza, ma non
pi vero se parliamo della liturgia in genere, dato che Teodoro commenta ampiamente la comunione
eucaristica come purificazione delluomo.
Allinizio delle omelie sul battesimo e sulleucaristia, c un Rituale o Ordo che norma la
liturgia di quelle chiese. Le omelie di Teodoro sono un commento alla liturgia di questo Rituale,
tenendo conto delle aggiunte e degli sviluppi sopravvenuti nel tempo. Il Rituale descrive leucaristia
della chiesa come tipo e partecipazione della liturgia celeste. Il modello delleucaristia la liturgia
angelica descritta dal Sanctus. Per questo Rituale, il Sanctus il culmine dellanafora ossia della
preghiera eucaristica. Quando Teodoro commenta il Rituale, cita ampiamente Is 6, 3ss., ossia la
visione di Isaia che, rapito nei cieli, contempla il Signore al centro della liturgia angelica. Di fronte
a tale visione, il profeta si sent perduto, perch uomo dalle labbra impure. Allora uno dei Serafini
vol verso di lui, tenendo con delle molle un carbone ardente che aveva preso dallaltare. Avvicin
il carbone ardente alle labbra di Isaia e lo purific facendo scomparire la sua iniquit ed espiando il
suo peccato.
Teodoro applica gli elementi di questa visione alla comunione eucaristica, cosicch il carbone
ardente il pane eucaristico e il Serafino il pontefice. Il Serafino non pu toccare con le mani
nude il carbone ardente: per non restarne ustionato egli deve utilizzare delle molle. Il pontefice
nella stessa situazione, eppure egli tocca con le mani leucaristia; lo pu fare perch egli ha ricevuto
lordinazione a pontefice e questa gli permette, come le molle del Serafino, di prendere leucaristia
e di porgerla al fedele. Dal contatto con leucaristia, il fedele viene purificato da ogni colpa e il suo
peccato viene espiato , fosse anche un grande delitto.
19
20
5.
Conclusione
Abbiamo dato qualche esempio di come venga intesa la penitenza in area orientale; si tratta
solo di sondaggi qua e l, non di una indagine completa, ma ci sufficiente per concordare con la
seguente conclusione di Miguel Arranz: Non sembra che sia esistita unassoluzione rituale (n i
Padri n i manuali apostolici ne fanno cenno), ma una volta compiuto sotto il controllo del clero
(anche dei diaconi) il tempo stabilito dalleconomo della penitenza (il vescovo), il penitente era
riammesso alla comunione .
Inoltre dobbiamo tener presente il quadro generale della situazione, descritto dal compianto
Georg Wagner, gi arcivescovo ortodosso di Parigi. Egli ha formulato lipotesi che la penitenza
canonica, alla fine del IV secolo, fosse in una situazione di crisi dovuta alle difficolt di
applicazione nelle grandi comunit urbane .
1
19
53
CAPO DECIMO
LA LITURGIA PENITENZIALE DEGLI EUCOLOGI BIZANTINI SECONDO M. ARRANZ
Da circa trentanni il gesuita Miguel Arranz studia sistematicamente gli eucologi bizantini,
trascrivendo i testi, descrivendone i manoscritti e, per quanto possibile, la storia. Il lavoro non
ancora completo e, di conseguenza, non c ancora una sintesi chiara dei riti contenuti in questi libri
liturgici. Nondimeno, si vede gi qual la linea tendenziale di sviluppo ed possibile trarre qualche
conclusione sulla liturgia della penitenza, se pure in abbozzo. Nei suoi articoli M. Arranz ha
raccolto un grande numero di preghiere della liturgia della penitenza praticamente tutto ci che
egli ha trovato nei manoscritti , non tanto per il grande valore intrinseco di questi testi, quanto per
mostrare il grado di libert creativa che esistito tra il padre spirituale e il penitente . Seguiremo
litinerario delle ricerche di Arranz.
Leucologio antico non conosceva alcuna acolouthia (ordo) per la penitenza, ma non
dobbiamo stupircene dato che, nella vasta area degli usi penitenziali, ci sono altri casi in cui manca
il rito. Mi riferisco alla riammissione degli eretici e dei rinnegati . Accanto a questi ci sono le
pratiche della vita monastica che in vari momenti ricorre alla penitenza, sia al momento
dellingresso nel monachesimo sia durante la giornata stessa. Inoltre non bisogna dimenticare che il
vespro ha un carattere specificamente penitenziale . Il carattere penitenziale attestato anche per
lorthros nel monachesimo studita e per la compieta .
3
1.
LEucologio antico: i principali testimoni
Intendiamo rifarci allEucologio antico o patriarcale, cos definito perch i suoi riti
supponevano la presenza del patriarca di Costantinopoli. I manoscritti vanno dal VIII al XIII secolo.
Da questi, poi, sarebbero stati copiati degli eucologi ad uso di un presbitero, ma in questo caso
mancano i riti patriarcali.
Appartengono al genere patriarcale i seguenti eucologi manoscritti completi: cod. Barberini
gr. 336 , del VIII secolo; eucologio di Porfirio Uspensky, cod. Leningrado gr. 226 , del X secolo;
cod. Sevastianov gr. 474 (ora gr. 270) , del X o XI secolo; cod. Sinaitico slavo 959, del XI secolo;
eucologio di Strategios, cod. Coisilin gr. 213 , del 1027; eucologio di Bessarione, cod. Grottaferrata
1
54
gr. G. b. 1, della fine del XI o del XII secolo; cod. Atene gr. 662 , che ha delle particolarit (assenza
dellufficio asmatikos) che lo collocano dopo il 1204 (caduta di Costantinopoli), mentre altri riti
(unzione imperiale) lo collocano prima del 1208, ma contiene anche dei riti (ufficio monastico) che
hanno origine con la restaurazione dellufficiatura bizantina a Costantinopoli nel 1261 .
Il codice Bessarione leucologio patriarcale tipo . Non possiamo dire che questo libro
liturgico sia stato adoperato dal patriarca in persona ma si pu ritenere che sia stato copiato da un
vero eucologio patriarcale che a noi non pervenuto. Qui si pone una questione capitale, ossia se
sia mai esistito leucologio patriarcale in quanto tale. Arranz dice che tutto lascia pensare che non
sia mai esistito un codice di tale fatta; invece sarebbero esistiti tanti libretti o meglio rotoli, o
kontakia, di cui parla anche il codice di Strategios, per ogni ufficiatura che il patriarca celebrava.
