- Riconoscere i concili
- Estrazione di un capitolo per ognuna delle 4 parti del programma
- Commento di un’icona
- Due domande sugli exurcus
Il mediatore legale
La profezia di Nathan Davide
Sarà grande chiamato figlio dell'altissimo il signore Dio in elettronica, padre e regnerà per sempre sulla casa
di Giacobbe e il suo regno non avrà fine Cristo viene presentato con i lineamenti di un personaggio regale,
figlio di Davide e figlio di Dio. La promessa adamitica c'è stata riferita in due Sam 7,8-16. La protezione
divina sulla casa di Davide e sul suo regno che avrà perpetua stabilità. Nello stesso periodo, sotto il regno di
Salomone, lo scrittore gli a vista e legge la sera di Israele dalla creazione al possesso della terra promessa,
con lo scopo di radicare il regno Davigo sulla tradizione precedente. Il proprio Vangelo di genesi 3,15
rappresenta il punto di partenza. Il secondo evento è la vocazione di Abramo e costituisce il punto di
partenza della storia di Israele nelle promesse di Giacobbe ai suoi figli, a Giuda viene assegnato un posto di
preminenza tra i suoi fratelli. Il quarto riferimento è dato dagli oracoli di Balaam. Esso è un indovino delle
sponde dell'Eufrate, che riconosce JHWH come suo Dio e benedice Israele. Nell'antico testamento è così
irrintracciabile un orientamento che parte dallo zero cioè semi, discendenza della donna, passa attraverso il
seme di Abramo, arriva al seme di Davide, per sfociare definitivamente in Gesù, figlio di Giuseppe, di
Davide, di Giuda, di Giacobbe, Isacco, di Abramo, di Adamo.
I salmi legali
L’amplissimo salmo 78 considera l'elezione di Davide come il coronamento della lunga storia del popolo
eletto, guidato da Dio mediante il re suo servo in questi salmi ci si riferisce al re Davico concreto e
contemporaneo al salmista. Il loro ambiente vitale sembra essere la cerimonia liturgica dell'intronizzazione
regale o la sua commemorazione annuale. Gli elementi essenziali sono: l'unzione del re, la sua
intronizzazione e incoronazione, la consegna dello scettro con il decreto di legittimazione, la lettura della
promessa di Davide. Sebbene questi salmi presi singolarmente si riferiscono a barre concreti, nel loro
insieme hanno trasmesso nella storia la speranza di un Messia regale.
1. Isaia 7,10-17
Il re a Acaz si trova implicato nella guerra siro-efraimita, che minacciava il regno di Giuda e quindi
l'esistenza della casa Davidica regnante. Invece di mostrare fiducia nell'aiuto efficace di Dio, egli rifiuta la
protezione divina e accetta il vassallaggio del re assiro Tiglat-Pilezer.
Si può rilevare la volontà di Dio di continuare a essere fedele alla promessa di Davide. Dio, però, interrompe
la linea dei re con un nuovo inizio. Io stesso interverrà dando un segno mediante la nascita da una vergine
dell'Emanuele, e cioè del Dio con noi. Dal nuovo testamento sappiamo che l'adempimento di questa
promessa sia nella concezione verginale di Gesù.
2. Isaia 9,1-6
Si tratta della nascita fisica di un bambino oppure dell'intronizzazione regale, espressa metaforicamente
come una nuova nascita? Sono possibili entrambe le interpretazioni. Ci si riferisce ad Ezechia, figlio di
Acaz, oppure a un re Davico ideale? Sembra, però, improbabile riferimento ad Ezechia, dopo quanto detto in
Isaia 7,10-17, in cui si parla di una rottura con l'infedele Acaz.
3. Isaia 11,1-9
In piena invasione assira al profeta non resta che appellarsi autore futuro e ideale, che spunterà dalla casa di
Davide. Questo nuovo re sarà arricchito di spirito profetico e farà regnare sulla terra la giustizia, riflesso
terreno della santità. Michea, contemporaneo di Isaia, coglie questa speranza messianica intravedendo il
nuovo Davide nella piccola e sconosciuta Betlemme.
Altre testimonianze
Una corrente di attesa salvifica attraversa, dunque, tutto l'antico testamento. È la speranza messianica
collegata al re mediatore di salvezza tra Dio e il popolo. Se prima questa speranza era riferita ore concreto e
storico appartenente alla casa di Davide, a causa dei fallimenti di tradimenti di questi re, essa diventa
escatologica, proiettandosi verso un Messia futuro, che corrisponderà in pieno alla promessa di Davide di
2Sam7.
Il mediatore sacerdotale
Nell’antico testamento è riscontrabile una corrente messianica sacerdotale che sfocerà in un mediatore
escatologico. A Levi " uomo fedele " e ai suoi figli " che custodiscono l'alleanza " vengono attribuite tre
funzioni: la trasmissione dell'oracolo divino, la tradizione e l'interpretazione della legge, il servizio all'altare.
Il re di Davide è quindi sacerdote secondo il sacerdozio pre Israelitico di Melchisedek.
Nei testi poste esili il sacerdote appare come il vero mediatore di salvezza. Significativa la visione dei due
olivi Zaccaria. I due olivi sono consacrati. Quello regale è Zorobabele mentre l'unto sacerdotale è Giosuè. Il
sommo sacerdote diventa l'unico autentico rappresentante del popolo. Nel secolo quinto la tradizione
sacerdotale " P" rilegge il pentateuco in chiave sacerdotale. La tradizione "P" è quella dei sacerdoti del
tempio di Gerusalemme. Questa tradizione assolutizza il ministero sacerdotale come unica mediazione
salvifica, incentrata sul culto sacrificale questa mediazione sacerdotale salvifica è presente anche gracile,
che ricorda l'alleanza di Dio non solo con Aronne, ma anche con Pincas.
Come non parla sia del Messia regale, che di quello sacerdotale. Il Messia sacerdotale viene considerato
superiore a quello di Davide e sarà portatore di pace e di felicità eterna. Il compimento avverrà in Gesù
Cristo, il quale, pur essendo figlio di Davide, è anche sacerdote in eterno, secondo l'ordine di Melchisedek.
Il mediatore profetico
La funzione profetica è storicamente anteriore a quella regale sacerdotale. Si tratta di una funzione
carismatica costitutiva di Israele, dal momento che ne esprime la natura della missione, radicata com'è su un
particolarissimo rapporto di dialogo con Dio.
Il profeta è infatti colui che manifesta la volontà di Dio e non la propria. Israele è stato sempre
accompagnato dal ministero profetico, che costituisce il ministero per eccellenza. Attraverso il profeta, Dio
dialoga col popolo eletto manifestandogli la sua volontà. Anche il popolo è il rapporto vitale immediato con
Dio Mosé resta sempre il prototipo del profeta. A due movimenti essenziali: Uno discendente di
manifestazione della volontà di Dio. L'altro ascendente di intercessione per il popolo presso Dio. Il profeta è
chiamato in modo personale e immediato da Dio.
Il contesto è quello susseguente alla distruzione di Gerusalemme e del tempio, con la scomparsa definitiva
del regno e quella temporanea nel sacerdozio. La figura del servo di Dio avrà un ruolo importante
nell'interpretazione cistologica neotestamentaria. I cantici sono opera di un odore, il cosiddetto DeuteroIsaia,
vissuto poco prima della fine dell'esilio babilonese gli esegeti distinguono quattro cantici: il primo, contiene
la presentazione del servo e l'oracolo a lui indirizzato, relativo alla sua missione. Il secondo cantico contiene
il discorso del servo con la vocazione da parte di Dio, la sua risposta alla chiamata e la sua missione
universale. Il terzo cantico contiene la lamentazione del servo per le sue persecuzioni e sofferenze. Il quarto
cantico è il più lungo e complesso ma anche il più importante. Lo possiamo suddividere in quattro parti nella
prima, Dio parla del successo dell'esaltazione del suo servo; nella seconda parte tutto il popolo si esprime
con una specie di salmo penitenziale davanti le sofferenze del servo; nella terza parte è il profeta parlare
delle sofferenze del servo; nell'ultima parte è Dio a parlare del suo servo.
