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Meditazioni metafisiche

Introduzione (Landucci)

1. La “metafisica” in Cartesio
Cartesio si dedica alla metafisica quando si stabilisce in Olanda, a cavallo quindi tra il 1628 e il
1629. Sappiamo che voleva dedicarsi a questo argomento una volta stabilitosi in un posto
tranquillo, lontano dall’Europa insaguinata dalla guerra dei 30 anni e perché l’Olanda era il paese
in cui c’era maggiore libertà intellettuale in Europa).

Attua nelle meditazioni una finzione: scrive al presente e si trova in inverno.

Già nel 1619 cartesio aveva optato per la nuova scienza, allora agli inizi, voltando le spalle sia alla
tradizione scolastica sia a quella delle filosofie del rinascimento (che erano all’ordine del giorno).
Si era proposto di iiziare dalla ricerca preliminare di quale via seguire, il metodo, assumendo a
modello l’unico sapere esistente a cui si potesse riconoscere dignità di scienza e cioè la
matematica, tuttavia non senza una previa riforma proprio della stessa matematica.

Questo programma fu realizzato nell’”Algebra”, compiuta nel 1628 (pubblicata poi con il titolo di
“Geometria” nel 1637, nel volume in cui la premessa sarà il “Discorso sul metodo”), quindi una
disciplina nuova, con il nome di geometria analitica. Contemporaneamente si era dedicato al
metodo in generale e questa ricerca pian piano si era trasformata in una indagine epistemologica
che viene raccolta nel testo “Regole per la guida dell’intelligenza nella ricerca della verità”. Di
questa opera però cartesio abbandona la stesura nel 1628.

Anche al compimento delll’Algebra seguì l’abbandono della matematica pura (a fine 1629 cartesio
si dedica solo alla fisica). Quindi il congedo dalla matematica e l’abbandono delle Regole sono
contemporanei. Il congedo era motivato dalla convinzione che, dopo l’algebra, non avrebbe
scoperto niente di più, se si fosse occupato solo di matematica. A cosa si volge dunque?

Nel Discorso sul metodo dice che nei nove anni precedenti non aveva ancora fatto nulla in
“filosofia” per costruirne una nuova, da sostituire a quella comune (cioè la tradizione scolastica).
Si risolse a farlo nel 1628, appunto, cominciando con lo stabilirsi in Olanda.

Effettivamente una volta in Olanda si era dedicato alle sue “prime meditazioni”, che erano
metafisiche (ne segue un riassunto che costituisce la 4 parte del Discorso sul metodo - la prima
esposizione pubblica della sua metafisica. La quarta parte era stata aggiunta da ultimo, in fretta e
furia. Le meditazioni nascono come modo per rimediare all’infelice uscita del Discorso, che aveva
ricevuto critiche (vd anche “Prefazione per il lettore” nelle Meditazioni. Le discussioni epistolari
sono del 1637-1638, mentre risale all’inizio del 1639 la scelta di concentrarsi tutto in un’opera
monografica di metafisica).

Il trattato di metafisica di cui si occupa dal 1628 al 1629: è un trattato in latino che contiene
dimostrazioni dell’esistenza di dio e della spiritualità dell’anima (i due oggetti per eccellenza della
metafisica). Di queste dimostrazioni sappiamo che le considerava superiori per certezza a quelle
matematiche. Con questo non vuole diminuire la certezza delle dimostrazioni matematiche, ma
sostenere che la verità matematica, complessivamente considerata, ha bisogno di essee garantita
da una metafisica che ad essa sia adeguata.

La certezza è il contrario del dubbio: capiamo che per Cartesio bisognava iniziare mettendo in
dubbio anche le verità matematiche e poi, eventualmente, superarlo. L’unico modo per superare il
dubbio era la dimostrazione della “veracità” di Dio: non può darsi che ci inganniamo
sistematicamente; in questo caso sarebbe fallace la nostra stessa natura, saremmo fatti male. Dal
momento, però, che ci ha fatti Dio, sarebbe però allora come se fosse Dio stesso ad ingannarci, il
che però è incompatibile con la “perfezione” che gli appartiene e quindi è impossibile che si dia
mai.

Prima di aver dimostrato che siamo creature di un Dio “verace”, dobbiamo evitare l’angosciante
interrogativo del se per caso non siamo vittime della nostra stessa natura. Niente infatti ci
garantisce ancora che all’evidenza corrisponda davvero la verità. L’evidenza è infatti soggettiva: è
evidenza per noi; la verità è oggettiva e vale indipendentemente da noi.

Non siamo per ora in grado di escludere che il nostro creatore si sia preso gioco di noi (o che
siamo il prodotto di una natura cieca). Questo è il “dubbio maggiore” per cartesio, dal quale
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discendono poi il dubbio sulla verità matematica e il dubbio (tra gli altri) se esista davvero un
mondo materiale al di fuori del nostro pensiero. La soluzione di tutti questi dubbi dipenderà dalla
veracità di Dio.