Dopo aver dato ampia documentazione in merito, Arranz prosegue dicendo che gli eucologi che
sono in nostro possesso, sarebbero solo delle raccolte, pi o meno private, ad uso dei chierici di
secondo piano, che avevano bisogno di avere tutte le ufficiature a portata di mano. Questi eucologi,
dunque, sarebbero una sorta di vade mecum , anche se di altissimo livello. Ciascuno dei tre eucologi
pi significativi (Bessarione, Strategios, Atene gr. 662) ha raccolto nei suoi fogli tutto ci che il suo
proprietario, o lo scriba, ha voluto selezionare dai kontakia, e lo ha messo nellordine che riteneva
migliore, lasciando da parte tutto ci che non serviva al suo interesse .
Dopo aver precisato la natura e il valore documentario degli eucologi in nostro possesso,
passiamo alla loro testimonianza sulla penitenza.
5
2.
La penitenza negli eucologi della Grande Chiesa
Come ho gi detto, lantico eucologio costantinopolitano non aveva alcuna akolouthia o
ufficio della confessione : non aveva che due sole preghiere propriamente penitenziali. Una per
coloro che sono in penitenza (tw=n metanoou/ntwn), che iniziava con unallusione al
perdono accordato ai re Davide e Manasse ; unaltra per coloro che si confessano (tw=n
e)xomologoume/nwn), fondata sul valore penitenziale delle lacrime di Pietro e della
peccatrice .
La prima appartiene al tipo K1, secondo la catalogazione di Arranz ; queste preghiere
appartengono a unepoca in cui era ancora in vigore lantica penitenza dei Padri , ossia la cosiddetta
penitenza pubblica. In questa preghiera si commemora il perdono dato ai re Davide e Manasse,
1
55
mettendo in evidenza il valore della preghiera di chi si pente; qui si fa appello alla filantropia divina
e alla frase evangelica sul perdono che va dato settanta volte sette. Tuttavia qui non c alcuna
assoluzione, ma solo la richiesta di perdono per il penitente. Nellattuale eucologio greco questa
preghiera viene detta prima della confessione.
La seconda preghiera, di cui riportiamo lunico testo costantinopolitano (sec. VIII) , secondo
la classificazione di Arranz, appartiene al tipo K2 ed presente in quasi tutti i manoscritti. Questo
tipo di preghiere, sono per chi confessa i propri peccati e serve a introdurre il penitente nel periodo
di penitenza e di akoinonia. Propriamente parlando non sono preghiere di assoluzione, tuttavia, ad
opera di queste preghiere, il penitente deve sentirsi perdonato da Dio fin dallinizio della penitenza,
anche se la strada per raggiungere la piena guarigione e la piena comunione ancora lunga e
impegnativa . Secondo questa preghiera, il ruolo del ministro consiste nel chiedere che Dio accetti
quellatto di penitenza che la confessione. Lanamnesi di questa preghiera commemora il valore
penitenziale delle lacrime di Pietro e della peccatrice. Inoltre, dopo aver ricordato la giustificazione
del pubblicano che aveva riconosciuto le proprie colpe, il testo chiede a Dio di voler accettare la
confessione del peccatore. Quindi, si tratta di una preghiera per laccettazione della confessione. In
questa preghiera compare un elemento importante: le colpe vengono dette volontarie o
involontarie, con una espressione che appartiene alla confessione giudaica del Kippur e che viene
recepita in modo pi completo nelle preghiere K3 (secondo la classificazione di Arranz). Il verbo
usato per chiedere il perdono dei peccati sugxw/rhson, che sembra possedere il senso forte di
perdono totale e definitivo, ma assente nei manoscritti pi antichi che, al suo posto, hanno pa/
ride (parorw= = ignorare, non guardare) . Non c alcuna rubrica che dica quando doveva
essere detta questa preghiera; per il suo contenuto avrebbe potuto essere collocata sia prima sia
dopo la confessione. Pur non trattandosi di una preghiera assolutoria, si chiede il perdono divino per
il peccatore che viene introdotto in un lungo cammino di penitenza caratterizzato dalla akoinonia .
Da questo testo, che chiede laccettazione della confessione, si ricava che la confessione era
ben praticata anche se gli eucologi non avevano un rito della penitenza; in altri termini, ne
conoscevano luso che, per, non era ritualizzato.
Dobbiamo ricordare che non c il Rito della penitenza n nel codice Coisilin 213, del 1027,
n in Atene 662, del XIII secolo. Questa testimonianza particolarmente importante perch Coisilin
pretende di essere un codice completo, e Atene rappresenta lo sforzo monastico di ripristinare la
prassi della Grande Chiesa dopo la parentesi del regno latino di Costantinopoli. I monaci hanno
introdotto degli adattamenti in questo eucologio, come ladattamento monastico per le Lodi e i
Vespri , ma non hanno fatto nulla per la confessione . Questo fatto significa che negli usi
7
10
11
12
56
penitenziali, le cose andavano bene cos, ossia che bastavano le due preghiere suddette, che sono al
di fuori di ogni contesto di celebrazione rituale e che non hanno le caratteristiche di una preghiera
assolutoria .
Da tutto questo possiamo ricavare che, per comprendere la prassi penitenziale bizantina, non
sufficiente rifarsi allantico eucologio costantinopolitano; bisogna rifarsi anche ai testi successivi
che hanno largamente sviluppato questa tradizione. Infatti, le due preghiere suddette sono
testimoniate anche da tutti gli eucologi anteriori ai secoli XII-XIII di origine non costantinopolitana
ma orientale .
13
14
59 (1993) 385.
13 M. ARRANZ, Les prires pnitentilles de la tradition byzantine, 57 (1991) 90.
14 Ibidem.
57
CAPO UNDECIMO
LA PENITENZA DI TIPO MONASTICO
1.
Il Kanonarion
La tradizione penitenziale monastica si sviluppata attorno a figure carismatiche di monaci,
che non erano certo presbiteri, e che erano qualificati come padri spirituali. Il padre spirituale
prendeva su di s le colpe del penitente e lo guidava con il consiglio e con grandi opere penitenziali.
Questo personaggio non si chiama confessore, ma dexo/menoj, a)nadexo/menoj,
a)na/doxoj, ossia colui che riceve la confessione. Le penitenze sono molto ridotte rispetto ai
canoni di Basilio, dato che la tradizione attribuisce al patriarca Giovanni il Digiunatore (VI secolo)
una forte riduzione delle pene.