Al problema dell'identità e della missione del servo di JHWH, il nuovo testamento ha già dato la risposta
definitiva, rileggendo il mistero pasquale di Gesù Cristo alla luce di questi cantici. Qual è la lettura più
adeguate cantici del servo, quella storica o quella escatologica? La profezia però si riferiva in prima istanza
le circostanze concrete della missione del profeta. Le integrazioni relative all'identità del servo di JHWH si
possono suddividere in due grandi gruppi: un primo gruppo considera il servo come una collettività; un
secondo gruppo lo ritiene una persona singola. L'interpretazione collettiva identifica il servo o col popolo
ebraico o con la parte sana di esso o con un gruppo di profeti con Israele ideale. Non poche volte il servo
viene esplicitamente identificato con Israele o con una parte del popolo. Contro questa ipotesi ci sono dei
motivi di contrasto tra l'atteggiamento del popolo è quello del servo. Il servo è sempre pieno di fiducia in
Dio anche nei momenti di delusione, è innocente fedele al messaggio di Dio, sarà il liberatore del popolo
schiavo, soffierà unicamente per i peccati altrui. L'interpretazione individuale cerca anzitutto di indicare il
personaggio storico concreto corrispondente al servo di JWHW ci si chiede come sia stata possibile da parte
del profeta la descrizione particolareggiata della sua fine, delle sue sofferenze, del valore esoterico logico ed
universale della sua persona della sua missione è emersa l'interpretazione messianica escatologica del servo
anche nella tradizione cristiana che ha visto nel deuteroisaia a l'evangelista della passione, morte e
resurrezione di Cristo.
Il servo di JHWH
Il servo è presentato come un profeta predestinato fin dal seno materno e costituito nel suo ministero
mediante una solenne programmazione da parte di JHWH. E ciò in vista di una missione i destinatari di
questa missione sono così identificati. Si parla di coloro che sono affaticati, di ciechi e di prigionieri, e più
ampiamente di "molti". L'orizzonte della missione amplissimo la funzione universale del servo è l'annuncio
della parola e dell'insegnamento. La missione è segnata da un'intima sofferenza, dal timore dell'insuccesso e
dell'insignificanza, dalla sensazione di abbandono da parte dei fratelli di Dio e anche da una sofferenza
esterna il servo, infatti, viene vilipeso, condannato, umiliato, battuto, colpito. La sofferenza fisica culminerà
nella morte violenta il suo atteggiamento molto in comune con quello degli altri profeti: pazienza,
remissività, mitezza, fiducia in Dio. Il quarto cantico delinea anche il significato teologico della passione
morte del servo la sofferenza è anzitutto voluta da Dio, come parte integrante della sua missione. Il servo
soffre per i peccati nostri o dei molti.
IL mediatore celeste
Si può individuare una corrente discendente di mediazione salvifica. Essa è rintracciabile in quelle
figure di mediatori celesti, metà storici trascendenti, che infrangono ogni barriera di spazio di
tempo.
L'angelo
Nell’antico testamento l'angelo diJHWH parla e agisce nella storia come un uomo. Si possono
distinguere in tre gruppi:
In un primo gruppo l'angelo di JHWH non sembra sostanzialmente distinguersi dallo stesso
JHWH. È il signor trascendenti
In un secondo gruppo l'angelo agisce in nome di Dio distinto da lui. Il cosiddetto angelo dell'esodo
è un rappresentante stretto di Dio, che accompagna il popolo nel suo pellegrinare e che agisce in
nome di JHWH.
In un terzo gruppo si parla di un angelo di JHWH, che spesso ha un nome ben preciso: Michele,
Raffaele. La funzione dell'angelo, però, non è quella di punire o distruggere, ma di manifestare il
volere divino. Il suo compito anzitutto comunicare la volontà di Dio. Egli si impegna nella
liberazione di Giacobbe da ogni male soprattutto dall'Egitto, accompagnando lungo il deserto fino
alla terra promessa. Oltre alla funzione livellatrice e soteologica, c'è anche una funzione di tipo
ascendente che integra le prime due. Si tratta dell'intercessione presso Dio esercitata dai suoi
angeli a favore del popolo.
La sapienza di Dio
La sapienza è in Dio, da Dio, con Dio. Nell'antico testamento solo Dio alla pienezza della
sapienza. Solo Dio è la fonte della sapienza. Più che creata, essa è stata generata prima della
creazione, da sempre per sempre. La si può considerare un alter ego di Dio.
La sapienza e la creazione
La sapienza fu presente alla creazione del mondo. Essa è all'opera nella creazione come
strumento, come ispiratrice e come artefici. La sapienza, inoltre, presente operante a tutti i livelli
dell'essere: in cielo, sulla terra, negli abissi. È presente nella globalità dell'opera creatrice di Dio.
Presente come architetto, come norma operante, come proprio prototipo.
La sapienza e l'umanità
L’interesse salvifico della sapienza rivolto a tutta l'umanità. La sua benevolenza soprattutto rivolta
Israele. Pur non avendo un volto umano, la sapienza parla attraverso la torah e si identifica con
essa. La legge trabocca di sapienza, dice Siracide. La sapienza non è lettera morta, la parola
vivente. Essa esercita pure una funzione regale. Accogliere la sapienza e accogliere la vita.
Respingerla e avviarsi verso la morte. Davanti alla sapienza si fa un'opzione decisiva come
davanti a Dio.
L'EVENTO CRISTO NEL NUOVO TESTAMENTO
La predicazione di Gesù
La predicazione, l'annuncio, l'ammaestramento è la caratteristica più rilevante dell'attività di Gesù
prima del mistero pasquale. Egli si presentò come un maestro (didàskalos). Nel nuovo testamento
designa 41 volte Gesù è 29 volte viene usato come titolo diretto.. Gesù ha parlato e agito come un
maestro del suo tempo, dirimendo dubbi giuridici, questioni dottrinali e raccogliendo attorno a sé i
discepoli. Una caratteristica originale di Gesù fu la sua straordinaria autorità. Il suo insegnamento
era fatto con autorità. Mentre gli scribi erano gli interpreti della tradizione dei padri, Gesù insegna
con un'autorità che appartiene solo Dio. Per questo sia la folla, come anche i discepoli lo
considerarono un profeta. Gesù, però, si ritiene superiore profeti a Giona e a Salomone. Questo
più, ha valore assoluto. In lui c'è un salto qualitativo assoluto. È il profeta ultimo, definitivo,
superiore agli altri. Il contenuto essenziale della sua predicazione alla giunta è l'annuncio del
regno. La venuta del regno non può essere umanamente accelerata nei mediante la lotta contro
nemici di Dio, né mediante l'osservanza meticolosa della legge. Né può essere riservata solo a
una ristretta cerca di perfetti, identificabili, ad esempio, con la comunità essena di Qumran.
L'attesa del regno deve essere paziente fiduciosa. Il regno di Dio non indica un territorio
particolare, ma la reale sovranità di Dio sull'umanità. Il regno di Dio è presente laddove è presente
la vita, la riconciliazione, la gioia, la lode di Dio. Il regno si attuerà dove e quando venga compiuta
la volontà di Dio, sia santificato il suo nome, ci si abbondanza di beni materiali spirituali, si attui la
liberazione del male. La realtà del regno è sommamente misteriosa. Mediante le parabole Gesù
sottolinea la presenza del regno nella realtà quotidiana concreta: nel granello di senape, nel
lievito, nel semi. Allo stesso tempo, però, il regno della realtà ultima, escatologica, che metterà
fine alla storia e che si situa al di là della storia stessa. Il suo compimento sarà assegnato dalla
parodia del figlio che verrà nel suo regno per parodia si intende la seconda venuta. Il regno è
inoltre un dono esclusivo di Dio. L'uomo non se lo può auto donare, né politicamente, né
socialmente, né eticamente. Il regno ha un intrinseco carattere soteriologico. È offerta salvifica per
l'uomo. Il regno ha cioè una dimensione cristologico. Si identifica con la persona stessa di Gesù è
con la sua presenza. Gesù cioè si autodefinisce come regno di Dio. La sua presenza la presenza
del regno. La sua dottrina, le sue azioni, il suo comportamento costituiscono riduzione del regno di
Dio sulla terra.