Nello specifico dei dubbi sulla verità matematica: questi dubbi erano relativi al fondamento della
matematica tutta intera. Dubbi, quindi, meta-matematici. La metafisica era la soluzione a questi
dubbi, perché ritrovata in Dio.

Niente era più lontano dalle “Regole per la guida dell’intelligenza” dell’eventualità che si potesse
dubitare, dall’esterno, della verità matematica e che quindi ci fosse bisogno di una sua
fondazione. Nelle Regole la prospettiva matematica era tutta intera e non richiedeva una
fondazione dall’esterno: la propria garanzia non l’aveva nella propria evidenza. Più tardi però
sopravviverà solo la convinzione metodologica che la matematica è il modello di qualsiasi altra
pretesa di conoscenza. Per quanto riguarda il resto, invece, egli è diventato il filosofo che
conosciamo, quello in cui il problema centrale è quello di una fondazione epistemologica tanto
esigente da poter essere soddisfatta solo con ricorso a Dio.

Nelle Meditazioni l’autocritica è esplicita: nella Meditazione 1 viene introdotta la concezione che
tutto ciò che si dà nel mondo è composto da entità massimamente “semplici ed universali” (pag
31), come l’estensione spaziale, la figura geometrica, la quantità ecc e da ciò venga anche la
superiorità della matematica rispetto a qualsiasi altra conoscenza, dal momento che non le
interessa neppure se gli enti di cui essa tratta abbiano o no corrispondenza in natura.

Nel punto centrale delle Regole, sulle “nature semplici” (semplici in quanto non analizzabili in altre
conosciute ancora più chiaramente), cartesio aveva dato come esempio “la figura, l’estensione, il
movimento, ecc” e a proposito dell’artimetica e della geometria, aveva concluso che queste erano
di gran lunga le discipline più certe tra tutte, appunto perché vertono su oggetti “puri e semplici”
ed esse sole “non suppongono niente che l’esperienza abbia reso incerto”, dal momento che
consistono solo di inferenze logiche. Nelle meditazioni questa concezione è presentata come una
delle opinioni ritenute vere acriticamente prima della decisione di non continuare ad assumere più
niente come vero, invece, senza una ragione costringente e cioè di una dimostrazione, nel caso
sia possibile, delle sue verità. Questa concezione è introdotta allo scopo di far cadere il dubbio
anche su di esse (con l’ipotesi del Dio ingannatore) e cioè di spacciarla come dogmatica, quindi
infondata, in se stessa, salvo recuperarne poi la verità una volta che si riesca a fondarla
criticamente, come avviene infatti nella meditazione 5 (grazie alla veracità di dio, dimostrata).
Questo è importante perché dimostra l’importanza di imporre il dubbio prima della fondazione e
impostare formalmente la strategia di fondazione della conoscenza umana.

Con la metafisica di cartesio siamo all’inizio di quel “fondazionalismo” di cui si è discusso nel
nostro secolo. Il titolo più comforme alla sua opera a partire dal 1628 è quello della prima parte
dei “Principi di filosofia: Dei principi della conoscenza umana”. Questa titolazione era inaudita per
una metafisica; inaugura l’assunzione della preliminarità in filosofia, del cosidetto problema della
conoscenza.

Anche le tre leggi fondamentali della natura (riportabili al principio di inerzia), che troviamo nel
trattato sul Mondo erano giustificate esclusivamente su un attributo di Dio, la sua immutabilità.
Per la fisica però era decisiva la tesi della soggettività delle qualità sensibili (quelle che da Locke
in poi si chiamano “secondarie”, perché era lì che passava il discrimine tra la filosofia scolastica
ed il meccanismo. Hume un secolo dopo vi segnalerà il principio fondamentale della filosofia
moderna. In ciò cartesio era stato preceduto da Galileo, ma ora cartesio procedeva in modo più
estremo: non solo verso il meccanicismo, ma anche verso la riduzione della materia stessa a mera
estensione. Questa concezione discendeva dal dualismo metafisico che era solo di Cartesio.
Bisogna quindi volgersi a quell’oggetto della metafisica che è l’anima umana, o meglio, la “mente”
dell’uomo, come preferiva Cartesio, per segnare radicalmente anche in senso di terminologia
usata la sua rottura radicale con qualsiasi animismo. Dal ’28 in poi, per lui la spiritualità dell’anima
vorrà dire “distinzione reale” nell’uomo della mente dal corpo. Per arrivarci però bisognava
attribuire alla mente e restituirle tutto ciò che tradizionalmente era stato attribuito ai corpi in se
stessi, per pregiudizio antropomorfico. Il risultato di tale sottrazione era la riduzione della materia
a estensione: il corpo come res soltanto extensa, di contro alla mente res-cogitans.