Il Kanonarion un libro penitenziale che contiene sia le pene per i vari peccati, sia i consigli
per il confessore, sia il rito della penitenza: dobbiamo notare che qui prevale laspetto carismatico e
che gli aspetti rituali della penitenza sono molto ridotti . Luso monastico della confessione
regolato dal Protokanonarion e dal Deuterokanonarion . Il Protokanonarion stato composto al pi
presto verso la fine dellottavo secolo e al pi tardi verso la met del decimo secolo dato che la
versione georgiana stata fatta da santEutimio (1028) e dato che, alla fine del decimo secolo, il
Kanonarion gi attribuito al patriarca Giovanni il Digiunatore, mentre lattribuzione a Giovanni
diacono e monaco deve essere considerata anteriore . M. Arranz segue E. Herman e colloca il
Protokanonarion nel IX e il Deuterokanonarion nel XII secolo . Il titolo indica la paternit di queste
due opere: Giovanni, monaco e diacono, discepolo di san Basilio, figlio dellobbedienza. Altri
codici attribuiscono questi penitenziali a Giovanni il Digiunatore, patriarca costantinopolitano nella
seconda met del VI secolo, ma entrambi i nomi non sono accettabili perch questi Kanonaria
contengono elementi posteriori; possibile che questa attribuzione abbia origine dal ruolo di questo
patriarca nel diminuire le pene, tuttavia egli non ha lasciato nulla di scritto e dunque si pu
procedere solo per ipotesi . Se teniamo conto dei Kanonaria, possiamo ritenere che la penitenza,
fino al sec. XIII, fosse ancora quella dellepoca patristica, retta dalle norme canoniche contenute
nelle lettere di Basilio Magno ad Anfilochio. I peccati maggiori, elencati con precisione, vengono
sanzionati da una pena pi o meno pesante, ma sempre sottoposta al principio che la conversione di
1
58
un uomo non pu essere misurata dagli anni di digiuno. Ricordiamo che per Basilio, la funzione
della pena era essenzialmente medicinale e deve essere valutata in ordine al suo scopo, ossia la
conversione del cuore. La persistenza di questo principio, cos diverso dal contemporaneo uso
occidentale della penitenza tariffata, regge tutto il sistema delle pene in Oriente.
In questa luce interessante notare che il trattato sulla confessione di Teodoro Studita (759826) seguito da 27 canoni, che elencano i peccati, e da due serie di epitmie o penitenze (in numero
di 165 e di 65) ; il trattato non fa riferimento ad alcun tipo di assoluzione. In questa logica si deve
ritenere che la funzione dellepitimia sia di rimettere il penitente in grado di partecipare alla
comunione eucaristica. Arranz dice che la confessione monastica molto semplice e non comporta
preghiere di assoluzione. Prima c linterrogazione del penitente e poi c lindicazione della
penitenza. Oltre allakoinonia (scomunica) c un digiuno tre volte la settimana e alcune preghiere
tre volte al giorno . Nel tempo, per, nata la struttura rituale della penitenza monastica, cos come
attestata dal Protokanonarion.
6
2.
Il rito del Protokanonarion
Questo rito monastico molto semplice. Probabilmente il monaco che riceveva la confessione
non era sacerdote; si consideri, infatti, il caso dellautore del Protokanonarion che parla della sua
grande esperienza di confessore ma non sacerdote, dato che si professa monaco e diacono . Il rito
si svolge davanti allaltare ed ha come protagonisti il confessore e il penitente; non c la comunit.
La liturgia sobria: c un salmo prima della confessione e una preghiera dopo. In questa si prega
Dio di voler perdonare il penitente. Ecco il testo del X secolo, appartenente al Protokanonarion, che
Arranz cataloga come K4:2: Dio che per noi si fatto uomo portando i peccati di tutto il mondo,
lui stesso per tutta la sua benigna bont, accoglie, o fratello, tutte queste cose, quante adesso hai
rivelato in sua presenza alla mia indegnit, perdonandoti tutto nel secolo presente e nel secolo
futuro, colui che desidera e dispensa la salvezza di tutti. Benedetto JHWH (o( w(\n) nei secoli.
Amen .
Dopo aver esaminato la struttura di questi riti, A. Raes conclude che, malgrado le differenze
dei vari manoscritti, il rito monastico sempre lo stesso e pu essere descritto in base ai seguenti
elementi costitutivi : a) Dopo un invito a riconoscersi colpevole di tutti i peccati grandi e piccoli, c
la recitazione del salmo 69, piuttosto corto; b) Trishagion, seguito da alcune metanie (prostrazioni);
c) Confessione, sulla base di interrogazioni prefissate; d) Preghiera; e) Imposizione della penitenza .
Inoltre ci sono altre caratteristiche: nel rito si sta seduti, durante la confessione e le ammonizioni del
monaco; in altri momenti, come durante la preghiera, il penitente sta prostrato e in altri sta in piedi.
C anche un rito molto importante: il monaco chiede al penitente di porre la mano sul suo collo. In
tal modo il monaco prende su di s i peccati del penitente , proprio come se fosse dico io il
1
M. Arranz ritiene che si debba dubitare che questi canoni siano di Teodoro stesso (M.
ARRANZ, Penitenza bizantina, Pro manuscripto, Edizioni Pontificio Istituto Orientale, Roma
1999, p. 2).
7 M. ARRANZ, I penitenziali bizantini, p. 18.
1 M. ARRANZ, Les formulaires de confession , 59 (1993) 64.
2 La confessione poteva essere gi stata fatta, precedentemente, anche fuori dalla chiesa, ed
era ricevuta da un monaco.
3 M. ARRANZ, Les prires pnitentilles de la tradition byzantine, 58 (1992) 26 (Questa
traduzione improntata alla traduzione italiana di M. ARRANZ, Penitenza bizantina, p. 99).
4 A. RAES, Les formulaires grecs du rite de la pnitence, in: Mlanges en lhonneur de
Monseigneur Michel Andrieu, Publi avec le concours du Centre National de la Recherche
Scientifique, (= Revue des Sciences religieuses, Volume hors srie), Palais Universitaire,
Strasbourg 1956, p. 369.
5 A. RAES, Les formulaires grecs du rite de la pnitence, p. 371.
6 E allora (il confessore) rialza (il penitente) e labbraccia con affetto e lo esorta a stare di
buon animo, e, se possibile, pone la sua (del penitente) mano sul suo (del confessore) collo,
59
capro espiatorio della liturgia del Kippur. Questo gesto ha luogo subito dopo la preghiera K2 che ha
una conclusione che, secondo Arranz, merita di essere sottolineata. Qui c un riferimento alla
teologia del Nome divino pronunciato come garanzia di una sentenza favorevole al giudizio finale.
Il tetragramma ebraico JHWH tradotto dal greco o( w(\n, come se si volesse evocare il valore
assolutorio del Nome divino proclamato alla fine della liturgia giudaica del giorno del Kippur .
7
dicendo: Da adesso, o fratello, tutte queste cose siano su di me (M. ARRANZ, Les
formulaires de confession , 59 (1993) 67).
7 Dio che per noi si fatto uomo portando i peccati di tutto il mondo, lui stesso per tutta la
sua benigna bont, accoglie, o fratello, tutte queste cose, quante adesso hai rivelato in sua
presenza alla mia indegnit, perdonandoti tutto nel secolo presente e nel secolo futuro, colui
che desidera e dispensa la salvezza di tutti. Benedetto JHWH ( o( w(\n) nei secoli. Amen.
