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Avicenna

(Tbn Sina)

METAFISICA
LA SCTENZA DELLE COSE DIVINE (AL-IIAHTWAT)
dal Libro della Guarigione (Kitiib al-Sifa')

Testo arabo a fronte


Testo latino in nota

Traduzione dall'arabo, introduzioni,


note e apparati di
Olga Uzzini

Prefazione e cura editoriale di


Pasquale Porro

NUOVA ED!ZlOI\lE RIVEDUTA E CORRETTA

BOMPTANT
TL PENSIERO OCCIDENTALE
TSBN 88-452-9171-5

© 2002 R.C.S. Libri S.p.A., Milano


T edizione Bompiani TI Pensiero Occidentale novembre 2002
TT edizione Bompiani Tl Pensiero Occidentale ottobre 2006
LXIV NOTA EDITORIALE

Al di là delle correzioni segnalate dalla stessa Van Riet nel volume dei
Lexiques appena citato (p. 13*), il testo latino qui riprodotto ha subìto solo
qualche piccola modifica (il riferimento è sempre alle pagine dell'edizione
Van Riet):
-p. 193,70 et debilitate] et debilitate,
-p. 201,29 excercere] exercere
-p. 209,77 antequem] antequam
-p. 308,57 tantum. sed] tantum. Sed
-p. 366,63-64 materierum] materiarum
-p. 438,92 impossible] impossibile
-p. 411,37 appenditiis] appendiciis (per coerenza con le altre occorrenze)
- p. 464,85 primi principii. et ideo] primi principii, et ideo

Nei limiti del possibile, è stata conservata anche la suddivisione in capo-


versi dell'edizione V an Riet, che corrisponde così solo occasionalmente a
quella del testo a;abo dell'edizione cairina e a quella della traduzione italiana.

La scelta di mantenere i tre testi (arabo, latino, italiano) contemporanea-


mente disponibili nello spazio grafico di due pagine ha ovviamente comporta-
to un proporzionale ridimensionamento dei caratteri - un inconveniente di cui
ci si scusa con i lettori.

In questa ristampa (2006), grazie alla cortesia dell'Editore, è stato possibi-


le aggiornare almeno in parte i riferimenti bibliografici, rivedere alcuni pas-
saggi della traduzione e apportare alcune correzioni al testo pubblicato nel
2002 (dalla «Prefazione» alle «Note sul lessico» conclusive). Non resta invece
che fare appello all'indulgenza degli stessi lettori per tutti gli errori tipografici
o le imprecisioni ancora presenti in questo volume.

[P. P.]
AVICENNA
(IBN SINA)

METAFISICA

LA SCIENZA DELLE COSE DIVINE (AL-]LAHIYYAT)


DEL LIBRO DELLA GUARIGIONE (K!TAB AL-SIFA ')
TRATTATO PRIMO

TRACTATUSl
INTRODUZIONE

Sezione prima

La prima sezione o capitolo (si è preferito "sezione" che più letteralmente


rende l'arabo fa,\'/) della Metafisica (lliihiyytit) del K. al-Sifii' concerne la que-
stione dell'oggetto o del soggetto (mawqii'; si pensi anche al latino subiectum)
della "filosofia prima", poi qualificata come "metafisica" o "scienza divina".
Allo scopo di determinare che cosa in essa funga da "soggetto", Avicenna
ricorda [3-5] quel che ha già affermato nella Logica riguardo alla divisione
delle scienze (fisica, matematica, metafisica), del loro "soggetto" (mawqii ') e
dell'insieme delle questioni (matiilib l ma!liiba) che vanno affrontate in ogni
scienza; egli richiama quindi la divisione delle scienze in "speculative" e "pra-
tiche" e la questione delle diverse denominazioni della metafisica ("filosofia
prima", "vera filosofia" o "reale filosofia", "sapienza", etc.).
L'esame condotto intorno all'oggetto della filosofia prima, in quanto costi-
tuisce un passaggio fondamentale nella definizione dei rapporti tra filosofia e
teologia, è di estremo interesse. Avicenna nega che Dio possa, come tale,
costituire il soggetto proprio della filosofia prima, in quanto ad essa spetta il
compito di dimostrarne l'esistenza. A sostenere questa posizione sono chiama-
ti diversi argomenti. In primo luogo, [5-6,13] se Dio costituisse l'oggetto di
questa scienza, la sua esistenza dovrebbe essere o dimostrata in un'altra scien-
za o non dimostrata in un'altra scienza. Ambedue le ipotesi si rivelano insoste-
nibili: non esistono scienze al di fuori della divisione che la logica ci ha inse-
gnato e in nessuna di esse viene dimostrata l'esistenza di Dio; inoltre, se l'esi-
stenza di Dio semplicemente non andasse dimostrata, essa dovrebbe essere o
autoevidente - il che non è - oppure tale da non potersi dimostrare. Ma anche
questa ipotesi è destinata a cadere: in primo luogo, perché di Dio si dà una
prova, una "indicazione" (dalfl) e, in secondo luogo, perché non si potrebbe
fare un discorso intorno a Dio - ammettendone l'esistenza - se si ritenesse
impossibile una dimostrazione dell'esistenza di Dio.
[6,14-7 ,5] A partire dalla distinzione dei due modi secondo i quali si può
fare ricerca intorno a un determinato oggetto - e cioè, secondo l'esistenza di
esso o secondo i suoi attributi - Avicenna stabilisce poi che l'esistenza di Dio
deve esser dimostrata in questa scienza e che quindi in essa ci si dovrà occupa-
re anche di stabilire gli attributi divini: quanto si afferma nella scienza naturale
6 TRATTATO PRIMO

riguardo all'esistenza di Dio non è, infatti, che un modo per allertare l'uomo a
prendere consapevolezza dell'esistenza di Dio e, come tale, non può in alcun
modo avere il valore di una vera dimostrazione o di una trattazione. Sì noterà,
allora, come tale posizione, oltre a distinguere in modo deciso l'ambito della
metafisica da quello della scienza naturale, lasci intuire quale sarà il percorso
della "scienza divina": qui viene chiaramente stabilito che l'indagine razionale
non sostiene la teologia ma, piuttosto, mette in atto una costruzione che non
permette solo di dimostrare l'esistenza del primo Principio, ma anche di
dedurne gli attributi. Gli attributi non saranno, quindi, quelli che la teologia
ascrive a Dio, ma quelli che giunge a legittimare l'indagine razionale. Come
apparirà chiaramente dalla specifica trattazione dei libri VIII e IX, Avicenna
arriva agli attributi del Primo attraverso degli argomenti razionali.
[7,6-9,8] Una volta stabilito che Dio non è l'oggetto della filosofia prima,
Avicenna passa a considerare l'ipotesi secondo la quale suo oggetto sono le
cause. Anche questa ipotesi si dimostra erronea. Innanzitutto, perché ciò di cui
si tratta in metafisica si rivela subito come più generale delle cause: la metafi-
sica ha a che fare con concetti che non appartengono solo alle cause (non ne
sono dei "propri"); inoltre, molto più radicalmente, affinché ci si occupi di
cause, bisogna dimostrare che esistono delle cause «per le cose che hanno
cause». A questo proposito Avicenna rifiuta il procedimento dell'induzione,
che si basa sulla sensibilità: per stabilire l'esistenza delle cause è necessario un
procedimento razionale, dimostrativo: una connessione necessaria, non la
semplice concomitanza fra due cose che la sensibilità ci mette di fronte. [9,8-
fine] Poiché, quindi, la speculazione razionale dovrà in primo luogo dimostra-
re l'esistenza delle cause, oggetto di essa non potranno essere le cause, né in
senso assoluto, né in un senso particolare.
L'oggetto della metafisica è quindi «l'esistente in quanto esistente»
(l'essere in quanto essere); delle cause essa si occupa, quindi, in quanto le
cause sono esistenti. La ricerca intorno a Dio rappresenta poi il momento cul-
minante della ricerca metafisica, la "perfezione" della filosofia prima.

Sezione seconda

Le questioni sollevate nella prima sezione, trovano una risposta nella


seconda, specificamente dedicata a stabilire quali siano il "soggetto" (cioè
l'oggetto), lo scopo, lo statuto della scienza divina (tutta la trattazione è scan-
dita dai concetti aristotelici: l'oggetto o soggetto di studio di una scienza, gli
accidenti, gli stati o affezioni che a questo competono, ciò intorno a cui la
scienza dovrà indagare e, infine, i suoi principi). [l 0-13, 19] L'oggetto della
metafisica viene in primo luogo definito come «separato dalla materia» e in
base a questa prima definizione vengono individuate le diverse realtà di cui
essa si occupa: l'esistente in quanto esistente (cioè l'essere in quanto essere),
INTRODUZIONE 7

il numero e l'estensione in quanto separati dalla materia e le nozioni comuni a


tutti gli esistenti: l'uno, il molteplice, il diverso, l'identico, etc.; nozioni che le
altre scienze semplicemente utilizzano, senza esaminarne la maniera d'essere.
Esse sono accidenti propri dell'esistente o, più propriamente, sono "cose che
accompagnano l'esistente in quanto esistente, senza condizione" (min gayri
sart). L'importanza della specificazione "senza condizione" è maggiore di
quanto si possa ritenere in un primo momento; è qui, infatti, che risiede la pos-
sibilità di operare una discriminazione tra il concetto di essere, ossia l'essere
in quanto tale (l'esistente in quanto esistente), e l'essere di Dio. Secondo una
terminologia che è propria del kaliim, infatti, mentre il primo è l'esistente
senza altra condizione (bi-Iii sart) ed è quindi più generale di quello che si
presenti caratterizzato da alcune determinate condizioni, l'essere di Dio è
invece quell'esistere che è tale a condizione che non (bi-sartin Iii) gli si
accompagni un altro esistere. Ora, dell'esistente in quanto tale non ci si chiede
né se è, né che cosa esso sia: non se ne può esaminare, cioè, né la "esistenza"
(anniyya), né la "quiddità" (miihiyya). Altrimenti, dovrebbe esservi un'altra
scienza cui demandare la risposta a tali questioni. La metafisica - che
Avicenna a questo punto non ha ancora definito come tale e che continua per-
ciò a indicare semplicemente come "questa scienza" {hiidii al- 'ilm)- si occu-
pa quindi dell'esistente (o dell'essere), degli accidenti dell'esistente (le nozio-
ni comuni, come l'uno, il molteplice, ecc.), e di qualcosa che è una sorta di
specie per l'essere (la sostanza e le altre categorie). [14,1-14,13] A questo
punto, Avicenna considera l'obiezione che a tale costruzione si potrebbe muo-
vere; è un'obiezione che richiama le stesse ragioni addotte da Avicenna nella
prima sezione del trattato: se in questa scienza - si potrebbe obiettare - ci si
occupa dell'esistente, non ci si può occupare del suo principio e non ci si può
dunque occupare di Dio come principio dell'esistente. La risposta di Avicenna
è apparentemente semplice, ma implica in realtà tutta la sua teoria metafisica
(e in particolare la distinzione di essenza ed esistenza): il fatto di essere "prin-
cipio" è meno generale del fatto di essere "esistente" e rientra anch'esso, quin-
di, fra gli accidenti dell'esistente. Essere un principio è, cioè, uno dei conse-
guenti necessari dell'esistente: il principio dell'esistente non è tale, infatti, in
relazione all'esistente in assoluto, ma in relazione all'esistente causato.
[14,14-16,12] Questa scienza ha quindi diverse "parti" che vengono defi-
nite in relazione ai diversi "significati" dell'essere (e questa distinzione degli
accidenti o delle "specie" dell'essere non fa che interpretare ilrroÀÀaxws ÀÉ-
ynm TÒ ov di Aristotele). Vi è una parte della scienza che si occupa delle
cause ultime (o supreme) e della causa prima «da cui fluisce ogni esistente
causato»; una parte che si occupa degli accidenti propri (uno, molteplice,
ecc.); una parte la cui indagine verte intorno ai principi delle scienze particola-
ri. Questa divisione risponde all'articolazione delle varie scienze, l'una subal-
tema all'altra: ogni scienza muove un'indagine sui principi di quella che le è
inferiore gerarchicamente.
8 TRATTATO PRIMO

Alla distinzione delle diverse "parti" della scienza, segue la legittimazione


delle sue diverse denominazioni: essa è "filosofia prima" in quanto sì occupa
delle cose che sono prime, dal punto di vista dell'esistenza (Dio, le sostanze
separate) e dal punto di vista della generalità (l'uno e gli altri accidenti
dell'essere); è "sapienza", perché è la migliore delle scienze in quanto il suo è
il migliore degli oggetti conoscibili; è "scienza divina" perché indaga intorno
alle "cose divine": Dio e le sostanze separate dalla materia. Le "cose" dì cui
essa si occupa possono distinguersi in quattro gruppi: l) cose separate dalla
materia; 2) cose mescolate alla materia ma non in essa sussistenti; 3) cose che
possono essere e non essere nella materia; 4) cose materiali, considerate non
in quanto si trovano nella materia.
[16,13-20] In base all'oggetto, allo scopo e ai metodi della sua indagine, la
metafisica ha dei punti in comune con la dialettica e con la sofistica, così
come, sotto altri punti di vista, si distingue da entrambe e da ciascuna delle
due.

Sezione terza

Al centro di questa sezione è ancora l'indagine intorno alla corretta defini-


zione della "scienza divina"; in particolare, si discutono i concetti di utilità e
rango della scienza e, in stretta relazione con la definizione del rango, viene
ancora una volta affrontata la questione del nome che più opportunamente
deve darsi a questa scienza.
[17-18] La trattazione si apre con una breve ricognizione della distinzione
tra bene ed utile. Il bene è quanto viene cercato in sé, l'utile è quanto viene
cercato "in vista" del bene che ne è il fine. Per comprendere in che cosa consi-
sta l'utilità di questa scienza, è quindi necessario definire l'utilità. In primo
luogo, si noterà che le scienze si dicono utili in due sensi: un primo senso è
quello per cui esse dispongono l'anima alla felicità ultraterrena; un secondo
senso è quello per cui esse sono utili l'una all'altra. In quest'ultimo senso si
danno però ancora due significati di "utile"; il primo è quello assoluto per cui
l'utile è semplicemente ciò che fa acquisire altro da sé; l'altro, "particolare" o
"proprio", è quello in cui si dice utile quel che conduce al proprio fine, più
elevato. Poiché questa scienza è già stata definita come la più elevata di tutte
le scienze, essa - rispetto alle altre scienze - non può dirsi "utile" in questo
senso proprio. Ma anche nel concetto di utilità assoluta di una scienza sono
distinguibili diversi sensi: in senso proprio, essa conduce a qualcosa di supe-
riore; in un secondo senso, a qualcosa di equivalente, infine, in un terzo senso,
a qualcosa di inferiore. Solo in quest'ultimo dei tre sensi è corretto affem1are
l'utilità della metafisica nei riguardi delle altre scienze. Essa, infatti, è la
scienza che dà certezza ai principi delle altre scienze; essa, cioè, fa acquisire
qualcosa alle altre scienze e in tal senso da essa deriva o "fluisce" qualcosa di
INTRODUZIONE 9

inferiore a sé. È notevole che qui venga istituito un rapporto preciso tra il
"fluire" delle scienze dalla scienza divina e il "fluire" degli esistenti dal
Principio. La scienza divina fa acquisire i principi alle altre scienze, così come
l'oggetto che essa intenziona (il Principio primo) fa acquisire l'esistenza agli
oggetti che le altre scienze intenzionano. [19-21,11] In base a questo principio
vengono stabiliti la gerarchia delle scienze e il rango che fra di esse spetta a
questa in particolare: essa è posteriore alla scienza naturale e alla matematica,
poiché implica alcune nozioni cui non si può attingere che dopo aver acquisito
queste due scienze. Bisogna allora rispondere all'obiezione che a ciò verrebbe
fatto di muovere. Sembra, infatti, che in tale posizione vi sia una circolarità:
da una parte, questa scienza fornisce certezza ai principi delle altre due ma,
dali' altra, queste altre due scienze le forniscono, a loro volta, i principi.
L'obiezione viene risolta fondamentalmente distinguendo i due differenti sensi
in cui è utilizzato il termine "principio". In un primo senso, esso è ciò che fa
acquisire la certezza perché è ciò che fornisce la ragione della cosa; in un
secondo senso, è "principio" ciò che ci fa acquisire la conoscenza dell'esisten-
za di qualcosa, senza fornircene la ragione. La scienza divina è quindi una
scienza che fornisce i principi alle altre scienze quia (li-mii), mentre i principi
che le altre scienze le forniscono lo sono solo nel senso del "che" (quid;
anna), non del "perché". I principi assunti nella scienza divina possono essere
evidenti per sé; possono essere considerati nelle altre scienze sotto un aspetto
diverso e possono, infine, essere derivati dalle altre scienze solo nel senso del
"che". Non vi è quindi alcuna scienza che sia anteriore alla metafisica: essa in
se stessa è anteriore a tutte le scienze ed è posteriore solo rispetto a noi. È
infatti solo per via della nostra incapacità, non in sé, che la metafisica si serve
dei concetti assunti dalle altre discipline. C'è infatti una via che permette di
giungere alla Causa prima senza fare ricorso al mondo della natura: il tema
aristotelico dell'anteriorità per sé finisce così per corroborare quello avicen-
niano della distinzione dell'essere in necessario e possibile.
[21,12-24] È qui che occorre per la prima volta il termine "metafisica"
(mii ba 'da al-tabz'a -"quel che è dopo la natura"): questa scienza viene dopo
la fisica rispetto a noi, ma in se stessa dovrebbe essere chiamata "quel che è
prima della natura". Lo studio degli enti matematici in quanto tali- come si fa
nella matematica- non è, invece, "prima della natura", perché la sussistenza
degli enti matematici non è separata dalla materia (o da un rapporto con essa,
così come stabilisce la facoltà estimativa dell'uomo): gli enti matematici sono
oggetto delle operazioni matematiche di aggiunta o di sottrazione solo in
quanto sono pensati in rapporto con la materia e non è in questo senso che essi
sono considerati dalla metafisica.
10 TRATIATO PRIMO

Sezione quarta

La quarta sezione elenca l'organico concatenarsi degli argomenti che "que-


sta scienza"- appena definita come scienza divina o "metafisica"- dovrà trat-
tare. Essi sono: la distinzione tra essere necessario - "obbligatoriamente esi-
stente"- ed essere possibile; l'esame della sostanza e dell'accidente; l'univer-
sale e il particolare; il genere e la specie; la causa, il causato, il rapporto che
fra essi sì istituisce; il Primo, Causa prima, Bene puro; il rango degli esistenti
(dagli angeli intellettuali agli elementi sublunari); il "ritorno" dì ciascuno degli
esistenti al Primo. La concatenazione degli argomenti così distinti corrisponde
a quella del libri e delle sezioni della stessa Metafisica di Avicenna. In tal
senso, questa sezione rivela l'ossatura dell'opera avicenniana.

Sezione quinta

Questa sezione è di fondamentale importanza. [29-30,10] In essa si esami-


nano le nozioni di "esistente", "cosa", "obbligatorio" e poi "necessario", "pos-
sibile", "impossibile". Si trova qui la celebre affermazione avicenniana-
ripresa, per esempio, da Tommaso già nel De ente et essentia - secondo cui le
intentiones (al-ma 'lini), ossia le nozioni, dell'esistente, della cosa e dell' obbli-
gatorio sono primarie. Esse, cioè, "si imprimono" nell'anima in modo prima-
rio e non vengono "apprese" dall'anima la quale, piuttosto, le conosce già in
quanto esse costituiscono la premessa necessaria a ogni conoscenza. La desi-
gnazione di tali intenzioni o nozioni può semplicemente "risvegliare" la cono-
scenza che l'anima di esse già possiede (come accade per esempio con i sino-
nimi). Senza queste nozioni primarie, sarebbe necessario dimostrare ogni
nozione con una nozione ulteriore e si avrebbe inevitabilmente un circolo o un
processo all'infinito. Esse, quindi, non sono nozioni dimostrabili: chiunque ne
tenti una descrizione o definizione cade nell'imbarazzo.
[30,10-32,16] Avicenna stabilisce poi la sinonimia di termini come "cosa",
"quel che", "realtà", "ciò" (voci che si riferiscono tutte alla "cosa" indipen-
dentemente dall'esistenza di essa) e pone la differenza di significato tra "esi-
stenza" e "quiddità" o "esistenza stabilita" o "affermativa" (al-wugiid al-
ilbiitl) ed "esistenza propria" (al-wugiid al-/:tii~~). Alla distinzione tra l'essenza
e l'esistenza della cosa, segue, tuttavia, una precisazione: quel che è, è sempre
accompagnato dall'esistenza (perché appunto "è"), anche se essa è logicamen-
te e ontologicamente distinta rispetto alla sua essenza. Ciò che è inesistente in
senso assoluto - e che non è, quindi, accompagnato da una certa esistenza, né
negli individui, né nell'anima, è qualcosa di indicibile o indesignabile e che
non si può perciò né affermare né negare. Se quindi l'essenza è distinta
dall'esistenza, questo non significa che si dia un'essenza inesistente in senso
assoluto: la distinzione di essenza ed esistenza non va intesa nel senso, eviden-
INTRODUZIONE 11

temente contraddittorio, in cui "esisterebbe" un'essenza priva di "esistenza".


Piuttosto- come sarà chiaro in seguito- l'esistenza è pensata come un qual-
cosa che "si accompagna necessariamente" alla cosa senza però entrare a far
parte della definizione di essa (cioè dell'essere "cosa" della cosa; più avanti
Avicenna userà proprio il termine di "cosalità" - say'iyya): come la misura
degli angoli interni consegue necessariamente al triangolo, senza tuttavia
costituirne un carattere definitorio, così l'esistenza consegue alla cosa. E val la
pena notare come i termini della "conseguenza necessaria" si rivelino essen-
ziali anche alla comprensione del rapporto tra Dio e mondo, ossia tra il
Necessariamente Esistente e la sua "creazione".
[32,17-35,2] Per dimostrare l'indicibilità dell'inesistente assoluto, Avicenna
ricorre a un argomento dialettico: se si predicasse qualcosa dell'inesistente, il
suo predicato sarebbe o esistente o inesistente: se fosse esistente, dovrebbe
esserlo anche il soggetto cui il predicato inerisce; se fosse inesistente, come si
potrebbe dire qualcosa attraverso di esso? La distinzione tra "cosa" o "quid-
dità" ed "esistenza" trova infine un chiarimento in un esempio preciso, quello
della "resurrezione": intanto si comprende il significato della proposizione che
afferma che "vi sarà" una resurrezione, in quanto si comprende la nozione che
di essa si ha nell'anima: la predicazione riguarda quindi realmente (bi-1-/:zaqlqa)
l'esistente che è nell'anima e, per accidente, quello esterno. Se si tiene presen-
te quanto nel pensiero avicenniano la sfera gnoseologica rimandi intimamente
a quella ontologica, si scorge qui anche l'espressione dell'accidentalità
dell'esistenza della cosa in re: una volta che l'esistenza della cosa nell'anima
si sia definita "reale", reale diventa anche la predicazione intorno a qualcosa
che non esiste che nell'anima. [35,3-fine] Vengono poi esaminati i concetti di
necessario, possibile e impossibile. Neppure di essi si può dare una definizio-
ne: nel definire l'uno si assumerebbe infatti necessariamente l'altro.
La sezione si chiude con la confutazione della dottrina di chi ritiene possi-
bile far tornare l'inesistente (o ciò che è stato reso inesistente) all'esistenza; a
costituire lo sfondo della polemica è la dottrina teologica della resurrezione
dei corpi o, più in generale, quella del ritorno dell'identico che in filosofia si
concretizza nella discussione sull'eterno ritorno dei cicli.