Le tre esposizioni che cartesio ha pubblicato sono:

- quarta parte del Discorso sul metodo, 1637

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- Le Meditazioni, 1641

- Prima parte dei Principi della filosofia, 1644

Queste esposizioni sono da considerarsi come intermezzi rispetto al suo impegno per la fisica.
Messo da parte il Mondo, compromesso con l’eliocentrismo, veva tentato di aprire la strada alla
propria fisica con due dei tre “saggi”, la Diottrica, le Meteore (che insieme alla Geometria e al
Discorso formavano la sua prima pubblciazione). Ma anche con le meditazioni voleva fare
qualcosa in pro della fisica. A marsenne diceva infatti che in tutte e sei le meditazioni si trovavano
i fondamenti della sua fisica. E voleva che i lettori assimilassero queste cose con naturalezza,
eliminando in questo modo l’ilemorfismo e il qualitativismo aristotelico. In questo cartesio rivelava
non solo uno stratagemma tattico, ma anche l’intenzione della metafisica, cioè di fondazione
epistemologica.

In effetti, quelle che chiamiamo Meditazioni metafisiche, in realtà Cartesio le voleva chiamare
“Meditazioni di filosofia prima” perché in esse trattava non in particolare Dio e l’anima, ma in
generale tutte le cose prime che si possono conoscere in filosofia - cioè i principi/le prime cose
che devono essere scoperte “filosofando con ordine” (lettera a Marsenne).

Per “scienza prima” si intende la scienza che sarà chiamata metafisica e che si occupa delle cose
che esistono separate dai corpi e che sono immobili.

Quindi oltre a Dio e l’anima:

- Anche del modo in cui conosciamo i corpi (seconda metà della Meditazione 2)

- Fondamento della verità matematica (meditazione 5)

- Essenza ed esistenza della materia (Meditazione 5 e 6)

- Soggettività delle qualità sensibili - quindi “essenza delle cose materiali” - l’estensione
(meditazione 5)

Se chiamiamo metafisiche le meditazioni è perché l’impatto che hanno avuto sul pensiero
europeo a contribuito a ridurle appunto ad una metafisica e cioè alle pretese dimostrazioni
dell’esistenza di Dio e della distinzione reale della mente dal corpo. L’isolamento della metafisica
si produsse soprattutto per il discredito in cui la fisica di Cartesio cadde con l’imporsi
dell’alternativa rappresentata da Newton. Così però si esce dall’intenzione originaria dell’opera.
Una lettura più ingenua, invece, serve a recuperare l’intenzione originaria e istruttiva dal punto di
vista filosofico. L’attenzione si sposterebbe sulla problematica di partenza (con i dubbi della
meditazione 1 dalla quale ha origine tutto il moderno in filosofia, perché così è posta la questione
del rapporto tra soggetto e mondo, una volta che si muova dall’io.

Poi, la tesi centrale, ovvero che il modello di una certezza assoluta, ossia divina, continuerebbe a
porci questo aut-aut: se non ci si sente di arrschiarsi a scommettere su una garanzia della
conoscenza anche essa assoluta, non bisognerà però neppure accontentarssi di meno e piuttosto
rinunciare a quel modello. Con che si arriva fino al nostro presente.

2. Il metodo delle Meditazioni


Cartesio parla in prima persona e rende conto di un itinerario di ricerca in sei tappe come se lo
stesse scorrendo sotto gli occhi del lettore. È la narrazione di un percorso al tempo presente. Sin
dall’inizio della meditazione 3l’unica certezza sarà che “io penso” e nel seguito sarà appunto da
questa soggettività - il pensiero come intimità a se stessi ma estraneità al mondo - che il
meditatore muoverà alla ricerca del modo in cui uscirne.

Fino alla meditazione 3 il protagonista solitario si confronta anche con una sorta di alter ego, in un
andamento dialogico con una successione di battute, repliche e controrepliche. Il gioco delle parti
è fra un atteggiamento di apertura e uno di chiusura: da una parte c’è l’impegno a disfarsi di tutto
quanto fin allora ritenuto certo acriticamente e dall’altra un pigro attaccamento ad esso, ma
raziocinante. Ma quando ci si avvia alla prima dimostrazione dell’esistenza di Dio, nella
meditazione 3, tutto cambia: coloritura emotiva, ritmo narativo, linguaggio stesso evitano il lessico
che appartiene alla scolastica.