L'atteggiamento di Gesù
I miracoli di Gesù
1. La loro storicità
Un elemento decisivo che attraversa l'intera cristologia prepasquale è costituito dai miracoli di
Gesù, chiamati meglio segni, gesti di potenza, opere la ricerca esegetica contemporanea sembra
confermare l'origine del pasquale non sono del fatto di Gesù taumaturgo, ma anche del significato
da lui attribuite miracoli. Lautorelle ci dice che la tradizione non ha fatto che prolungare, spiegare,
approfondire tale senso prepasquale che risale Gesù senza i miracoli non si spiegherebbe
nell'entusiasmo della folla e dei discepoli, né l'odio dei nemici nei suoi confronti. In Marco
costituiscono quasi 1/3 del Vangelo (31% del testo, 209 versetti su 666). I miracoli, inoltre, sono
strettamente legati alla predicazione del regno e alla decifrazione del mistero di Gesù. Nessuno
negò la qualifica di Gesù nel fare i miracoli ma li contestarono solo l'autorità in nome la quale egli
compiva i miracoli.
1. Messia
Al tempio di Gesù termine Messia, era aperto a molte determinazioni (capo rivoluzionario per gli
zeloti, maestro della legge per i farisei, Messia sacerdotale in Qumran). È prevalente chiamato
figlio di Davide. Il titolo Messia non si trova mai sulla bocca di Gesù, ma gli viene riferito sempre
dall'esterno solo una volta sembra accettarlo: nel colloquio con la samaritana. In altri due passi lo
accetta: la confessione diverrà Cesarea di Filippo; e con il sommo sacerdote che gli chiedeva se
fosse il Cristo dove rispose "io lo sono". La formulazione della domanda del sommo sacerdote si
può considerare come la sua ipsissima Vox, riportata da un testimone oculare.
2. Figlio dell'uomo
è un titolo molto usato dal Gesù prepasquale. Una prima serie contiene detti che si riferiscono alla
vita eterna del figlio dell'uomo. Una seconda serie di detti concerne la sua passione. Nel loro con
contenuto generale i detti rimandano al Gesù prepasquale, il quale ricollega la sua passione alla
tradizione anticotestamentaria del servo di JHWH deuteroisaiano. Gesù si presenta come il giusto
sofferente che salverà il mondo mediante la sua passione la sua esaltazione una terza serie di
Rieti riguarda il figlio dell'uomo che verrà sulle nubi del cielo con grande potenza e gloria Gesù
allude alla sua dimensione divina trascendente per questo motivo l'espressione diventa titolo
cristologico con un'implicita allusione a Deuteronomio 7,13-14.
3. Figlio di Dio
qui diciamo solo che Gesù si rivolse a Dio chiamandolo Abbà e fate, distinguendolo dal padre
vostro. Questa distinzione già presente Luca e Matteo risale al Gesù storico e trova la sua
formulazione classica in Giovanni: "il padre mio e padre vostro". L'ignoranza del figlio difficilmente
poteva essere accettata dopo la Pasqua. Per cui anche questo passo sembra manifestare
l'ipsissima vox Jesu. L'appellativo, manifesta la coscienza di Gesù di essere totalmente riferita al
padre in una vicinanza e obbedienza filiale assoluta. Vediamo solo una significativa evoluzione di
questi due ultimi titoli. Di per sé figlio di Dio, era un titolo che nell'antico testamento indicava
semplicemente un uomo con una speciale vocazione di elezione e di adozione da parte di Dio, del
quale diventava figlio prediletto. In Gesù questo titolo indica più l'adozione, ma la relazione intima,
ontologica del figlio nei confronti del proprio padre. Per cui figlio di Dio, da titolo umano è
funzionale, diventa indicazione ontologica della dignità di Gesù. Anche l'altro titolo biblico, figlio
dell'uomo, da appellativo semplicemente umano, diventa in Deuteronomio e nel linguaggio di
Gesù un titolo aperto ad esprimere la trascendenza di Gesù, pur nella sua umanità.
1. La liturgia
La liturgia era interamente incentrata sul mistero di Cristo. Accenniamo qui solo alle omologie, che
sono brevi formule di fede cristologico, e agli inni, composizioni poetiche e articolate. Entrambe
hanno un duplice scopo: credere, e cioè esprimere la fede in Gesù Cristo, e confessar. All' inizio
l'evento onnicomprensivo della fede e della susseguente confessione fu solo la risurrezione.
I. L'omologia
omologia azione di fede presenta due forme: l'acclamazione e la formula-Pistis. L'acclamazione è
una formula nominale che contiene e programma uno o più titoli cristologico. Nell'antichità le
acclamazioni sono grida del popolo fatte in pubblico in comune formulate ritmicamente.
La formula-Pistis, invece, è un'omologia verbale, formata da una breve frase predica di. In atti
degli apostoli 8,37 troviamo la sintetica confessione battesimale del funzionario di corte: "io credo
che Gesù Cristo è il figlio di Dio". Ci sono formule-Pistis di risurrezione, di morte, di abnegazione.
In quest'ultime c'è il riferimento salvifico per noi. Tra i vari titoli cristologico ne privilegiano tre:
Cristo, signore, figlio di Dio. Possiamo aggiungere subito gli sviluppi ulteriore delle omologie
verbali. Anzitutto il nucleo morte-risurrezione fu ampliato sia a ritroso che in avanti. In tal modo
esse diventarono la base della redazione dei Vangeli, che sono ampliamenti di questo credo
essenziale e si appoggiano continuamente adesso come un testo normativo. Le omologie, infine,
costituirono i modelli di affermazioni centrali (la regula fidei) dei successivi simboli di fede,
soprattutto battesimale.
1. La cristologia di Marco
Il vangelo di Marco intende motivare la realtà di «Gesù Cristo, Figlio di Dio». Nella pericope
centrale vengono precisati i tre titoli principali di Gesù: Cristo, Figlio dell’uomo e Figlio di Dio.
Quest’ultimo sembra essere il più importante perché compare in passi importanti del Vangelo:
prologo, battesimo, confessioni dei demoni, trasfigurazione, confessione del centurione ai piedi
della croce.
2. La cristologia di Matteo
Il titolo cristologico prevalente in Matteo è quello di «Signore». La chiave interpretativa propria di
Matteo sembra essere il compimento delle scritture in Gesù di Nazaret, che per questo è il
Salvatore promesso. La genealogia iniziale intende affermare che egli è quindi il vero Messia
atteso, il vero Israele obbediente alla volontà del Padre. Insistente il rilievo dato alla relazione di
Gesù col Padre, del quale è Figlio diletto. Solo Gesù ha conoscenza del Padre. È anche di Matteo
il racconto della concezione verginale ad opera dello Spirito Santo e l’accenno alla preesistenza.
3. La cristologia di Luca
Cristo per Luca è «il centro del tempo» e della storia della salvezza.
A. La cristologia paolina
La sua cristologia è in funzione eminente soteriologica. Il primo livello, arcaico, è incentrato sulla
parusia (seconda venuta) e sulla risurrezione di Gesù, come primizia della nostra.
Il secondo livello ha il suo centro d’interesse nell’efficacia attuale della risurrezione e della morte di
Cristo. E ciò che sia in antitesi col giudaismo, per cui Cristo ha messo fine all’economia della
legge; sia in antitesi con la filosofia greca, per cui il cristianesimo è accettazione dell’efficacia
dell’opera salvifica di Cristo e non un culto misterico o una teoria filosofica.
Il terzo livello offre una visione cristologia più completa, rielaborando in modo nuovo i risultati dei
due livelli precedenti. I più importanti titoli cristologici paolini sono «Cristo» e «Signore».
- Terza e quarta: esaltazione del Cristo e il suo trionfo sull’universo. Essendo l’esaltazione
del Cristo non un atteggiamento ma una condizione ontologica, essa dà compimento
adeguato alla kenosis ontologica.