Sezione sesta

[37-39,16] A partire dalla divisione dell'esistente in possibile (ciò la cui


esistenza non è necessaria) e necessario (ciò la cui esistenza è necessaria),
Avicenna deduce le proprietà che legittimamente si attribuiscono a quel che è
necessariamente esistente e solo ad esso. Viene così distinto un ambito del
possibile (l:zayyz al-imkiin) e un ambito del necessario ed è subito chiaro come
questo non possa comprendere più di un ente. I primi argomenti della sezione
sono rivolti a dimostrare l'unicità e l'unità del necessariamente esistente.
12 TRATTATO PRIMO

Dall'unità del necessariamente esistente sono deducibili le sue proprietà nega-


tive: non è relativo, né mutevole, né molteplice, né associato ad altro. Il possi-
bile e il necessario vengono immediatamente riconosciuti rispettivamente
come causato e causa: il possibilmente esistente non ha in sé l'esistenza e deve
quindi riceverla da una causa; il necessariamente esistente in quanto tale non
può dirsi causato (se avesse una causa, non sarebbe necessario).
Due osservazioni si impongono. In primo luogo, si noterà che ad essere defi-
nito è qui ancora soltanto un ambito logico-ontologico, quello del necessario
distinto dal possibile, e non un "ente" definito come principio Necessariamente
Esistente (si è cercato di far emergere questa distinzione facendo uso, in que-
sto caso, delle minuscole; le maiuscole sono utilizzate, invece, quando ad
essere preso in considerazione è il Necessariamente Esistente quale principio
degli esistenti tutti). In secondo luogo, si noterà come la stessa argomentazio-
ne che dà conto del necessariamente esistente non causato, introduca la nozio-
ne di ciò che è "necessario per altro e possibile in sé". Questo, come sarà chiaro
in seguito, è in senso lato lo statuto di ogni ente "altro" dal Necessariamente
Esistente mentre, stricto sensu, è lo statuto degli enti celesti. Lo statuto di quel
che è causato - e con cui si determina tutto ciò che è altro dal necessariamente
esistente- è assoluto e comprende sia ciò che esiste, sia ciò che non esiste (ma
è possibile che esista). Il primo ha, infatti, una causa per la propria esistenza, il
secondo ha una causa per la propria inesistenza (una causa che si risolve nella
mancanza o nella privazione della causa che lo farebbe esistere).
[39,17-fine] Una volta distinto, quindi, il significato del necessario (per sé
e per altro) da quello del possibile, Avicenna passa a confermare come, per
quanto riguarda il necessariamente esistente, non possa esservi molteplicità e
non possa cioè esservi omologia o equivalenza di due (o più) enti necessaria-
mente esistenti. Il rapporto istituito tra due enti necessariamente esistenti non
potrebbe essere che quello della causa e del causato e in tal modo è negato o
all'uno o all'altro lo statuto della necessità per sé: l'ipotesi di due esistenti,
entrambi necessariamente esistenti per sé, viene di fatto contraddetta. Vale la
pena di notare come qui sia il tema stesso del rapporto tra due esistenti a inte-
ressare Avicenna, forse ancor prima di quello del rapporto tra i due supposti
enti necessari: la sezione si chiude con una sorta di trattazione dei rapporti
possibili tra le cose. Tale trattazione permette ad Avicenna non solo di negare
che due enti necessari possano essere entrambi necessari per sé, ma anche di
gettare le basi di quella teoria della causalità che è a fondamento della dottrina
emanativa avicenniana: il rapporto tra due cose, infatti, comporta necessaria-
mente o che le due cose siano l'una la causa dell'altra, oppure che esse siano
entrambe causate da una terza entità. Viene così legittimata la causalità
"dall'alto" del flusso di forme: è una terza causa, superiore, a dare ragione di
due elementi apparentemente correlati nell'esistenza. Non possono esservi due
esistenti necessari (Nl e N2) l'uno "omologo" (o "corrispondente" o "co-
eguale") (mukàfi') rispetto all'altro, laddove il rapporto tra due "omologhi" è
INTRODUZIONE 13

quello fra due cose che esistono l'una insieme all'altra senza essere l'una causa
dell'altra. Questo argomento, come l'esplicazione che ne segue, sono utilizzati
da Avicenna anche per dare ragione del rapporto tra materia e forma e quindi
tra anima e corpo; questi non possono essere concepiti come "omologhi"
nell'esistenza ed essendo l'una (la forma, l'anima) anteriore all'altro (la mate-
ria, il corpo) per essenza, provengono invece entrambi da una terza cosa, ciò
che i latini chiameranno datar formarum (cfr. Iliih., Il, 4 per materia e forma;
De an., V, 3-4 per anima e corpo). Come l'anima è "creata" per flusso insieme
al corpo, così il necessariamente esistente non può, per essere veramente tale,
venire associato ad un altro necessariamente esistente, perché questa associa-
zione comporterebbe la posizione di una causa superiore ad entrambi.

Sezione settima

[43- 44,9] Le argomentazioni di questa sezione sono mirate a definire quel


che è necessariamente esistente e che è di necessità uno, e a definire quindi il
Necessariamente Esistente quale principio degli esistenti tutti; dei suoi attribu-
ti daranno ragione gli ultimi libri delle lliihiyyiit (eminentemente il libro IX).
Se vi fosse più di un ente necessariamente esistente, in che cosa potrebbe
risiedere la differenza fra i vari enti necessari? Se poi la differenza non riguar-
dasse la realtà stessa di ciascun ente, perché appunto ciascuno dovrebbe essere
identicamente necessario, essa dovrebbe certo riguardare qualcosa di "aggiun-
to" alla realtà o essenza del necessariamente esistente: un accidente o un con-
comitante. Ora, se l'accidente fosse dovuto alla realtà stessa della cosa, esso
sarebbe identico per i due esseri necessari, i quali non differirebbero; e se,
invece, esso fosse dovuto a qualcosa di esterno alla loro realtà, sarebbe dovuto
a una causa, e i due esseri necessari sarebbero due causati, essendo cioè non-
necessari per sé; e ciò è altrettanto contraddittorio. [44, l 0-44, 16] Le stesse
impossibilità conseguirebbero poi se si facesse risiedere la differenza in qual-
cosa di fondamentale per i due enti ma diverso dalla loro essenza. Se, infatti,
si trattasse di un carattere essenziale, esso dovrebbe appartenere ad entrambi, e
la differenza sarebbe ancora una volta negata; se si trattasse, invece, di un
carattere inessenziale, esso, rimanderebbe a sua volta a una causa. [45,1-46,4]
Né si può pensare che la differenza tra gli enti necessari sia dovuta alle diffe-
renze specifiche: queste, infatti, farebbero acquisire al "genere" dell'esistenza
necessaria l'esistenza in atto. Ma la necessità d'esistenza, in quanto "afferma-
zione d'esistenza" deve già in sé essere esistenza in atto. Se così fosse, inoltre,
la necessità d'esistenza verrebbe ad esser causata. Non si può neppure pensare
la necessità d'esistenza come una "specie": in tal caso la differenza fra i vari
individui dovrebbe risiedere negli accidenti e si tornerebbe alle contraddizioni
iniziali. [46,5-fine] In breve: o l'esistenza necessaria è necessariamente attri-
buto di una cosa e solo di quella, oppure essa, potendo attribuirsi ad altro,
14 TRATTATO PRIMO

potrà o meno esserne un attributo; in tal caso però la cosa non sarà più neces-
saria, ma possibile e quindi causata. Il necessariamente esistente è quindi uno
in un senso totale o universale, mentre tutto ciò che non lo è è possibile ed è
composto e doppio.

Sezione ottava

[48] La sezione si apre con la definizione della "realtà" sul piano logico-lin-
guistico (''verità") e sul piano antologico che a questo corrisponde; cosi, accan-
to alla definizione della verità di una proposizione compare l'affermazione che
"il necessariamente esistente è quel che è vero per sé (al-l,zaqq bi-r;ititi-hi) conti-
nuativamente, mentre il possibilmente esistente è vero in virtù di altro da sé
(l,zaqq bi-gayri-hi), e in se stesso è falso" (o "vano": ba.til). Il principio di non-
contraddizione, fondamento di ogni verità, è enunciato nei termini in cui
modernamente si identifica il principio del terzo escluso: «non vi è un medio
tra l'affermazione e la negazione» (cfr. ARIST., Metaph., X, 7, 1057 a 33).
[49,1-53,12] Avicenna passa poi a considerare i termini e i modi del com-
pito che spetta al filosofo e cioè quello di convincere il sofista e il perplesso
della necessità di questo principio. È quindi alla discussione, e perciò al sillo-
gismo - dimostrativo e per analogia - che è dedicato il resto della sezione.
L'interlocutore- sia egli un sofista o qualcuno che è perplesso, non sapendo
decidersi fra due affermazioni contraddittorie che gli appaiono entrambe vere
- dovrà ammettere di significare qualcosa parlando: una volta accolta questa
premessa, il principio è implicitamente accettato. Senza questa concessione, il
sofista si troverà a tacere- come il tronco di legno di Aristotele -e colui che è
perplesso, perché non sa distinguere quale sia quella vera tra due affermazioni
che gli sembrano autorevoli o probabili, non riuscirà a capir nulla. La discus-
sione è il metodo che il filosofo deve usare per "risvegliare" l'attenzione su
questo principio fondamentale. [53,13-54] Solo di fronte a colui che è ostinato
- e che nega, ma solo a parole - le evidenti verità, si farà a meno di discutere;
perché chi si ostina a negare il principio di ogni discussione si pone egli stesso
al di là della discussione.
In tale contesto è notevole, data la rilevanza che questo tema riveste per
l'esegesi dello stesso pensiero avicenniano, l'attenzione che Avicenna dedica
a qualificare il linguaggio simbolico di alcuni sapienti e dei profeti. Se questo
linguaggio sembra sfuggire al principio universale della non-contraddizione,
questa non è che una veste apparente; ma è necessario distinguere tra chi,
come i veri sapienti e i profeti, lo utilizza non incorrendo mai nell'errore e chi
invece "cavalca a briglia sciolta" senza curarsi della logica e finisce così,
senz'altro, per sbagliare. L'adesione all'una o all'altra affermazione, la sco-
perta della verità, passa quindi sempre per il principio di non-contraddizione e
quindi per il sillogismo e per la logica.
1

1
16 [3]

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TRACT A TUS PRIMUS

CAPITULUM DE JNQUISITIONE SUBIECTI PRJIVjAE PHILOSOPHIAE


AD HOC UT OSTENDATUR IPSA ESSE DE NUMVRO SCIENTIARUM

[l l Postquam, auxilio Dei, explevimus tractatum de intentionibus scientiarum logicarum


et naturalium et doctrinalium, convenientius est accectere ad cognitionem intentionum
sapientialium.
17

Nel nome di Dio, Colui che ha misericordia, il misericordioso.


Lode a Dio, il Signore dei Mondi 1; la Sua benedizione sia sul Profeta, l'eletto,
Mulfammad, e su tutti i nobilissimi membri della sua famiglia

TREDICESIMA PARTE (FANN) DEL LIBRO DELLA GUARIGIONE


SULLE {COSE} DIVINE

PRIMO TRATTATO, IN OTTO SEZIONI

[SEZIONE PRIMA]

IN CUI SI INCOMINCIA A RICERCARE IL SOGGETT0 2 DELLA FILOSOFIA PRIMA PER


RENDERE EVIDENTE lL SUO COSTlTUlRSl COME SClENZA3

Dopo che, con il sostegno di Dio, patrono della misericordia e del succes-
so, abbiamo riferito quel che era necessario riferire delle intenzioni 4 delle
scienze logiche, naturali e matematiche, conviene accingersi a far conoscere
quelle della sapienza5 .
Inizieremo, domandando l'aiuto di Dio, dicendo che le scienze filosofiche
-come è stato indicato in altri passaggi di [altri] libri- si dividono in specula-
tive e pratiché. Quale sia la differenza tra di esse lo si è già indicato e si è
ricordato che le scienze speculative sono quelle in cui si ricerca7 il perfeziona-
mento della potenza speculativa dell'anima con il darsi dell'intelletto in atto 8 ,
e cioè [4] in quanto, relativamente a quelle cose che non sono tali in quanto

Incipiamus ergo, auxiliante Deo, et dicamus quod scientiae philosophicae, sicut iam
innuimus in aliis libris, dividuntur in speculativas et activas, et iam innuimus differentiam
inter eas. Et diximus quod speculativae sunt illae in quibus quaerit perfici virtus animae spe-
culativa per acquisitionem intelligentiae in effectu, scilicet per adeptionem scientiae imagi-
18 t [4]

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nativae et creditivae de rebus quae non sunt nostra opera nec nostrae dispositiones. In bis
ergo finis est certitudo [2] sententiae et opinionis: sententia enim et opinio non sunt ex qua-
litate nostri operis nec ex qualitate initii nostri operis secundum quod est inìtium operis.
Practìcae vero sunt ìllae in quibus primum quaerit perfici virtus animae speculativa per
adeptionem scìentiae imagìnativae et creditivae de rebus quae sunt nostra opera, ad hoc ut
secundario proveniat perfectio virtutìs practicae in moribus.
Et dìxìmus quod speculativae comprehenduntur in tres partes, in naturales scilicet et
doctrìnales et divinas; et quod suum subìectum naturalium est corpora, secundum quod
moventur et quiescunt, et quod de eis inquiritur est accidentalia quae accidunt eis proprie
TRATTATO PRIMO- SEZIONE PRIMA 19

sono opere nostre e nostri modi di essere, si dà la scienza della rappresentazio-


ne e dell'assenso nel giudizio 9 . Il fine [nelle scienze speculative] consiste
infatti nell'avere un'opinione e una convinzione che non siano un'opinione e
una convinzione che riguardino le modalità di un'opera o del principio di
un'opera. Le [scienze] pratiche sono, invece, quelle in cui in primo luogo si
ricerca il perfezionamento della potenza speculativa in quanto si dà la scienza
della rappresentazione e dell'assenso nel giudizio - relativamente a quelle
cose che sono opere nostre, [e questo] affinché poi, a partire da esse, si possa,
in secondo luogo, attuare il perfezionamento della potenza di agire secondo i
costumi morali 10 •
Si è ricordato anche che le [scienze] speculative si suddividono solo in tre
parti 11 , e cioè: quella naturale, quella matematica e quella divina 12 • Il soggetto
della [scienza] naturale sono i corpi in quanto essi sono in movimento e in
quiete, mentre l'indagine in essa condotta è intorno agli accidenti che, sotto
questo aspetto, ineriscono per sé ai [corpi]. Il soggetto della matematica è o
qualcosa che per sé è una quantità astratta 13 dalla materia o qualcosa che è
dotato di una quantità, mentre ciò intorno a cui in essa si indaga consiste in
stati che accadono alla quantità in quanto tale; e nelle sue definizioni non si
prendono in considerazione né la materia, di qualunque specie essa sia, né
l'essere in potenza al movimento. [Infine, si è ricordato,] che la [scienza] divi-
na indaga su quelle cose (umiir) che sono separate dalla materia tanto nella
sussistenza quanto nella definizione. Hai sentito dire, inoltre, che [la scienza]
divina è quella in cui si indaga intorno alle cause prime dell'essere naturale e
[dell'essere] matematico, intorno a ciò che a questi due è vincolato e intorno al
Causatore delle cause (musabbib al-asbiib) 14 e al Principio dei principi
(mabda' al-mabiidf'), che è Iddio, altissima la Sua gloria.

secundum hunc modum; et quod suum subiectum doctrinalium est ve! quod est quantitas
pure, ve! quod est habens quantitatem, et dispositiones eius quae inquiruntur in eis sunt ea
quae accidunt quantitati ex hoc quod est quantitas, in definitione quarum non invenitur spe-
cies materiae nec virtus motus; et quod divinae scientiae non inquirunt nisi res separatas a
materia secundum existentiam et definitionem.
Iam etiam audisti quod scientia divina est in qua quaerunt de [3] primis causis naturalis
esse et doctrinalis esse et de eo quod pendet ex his, et de causa causarum et de principio
principiorum, quod est Deus excelsus. Et hoc est quod potuisti attingere ex libris transactis.
20 [5]

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Ex quibus tamen non piene patuit tibi quid certissime sit subiectum divinae scientiae, nisi
aliquantula innuitione quam transcurri in libro logìcae De Analyticis Posterioribus, si memi-
nisti: et quod in ceteris scientiis est aliquid quod est subiectum, et quod aliqua sunt quae
inquiruntur in eis, et quod principia aliqua conceduntur in eis ex quibus componitur demon-
stratio. Sed tamen per hoc non vere certificatus es quid si t subiectum huius scientiae, scilicet
an sit essentia primi principii, ad hoc ut id quod quaerimus in ea sit cognitio proprietatum et
actionum eius, ve! an sit alia intentio.
Et etiam iam audisti quod haec est philosophia certissijlla et philosophia prima, et quod
ipsa facit acquirere verificationem principiorum ceterarujll scientiarum, et quod ipsa est
sapientia certissime. Iam etiam audisti saepe quod sapielltia est excellentior scientia ad
sciendum id quod est excellentius scitum, et iterum quod sllpientia est cognitio quae est cer-
TRATI ATO PRIMO- SEZIONE PRIMA 21

(5] Questo è quanto avevi potuto apprendere 15 nei libri precedenti. Con
tutto ciò, tuttavia, non ti appare evidente quale realmente (bi-l-J:wqfqa) 16 sia il
soggetto della scienza divina, se non per un'indicazione, se la ricordi, che si
trova nel Libro della dimostrazione 17 che fa parte della Logica e cioè che, in
tutte le altre scienze, tu hai trovato qualcosa che funge da soggetto, altre cose
che sono quelle da ricercare e alcuni principi che vengono ammessi e a partire
dai quali si costruiscono le dimostrazioni. Ora, però, non sai individuare quale
sia la realtà di quel che è il soggetto di questa scienza: se esso sia la stessa
Causa prima - in modo tale che quel che va cercato siano i suoi attributi e le
sue azioni- o sia invece qualcos'altro.
Inoltre, hai già inteso dire che vi è una "filosofia vera" e "prima", che essa
conferisce [il modo] di convalidare i principi delle altre scienze e che è la vera
sapienza. E talvolta intendevi che la sapienza è la scienza migliore del miglior
conoscibile, talaltra, invece, che essa è la conoscenza che è la più valida e la
più esatta, e altre volte ancora che essa è la scienza delle cause prime del tutto;
{tuttavia], non sapevi che cosa fossero questa "filosofia prima" e questa
""1>1.}>\.~'ù.'L'K' 'ù.i, "b~ \.~ \';~ ~~\\.'ù.\.'L\.<0'ù.\. ~ \. \';~ 1.\\'i.\.~~\\. 1.}>}>1.-;\~'ù.~"b"b~';<;') 1. ~'ù.1. "b\~"b"b1.
~isciplina o a discipline differenti, ognuna delle quali chiamata "sapienza" 18 .
Adesso ti mostreremo, invece, che questa scienza nella quale stiamo proceden-
do è la filosofia prima e la sapienza assoluta e che i tre attributi con i quali
quest'ultima è descritta sono attributi di una stessa disciplina, che è appunto
questa.
È noto che ogni scienza ha un soggetto che le è proprio; indaghiamo dun-
,que, adesso, intorno al soggetto di questa scienza: che cos'è? 19 Consideriamo
Se il soggetto di questa scienza sia l'essere (anniyya) di Dio- altissima la Sua
,gloria - oppure no, e Dio sia, piuttosto, una delle cose che vanno ricercate in
questa scienza.
Ora, - diremo - Dio non può esserne il soggetto; il soggetto di una scienza
è sempre qualcosa la cui esistenza viene ammessa in quella stessa scienza e di
cui si indagano soltanto i [vari] stati; e [6] ciò si è appreso in altri luoghi.

tior et convenientior, et iterum quod ipsa est scientia primarum causarum totius. Et tamen
non intellexisti qui d esset haec [4] philosophia ve! haec sapientia, nec si haec tres definitio-
nes ve! proprietates sint unius artis ve! diversarum quarum unaquaeque dicatur sapientia.
Nunc autem nos manifestabimus quod haec scientia in cuius via sumus est philosophia
prima et quod ipsa est sapientia absolute, et quod tres proprietates per quas describitur
sapientia, sunt proprietates unius magisterii, et quod ipsa est ipsum magisterium.
Consta! autem quod omnis scientia habet subiectum suum proprium. Inquiramus ergo
quid sit subiectum huius scientiae, et consideremus an subiectum huius scientiae sit ipse
Deus excelsus; sed non est, immo est ipse unum de his quae quaeruntur in hac scientia. Dico
igitur impossibile esse ut ipse Deus si t subiectum huius scientiae, quoniam subiectum omnis
scientiae est res quae conceditur esse, et ipsa scientia non inquirit nisi dispositiones illius
subiecti, et hoc notum est ex aliis locis. Sed non potest concedi quod Deus si t in hac scientia
22 , [6]

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ut subiectum, immo est quaesitum in ea, scilicet quoniam, si ita non est, tunc non potest esse
quin sit ve! concessum in hac scientia et quaesitum in alia, vel concessum in ista et non
quaesitum in alia.
Sed utrumque falsum est, quoniam impossibile est ut si t quaesitum in alia, eo quod aliae
scientiae ve! sunt morales ve! civiles ve! naturales ve! doctrinales vellogicae, et nulla scien-
tia sapientiae est extra hanc divisionem. In nulla autem earum quaeritur an sit Deus, quia
non [5] potest hoc esse ut in eis quaeratur, et tu scies hoc parva inspectione ex his quae mul-
totiens inculcamus. Nec etiam potest esse ut non sit quaesitum in alia ab eis scientia: tunc
enim esset non quaesitum in scientia ullo modo. Igìtur aut est manifestum per se, aut despe-
ratum per se quod non possit manifestari ulla speculatione. Non est autem manifestum per
se, nec est desperatum posse manifestari, quia signa habemus de eo. Amplius: omne id cuius
;fRATIATO PRIMO- SEZIONE PRIMA 23

L'esistenza di Dio- altissima la Sua gloria- non può essere ammessa in que-
sta scienza come suo soggetto: essa è piuttosto qualcosa che vi va ricercato. Se
così non fosse, [ci troveremmo, infatti, di fronte a due possibilità]: o [l'esisten-
za di Dio] sarebbe ammessa in questa scienza e da ricercare in un'altra; oppu-
re sarebbe ammessa in questa scienza, senza doversi ricercare in un'altra
scienza. Ma entrambi i casi sono falsi.
Non può essere, infatti, che [l'esistenza di Dio] sia da ricercare in un'altra
scienza. Le altre scienze sono o etiche o politiche o fisiche o matematiche o
logiche; tra le scienze filosofiche 20 non vi è una scienza che sia estranea a que-
sta divisione e in nessuna di esse si fa un'indagine tesa a stabilire [l'esistenza]
di Dio- altissima la Sua gloria. E d'altronde non potrebbe essere altrimenti;
questo tu lo sai alla minima riflessione, per i principi che ti sono stati [spesso]
ripetuti 21 •
Ma neppure può essere che [l'esistenza di Dio] non sia da ricercare in
un'altra scienza, perché allora sarebbe da non ricercare affatto in nessuna
scienza22 , e dovrebbe quindi essere evidente per sé; oppure si dovrebbe rinun-
ciare alla speranza di renderla evidente con la speculazione razionale. Ma
[l'esistenza di Dio] non è né evidente per sé né si dispera di renderla evidente:
se ne dà, infatti, una prova. E d'altronde, come si potrebbe ammettere l'esi-
stenza di ciò che si dispera di rendere evidente?
Non rimane, dunque, altro che l'indagine su [Dio] appartenga a questa
scienza.
L'indagine intorno a [Dio], poi, [può esser condotta] in due modi: uno dei
due è l'indagine che riguarda la sua esistenza, l'altro riguarda i suoi attributi.
Ma poiché è proprio l'indagine sulla sua esistenza che si fa in questa scienza,
[Dio] non può esserne il soggetto. [Come] è noto, infatti, a nessuna scienza
appartiene di stabilire [l'esistenza] di ciò che ne è il soggetto. Inoltre, fra poco,
ti mostreremo in modo evidente che l'indagine sulla sua esistenza non può
farsi che in questa scienza. Infatti, se già a partire dallo stato proprio di questa
scienza, hai appurato che essa consiste in un'indagine sulle cose radicalmente
separate dalla materia, nella Fisica 23 ti è apparso chiaramente che Dio è incor-
poreo e che non è la potenza di un corpo [7) ma che piuttosto è uno e sotto

manifestatio desperatur, quomodo potest concedi esse eius? Restat ergo ut ipsum inquirere
non sit nisi huius scientiae.
De eo autem inquisitio fit duobus modis. Unus est quo inquiritur an sit, alius est quo
inquiruntur eius proprietates; postquam autem inquiritur in hac scientia an sit, tunc non pote-
st esse subiectum huius scientiae. Nulla enim scientiarum debet stabilire esse suum subiec-
tum. In proximo etiam ostendam quod an sit non potest quaeri nisi in hac scientia.
Manifestum est enim ex dispositione huius scientiae quod ipsa inquirit res separatas omnino
a materia. Iam etiam significavi tibi in naturalibus quod Deus est non corpus nec virtus cor-
poris, sed est unum separatum a materia et ab omni comrnixtione omnis motus. Igitur inqui-
24 v [7]