Questa preghiera era la sola formula che veniva recitata, dopo la confessione, nel primitivo
Kanonarion monastico.
8 M. ARRANZ, Les prires pnitentilles de la tradition byzantine, 58 (1992) 24-25; cf. M.
ARRANZ, Une traduction du Ttragramme divin dans quelques textes liturgiques slaves, in:
Homo imago et amicus Dei. Miscellanea in honorem Ioannis Golub, Roma 1991, pp. 497-504.
60
CAPO DODICESIMO
I RITI PENITENZIALI NEGLI EUCOLOGI ITALO GRECI
1.
Eucologi periferici
I riti penitenziali, assenti negli eucologi della grande Chiesa, sono invece presenti negli
eucologi periferici, ossia negli eucologi italo greci. LItalia meridionale stata di liturgia bizantina
dal VI al XI secolo e quindi i suoi codici sono a buon diritto espressione autentica di questa liturgia,
non un sottoprodotto, ibrido, formatosi per gli influssi latini. Giustamente Arranz mette in guardia
da questa interpretazione, sottolineando che anche dopo il XII secolo i rapporti con lOriente furono
molto forti grazie al monachesimo studita, detto anche basiliano, e alla continua emigrazione di
chierici e monaci orientali verso lOccidente . Gi nel secolo X questi eucologi hanno un rito
semplice per la confessione. Leucologio del monastero di San Salvatore di Messina (1131) ,
dipendente dalla prassi studita di Costantinopoli, mostra gi degli sviluppi nella linea di una
catechesi penitenziale, ma sono sviluppi moderati . E possibile che questa evoluzione sia dovuta
alla comparsa e alla diffusione della confessione monastica; si noti che leucologio di Messina
possiede sia un rito presbiterale sia un rito monastico.
Nella confessione presbiterale si tratta di un vero e proprio rito liturgico composto da salmi e
diverse preghiere; per alcune di queste ci sono formulari ad libitum, nel senso che si pu scegliere
allinterno di una rosa di testi.
1
2.
Le preghiere principali
Ci sono preghiere K1 e K2, che gi conosciamo, alle quali si aggiungono preghiere di tipo
K3 . Si tratta di preghiere deprecative che chiedono il perdono generale dei peccati e che vengono
dette alla fine della penitenza, come riconoscimento che questa terminata. E la cosiddetta
seconda assoluzione. Vale la pena trascrivere il testo di una di queste preghiere K3, un testo molto
popolare, non costantinopolitano, del X secolo:
Signore Ges Cristo, Figlio de Dio vivente, agnello e pastore, che porti (o( ai)/rwn) il
peccato del mondo , che ai due debitori hai condonato il loro debito, e che hai dato alla peccatrice la
remissione dei peccati (a)/fesin tw=n a(martiw=n): tu stesso, o Sovrano, sciogli , togli,
perdona (a)/nej, a)/fej, sugxw/rhson) le trasgressioni, i peccati, gli sbagli, quelli volontari e
1
61
quelli involontari (ta\ e(kou/sia kai\ ta\ a)kou/sia), quelli commessi con consapevolezza e
quelli senza consapevolezza (ei)/te e)n gnw/sei ei)/te e)n a)gnoi/#), per trasgressione e
per disobbedienza da questi tuoi servi, e se, come uomini portatori di carne e abitanti in questo
mondo, hanno deviato a causa del diavolo, e hanno trasgredito sia nella parola sia nellazione, sia
coscientemente sia inconsapevolmente (ei)/te e)n gnw/sei ei)/te e)n a)gnoi/#), sia che
essi abbiano disprezzato la parola del sacerdote, sia che essi siano incorsi in una maledizione, sia
che essi siano caduti sul loro anatema o giuramento, tu stesso che sei un Sovrano buono e
filantropo, capace di dimenticare, nella tua grande misericordia, gradisci che questi siano liberati
dalla (tua) parola (lo/gw luqh=nai) perdonandoli dal loro anatema e giuramento, secondo la tua
grande e ineffabile piet. S, Sovrano filantropo, Signore nostro Dio, ascoltami, io che supplico la
tua bont per questi tuoi servi, ed essendo pieno di misericordia, ignora (pa/ride w(j
polue/leoj) tutte le loro colpe (ptai/smata) liberandoli dal castigo eterno, perch tu, o Sovrano,
hai detto: Tutto ci che legherete sulla terra sar legato nei cieli, e tutto ci che scioglierete sulla
terra sar sciolto nei cieli. Perch tu sei un Dio senza peccato e tu hai il potere di rimettere i peccati
e a te la gloria, con il tuo Padre imprincipiato, e il tuo tutto santo, buono e vivificante Spirito, ora
e sempre nei secoli .
Nellantico eucologio questa preghiera assente, ma presente nei manoscritti periferici; essa
pu assumere varie posizioni: pu essere sia una preghiera prima della confessione, come negli
eucologi a stampa, sia una preghiera dopo che stata eseguita la penitenza, come ammissione alla
comunione. Dire che queste preghiere hanno la funzione di riammettere alla comunione che, spesso,
viene menzionata nel testo, non significa dire che si tratti di una assoluzione delle colpe: in
Occidente, oggi, lequivalenza esisterebbe, ma non nei riti dellOriente che stiamo esaminando, dato
che qui la riammissione del peccatore alla comunione non si identifica con il conferimento del
perdono di Dio ad opera del sacerdote. Questi invece di dare al peccatore il perdono delle colpe,
supplica Dio che lo voglia perdonare. Tuttavia il primo dato non prescinde dal secondo; meglio
sarebbe dire che i due dati si richiamano a vicenda, pur restando adeguatamente distinti.
Nel caso della preghiera K3:1, si tratta di un penitente che ha terminato il periodo di penitenza
e desidera che se ne prenda atto per poter essere reintegrato nella comunione. Probabilmente non si
tratta pi dellantica penitenza pubblica che, come tale, non aveva bisogno di alcun atto specifico
per essere dichiarata conclusa . Dato che la penitenza privata e non c alcun controllo della
comunit, ci vuole un nuovo incontro con il confessore, monaco o sacerdote, che verifichi se il
penitente merita la comunione: infatti, le preghiere K3 sono soprattutto in vista dellammissione
alla comunione; per questo motivo che, se noi volessimo usare il linguaggio dellassoluzione,
potremmo parlare di seconda assoluzione. Infine, come ultimo rilievo, dobbiamo ricordare che c
un secondo tipo di queste preghiere, che prescinde dalla esecuzione della penitenza. In tal caso la
preghiera viene detta alla fine della confessione per riammettere il penitente alla comunione; se non
c il periodo penitenziale vuol dire che si tratta di un peccatore che non ha commesso grandi colpe.
