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Kafka – Davanti alla legge - 1914

"Tutto è fantasia: la famiglia, l'ufficio, gli amici, la strada, tutto fantasia, lontana o vicina; ma la
verità più prossima è che tu premi la testa contro il muro di una cella senza finestre e senza porte".
F. Kafka, 1921.
Trama
La parabola raccontava la storia del custode della porta della Legge e di un uomo venuto dalla
campagna. “A questo custode si presenta un uomo venuto dalla campagna e prega di essere
ammesso alla Legge.”. Il custode disse all’uomo che per il momento non può farlo entrare, forse più
tardi. L’uomo di campagna allora si sedette davanti alla porta e aspetta, giorni e anni, affinché il
custode lo facesse entrare. Ma passano, giorni e anni, il custode non lo fa entrare, fino a quando
l’uomo di campagna, prima di morire, chiese al custode: “Tutti tendono alla Legge, – dice l’uomo,
com’è possibile che in tanti anni nessuno oltre a me abbia chiesto di entrare?”. Il custode gli
rispose: “Qui non poteva entrare nessun altro perché quest’ingresso era destinato solo a te. Adesso
vado a chiuderlo”.
Alienazione
 «[…] magari scoprire addirittura degli errori dai quali ora K., sul lavoro, si sentiva
minacciato da mille parti, sempre, e che non riusciva più a evitare.»
 «[…] declinare un incarico significava confessare la sua paura. Per questa ragione accettava
gli incarichi con apparente impassibilità e una volta che dovette fare un faticoso viaggio di
due giorni nascose persino un serio raffreddore, solo per non esporsi al rischio che lo
trattenessero dal viaggio con il pretesto di un'insistente pioggia autunnale.»
 «K. si accorse con grande imbarazzo di capire l'italiano solo a tratti. Se quello parlava con
calma lui lo capiva quasi perfettamente, ma erano solo rare eccezioni, per lo più le parole gli
uscivano di bocca a fiotti, e scuoteva la testa come se ne godesse.»
 «Quando parlava così finiva regolarmente con l'ingarbugliarsi in un qualche dialetto, che per
K. d'italiano non aveva più niente, ma che il direttore non solo capiva bensì anche parlava,
cosa che K. avrebbe del resto potuto prevedere, perché l'italiano veniva dal sud dell'Italia,
dove anche il direttore aveva trascorso alcuni anni. Comunque, K. riconobbe che la
possibilità d'intendersi con l'italiano era in massima parte perduta»
Parliamo dell’alienazione di Kafka da quel mondo borghese a cui da un lato sembra aspirare
(matrimonio ecc.), ma dall’altro cerca di evitare perché questo non gli avrebbe permesso di fare
letteratura, inoltre il matrimonio lo avrebbe avvicinato alla figura del padre. Sempre ambivalente
poiché nella Lettera da un lato sembra ammirarlo ma con la consapevolezza che lui non sarà mai
così. Inoltre, lui faceva parte del cosiddetto triplice ghetto, quindi esclusione dalla società anche dal
punto di vista culturale perché apparteneva a una minoranza.
Alienazione che comunque pervade il panorama del ‘900, perché si va incontro a una società
industrializzata, l’arte viene percepita come un prodotto, perde progressivamente valore artistico.
Donne
 «Cerchi troppo l'aiuto degli altri», disse il sacerdote in tono di biasimo, «e soprattutto quello
delle donne. Non ti accorgi che quello non è il vero aiuto?».
 «Qualche volta, anzi spesso, potrei darti ragione», disse K., «ma non sempre. Le donne
hanno un grosso potere. Se riuscissi a convincere certe donne che conosco a lavorare tutte
insieme per me, dovrei spuntarla. Specie con questo tribunale, composto quasi
esclusivamente di donnaioli. Fa' vedere da lontano una donna al giudice istruttore e quello
travolgerà banco e imputato pur di arrivare a tempo»
Le donne: Il processo è pieno di donne, il cui beneficio Josef K non smette di elogiare, “mani di
donna sbrigano molto in silenzio”. Nel Processo la donna è sempre simbolo di seduzione. Agli
occhi di Kafka le donne corrispondono ad una misteriosa apparizione che non si riesce mai a ridurre
a una tipologia, ad un carattere o ad una personalità. Sono creature imprendibili, ne rimane sempre
ammaliato e vi si avvicina con la stessa sollecitudine. Le segue e le rincorre non per collezionarle,
bensì per un risveglio di coscienza: nelle effusioni che egli condivide con loro vi è una ricerca di
amore e di consapevolezza del mondo. Tale spiegazione e motivazione è individuabile in una lettera
a Oskar Pollak, in cui scrive “Ho la sensazione che le ragazze ci tengano molto in alto, perché sono
leggere, per questo dobbiamo amarle e per questo è consigliabile loro ci amino”.