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sitio de eo debet fieri in hac scientia, et quod de hoc apprehendisti in naturali bus erat extra-
neum a naturali bus quia quod de hoc tractabatur in eis non erat de eis, sed voluimus per hoc
accelerare hominem ad tenendum esse primum principium, ut per hoc (6] augeretur deside-
rium addiscendi scientias et perveniendi ad locum in quo certius possit cognosci.
Postquarn autem nece&&e est ut haec scientia subiectm11 habeat, et monstratum est illud
quod putabatur esse subiectum eius non esse suum subiectl)m, tunc quaerarnus an subiectum
eius sint ultimae causae eorum quae sunt, an omnes quattuor simul, non una tantum; sed hoc
non debet dici, quamvis iam hoc quidarn putaverunt. Nam consideratio de omnibu& quattuor
causis non potest esse quin sit de illis inquantum habent esse, ve! inquantum sunt causae
TRATTATO PRIMO - SEZIONE PRIMA 25

ogni aspetto privo di materia e di commistione con il movimento, ed è perciò


necessario che l'indagine intorno [a Dio appartenga] a questa scienza.
Tuttavia, quel che ti era apparso chiaramente di tale [questione] nella Fisica
era estraneo ad essa: vi veniva utilizzato senza fame parte. Con quell' [argo-
mento] si voleva semplicemente anticipare all'uomo la consapevolezza
dell'esistenza (anniyya) del Principio primo 24 , di modo che, a partire da tale
consapevolezza, egli si rafforzasse nel desiderio di acquisire le scienze e di
essere diretto verso quello stadio da cui realmente se ne può raggiungere la
conoscenza25 •
Poiché dunque vi è immancabilmente bisogno di qualcosa che sia soggetto
di questa scienza, e poiché hai appurato che quel che si riteneva lo fosse non
lo è, esaminiamo se suo soggetto siano le cause ultime di tutti gli esistenti - le
quattro [cause], e non una sola di esse, per la quale non vi è alcun discorso [da
sostenere] 26, anche se alcuni possono credere persino questo.
Anche per quanto riguarda l'esame 27 di tutte le cause, però [vi è qualcosa
da dire]; esse si esamineranno senz'altro: o in quanto sono degli esistenti o in
quanto sono cause in senso assoluto o in quanto ognuna delle quattro è nel
modo che le è proprio. Intendo dire che l'esame [delle cause] si può fare o a
partire dall'aspetto per cui questa è un agente, quella un ricevente e quella
un'altra cosa [ancora], oppure a partire dall'aspetto per cui esse costituiscono
un insieme.
Ora, - diremo - non può essere che il loro esame si faccia in quanto esse
sono cause assolute, in modo tale che lo scopo di questa scienza sia lo studio
di quel che accade alle cause in quanto cause in senso assoluto. Ciò appare
manifesto a partire da più punti di vista: in primo luogo, perché questa scienza
indaga intorno ad alcune nozioni- come l'universale e il particolare, la poten-
za e l'atto, la possibilità e la necessità e altro ancora- che non sono degli acci-
denti propri delle cause in quanto cause. [8] D'altronde, è chiaro ed evidente

absolutae, ve! inquantum unaquaeque earum quattuor est illius modi qui proprius est sibi,
scilicet ut considerati o de illis si t secundum quod una est agens et alia patiens et illa alia est
aliud, ve! secundum quod fit ex coniunctione illarum.
Dico autem quod, si bene consideretur, non possunt esse subiectum huius scientiae
inquantum sunt causae absolutae, ita ut intentio huius scientiae sit considerare ea quae acci-
dunt causis inquantum sunt causae absolutae. Et hoc patet multis modis, quorum unus est
scilicet quod haec scientia inquirit intentiones quae non sunt ex accidentibus propriis ipsa-
rum causarum inquantum sunt causae. Inquirit enim universale et particulare, potentiam et
effectum, possibile et necesse, et cetera. Manifestissimum est autem quod haec talia sunt in
26 [8]

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se quod inquisitio debet fieri de illis, nec sunt ex accidentibus quae sunt propria (7] rebus
naturalibus nec doctrinalibus, nec cadunt inter accidentia quae sunt propria scientiarum
practicarum. Restat igitur ut perquisitio sit de illis in scientia quae est extra praedictam divi-
sionem, et illa est haec scientia.
Et etiam quia scientia de causis absolute acquiritur post scientiam qua stabiliuntur cau-
sae rerum causas habentium: duro enim nos non stabilieri111us esse causarum causatarum a
rebus aliis, sic ut esse earum pendeat ex eo quod praecedit in esse, non sequetur apud intel-
lectum esse causae absolutae, sed hic est causa una; quamvis sensus inducat ut duae causae
concurrant, sed licet concurrant, non minus tamen debet 11sse una causa alterius: persuasio
enim quae advenit animae ex assiduitate sensus et experientiae non est cogens, sicut scisti,
nisi per cognitionem quod in pluribus ex rebus quae sunf naturales et electionis contingit
'fRATIATO PRIMO - SEZIONE PRIMA 27

che queste cose, in se stesse tali da essere indagate, non fanno parte degli acci-
denti propri delle cose naturali e delle cose matematiche e che esse, poi, non si
trovano neppure tra gli accidenti propri [di ciò che funge da soggetto] nelle
scienze pratiche. Resta, dunque, che l'indagine intorno a [queste nozioni]
appartenga a quella data scienza che rimane in base alle [precedenti] divisioni
e che è questa scienza.
E ancora: la scienza delle cause in senso assoluto si ottiene dopo la scienza
che stabilisce [l'esistenza] delle cause, per quelle cose (umiir) che hanno
cause. Infatti, finché non stabiliamo [l'esistenza] delle cause per le cose causa-
te, stabilendo che l'esistenza di queste dipende da qualcosa che è ad esse ante-
nore nell, esistenza, l'intelletto non è costretto ad ammettere l, esistenza della
causa in senso assoluto né [ad ammettere] che vi sia una qualche causa.
Quanto ai sensi 28 , essi non conducono che a rilevare la concomitanza [fra le
cose], ma non è detto che, quando due cose avvengono l'una insieme all'altra,
una delle due sia necessariamente causa dell'altra: la convinzione che si rea-
lizza nell'anima in virtù della frequenza di quel che le presentano i sensi e
l'esperienza non si conferma - come sai - se non in quanto si sa che le cose
c'ne sono es'1s'tenù ne'l'la magg1or pane o sono na'tura'ù o sono ogge't'to èù sce)-
ta29: ciò, in realtà, si fonda sul fatto che si stabilisca [l'esistenza] delle cause
('ila!) e si riconosca l'esistenza delle cause e delle ragioni (asbiib )30 e questo è
qualcosa che non è evidente in modo primario, anche se è comunemente
accettato 31 • E hai già appreso la differenza fra le due [cose]: in effetti, non è
che, essendo per l'intelletto quasi evidente per sé che vi sia un principio per le
cose che avvengono, ciò debba essere evidente per sé, come è per molte delle
cose della geometria che si dimostrano nel Libro di Euclide 32 .
Inoltre, poiché la dimostrazione apodittica di questo [punto ]3 3 non si trova
nelle altre scienze, è necessario che essa si trovi in questa scienza. Ma come è
possibile che in una scienza il soggetto, del quale si dovrebbero indagare i modi,
sia fra le cose che vanno ancora ricercate, dovendosene ricercare l'esistenza?
Ecco allora che, se è così, è anche evidente che l'indagine intorno alle
[cause] non si fa sotto l'aspetto [9] dell'esistenza che è propria di ciascuna di

hoc. Et hoc certe est appositum ad stabiliendum causas: concedere enim esse causas et occa-
siones non est manifestum primum, [8] sed probabile; iam autem scisti differentiam inter
haec duo. Nam non si paene fuerit manifestum per se apud intelligentiam quod quicquid
coepit habet principium aliquod, ideo debet esse manifestum per se, sicut multa ex rebus
geometricis per quae probantur cetera in libro Euclidis, deinde manifestatio demonstrativa
non est ita in ceteris scientiis: unde debet esse in hac scientia. Quomodo igitur potest esse ut
illud si t subiectum scientiae inter cuius inquisitiones quaerantur dispositiones eius cuius esse
est quaesitum in ea?
Quod cum ita sit, manifestum est quod non est inquisitio de illis etiam inquantum una-
quaeque earum habet esse proprium, ut hoc sit quaesitum in hac scientia, nec est etiam
28 [9]

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inquantum sunt coniunctio aliqua et omnino, non dico coniunctum nec universale, eo quod
consideratio de parti bus coniunctionis prior est quam consideratio de coniunctione, quamvis
non sit ita in particularibus universalis secundum respectum quem nosti. Unde oporteret
haberi considerationem de partibus, sed vel in hac scientia, et tunc conveniens esset eas esse
subiectum eius, vel in alia; sed in alia scientia esse non potest. Nulla enim alia inquirit de
fRATIATO PRIMO- SEZIONE PRIMA 29

esse - e che è appunto da ricercare in questa scienza - e non si fa neppure in


quanto esse costituiscono un insieme e un tutto 34 , e non sto dicendo qualcosa
di comprensivo [di parti] e di universale; [non si fa in quanto esse costituisco-
no un insieme, perché] l'esame delle parti dell'insieme è anteriore rispetto
all'esame dell'insieme, benché- per la considerazione che già conosci- così
non sia per i particolari rispetto all'universale; altrimenti, infatti, l'esame delle
parti si dovrebbe necessariamente fare o in questa scienza - ma allora [le
parti] ne sarebbero più adeguatamente il soggetto - oppure in un'altra scienza;
ma non vi è una scienza altra, diversa da questa, che comprenda ciò che va
detto sulle cause ultime. Così, se l'esame delle cause [in questa scienza] è in
quanto esse sono esistenti e in quanto, sotto quest'aspetto, qualcosa è loro con-
comitante, è necessario che il soggetto primo [di questa scienza] sia l'essere in
quanto essere 35 ; e così risulta evidente anche la confutazione della tesi secon-
do la quale il soggetto di questa scienza sarebbero le cause ultime; anzi è
necessario che si sappia che esse rappresentano la perfezione [di questa scien-
za] e quel che in essa va ricercato 36•

causis ultimis nisi ista scientia. Si autem consideratio de causis fueòt inquantum habent esse
et de omni eo quod accidit eis secundum hunc modum, oportebit tunc ut ens, inquantum est
ens, sit subiectum, quod est convenientius. Monstrata est igitur [9] destructio illius opinionis
qua dicitur quod subiectum huius scientiae sunt causae ultimae, sed tamen debes scire quod
haec sunt completio et quaesitum eius.
30 l. [lO]

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II
CAPITULUM DE STABILIENDO SUBIECTUM 4UIUS SCIENTIAE

Oportet igitur ut monstremus quid sit subiectum hui11s scientiae sine dubio, ad hoc ut
pateat nobis quae sit intentio huius scientiae.
Dico autem quod suum subiectum scientiae naturalis t:st corpus, non inquantum est ens,
nec inquantum est substantia, nec inquantum est composit11m ex suis duobus principiis, quae
sunt hyle et forma, sed inquantum est subiectum motui e:t quieti. Scientiae vero quae sunt
sub scientia naturali remotiores sunt ab hoc, similiter et m<>rales.
31

[SEZIONE SECONDA]

IN CUI SI STABILISCE IL SOGGETTO DI QUESTA SCIENZA

È necessario indicare il soggetto che senz 'altro è proprio di questa scienza,


in modo che ci appaia evidente lo scopo che in essa si persegue.
Diremo allora che il soggetto della scienza naturale è, [come si è
mostrato]3 7 , il corpo; e non lo è né in quanto è un esistente, né in quanto è una
sostanza, né in quanto è un composto dei suoi due principi - cioè la materia e
la forma - ma, invece, in quanto è soggetto al movimento e alla quiete; le
scienze che stanno al di sotto della scienza naturale, poi, sono ancor più lonta-
ne [da ciò che funge da soggetto nella filosofia prima], e così quelle etiche38 .
Quanto alla scienza matematica, il suo soggetto, [come si è mostrato], è o
un'estensione39 che nella mente è astratta dalla materia, o un'estensione assun-
ta nella mente con una materia, o un numero astratto dalla materia o un nume-
ro considerato in una materia; né [in essa] l'indagine è orientata a stabilire se
!!n'estensione sia astratta o sia in una materia, o se un numero sia astratto o sia
in una materia, ma [è orientata], invece, [a stabilire] gli stati che a questi (la-
hu) accadono, una volta posti. E così 40 , a maggior ragione l'indagine nelle
scienze che stanno al di sotto di quelle matematiche riguarderà solo gli acci-
denti che accompagnano41 le cose di volta in volta poste e che sono ancor più
particolari di queste.
Il soggetto della scienza logica42 - come sai- sono le intenzioni intelligibi-
li seconde, che si fondano sulle intenzioni intelligibili prime, in quanto vi è
una certa modalità in virtù della quale43 si giunge da qualcosa di noto a [11]

Subiectum vero scientiae doctrinalis est mensura, sive intellecta absque materia sive
intellecta in materia, et numerus, sive intellectus absque materia sive intellectus in materia.
Non enim inquirit stabilire an mensura ve! numerus intelligatur absque materia ve! in mate-
ria, sed consideratio de his est de dispositionibus eorum quae accidunt eis post positionem
eorum huiusmodi. Scientiae vero quae sunt sub disciplinalibus, convenientius est ut non
considerent nisi de acciden-[lO]talibus consequentibus posita, quae sunt m'inus communia
quam ipsa posita.
Subiectum vero logicae, sicut scisti, sunt intentiones intellectae secundo, quae apponun-
tur intentionibus intellectis primo, secundum hoc quod per eas pervenitur de cognito ad
incognitum, non inquantum ipsae sunt intellectae et habent esse intelligibile, quod esse nullo
32 [11]

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!),F..Jiftt t..)_r.) t~ .:,~l.ir. ~JJ' r4~' J?.) r~ ~~

modo pendet ex materia, ve! pendet ex materia, sed non corporea. Non fuerunt autem aliae
scientiae praeter eas.
· Deinde consideratio de substantia inquantum est ens ve! est substantia, ve! de corpore
inquantum est substantia, et de mensura et numero inquantum habent esse et quomodo
habent esse, et de rebus formalibus quae non sunt in materia, ve!, si sint in materia, non
tamen corporea, et quomodo sunt illae, et quis modus est magis proprius illis, separatim per
se debet haberi. Non enim potest esse subiectum alicuius scientiarum de sensibilibus nec ali-
cuius scientiarum de eo quod habet esse in sensibilibus. Nam aestimatio est exspoliatio a
sensibilibus; haec autem sunt de universitate eorum quae habent esse separata a materia.
TRATTATO PRIMO- SEZIONE SECONDA 33

qualcosa di ignoto e non in quanto esse stesse siano intelligibili e possiedano


l'esistenza intellettuale che non è assolutamente vincolata a una materia o è
vincolata a una materia non corporea44 .
E al di fuori di queste scienze non vi sono altre scienze.
D'altronde, l'indagine sullo stato della sostanza in quanto è esistente e
sostanza, sul corpo in quanto è una sostanza, sull'estensione e sul numero in
quanto sono esistenti e su come sia la loro esistenza, sulle cose formali che
non sono in una materia o che sono in una materia diversa dalla materia dei
corpi - come esse siano e quale tipo di esistenza sia loro propria - è qualcosa
per cui è necessario riservare un'indagine a parte. E poiché non può essere che
[tale indagine] rientri nella scienza delle cose sensibili, né nell'insieme della
scienza di ciò la cui esistenza45 è nelle cose sensibili e che tuttavia l'attività
estimativa e definitoria astraggono dalle cose sensibili 46 , essa deve far parte
della scienza che si occupa di ciò la cui esistenza è separata [dalla materia] 47 •
Poi, quanto alla sostanza, è evidente che la sua esistenza, in quanto è sol-
tanto una sostanza, è indipendente dalla materia, altrimenti non vi sarebbe
altro che una sostanza sensibile; il numero, invece, si applica alle cose sensibi-
li e a quelle non sensibili e quindi, in quanto numero, è indipendente dai sensi-
bili. Riguardo all'estensione poi, il termine [che la designa] è un omonimo:
con esso si può comprendere qualcosa di cui si può dire che è un'estensione48
- intendendo con ciò la dimensione costitutiva del corpo naturale - ma anche
qualcosa che si dice "estensione", intendendo con ciò la quantità continua che
si dice della linea, della superficie, e del corpo delimitato. Hai già appreso la
differenza fra le due [accezioni].
Nessuno dei due [significati di "estensione" è proprio di qualcosa che] è
separato dalla materia, tuttavia, nel primo di essi l'estensione, pur non sepa-
randosi dalla materia, è anche principio dell'esistenza dei corpi naturali ed
essendo principio della loro esistenza, non può [12] dipenderne nella sussi-

Manifestum est enim quod esse substantiae, inquantum est substantia tantum, non pendet ex
materia; alioquin non esset substantia nisi sensibilis. Numero etiam accidit esse in sensibili-
bus et in non sensibilibus; unde numerus, inquantum numerus est, non pendet ex sensibili-
bus nec ex insensibilibus. Mensura etiam commune [l l] nomen est, quia mensura, vel intel-
ligitur dimensio quae constituit corpus naturale, vel intelligitur quantitas continua quae dici-
tur de linea et superficie et corpore terminato. Tu autem iam scisti differentiam inter haec
duo. Nulla autem earum est separata a materia. Mensura vero secundum primam acceptio-
nem, quamvis non sit separata a materia, est tamen principium essendi corpora naturalia, nec
tamen ob hoc potest esse ut constitutio eorum pendeat ex ea, quasi ipsa det eis constitutio-
34 ,,. [12]

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nem ipsam; tunc praecederet enim in esse ipsa sensibilia; sod non est ita. Figura etiam acci-
dentale et comitans est materiae, postquam substantìatur corpus finitum cuius spatium est
superficies finita, termini etiam sunt sub mensura, inquantum materia perficitur per illos, et
postea comitantur. Postquam autem ita est, tunc figura non 11abet esse nisi in materia, nec est
prima causa materiae veniendi ad effectum. Mensura vero, secundum acceptionem secun-
dam, consideratur secundum esse suum et secundum sua accidentalia. Sed consideratio de
ea secundum esse suum, scilicet de quo modo essendi et de aua divisione essendi sit, non est
etiam ut consideratio de eo quod (non] pendet ex materia· Subiectum etiam logicae [121
'J'RATIATO PRIMO- SEZIONE SECONDA 35

stenza: essa cioè non può acquisire la propria sussistenza dalle [realtà] sensibi-
li e al contrario, sono [le realtà] sensibili che da essa acquisiscono la loro sus-
sistenza, così che essa è anche anteriore per essenza ai sensibili. E non così,
jnvece, è per la figura. La figura, infatti, è un accidente che consegue necessa-
riamente alla materia, dopo che essa si sia sostanziata come un corpo finito
esistente49 e che sostiene una superficie finita. I limiti, infatti, sono necessari
all'estensione 50 in quanto la materia viene a perfezionarsi in virtù di essa (bi-
hi) ed essi, poi, le si accompagnano necessariamente51 ; e se è così, la figura,
pur non essendo esistente se non nella materia, non è una causa primaria per il
passaggio della materia all'atto52 •
L'estensione nell'altro significato, invece, si può esaminare o sotto l'aspet-
to della sua esistenza o sotto l'aspetto dei suoi accidenti. Ma neanche l'esame
che riguarda la sua esistenza - di quale tipo sia e di quale delle divisioni
dell'essere essa faccia parte- è un'indagine intorno a una realtà (ma'nti) che
sia vincolata alla materia.
È manifesto poi che il soggetto della logica è in sé al di fuori delle cose
sensibili.
Ecco, perciò, che è evidente che tutte queste [cose] trovano posto in quella
scienza che si occupa di ciò la cui sussistenza non è vincolata alle realtà sensi-
bili. Ma per [tali cose] non si può porre altro soggetto comune- di cui tutte
"8arebbero gli stati e gli accidenti -, se non l'essere. Alcune di esse, infatti,
sono sostanze, alcune quantità, alcune altre categorie, e non è possibile che
un'intenzione dalla realtà attestata (muf:taqqaq) riassuma in sé tanto la [sostan-
za] quanto le [altre categorie] 53 , se non la realtà propria dell'intenzione
dell' essere54 .
Analogamente, possono esistere anche cose che devono determinarsi e rea-
lizzarsi nell'anima e che sono comuni alle [diverse] scienze- come l'uno [13]

secundum se manifestum est esse praeter sensi bilia. Manifestum est igitur quod haec omnia
cadunt in scientiam quae profitetur id cuius constitutio non pendet ex sensibilibus.
Sed non potest poni eis subiectum commune, ut illorum omnium sint dispositiones et
accidentalia communia, nisi esse. Quaedam enim eorum sunt substantiae, et quaedam quan-
titates, et quaedam alia praedicamenta; quae non possunt habere communem intentionem
qua certificentur nisi intentionem essendi. Similiter etiam sunt res quae debent definiti et
verificati in anima, quae sunt communes in scientiis; nulla tamen earum tractat de eis, sicut
est unum inquantum est unum, et multum inquantum est multum, conveniens et inconve-
36 [13]

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niens, contrarium et cetera. De his enim mentionem tantum faciunt et inducunt definitiones
eorum, nec tamen loquuntur de modo essendi eorum, quia haec nec sunt accidentia propria
alicui subiectorum harum scientiarum particularium, nec sunt de rebus quae habent esse nisi
proprietates esse essentialiter, nec sunt etiam de proprietatibus quae sunt communes omni
rei sic ut unumquodque eorum sit commune omni rei, nec possunt esse propria aiicuius
praedicamenti, nec possunt esse accidentalia alicui nisi ei quod est esse, inquantum est esse.
Igitur ostensum est tibi ex his omnibus quod ens, inquantum est ens, est commune
omnibus his et quod ipsum debet poni subiectum huius magisterii, et quia non eget inquiri
an sit et quid sit, quasi alia [13] scientia praeter hanc debeat assignare dispositionem eius, ob
'l'RATTATO PRIMO- SEZIONE SECONDA 37

in quanto tale, il molteplice in quanto tale, il conveniente e il differente55 , il


contrario, e altro ancora - ma nessuna scienza se ne assume la trattazione (al-
kaliim). Alcune [scienze] si limitano, infatti, a fare uso [di tali cose], altre
prendono in considerazione solo i loro termini 56 , senza discutere della loro esi-
stenza. [E tali cose] non sono accidenti propri di uno dei soggetti di queste
scienze particolari, né sono tra le cose il cui essere si riduce all'essere degli
attributi essenziali; esse non sono neppure attributi che appartengono ad ogni
cosa, così da essere ognuna comune ad ogni cosa, e neppure può essere che
[ognuna di esse] sia propria di una sola categoria, né è possibile che sia tra gli
accidenti di alcunché, se non dell'essere in quanto tale.
Ora, a partire da questo insieme [di considerazioni], ti risulta manifesto che
l'essere in quanto tale è qualcosa di comune a tutte queste cose e che, per ciò
che si è detto, è necessario che se [ne] faccia il soggetto di questa disciplina.
Esso è tale che si fa a meno di conoscere che cosa esso sia e di stabilire [che
èsso esista], come se ci fosse bisogno di una scienza, diversa da questa, che si
assumesse l'impegno di chiarire lo stato che lo riguarda. È, infatti, impossibile
stabilire [l'esistenza] del soggetto e individuare che cosa esso sia nella stessa
scienza di cui esso è il soggetto; in essa si dovrà, invece, soltanto ammettere
che esso esista (anniyya) e che cosa esso sia (miihiyya) 57 •
Perciò, il soggetto primo di questa scienza è l'essere in quanto essere,
mentre le cose che in essa vanno ricercate sono quelle che lo accompagnano in
guanto è essere, senza condizione58 •
'* Alcune dì queste cose - come la sostanza, la quantità e la qualità - sono
come le specie [per l'essere]. Infatti, per dividersi in esse, l'essere non ha biso-
gno di essere diviso anteriormente ad esse, come [accade invece] alla sostanza
che ha bisogno di [altre] divisioni perché ne consegua necessariamente la divi-
sione in "uomo" e "non uomo" 59 . ·
Alcune altre- come l'uno e il molteplice, la potenza e l'atto, l'universale e
il particolare, il possibile e il necessario - sono, invece, come gli accidenti
propri 60 ; per ricevere questi accidenti ed esservi preparato, l'essere, infatti,
non ha bisogno di essere specificato come naturale o matematico o etico, o
altro.

hoc quod inconveniens est ut stabiliat suum subiectum an sit et certificet quid sit scientia
cuius ipsum est subiectum, sed potius debet concedere tantum quia est et quid est. Ideo pri-
mum subiectum huius scientiae est ens, inquantum est ens; et ea quae inquirit sunt conse-
quentia ens, inquantum est ens, sine condicione. Quorum quaedam sunt ei quasi species, ut
substantia, quantitas et qualitas, quoniam esse non eget dividi in alia priusquam in ista, sicut
substantia eget dividi in alia antequam perveniat ad dividendum in hominem et non homi-
nem. Et ex his quaedam sunt ei quasi accidentalia propria, sicut unum et multum, potentia et
effectus, universale et particulare, possibile et necesse. Per hoc autem quod ens recipit haec
accidentia et coaptatur illis, non est necesse illud proprie fieri ve! naturale vel disciplinale
ve! morale ve! aliquid aliorum.
38 Il [14]

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Potest autem quis dicere quod, postquam ens ponituf subiectum huius scientiae, tunc
non potest esse ut ipsa stabiliat esse principia essendi. Inquisitio enim omnis scientiae non
est de principiis, sed de consequentibus principiorum. Ad quod respondemus quod specula-
tio de principiis non est nisi inquisitio de consequentibus huius subiecti, quia ens hoc ve!
illud, inquantum est principium, non constituitur [14] ab eo nec prohibetur, sed, comparatio-
ne naturae entis absolute, est quiddam accidentale ei et est de consequentibus quae sunt ei
propria; principium enim non est communius quam ens, quasi consequatur cetera consecu-
tione prima. Nec etiam necesse est ut sit naturale ve! disciplinale ve! aliquid aliud, ad hoc ut
accidat ei esse principium. Deinde principium non est principium omnium entium. Si enim
omnium entium esset principium, tunc esset principium sui ipsius; ens autem in se absolute
non habet principium; sed habet principium unumquodque esse quod scitur. Principium igi-
TRATTATO PRIMO- SEZIONE SECONDA 39