L’andamento narrativo è comunque reso possibile dal metodo adottato nelle Meditazioni. Cartesio
nelle Risposte alle seconde obiezioni, dirà di averne adottato uno “analitico”, ovvero rivolto alla
soluzione dei problemi. Del metodo contrario, quello “sintetico”, l’esempio per eccellenza è la
geometria euclidea: definizioni, postulati, assiomi e corollari. In questi termini cartesio rifarà le
intere Meditazioni. Spinoza ne trarrà ispirazione per la sua Ethica, che viene dimostrata in modo
geometrico. Per cartesio il metodo analitico era tanto dimostrativo tanto quello sintetico, e in più

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però aveva il vantaggio di far ripercorrere al lettore la via stessa seguita dall’autore nel
ritrovamento della verità, insegnandogliela a poco a poco, anziché mettergliela di fronte già fatta.

L’invenzione letteraria nuova della meditazione filosofica appartiene a cartesio: la meditazione


all’epoca era sì diffusa, ma esclusivamente in campo religioso, sul modello degli esercizi spirituali
praticati dai Gesuiti.

Però nelle Meditazioni di cartesio gli strumenti usati dalla meditazione (la riforma interiore,
l’autoesame…) sono in funzione solo della conoscenza. L’antagonista è l’errore teoretico e non il
peccato. Tra filosofia e teologia cartesio sostiene una netta separazione, espressa nella stessa
lettera Al Decano e ai Dottori della Sorbona. I pregiudizi per cartesio, ovvero quelle opinioni di cui
ci si deve liberare, non sono errori di cui accusare questa o quella scuola filosofica, ma sono
invece indotti dalla natura stessa dell’uomo, in conseguenza di due circostanze fondamentali: una
sorta di peccato originale in senso laico (il nostro nascere) ovvero entrando in rapporto con
mondo in modo tutto sensibile e utilitario per poi tendere però a mantenere sempre questo
rapporto. E poi, il nostro essere costituiti di sensibilità per cui si è portati naturalmente a credere
che il mondo sia come ci appare. Per questo cartesio dice che non basta aver capito una
meditazione ma bisogna proprio famigliarizzare con il nuovo modo di pensare e trasformarlo in
abitudine.

L’avversario esplicito lungo tutte le meditazioni è

- Il dogmatismo spontaneo dell’uomo comune. Alcune convinzioni che cartesio gli attribuisce
erano anche dell’aristotelismo, quindi della filosofia scolastica. Sono criticate perché per
cartesio l’aristotelismo le aveva accolte acriticamente dal senso comune e trasformate in tesi
filosofiche

- Alcune concezioni dell’epicureismo

Niente evoca un qualche scetticismo: spontaneamente siamo tutti fuorché scettici. Lo scetticismo
è esclusivamente un atteggiamento filosofico, quindi non è un atteggiamento naturale. Per natura
l’uomo è esattamente il contrario: acritico e dogmatico. E infatti il vaglio a cui cartesio sottopone
tale dogmatismo spontaneo passa proprio per un bagno di scetticismo, con i dubbi elaborati nella
prima meditazione. Partire dal dubbio è essenziale perché poi non si potrà più dubitare, di quel
che accerteremo come vero in seguito; quindi la mira è l’esatto contrario dello scetticismo. Non
perciòè questo il termine di confronto che motiva l’impresa. A colpire è semmai l’assenza
dall’orizzonte di cartesio dell’avvertimento di un pericolo scettico, se si pensa a quanto invece
fosse forte già ai suoi tempi anche se non era ancora esploso (come avverrà a fine secolo).

Cartesio, invece di confrontarsi con una o l’altra tendenza del giorno voleva aggredire di petto
solo quelle di lunghissimo periodo.

Dato l’impianto letterariamente narrativo e metodologicamente analitico delle Meditazioni, la loro


struttura coincide con il loro sviluppo. A sua volta questo è comandato dalla posizione dei
problemi, che si ha nella Meditazione 1. I dubbi che vengono esposti lì sono deliberati, esagerati
(iperbolici) e tuttavia provvisori: tutto il resto dell’opera sarà la progressiva risoluzione degli stessi,
cioè la decisione di falsità o verità delle credenze su cui così si sia fatto cadere il sospetto. Quasi
tutte le credenze verrano restaurate come vere ma è proprio così che si stabilisce la differenza
che sta a cuore a cartesio: prima pregiudizi, poi tesi filosofiche che ora si pretendono dimostrate.
Per procedere alla risoluzione dei dubbi, non si procede in ordine in cui sono stati formulati
inizialmente. Una volta formulati e giustificati, si inizia ponendosi la domanda se non ci sia proprio
più nulla di indubitabile sotto qualsivoglia condizione. Così la startegia del dubbio risulta fruttuosa:
non appena formulata quella doanda, a risultare indubitabile è intanto il pensiero, il proprio
personale pensiero di ciascuno che dica “io”.