L’inno può essere considerato come una testimonianza antichissima di cristologia completa, dal
momento che fa riferimento alle tre condizioni di Cristo, prima, durante e dopo l’incarnazione.
Esso fu alla base della dottrina patristica dello «scambio»: il Figlio di Dio, senza perdere le sue
prerogative divine, divenne ciò che noi siamo, perché noi potessimo divenire ciò egli è.
2. La cristologia patristica
La cristologia dei padri della Chiesa è nutrita si s. Scrittura. Anzi è proprio l’esegesi biblica a
costituire la sua qualifica più rilevante. Molteplici fattori determinarono lo sviluppo. Innanzitutto la
prodigiosa «fides quaerens intellectum» degli scrittori ecclesiastici, orientali e occidentali. Poi il
dialogo serrato con la filosofia del tempo, con le correnti stoiche e platoniche e con la loro radicale
opposizione alla dottrina della creazione dell’uomo e dell’incarnazione di Dio.
Un terzo fattore di approfondimento e di progresso fu il confronto spesso estremamente polemico
e conflittuale, tra le diverse scuole teologiche, come quella alessandrina con la cristologia del
Logos-sarx e quella antiochena con la cristologia del Logos-antrophos. Un ultimo elemento è dato,
infine, della lotta contro gli eretici, che negavano di volta in volta la vera divinità o la vera umanità
o la realtà stessa di Gesù Cristo.
Il grande dibattito della cristologia patristica si concentrò sulla risposta alla contestazione
metafisica della divinità di Cristo da parte dell’ellenismo. La teologia patristica fu un periodo vitale
di difesa e di purificazione del kerygma cristologico contro il continuo e multiforme pericolo della
sua degradazione.
In questo laborioso passaggio dalla cristologia biblica a quella patristica si assiste a un triplice
processo. Anzitutto si ha una selezione nella tradizione relativa a Gesù, per cui, ad esempio, la
questione della sua origine e della sua essenza acquista una posizione sempre più centrale nel
dibattito teologico, come fondamento sicuro della sua funzione soteriologica. In secondo luogo si
attua la trasformazione del dato biblico che porta dal kerygma al dogma. Il dogma si può a ragione
definire come «kerygma maggiormente riflesso, chiarito mediante la teologia e sorretto da una
coscienza ecclesiale approfondita».
Questo triplice processo porta alla «ontologizzazione» del kerygma e cioè a far emergere, al di là
degli eventi, la struttura metafisica del Cristo; alla sua «deescatologizzazione», nel senso che si
manifesta una tendenza a spostare il centro della cristologia della risurrezione all’incarnazione e
alla preesistenza del Verbo.
[Passaggio da “perché egli è morto e risorto” a “chi è Cristo nella sua essenza”]
3. Le eresie cristologiche dei primi secoli
L’arcipelago delle eresie cristologiche anteriori a Nicea è di difficile presentazione, perché non
ancora del tutto esplorato. Queste, comunque, sono accomunate da un pregiudizio di fondo: far
prevalere la loro precomprensione religiosa o filosofica sulla verità del kerygma dell’incarnazione
del Figlio di Dio e della sua passiona e morte redentrice. Per cui l’inevitabile conflittualità tra dato
biblico e visione culturale viene sempre risolta a spese del kerygma, che subisce mutilazioni,
riduzioni, trasformazioni e indebite accomodazioni a concezioni non cristiane di Dio, dell’uomo e
del cosmo.
Gli ebioniti
Essi consideravano Gesù come semplice uomo. Negavano la sua preesistenza e la sua figliolanza
divina. Gesù quindi, sarebbe stato un semplice uomo, trasformato poi in Cristo al battesimo. La
divinità di Gesù fu negata anche dall’adozionismo.
Gli adozionisti
Essi ritenevano che il Dio unipersonale non aveva un figlio naturale.
Gli gnostici
Essi costituiscono un fenomeno molto articolato, in cui convergono influssi orientali e speculazioni
cosmologiche di matrice cristiana, giudaica e pagana. Gli elementi centrali dei sistemi gnostici
sono il mito caduta-redenzione e il dualismo molto spinto che disprezza la materia e distingue gli
uomini in diverse categorie. Il più importante gruppo gnostico fu quello dei valentiniani.
Lo gnosticismo è dominato da una fantasia sfrenata e da un linguaggio mitologico tanto ricco
quanto sibillino. «Cristo», «Spirito Santo», «Salvatore», «Gesù» possono avere significati diversi a
seconda che si riferiscano alla dimensione alta, intermedia, acontica o terrena della complessa
cosmologica gnostica.
Gli ofiti
Essi, pur accettando il concepimento verginale, per opera dello Spirito Santo, consideravano Gesù
come semplice uomo. A lui si sarebbe unito, al battesimo nel Giordano, il Cristo, Figlio di Dio.
L’incarnazione sarebbe quindi la discesa del Cristo sull’uomo Gesù al battesimo per la salvezza
dell’umanità.
Valentiniani
Tre affermazioni centrali:
- La considerazione di Gesù come semplice uomo
- Unione temporanea di Gesù col Cristo al battesimo del Giordano
- Separazione del Cristo da Gesù prima della passione
Il docetismo
Costituisce una tendenza a sminuire la realtà umana di Gesù, affermndo che il suo corpo sarebbe
appartenente, celeste, angelico, spirituale e negando le azioni indegne della sua divinità, come, ad
esempio, la sofferenza.
I monarchiani
Essi mantengono l’unicità di natura e di persona del Dio veterotestamentario. Essi negano una
personalità distinta in Gesù Cristo, le cui azioni, comprese passione e morte, vengono attribuite al
Padre. Per i monarchiani Padre e Figlio sono nomi correlativi di Dio e la loro distinzione sarebbe
terminologica.
Le eresie furono adeguatamente combattute e superate dagli scritti ecclesiastici dei primi secoli
del cristianesimo, sia orientali che occidentali. Essi fecero prelevare la novità e l’originalità del
kerygma neotestamentario sulla visione filosofico-religiosa della cultura del tempo, la quale, pur
diventando strumento espressivo del cristianesimo, subì un vero e proprio processo di
purificazione e di conversione. La cristologia patristica costituisce la cerniera e l’autentica base di
continuità tra il Cristo biblico e il Cristo della riflessione teologica del dogma.
4. La cristologia conciliare
Significativo al riguardo è il loro esplicito e mutuo richiamarsi prima di procedere a nuovi
pronunciamenti. Siamo prima dei grandi scismi d’oriente e d’occidente.
C. Principi ermeneutici
Abbiamo tre principi ermeneutici in primo luogo una diligente analisi storico-filologica e letteraria
del testo, che permetta di attingere il significato, per quanto è possibile, esatto della formula nel
contesto linguistico del tempo. In secondo luogo una ricerca di eventuali generi letterari
riscontrabili nel testo, dell'ambiente vitale delle dichiarazioni stesse, e dalla storia della loro
redazione. Dall'applicazione di questi principi si ricava la formula cristologica che deve essere
vista non tanto in modo assoluto, ma in relazione alla dottrina deviante cioè l'eresia, alla quale si
riferisce e alla quale risponde in modo solenne definitivo. Perciò essa non può essere considerata
come unica e più perfetta espressione di quel determinato mistero, sia perché non era questa
l'intenzione espressa del concilio, sia perché la forza polemica tende ad accentuare alcuni
elementi a scapito di altri né, d'altra parte, si può pretendere che la formula, così inserita nel suo
contesto, dia una risposta diretta problematiche che esulavano completamente dall'orizzonte di
quella determinata mentalità epocale. Il terzo principio: l'interpretazione delle formule dogmatiche
deve tendere essenzialmente a cogliere in modo sempre più profondo la realtà del mistero divino
rivelato, sia con la comprensione del passato nella prospettiva del presente, sia con l'apertura del
passato del presente all'orizzonte della promessa futura. Il fine dell'itinerario ermeneutico non è
archeologico, ma vitale. Questa importante delicata fase interpretativa consta di due momenti.