[14] Qualcuno però potrebbe dire che se si fa dell'essere (al-mawgud) il


soggetto di questa scienza, in essa non si potrà più stabilire [l'esistenza] dei
principi degli enti, perché in ogni scienza l'indagine si fa intorno ai concomi-
tanti del suo proprio soggetto, non intorno ai suoi principi.
A questa [obiezione] si deve rispondere che anche l'esame dei principi è
un'indagine intorno agli accidenti di questo soggetto61 ; essere un principio,
infatti, non è né un costituente dell'essere né è qualcosa di impossibile a suo
riguardo. Anzi, in relazione alla natura dell'essere, [il fatto di essere un princi-
pio] è qualcosa che gli accade e rientra nei suoi accidenti propri62 ; perché non
vi è nulla di più comune dell'essere, così che esso si accompagna a quel che è
diverso da esso in modo primario.
E neppure l'essere ha bisogno- perché gli accada di essere un principio-
di essere qualcosa di naturale o di matematico o altro ancora. Inoltre, il princi-
pio non può essere tale per tutto l'essere; se fosse un principio per tutto l'esse-
re, sarebbe principio anche di se stesso, e invece l'essere considerato in quanto
tutto non ha principio; il principio è principio soltanto dell'essere causato ed è
dunque principio di una parte dell'essere. Questa scienza non farà, quindi,
un'indagine sui principi dell'essere in assoluto, ma soltanto sui principi di una
parte di esso, come accade a tutte le altre scienze particolari; queste ultime,
infatti, per quanto possiedano principi dei quali partecipa l'insieme di ciò di
cui ognuna si interessa, non dimostrano 63 l'esistenza dei loro principi comuni
ma dimostrano, invece 64, l'esistenza di qualcosa che- tra le cose che le riguar-
dano - funge da principio rispetto a quel che segue.
[E da ciò] consegue che questa scienza si divide obbligatoriamente in parti.
[Una] che indaga intorno alle cause supreme, che infatti sono le cause di
ogni esistente causato dal punto di vista della sua esistenza e che indaga intor-
no alla Causa prima65 da cui fluisce ogni esistente causato in quanto esistente
causato, e non soltanto in quanto mobile o quantificabile. [Un'altra] che inda-
ga intorno a quel che accade 66 all'esistente e [un'altra ancora] che indaga
intorno ai principi delle scienze particolari. E poiché i principì di ogni scienza
[15] più specifica sono delle questioni per la scienza più elevata67 - al modo in

tur est principium aliquibus entibus. Quapropter haec scientia non erit inquirens principia
entis absolute, sed principia alicuius entium, sicut principia ceterarum scientiarum particula-
rium. Quamvis enim ceterae scientiae non probent esse principiorum suorum communium
(habent enim principia in quibus communicant omnes de quibus unaquaeque earum tractat),
ipsae tamen probant esse principiorum earum rerum quae sunt in eis.
Sequitur ergo necessario ut haec scientia dividatur in partes, quarum quaedam inquirunt
causas ultimas, inquantum sunt causae omnis esse causati inquantum est esse; et aliae inqui-
runt causam primam ex qua [15] fluit omne esse causatum inquantum est esse causatum,
non inquantum est esse mobile ve! quantitativum; et quaedam aliae inquirunt dispositiones
quae accidunt esse; et quaedam inquirunt principia scientiarum particularium; principia
enim uniuscuiusque scientiarum minus communium quaestiones sunt in scientia communio-
40 \0 [ 15]

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ri, sicut principia medicinae in naturali, et principia mensurationis in geometria. Contingit


igitur ut in hac scientia monstrentur principia singularium scientiarum quae inquirunt dispo-
sitiones uniuscuiusque esse. Igitur haec scientia inquirit dìspositiones esse et ea quae sunt ei
quasi partes et species, quousque pervenitur ad appropriationem ex qua provenit subiectum
naturalis. Igitur permittamus illam appropriatìonem ei; et appropriationem ex qua provenit
subiectum disciplinalis, permittamus ei, et similiter ceteris. Id autem quod praecedit illud
subiectum et est ei sicut principium, nos inquiremus et stabiliemus eius dispositiones.
Igitur quaestiones huius scientiae quaedam sunt causae esse, inquantum est esse causa-
turo, et quaedam sunt accidentalia esse, et quaedam sunt principia scientiarum singularum.
Et scientia horum quaeritur in hoc magìsterio. Et haec est phìlosophìa prima, quia ipsa est
scientia [ 16] de prima causa esse, et haec est prima causa, sed prima causa universitatis est
TRATTATO PRIMO- SEZIONE SECONDA 41

cui i principi della medicina [rappresentano delle questioni] nella [scienza]


naturale, e [quelli della scienza] delle superlici nella geometria - così accade
che in questa scienza si faccia chiarezza sui principi di quelle scienze partico-
lari che indagano intorno ai [vari] stati delle particolari cose esistenti.
Questa scienza indaga, quindi, intorno agli stati dell'essere e delle cose che
gli appartengono, come divisioni e specie, in modo da raggiungere quella par-
ticolare determinazione che costituisce il soggetto della scienza naturale - così
che esso si costituisca con essa e se ne ammetta [l'esistenza]- o quella parti-
colare determinazione che costituisce il soggetto della matematica, così da
ammetterne [l'esistenza], e così via. E quel che è anteriore a questa determina-
zione è come il principio68 , e anche intorno ad esso noi conduciamo un'indagi-
ne, stabilendo lo stato che lo riguarda.
Alcune questioni di questa scienza69 vertono così sulle cause dell'esistente
causato in quanto esistente causato, alcune riguardano i suoi accidenti, altre i
principi delle scienze particolari. Questa, dunque, è la scienza che si ricerca in
questa disciplina.
Essa è filosofia prima perché è la scienza delle cose prime nell'esistenza, e
cioè la Causa prima, e delle cose che sono prime per la generalità, e cioè
l'essere e l'unità 70 . Essa è anche sapienza, che è la migliore scienza del
migliore dei conoscibili: essa, infatti, è la migliore scienza - cioè quella certa
- del migliore dei conoscibili, cioè di Dio, altissimo, e delle cause a Lui suc-
cessive. Essa è anche conoscenza delle cause supreme del tutto ed è anche
conoscenza di Dio; le compete la definizione di scienza divina, che è scienza
delle cose che sono separate dalla materia nella definizione e nell'esistenza.
Infatti, come si è chiarito, non vi è nulla dell'essere in quanto essere e dei suoi
principi e dei suoi accidenti che non sia anteriore alla materia nell'esistenza e
che, quanto all'esistenza, non sia indipendente dall'esistenza della [materia].
Se poi in questa scienza si fa un'indagine intorno a qualcosa che non è anterio-
re alla materia, lo si fa solo in quanto si indaga intorno a una certa intenzione.
E, per esistere, tale intenzione non ha bisogno della materia71 •
Anzi, le cose intorno alle quali si conduce l'indagine [in questa scienza] si
dividono in quattro [classi] 72 : alcune sono radicalmente prive della materia e dei

esse et unitas; et est etiam sapientia quae est nobilior scientia qua apprehenditur nobilius sci-
tum: nobilior vero scientia, quia est certitudo veritatis, et nobilius scitum, quia est Deus, et
causae quae sunt post eum; et etiam cognitio causarum ultimarum omnis esse, et cognitio
Dei, et propterea definitur scientia divina sic quod est scientia de rebus separatis a materia
definitione et definitionibus, quia ens, inquantum est ens, et principia eius et accidentalia
eius, inquantum sunt, sicut iam patuit, nullum eorum est nisi praecedens materiam nec pen-
det esse eius ex esse illius. Cum autem inquiritur in hac scientia de eo quod non praecedit
materiam, non inquiritur i~ea nisi secundum hoc quod eius esse non eget materia.
Eorum autem quae inquiruntur in ea quattuor sunt; quorum quaedam sunt separata a
materia et ab appendiciis materiae omnino, et quaedam sunt commixta materiae, sed ad
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42 JWI J..All- J}~l ·..JW.I [16]

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f>-~! ~ ~ iJ! ~./.. ..!.1\.lJ' ..._c;~\ ~J. \.:U. iJ~ ..!.ll~J' •:.V'N
. lf> ~- ~ iJ! J _;.L\ J_,.;._

modum quo commiscetur causa constituens et praecedens (materia enim non est constituens
illa) et quaedam sunt quae inveniuntur in materia et non in materia, [17] sicut causalitas et
unitas; quapropter ea quae habent communiter, inquantum sunt talia, sunt quod ad certifica-
tionem sui non est opus esse materia; omnia autem communicant in hoc quod esse eomm
non est materiale, scilicet ut esse eomm sit ex materia. Et quaedam sunt res materiales, sicut
motus et quies, sed de eis non inquiritur in hac scientia secundum quod sunt in materia, sed
secundum esse quod habent. Cum igitur haec pars divisionis accepta fuerit cum aliis parti-
bus divisionis, tunc omnes communicant in hoc quod inquisitio de his non est nisi secundum
modum quo esse eomm non est existens per materiam. Et sicut in scientiis disciplinalibus
ponunt id quod est terminatum per materiam, et inquisitio et consideratio de eo est illius
modi secundum quem id quod quaeritur de eo pendet ex materia, et haec inquisitio non est
disciplinalis: sic est dispositio haec. Monstratum est ergo quae sit intentio in hac scientia.
TRATIATO PRIMO -SEZIONE SECONDA 43

vincoli con essa; [16] altre sono mescolate alla materia, però lo sono allo stesso
modo in cui si mescola la causa, costituente e anteriore, senza che la materia sia
per essa qualcosa di costitutivo; altre possono esistere nella materia e possono
anche esistere non in una materia, come la causalità e l'unità73 ; così, quel che
appartiene loro in comune - in quanto esse sono quel che sono - è di non aver
bisogno dell'esistenza della materia perché ne sia stabilita la realtà; e
quest'insieme [di cose] compartecipa anche del fatto di non essere materiale per
quanto riguarda l'esistenza: non si tratta cioè di cose che acquisiscono l' esisten-
za dalla materia; alcune altre, infine, sono cose materiali - come il movimento e
la quiete - e tuttavia, ciò su cui si indaga in questa scienza non è il loro stato
nella materia, ma invece il tipo di esistenza che loro appartiene. E una volta che
questa divisione si prenda in considerazione insieme alle altre, si trova che esse
banno in comune che il tipo di indagine condotta intorno ad esse si fa in relazio-
ne a un'intenzione che non ha esistenza in quanto trae sussistenza dalla materia.
Come nelle scienze matematiche si era posto [a mo' di soggetto] quel che è
determinato in virtù della materia ma l'esame e l'indagine su di esso si facevano
in relazione a un'intenzione che non è determinata in virtù della materia e,
çome la dipendenza dalla materia di ciò intorno a cui l'indagine si muoveva non
fàceva uscire l'indagine dal fatto di essere "matematica", così avviene qui.
Si è così reso manifesto e palese quale sia lo scopo [che si persegue] in
questa scienza. Sotto un certo aspetto, questa scienza ha qualcosa in comune
éon la dialettica e con la sofistica74 , sotto un altro aspetto si differenzia da
entrambe e, sotto un altro aspetto ancora, essa si differenzia da ognuna delle
due. [Questa scienza] ha qualcosa in comune con entrambe perché ciò intorno
1\. cui vi si indaga non è discusso da colui che si occupa di una scienza partico-
lare, mentre ne discutono il dialettico e il sofista; se [ne] differenzia, perché il
filosofo primo - in quanto tale - non discute delle questioni delle scienze par-
ticolari, mentre quei due [ne] discutono 75 • Essa poi si differenzia dalla dialetti-
éa, in particolare per la potenza, perché il discorso dialettico fa acquisire l'opi-
nione, non la certezza - come hai appreso nella disciplina della logica - men-
tre si differenzia, infine, dalla sofistica76 , per la volontà, e questo perché, [il
filosofo] vuole la verità stessa, mentre [il sofista] vuole che si ritenga che egli
è un sapiente che dice il vero, anche se non è sapiente77 •

Haec autem scientia communicat cum Topica et Sophistica simul in aliquibus et differt
ab eis simul in aliquibus et differt ab unaquaque earum in aliquibus. Communicat enim cum
eis in hoc quod de eo [18] quod hic inquiritur nullus auctorum singularum scientiarum trac-
tat, nisi topicus et sophisticus. Differt vero ab eis simul in hoc quod philosophus primus,
inquantum est philosophus primus, non loquitur de quaestionibus singularum scientiarum;
isti vero loquuntur. Differt etiam a topico per se in fortitudine eo quod verbum topici acqui-
rit opinionem, non certitudinem, sicut nosti ex magisterio logicae. Differt etiam a sophistico
in voluntate, eo quod hic quaerit ipsam veritatem, ille vero quaerit putari sapiens in dictione
veritatis, quamvis non sit sapiens.
44 \V [ 17]

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III
CAPITULUM DE UTILITATE HUIUS SCIENTIAE ET ORDINE EIUS ET NOMINE

Debes memìnìsse quod, in scìentììs quae praecedunt hanc, ìam cognovìstì quae sìt diffe-
rentia inter utile et bonum et nocivum et malum, quoniam utile in se est occasio quae per se
ducit ad bonum, utilitas vero est intentio quae perducit de Jjla\o ad bonum; nocivum vero in
se est occasìo quae per se ducìt ad malum, nocumentum vero est intentìo quae perducit de
bono ad malum.
Postquam autem hoc ita est, tunc iam scis quod omnes scientiae [19] communicant in
una utilitate, scilìcet quae est acquisitio perfectionis humanae animae in effectu praeparantis
45

SEZIONE TERZA

INTORNO ALL'UTILITÀ DI QUESTA SCIENZA, AL SUO RANGO E AL SUO NOME

Per [cogliere] l'utilità di questa scienza, devi aver compreso nelle scienze
che la precedono quale sia la differenza tra l'utile e il bene e quale la differen-
za tra quel che è dannoso e il male; che l'utile è la causa che fa giungere per sé
al bene, mentre con l'utilità si intende ciò che permette di giungere dal peggio
al meglio 78 • E una volta che ciò sia stabilito, saprai che tutte le scienze hanno
,in comune una stessa utilità, e cioè il fatto di realizzare la perfezione
dell'anima umana, in atto, disponendola alla felicità dell'aldilà. Tuttavia, se,
nelle parti iniziali dei [vari] libri, si cerca quale sia l'utilità delle [diverse]
scienze, [si trova che in esse] non si è orientati a questo senso [di utilità], ma
piuttosto al sostegno che le [scienze] si danno l'una con l'altra, in modo tale
,che l'utilità di una certa scienza consista nel fatto che a partire da essa si possa
'@iungere a costituire un'altra scienza, diversa da essa79 • E quando l'utilità è
~tesa in questo modo 80 , essa si può dire in (senso] assoluto e in senso proprio.
'In [senso] assoluto, l'utile porta a costituire un'altra scienza, qualunque essa
~ia; in senso proprio, invece, l'utile porta a qualcosa che è più elevato di sé e
,,çp,e ne è come il fine; [l'utile], infatti, è in vista [del fine], e non viceversa.
Ora, se assumiamo l'utilità nel senso assoluto, questa scienza ha una sua
ptilità; [18] ma se assumiamo l'utilità nel senso proprio, essa è troppo elevata

eam ad futuram felicitatem. Cum autem in principiis scientiarum inquiritur de utilitate earum,
non est intentio earum perducendi ad hoc, sed ut adiuvent se adinvicem, ad hoc ut utilitas
Perveniat per quam certificetur scientia alia ab ea. Utilitas igitur secundum hanc intentionem
dicitur absolute et dicitur proprie. Absolute scilicet, ut sit adducens ad certificationem alte-
rius scientiae quocumque modo; proprie vero, ut sit adducens ad excellentiorem, quae est ei
mcut finis quia est propter eam, sed non convertitur. Si igitur acceperimus utilitatem absolute,
profecto haec scientia utilitatem habet. Sed si proprie, certe haec scientia adeo alta est quod
ipsa non dignatur esse utilis aliis scientiis, ceterae vero scientiae proficiunt in ea.
46 lA [ 18]

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Cum autem utilitas absoluta dividitur in suas divisiones, necessario dividitur in tria:
quorum unum est id ex quo provenit aliud melius eo, aliud ex quo provenit aliud sibi aequa-
le, aliud vero ex quo provenit aliud inferius eo, et hoc tertium prodest perfectioni eius quod
est [20] infra se. Cum vero inquisierimus nomen proprium huius tertii, convenientius est ut
dicatur effluxio ve! profectus ve! dominatio ve! procuratio ve! alia his similia, cum feceri-
mus inductionem de dictionibus convenientioribus huic capitulo excepta causalitate. Utilitas
autem propria paene servitus est, sed utilitas quae provenit ex nobiliore in ignobilius non est
similis servituti. Tu enim scis quod serviens utilis est ei cui servi t et ille cui servitur utilis est
;eRATIATO PRIMO -SEZIONE TERZA 47

per essere utile a una scienza diversa da sé: piuttosto tutte le altre scienze
saranno utili ad essa81 .
Tuttavia, se dividiamo l'utilità assoluta nei [vari sensi] in cui essa può divi-
dersi, abbiamo tre casi: (a) uno per cui il punto di partenza82 conduce a qual-
cosa di superiore a sé; (b) uno per cui esso conduce a qualcosa di equivalente83
a sé; (c) uno, infine, per cui esso conduce a qualcosa di inferiore a sé facendo
acquisire una perfezione84 che è al di sotto della propria essenza. E se per
quest'ultimo [caso] si ricercasse un nome appropriato, il più degno sarebbe il
far fluire, il far acquisire, il provvedere a, l'essere a capo di o qualcosa che vi
somigli e che troverai se esamini le espressioni che a questo proposito si rive-
lano valide. Ora, l'utilità in senso proprio è una sorta di servizio, mentre il "far
acquisire", che va dal più nobile al più ignobile, non somiglia al servizio;
eppure tu sai che colui che rende servizio è utile a colui cui è reso servizio, ma
· che anche colui cui è reso servizio è utile a colui che rende servizio85 : e qui
intendo l'utilità se la prendi in considerazione in senso assoluto; ciò che è spe-
cifico86 di ogni utilità e il suo modo proprio sono invece un'altra specie.
Così, l'utilità di questa scienza - e in quale modo lo abbiamo già reso evi-
dente - è quella di far acquisire la certezza dei principì delle scienze particola-
ri e di individuare che cosa sia ciò che esse hanno in comune87 , anche se non
si tratta di principi. E questa è l'utilità del capo nei confronti di chi è capeggia-
to, e quella di colui cui è reso servizio nei confronti di chi rende servizio; il
rapporto di questa scienza con le scienze particolari, infatti, è il rapporto della
cosa, la cui conoscenza è intenzionata in questa scienza, con le cose la cui
conoscenza è intenzionata in quelle scienze: come questa cosa è il principio
dell'esistenza di quelle, così la scienza che di essa se ne ha è principio della
realizzazione della scienza dì quelle.

servienti, si utilitas accipiatur absolute; propria enim maneria cuiusque utilitatis et proprius
modus eius est alia maneria. Utilitas igitur huius scientiae, cuius modum iam demonstravi-
mus, est profectus certitudinis principiorum scientiarum particularium, et certitudo eorum
quae sunt eis communia quid sint, quamvis illa non sint principia causalia. Est igitur sicut
utilitas regentis ad id quod regitur, et sicut eius cui servitur ad servientem, quoniam compa-
ratio huius scientiae ad alias scientias particulares est sicut comparatio eius cuius cognitio
inquiritur in hac scientia ad id cuius cognitio inquiritur in aliis scientiis. Sicut enim haec
scientia est principium essendi illas, sic scientia huius est principium certitudinis sciendi
illas.
48 \'\ [19]

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Ordo vero huius scientiae est ut discatur post scientias naturales et [21] disciplinales.
Sed post naturales, ideo quia multa de his quae concedu(ltur in ista sunt de illis quae iam
probata sunt in naturali, sicut generatio et corruptio, et alteritas, et locus, et tempus, et quod
omne quod movetur ab alio movetur, et quae sunt ea quae moventur ad primum motorem, et
cetera. Post disciplinales vero, ideo quia intentio ultima in hac scientia est cognitio gubema-
tionis Dei altissimi, et cognitio angelorum spiritalium et ordinum suorum, et cognitio ordi-
nationis in compositione circulorum, ad quam scientiam impossibile est perveniri nisi per
cognitionem astrologiae; ad scientiam vero astrologiae net11o potest pervenire nisi per scien-
tiam arithmeticae et geometriae. Musica vero et particu)ares disciplinalium et morales et
civiles utiles sunt, non necessariae, ad hanc scientiam.
TRATTATO PRIMO- SEZIONE TERZA 49

[19] Quanto al rango di questa scienza, essa si apprende dopo le scienze


naturale e matematica.
Dopo quella naturale, perché molte delle cose ammesse in questa [scienza]
si sono portate ali' evidenza nella scienza naturale, come la generazione, la
corruzione, il mutamento, il luogo, il tempo, la dipendenza di ogni mobile da
un motore e il fatto che le cose mobili abbiano termine in un motore primo, e
altro ancora.
Dopo la matematica, perché allo scopo ultimo in questa scienza - che è
conoscere il governo del Creatore, altissimo, conoscere gli angeli spirituali e i
loro ordini e conoscere come sia organizzato l'ordinamento in ranghi delle
sfere- non è possibile giungere88 se non attraverso l'astronomia, e all'astrono-
mia non si giunge che con l'aritmetica e la geometria89 . La musica, invece, le
[scienze] matematiche, le [scienze] morali e la politica nei loro particolari
sono utili, ma non obbligatorie per accedere a questa scienza.
Qualcuno, tuttavia, potrebbe sollevare una questione dicendo che, se i prin-
cipi della scienza naturale e della matematica90 vengono dimostrati solo in
questa scienza, laddove le questioni affrontate in quelle due scienze vengono
dimostrate 91 in virtù di tali principi, divenendo però a loro volta dei principi
per essa, tale [processo] è evidentemente un circolo ed è, infine, come rendere
evidente una cosa in virtù di se stessa.
Per risolvere questo sofisma (subha) è necessario dire quel che si è già
detto e spiegato nel Libro della dimostrazione 92 • Non menzioneremo quindi in
questo passo che quanto è qui sufficiente e diremo che il principio di una
scienza non è un principio solo in quanto su di esso, in atto o in potenza, si
-basano tutte le questioni nelle dimostrazioni: il principio può anzi venire
~ssunto nelle dimostrazioni di alcune di tali questioni, ma può anche accadere
_çhe nelle scienze vi siano alcune questioni le cui dimostrazioni non facciano
~ffatto uso di un assunto 93 e, al contrario, [20] facciano uso soltanto di pre-
messe per le quali non vi è dimostrazione.