Da questo momento in poi il problema diventa come ci si possa accertare se esista anche altro e
che cosa, in caso, oltre appunto al soggetto pensante. Prima si scoprirà che si può essere certi
dell’esistenza di Dio, poi attraverso di lui (o in virtù della sua veracità) il resto quasi tutto.

Il percorso non è lineare e tra l’io e il mondo il passaggio non è diretto, bensì mediato da Dio.

Significa che per cartesio ognuno è chiuso nel proprio pensiero; qualsiasi domanda sull’altro da
sé muove da questa originaria separatezza. Così siamo all’origine stessa del moderno in filosofia,
riassumibile in slogan come “la mente non ha altro oggetto immediato che le proprie
idee” (Locke), oppure “niente è realmente presente alla mente fuori dalle sue proprie
percezioni” (Hume), o “non abbiamo a che fare se non con le nostre rappresentazioni” (Kant).

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Cartesio aveva detto: “non possiamo avere conoscenza delle cose se non mediante le idee che
ne concepiamo”. A determinare questa rottura era stata la scoperta del soggetto, ma insieme
anche la sua chiusura in se stesso. Emerge la soggettività e si fa allo stesso tempo problematico il
recupero dell’oggettività. L’impresa di cartesio fu appunto una tale problematizzazione: con lui
tramontano per il pensiero occidentale le attese ingenue a proposito delle nostre procedure della
conoscenza.

Introduzione (Scribano)

CAPITOLO PRIMO: GENESI DELL’OPERA

1. All’origine delle Meditazioni


1629: studio delle meteore

1630: lavora alla Diottrica (interrompe la stesura del trattato di Metafisica)

1630: lavora al Mondo, il testo che racchiude la sua fisica (termina nel 1633). Durante questo
periodo dice a Marsenne che la conoscenza di Dio e di se stesso ha costituito l’inizio dei suoi
studi. Non avrebbe trovato i fondamenti della sua fisica se non li avesse cercati per questa via.

La condanna di Galileo dissuade Cartesio dal pubblicare il Mondo. La sua fisica gli pare
improponibile senza la tesi eliocentrica.

1637: esce il Discorso sul metodo come premessa a tre saggi di questo metodo: la Diottrica, le
Meteore e la Geometria.

1638 inizia la stesura delle Meditazioni, scritte in latino e destinate ai dotti. Finisce nel 1640. 11
novembre 1640 spedisce il testo a Marsenne, assieme alle obiezioni di Caterus e le risposte dello
stesso cartesio. Marsenne fa circolare il testo cartesiano tra i dotti e raccoglie una serie di
osservazioni che si aggiungeranno alla pirma edizione a stampo del testo latno delle
Meditationes, a parigi, a fine agosto 1641. Le obiezioni sono sei:

1) di Caterus; 2) di un gruppo di diversi teologi (in realtà Marsenne); 3) di Thomas Hobbes; 4) di


Antoine Arnauld; 5) di Pierre Gassendi; 6) di un gruppo di teologi (Marsenne).

Le risposte alle obiezioni sono importanti per la comprensione delle Meditazioni e per la
comprensione dell’evoluzione che il pensiero di Cartesio dovette subire.

Nella seconda edizione, del 1642, c’era una settima obiezione, di Pierre Bourdin; in calce alla
quarta obiezioni inoltre era inserito un brano sul mistero dell’Eucarestia, omesso nella prima
edizione sotto consiglio di Marsenne; c’era infine una lettera al padre Dinet, nella quale cartesio
ricostruiva la genesi dell’opposizione della sua filosofia del fronte cattolico (Bourdin) e del fronte
calvinista (Voet).

Non ha ancora stampato le meditazioni, ma sta già pensando alla stesura di un manuale in cui
sistematizzare tutta la sua filosofia. È il progetto dei Principia philosophiae, che verranno
pubblicati nel 1644.

Nel 1647 esce a parigi la traduzione francese delle Meditazioni e nello stesso anno esce anche la
traduzione francese dei Principi.

Filosofia come un albero: le radici sono la metafisica, il tronco è la fisica e i rami che partono dal
tronco sono tutte le altre scienze, che si riducono a tre principali, cioè medicina, meccanica,
morale.

2. La fisica
La fisica di Cartesio conosce un’elaborazione quasi completa nel saggio Il Mondo o Trattato della
luce. Questo scritto è una sorta di breviario della scienza moderna. In esso vuole dimostrare che
la materia è costituita dalle sole proprietà matematiche: l’estensione in 3 dimensioni (grandezza,
figura, velocità) e le forme che l’estensione può assumere, una volta divisa e messa in movimento
dall’intervento divino.