Il sistema della seconda assoluzione esplicitamente testimoniato dalleucologio slavo del
Sinai . Alla fine della penitenza, il penitente ha bisogno di unassoluzione dal legame contratto con
la penitenza, per il tramite del sacerdote. Arranz riporta la preghiera di un codice del XV secolo:
Preghiera di assoluzione alla fine della penitenza (Eu)xh\ ei)j to\ lu=sai
e)comologou/menon meta\ to\ plhrw=sai to\n xro/non e)pitimi/ou au)tou=) .
4
Ci sono manoscritti che aggiungono laggettivo tua (cf.: M. ARRANZ, Les prires
pnitentilles de la tradition byzantine, 57 (1991) 107, nota 28).
5 M. ARRANZ, Les prires pnitentilles de la tradition byzantine, 57 (1991) 105-109.
6 Forse per questo che non ci sono preghiere di questa classe negli eucologi, mentre sono
reperibili nei kanonaria (M. ARRANZ, Les prires pnitentilles de la tradition byzantine, 58
(1992) 80).
7 M. ARRANZ, Les prires pnitentilles de la tradition byzantine, 57 (1991) 309.
8 M. ARRANZ, Les prires pnitentilles de la tradition byzantine, 57 (1991) 316; il testo
della preghiera a pag. 315.
62
Questa preghiera non si trova negli antichi manoscritti greci e compare per la prima volta
nellEucologio slavo del Sinai.
Passiamo a un esame pi serrato di queste preghiere K3. Il settore pi antico testimonia che
esse erano collocate al termine del lungo periodo penitenziale. Spesso questi testi fanno ricorso alle
frasi neotestamentarie sul cosiddetto potere delle chiavi come Mt 16, 19 (Tutto ci che scioglierai
sulla terra sar sciolto nei cieli) o Gv 20, 22-23 (Ricevete lo Spirito Santo; a chi rimetterete i
peccati saranno rimessi e a chi non li rimetterete, resteranno non rimessi). I peccati sono spesso
definiti per il binomio volontari e involontari, come nelle preghiere della classe K2. Ma c di pi:
c un testo che merita una trattazione a parte a causa della sua costante presenza nei vari
manoscritti. E la preghiera Signore Ges Cristo, figlio del Dio vivente, agnello e pastore..., che
Arranz cataloga come K3:1 e che abbiamo riportato supra. La preghiera non indirizzata al Padre,
come potremmo aspettarci, bens a Cristo agnello e pastore. Arranz ritiene che sia un testo molto
antico dato che lo si trova nei rituali italici (X e XI secolo) sia dopo la confessione, sia prima;
nelleucologio di Goar questa preghiera collocata prima della confessione, collocazione
conservata negli odierni eucologi a stampa di Atene e di Roma . Questa preghiera, la pi diffusa
della sua categoria, contiene per intero la formula di confessione ereditata dal Kippur: Tu stesso,
Sovrano, sciogli, togli, perdona le trasgressioni, i peccati, gli sbagli, quelli volontari e quelli
involontari, quelli commessi con consapevolezza e quelli senza consapevolezza, per trasgressione e
per disobbedienza da questi tuoi servi . M. Arranz sottolinea che i primi due verbi (a)/nej,
a)/fej) si trovano nella Tephillah, la preghiera delle Diciotto benedizioni che viene recitata ogni
giorno. I tre verbi assieme (a)/nej, a)/fej, sugxw/rhson), invece, si trovano solo nella liturgia
del giorno del Kippur, nella seconda parte della preghiera di confessione dei peccati o Viddui. La
mentalit generale della preghiera che stiamo esaminando (Signore Ges Cristo, figlio del Dio
vivente, agnello e pastore...), assomiglia molto alla confessione giudaica Viddui a causa di questo
desiderio di enumerare i vari generi di peccati: volontari involontari, consapevolmente
inconsapevolmente . Una traccia precisa della liturgia del Kiddush si trova anche in altri testi,
catalogati da Arranz come k3, che parlano di peccato volontario o involontario (a(ma/rthma
e(kou/sio/n te kai\ a)kou/sion).
A giudizio di Miguel Arranz, il fatto che queste espressioni si trovino in rituali del X secolo,
suggerisce una data di composizione molto alta, ma fuori Costantinopoli, probabilmente in territorio
orientale . Egli suggerisce unorigine alessandrina di ambiente monastico, come alcuni dei
manoscritti in cui essa presente .
Da ultimo dobbiamo considerare lesistenza dei formulari appartenenti alla classe K4, di cui
abbiamo gi visto, supra, un testo nella sua forma completa a proposito del Protokanonarion. I testi
sono molto corti: Che Dio ti perdoni (sugxwrh/s$) tutto ci che davanti a Lui tu hai manifestato
alla mia nullit . Questa preghiera non interferisce con le altre e viene detta quando il penitente
enuncia i suoi peccati. In alcuni Rituali viene detta ad ogni peccato, mentre in altri solo alla fine di
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ta\ plhmmelh/mata, ta\ e(kou/sia kai\ ta\ a)kou/sia, ta\ e)n gnw/sei kai\ ta\ e)n
agnoi/#, kai\ ta\ e)n paraba/sei, kai\ e)n parako$= geno/mena para\ tw=n
dou/lwn sou tou/twn (M. ARRANZ, Les prires pnitentilles de la tradition byzantine,
57 (1991) 105).
13 M. ARRANZ, Les prires pnitentilles de la tradition byzantine, 57 (1991) 106s.
14 M. ARRANZ, Les prires pnitentilles de la tradition byzantine, 57 (1991) 104, nota 1.
15 Ibidem, p. 106.
16 M. ARRANZ, Les prires pnitentilles de la tradition byzantine, 58 (1992) 27-29.
63
tutta lenumerazione. Come ben si vede esiste una grande libert nella redazione dei formulari per la
penitenza. Le preghiere catalogate come K4, che per la maggioranza dei casi suppongono un
monaco , usano la forma verbale del congiuntivo aoristo sugxwrh/s$ ma si pu trovare anche
lottativo aoristo sugxwrh/sai. In alcuni casi, alla fine di queste preghiere, come dossologia, c
una sorta di hatimah, ove, come abbiamo visto supra, il tetragramma JHWH tradotto in greco con
lespressione o( w(\n. Abbiamo visto che Arranz trova che questo elemento sia evocativo della
benedizione del Kippur, quando il Nome divino veniva posto sugli Israeliti, come garanzia del
perdono dei peccati .
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18
3.
Una formula giuridica di assoluzione?
Lo sviluppo della penitenza bizantina non si ferma qui. Ci sono anche altre preghiere, che M.