Potest autem aliquis opponere dicens quod, si principia scientiae naturalis et disciplina-
lium non probantur nisi in hac scientia et quaestiones utrarumque scientiarum probantur per
principia earum, quaestiones vero earum fiunt principia huius, tunc haec argumentatio est
circularis et per ultimum eius fit manifestatio sui ipsius.
Contra hoc autem veri simile debet responderi id quod dictum est iam et ostensum est in
Libro demonstrationis, de quo tamen nos repetemus hic quod sufficiet. Dico igitur quod
principium scientiae [22] non est principium sic ut omnes quaestiones pendeant ex eo ad
demonstrandum eas in actu ve! in potentia, sed fortasse accipietur principium in demonstra-
tione aliquarum. Possibile est etiam esse quaestiones in scientiis in quarum demonstrationi-
bus non admittuntur ea quae posita sunt principia ullo modo, quia non admittuntur nisi pro-
50 ,.. [20]

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positiones quae non probantur ad hoc ut principium scientiae si t principium verissimum, per
quod ad ultimum acquiratur certissima veritas, sicut est illa quae acquiritur ex causa. Si
autem non acquirit causam, non dicetur principium scientiae sic sed aliter, quia fortasse
dicetur principium, sicut sensus solet dici principium, eo modo quo sensus inquantum est
sensus, non acquirit nisi esse tantum. Soluta est igitur quaestio, quoniam principium naturale
potest esse manifestum per se, et potest esse ut manifestetur in philosophia prima per id per
quod non fuerat probatum antea, sed per quod in illa probantur aliae quaestiones ita, quod
est propositio in scientia altiori ad inferendum in conclusione illud principium, non in hoc
assumatur principium ad concludendum illud, sed assumatur alia propositio. Possibile est
etiam ut scientia naturalis et disciplina!is acquirant nobis demonstrationem de an est, et non
TRATIATO PRIMO- SEZIONE TERZA 51

Il principio di una scienza è realmente un principio soltanto quando l'assu-


merlo fa acquisire quella certezza che si acquisisce dalla causa; quando, inve-
ce, esso non fa acquisire la causa, lo si dice principio della scienza soltanto in
un altro senso, [e cioè] al modo in cui conviene dire dei sensi che sono un
principio, perché i sensi in quanto tali fanno acquisire soltanto il fatto che [le
cose] esistono94 .
È così, quindi, che si elimina il dubbio95 . Il principio [della scienza] natu-
rale96, infatti, potrà essere evidente per sé [oppure] se ne potrà dare dimostra-
zione (bayiin) nella filosofia prima grazie a ciò che con esso non vi si sarà
ancora dimostrato 97 : con esso vi si sarà data dimostrazione soltanto di altre
questioni di modo che, quel che nella scienza superiore è una premessa [utile]
a produrre tale principio non si assumerà in quanto conclude da quel principio,
ma avrà invece un'altra premessa. Può essere, inoltre, che riguardo a questo
{principio] la scienza naturale o quella matematica ci facciano acquisire una
dimostrazione del "che", anche se non ci fanno acquisire una dimostrazione
del "perché" e che poi, in seguito, questa scienza ci faccia acquisire a suo
riguardo una dimostrazione del "perché"; [e ciò vale] specialmente per le
cause finali remote.
E così si è chiarito che, se tra le questioni che si affrontano nelle scienze
naturali ve ne è una che, da un certo punto di vista, è principio di questa scien-
za, la sua dimostrazione (bayiinu-hu) non si fa a partire dagli stessi principi
resi evidenti in questa scienza ma, piuttosto, a partire da principi che sono evi-
denti per sé; oppure, la sua dimostrazione si fa a partire da principi che costi-
tuiscono alcune delle questioni di questa scienza, senza però che poi questi si
ripresentino98 in modo da divenire principi di quelle stesse questioni; essi al
contrario saranno [principi] per questioni diverse oppure riguarderanno alcune
questioni (umiir) di cui si occupa questa scienza, ma serviranno a indicare
l'esistenza di qualcosa di cui, in essa, si vuole rendere evidente il "perché"
(limayya). Ed è noto che se la cosa sta in questo modo, non si ha affatto un
argomento circolare, in modo tale, cioè, che si abbia un argomento che assuma
la cosa [da dimostrare] nella sua stessa dimostrazione.

acquirant nobis demonstrationem de quare est, sed haec scientia acquirit nobis demonstratio-
nem de quare est, et prae-[23]cipue ·in causis finalibus remotis. Manifestum est igitur quod
de quaestionibus scielitiae naturalis id quod est principium huius scientiae aliquo modo, ve!
non manifestabitur ex principiis quae manifestantur in hac scientia, sed ex principiis quae
sunt per se nota, ve! manifestabitur ex principiis quae sunt quaestiones in hac scientia, sed
non convertuntur ut fiant principia illarum earumdem quaestionum sed aliarum, ve! illa prin-
cipia erunt principia aliquorum huius scientiae quae significarunt illud esse de quo quaeritur
manifestari in hac scientia quare est. Constat igitur quod, cum ita si t, non eri t praedicta pro-
batio circularis ullo modo, ita ut ipsa sit probatio in qua aliquid idem accipiatur in probatio-
ne sui ipsius.
52 [21]

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Debes etiam scire quod in ipsis rebus est via qua ostenditur quod intenti o huius scientiae
non est ponere aliquid esse principium nisi postquam probatum fuerit in alia scientia. Postea
vero manifestabitur tibi innuendo quod nos habemus viam ad stabiliendum primum princi-
pium, non ex via testificationis sensibilium, sed ex via propositionum universalium intelligi-
bilium per se notarum, quae facit necessarium quod ens habet principium quod est necesse
esse, et prohibet illud esse variabile et multiplex ullo modo, et facit debere illud esse [24]
principium totius, et quod totum debet esse per illud secundum ordinem totius. Sed nos
propter infirmitatem nostrarum animarum non possumus incedere per ipsam viam demon-
strativam, quae est progressus ex principiis ad sequentia et ex causa ad causatum, nisi in ali·
fRATIATO PRIMO -SEZIONE TERZA 53

[21] Inoltre è necessario sapere99 che, riguardo a questa stessa questione, vi


è una via [che mostra chiaramente] come questa scienza non si proponga di
ricavare un principio a seguito di un'altra scienza 100. Nei passaggi successi-
vi101, infatti, ti sarà chiaramente indicato come per noi vi sia una via per stabi-
lire [l'esistenza] del primo Principio che non procede dall'inferenza che si fa a
partire dalle realtà sensibili ma, invece, da premesse universali intellettuali;
queste rendono necessario 102 per l'esistenza un principio necessariamente esi-
stente, rendono impossibile 103 che esso sia, sotto un certo qual aspetto, qualco-
sa di mutevole o di molteplice, e rendono necessario 104 che esso sia un princi-
pio per il tutto e che il tutto sia da Esso reso necessario secondo l'ordinamento
in ranghi del tutto. Tuttavia, a causa della nostra incapacità 105 , possiamo segui-
re questa via dimostrativa- che è il metodo [che consiste nel procedere] dai
principi fino a ciò che è secondario, e dalla causa al causato - solo per alcuni
dei ranghi delle cose che esistono a partire dalla [causa], non nel dettaglio 106 •
Quindi, per sé, di diritto, questa scienza è anteriore a tutte le altre, sebbene,
dal nostro punto di vista, essa sia posteriore a tutte le altre 107 ; e del rango che
éssa [occupa] fra tutte le scienze abbiamo già trattato.
Quanto al nome di questa scienza, esso è "quel che è dopo la natura" 108 e si
intende 109 con "natura" non [solo] la potenza che è principio del movimento e
~ella quiete, ma l'insieme di quel che avviene a partire dalla materia corporea,
guella stessa potenza, e gli accidenti. Si è già detto che la "natura" si può dire
del corpo naturale cui appartiene la natura. Il corpo naturale è il corpo sensibi-
le in quanto gli appartengono caratteri propri e accidenti. E con "ciò che è
~opo la natura" si intende una posteriorità in rapporto a noi: appena osservia-
mo l'esistenza, infatti, e abbiamo conoscenza dei suoi stati, [22] osserviamo

quibus ordinibus universitatis eorum quae sunt, sine discretione. Igitur ex merito huius
scientiae in se est, ut ipsa sit altior omnibus scientiis; quantum vero ad nos posterioratur post
omnes scientias. Iam igitur locuti sumus de ordine huius scientiae inter omnes scientias.
Nomen vero huius scientiae est quod ipsa est de eo quod est post naturam. Intelligitur
autem natura virtus quae est principium motus et quietis, immo et universitatis eorum acci-
dentium quae proveniunt ex materia corporali est virtus. Iam autem dictum est quod natura
est corporis naturalis quod habet naturam. Corpus vero naturale est corpus sensibile cum eo
quod habet de proprletatibus et accidentibus. Quod vero dicitur post naturam, hoc posteritas
est in respectu quantum ad nos: primum enim quod percipimus de eo quod est et scimus eius
dispositiones est hoc quod praesentatur nobis de hoc esse naturali. Unde quod meretur voca-
54 ..:..Jl!.ll J...AII - J_,~ ~Il!.\ n [22]

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ri haec scientia, con-[25]siderata in se, hoc est ut dicatur quod est scientia de eo quod est
ante naturam: ea enim de quibus inquiritur in hac scientia per essentiam et per scientiam
sunt ante naturam.
Potest autem aliquis dicere quod res disciplinales purae, quas speculatur arithmetica et
geometria, sunt etiam ante naturam, et praecipue numerus cuius esse non pendet ex natura
ullo modo: invenitur enim in non natura. Igitur scientia de numero debet esse scientia post
naturam. Quod igitur debemus dicere contra hanc quaestionem, hoc est quod in geometria, si
quicquid speculamur de illa, non fuerit nisi in lineis, superficiebus et corporibus. Constat
TRATTATO PRIMO- SEZIONE TERZA 55

questa esistenza naturale. Quanto a come questa scienza meriti di essere chia-
mata quando viene considerata per se stessa è che di essa si dica che è scienza
40
di quel che è prima della natura", perché le cose sulle quali si indaga in que-
sta scienza sono, per essenza e per generalità, "prima" della natura.
Qualcuno, però, potrebbe dire che gli enti matematici puri che si studiano
nell'aritmetica e nella geometria sono anch'essi "prima della natura" e che
propriamente il numero, nella sua propria esistenza, non dipende affatto dalla
natura, perché può esistere non nella natura; così [costui potrebbe dire che] la
scienza dell'aritmetica e [la scienza] della geometria dovrebbero essere cia-
scuna "scienza di ciò che è prima della natura".
Ora, a proposito di tale difficoltà si deve dire 110 che quel che si studia nella
geometria riguarda soltanto le linee, le superfici, e i corpi, ed è noto che il sog-
getto [della geometria] non è separato dalla natura per quanto riguarda la sus-
sistenza e che gli accidenti che conseguono necessariamente ad esso ancor di
più [dipendono dalla natura].
Nella [scienza della geometria], il cui soggetto è l'estensione in senso asso-
luto, si prende in considerazione l'estensione assoluta nel senso in cui questa è
preparata, qualunque sia il rapporto che le capiti; e ciò non appartiene all'esten-
sione in quanto essa è principio delle cose naturali ed è forma, ma in quanto è
'estensione e accidente. E nella nostra esposizione della Logica e della Fisica si
è già resa nota la differenza che esiste tra l'estensione che è una dimensione
della materia, in assoluto, e l'estensione che è una quantità 111 e [si è spiegato]
che il nome di "estensione" si dice di tutte e due per omonimia. Stando così [le
cose] 112, il soggetto della geometria non è in realtà l'estensione 113 data e costi-
tutiva del corpo naturale, ma quella che si può dire della linea, della superficie
e del corpo 114 e che è poi quella preparata ai diversi rapporti 115 •

tunc quod subiectum eius non erit separatum a natura in existentia; igitur accidentia quae
comitantur illud minus remota erunt ab ea. Sed si fuerit subiectum eius mensura absoluta,
vel id in quo invenitur mensura absoluta sic ut adaptabile sit cuilibet proportioni, hoc certe
non est mensurae inquantum est principium naturalium et forma, sed inquantum est acci-
dens. Iam autem cognita est ex bis quae diximus in logicis et naturalibus differentia inter
mensuram absolutam, quae est post hyle, et inter mensuram quae est quanta, et quod nomen
mensurae convenit eis communiter. Cum igitur hoc ita sit, tunc non erit subiectum geome-
triae verissimum mensura quae constituit corpus naturale, sed [26] mensura quae dicitur de
linea, superficie et corpore; et hoc est quod adaptari potest proportionibus diversis.
56 [23]

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De numero autem maior est quaestio, quoniam videtur superficie tenus quod scientia de
numero sit de scientia post naturam, nisi scientia post naturam intelligatur aliud, scilicet
quod est scientia de eo quod omnimodo separatum est a natura, et tunc nominabitur haec
scientia ab eo quod est dignius in ea, scilicet vocabitur haec scientia, scientia divina: cogni-
tio enim Dei finis est huius scientiae; multae enim res appellantur ab eo quod est in eis
dignius, ve! a parte digniore, ve! a parte quae est eis quasi finis. Erit igitur haec scientia
quasi cuius perfectio et cuius pars aliqua nobilior et cuius prima intentio est cognitio eius
quod separatum est a natura omnimodo. Cum igitur appellata fuerit secundam hanc intentio-
nem, tunc scientia de numero non communicabit intentioni huius nominis hoc modo.
'fRATTA TO PRIMO - SEZIONE TERZA 57

[23] Il dubbio che riguarda il numero, invece, è più tenace: a un esame


esteriore sembra infatti che la scienza del numero sia quella che è "dopo la
natura" e tuttavia con "scienza che è dopo la natura" si vuoi dire un'altra cosa,
e cioè la scienza "di quel che è separato" (mubiiyyin)- da ogni punto di vista-
_d"alla natura; [e ciò] perché questa scienza viene denominata in ragione di ciò
-·che in essa c'è di più nobile: come infatti questa scienza si chiama anche
·~scienza divina", perché la conoscenza di Dio- altissimo- è il fine di questa
scienza 116 • E quanto spesso le cose prendono nome a partire dali' intenzione
più nobile, dalla parte più nobile e dalla parte che è come il fine!
Così, è come se questa scienza fosse quella in cui la perfezione, le parti più
nobili e la prima cosa che vi è intenzionata consistano nella conoscenza di
quel che è separato dalla materia da ogni punto di vista. E allora, poiché la
denominazione è posta secondo questo significato (ma 'na), la scienza del
numero non ha in comune con essa ciò che questo nome significa; e questo è
quanto.
Ma ad attestare veramente che la scienza dell'aritmetica è estranea alla
scienza "di quel che è dopo la natura" c'è il fatto che, come ti appare manife-
sto, il suo soggetto non è il numero [considerato] da ogni punto di vista. Il
numero, infatti, può esistere nelle cose separate, può esistere nelle cose natura-
li e può anche essere posto nell'immaginazione estimativa (wahm), astratto da
ogni cosa cui potrebbe accadere; [e ciò] anche se il numero non può esistere se
p.on in quanto accade a qualcosa nell'esistenza. Ora, ciò che del numero ha
_esistenza nelle cose separate è impossibile che sia soggetto a un rapporto, qua-
lunque esso sia, sia esso di aggiunta o di sottrazione; al contrario, esso è sol-
_tanto stabile secondo quel che è. Anzi, [il numero] si deve porre come tale da
ricevere qualunque aggiunta capiti - di qualunque rapporto si tratti - solo se è
nella materia dei corpi, la quale in potenza è ogni tipo di cose numerabili,
oppure se è nell'estimativa; ma in tutti e due i casi [il numero] non è separato

Sed manifestatio verissima qua probatur scientia de numero non esse de scientia post
naturam, haec est: constat enim quod subiectum eius non est numerus omnimodo. Numerus
enim iam invenitur in rebus separatis, et iam invenitur in rebus naturalibus, et iam contingit
ipsum poni in aestimatione exspoliatim ab omni quod sibi accidit, quamvis non sit possibile
numerum esse, nisi accidat alicui eorum quae sunt. Id autem quod de numero fuerit tale
cuius esse [27] sit in rebus separatis, illud prohibebitur esse subiectum proportionis cuiusli-
bet in augmento et diminutione, sed eri t secundl}m quod est tantum. Non enim potest conce-
di ipsum sic poni receptibilem cuiuslibet augmenti et cuiuslibet proportionis, nisi cum fuerit
in materia corporum quae in potentia est omnis maneria num~ratorum; et tunc, cum fuerit in
aestimatione ve! in utrisque dispositionibus, est non separatus a natura. Igitur scientia de
58 [24]

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numero, inquantum considerat numerum, non speculatur in eo nisi secundum respectum quo
accidit ei esse in natura, quia videtur quod principium suae considerationis, secundum quod
ipse est in aestimatione, sit huiusmodi quod aestimatio sit a.ccepta ex dispositionibus natura-
libus quae habent aggregari et disgregari, uniri et dividi. {Jnde scientia de numero non est
speculatio de essentia numeri nec de accidentibus numeri \nquantum est numerus absolute,
TRATTATO PRIMO- SEZIONE TERZA 59

[24] dalla natura 117 . Ecco, dunque, che la scienza dell'aritmetica, studiando il
numero, lo studia soltanto in quanto se ne è già avuta quella considerazione
che gli appartiene esclusivamente in quanto è nella natura. E sembra che il suo
primo esame lo riguardi quando è nell'estimativa, e nell'estimativa [il nume-
ro] è in questo modo solo perché ve ne è un'immagine ricavata dagli stati
naturali cui appartiene di raggrupparsi, di separarsi, di unirsi e di dividersi.
Perciò l'aritmetica non è uno studio dell'essenza del numero, né è uno studio
degli accidenti del numero in quanto tale, in senso assoluto; essa è piuttosto
uno studio dègli accidenti del numero in quanto, ricevendo quel che si è indi-
cato, [il numero] è qualcosa di materiale oppure di relativo alla facoltà
dell'estimativa umana e che si fonda sulla materia. Lo studio dell'essenza del
numero e di ciò che gli accade in quanto non dipende dalla materia e non si
fonda su di essa appartiene, invece, a questa scienza.

sed de accidentalibus eius inquantum fit receptibilis eius quod assignavimus; et tunc est
materialis ve! aestimabilis humanus innixus materiae. Speculatio vero de essentia numeri et
de eo quod accidit ei secundum quod non pendet ex materia nec est innixus in ea, est in hac
scientia.
60 ,.. [25]

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IV
CAPITULUM DE UNIVERSITATE EORUM DE QUIBUS TRACTAT HAEC SCIENTIA

Oportet nos in hoc magisteri o scire dispositionem comparationis rei et entis ad praedica-
menta et dispositionem privationis, et disposi-[28]tionem necessitatis in esse necessario et
eius condiciones, et dispositionem possibilitatis et eius certitudinem et quia ipsamet est spe-
culatio de potentia et effectu, et ut consideremus dispositicmem eius quod est per essentiarn
et eius quod est per accidens, et de veritate et falsitate, et dispositionem substantiae quot
modis dividitur.
Sed quia ad hoc ut ens sit substantia non eget esse naturale ve! disciplinale (hic enim
sunt substantiae aliae praeter illas), ideo debemus scire dispositionem substantiae quae est
61

SEZIONE QUARTA

A PROPOSITO DELL'INSIEME [DI QUESTIONI]


DI CUI SI DISCUTE IN QUESTA SCIENZA

È dunque opportuno in questa disciplina conoscere come si dia il rappor-


to118 della cosa e dell'esistente con le categorie, e come siano la privazione 119,
il necessario- cioè l'esistenza "obbligatoria" 120 e le sue condizioni -la possi-
bilità e la realtà di essa, che è poi propriamente lo studio della potenza e
dell'atto. [Ci converrà] inoltre studiare lo stato di quel che è per sé e di quel
che è per accidente, di quel che è reale e di quel che è vano 121 [e studiare poi]
come sia la sostanza e quante divisioni [essa ammetta]- perché l'esistente, per
essere una sostanza esistente, non ha bisogno di divenire o qualcosa di natura-
le o qualcosa di matematico; vi sono, infatti, sostanze che sono al di fuori di
[questi] due [ambiti]. Così, si dovrà conoscere lo stato della sostanza che è
come la materia (hayillii) - come essa sia, se essa sia separata o non separata,
identica nella specie o"differenziata 122, e quale sia il suo rapporto con la forma
-, [e si dovrà conoscere] come sia la sostanza formale, se anch'essa sia qual-
cosa di separato 123 o non lo sia, quale sia lo stato del composto e quale lo stato
di ognuna di queste due [cose] rispetto alle definizioni, e come vi sia una certa
possibilità di rapporto tra le definizioni e le cose definite.
E poiché l'opposto della sostanza è in certo qual modo l'accidente, in que-
sta stessa scienza converrà accingersi a conoscere la natura dell'accidente, i
suoi [vari] tipi, e come siano le definizioni con cui essi si definiscono; [con-
verrà] conoscere lo stato - categoria per categoria - degli accidenti, e di ciò
che a questo proposito può essere ritenuto una sostanza ma che non [26] lo è,

sicut hyle, et an est, et quomodo est, et si est separata an non est separata, ve! conveniens in
specie cum aliis ve! non, et quam habet comparationem ad formam, et quomodo est substan-
tia formalis, et an sit separata an non, et quae est dispositio compositae substantiae, et quo-
modo est dispositio utriusque secundum suas definitiones, et quam comparationem habent
inter se definitiones et definita.
Sed quia accidens oppositum est substantiae aliquo modo, ideo oportet ut in hac scientia
faciamus sciri naturam accidentis, et eius species, et qualiter ex accidentibus fiunt descrip-
tiones. Et faciamus cognosci dispositionem cuiusque praedicamentorum de accidentibus, et
monstrabimus accidentalitatem eius quod potest putari esse substantia et non est substantia.
Et faciemus sciri ordines omnium [29] substantiarum aliarum apud alias in esse, secundum
62 l''\ [26]

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.:,t ~_, ...~..-1_,11..; li)a; l.ll.J, J ~t )i.:.: !)f L..J.:i .lJ':"..tu
...~..-1_,11

. l..;!'. J. \.i:ll ..;.,...._, '~l..; )i.:.:

prius et posterius. Et faciemus similiter sciri dispositiones accidentium. Congruit etiam buie
loco, ut scias dispositionem universalis et particularis, et totius et partis, et quomodo est esse
naturarum universalium, et si habent esse in particularibus singularibus, et quomodo est esse
eorum in anima, et si habent esse separatum a singularibus et ab anima, et tunc scies disposi-
tionem generis et speciei et similium.
Sed quìa esse, ad hoc ut sit causa vel causatum, non eget esse naturale vel disciplinale
vel aliquid alìorum, ideo conveniens est ut exsequamur hoc loquendo de causìs et generibus
et dispositìonibus earum, et quomodo debet esse dispositio inter illas et causata, et faciamus
cognosci differentiam inter principium agens et cetera ab eo, et loquamur de actione et pas-
TRATTATO PRIMO- SEZIONE QUARTA 63

così da rendeme evidente l'accidentalità. [Converrà] poi conoscere i ranghi di


tutte le sostanze che neli' esistenza sono, le une rispetto alle altre, secondo
anteriorità e posteriorità, e conoscere allo stesso modo lo stato degli accidenti.
In questo luogo converrà inoltre cercare di conoscere lo stato dell'univer-
sale e del particolare, del tutto e della parte; come si dia l'esistenza delle natu-
re universali e se esse abbiano un'esistenza negli individui concreti; come si
(lia la loro esistenza nell'anima e se esse abbiano un'esistenza separata rispetto
agli individui e all'anima.
- E qui ancora conosceremo lo stato del genere e della specie e di cose simi-
li. E poiché l'esistente non ha bisogno - per essere una causa o un causato - di
essere qualcosa di naturale o di matematico o altro ancora, a ciò faremo segui-
re convenientemente quel che va detto intorno alle cause 124 , ai loro generi, ai
loro stati e a come conviene che sia il rapporto tra di esse e i causati; e [con-
verrà altresì] far conoscere la differenza tra il principio agente e ciò che è
~verso da esso, discutere dell'azione e della passione, far conoscere la diffe-
renza tra la forma e il fine, [discutere] del fatto che di ognuno dei due si stabi-
lisce [l'esistenza] e che in ogni ordine essi conducono a una causa prima.
Renderemo evidente, inoltre, quei che va detto intorno ai principio e ai
cominciamento 125 e poi quel che va detto dell'anteriorità, della posteriorità e
:.del venire ad essere; dei loro diversi tipi, delle loro varie specie e della parti-
icolarità di ciascuna loro specie 126. [Chiariremo] che cosa sia anteriore per la
127
:1natura e che cosa lo sia per l'intelletto; come riconoscere le cose che sono
anteriori per l'intelletto e il modo in cui rivolgersi a chi le nega; poi, tutto ciò
che a proposito di queste cose rappresenta un'opinione diffusa, ma contrastan-
.te con la verità, noi lo contraddiremo.
Queste cose, dunque, e altre simili ad esse sono tra i concomitanti
,dell'essere in quanto essere. E, poiché l'uno si accompagna sempre all'esse-
.,re128, segue necessariamente che noi esamineremo anche l'uno; e una volta
che esamineremo l'uno, sarà necessario esaminare il molteplice e conoscere
l'opposizione esistente tra [l'uno e il molteplice].

sione, et de differentia inter formam et finem et de occasionibus cuiusque earum, et quod


ipsae in ornni ordine perveniunt ad primam causam; et de differentia inter initium et incep-
tionem, et deinde de prius et posterius, et de eo quod incipit, et modos et species eius, et pro-
prietatem cuiusque specierum, et quid prius natura, et quid prius apud intelligentiam, et qua-
liter convenit responderi neganti haec: unde quod ex his fuerit sententia probabilis, diversa
tarnen a veritate, contradicemus ei. Hoc igitur et consimile est consequens ad esse, inquan-
tum est esse.
[30] Sed quia unum parificatur ad esse, sequitur etiam ut consideremus de uno. Cum
autem consideraverimus de uno, oportebit etiam ut consideremus de multo ad hoc ut scia-
mus oppositionem quae est inter utrumque. Et tunc oportebit etiam ut consideremus de
64 '(V [27]

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numero, et quam comparationem habet ad ea quae sunt, et quam comparationem habet con-
tinua quantitas quae est ei opposita aliquo modo ad ea quae sunt. Et inducemus omnes sen-
tentias falsas de hoc, et faciemus sciri quod nihil horum est separatum nec est principium
eorum quae sunt, et stabiliemus accidentale quod accidit numeris et quantitatibus continuis,
sicut figura et cetera ab his.
Sed quia de consequentibus unum sunt simile et aequale et conveniens et homogenos,
configuratio et talitas et identitas, ideo oportet ut loquamur de unoquoque istorum et de
oppositis eorum, eo quod comparantur multitudini, sicut dissimile, non eiusdem generis,
inaequale, defiguratio et alietas omnino et diversitas et oppositio cum suis speciebus, et quid
est vera contrarietas.
TRATTATO PRIMO- SEZIONE QUARTA 65

[27] Si dovrà, quindi, studiare il numero, quale sia il suo rapporto con gli
esistenti e quale sia il rapporto della quantità continua - che in un certo senso
è opposta [al numero] -con gli esistenti. Enumereremo tutte le opinioni vane
a questo proposito e faremo conoscere che non una di tali cose è separata ed è
principio degli esistenti; stabiliremo [l'esistenza] degli accidenti che accadono
ai numeri e alle quantità continue, come le figure e altro. [Ora], tra le cose che
seguono l'uno vi sono il simile, l'eguale, il conveniente, l'omogeneo, il
conforme, il somigliante 129 e il medesimo; si dovrà, perciò, discutere di ognu-
no di questi e dei loro opposti e del fatto che 130 questi - come ciò che non è
simile, non eguale 131 , non omogeneo, non conforme - sono rapportabili al
molteplice; [così] ciò che complessivamente è diverso, la differenza, l'opposi-
zione, le loro [varie] classi, la contrarietà reale e che cosa essa sia.
Dopo ciò passeremo quindi ai principì degli esistenti e stabiliremo [l'esi-
stenza] del Principio primo [determinando] che Esso è uno, reale, al culmine
della magnificenza; conosceremo a partire da quanti punti di vista Esso è
'"uno", a partire da quanti punti di vista è "reale", come Esso conosca ogni
cosa, come abbia potere su ogni cosa e quale sia il significato del fatto che
Esso conosce e che ha potere, che è generosità, che è pace - cioè bene puro -
~he è amato per sé, che è il piacevole reale e che presso di Esso è la reale bel-
lezza; cancelleremo quel che di contrario alla realtà 132 è stato detto e opinato a
-riguardo e renderemo evidente quale sia il suo rapporto con gli enti che ne
provengono e quali siano le prime cose che a partire da Esso esistono 133 •
Inoltre, [conosceremo] come gli enti si ordinino [in ranghi], a cominciare
dalle sostanze angeliche intellettuali, poi le sostanze angeliche psichiche, le
sostanze delle sfere celesti (jalakiyya), gli elementi di questo [mondo] 134 e
inoltre le cose che da essi si generano, e poi l'uomo; [conosceremo] come que-
ste cose tornino ad Esso e come Esso sia per tali cose un principio [28] attivo e o