Tutte le caratteristiche qualitative dei corpi percepite attraverso i sensi, i suoni, i colori, gli odori,
non hanno per Cartesio (come per Galileo o Hobbes) alcuna oggettività, non appartengono ai
corpi; sono piuttosto stati mentali provocati dalle modificazioni che il nostro corpo subisce per
l’incontro con i corpi esterni. I rumori, i sapori, i colori, esistono solo nella mente del soggetto
percipiente, che traduce nel linguaggio delle qualità sensibili quelle che, nelle cose, sono solo
proprietà matematiche. Poichè l’essenza matematica consiste nell’estensione, la materia coincide
con lo spazio e dunque essa non ha confini: è indefinita (e non infinita - infinito è solo Dio. Per la
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stessa ragione non si dà il vuoto in natura). Il vuoto dovrebbe essere una estensione non
materiale, ma l’essenza della materia consiste nell’estensione, quindi la nozione di vuoto è
contraddittoria e perciò il vuoto è impossibile.

Il movimento impresso da Dio al mondo all’atto della creazione segue 3 regole:

1) La legge di inerzia (la prima formulazione corretta è proprio di Cartesio)

2) La conservazione della quantità di movimento impressa originariamente da Dio al mondo

3) Tendenziale rettilineità del movimento

Con queste tre leggi cartesio respingeva radicalmente la fisica di origine aristotelica: gli oggetti
venivano spogliati delle caratteristiche qualitative che invece la fisica aristotelica riteneva
facessero realmente parte degli oggetti e la natura si liberava di ogni antropomorfismo, dal
momento che, in base alla legge di inerzia, la matematica risultava indifferente sia alla quiete che
al movimento. Anche la fisica di tipo epicureo veniva respinta, con il rifiuto del vuoto.

Con la materia creata da Dio e con il movimento regolato da leggi, impresso all’origine alla
materia, cartesio pretende di poter dare spiegazione di tutti i fenomeni fisici. Il Mondo si presenta
come un esperiemnto mentale che, a partire dall’ipotesi della creazione di una materia
indefinitamente estesa, divisa in parti e messa in movimento da Dio, ricostruisce la genesi
dell’universo, mostrandone la formazione in tutti i dettagli, senza che alcuna verifica empirica sia
ritenuta necessaria. La fisica di Cartesio è una “favola”, ma al contrario delle vere favole, alla sua
conclusione sapremo come è fatto il vero mondo, se esiste.

3. La metafisica
Nel Mondo, le leggi di natura venivano fondate sulla natura di Dio:

- Visto che Dio è immutabile, Dio continua a conservare le parti della materia nel medesimo
modo in cui le ha create e quindi ogni parte della materia “persiste nel medesimo stato finchè
l’urto delle altre non la costringe a mutarlo;

- Visto che Dio è immutabile, la quantità di movimento impressa originariamente nel mondo
rimane invariata, malgrado il passaggio, nell’urto dei corpi, dalla quiete al movimento;

- Visto che Dio è immutabile, i corpi vengono conservati sempre con lo stesso movimento
tendenziale e siccome il movimento tendenziale compatibile con una conservazione istantanea,
quale è quella divina, della materia, è il movimento rettilineo, vale il principio per il quale i corpi
si muovono secondo un movimento tendenziale rettilineo

Per determinare il contenuto delle leggi di natura, la fisica cartesiana si fonda sulla natura divina, e
sull’analisi del rapporto che Dio intrattiene con il mondo. La conoscenza della natura di Dio è
quindi indispensabile per stabilire un contenuto rilevante per la fisica.

Questo è il primo livello del ruolo fondazionale che la metafisica svolge nei confronti della fiica.
Questo livello di fondazione della fisica tramite la metafisica non è menzionato nelle Meditazioni,
ma non perché nelle Meditazioni non si parli di fisica. Al contrario. I fondamenti della fisica sono
da individuare nell’analisi della natura della materia, ovvero, nella riduzione dell’essenza dei corpi
alle sole caratteristiche matematiche, che è teorizzata soprattutto nella Meditazione 5.

La matematica che descrive la natura dei corpi non è dedotta dalla natura divina. La metafisica
svolge un ruolo essenziale anche rispetto a questi principi. Alla metafisica infatti è affidato il
compito di assicurare che ciò che la mente conosce come costitutivo dell’essenza della materia
ne costituisce, effettivamente, la natura. La metafisica non può dire nulla sulla natura della materia
ma è allo stesso tempo indispensabile per garantire la verità della consocenza che la mente
umana ha del mondo. La metafisica svolge un ruolo epistemologico.

Cartesio è convinto che la propria fisica sia composta solo di idee “chiare e distinte”, ovvero di
idee che hanno per oggetto le essenze delle cose che quelle idee rappresentano. La chiarezza e
la distinzione di un’idea è verificata attraverso l’effetto che la sua presenza produce sulla mente:
delle idee chiare e distinte è impossibile dubitare quando esse sono presenti ad una mente
attenta. Al cntrario, tutta la scienza aristotelica è composta di idee “confuse e oscure” della cui
corrispondenza alla realtà delle cose la mente può sempre dubitare.