La domanda sorge spontanea: se K., e quindi il suo autore, tiene in così alta considerazione le
donne, perché non si è sposato? Giuditta Lo Russo, in un suo saggio Uomini e Padri: l’oscura
questione maschile, potremmo concludere che in effetti il rifiuto del matrimonio non fosse dovuto o
ricollegabile alle donne e alla sessualità, quanto al senso di inadeguatezza che Kafka viveva
costantemente con sé stesso (la scarsa stima di sé derivante dall’atteggiamento del padre). Ciò lo
portava a pensare di non essere all’altezza nemmeno del matrimonio stesso.
Nichilismo – Esistenzialismo
 «Il tribunale non ti chiede nulla. Ti accoglie quando vieni, ti lascia andare quando vai.»
 «Se sulle prime lui non capiva l'italiano, che non si lasciasse confondere, la comprensione
sarebbe venuta presto, e anche se non avesse capito molto, non era poi tanto grave, perché
all'italiano non importava affatto di essere capito»
 «Hai un po' di tempo per me?», chiese K. «Tutto il tempo che ti serve», […]. «Sei molto
gentile con me», disse K., […]. «Sei un'eccezione fra tutti quelli del tribunale. Ho più
fiducia in te che in qualsiasi altro di loro, quanti ne conosco. Con te posso parlare
apertamente». «Non illuderti», disse il sacerdote.
TANTO AFFANNARSI VERSO UN OBIETTIVO CHE NON SI RAGGIUNGERA’ MAI.
L’uomo di campagna che si affanna nel raggiungere una verità, una legge mai possibile da
raggiungere.
L'esistenzialismo, di cui Kafka si fa precursore, è quel movimento culturale che si diffonde in
Europa tra le due guerre mondiali. Nasce quindi da un’atmosfera figlia della tragicità delle due
guerre. Sostiene una posizione nichilista: dal nulla veniamo, al nulla andiamo. Insiste sul carattere
precario e finito dell’individuo, sull’insensatezza, l’assurdo, il vuoto che caratterizzano la
condizione dell'uomo moderno, oltre che sulla «solitudine di fronte alla morte» in un mondo che è
diventato completamente estraneo e ostile. Nasce dalla crisi delle coscienze che si ebbe
nell’immediato dopoguerra e dalla presa di coscienza degli orrori della Prima guerra mondiale.
Perdita dei riferimenti dell’uomo> Josef vede nella figura del sacerdote una figura di riferimento di
cui potersi fidare e chiedere consigli “secondo te andrà bene?”, “Sei gentile” ecc. Si affida a lui in
un certo senso.
Allegorismo vuoto- esistenzialismo-stile
L’esistenzialismo che pervade l’opera, ha un risvolto anche nello stile>allegoria vuota
La nozione di “allegoria vuota” è stata proposta da Walter Benjamin nel libro edito in italiano con il
titolo Il dramma barocco tedesco, composto fra il 1923 e il 1925. Progressivamente il regno del
significato, diventa sempre più difficilmente accessibile, allora si dice che l’allegoria si svuota. Nel
Novecento, questo processo giunge al suo culmine.
Come ogni autore allegorico, Kafka rappresenta una vicenda per "dire altro"; ma questo "altro" resta
indecifrabile e dunque indicibile.» Si tratta di parabole di cui è stata sottratta la chiave. Il fatto che
l’allegoria sia vuota, non vuol dire che essa non significa nulla, ma semplicemente che la chiave
non è data, e non per questo è privata del proprio statuto di allegoria. Vorremmo sapere
perché  Gregor si trasforma in insetto, ma come non lo sappiamo noi, non lo sa egli
stesso. Vorremmo sapere qual è la colpa di Josef, ma non lo sappiamo e non lo sa neanche lui.
Spesso l’allegorismo vuoto, praticato soprattutto dalle avanguardie letterarie e artistiche, denuncia
l’indecifrabilità e la mancanza di significato dell’esistenza moderna.