Con il primo, il passato viene interrogato alla luce della presente situazione di fede ecclesiale, per
cui tale confronto evidenzia necessariamente aspetti nuovi originali della verità divina rivelata,
facendo emergere virtualità ancora inespresse il secondo, passato e presente nella prospettiva del
futuro, è una conseguenza, da una parte, della storicità dell'uomo, che sposta continuamente in
avanti i suoi orizzonti, protendendosi verso una comprensione futura sempre più adeguata nel
mistero divino rivelato. Non potendo esprimere una volta per sempre la ricchezza totale della
realtà divina, in essa solo tensionalmente indicata
più che compiutamente manifestata, essa resta radicalmente aperta al futuro. L'interpretazione del
dogma può essere completamente azzerata mediante una cristologia meta dogmatica, che punti
esclusivamente sul dato fondante della scrittura. Nella chiesa contemporanea il dato biblico deve
essere necessariamente eletto nell'ambito dell'intera tradizione ecclesiale, che è vita e
comprensione autentica di Cristo nello spirito.
NICEA I (325):
AFFERMAZIONE DELLA VERA
DIVINITA’ DI CRISTO
1. La controversia ariana
Verso il 320, ad Alessandria, il presbitero Mario, cominciò a diffondere un proprio modo di
concepire l'assoluta trascendenza di Dio e la relazione esistente tra il padre il figlio della trinità. Il
documento più antico sulla controversia ariana è una breve lettera a Eusebio di Nicomedia: " il
figlio non è ingenerato né in alcun modo è parte dell'ingenerato, ne deriva da un sostrato; ma per
volere decisione del padre è venuto all'esistenza prima dei tempi e dei secoli, pienamente Dio,
unigenito, inalterabile. E prima di essere stato sia generato sia creato sia definito sia fondato, non
esisteva. Infatti non era ingenerato. Veniamo perseguitati perché abbiamo detto: "il figlio ha
principio, mentre per questo siamo perseguitati perché abbiamo detto: deriva dal nulla". Così
abbiamo detto, in quanto non è né parte di Dio, ne deriva da un sostrato". Erario solo il padre
all'ingenerato. Il figlio è creato a un principio e deriva dal nulla. Sulla scia della tradizione
alessandrina e origini Ana, che considerava il padre, il figlio e lo spirito tre ipostasi, cioè tre realtà
individuali sussistenti, partecipanti dell'unica natura divina, ma distinte tra loro e subordinate l'una
all'altra, a vario accentua in modo esagerato tale subordinazionismo. Ignorando la di tra la
generazione eterna del figlio dal padre e la creazione nel tempo di tutte cose, Arion pose il figlio
dalla parte delle creature.
Crediamo in un solo Dio Padre onnipotente,14 creatore di tutte le cose visibili e in visibili. E in un
solo signore Gesù Cristo, il Figlio di Dio, generato unigenito dal Padre, cioè dalla sostanza del
Padre, Dio da Dio, luce da luce, Dio vero da Dio vero, generato, non creato, consustanziale al
Padre, per mezzo del quale sono state create tutte le cose in cielo e in terra. Egli per noi uomini e
per la nostra salvezza è disceso e si è incarnato, si è fatto uomo, ha patito ed è risorto il terzo
giorno, è risalito al cielo e verrà a giudicare i vivi e i morti. Crediamo nello Spirito Santo.
Quelli che dicono: «C'è stato un tempo in cui non esisteva» o «Non esisteva prima di essere stato
generato» o «È stato creato dal nulla», o affermano che egli deriva da altra ipostasi o sostanza o
che il Figlio di Dio è o creato o mutevole o alterabile, tutti costoro condanna la chiesa cattolica e
apostolica.
5. Il significato di Nicea
A. IL DOGMA DI NICEA
COME INTERPRETAZIONE AUTENTICA DELLA SCRITTURA
I suoi interrogativi riguardano il significato di «Figlio» applicato a Cristo, il rapporto tra il Padre e il
Figlio, e il modo più adeguato di esprimere tale rapporto.
Dal momento che il linguaggio biblico non riusciva più a comunicare l'interpretazione autentica
dell'essere del Verbo, perché anche gli ariani ricorrevano alla Scrittura per le loro tesi erronee,
Nicea rinuncia alla ripetizione equivoca e adotta un nuovo linguaggio. Il nuovo linguaggio
dogmatico è prevalentemente speculativo. Esso tende a spostare l'accento dell'evento Cristo dalla
sua narrazione e proclamazione alla sua spiegazione. La perdita dell'immediatezza biblica viene,
tuttavia, compensata dalla precisione della nuova terminologia.
C. L'ISTANZA SOTERIOLOGICA
Per Ario non era Cristo la vera fonte della salvezza, bensì solo ed esclusivamente il Padre. Cristo
per Aria è un personaggio straordinariamente buono e sapiente, che salva in quanto offre all'uomo
un modello perfetto di vita. Il vescovo Alessandro salvaguardò la sua fede biblica, secondo la
quale la rigenerazione dell'uomo operata dal battesimo presuppone in Cristo una potenza divina in
senso proprio. Solo in quanto figlio di Dio per natura, Cristo può rendere gli uomini figli di Dio per
adozione.
Atanasio: «Se il Figlio fosse creatura, l'uomo resterebbe puramente mortale, senza essere unito a
Dio […]. L'uomo non poteva essere divinizzato rimanendo unito a una creatura, se il Figlio non
fosse vero Dio».
COSTANTINOPOLI I (381)
AFFERMAZIONE DELLA COMPLETA
UMANITA’ DI CRISTO
1. La controversia apollinarista
3. Il simbolo «niceno-costantinopolitano»
Il simbolo poi si affermò come formula battesimale e fu introdotto nella liturgia eucaristica. Il testo
del simbolo di Costantinopoli apparve per la prima volta il 10 ottobre del 451, durante la seconda
sessione del concilio di Calcedonia, quando, su invito dei delegati imperiali, l'arcidiacono Aezio di
Costantinopoli lesse ad alta voce «la fede dei centocinquanta padri».
La soluzione fu fornita nel 1936 da J. Lebon. Nei secoli IV e V, le espressioni «fede di Nicea»,
«simbolo» o «ékthesis (=esposizione) dei 318 padri» più che a un preciso testo letterale, facevano
riferimento al contenuto teologico del simbolo e in particolare a espressioni-chiave della fede
nicena, come l’homooùsios.
In realtà non si dovrebbe parlare dei simboli di N e C, bensì del simbolo di N e C.38 Meglio
ancora, del simbolo niceno-costantinopolitano. Si tratta, infatti, della conferma sostanziale se non
letterale della fede nicena, mediante le necessarie e condivise precisazioni antiereticali, introdotte
in un simbolo di provata ortodossia.
Crediamo in un solo Dio Padre onnipotente, creatore del cielo e della terra, di tutti gli esseri visibili
e invisibili. E in un solo Signore Gesù Cristo, il Figlio unigenito di Dio, generato dal Padre prima di
tutti i tempi, luce da luce, Dio vero da Dio vero, generato non creato, consustanziale al Padre, per
mezzo del quale sono state create tutte le cose. Per noi uomini e per la nostra salvezza è disceso
dal cielo, si è incarnato dallo Spirito santo e da Maria vergine e si è fatto uomo. E stato crocifisso
per noi sotto Ponzio Pilato, ha patito, è stato seppellito, è risorto il terzo giorno secondo le
Scritture, è risalito al cielo, siede alla destra del Padre, verrà di nuovo con gloria a giudicare i vivi
e i morti, e del suo regno non ci sarà fine. Crediamo nello Spirito santo, ch'è Signore e dà la vita,
procede dal Padre, è adorato e glorificato insieme con il Padre e il Figlio, ha parlato per mezzo dei
profeti. Crediamo in una sola chiesa, santa, cattolica, apostolica. Confessiamo un solo battesimo
in remissione dei peccati, attendiamo la risurrezione dei morti e la vita del tempo futuro. Amen
La «Consustanzialità» divina del Figlio col Padre, non più separata dall'affermazione della divinità
dello Spirito Santo.