Et post hoc procedemus ad loquendum de principiis eorum quae sunt et stabiliemus pri-
mum principium, et quia est unum, veritas, in ultimilate gloriae; et notificabimus quot modis
est unum, et quot modis est veritas, et qualiter ipsum scit omnia et quod ipsum est potens
super omnia, et quis est sensus de hoc quod dicitur scire et posse, et quod est dapsilis, et
quod ipsum est pax, scilicet bonitas pura, diligendum propter se, et quod ipsum est vera sua-
vitas, et apud ipsum est vera pulchritudo. Et destruemus sententias eorum qui de eo dixerunt
et putaverunt contraria veritati. Deinde demon-[3l]strabimus quomodo est comparatio eius
ad ea quae ab ipso sunt, et quod est primum ex his quae per ipsum habent esse, et quomodo
ordinata sunt per ipsum ea quae sunt, primum scilicet substantiae angelicae intelligibiles, et
deinde substantiae angelicae animales, deinde substantiae circulares caelestes, deinde haec
elementa, postea generata ex eis, postea homo, et quomodo haec omnia redeunt ad ipsum, et
quomodo est eis principium agens et principium perficiens, et quae erit dispositio animae
66 (liJI J-'11 - J.1~\ ~U!.I Y/1 [28]

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humanae, postquam soluta fuerit ligatio quae est inter ipsam et naturam, et quis ordo erit sui
esse.
Et inter hoc significabimus magnitudinem gratiae prophetiae et debitum nostrum oboe-
diendi ei, et quod ipsa debet esse a Deo; deinde de moribus et operibus quibus egent animae
humanae cum sapientia ad promerendam futuram felicitatem, et faciemus sciri qui sunt
digni felicitate. Et cum pervenerimus ad hunc Iocum, perficietur liber noster auxiliante Deo.
TRATTATO PRIMO- SEZIONE QUARTA 67

un principio perfettivo; quale sia lo stato dell'anima umana quando si inter-


rompa il legame tra di essa e la natura e quale sia il rango della sua esistenza.
E indicheremo fra queste cose quale sia la grandezza del potere della profezia
e la necessità dell'obbedienza ad essa e che essa è necessaria a partire da Dio;
[indicheremo] i costumi morali e le opere di cui le anime umane hanno biso-
gno, insieme alla sapienza, perché ad esse appartenga la felicità ultraterrena. E
faremo conoscere anche i diversi tipi di felicità. Così, quando saremo giunti a
questo punto, avremo concluso questo nostro libro, e Dio ci avrà sostenuto in
ciò 135 •
68 (29]

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CAPITULUM DE ASSIGNATIONE REI ET ENTIS ET DE EORUM PRIMIS DIVISIONlBUS
AD HOC UT EXCITERIS AD INTELLIGENT!AM EORUM

Dicemus igitur quod res et ens et necesse talia sunt quod statim imprimuntur in anima
prima impressione, quae non acquiritur ex [32] aliis notioribus se, sicut credulitas quae
habet prima principia, ex quibus ipsa provenit per se, et est alia ab eis, sed propter ea. Nisi
enim prius subintraverit animum ve! nisi fuerìt ìntellectum quod signifkatur per verbum.
non poterìt cognosci id quod sìgnificatur per illam, quamvis cognitio quae transit per ani-
muro ve! quae intelligitur ex significatione verbi non si t adducens ad acquisitionem scientiae
quae in natura hominis non est, scientiae dico intelligendi quod vult significare loquens et
quod intendìt: quod aliquando fit propter res minus nota~ in se quam sit id quod vult fieri
69

SEZIONE QUINTA

IN CUI SI DÀ INDICAZIONE DELL'ESISTENTE, DELLA COSA,


DELLE LORO PRIME DIVISIONI, PER RISVEGLIARE [L'ATTENZIONE]
SU CIÒ CHE CI SI PROPONE [IN QUESTA SCIENZA] 136

Diciamo: le intenzioni dell'esistente 137, della cosa e dell'obbligatorio si impri-


mono nell'anima in modo primario, senza che questo loro imprimersi debba esser
procurato da cose più note di esse. Infatti, come per quanto riguarda l'assenso nel
giudizio 138 vi sono ppncipi primi, [così vi sono rappresentazioni prime].
[Ai principi primi] l'assenso si dà per se stessi e in ragione di essi si dà
l'assenso a ciò che è altro da essi, così quando [i principi primi] non vengono
alla mente, o quando il termine che li indica non viene compreso, non si può 139
giungere a conoscere ciò che in virtù di essi dovrebbe essere conosciuto 140 ; [e
questo], anche se la definizione con cui si tenta di farli venire alla mente o di
far comprendere 141 il termine che li indica non mira a procurare una scienza
non innata, ma è, invece, [solo tale da] risvegliare alla comprensione di quel
che l'interlocutore intende e a cui vuole arrivare 142 • [E a risvegliare l'attenzio-
ne] si può eventualmente arrivare anche in virtù di cose che, pur essendo in se
stesse 143 più nascoste di quel che si vuole definire vengono ad esserne più note
per via di una certa causa o di una certa espressione.
Analogamente, per quanto riguarda le rappresentazioni, vi sono alcune
cose che sono principi della rappresentazione e che sono per se stesse rappre-
sentabili. In realtà, quindi, volendo darne un'indicazione, non si fa conoscere
qualcosa che si ignorava, ma si risveglia solo l'attenzione e si fa sì che [tali
rappresentazioni] vengano alla mente in virtù di un nome o di un segno; e ciò
può pure avvenire in virtù di cose in se stesse più nascoste di quel che si cerca
ma che, per una determinata causa o una determinata situazione, sono più
manifeste in quel che significano 144 . Così, quando si fa uso di un dato segno,
l'anima si risveglia 145 al fatto che quella data intenzione le viene alla mente in
quanto proprio questa è ciò di cui si vuole [parlare] e non qualcosa di diverso.

notum, sed per aliquid aliud ve! per interpretationem aliquam fiunt notiores. Similiter in
imaginationibus sunt multa quae sunt principia imaginandi, quae imaginantur per se, sed,
cum voluerimus ea significare, non faciemus per ea certissime cognosci ignotum, sed fiet
assignatio aliqua transitus ille per animam nomine ve! sìgno quod aliquando in se erit minus
notum quam illud, sed per aliquam rem vel per aliquam dispositionem fiet notius in signifi-
catione. Cum igitur frequentaveris illud nomen [33] ve! signum, faciet animam percipere
quod ille intellectus transiens per animam est illud quod vult intelligi et non aliud, quamvis
70 (30]

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illud signum non faciat sciri i!lud certissime. Si autem omnis imaginatio egeret alia praece-
dente imaginatione, procederet hoc in infinitum ve! circulariter.
Quae autem promptiora sunt ad imaginandum per seipsa, sunt ea quae communia sunt
omnibus rebus, sicut res et ens et unum, et cetera. Et ideo nullo modo potest manifestari ali-
quid horum probatione quae non sit circularis, ve! per aliquid quod si t notius illis. Unde qui·
squis voluerit discurrere de illis incidet in involucrum, sicut ille qui dixit quod certitudo
entis est quod ve! est agens ve! patiens: quamvis haec divisio sit entis, sed tamen ens notius
est quam agens ve! patiens. Omnes enim homines imaginant certitudinem entis, sed ignorant
an debeat esse agens ve! patiens; et mihi quousque nunc non patuit hoc nisi argumentatione
tantum. Qualis est ergo iste qui id quod est manifestum laborat facere notum per proprieta·
tem quam adhuc opus est probari ut constet esse illius? Similiter est etiam hoc quod dicitur
TRATIATO PRIMO- SEZIONE QUINTA 71

E [questo] senza che il segno sia tale da farla realmente conoscere: [30] infatti,
se ogni rappresentazione avesse bisogno di essere preceduta da una rappresen-
tazione ad essa anteriore, si andrebbe all'infinito, oppure si avrebbe un circolo.
Le cose più degne di essere rappresentate per se stesse sono quelle cose
comuni che riguardano tutti gli enti, come l'esistente, la cosa, l'uno, e altro 146 e
perciò, non è possibile rendere evidente nessuna di queste né con un'argomen-
tazione che non contenga alcuna circolarità, né con un'argomentazione che si
riferisca a qualcosa dì più noto. Per questo, chi tenti di sostenere 147 qualcosa a
loro riguardo cade nell'imbarazzo, come chi dica che "alla realtà dell'esistente
~partiene di essere agente o paziente"; questa, infatti, anche se si dà imman-
cabilmente, è una delle divisioni dell'esistente, che però è più noto dell'agente
è del paziente. La gran massa della gente poi, si rappresenta la realtà dell'esi-
stcmte senza conoscere affatto che esso è necessariamente o agente o paziente;
e io stesso sono arrivato fino a questo punto senza averlo capito chiaramente,
se non in virtù di un sillogismo, non altrimenti. Che cosa sarà, quindi, di colui
che aspira a far conoscere lo stato di qualcosa che è manifesto per mezzo di un
suo attributo, quando [l'attributo stesso] ha bisogno di una prova affinché si
stabilisca che appartiene a ciò [che intende far conoscere]?
E così è anche per chi aica che "la cosa è ciò a proposito di cui è valido il
"predicato" 148 ; infatti, "è valido" è [termine] più oscuro de "la cosa", e "il pre-
dicato" è più oscuro de "la cosa"; come potrà, dunque, consistere in questo il
·far conoscere la cosa? La "validità" e il "predièato" si conoscono soltanto
dopo che, nel mostrare che cosa sia ciascuno dei due, si sia stabilito che essi
sono una "cosa" o un "alcunché" o "ciò" o "quel che"; ma questi [termini]
·sono tutti quanti come i sinonimi del nome "cosa".
Perciò, come potrà esser legittimo farla conoscere - farla conoscere real-
mente- con qualcosa che non si conosce se non in virtù di essa? 149 Su questa
e su cose simili a questa si potrà certo solo risvegliare l'attenzione. In effetti,
una volta che tu abbia detto che "la cosa è ciò di cui è valido il predicato", è
come se in realtà tu avessi detto che "la cosa è la cosa di cui è valido il predi-
cato"; il significato di "ciò che" e di "quel che" e de "la cosa che" è, infatti,
uno stesso significato e così nel definire [la coj>a] avresti già assunto la cosa.

quod res est ìd de quo potest alìquìd vere enuntiari; certe potest aliquid minus notum est
quam res, et vere enuntiari mìnus notum est quam res. Igitur quomodo potest hoc esse
declaratio? Non [34] enim potest cognosci quid si t potest aliquid vel vere enuntiari, nisì ìn
agendo de unoquoque eorum dìcatur quod est res vel alìquid ve! quid vel illud; et haec
omnìa multivoca sunt nomini rei. Quomodo ergo vere potest sciri res per alìquid quod non
potest scìri nisi per eam?
Sed fortasse hoc et consimile erit innuitìo aliqua. Nam cum dicis quod res est id de quo
vere potest aliquid enuntiari, idem est quasi diceres quod res est res de qua vere potest alì-
quid enuntiari; nam id et illud et res eiusdem sensus sunt. Iam igitur posuisti rem ìn definì-
tione rei, quamvis nos non negamus quod"haec et consimilia, cum sint vitiosa, tamen aliqua
72 1"1 [31]

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.....il~'-""_,....,.;:. __.:T·~ .:i .!L.<; j _,....;.;cl~ . .~\ilJ \.:V.(. lè~ ,__..:\

designatio rei sunt. Dico ergo quod intentio entis et intentio rei imaginantur in animabus
duae intentiones; ens vero et aliquid sunt nomina multivoca unius intentionis nec dubitabis
quin intentio istorum non sit iam impressa in anima legentis hunc librum. Sed res et quic-
quid aequipollet ei, significa! etiam aliquid aliud in omnibus linguis; unaquaeque enim res
habet certitudinem qua est id quod est, sicut triangulus habet certitudinem qua est tri-
[35]angulus, et albedo habet certitudinem qua est albedo. Et hoc est quod fortasse appella-
mus esse proprium, nec intendimus per illud nisi intentionem esse affirmativi, quia verbum
ens significa! etiam multas intentiones, ex quibus est certitudo qua est unaquaeque res, et est
sicut esse proprium rei.
Redeamus igitur et dicamus quod, de his quae manifesta sunt, est hoc quod unaquaeque
res habet certitudinem propriam quae est eius quidditas. Et notum est quod certitudo cuius-
TRATTATO PRIMO- SEZIONE QUINTA 73

[31] Noi, comunque, non neghiamo che con questa [formula], o con una
simile, - nonostante la sua falsità se assunta come tale - si possa risvegliare,
da un certo punto di vista, [la conoscenza] della cosa, e diciamo che l'inten-
zione dell'esistenza e l'intenzione della cosa sono rappresentate entrambe
nelle anime, essendo due intenzioni: l'esistente, dunque, e ciò [la cui esisten-
za] è stabilita o ciò che è dato sono sinonimi secondo uno stesso significato; e
iion dubitiamo che i significati [di simili termini] siano già presenti a chi legge
questo libro, mentre con "la cosa" e con quel che sta al posto di essa, si può
indicare anche un'altra intenzione, in tutte le lingue. Ogni cosa (amr) ha, infat-
ti, una realtà in virtù della quale essa è quel che è: così, il triangolo ha una
realtà per cui è triangolo, il bianco ha una realtà per cui è bianco; e questa è
·quanto potremmo chiamare "l'esistenza propria" 150, senza voler indicare con
essa ciò che significa l'esistenza stabilita (ma 'nii al-wugad al-i[biitf) 151 ; anche
con il termine "esistenza", infatti, si indicano molte intenzioni, e fra di esse vi
è "la realtà secondo la quale è la cosa", per cui è come se "ciò secondo cui [la
cosa] è" fosse l'esistenza propria della cosa 152 .
Torniamo [sull'argomento] e diciamo che è evidente che per ogni cosa vi è
una realtà propria che è la sua quiddità e la realtà propria di ogni cosa- è noto
,.,. . è diversa dall'esistenza, che è sinonimo del fatto che ne sia stabilita [l'esi-
stenza]. Questo perché, se tu dici: "la realtà di una tale cosa è esistente o negli
individui concreti o nelle anime oppure in assoluto" - così da comprendere
tutto insieme-, questa [affermazione] ha un significato, dato e compreso. Ma
se, invece, dici che "una tale realtà è una tale realtà" o che "una tale realtà è
una realtà", [la tua affermazione] è un'inutile aggiunta del discorso 153 ; e se
~ci che "tale realtà è una cosa", anche questo è un discorso inutile [per cono-
scere] quel che si ignora, e meno utile ancora sarebbe se dicessi che "la realtà
~una cosa", a meno che' con "cosa" non si intenda dire "l'esistente", come se
tu dicessi che la tale "realtà" è una "realtà esistente". Se invece dici che "la
realtà di A è una certa cosa e la realtà di B un'altra", questo è [un discorso]
valido e che fa acquisire [un'informazione] soltanto perché dentro di te sottin-
tendi che [ciò di cui parli] è un'altra cosa, particolare 154 e differente [32]

cumque rei quae propria est ei, est praeter esse quod multivocum est cum aliquid, quoniam,
cum dixeris quod certitudo rei talis est in sìngularibus, ve! in anima, vel absolute ita ut com-
municet utrisque, erit tunc haec intentio apprehensa et intellecta. Sed cum dixeris quod certi-
tudo huius < ... > vel certitudo illius est certitudo, erit superflua enuntiatio et inutilis. Si
autem diceres quod certitudo huius est res, erit etiam haec enuntiatio inutilis ad id quod
ignorabamus. Quod igitur utilius est dicere, hoc est scilicet ut dicas quod certitudo est res,
sed hic res intelligitur ens, sicut si diceres quod certitudo huius est certitudo quae est. Cum
enim dixeris quod certitudo de a est aliqua res et certitudo de b est aliqua res, non eri t verum
nec acquiret aliquid, nisi proposueris in anima tua quod una earum est res proprie diversa ab
74 [32]

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alia re, sicut [36] si diceres quod certitudo de a est certitudo et certitudo de b est alia certitu-
do. Si autem non fuerit hoc propositum et haec coniunctio utriusque, non scietur quid sit res
cuius quaerimus intentionem, nec separabitur a comitantia intelligendi ens cum illa ullo
modo, quoniam intellectus de ente semper comitabitur illam, quia illa habet esse ve! in sin-
gularibus ve! in aestimatione ve! intellectu. Si autem non esset ita, tunc non esset res.
Quia non dicitur res nisi id de quo aliquid dicitur vere, deinde quod dicitur cum hoc
quod res potest esse id quod non est absolute, debemus loqui de hoc. Si enim intelligitur non
esse id quod non est in singularibus, hoc potest concedi quod sit ita; potest enim res habere
, esse in intellectu, et non esse in exterioribus; si autem aliud intelligitur praeter hoc, erit fai-
'(RATIATO PRIMO- SEZIONE QUINTA 75

rispetto a quell'altra; come se tu dicessi che "la realtà di A [è una data realtà],
essendo la realtà di B un'altra realtà". Ma se non vi fossero questo sottinteso e
insieme questa connessione, non si acquisirebbe [alcuna informazione].
Con "la cosa", dunque, si vuole indicare questa intenzione 155 , e il fatto che
ad essa consegua necessariamente l'intenzione dell'esistenza non se ne separa
mai. Anzi, l'intenzione dell'esistente la segue sempre: essa, infatti, o è esisten-
te nei singoli [individui] oppure è esistente nell'estimativa e nell'intelletto. E
se non fosse così, non sarebbe una cosa 156 .
Dire, poi: "la cosa è ciò di cui si dà predicazione" corrisponde al vero, ma
quel che si dice insieme a questo, e cioè che "la cosa può essere inesistente in
assoluto" è una questione che è necessario esaminare. Infatti, se con "inesi-
stente" si intende ciò che è inesistente negli individui concreti, può essere
che 157 sia così; può essere, cioè, che la cosa sia stabilita [esistente] nella
mente, pur essendo inesistente nelle cose esterne. Ma se [con "inesistente"] si
intende qualcos'altro è invece falso: di [una cosa del genere] non vi sarà alcu-
na predicazione, né essa potrà esser nota 158 , se non nel senso che sarebbe qual-
cosa di rappresentato soltanto nell'anima. Ma che poi sia rappresentata
nell'anima come una forma che designi qualcosa di esterno, no davveroP 59 E
quanto al predicato, esso si ha in quanto esso è sempre [predicato] di qualcosa
che ha una realtà nella mente. Dell'inesistente assoluto non si ha predicazione
in senso affermativo e anche quando se ne ha una in senso negativo, nella
mente gli si attribuisce un'esistenza, da un certo punto di vista. Il nostro dire
"è" 160 implica, infatti, una designazione e la designazione dell'inesistente -
che non ha forma nella mente, sotto nessun aspetto - è impossibile. Come si
potrà quindi affermare qualcosa dell'inesistente?
E quando diciamo che l'inesistente è "tale", intendiamo dire che la "tale"
qualificazione si dà per l'inesistente e non essendovi differenza tra "quel che
si dà" e "l'esistente", è come se dicessimo che questa qualificazione [33] è esi-

sum, nec erit enuntiatio ullo modo, nec erit scita nisi quia est imaginata in anima tantum;
sed, ut imaginetur in anima tali forma quae designat aliquam rerum exteriorum, non; nec
potest enuntiari, eo quod enuntiatio semper est de eo quod certificatum est in intellectu.
Unde de non esse absolute non enuntiatur [37) aliquid affirmative. Sed si enuntiatur aliquid
negative etiam, certe iam posuerunt ei esse aliquo modo in intellectu. Nostra autem dictio,
scilicet est, continet in se designationem. Designaci vero non esse quod nullo modo habet
formam in intellectu, impossibile est. Quomodo enim de non esse potest enuntiari res?
Sensus enim nostrae dictionis, quod non esse est tale, est quod talis dispositio advenit in non
esse; nec est differentia inter advenire et esse; et ideo idem est quasi diceremus quod haec
proprietas habet esse in non esse.
76 ,.,. [33]

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Dicemus igitur quod id quod dicitur de non esse et praedicatur de eo necesse est ut, vel
sit et habeatur a non esse, vel non si t nec habeatur a non esse. Si autem fuerit et habeatur a
non esse, tunc non potest esse quin vel si t in se alìquid vel nihil. Si vero fuerit in se aliquid,
tunc non esse habebit proprietatem quae est. Si vero proprietas fuerit aliquid, tunc id de quo
illa dicìtur erit aliquid sine dubio; ergo non esse eri t aliquid, et hoc est impossibile. Si autem
proprietas illa fuerit nihil, tunc id quod nihil est in se, quomodo erit in aliquo? Quoniam,
quod nihil est in se, impossibile est esse in aliquo; potest autem esse ut id quod est aliquid in
se non sit in alio. Si vero forma non fuerit in non esse, tunc remota est forma a non esse.
TRA TIATO PRIMO- SEZIONE QUINTA 77

stente per l'inesistente. Anzi -diremo- non si sfugge a una delle due possibi-
lità161: o ciò con cui è qualificato l'inesistente- e che di esso si predica- è
qualcosa di esistente e che si dà per l'inesistente, oppure no 162 . Se è esistente e
si dà per l'inesistente, allora si hanno ancora due possibUità: o in se stesso è
esistente o è inesistente; se è esistente, allora l'inesistente avrà un attributo esi-
stente, ed essendo esistente l'attributo, ciò che con esso viene qualificato sarà
senz' altro esistente; dunque l'inesistente sarà esistente, e questo è assurdo. Se
invece l'attributo è inesistente, allora come potrà ciò che in se stesso è inesi-
stente essere esistente per una [determinata] cosa? Infatti, quel che in se stesso
è inesistente è impossibile che sia esistente per un'altra cosa, mentre certo, una
determinata cosa può essere esistente in se stessa ma non essere esistente per
un'altra cosa. Ma se l'attributo non è esistente per l'inesistente, è come se si
negasse l'attributo 163 dell'inesistente; infatti, se in ciò non consistesse la nega-
zione dell'attributo dell'inesistente, negando l'attributo dali' inesistente si
avrebbe l'opposto di questo e si avrebbe [cioè] l'esistenza dell'attributo per
[l'inesistente]; ma ciò è del tutto falso 164 .
Diremo semplicemente che se abbiamo una scienza dell'inesistente, questo
è [solo] perché, quando un'intenzione si dà soltanto nell'anima e non designa
nulla di estemo 165 , ciò che è conosciuto è soltanto quello stesso qualcosa che è
nell'anima; l'assenso che si dà a quel che delle sue due parti è rappresentato
consiste allora nel fatto che può essere che, nella natura di questo qualcosa di
conosciuto, si abbia un rapporto che le appartiene e che è intelligibile all'ester-
no; ma [ciò di cui si discute] in questo momento non ha alcun rapporto [con
l'esterno], e non vi è quindi nulla di conosciuto che sia diverso da esso 166.
Invece, coloro che hanno questa opinione [ritengono] che nell'insieme di tutto
ciò di cui si dà predicazione e che si conosce vi siano cose che, essendo inesi-
stenti, non hanno neppure cosalità 167 ; e chi voglia soffermarsi su ciò, tomi
pure a ciò di cui essi hanno delirato nelle loro dottrine, che non meritano pro-
prio che ce ne occupiamo. [34] Costoro sono caduti in errore a questo proposi-

Cum autem [38) removerimus formam a non esse, eri t oppositum huic: iam igitur forma erat
in eo, et hoc est falsum. Nec dicemus nos habere scientiam de non esse, nisi quod intentio
habetur in anima tantum. Credulitas vero quae contingit est de hoc quod imaginatur ipsum
esse in anima tantum. Sed quod in natura huius sciti est posse habere comparationem intel-
lectam ad exteriora, in illa hora certe hoc non est. Igitur quod non est absolute non erit sci-
tum praeter illam.
Sed apud homines qui tenent hanc sententiam secundum quod scitur et annuntiatur de
ilio, sunt res quae non habent similitudinem cum eo quod debent loqui de non esse; quod qui
scire voluerit, legat inania verba eorum quae non merentur inspici. Illi autem non inciderunt
78 'l"t [34]