Alla base di questa visione dell'esistenza ci sono radici psicologiche (il complesso rapporto di
Kafka con il padre), culturali (il senso di esclusione legato alle origini ebraiche di Kafka,
l'obbedienza mistica a una Legge inaccessibile alla ragione moderna), professionali (la sua attività
di impiegato di inserisce in un'atmosfera di spersonalizzazione, frustrazione e anonimato molto
diffusa nel Decadentismo).
Critica al potere burocratico
Molti critici individuano dietro alle descrizioni di Kafka, la rappresentazione ironica, priva di
compassione, di alcuni tratti di quella amministrazione della quale era parte.
Nell’intera produzione kafkiana si rispecchierebbe la società asburgica nella fase del suo declino,
con la sua burocrazia lenta, elefantiaca, in cui le pratiche negli uffici pubblici subiscono
interminabili rinvii e assurde complicazioni, o l’emanazione di un potere imperscrutabile, da
individuare nella figura del padre di Kafka. L’interpretazione oggi più a portata di mano è quella
che vede nella legge i principi assurdi e disumani della psiche, incomprensibili alla ragione e
indecifrabili, dove regna l’incertezza e la fiducia nella giustizia e certezza del diritto vengono messe
a dura prova.
Questo mentre intere vite vengono intralciate, si consumano, vengono ingiustamente colpevolizzate.
Kafka è il primo scrittore ad aver avvertito, ponendolo al centro della sua intera produzione
letteraria, quello che Walter Benjamin, avrebbe definito lo stato d’eccezione elevato a regola.
Kafka descrive l’estrema esposizione/vulnerabilità delle nostre vite a un potere inesorabile, che
non ammette deroghe né eccezioni. È il potere stesso a imporsi quasi come uno stato di natura. Il
tribunale è dappertutto. La burocrazia, in effetti, plasma la nostra intera esistenza, sia quella
privata sia quella pubblico-lavorativa e dispone di noi in ogni singolo istante.
La parabola prende in considerazione il problema di questa incomunicabilità tra il potere, la
verità, la legge e l'individuo>è simbolico lo scarto di dimensione tra l’uomo e il guardiano:
L’uomo diventa sempre più piccolo e insignificante man mano che il tempo passa, quindi la sua
dimensione rispetto al palazzo della Legge risulta ridotta
Il guardiano gli dirà che l'ingresso era destinato soltanto a lui, e quindi> AMBIGUITA’
>Il guardiano ha detto la verità all'uomo o lo ha ingannato? Si può accedere alla verità? é lecito
arrivare nelle stanze della legge, del potere? Tuttavia, il guardiano non usa la forza per proibire
l'ingresso, non gli si mette mai davanti come ostacolo insormontabile assoluto: fa sì che sia l'uomo
stesso a decidere di non entrare, come a renderlo vittima della propria inerzia e remissività
Kafka usa il tempo presente con il quale esprime una condizione oggettiva, perenne che è quella
dell'uomo fermo alla soglia di una verità, che non riesce o non vuole o non può cogliere
non entrando nel luogo della legge, l'uomo di campagna rimane nello spazio esterno, che comunque
non è quello del quale lui proviene cioè la campagna rimane in una specie di limbo, non è né di là
né di qua, rimane in un luogo di attesa, uno spazio vuoto, come uno straniero>quindi questo senso
di estraneità di non appartenenza che si ha al mondo moderno, soprattutto quando ci si mette in
rapporto con la burocrazia, con il potere costituito.
Il tempo passa, la vita scorre: aspettarsi una felicità che non arriva perché nella giustizia, nel potere,
dovremmo vedere anche il garante della felicità, felicità che non arriva> che si traduce in un’infinita
attesa e che conduce poi alla morte, sia quella del contadino che di Josef per riflesso, che rimangono
bloccati in questa attesa infinita a causa della burocrazia e del potere costituito.
E c’è qualcosa di sospeso anche alla fine del dialogo col prete: “Il Tribunale non vuole niente da te.
Ti accetta quando vieni e ti lascia andare quando vai”. Cioè ti lascia libero, non ti costringe; ma
questo non è privo di conseguenze, la cui responsabilità ricade su di te. In fondo non gli importa
nulla di te, al Tribunale: spontaneamente non fa nulla per te, per avvicinarsi a te (anzi questo
aspettarsi che ti venga incontro è una delle tue colpe). Aspetta che sia tu a compiere il primo passo;
aspetta che tu ti avvicini a lui, ma non muoverà mai un passo verso di te, non ti cercherà, anche se
vede che stai male (e deve vederlo, dato che ha occhi dappertutto).