EFESO (431)
AFFERMAZIONE DELL’UNITA’ DI CRISTO
A. La cristologia del «logos-anthropos»
All'inizio del secolo quinto in oriente si fronteggiano due diverse tradizioni cristologiche. Quella del
logos sarx, di ambiente alessandrino. Cirillo d'Alessandria. E quella del logos-anthropos, di
ambiente antiocheno che ha i suoi rappresentanti più noti in Diodoro di Tarso, Teodoro di
Mopsuestia, Giovanni Crisostomo, Teodoreto di Ciro, Nestorio.
Teodoro di Mopsuestia in Siria, la cui dottrina du condannata postuma nel 553. In questo testo
emergono alcune caratteristiche della cristologia del logos-anthropos, che può essere anche
chiamata la dottrina del logos assumens a dell'homo assumptus. In essa è innegabile la presenza
in Cristo di due soggetti distinti, il Logos è l'uomo, strettamente associati «per congiunzione».
In conclusione la cristologia del logos-anthropos di Teodoro di Mopsuestia intende affermare:
- La perfezione delle due nature in Cristo e soprattutto l’integrità e l’autonomia della sua
natura umana, pregiudicata da Apollinare.
- La distinzione della natura divina dalla natura umana
- Allo stesso tempo la loro unità in Cristo, espressa con la categoria della «congiunzione»
1. Nestorio e l’oikonomia
Nestorio (381-451?) diventò nel 428 patriarca di Costantinopoli. Egli si mostro intollerante non solo
con gli eretici, ma anche con il clero, i monaci, il popolo, sopprimendo feste, teatri, danze e canti.
In questo contesto si inserisce la sua predicazione pastorale, concentrata sull’oikonomia, e cioè
sul mistero di Cristo. La sua predicazione era rivolta contro gli ariani e gli apollinaristi, numerosi
nella capitale dell’impero, per i quali Cristo era solo un essere intermedio e non mediatore
soteriologico. Per Nestorio Cristo, vero Dio ma anche vero uomo, esercita la sua mediazione in
quanto, da uomo perfetto, porta a compimento la vocazione di Adamo. Più che della problematica
cristologica delle due nature, Nestorio è interessato all’aspetto soteriologico dell’opera di Cristo.
D. La cristologia di Cirillo
Il grande oppositore e accusatore di Nestorio fu Cirillo. Fedele alla cristologia alessandrina del
logos-sarx, Cirillo, pur affermando l’integrità della natura umana, dà però l’assoluta precedenza al
Logos divino, l’unico centro di azione in Cristo. Nonostante la sua completezza, la natura umana,
infatti resta uno strumento passivo.
Nella seconda lettera a Nestorio, Cirillo esclama: «Affermiamo così che sono diverse le nature che
si sono unite in vera unità, ma da ambedue è risultato un solo Cristo e Figlio, non perché a causa
dell'unità sia stata eliminata la differenza delle natura, ma piuttosto perché divinità e umanità,
riunite in unione indicibile e inenarrabile, hanno prodotto per noi il solo Signore e Cristo e Figlio».
Il concilio di Efeso
Su richiesta forse di Nestorio, l’imperatore d’Oriente Teodosio II convoca un concilio a Efeso, per
la pentecoste del 431, con lo scopo dichiarato di ridare pace e tranquillità alla Chiesa, turbata dalla
controversia tra Cirillo e Nestorio. Furono invitati tutti i metropoliti dell’impero e, fra gli altri, anche
papa Celestino (422-432).
Iniziò il 22 giugno 431 (dopo il ritardo di alcuni) e la seduta iniziale potremmo dividerla in cinque
momenti:
3. Nestorio decide di non partecipare alle riunioni. Giovenale di Gerusalemme invita a dare
pubblica lettura del Credo di Nicea (Costantinopoli I viene ignorato)
4. Lettura II lettera di Cirillo a Nestorio
5. Lettura risposta Nestorio a Cirillo = anatemizzata da tutti
6. Altre testimonianze
7. Solenne deposizione di Nestorio dalla dignità episcopale, 200 vescovi sottoscrivono
VALORE DOGMATICO: appartiene tutto e solo alla seconda lettera di Cirillo a Nestorio
Proclamazione solenne di Maria come Theotókos.
Il suo significato
SI trattava di scegliere tra due distinte interpretazioni di scuola: quella «unitaria» e alessandrina di
Cirillo, e quella «divisiva» e antiochena di Nestorio. Nella rima ci si chiedeva in che modo il Logos
assumeva vera umanità. La risposta era data dalla formula: unione mediante l’ipostasi. Nella
seconda ci si chiedeva in che modo l’uomo era stato assunto dal Logos. La risposta era che
l’inabitazione del Logos nell’uomo o assunzione dell’uomo da parte del Logos e congiunzione
delle due nature perfette in un solo pròsopon.
Imprecisione di linguaggio:
«Il termine greco di natura (phfsis) non è chiaramente distinto da quello di ipostasi, cioè di
soggetto sussistente concreto, perché ha mantenuto della sua etimologia (phyo, nascere) una
connotazione esistenziale. Per questo Cirillo pensa "una sola ipostasi" ma dice volentieri "una
sola natura", il che è inaccettabile dal suo avversario; e da parte sua Nestorio dice "due nature" e
pensa volentieri "due ipostasi”».
Un linguaggio così sarà precisato nel 451 a Calcedonia.
A. Mariologico
Se in Cristo l’unione tra la natura divina e la natura umana avviene secondo la sussistenza, è
legittimo affermare che il Verbo è realmente nato dalla vergine Maria. I due passi «mariologiici»
più significativi sono entrambi relativi alla generazione del Verbo secondo la carne. Maria viene
considerata «il principio causale della generazione umana del Verbo, poiché è nel suo utero che
Questi unisce a sé la natura ed è da Lei che nasce come primogenito». Nel secondo passo il titolo
di Theotókos viene ancora precisato:
Perciò hanno avuto il coraggio di definire Madre di Dio (Theotókos) la santa Vergine, non perché
la natura del Logos, cioè la sua divinità, abbia cominciato ad esistere dalla santa Vergine, ma in
quanto è stato generato da lei il santo corpo razionalmente animato, unitosi al quale secondo
l'ipostasi, diciamo che il Logos è stato generato secondo la carne».
Theotókos qui significa genitrice del Verbo incarnato». E «generare significa l'intero processo
genetico della concezione e del parto» Con la precisazione, però, che la divinità del Verbo non ha
avuto inizio nel seno di Maria, ma «ha preso da Lei quella natura umana completa che in Lei ha
unita a sé secondo l'ipostasi».
Il concilio le diede il suo fondamento biblico-dogmatico che è il mistero stesso del Verbo incarnato.
CALCEDONIA (451)
AFFERMAZIONE DELL’UNITA’
NELLA DISTINZIONE DELLE DUE NATURE
IN CRISTO
L’HOROS CALCEDONESE
ANALISI LETTERARIA
La definizione è costituita da un solo lungo periodo, dipendente da «insegniamo tutti
concordemente a confessare». Si presenta strutturalmente articolato in tre parti: la prima offre la
sintesi dei concili precedenti; la seconda costituisce l’apporto originale del concilio; la terza
propone il suo essenziale aggancio alla Scrittura e alla tradizione. Anzi il riferimento finale al
«simbolo dei padri» fa inclusione con l’affermazione iniziale «Seguendo pertanto i suoi padri».
4. Il significato di Calcedonia
RECEZIONE DI CALCEDONIA
Grande difensore fu sempre Leone Magno: Epistula 165 è il suo testamento cristologico dopo
Calcedonia
RIASSUNTO FINALE
Schematizzando molto, si potrebbe dire che la teologia alessandrina, ponendo una sola ipostasi,
ne inferiva una sola natura (physis), e che la teologia nestoriana, affermando due nature, ne
deduceva anche due persone (prosopa). Superando queste due teologie e liberando da ogni
equivoco il vocabolario da esse adoperato, il dogma di Calcedonia afferma una persona o una
ipostasi in due nature: il Figlio di Dio è, egli stesso, figlio di Maria; il Verbo incarnato è insieme Dio
e uomo» (Camelot, 140).