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~li'\~.~_;,.; .•~1 4.~ J~ \.~ j<> .)~~uv' .J " ... ~\" .JIJ
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J...\_, _;... .J• jl.J . •J.-! Ll. .Jj:.._ ( v•).;\ J' Jl 4.AU 4:;~

in errorem illum nisi propter ignorantiam suam de hoc quod enuntiationes non sunt nisi ex
intentionibus quae habent esse in [39] anima, quamvis sin t de non esse, ita tamen ut enuntia-
tio fiat de illis secundum hoc quod habent comparationem aliquam ad singularia, verbi gra-
tia, si dixeris quod resurrectio eri t, intellexisti resurrectionem et intellexisti erit, et praedica·
sti erit quod est in anima de resurrectione. Sed haec intentio non potest esse vera, nisi de
alia intentione, intellecta etiam, quae intelligatur ut, in hora futura, dicatur de ea intenti o ter·
tia intellecta: quae est intentio, scilicet est; et secundum hanc considerationem similiter est
in praeteri to.
Manifestum est igitur quod id quod enuntiatur de eo necesse est ut aliquo modo habeat
esse in anima; enuntiationes enim, re vera, non sunt nisì per id quod habet esse in anima et,
secundum accidens, sunt per id quod est in exterioribus. Iam igitur ìntellexisti nunc qualiter
tRATTATO PRIMO- SEZIONE QUINTA 79

to perché ignorano che la predicazione 168 riguarda solo intenzioni 169 che, pur
essendo inesistenti nei [singoli J individui, hanno un'esistenza neli' anima, e
[perché ignorano J che darne una predicazione significa che esse hanno un
certo rapporto con i [singoli] individui. Per esempio, se dici che la "resurrezio-
ne sarà", capisci la "resurrezione" e capisci anche "sarà" e predichi (/:tamalta)
''sarà", che è nell'anima, della "resurrezione", che è nell'anima; e intanto que-
sta intenzione [della resurrezione J è valida di un'altra intenzione, anch'essa
intelligibile - e che è un intelligibile che riguarda un tempo futuro - in quanto
è qualificata da una terza intenzione intelligibile, e cioè l'intelligibile dell'esi-
stenza170. E per quanto riguarda il passato la cosa sta in questo stesso rapporto.
È evidente, quindi, che ciò che viene predicato è immancabilmente esistente
secondo un certo modo d'esistenza nell'anima e la predicazione riguarda, in
{senso] reale (bi-1-/:taqfqa), ciò che esiste nell'anima e, per accidente, ciò che
esiste all'esterno .
..,.. E ora hai capito perché "la cosa" si differenzia dal concetto de "l'esistente"
e di "quel che si dà", e che i due - nonostante ciò - si accompagnano necessa-
riamente l'un l'altro.
Tuttavia, mi è giunta notizia del fatto che alcuni affermano che "quel che
si dà" 171 sì dà senza essere esistente e che può avvenire che l'attributo della
cosa non sia né qualcosa di esistente né qualcosa di inesistente e che "quello
che" e "qualcosa che" indicano un alcunché di diverso rispetto a quel che indi-
ca "la cosa". Ebbene, costoro non fanno parte della gente che ha discernimen-
to; e una volta che abbiano preso a distinguere fra queste espressioni, [consi-
derando] quel che esse significano, si scopriranno [neli' errore].
Ora - diremo - benché l'essere, come sai, non sia un genere, né sia dicibile
in modo univoco di quel che è sotto di sé, esso è comunque un'intenzione in
cui [quel che è sotto di sé] coincide secondo anteriorità e posteriorità. Così, in
primo luogo 172, [esso si applica] alla quiddità che è la sostanza e poi a ciò che
è dopo di essa. E poiché esso è, nel modo che abbiamo evocato, una intenzio-
ne, [35] lo accompagnano, come prima si è reso evidente, degli accidenti che

differant et id quod intelligitur de esse et quod intelligitur de aliquid, quamvis haec duo sint
comitantia. Significatum est tamen mihi esse homines qui dicunt quod aliquid est aliquid,
quamvis non habeat esse, et quod aliquid est forma rei quae non est res, nec quae est nec
quae non est, et quod quae ve! quod [non] significant aliud [40] quam id quod significai res.
Isti autem non sunt de universitate eorum qui cognoscunt. Quos cum coegerimus discernere
inter haec verba secundum intellectum suum, detegentur.
Dìcemus ìgìtur nunc quod quamvis ens, sicut scisti, non sìt genus nec praedicatum
aequaliter de his quae sub eo sunt, tamen est intentio in qua conveniunt secundum prius et
posterius; primum autem est quidditati quae est in substantia, deinde ei quod est post ipsam.
Postquam autem una intentio est ens secundum hoc quod assignavimus, sequuntur illud
80 l" O [35]

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.~ J \.Ji.;.f '•.J~ .J\ \.J.l\_;\ \.)l' J~\ f . J~\ l.[.J ISJ.J__..;.I\ l.l
\O j:.!\ \.l.J ~ r..l..l\ .SJ.J_r.. .J• J\J\ .Jl : \_,l_A .J\ 1$).-'__...;..l\ \.[
. .J.:U. ..,....i. ._,....~_rPJà.i.l.Jl ~~_,._.:,t l.f.c. ':1 .s.ill ~l :l)_,.t_ J\
.,;.:..li .J• .J\ ' .)§._ .J\ ~-)l .s.iJ\ .J" c_:..:l\ .Jf .:_,. J\0-. \. ..!\l$;
~ .Jt, .,_;:.,_ )I.Jt J\.e .J e__,.. .s.ili.J· ~'JI.J . .:,_;:.,_ )I.Jt ~

accidentalia quae ei sunt propria, sicut supra diximus. Et ideo eget aliqua scientia in qua
tractetur de eo, sicut omni sanativo necessaria est aliqua scientia.
Difficile autem est declarare dispositionem necessarii et possibilis et impossibilis certis-
sima cognitione, nisi per signa. Quicquid enim dictum est ab antiquis de astensione istorum,
in plerisque reducitur ad circularem, eo quod ipsi, sicut nosti in logicis, curo volunt definire
possibile, assumunt in eius definitione necessarium vel impossibile, nec habent alium
modum nisi hunc. Curo autem volunt definire necessarium, a~sumunt in eius definitione
possibile ve! impossibile, et curo volunt definire impossibile, assumunt in eius definitione
necessarium vel possibile. Verbi gratia, curo definiunt possibile, dicunt aliquando quod est
TRATIATO PRIMO- SEZIONE QUINTA 81

gli sono propri; perciò 173 vi è una sola scienza che se ne faccia carico, come vi
è una sola scienza per tutto quello che riguarda la salute.
Anche riuscire a conoscere, con qualcosa che li faccia realmente conosce-
re, come siano il necessario (wiigib), il possibile (mumkin) e l'impossibile
(mumtani ') è difficile; [essi si possono conoscere], piuttosto, con un segno,
mentre tutto ciò che è stato sostenuto a proposito della definizione di questi
[concetti]- fra quel che sei venuto a sapere dagli Antichi- sembra comporta-
re un circolo. E questo perché, come ti si è chiarito nelle varie parti della logi-
ca, una volta che ·costoro hanno voluto definire il possibile, hanno assunto
nella sua definizione o l'obbligatorio (al-qarilrf) oppure l'impossibile; e
d'altra parte non vi è alcun modo [di definirli] diverso da questo: quando 174
hanno voluto definire l'obbligatorio, hanno assunto nella sua definizione o il
possibile o l'impossibile e quando poi hanno voluto definire l'impossibile, nel
definirlo hanno assunto o l'obbligatorio o il possibile. Per esempio, nel defini-
re il possibile hanno sostenuto, una volta, che è "il non-obbligatorio" oppure,
nel caso in cui non ne sia impossibile l'esistenza, in un qualunque tempo si
supponga del futuro, che è "l'inesistente"; poi, quando hanno avuto bisogno di
definire l'obbligatorio, hanno sostenuto o che esso è ciò che non è possibile
supporre inesistente, oppure che esso è ciò da cui, una volta supposto in con-
trasto rispetto a come è, deriva un'impossibilità; così, nella sua definizione
hanno assunto talvolta il possibile, talaltra l'impossibile. Quanto al possibile,
nel definirlo, già prima avevano assunto o l'obbligatorio o l'impossibile. E
quando hanno voluto definire l'impossibile, hanno assunto nella sua definizio-
ne o l'obbligatorio- in quanto hanno sostenuto che l'impossibile è quel che è
obbligatoriamente inesistente - o il possibile, in quanto hanno sostenuto che è
quel che è impossibile che esista, o un'altra espressione analoga a queste due.
Ed è allo stesso modo che si dice dell'impossibile che è quel che non è possi-
bile che esista o che è quel che è necessario che non esista; o del necessario,
che è ciò che è impedito [a non esistere] e impossibile che non esista oppure
che non [36] è possibile che non sia; o del possibile, che è quel che non è

non nècessarium vel quod ipsum est quod non est in praesenti, cuius tamen esse, in quacum-
que posueris hora futura, non est impossibile. Deinde cum volunt definire necessarium,
dicunt quod necessarium est quod non est possibile poni non esse, vel quod est id quod, si
aliter ponitur quam est, est impossibile; sic [41] igitur accipiunt in definitione eius aliquando
possibile, aliquando impossibile; et in definitione possibilis accipiunt impossibile ve! neces-
sarium. Deinde cum volunt definire impossibile, accipiunt in eius definitione necessarium,
dicentes quod impossibile est id quod est necessarium non esse, vel ponunt possibile, dicen-
tes quod non est possibile esse. Et aliqui doctores Iegis sequuntur hoc. Similiter etiam dicunt
quod impossibile est id quod non est possibile esse ve! id quod necesse est non esse, < ... >et
82 ,., [36]

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quod possibile est quod non est impossibile esse vel non esse, ve! quod non est necesse esse
vel non esse. Hoc autem totum, sicut tu vides, manifeste circulare est.
Sed detectio huius maneriae in hoc est haec quia iam nosti in Analyticis quod, ex his tri-
bus, id quod dignius est intelligi est necesse, quoniam necesse significa! vehementiam
essendi; esse vero notius est quam non esse, esse enim cognoscitur per se, non esse vero
cognoscitur per esse aliquo modo.
Cum autem nota fecerimus tibi haec omnia, tunc erit tibi certa destructio sententiae
illius qui dici t quod non esse reducitur, quia ipsum est de quo primum enuntiatur esse. Non
esse autem cum [42] reducitur, debet esse differentia inter ipsurn et inter id quod est tale, si
inveniretur aliud vice eius et, si fuerit tale quale illud, tunc non est ipsum: non enim est illud
quod privatum erat et in dispositione privationis erat hoc aliud ab eo. Igitur non esse iam fit
TRATIATO PRIMO- SEZIONE QUINTA 83

impedito a essere e a non essere o che non è necessario che sia o che non sia: e
tutto questo, come vedi, è manifestamente un circolo. Quanto a scoprire come
stiano le cose a questo proposito, l'hai già scoperto negli Analitici' 75 .
Ora, di questi tre il più degno di essere rappresentato per primo è il neces-
sario (al-wiigib ). E questo perché il necessario sta a indicare la certificazione
dell'esistenza (ta'akkud al-wugiid) e l'esistenza è più nota dell'inesistenza
('adam). L'esistenza, infatti, si conosce per sé, mentre l'inesistenza si cono-
sce, da un certo punto di vista, attraverso l'esistenza 176 •
E quando saremo arrivati a farti comprendere 177 queste cose, ti si mostrerà
chiaramente la vanità delle parole di chi dice che l'inesistente si fa tornare
[all'esistenza] perché sarebbe la prima cosa di cui si darebbe predicazione 178
con l'esistenza. Questo perché se l'inesistente è fatto tornare [all'esistenza], vi
deve essere una differenza tra di esso e ciò che gli è simile - se esiste un suo
sostituto; e se quello gli è simile, semplicemente non è quello stesso, perché
non è quello che era inesistente - e nello stato dell'inesistenza c'era quello,
nQD questo; l'inesistente verrebbe insomma ad essere esistente nel modo a cui
a,bbiamo precedentemente accennato. Sennonché, se l'inesistente fosse fatto
tornare [all'esistenza), si avrebbe bisogno di far tornare l'insieme delle pro-
prietà in virtù delle quali esso è tale; e fra le sue proprietà vi è il momento in
cui esso era (waqtu-hu). Ma se fosse fatto tornare [all'esistenza] il momento in
cui esso era, allora l'inesistente non sarebbe stato fatto tornare (all'esistenza]:
quel che è fatto tornare, infatti, è quel che esiste in un secondo- momento. E se
fosse possibile far tornare l'inesistente [all'esistenza], facendo tornare l'insie-
me degli inesistenti che lo accompagnano, poiché - secondo quanto si conosce
delle loro dottrine il momento è o qualcosa con una propria realtà d'esistenza
e che si è reso inesistente oppure la corrispondenza di un [dato] esistente con
un qualche accidente-, ecco che potrebbero tornare [all'esistenza] il momento
e i [diversi] stati [dell'inesistente]: ma così non vi sarebbe un momento e poi
un altro momento e quindi non vi sarebbe ritorno! 179
Ma l'intelletto coglie tutto ciò d'un colpo e a questo proposito non ha biso-
gno di una prova (bayiin): tutto quel che si dice a questo riguardo esce dalla
via di ciò che va insegnato 180 •

esse secundum modum quem ante assignavimus. Cum autem non esse reductum fuerit,
oportebit ut omnes proprietates quibus erat id quod erat, reducantur. Sed de proprietatibus
eius est hora eius; cum autem reduxeris horam eius, tunc non esse erit non reductum, quia
reductum est id quod invenitur in secunda hora. Si enim non esse fuerit tale ut in eius reduc-
tione reducantur omnia privata quae fuerunt cum eo, et hora tunc ipsum vel est aliquid quod
habet certitudinem esse quo iam privatum est, vel convenientiam essendi aliquod acciden-
tium, sicut notum est ex intentione eorum. Igitur potest esse ut reducatur hora et dispositio-
nes, et tunc non erit hora et hora; ergo non eri t reductio, quamvis intellectus refugiat hoc nec
requirat eius probationem; quicquid enim dicitur de hoc est extra viam doctrinae.
84 [37]

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VI
CAPITULUM IN INITIO LOQUENDI DE NECESSE ESSE ET DE POSSIBILE ESSE ET QUOD NECESSE ESSE
NON HABET CAUSAM ET QUOD POSSIBILE ESSE EST CAUSATUM ET QUOD NECESSE ESSE NULLI EST
COAEQUALE IN ESSE NEC PENDET AB ALlO IN ESSE

[43] Redeamus ad id in quo eramus et dicamus quod necesse esse et possibile esse
unumquodque habet proprietates. Dicemus igitur quod ea quae cadunt sub esse possunt in
intellectu dividi in duo. Quorum unum est quod, cum consideratum fuerit per se, eius esse
non est necessarium; et palam est etiam quod eius esse non est impossibile, alioquin non
cadet sub esse, et hoc est in termino possibilitatis. Alterum est quod, cum consideratum fue-
rit per se, eius esse erit necesse. Dicemus igitur quod necesse esse per se non habet causam
85

SEZIONE SESTA

SEZIONE IN CUI HA INIZIO LA TRATTAZIONE INTORNO


AL NECESSARIAMENTE ESISTENTE E AL POSSIBILMENTE ESISTENTE:
[IN CUI SI AFFERMA] CHE IL NECESSARIAMENTE ESISTENTE NON HA CAUSA,
CHE IL POSSIBILMENTE ESISTENTE È UN CAUSATO
E CHE IL NECESSARIAMENTE ESISTENTE NON È NELL'ESISTENZA
NÉ OMOLOGO AD ALCUNCHÉ DI DIVERSO DA SÉ
NÉ DIPENDENTE DA ALCUNCHÉ DI DIVERSO DA SÉ 181

Torniamo a ciò di cui stavamo trattando, dicendo che ogni necessariamente


esistente, come ogni possibilmente esistente, ha alcune sue proprietà. Le cose
che rientrano nell'esistenza possono subire nell'intelletto due divisioni; fra di
esse, infatti, vi è qualcosa che, considerato in se stesso, ha un'esistenza non
necessaria - ma è manifesto che la sua esistenza non è neppure impossibile,
altrimenti non sarebbe rientrato nell'esistenza- e questo qualcosa è nel domi-
nio del possibile; e vi è poi qualcosa che, considerato in se stesso, ha un'esi-
stenza necessaria.
Ora, diremo: quel che per sé è necessariamente esistente non ha causa,
~ntre quel che per sé è possibilmente esistente ha causa: il necessariamente
esistente per sé è necessariamente esistente da tutti i punti di vista e non è pos-.
Slbile che la sua esistenza sia omologa 182 ad un'altra esistenza, così che ognu-
na delle due sia equivalente all'altra nella necessità dell'esistenza e che le due
si accompagnino necessariamente [l'una all'altra]; e non può affatto essere che
ì1 necessariamente esistente metta insieme la propria esistenza a partire da una
molteplicità, né può essere che la realtà che gli appartiene sia partecipata [da
altro], da nessun punto di vista, [e ciò] al punto tale che, dal fatto che ricono-
sciamo valido tutto questo, consegue che il necessariamente esistente non è un
relativo, e che non è mutevole, né molteplice, né associato [ad altro] nell'esi-
stenza che gli è propria 183 .

et quod possibile esse per se habet causam; et quod necesse esse per se est necesse omnibus
suis modis et quod impossibile est ut esse eius quod est necesse esse sit coaequale ad esse
alterius, ita ut unumquodque eorum sit aequale alteri in necessitate essendi vel comitetur; et
impossibile est etiam ut esse eius quod est necesse esse coniungatur ex moltitudine; et
impossibile est etiam ut in certitudine quam habet necesse esse communicet ei aliquid aliud.
Quod cum certificaverimus, sequetur quod necesse esse non est relativum nec mutabile nec
multiplex nec communicat ei aliquid aliud in suo esse quod est ei proprium.
86 Y'll [38]

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[44] Quod autem necesse esse non habet causam, manifestum est. Si enim necesse esse
haberet causam sui esse, profecto eius esse esset per illam. Quicquid autem est cuius esse est
per aliquid, cum consideratum fuerit per se, non habebit esse necessarium; quicquid autem
consìderatum per se sine alio non habet esse necessarium, non est necesse esse per se. Unde
constat quod, si necesse esse per se haberet causam, profecto non esset necesse esse per se.
Manifestum est igitur quod necesse esse non habet causam. Et patet etiam ex hoc quod
impossibile est ut aliquid idem sit necesse esse per se et necesse esse per aliud: si enim eius
esse esset per aliud, tunc impossibile esset illud inveniri sine illo alio, impossibile igitur
esset inveniri necesse esse per se; si enim esset necessarium per se, iam haberet esse, et illud
aliud nihil ageret ad illud esse necessarium; quicquid enim est ad cuius esse agit aliud, eius
esse non est necessarium in se.
Quicquid autem possibile est consideratum in se, eius esse et eìus non esse utrumque est
per causam. Cum enim habuerit esse, tunc iam acquisìtum est sibi esse discretum a non esse.
TRATIATO PRIMO- SEZIONE SESTA 87

[38] Che poi il necessariamente esistente non abbia causa, è manifesto.


Infatti, se per l'esistenza del necessariamente esistente vi fosse 184 una causa, la
sua esistenza sarebbe in virtù di essa: di ciò che esiste in virtù di altro, quando
sia considerato in se stesso senza considerare quel che è diverso da esso 185 ,
non si dà necessariamente un'esistenza e tutto ciò che, quando è considerato in
se stesso senza considerare quel che è diverso da esso, è tale da non avere
necessariamente un'esistenza, non è necessariamente esistente per sé 186 . È evi-
dente, infatti, che, se per il necessariamente esistente per sé ci fosse una
causa 187, esso non sarebbe necessariamente esistente per sé; ed è perciò mani-
festo che il necessariamente esistente non ha causa.
Da ciò si mostra in modo [egualmente] manifesto che non può essere che
una stessa cosa sia necessariamente esistente per sé e necessariamente esisten-
te in virtù di qualcosa di diverso da sé. Infatti, se l'esistenza [della cosa] è
necessaria in virtù di qualcosa di diverso da essa, non può essere che essa esi-
sta senza questo qualcosa di diverso, e poiché non può esistere senza qualcosa
di diverso da sé, è impossibile che la sua esistenza sia necessaria per sé; inve-
ce, se [la cosa] è necessaria per sé, essa si dà, non essendovi sulla sua esisten-
za, da parte di quel che è diverso [da essa], alcun influsso che consista nel ren-
der necessario, mentre 188 l'esistenza di ciò sulla cui esistenza qualcosa di
diverso esercita un influsso non è in se stessa necessaria.
Inoltre, sia l'esistenza sia l'inesistenza di tutto ciò che, considerato in se
stesso, è possibilmente esistente sono in virtù di una causa; se [il possibilmen-
te esistente] esiste è infatti perché ad esso si è data l'esistenza, distinta
dall'inesistenza; se non esiste 189, è perché ad esserglisi data è l'inesistenza,
distinta dall'esistenza; ma delle due l'una: o ciascuna delle due condizioni 190
si dà per esso a partire da qualcosa di diverso, oppure no. Se è a partire da
qualcosa di diverso dal [possibilmente esistente], allora quel che è diverso è la
causa; se non è a partire da qualcosa di diverso da esso, è [comunque] eviden-
te191 che qualunque cosa non sia esistita e poi esista è stata appropriata
[ali' esistenza] in virtù di qualcosa di diverso dalla [cosa] e che viene
dall'estemo 192 . E lo stesso è per quanto riguarda l'inesistenza. E questo per-
ché: o [a determinare] questa "appropriazione" 193 è sufficiente la quiddità
della cosa, oppure no 194. Se la sua quiddità fosse sufficiente perché una qua-
lunque delle due [l'esistenza o l'inesistenza] [39] si desse, la cosa sarebbe

Cum vero desierit esse, iam acquisitum est sibi non esse discretum ab esse. lgitur non potest
esse quin utrumlibet istorum duorum acquiratur sibi ab alio a se ve! non ab alio a se. Si
autem acquiritur ab alio a se, tunc illud aliud est causa. Si vero non acquiritur ab alio a se,
manifestum est autem quod quicquid post non esse habet esse iam appropriatum est per ali-
quid quod sibi advenit ab alio a se, similiter et in non esse, [45] tunc, ad appropriandum sibi
utrumlibet, id quod ipsum est ve! est sufficiens ve! non sufficierts. Si autem id quod est suf-
ficiens est ad appropriandum sibi utrumlibet illorum duorum, ita ut sit aliquid illorum duo-
88 [39]

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rum, tunc illud est necessarium sìbì ìpsì per se. Iam autem posìtum erat non esse necesse.
lgitur hoc est inconveniens et impossibile. Si autem id quod est non est sufficiens ad acquì-
rendum sibi utrumlibet, sed per aliquid aliud adìunctum est sibì esse id quod est, tunc esse
illius est ex esse alterius a se, quo eget ad esse, et sic illud est çausa eius. lgitur habet cau-
sam; et omnino non habebit aliquod duorum acquisìtorum per seipsum, sed per causam:
intentio enim essendi est ex causa quae est causa essendi, et intentio non essendi est ex
causa quae est privatio causae ìntentionis essendi, sicut scisti.
Dicemus igitur quod oportet illud fieri necessarium esse per causam et respectu eius. Si
enim non fuerit necessarium esse existente essentia causae et comparatione eius, erit etiam
possibile. Unde potest concedi illudesse et non esse non appropriatum aliquo illorum duo-
TRATTATO PRIMO- SEZIONE SESTA 89

necessaria per sé nella quiddità 195 , quando invece si era ipotizzato che fosse
non necessaria, e questo è contraddittorio. E se l'esistenza della sua quiddità
non è sufficiente, ma vi è invece qualcosa a cui l'esistenza della sua essenza si
aggiunga, allora la sua esistenza è dovuta ali' esistenza di questo qualcosa
d'altro, diverso dalla sua essenza e di cui [la cosa] ha immancabilmente biso-
gno: questo [qualcosa d'altro] è la sua causa e [la cosa] ha quindi una causa.
Insomma: [in ogni caso] una delle due condizioni viene ad essere necessaria
solo per via di questo qualcosa; non per sé, ma per via di una causa: l'attributo
dell'esistenza è in virtù di una causa che è una causa d'esistenza, e l'attributo
dell'inesistenza è in virtù di una causa che è l'inesistenza della causa dell'attri-
buto d'esistenza; [e ciò] secondo quel che hai appreso 196.
Quindi - diremo - in virtù della causa e in virtù del rapporto con essa [la
cosa] deve venire ad essere necessaria. Se non fosse necessaria, infatti, data
l'esistenza della causa e in rapporto ad essa, essa sarebbe ancora possibile e
potrebbe esistere e non esistere, senza essere appropriata per nessuna delle due
condizioni; ma questo [vorrebbe dire] aver bisogno da capo dell'esistenza di
una terza cosa in virtù della quale - una volta che esista la causa - le dovrebbe
esser destinata l'esistenza in luogo dell'inesistenza oppure l'inesistenza in
luogo dell'esistenza; questa [terza cosa] sarebbe allora un'altra causa e il
discorso si protrarrebbe all'infinito. Ma protraendosi all'infinito, l'esistenza
[della cosa] non sarebbe determinata e [la cosa] non avrebbe esistenza, eque-
sto è assurdo; e ciò non soltanto perché si andrebbe all'infinito nella [serie]
delle cause - questo, infatti, in questo passaggio, è ancora un [argomento]
dubbio quanto alla sua possibilità - ma piuttosto perché non esisterebbe anco-
ra alcunché in virtù di cui determinare [la cosa], che invece si era supposta esi-
stente197. E dunque è valido [affermare] che tutto ciò che è possibilmente esi-
stente, finché non è necessario in rapporto alla sua causa, non esiste.
Inoltre - diremo - non può essere che il necessariamente esistente sia omo-
logo ad un altro necessariamente esistente, di modo che questo [necessaria-
mente esistente] sia esistente insieme a quell'altro e quell'altro insieme a que-

rum; et hoc iterum eget ut sit aliquid tertium per quod assignetur ei esse post non esse, ve!
post esse non esse, cum causa habuerit esse; est ergo illud alia causa, et sic itur in infinitum,
et cum hoc non erit ei appropriatum esse nec acquiretur ei esse, et hoc est absurdum, [46)
non ob hoc tantum quod causae eunt in infinitum (hoc autem dubium est hic ad removen-
dum), sed ob hoc quod nondum habet per quod approprietur; iam autem positum est illud
habere esse. Igitur manifestum est quod quicquid possibile est esse, non habet esse nisi cum
necessarium est esse respectu suae causae.
Dicemus etiam esse impossibile ut ei quod est necesse esse sit compar aliud necesse
esse, ita ut hoc simul habeat esse cum ilio, et illud simul habeat esse cum isto, nec unum
eorum sit causa alterius, sed sint coaequalia in comitantia essendi. Cum enim considerata
90 t· [40]