Tema del giudizio>metafora concretizzata
Questa parabola resta una sorta di estrema sintesi del romanzo, ma insieme esprime un motivo tra i più
decisivi dell’intero mondo kafkiano: come osserva Steiner, può esser considerata “il nucleo del romanzo e
della visione di Kafka”

Il tema della giustizia, come indica il titolo stesso, in Kafka è molto frequente. Secondo Baioni, la
colpa dell’uomo di campagna, e per transitività anche di Josef, sta nel fatto di non capire che la
legge in realtà non esiste. È l’esperienza della legge che noi conosciamo. La legge in sé non è
tangibile, è stata formulata, esiste, viene rispettata da tutti, ma è un’astrazione. La legge diventa
legge concreta quando ci comportiamo secondo la legge o infrangendo la legge, quindi il vero
significato della legge, a cui l’uomo di campagna aspira di conoscere, in realtà non esiste perché sta
nella nostra condotta.
Secondo Baioni, non ci può essere una vera conoscenza esperienziale della legge, ma soltanto una
conoscenza della condotta, dell’esperienza della legge. Cioè non una conoscenza diretta. L’uomo,
quindi, dovrebbe rinunciare a conoscere qualcosa che non può conoscere, e bisognerebbe soltanto
accettare di vivere secondo i dettami della legge senza sforzarsi di accedervi.
Nella parabola non c’è un insegnamento, a dimostrare che appunto non esiste una legge e che tutte
le verità sono possibili perché non ne esiste una sola.
Per cui, per riflesso Josef, dovrebbe rinunciare a cercare di capire qual è il processo contro di lui,
per poter vivere un’esistenza più normale> riporta discorso “non faceva che pensare al processo”
ecc.> parliamo di metafora concretizzata, cioè di quella radicalizzazione dei fatti: In questo caso
Josef, che si sente accusato, si trasforma nell’accusato per eccellenza. Il meccanismo è lo stesso
cioè estremizzazione, enfatizzazione di una condizione che in quanto tale precipita e diventa realtà.
Per questo motivo consideriamo Kafka un esponente dell’Espressionismo, cioè la realtà viene
trasfigurata secondo la nostra percezione. Allora se io mi percepisco parassita, mi trasfiguro e mi
trasformo in parassita, percepisco il mio senso di colpa, sono colpevole, mi trasformo in colpevole.
Questa parabola si rivela in qualche modo profetica> quando il prete dice che secondo lui finirà
male, riporta il discorso. Infatti, essa conduce al 10 capitolo in cui assistiamo alla morte di Josef.
È da tenere ben presente l’intento con cui la parabola è raccontata: si tratta di distogliere Josef K. da ogni
possibile illusione sul conto del Tribunale. Gli si deve mostrare che non deve sperare di penetrare nella
legge, che gli si renda giustizia dunque, che si riconoscano le sue ragioni. Davanti alla legge vuol mostrare
l’insensatezza delle illusioni che reggono il comportamento di Josef K.: la sua insistenza nell’indagare, per
venire a sapere quale colpa abbia commesso e potersi poi difendere con cognizione di causa

Se non ha saputo o potuto entrare, è lui la causa del suo male, non è per un impedimento esterno. Solo la
rinuncia a ogni pretesa, un atteggiamento di accettazione lo avrebbe aiutato a entrare. Non è stato
ingannato. Piuttosto, si è autoingannato e ha ingannato altri (il portiere).

“L’errore di Josef K. consiste in ciò, che egli persiste nella sua ragione umana invece di sottomettersi
incondizionatamente. Persiste nella sua caparbietà, compone incessantemente la sua petizione, nella
quale, giorno dopo giorno vuole provare inequivocabilmente il suo alibi umano. Tutti questi sforzi e ‘mezzi
legali’ cadono in un enigmatico vuoto, non giungono sino alle elevate istanze, attorno a cui ruotano. Il
contatto dell’uomo con questo mondo incommensurabile, burrascoso e divergente, rimane pur sempre il
non comprendersi, lo schivarsi, il cieco colpire fuori misura”.

Leni, ricordiamo, non a caso rimprovera Josef K.: il suo “errore”, dice, è di non essere “abbastanza
arrendevole”

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