Arranz cataloga con la sigla K5, che contengono lintervento del ministro che dice in prima
persona: Io ti perdono oppure Io ti assolvo. La maggior parte dei manoscritti che riportano
queste formule sembrano provenire dallItalia meridionale. Non si pu sostenere che esse derivino
dalla liturgia latina, tuttavia la vicinanza tra alcuni di questi testi e il formulario del Rituale
romanum lascia aperta lipotesi di un influsso della liturgia romana sulluso bizantino . Nondimeno
queste formule non possono essere definite semplicemente come formule giuridiche dato che sono
sempre congiunte con formule di preghiera che supplicano Dio affinch conceda il perdono al
penitente, e non godono di alcuna autonomia rispetto a queste.
1
4.
Lodierno rito bizantino della penitenza
Nello sviluppo del rito della penitenza, nei rituali a stampa, ha avuto un grande peso lopera
del domenicano Jacques Goar che, nel XVII secolo, ha edito il suo eucologio . Egli intese reagire
contro chi accusava i Greci di non avere il sacramento della penitenza ; per darne la dimostrazione
egli riporta, come in appendice , un rito della penitenza che egli ha trovato in un antiquissimo
Euchologio Barberino . Si tratta del Barberini greco 306, un codice italo-greco molto tardo, del
XVI secolo , che Goar erroneamente ritenne molto pi antico. Tuttavia Alphonse Raes attesta che si
pu risalire pi indietro del XVI secolo, fino al XIII secolo, con il Sinaitico greco 966 , anchesso
dellItalia meridionale .
Si tratta di un rito misto, presbiterale e monastico. Il rito che riporta Goar non appartiene alla
tradizione delleucologio patriarcale di Costantinopoli, ma a quella degli eucologi periferici, primo
dei quali leucologio slavo del Sinai. In questa tradizione troviamo limportante preghiera
penitenziale Signore Ges Cristo, Figlio del Dio vivente, agnello e pastore, che M. Arranz
cataloga col la sigla K3:1 . Si tratta di una preghiera che si trova in rituali italo-greci ; in certi testi
collocata dopo la confessione, per introdurre alla comunione, e in altri prima della confessione, in
1
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64
una posizione che viene conservata nelleucologio di J. Goar. Questi vuole mostrare non solo che
nella chiesa greca c la liturgia della penitenza, come nella chiesa romana ma anche che, in quella
preghiera (K3:1), ci sono tutti gli elementi costitutivi di questo sacramento. Di fronte alla manifesta
assenza della formula di assoluzione, egli cerca di trovare qualcosa di equivalente, l dove si
manifesta lintenzione di conferire lassoluzione. Tutto questo egli lo trova nella preghiera Signore
Ges Cristo, Figlio del Dio vivente, agnello e pastore. Egli afferma che il sacerdote che dice
sciogli, togli, perdona (a)/nej, a)/fej, sugxw/rhson), sottintende attraverso di me, ossia
sottintende laffermazione del ruolo del ministro nel sacramento; lo stesso discorso viene ripetuto,
subito dopo, quando dice: gradisci che questi siano liberati dalla parola. Perch il sacerdote
sottintende: dalla mia (del sacerdote) parola . Per Goar, dunque, i Graeci conoscono una
formula di assoluzione di tipo deprecativo nella quale sono espressi anche il ruolo del ministro e la
sua intenzione di assolvere. Goar ha ragione a sottolineare del ruolo del ministro, che cos
importante secondo la teologia sacramentaria della sua epoca. Tuttavia, mi difficile vedere
descritto il ruolo sacramentale del ministro, in una frase che ancora quella della liturgia giudaica:
infatti, il testo di questa preghiera, in quanto tale, solo una domanda di perdono e una confessione
delle colpe, importate dalla liturgia giudaica del Kippur.
La struttura del rito di Goar la seguente :
Preghiera Signore Ges Cristo, Figlio del Dio vivente, agnello e pastore (K3:1) ;
Preghiera O Dio nostro salvatore (K1:1a) ;
Esortazione;
Questionario;
Esortazione;
Preghiera Dio che ha perdonato (K4:3) ;
Preghiera Signore, Dio nostro (K2:1) .
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Come si vede nello schema predisposto da M. Arranz , il rito di Goar stato recepito nello
Eu)xolo/gion to/ me/ga, sia dalledizione ortodossa di Zerbos ( 2 ed. a Venezia nel 1862 e poi
ad Atene nel 1970), sia nelledizione cattolica di Roma (1873), sia nelledizione ortodossa di
Papadopoulos, ad Atene nel 1927 (edizione critica). Possiamo, dunque, concludere che il rito
penitenziale dellodierno eucologio a stampa, ha la sua origine nella preoccupazione apologetica
delleucologio del domenicano J. Goar.
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65
CAPO TREDICESIMO
CONCLUSIONI
1.
Conclusione sulla penitenza orientale
1) Le grandi collezioni canoniche e liturgiche dellantico oriente, come la Tradizione
apostolica, il Testamentum Domini, la Didascalia degli apostoli e le Costituzioni apostoliche, non
contengono alcun rituale della penitenza. Si deve dire la stessa cosa della testimonianza dei grandi
Padri che hanno trattato della penitenza, come Basilio, Gregorio di Nissa, Giovanni Crisostomo e
Teodoro di Mopsuestia. E interessante notare che questultimo conosce come rito penitenziale la
comunione eucaristica sulla base dellinterpretazione tipologica di Is 6: come le labbra di Isaia
furono purificate dal carbone ardente, cos leucaristia purifica il fedele dai suoi peccati.
2) A giudicare dallinsieme dei riti contenuti nellantico eucologio costantinopolitano, il
sacramento della penitenza non sembra essere stato molto praticato, almeno nelle chiese che usano
di tale libro liturgico, ossia delle chiese non monastiche. Leucologio antico, infatti, non aveva
lacolouthia per la penitenza; solo due preghiere, mescolate ad altre a carattere penitenziale ,
sembrano assomigliare a ci che oggi chiameremmo sacramento della penitenza.
3) Sappiamo che, a fianco delle preghiere degli eucologi sono esistite delle acolouthiai,
contenute nei libri penitenziali . Seguendo le osservazioni di A. Raes possiamo dire che questi riti
caratterizzavano pi i grandi momenti della vita, come la conversione per lingresso nel
monachesimo, che la prassi quotidiana. La penitenza monastica, con il rituale studiato da Alfonse
Raes, anchessa un fatto eccezionale . Inoltre, con un rituale cos complesso e impegnativo, ci si
deve chiedere quante confessioni avrebbe potuto ricevere il monaco depositario di questo ministero
carismatico.
4) Lesame della liturgia della penitenza in area bizantina ha fatto vedere che la natura di
questo sacramento non sta nei suoi elementi rituali.
5) Gli elementi rituali, con il passar del tempo, si arricchiscono sempre pi, sia nellambito
della gestualit sia nellambito delleucologia. Inoltre ci sono letture bibliche, c il Trishagion e ci
sono litanie diaconali. Tutto questo non statico, ma in costante movimento, come attestano i vari
manoscritti.