COSTANTINOPOLI III (680)
AFFERMAZIONE DELLA VOLONTA UMANA
DI GESU’ CRISTO
1. Il «monotelismo bizantino»
A. Sergio di Costantinopoli
In Cristo unica energeia (operazione) = viene non dalle sue due nature, ma dalla sua unica
persona. Scrive nello psephos (=voto, del 663): «L’espressione «due operazioni» scandalizza
molti, in quanto non è stata pronunciata da neppure uno dei santi ed eletti maestri della Chiesa.
Ne deriverebbe infatti l’affermazione di due volontà che si oppongono l’una all’altra, quasi che il
Dio Logos voglia realizzare la passione redentrice e invece la sua umanità ostacoli e contrasti la
sua volontà, sì che di qui sarebbero introdotti in lui due che vogliono cose contrastanti, il che è
empio, infatti è impossibile che in un unico e medesimo soggetto due volontà contrarie sussistano
allo stesso tempo l’una accanto all’altra. La dottrina salutare dei santi padri insegna apertamente
che in nessuna occasione la sua carne razionalmente animata ha fatto sentire la sua inclinazione
naturale separatamente e per proprio impulso in contrasto con la decisione del Dio Logos unito a
lei secondo l’ipostasi, ma solo quando come e quanto ha voluto il Dio Logos».
Ipotesi delle due volontà al momento dell’agonia, per cui il rifiuto del calice viene visto come
espressione della sua volontà umana. Ma l’ipotesi di due volontà contrastanti nel Cristo
renderebbe impossibile la sua unità ipostatica da cui emerge la negazione delle due volontà e
quindi della volontà umana. Il rifiuto della Passione da dove viene allora? È solamente inclinazione
naturale della carne. Sergio, cioè, non riesce a vedere nel Cristo una volontà umana non contraria
alla volontà divina e, nel caso preciso dell’agonia, una volontà umana che intenda compiere la
passione redentrice. Per lui, il rifiuto della passione non è manifestazione di una volontà umana,
ma solo «inclinazione naturale» della carne.
L’asse ontologico, riguardante l’essere di Gesù Cristo, l’affermazione cioè della sua persona e
delle sue due nature e volontà, è tutto in funzione dell’asse storico- soteriologico della redenzione
dell’uomo, attuata attraverso il mistero della sua passione e morte. Mistero accettato liberamente
e in somma obbedienza dalla volontà umana del Cristo.
La quarta parte:
[…] sono due le sue nature che rifulgono nella sua unica ipostasi, nella quale non in
apparenza ma in verità egli ha fatto vedere sia i miracoli sia i patimenti durante tutto
il tempo della vita terrena […] glorifichiamo due volontà e operazioni naturali che
concorrono l’una con l’altra alla salvezza del genere umano.
Mettendo a frutto l’approfondimento di Massimo, il concilio rileva che in Gesù la volontà umana è
in perfetto accordo con quella divina, dal momento che come uomo Gesù accetta e compie la
volontà del Padre, che è anche sua in quanto Verbo.
In unico soggetto ci sono due operazioni naturali:
- I miracoli (natura divina)
- Le sofferenze (natura umana)
Lo scopo soteriologico è che insieme concorrono alla salvezza del genere umano.
L’INCARNAZIONE
COME EVENTO CRISTOLOGICO
1. Il fine dell’incarnazione
Due tesi:
- Tesi redentiva o soteriologica (Tommaso):
«È meglio dire che l’opera dell’incarnazione è stata disposta da Dio a rimedio del peccato,
di modo che, non esistendo il peccato, non ci sarebbe stata l’incarnazione». La potenza di
Dio non è però coartata entro questi termini: Dio infatti avrebbe potuto incarnarsi, anche se
non ci fosse stato il peccato».
- Tesi perfettiva o cristologica (Duns Scoto):
«Sembra molto irragionevole che Dio tralasci di fare un’opera così eccelsa [l’incarnazione]
a causa della buona condotta di Adamo, e cioè se Adamo non avesse peccato. E non si
può ammettere che un bene così elevato sia occasionato nelle creature unicamente a
causa di un bene minore».
L’evento Cristo ha in se stesso, indipendentemente dalla caduta iniziale, il compito di condurre
dinamicamente al suo compimento la storia dell’uomo e del cosmo.
«Libera scelta divina (fatta prima della creazione del mondo) di chiamare l’uomo ad
una comunione con lui in Cristo. Per questo la creazione porta con sé un’intenzione
soteriologica che incomincia a realizzarsi all’inizio della storia umana, la quale fin dal
primo momento è storia salvifica».
Teilhard de Chardin: graduale unificazione di tutte le cose in Cristo. Il suo Cristo Cosmico-
Universale, polo di attrazione di tutto il processo evolutivo e fine ultimo della storia e del mondo,
ha le sue radici in:
Col 1,15-20 = primato cosmico di Cristo
Ef 1,10 = ricapitolazione di tutto in Cristo
Rm 8,17-23 = redenzione dell’universo, conseguenza della redenzione dell’uomo
Moltmann: sovrabbondanza di grazia: il Figlio con la sua incarnazione realizza la vera umanità, la
vera icona dell’uomo conforme al piano di Dio. Il Figlio di Dio si fa uomo «per portare a
compimento la creazione. Per cui il Figlio di Dio si sarebbe fatto uomo anche se il genere umano
fosse rimasto senza peccato».
Galot: «Dio non ha voluto né creazione né universo che nell’unità del Cristo. Da prima della
creazione, Dio premeditava un’umanità redenta dal Cristo, posta sotto il suo potere vivificante».
2. La preesistenza del Verbo
La preesistenza del Verbo, dato originale del NT, è evocata dalle seguenti
affermazioni:
1. Elezione e predestinazione eterna di Gesù (Eb 1,3-7,10s; 1Pt 1,20)
2. Missione del Figlio nel mondo (Gal 4,4; Rm 8,3s; 1Tm 3,16; Gv 3,16s)
3. Sua kenosi nell’incarnazione-morte-esaltazione (Fil 2,6-11)
4. Presenza e opera nascosta di Cristo nella storia del popolo eletto (1Cor 10,1-4; Gv 1,30;
8,14.58)
5. Mediazione nella creazione e nella conservazione del mondo (1Cor 8,6; Col1,15ss; Gv 1,1-
3; 17; Eb 1,2s)
6. Primato cosmico e universalità della redenzione come nuova creazione (Col1,15s; 1Cor
8,6; Eb 1,2s; Gv 1,2)
7. Esaltazione come sottomissione delle potestà malefiche (Fil 2,10; Col1,16.20)
1. Il dato biblico
1. Signore, tu sai tutto: conoscenza dall’alto in Gesù nei confronti del Padre e della sua
missione. Egli sa che l’ora è giunta, sa che il Padre gli aveva dato tutto nelle mani e che era
venuto da Dio e a Dio ritornava. Sulla croce esclama: tutto è compiuto. Questo drammatico
anticipo del tempo è indizio di una misteriosa ma reale padronanza che Gesù aveva della
sua vicenda storica, vista e letta interamente nella mente del Padre.
2. Il Figlio lo ha rivelato: Amen, Amen: in verità in verità vi dico. Questa espressione traduce la
certezza divina che egli ha dell’assoluta verità delle sue dichiarazioni, dal momento che
invece di muoversi nell’universo della fede egli ha l’evidenza di ciò che dice. Gesù è quindi
in persona l’Amen, il Testimone fedele e verace, l’affermazione ultima e definitiva del
Padre.
3. Conoscenza mutua tra il Padre e Figlio: Mt 11,27 = nessuno conosce il Padre se non il
Figlio e colui al quale il Figlio lo voglia rivelare.
4. La trasfigurazione: come luce egli manifesta il mistero di Dio. La luce che è Gesù non è
quella profetica ma quella stessa di Dio, che si manifesta anche nella sua umanità. La
categoria teologica della visione beatifica nel Cristo prepasquale non sembra quindi del
tutto inadeguata per la comprensione della coscienza che Gesù ha di essere nel Padre.