Il criterio di chiarezza e distinzione e il criterio di indubitabilità che lo accompagna sembra essere


suficiente ad assicurare pienamente della verità della scienza cartesiana. Però cartesio non ritiene
sufficiente questo criterio. Di fronte alle idee chiare e distinte è infatti sempre possibile chiedersi

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se la certezza che le accompagna e l’incapacità di negare loro l’assenso sia una condizione
sufficiente per ritenerle vere. Essendo la mente umana finita, la sua certezza non può essere
assunta come misura del vero. Sulla base della finitezza della mente umana e della infinita
potenza divina, ci si potrebbe chiedere se Dio, che ha creato la mente, e sulla quale ha pieno
potere, potrebbe far sì che l’assenso che la mente dà alle idee chiare e distinte non corrisponda
alla verità.

Cartesio non fa nulla per diminuire lo scarto tra mente umana e Dio. La sua teoria della
conoscenza è lontanissima dalla prospettiva di assicurare l’accesso al vero grazie alla
partecipazione della mente umana alla dimensione divina. Cartesio propone una teoria sull’origine
delle idee - l’innatismo - in forza della quale le idee risultano inscritte nella mente umana e quindi
è in essa e non in Dio che la conoscenza vera può essere rintracciata. Ma cartesio era andato
ancora più lontano, sotenendo che il contenuto delle idee innate è stato creato liberamente da Dio
e avrebbe potuto essere diverso da quel che è. E siccome le idee matematiche sono innate,
anche la matematica su cui si fonda la fisica avrebbe potuto essere diversa, se Dio l’avesse
voluto.

Per cartesio la matematica ha a che fare con nature semplici: punti, linee, numeri. L’uomo non le
ha create, ma le ha solo scoperte e da esse procede nellla consocenza dei teoremi e delle
dimostrazioni. Poiché non sono opera dell’uomo, si tratterà di indagare quale rapporto queste
nature intrattengono con Dio.

Il rapporto della matematica e delle essenze dei corpi con la natura divina è una questione antica
di tradizione. Cartesio ha una concezione platonica della matematica (la matematica ha a che fare
con essenze indipendenti sia dalla mente umana che dalle cose esistenti in natura). Ha due scelte
davanti:

- La via platonica in senso stretto: le essenze delle cose materiali sono indipendenti dalla natura
divina e coeterne a Dio

- La via del platonismo cristianizzato: le essenze delle cose si trovano in Dio e si identificano con
la natura di Dio

Cartesio respinge entrambe.

Si rifiuta di identificare le essenze delle cose con la natura divina e rifiuta di farne delle divinità
separate e coeterne a Dio. Per cartesio, l’idea di un Dio unico e infinitamente potente, quale il
cristianesimo ha imposto alla cultura filosofica, obbliga a ritenere che le essenze delle cose siano
state create liberamente da Dio come lo sono le esistenze. Cartesio presenterà sempre questa
teoria come necessaria conseguenza del riconoscimento dell’infinità e dell’incomprensibilità di
Dio, una incomprensibilità che è necessario accettare se non si vuol rischiare di cadere
nell’ateismo.

Dio ha creato liberamente non solo le cose esistenti, ma anche le essenze delle cose; poiché
l’essenza delle cose è costituita da caratteristiche matematiche (l’estensione tridimensionale e le
sue figure), Dio ha liberamente creato i numeri e le figure. Malgrado ciò, la dottrina che va sotto il
nome di “libera creazione delle verità eterne” non compare nel Mondo e nemmeno nelle
Meditazioni.

L’unica menzione che troviamo è nelle risposte alle quinte e seste obiezioni. La spiegazione di
questa assenza è che Cartesio intendesse difendere la scienza dalle obiezioni, anche teologiche,
che contro questa teoria possono essere sollevate e che provengono da teologi che non hanno
mai pensato che Dio abbia un potere sull’essenza delle cose, sulla matematica e sulle leggi della
logica.

4. Il progetto di Cartesio
Il problema delle Meditazioni è quello di fornire la sicurezza che la scienza umana è legittimata a
parlare con verità del mondo. È necessario sapere molto su Dio. Per questo cartesio fonda la
fisica nella metafisica. Solo la consocenza della natura di Dio può rispondere alla domanda su una
possibile fallacia incorreggibile della mente.