6) Le preghiere, poi, sono estremamente mobili: possono occupare varie posizioni, sia prima
sia dopo la confessione. Questo accade proprio nel caso della preghiera K3:1 Signore Ges Cristo,
figlio del Dio vivente, agnello e pastore...; in questo testo c sia il ricorso a Mt 16, 19 sia la formula
di confessione del Kippur. In base allesame delle varie preghiere del rito possiamo dire che nessuna
di queste lelemento decisivo, ossia il costitutivo formale del sacramento della penitenza.
7) La questione ben diversa se prendiamo linsieme delle azioni del penitente. Allora
vediamo che lesecuzione delle opere di penitenza in un tempo determinato costituisce lelemento
decisivo della natura di questa pratica. Dobbiamo aggiungere che questo dato in perfetta
continuit con linsegnamento patristico che abbiamo sommariamente descritto.
In altri termini, nella penitenza, si bada pi al fatto che al rito. Conta pi lessersi allontanati
dal peccato, che aver partecipato a un rito con una preghiera rituale formulata in un determinato
modo. Da ultimo va sottolineato il carattere medicinale delle opere penitenziali, quel carattere che
troviamo cos ben descritto in Basilio e che si conservato lungo i secoli. Le opere penitenziali non
1
66
servono a espiare il peccato, ma a reintrodurre il peccatore nella vita cristiana con tutte le sue
caratteristiche, la prima delle quali la conversione del cuore.
Dopo gli studi di L. Ligier sul carattere medicinale della penitenza orientale , M. Arranz ha
voluto accentuare ancor pi questo carattere, parlando di sacramenti terapeutici. In Oriente il
sacramento della penitenza avrebbe come scopo primario la terapia dello spirito: guarire le malattie
dellanima con determinate opere penitenziali e preghiere fatte sotto la guida di monaci esperti che,
in tal modo, erano in grado di restituire il penitente alla genuina vita battesimale .
Proprio per questi motivi la penitenza orientale, in tutte le sue forme, si presenta pi come un
fatto eccezionale piuttosto che una osservanza rituale che scandisce i ritmi della vita del fedele .
4
2.
Oriente e Occidente a confronto: valutazione critica
Il confronto tra i riti penitenziali della liturgia orientale e quelli della liturgia occidentale,
possibile solo se si rinuncia fin dallinizio alla pretesa della completezza, ossia se si rinuncia alla
pretesa di esaminare tutta larea delle pratiche liturgiche e non liturgiche della disciplina
penitenziale. In questa ricerca, ci siamo occupati solo della natura e dello scopo della penitenza,
cos come appare attraverso la prassi, ossia attraverso i riti della celebrazione liturgica e lutilizzo
che ne fanno i pastori. Nella seconda parte trattiamo della penitenza occidentale; tralasciamo le
testimonianze patristiche sulla paenitentia antiqua, per entrare direttamente nel periodo della sua
crisi che ben attestata nella Gallia meridionale e in Spagna. Qui, nei secoli quinto e sesto, la
penitenza canonica ormai impraticabile. Il comportamento di Cesario di Arles sulla penitenza e il
rito penitenziale della liturgia del venerd santo, sono un interessante tentativo di soluzione che,
per, non avr seguito. Le idee e la prassi della penitenza che emergono in questa epoca sono molto
simili alla concezione medicinale della penitenza in Oriente.
La disciplina della paenitentia antiqua praticamente identica in Oriente e in Occidente. Dal
quarto secolo, invece, cominciano ad esserci alcune differenze. In Oriente la penitenza canonica
comincia ad addolcirsi e si fa strada una concezione pi medicinale, per lintervento di grandi
personaggi come Basilio Magno e Giovanni Crisostomo. Nel periodo patristico, il costitutivo della
penitenza la conversione del cuore, ossia il cessare di peccare ritornando allo stato battesimale
iniziale. Questo lungo e laborioso cammino si fa sotto la guida del vescovo che, con la scomunica,
commina una serie di opere da compiere: digiuni, preghiere, prostrazioni etc. Le opere penitenziali
non sono concepite come espiazione delle colpe, bens come correzione pedagogica del
comportamento e come inizio di una nuova vita, lontana dal peccato. In definitiva, la penitenza
classica era destinata ai grandi peccatori e non al buon cristiano che conduceva una vita grosso
modo normale. Era un fatto eccezionale, non una pratica abituale. Il monachesimo fa sua questa
concezione medicinale della penitenza e la sviluppa progressivamente. La situazione resta immutata
fino allottavo, nono secolo, quando, sotto linflusso del monachesimo, che diventa sempre pi
importante nella chiesa orientale, si fa strada la cosiddetta penitenza privata. In ogni caso, nel secolo
4
67
dodicesimo i grandi commentatori del diritto orientale commentano i canoni della penitenza
pubblica come se fossero in uso al loro tempo. Ci mostra quanto fosse sentita la continuit della
disciplina penitenziale. Il denominatore comune, attraverso le varie forme e i vari riti della
penitenza orientale, costituito dalla concezione terapeutica di questa istituzione, che prevale su
ogni altra componente della disciplina penitenziale, anche sulla componente rituale e sulla
componente canonica la quale, necessariamente, presenta anche dei caratteri giuridici. Il fatto che la
dimensione terapeutica prevalga anche sul carattere rituale della penitenza, pu spiegare la variet
delle scelte rituali della penitenza bizantina. Facciamo alcuni esempi: pu spiegare perch ci sia una
prima assoluzione se vogliamo usare la terminologia della assoluzione prima di compiere le
opere penitenziali, e una cosiddetta seconda assoluzione, per riammettere alla comunione dopo
che stata compiuta la penitenza. Il carattere terapeutico pu spiegare perch le preghiere che
Arranz cataloga come K3 possano essere poste indifferentemente prima o dopo la confessione delle
colpe. Pu anche spiegare il fatto cos difficile a comprendersi, per un occidentale che sia
impossibile individuare una vera e propria formula assolutoria nel senso occidentale del termine,
ossia una formula che sia capace di determinare, con la sua presenza o assenza, la validit o
linvalidit del sacramento. Anche in Occidente la penitenza ha carattere terapeutico, ma questo
carattere uno tra i tanti, che non pu essere visto come lelemento fondamentale e decisivo, ad
eccezione della liturgia visigotica, allepoca di Cesario di Arles e di Isidoro di Siviglia. In
conclusione, in Oriente linsieme dello sviluppo dei dati nelle varie epoche e nei vari rituali
bizantini trova la sua spiegazione unitaria nel carattere medicinale di questa liturgia. Anche in
Oriente la penitenza ha avuto il suo momento di crisi, alla fine del quarto secolo, secondo la
valutazione che ne ha fatto G. Wagner, ma il monachesimo ha saputo far fronte ai problemi
appropriandosi di questo ministero e gestendolo in chiave medicinale.