D. Il celibato
Gesù scelse la verginità non in nome di un ideale o come mezzo per realizzare qualcosa: egli
scelse semplicemente di essere se stesso.
Chi compie la volontà di Dio è mio fratello, sorella e madre: Gesù crea una nuova realtà, proclama
e crea una parentela non da un’unione carnale, ma dall’impegno nel compiere la volontà di Dio. Si
tratta di una nuova nascita spirituale. Ed è questo legame originale che il Cristo vergine instaura
con la sua incarnazione e con la sua obbedienza fino alla morte di croce alla volontà del Padre.
Valore escatologico: segno dell’autentico destino dell’uomo. Nella risurrezione il profondo anelito
alla relazione interpersonale intima e gratificante con gli altri - fine della sessualità umana – è
pienissimamente placato da Dio. Di qui viene ulteriormente illuminata la piena libertà di Gesù nei
confronti delle donne, il suo comportamento sereno, del tutto privo di tratti misogini, senza
atmosfere equivoche, ma in una limpidezza di relazione.
Cristo Sposo: richiamo al mistero della passione e morte. Il culmine della missione e del celibato
per il regno è il sacrificio, in cui si consuma la sua perfetta umanità e verginità. Il celibato di Gesù
trova il suo profondo significato.
2. La risurrezione
La risurrezione non è la conseguenza della fede dei discepoli, ma la CAUSA
Erano tristi
Scettici, increduli, duri di cuore
Dubbiosi
Spaventati
RISURREZIONE: FATTO DALL’ALTO, che ha RISVOLTI STORICI DECISIVI per la prima
comunità Cristiana
Non è realtà create dai discepoli per frode o per allucinazione o per conversione post-pasquale
agli insegnamenti del Cristo.
FATTO STORICO: in quanto solidamente e conformemente attestato dalle fonti neotestamentarie
È un AVVENIMENTO VERAMENTE ACCADUTO: anche se si tratta di un evento essenzialmente
trascendente e metastorico, essa mantiene un solido aggancio con la storia.
È un atto Gratuito LASCIARSI VEDERE
FEDE DEI DISCEPOLI su un duplice fatto:
Apparizioni del Risorto
Tomba vuota
3. L’ascensione
A. È risalito al cielo
Due precisazioni:
La vita eterna di Dio non significa inerte «atemporalità», senza alcun influsso nel tempo.
Dio non può rimanere prigioniero della sua eternità. Per questo la vita divina del Cristo
risorto deve essere vista come «la forza creatrice e sostentatrice d’ogni tempo, la
componente che racchiude nel suo perenne ed unico presente il fluire del tempo,
rendendone possibile l’esistenza
Il cielo di cui si parla nell’ascensione non è un luogo fisico: è la vita stessa, personale e
realissima della comunione trinitaria.
B. Il fondamento biblico
Estrema concisione teologica; precisi richiami all’assunzione di Elia (2Re 2,11) e
all’intronizzazione messianica (Sal 110,1). L’assunzione viene vista come l’ingresso definitivo di
Gesù con la sua umanità nell’onnipotenza divina. Il «sedere alla destra» è immagine
veterotestamentaria che indica la partecipazione del Cristo risorto alla potenza regale di Dio.
o LUCA: la sera stessa della risurrezione, dopo l’apparizione di Gesù nel cenacolo
o GIOVANNI: mattino della risurrezione: va’ dai miei fratelli e di’ loro: Io salgo al Padre
mio
o e Padre vostro, Dio mio e Dio vostro
o ATTI: 40 giorni dopo la risurrezione
C. Significato teologico
Nessun evangelista dubita della realtà dell’evento: Luca lo presenta due volte in maniera diversa
per mettere in rilievo soprattutto il suo contenuto teologico:
INGRESSO DI GESÙ NELLA SUA DIMENSIONE DIVINA CON LA SUA UMANITÀ RISORTA:
l’ascensione è il ritorno al Padre. Fatto trascendente, non è un cammino visibile.
Il fatto dell’ascensione, collocandosi nell’ambito di una apparizione del Cristo risorto, è da
interpretare in riferimento alla risurrezione. Per questo, mentre la glorificazione di Cristo è un
evento unico trascendente e pienissimo, la sua manifestazione nel tempo è invece plurima. Pur
trattandosi della stessa complessa realtà, le sue espressioni storiche – apparizioni, ascensione,
pentecoste – sono diverse, parziali e complementari.
Anche il «silenzio» di Matteo sull'ascensione sembra avere un suo preciso significato. Per
l'evangelista l'ascensione fu un evento «invisibile per gli uomini, che si realizzò in rapporto alla
risurrezione”. Più che ignorarla o, ritenerla secondaria, egli intese affermare la presenza continua
di Gesù fra i discepoli anche dopo la risurrezione. Pur risorto, Gesù non diventa l’assente, ma
rimane sommamente presente tra i discepoli. Matteo (evangelista dell’attesa escatologica)
interpreta la vita del cristiano in attesa della parusia come una esistenza già in compagnia con lui.
In Marco, subito dopo l’ascensione, i discepoli «partirono e predicarono dappertutto, mentre il
Signore operava insieme con loro e confermava la parola con i prodigi che la accompagnavano»
(Mc 16,20).
L’ascensione è quindi un Mistero di trasformazione intima: fino allora Gesù si era mosso incontro
al mondo in forma visibile e sensibile; da quel momento misterioso egli si muoverà ancora
incontro, ma nella persona dei suoi credenti.
L’ascensione non è un perdersi di Gesù nell’immensità del cielo, ma una sua piena immersione
nella comunità dei suoi discepoli.
Ascensione come evento escatologico, ritorno al Padre e aspetto cosmico e sacerdotale.
5. La pentecoste
A. Mistero Pasquale e pentecoste
Nel NT abbiamo due grandi tradizioni relative alla promessa e al dono dello Spirito, quella
giovannea e quella lucana. Nel Quarto Vangelo, al preannuncio del Consolatore, fa seguito il dono
dello Spirito sia sulla morte, quando Gesù «rese lo spirito», sia durante la sua apparizione ai
discepoli il giorno stesso di Pasqua: «Ricevete lo Spirito Santo». In S. Luca, dopo la promessa, ci
sono cinque descrizioni della manifestazione e della discesa dello spirito santo.
• At 2,1-11
• 4,31-32
• 8,14-17
• 10,40-46
• 19,1-7
La pentecoste ha quindi come contenuto il mistero pasquale, ma in quanto rivelato e comunicato
pienamente nello Spirito.
B. Significato «pneumatologico» dell’evento Cristo
L’evento Cristo, dalla concezione alla pentecoste, è sotto il segno dello Spirito Santo. La
redenzione è un’unica opera quasi con due tempi di realizzazione: un tempo cristologico, dato
dall’unico e plenario sacrificio redentore di Cristo, e un tempo pneumatico, che consiste
nell’applicazione per noi della vitalità di questo sacrificio.
8. CTI 1996
Gesù, luce del mondo, illumina tutta l’umanità, per cui anche fuori della
Chiesa è presente la sua luce sotto forma dei «semina Verbi»:
1) L’intera umanità si salva solo in Gesù Cristo: chiara pretesa di universalità del cristianesimo
2) Unità personale del Logos con Gesù di Nazareth
3) Dottrina del Logos spermatikos
4) La salvezza è legata all’apparizione storica di Gesù
5) Ogni altra possibilità di mediazione salvifica ha la sua fonte costitutiva nel mistero
dell’incarnazione di Cristo: per cui le molteplici vie, spesso misteriose di salvezza dovute
alla volontà salvifica universale di Dio e all’azione dello Spirito Santo, non possono non
essere in relazione con il mistero di Gesù
6) Dal momento che Gesù è l’unico mediatore, la salvezza è unica ed è la stessa per tutti gli
uomini. Non ci possono essere vie per andare a Dio che non confluiscano nell’unica via che
è Cristo.