La conoscenza di Dio nelle meditazioni è rigorosamente limitata alla funzione di garanzia del vero
che Dio stesso deve assicurare alla scienza. Due sono gli attributi di Dio:

- Infinita potenza, grazie alla quale dio potrebbe truccare la conoscenza umana

- Veracità, che deve garantire che dio non userà la sua potenza in quel modo

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L’assunto della separazione tra mente e corpo aveva prodotto il convezionalismo in Hobbes.
Secondo Hobbes, si ha vera conoscenza solo di ciò di cui si conosce l’origine. Hobbes ritiene che
la matematica sia opera umana e per questo interamente dominabile dalla mente finita. Il mondo
invece è opera di dio e dunque l’uomo non ne conosce né può conoscerne la natura. Di
conseguenza, la conoscenza del mondo attarverso la matematica non potrà mai dire come le
cose sono di fatto, ma solo come la mente umana le conosce. La realtà rimane inaccessibile
all’intelletto finito. La separazione della mente umana da Dio consente la costruzione di una
scienza certa - la fisica matematica - ma necessariamente ipotetica.

Il progetto cartesiano, invece, pretende che la conoscenza umana giunga all’essenza delle cose e,
contro il convenzionalismo, si appoggia sull’innatismo, ovvero sulla presenza nella mente di idee
che non sono opera della mente stessa e grazie alle quali è possibile conoscere la natura delle
cose materiali.

D’altro canto, l’innatismo prevede che le idee siano conosciute all’interno della mente stessa e
non per partecipazione alla mente divina. In questo modo, Cartesio respinge sia il
convenzionaismo di Hobbes, sia il risorgente agostinismo, che, per giustificare la necessità e
l’universalità del sapere, invocava l’emanazione da Dio di una illuminazione che permettesse alla
gente di attingere alla verità direttamente nella sua fonte, in Dio.

L’assicurazione della verità della scienza umana non è però l’unico aspetto di fondazione della
fisica che la metafisica è chiamata a svolgere. Anche la teoria della conoscenza, che Cartesio
deve dispiegare per fondare la scienza, richiede una giustificazione metafisica. Stavolta però non
è necessario parlare di Dio, ma del secondo oggetto privilegiato della metafisica ovvero l’anima o
la mente e i suoi rapporti col corpo. La matematica per Cartesio non è ricavata per astrazione ed
alaborazione dei dati ricevuti attraverso l’esperienza sensibile né è una costruzione della mente.
Per giustificare questo doppio rifiuto, Cartesio intende costruire una teoria che fondi la possibilità
di acquisire conoscenza vera indipendentemente dai sensi e dalla libera attività della mente.
Questa teoria è l’innatismo: la mente conosce le essenze delle cose attraverso un bagaglio di idee
che fanno parte della natura stessa dell’intelletto. L’innatismo a sua volta è giustificato da Cartesio
attraverso una teoria sulla natura della mente e dei suoi rapporti con il corpo: mente e corpo sono
due sostanze separate e di natura diversa e per questo la mente può conoscere
indipendentemente dai sensi, attraverso idee che sono inscritte nella sua stessa natura. Anche in
questo caso, Cartesio attinge alla tradizione platonica di contro a quella aristotelica, che aveva,
invece, ritenuto che l’anima e il corpo costituissero una sola sostanza, e che si era servita anche
di questa teoria antropologica per giustificare l’empirismo. Tuttavia, come vedremo, cartesio
abbandonerà anche Platone quando si tratterà di teorizzare il rapporto che intercorre tra la mente
e il corpo.

Il ruolo fondazionale della metafisica nei confonti della fisica richiede che venga svolta una
indagine su Dio (per garantire la veracità della conoscenza) e sulla natura della mente (per fondare
l’innatismo). A questi due temi si dedica il corpo centrale delle Meditazioni mentre la fisica è
presente attraverso la teoria della natura matematica della materia.

a) Teorie fisiche 

1. La materia è strutturata matematicamente

2. Le caratteristiche qualitative che vengono percepite dai sensi sono solo soggettive (contro
fisica aristotelico-scolastica)


b) Teorie gnoseologiche

1. Le essenze delle cose sono conosciute indipendentemente dall’esperienza

2. Le idee della matematica sono innate (contro empirismo della scienza aristotelica e
convenzionalismo)


c) Teorie metafisiche necessarie alla possibilità delle teorie comprese in b)



1. La mente è realmente distinta dal corpo (contro la tesi aristotelica della mente forma del
corpo)

2. Le essenze sono indipendenti dalle esistenze (contro la tesi aristotelica e empirista della
priorità dell’esistenza sull’essenza


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d) Teorie metafisiche necessarie a fondare la verità delle teorie comprese in c)

1. Dio esiste

2. Dio non è ingannatore

La metafisica ha un ruolo importantissimo nella fondazione della fisica ma rimane comunque


strumentale ai contenuti della fisica. Questo spiega perché cartesio si raccomandava che non si
perdesse troppo tempo sulla metafisica e si accettassero i risultati trovati da lui e di passare
subito a studiare le scienze importanti, la fisica e la medicina.

CAPITOLO SECONDO: STRUTTURA DELL’OPERA

vd. Pag 17

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