In Occidente le cose si sono sviluppate in modo diverso. Lidea dellunica penitenza, una sola
volta in vita, comincia ad essere applicata come norma giuridica. Le opere penitenziali, imposte dal
vescovo al penitente, diventano unimposizione giuridica che d origine agli interdetti penitenziali
che durano per tutta la vita, ossia che persistono anche dopo che il penitente stato riammesso alla
comunione. Questo ha prodotto il fenomeno della non reiterabilit della penitenza. La crisi dei
secoli quinto e sesto dovuta a questi fattori, che hanno la loro origine nella maggior accentuazione
del carattere giuridico rispetto al carattere medicinale. Il caso di Cesario di Arles esprime bene la
crisi di questa epoca.
Il tentativo di questo grande vescovo di dare una svolta pastorale e medicinale alla gestione
della disciplina penitenziale, fa vedere che i valori caratteristici della penitenza orientale sono
presenti e sono sentiti anche in Occidente. Tuttavia questi valori sono inseriti in un quadro giuridico
e liturgico che vincolante e che molto diverso da quello dellOriente. Cesario non ha mai inteso
uscire dal quadro liturgico che gli offriva la liturgia visigotica del suo tempo: ha solo voluto che la
disciplina penitenziale fosse veramente efficace, ossia che curasse lanima dei peccatori e li portasse
a conversione in modo che si allontanassero definitivamente dal peccato. In altri termini, egli si
preoccupato pi del fatto, che del rito. La scelta di occuparsi del fatto non comporta
necessariamente labbandono della liturgia, la quale ha delle risorse che sono comunque appropriate
alla scelta in questione. Egli ha saputo vedere il rito del venerd santo come il coronamento delle
opere penitenziali compiute in quaresima. Nel caso della liturgia della parasceve della liturgia
visigotica, il rito non si identifica con il ritualismo: questa la grande lezione di Cesario e della
liturgia visigotica, che va tenuta legata al commento di Isidoro di Siviglia sul valore della penitenza,
ove, dopo aver detto che il battesimo non pu essere reiterato, dice che le lacrime del penitente,
davanti a Dio, stanno per lacqua battesimale . Si noti che il parallelismo impostato tra lacqua,
1
Lacrimae enim paenitentium apud Deum pro baptismate reputantur. Vnde et quamlibet sint
magna delicta, quamuis grauia, non est tamen in illis Dei misericordia disperanda. In actione
autem paenitudinis, ut supra dictum est, non tam consideranda est mensura temporis quam
doloris; cor enim contritum et humiliatum Deus non spernit (De ecclesiasticis officiis, 2, 17,
in: C. W. LAWSON (ed.), Isidorus Hispalensis. De ecclesiasticis officiis, (= Corpus
christianorum. Series latina, 113), Brepols, Turnholti 1989, p. 80). Leggendo questo testo
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che un elemento del rito battesimale, e le lacrime, che non appartengono alla liturgia della
penitenza, bens alle opere penitenziali. Effettivamente sono le opere penitenziali lelemento
determinante: nella penitenza il rito viene dopo, come conclusione di ci che stato fatto nella vita.
La prospettiva della penitenza visigotica va nella stessa direzione della prassi orientale che d
maggior valore alle opere penitenziali, come fatto medicinale, piuttosto che al rito che, in Oriente,
considerato come accompagnamento, sostegno e conclusione del ravvedimento del penitente.
Ma lo sviluppo successivo della liturgia occidentale non si mosso nella linea di Cesario di
Arles. A questa situazione sono succeduti i riti della penitenza tariffata che ha avuto il grande pregio
di essere reiterabile, eliminando lidea della perennit degli interdetti penitenziali. Tuttavia, proprio
per la sua origine, questa forma di penitenza ha assunto un forte carattere giuridico che si subito
espresso nei libri penitenziali. La penitenza tariffata in continuit con la penitenza canonica, ma
aggiunge un elemento nuovo molto importante a proposito delle opere penitenziali: esse hanno
valore oggettivo. Ossia debbono essere fatte perch hanno valore per se stesse, in quanto compiute,
al punto che possono essere compiuta da altri, ossia da persone diverse dal penitente. Allinizio
della pratica della penitenza insulare sembra che non ci fosse un rito liturgico, ma solo
lesecuzione della pena prevista dai libri penitenziali. Successivamente, con lacquisizione del rito
liturgico come elemento costitutivo, il carattere giuridico dellesecuzione della penitenza stato
applicato anche allazione liturgica, dando luogo a un marcato formalismo rituale, che si manifesta
soprattutto a partire dallepoca carolingia.
Questi fattori, imputabili al carattere giuridico della penitenza tariffata, hanno ricevuto un
grande ridimensionamento nel XII secolo con la nascita della confessione, tutta basata sullaccusa
dei peccati, un elemento che prima era accessorio e funzionale allimposizione della pena. Con
questo rito si chiede il dolore dei peccati, che nella linea di un vero ravvedimento interiore. Ci si
interroga su che cosa sia la vera penitenza. La risposta lapidaria: quella che proviene dallamor di
Dio e dal dolore dei peccati. Ormai le opere penitenziali passano in secondo piano e il carattere
espiatorio viene attribuito alla laboriosit dellaccusa dei peccati davanti a un altro uomo.
Lessenziale della penitenza il rito liturgico, non pi le opere penitenziali compiute nella vita. Il
rito della penitenza ormai il tutto della disciplina penitenziale, anche se, formalmente, si conserva
luso di imporre una soddisfazione, in funzione espiatoria, che di solito consiste nella recitazione di
alcune formule di preghiera. La confessione stata una grande acquisizione , tuttavia il
formalismo rituale rimasto e cos pure il carattere giuridico, fino a qualificare la penitenza come
un actus iudicialis che compiuto dal sacerdote tamquam a iudice .
2
sembra di leggere uno dei canoni di Basilio ad Anfilochio e, comunque, il tema delle lacrime
uno sviluppo, molto pi profondo, di quanto troviamo in Ambrogio.
2 P.-M. GY, Douleur des pchs et pnitence dans la thologie du XIIme sicle, Annali di
Scienze religiose 3 (1998) 125-132.
3 Concilio di Trento, Sessione XIV.
69
INDICE
1.
2.
1.
2.
1.
2.
3.
4.
1.
2.
Il Kanonarion...........................................................................................................................54
Il rito del Protokanonarion.......................................................................................................55
Eucologi periferici......................................................................................................................57
Le preghiere principali...............................................................................................................57
Una formula giuridica di assoluzione?.......................................................................................60
Lodierno rito bizantino della penitenza.....................................................................................60
Conclusione sulla penitenza orientale........................................................................................62
Oriente e Occidente a confronto: valutazione critica.................................................................63
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