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fuerit essentia uniuscuiusque eorum per se sine alio, non potest esse quin sit ve! necessarium
per se, ve! non necessarium per se.
Si autem fuerit necessarium per se, non potest esse quin ve! habeat etiam necessitatem
respectu sui cum secundo, et tunc erit illud necesse esse per se et necesse esse propter aliud
a se, et hoc est frivolum, sicut supra ostendimus, ve! non habeat necessitatem propter aliud,
ita ut esse eius non debeat sequi ex esse alterius nec comitetur illud, nec esse eius pendeat ex
esse alterius, ita ut hoc non habeat esse nisi et alterum habuerit esse.
Si autem non fuerit necessarium per se, oportebit tunc ut, respectu sui, si t possibile esse
et, respectu alterius, si t necesse esse, et impossibile est etiam quin illud aliud ve! sit similiter
ve! non sit similiter. Sed si illud aliud fuerit similiter, tunc non potest esse quin necessitas
esse huius sit ex ilio, cum illud sit in termino possibiliter essendi, vel in termino necessario
essendi. Si autem necessitas essendi huius fuerit ex ilio cum illud fuerit in termino necessa-
'[RATIATO PRIMO- SEZIONE SESTA 91

sto, senza che nessuno dei due sia [40] causa dell'altro, ma anzi essendo
ambedue omologhi riguardo al conseguire necessario dell, esistenza.
Infatti, se si considera l'essenza di uno dei due in se stesso ad esclusione
dell'altro, o [questo che si è considerato] è necessario per sé o non è necessa-
rio per sé.
Se è necessario per sé, non si sfugge a una delle due possibilità: o ad esso
la necessità appartiene anche in virtù del fatto che è considerato insieme con il
secondo, e allora la stessa cosa sarà necessariamente esistente 198 per sé e
necessariamente esistente a causa di altro da sé - e questo, come si è già
[osservato], è impossibile; oppure per esso non vi sarà necessità in virtù
dell'altro: la sua esistenza non dovrà quindi seguire l'esistenza dell'altro e ne
consegue che per l'esistenza di questo non vi sia con l'altro un vincolo tale
che questo esista solo se esiste l'altro.
Se invece non è necessario per sé, allora dovrà essere possibilmente esi-
stente in considerazione di se stesso e necessariamente esistente in considera-
zione dell'altro. E allora, non si sfugge a una delle due possibilità: o anche
l'altro è tale, oppure no.
Se anche l'altro fosse tale, ecco che si avrebbero due possibilità: la neces-
sità dell'esistenza del [primo potrebbe] provenire dal secondo o essendo
quest'ultimo possibilmente esistente 199 oppure essendo quest'ultimo necessa-
riamente esistente.
Se la necessità d'esistenza del [primo venisse] dal secondo, essendo
quest'ultimo - come abbiamo già affermato - in sé necessariamente esistente
- non da se stesso né da un terzo precedente, ma a partire da quello che ne
proviene- allora la necessità d'esistenza di ciò che si attua dopo la necessità
della sua esistenza sarebbe una condizione per la stessa necessità d'esistenza
del [secondo], [laddove il dopo indica] una posteriorità essenziale, e ad esso
non apparterrebbe affatto un'esistenza necessaria200 .
E se poi la necessità dell'esistenza del [primo] venisse dal secondo, essen-
do quest'ultimo in sé possibilmente esistente, allora la necessità d'esistenza
del [primo] verrebbe dall'essenza del secondo, il quale sarebbe in sé possibil-
mente esistente: la sua essenza sarebbe, nella possibilità, tale da far acquisire a
questo la necessità d'esistenza, mentre la sua possibilità non sarebbe acquisita
da questo, perché anzi lo sarebbe la necessità. [41] Così la causa del primo

rio essendi, et non ex se nec [47] ex tertio contingente, sicut supra diximus, sed ex ilio quod
est ex ipso et necessitas esse huius fuerit condicione necessitatis essendi illius cum ilio quod
acquiritur postea ex necessitate essendi, posterioritate essentiali, tunc non acquiretur neces-
sitas essendi ullo modo. Si autem necessitas essendi huius fuerit ex ilio cum illud fuerit in
termino possibilitatis, tunc necessitas essendi huius erit ex essentia illius, et ilio existente in
termino possibilitatis acquirente huic necessitatem essendi, nec acquirente ab isto terminum
possibilitatis, sed necessitatem. Igitur causa huius erit possibilitas essendi illius, cum hoc
92 ti [41]

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non sì t causa illius; erunt igitur non coaequalia, cum unumquodque eorum sit causa per se et
causatum per se. Deinde contingit etiam aliud quod, cum possibiJitas essendi illius fuerit
causa necessitatis essendi ìstius, tunc esse ìllius non pendebit ex esse istius, sed ex possibili-
tale eius. Igitur oportebit ut esse huius sit simul cum non esse illius; iam autem posuimus
illa coaequalia; tunc hoc est impossibile: igitur non est possibile ut sint coaequalia in esse,
ita ut non pendeant ex causa extrinseca; sed oportet ut unum eorum sit primum per seipsum
et sit ibi causa extrinseca quae faciat utrumque necessario esse, necessitate pendendi inter
se, vel faciat necessarium pendere necessitas utriusque.
[48] Relativorum autem non est necesse unum esse ex altero, sed cum altero. Quod
autem facit illa duo esse necessario est causa quae coniungit illa, vel etiam duae materiae,
vel duo subiecta de quibus illa praedicantur. Non autem esse duarum materiarum ve! duo-
rum subiectorum tantum sufficit ad hoc, sed esse tertium quod coni ungi t illa, et hoc est quo-
niam non potest esse quin esse et certitudo uniuscuiusque duorum ve! sìt esse cum alio. et
TRATIATO PRIMO- SEZIONE SESTA 93

sarebbe la possibilità d'esistenza del secondo, mentre la causa della possibilità


d'esistenza del secondo non sarebbe il primo e i due sarebbero non-omolo-
ghi201, intendo dire in quanto questo sarebbe per sé la causa dell'altro e [quel-
lo) un causato202 .
C'è poi un'altra questione, e cioè: se è la possibilità dell'esistenza di quello
ad esser causa della necessitazione ali' esistenza di questo, allora l'esistenza di
quest'ultimo non dipende dalla necessità del primo, ma dalla sua possibilità; si
dovrebbe allora ammettere l'esistenza [d eli' uno] insieme ali' inesistenza
[dell'altro], mentre abbiamo già supposto che i due fossero omologhi 203 ; e ciò
è contraddittorio.
Non è dunque possibile che i due siano omologhi nell'esistenza, in un
determinato stato, senza dipendere da una causa esterna; invece, o uno dei due
è necessariamente il primo per essenza, oppure vi deve essere un'altra causa,
una causa esterna, che renda necessari ambedue rendendo necessario il rappor-
to fra i due, o che renda necessario il rapporto, rendendo necessari i due.
Due [elementi] relativi infatti non sono uno necessario per l'altro, ma piutto-
sto sono [uno] insieme all'altro, mentre quel che li rende entrambi necessari è la
causa che li mette insieme; e analogamente (si deve dire) delle due materie o dei
due soggetti che dai due sono qualificati 204 • L'esistenza di due sole materie o di
due soli soggetti non basta: [vi deve essere] invece l'esistenza di una terza [cosa]
che li metta insieme. E questo perché non si sfugge a una delle due [possibilità]:
- [nella prima] l'esistenza e la realtà di ognuna delle due cose consistono
nel fatto che ognuna è insieme all'altra; l'esistenza [di ognuna delle due] è
allora per sé non necessaria, e viene quindi a essere possibile e causata; [in
questo caso] la causa [di ognuna delle due] non è - come abbiamo detto -
qualcosa di omologo [ad esse]2°5 nell'esistenza; la loro causa è un'altra cosa
ancora e né l'una né l'altra sono causa del rapporto che sussiste fra di esse, ma
lo è invece, quell'altra cosa;
-oppure, [nella seconda206 , l'esistenza e la realtà di ognuna delle due] non
consistono nel fatto che ognuna è insieme all'altra e il fatto che esse siano
insieme è quindi qualcosa di estrinseco ali' esistenza propria [di ciascuna delle
due cose], un concomitante della [loro esistenza]. Anche [in questo caso],
l'esistenza che è propria di [ciascuna delle due] non proviene dal suo omologo
in quanto omologo, ma piuttosto da una causa anteriore, se questo è a sua
volta un causato.

tunc esse eius per se erit non necessarium; igitur erit possibile; itaque erit causatum, et erit
sicut diximus, quod causa eius non est comitans illud in esse, et ita causa eius erit aliud, et
tunc illud et aliud non erunt causa habitudinis quae est inter illa, sed illud aliud. Ve! non sit
esse cum alio, igitur hoc esse cum alio erit aliquid noviter adveniens super suum esse pro-
prium et consequens illud, et etiam esse quod est ex parte eius non erit ex comitantia
inquantum sunt comitantia, sed ex causa praecedente, si ipsum fuerit causatum. Tunc ergo
ipsum esse eius aut erit ex suo comi te, non inquantum est comes, sed inquantum est esse sui
94 (42]

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comitis quod est ei proprium, et ita non erunt comitantia, sed causa et causatum, et comes
eius erit etiam causa habitudinis aestimativae inter ea, sicut pater et filius, aut erunt comitan-
tia secundum hoc quod nullum eorum est causa alterius, et habitudo erit necessaria ad esse
eorum. Igitur prima causa habitudinis erit res extrinseca, faciens esse duas essentias eorum,
sicut scisti, et habitudo erit accidentalis; unde non erit ibi comitantia nisi per accidens sepa-
rabile vel inseparabile. Sed hoc est aliud ab eo in quo sumus; habitudo autem quae est per
accidens erit causa sine dubio; unde secundum comitantiam erunt utraque causata, et ita nul-
lum eorum est necessarium esse per se.
TRATIATO PRIMO- SEZIONE SESTA 95

E allora: o l'esistenza [di una delle due cose] proviene da quella che la
accompagna non in quanto questa le è omologa, [42] ma in quanto l'esistenza
di quel che la accompagna la determina, e allora [le due cose] non sono omo-
loghe, ma sono anzi causa e causato e quel che accompagna [una delle due] è
una causa anche rispetto al rapporto che c'è fra le due [cose] nell'immagina-
zione estimativa, come accade per padre e figlio; oppure le due [cose] sono
omologhe nel senso che nessuna delle due è una causa per l'altra e il rapporto
[tra loro due] consegue alla loro esistenza. In tal modo, la causa prima del rap-
porto è una cosa esterna, che fa esistere le due essenze - secondo quanto hai
appreso - e il loro rapporto è quindi accidentale; perciò non vi sarebbe omolo-
gia se non per via di un accidente distinto o di un conseguente. Ma questa è
una cosa diversa da quella che noi stiamo trattando: quel che è per accidente
ha senz'altro una causa e [se così fosse], i due [enti necessari] sarebbero, in
quanto omologhi, due causati 207 •
96 tr [43]

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VII
CAPITULUM QUOD NECESSE ESSE UNUM EST

[49] Dicemus etiam quod necesse esse debet esse una essentia; sin autem, sint multae,
igitur unaquaeque earum erit necesse esse; necesse est autem ut unumquodque eorum in cer-
titudine suae essentiae ve! non differat ab altero aliquo modo ve! differat. Si autem non dif-
fert unum ab alio in intellectu suae propriae essentiae, differt autem ab eo per hoc quod hoc
non est illud (hoc enim differentia est sine dubio), profecto unum differt ab alio in eo quod
97

SEZIONE SEITIMA

SEZIONE A PROPOSITO DEL FAITO CHE IL NECESSARIAMENTE ESISTENTE È UN0208

Diciamo anche che è necessario che il Necessariamente Esistente sia


un'essenza una. Altrimenti, ammesso pure che sia una molteplicità209 e che ogni
[elemento] in essa sia210 necessariamente esistente, non si sfugge allora a una
delle due possibilità: o ogni [necessariamente esistente] non differisce affatto
dall'altro nell'intenzione che costituisce la sua realtà, oppure ne differisce211 •
Se non differisce dall'altro nell'intenzione che per sé appartiene alla sua
essenza, ma ne differisce in quanto non è quell'altro - e questa è senz'altro
una differenza-, allora ne differisce per qualcosa di diverso dall'intenzione
[dell'essenza]2 12 • Infatti, poiché nei due l'intenzione non è differente, ad essa
dovrebbe essersi accompagnato213 un qualcosa: in virtù di [questo qualcosa],
cioè, [tale intenzione] sarebbe venuta ad essere o questo [dato ente necessario]
o in questo [dato ente necessario]; oppure, le si dovrebbe essere accompagnato
il fatto stesso di essere questo [dato ente necessario] o di essere in esso, senza
che ciò si sia accompagnato ali' altro; e [per l'altro] dovrebbe anzi esserci
qualcosa in virtù di cui tale [altro] viene ad essere tale [altro], oppure [dovreb-
be esserci il fatto] stesso che tale [altro è] tale [altro]. Questa sarebbe, infatti,
una qualche determinazione 214 che, accompagnando quell'intenzione, rende-
rebbe distinti i due [enti necessari]. Ognuno dei due, quindi, sarebbe distinto
dall'altro in virtù di [una simile determinazione]: non essendo differente
dall'altro nella stessa intenzione 21 S, differirebbe dall'altro in qualcosa di diver-
so da essa.
Ora, le cose che 216 , essendo diverse dall'intenzione [che costituisce la
realtà di qualcosa], le si accompagnano sono gli accidenti e i concomitanti non
essenziali. Questi concomitanti o accadono all'essere della cosa in quanto
tale 217 - [44] ma allora sarebbe necessario che il tutto218 sotto questo aspetto

est praeter intellectum essentiae. lntellectus enim essentiae quae est in eis non est diversus;
sed est adiunctum ei aliquid per quod factum est hoc ve! in hoc, ve! est adiunctum ei aliquid
quod est hoc ve! in hoc nec illud est adiunctum alteri, sed est ei adiunctum per quod factum
est hoc, ve! quod hoc est hoc ipsum; et haec est appropriatio aliqua, scilicet ipsa intentio per
quam est inter ea diversitas. Igitur unumquodque eorum differt ab altero per eam, nec differt
ab altero in intentione ipsius essentiae, sed per vires rerum quae sunt ipsamet intentio.
[50] Sed coniunctio intentionis sunt accidentia et consequentia non essentialia, et haec
consequentia ve! accidunt ex certitudine esse rei, inquantum est ipsa certitudo, et tunc opor-
98 [44]

l.l_, . ...&l-. \.:U_, ' y 4i1~ trl J-j .>.i_,'-! $.]1 ..;.<: .;\ ~
":UJI dl,: 'Y) ;;§:.} ' ~l. ..rAi .:r 'Y ~;L.. ~~l,:r .JJ>r .JÌ
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~'" d;Ci~ \.:U ~~l~ 'Y) ;;_f:..j' ,:f; t .ii~\_, . .:..l,.lll
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tet ut omnia conveniant in ea. Iam autem posuimus ea differre in illa; igitur conveniunt et
differunt in eisdem, quod est inconveniens. Ve! accidunt ex causis extrinsecis, non ex ipsa
sua quidditate, et tunc, si non esset causa illa, non differrent. Igitur, si non esset causa illa,
essentiae essent una ve! non essent una. lgitur, si non esset causa illa, tunc nec hoc per se
solum esset necesse esse, nec illud per se solum esset necesse esse; igitur necessitas essendi
uniuscuiusque eorum, propria et solitaria, est acquisita ab alio a se. Iam autem dìctum est
quod quicquid est necessarium esse per aliud a se non est nece;sarium esse per se, immo in
definitione suae essentiae est possibile esse. Unde unumquoQque eorum est necessarium
esse per se et possibile esse per se, quod est inconveniens.
TRATTATO PRIMO- SEZIONE SETTIMA 99

(fi-hi) fosse identico, mentre abbiamo supposto che sia differente, e questo è
contraddittorio; oppure gli accadono 219 a partire da alcune cause (asbiib) ester-
ne, non a partire dalla stessa quiddità [della cosa]. Se non vi fosse stata una
data causa, cioè, [questi concomitanti] non sarebbero accaduti, e perciò, se
non vi fosse stata una data causa, non vi sarebbe stata [alcuna] differenza [fra
le essenze]: se non vi fosse stata una data causa, le essenze sarebbero [cioè]
state una stessa essenza, mentre diversamente non lo sarebbero state220 ; così,
se non vi fosse una data causa, né questo né quello presi isolatamente sarebbe-
ro necessariamente esistenti - non riguardo ali' essere 221 , ma riguardo agli
accidenti- e la necessità d'esistenza di ognuno di essi 222 , [la necessità] che è
propria e deve spettare esclusivamente al [necessariamente esistente], sarebbe
così acquisita a partire da qualcosa di diverso dal [necessariamente esistente].
Ma si era detto che tutto ciò che è necessariamente esistente in virtù di altro da
sé non è necessariamente esistente per sé e che anzi, nella sua essenza, è possi-
bilmente esistente: così, ognuno di questi, pur essendo necessariamente esi-
stente per se stesso, sarebbe in se stesso possibilmente esistente, e questo è
assurdo.
Supponiamo adesso che [ognuno dei due supposti enti necessarìJ, pur
essendo identico [all'altro] nell'intenzione, si differenzi [dall'altro] per
un'intenzione fondamentale. Si avrebbero due possibilità: tale intenzione [fon-
damentale], infatti, potrebbe essere una condizione per la necessità dell'esi-
stenza oppure potrebbe non esserlo. Se fosse una condizione per la necessità
dell'esistenza, allora manifestamente qualunque cosa fosse necessariamente
esistente dovrebbe essere identica a questo riguardo; se invece non fosse una
condizione per la necessità dell'esistenza, allora [la necessità] si stabilirebbe
come necessità d'esistenza senza di essa ed essa entrerebbe [nella necessità]
come qualcosa di accidentale, come qualcosa di aggiuntivo, [e solo] una volta
che la [necessità] si fosse compiuta quale necessità d'esistenza. Ma abbiamo
già [mostrato] l'impossibilità di ciò, portandone all'evidenza la falsità. Non
può essere, quindi, che [i due supposti enti necessari] differiscano nell'inten-
zione [che li definisce].

Ponamus autem illa differre in aliquo inhaerente, postquam conveniunt in intentione


essentiae; igitur impossibile est quin illud in quo differunt ve! sit eis necessarium ad neces-
sitatem essendi ve! non sit. Si autem fuerit necessarium ad necessitatem essendi, manife-
stum est tunc oportere ut conveniat in eo quicquid est necesse esse. Si autem non est neces-
sarium necessitati essendi, tunc necessitas essendi ab eo [51] sine ilio est solitaria necessi-
tas sui esse, illud vero est adveniens ei accidentaliter et adiungitur ei post plenitudinem
necessitatis sui esse. Iam autem ostendimus hoc esse absurdum; igitur impossibile est ut
differant in aliquo.
100 to [45]

'-:-'T.J ,_r rW;\ .Jl : J"J _,.:T~ J ..;,-t~ \l! J:.:; .Jt ~ J.

j_,,.ul~ 4-Wi~J<- .:,;::,_ .Jll~l :~J ..;,-#- ~ ;~\ J ,)r._,Il


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Oportet autem ut adhuc addamus super hoc manifestationem alio modo, hoc est quia
impossibile est necessitatem essendi dividi in multitudinem, nisi uno duorum modorum; sci-
licet, aut dividi per differentias, aut per accidentalia. Iam autem notum est quod differentiae
non recipiuntur in definitione eius quod ponitur ut genus; igitur ipsae non acquirunt generi
certitudinem, sed acquirunt ei esse in actu, sicut rationale. Rationale enim non acquirit ani-
mali intentionem animalitatis, sed acquirit ei esse in effectu per successionem essendi pro-
prie.
Oportet igitur ut differentiae necessitatis essendi, si forte sunt aliquae, non acquirant
necessitati essendi certitudinem necessitatis essendi, sed acquirant ei esse in effectu, et hoc
est absurdum duobus modis. Uno, quod certitudo necessitatis essendi non est nisi impossibi-
litas non essendi, non sicut certitudo animalitatis quae est intentio [52] praeter necessitatem
TRATTATO PRIMO - SEZIONE SETTIMA 101

[45] Anzi, a ciò è necessario aggiungere un'altra prova, da un altro punto


di vista e cioè che il fatto che l'intenzione della necessità dell'esistenza si divi-
da nella molteplicità comporta inevitabilmente uno dei due modi: o essa si
divide secondo le [differenze] specifiche, oppure 223 si divide secondo gli acci-
denti. Ma è noto che le differenze [specifiche] non entrano a far parte della
definizione di quel che ha la funzione di "genere", perché esse non fanno
acquisire al genere la sua realtà, ma soltanto la sussistenza in atto 224 , come
"razionale": "razionale", infatti, non fa acquisire all'animale l'intenzione
dell'animalità, gli fa acquisire bensì il fatto di sussistere in atto, come
un'entità esistente e particolare. Perciò è necessario che anche le differenze
[specifiche] della necessità d'esistenza- se valide- siano tali da non far
acquisire alla necessità d'esistenza la realtà della necessità d'esistenza, ma di
farle acquisire, piuttosto, l'esistenza in atto. Ma ciò è impossibile da due punti
di vista. In primo luogo, perché la realtà della necessità d'esistenza non è che
la stessa affermazione d'esistenza; non è come la realtà dell'animalità che è
un'intenzione diversa dall'affermazione dell'esistenza e l'esistenza poi ne è un
conseguente [necessario] o un alcunché che, come sai, le si aggiunge
[dall'esternoJ; far acquisire l'esistenza alla necessità d'esistenza sarebbe, quin-
di, far acquisire una condizione che riguarda obbligatoriamente la sua realtà; e
la legittimità di una [cosa simile] l'abbiamo già esclusa a proposito del genere
e della differenza. In secondo luogo 225 , [è impossibile] perché, in conseguenza
[di ciò], la realtà della necessità d'esistenza- per essere ottenuta in atto-
dovrebbe dipendere da qualcosa che la renderebbe necessaria; e così, l'esisten-
za dell'intenzione in virtù della quale la cosa sarebbe necessariamente esisten-
te sarebbe necessaria in virtù di altro da sé 226 • Ma poiché il nostro discorso
riguardava la necessità d'esistenza per essenza, la cosa necessariamente esi-
stente per sé sarebbe necessariamente esistente per altro da sé; e questo
l'abbiamo già confutato.
Si è reso perciò manifesto come il fatto che la necessità d'esistenza si divi-
da secondo queste distinzioni (umii-r) non corrisponda al modo in cui l'inten-
zione del genere si divide nelle differenze; e perciò, è evidente che l'intenzio-
ne che implica la necessità d'esistenza non può [46] essere un'intenzione rela-

essendi, et est esse comìtans ìllam et supervenìens ìlli, sìcut scìsti; unde acquisiti o necessita-
tis necessitati essendi est acquisitio condicionis de certitudine suae necessitatis: iam autem
prohibuimus hoc concedi inter dìfferentìam et genus. Alio, quia sequeretur quod certitudo
necessitatis essendi, ad hoc ut esset in effectu, penderet ex alio dante ei necessitatem. Igitur
suum esse ìllius intentionis qua res est necesse esse, esset ex alio; nos autem loquebamur de
necesse esse per se; ergo res esset necessarium esse per se et necessarium esse per aliud,
quod iam destruximus. Manifestum est igitur quod necessitatem essendi dividi per illa non
est sicut dividi genus per differentias. Manifestum est etiam quod intentio quae intelligitur
102 t'l [46]

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necessitas essendi non potest esse intentio generalis quae dividatur per differentias ve! per
accidentia. Restat igitur ut si t intentio specialis.
Dicimus autem esse impossibile ut eius specialitas praedicetur de multis. Singularia
enim cuiuslibet speciei, postquam non sunt diversa in intellectu essentiae, sicut supra docui-
mus, tunc unum sunt in eo, sed debent esse diversa accidenti bus; iam autem ostendimus hoc
non posse esse in necessitate essendi. Possumus etiam hoc idem ostendere alio modo brevi-
ter, sed reducetur ad id quod iam diximus. Dicemus igitur quod necessitas essendi, si fuerit
proprietas alicui in quo est, [53] vel ex necessitate ipsa erit in ilio propriato, et tunc necessa-
rio alterum eorum erit proprietas, et sic impossibile erit illam esse in alio praeter illud: unde
oportebit ut sit in ilio solo. Aut erit in ilio possibiliter, non ex necessitate, et tunc oportebit ut
haec res sit non necesse esse per se; iam autem ipsa erat necesse esse per se. Igitur hoc est
inconveniens; igitur necessitas essendi non est nisi uni tantum.
TRATTATO PRIMO- SEZIONE SETTIMA 103

tiva al "genere" che si divida in differenze [specifiche] e accidenti. Resta


[l'ipotesi] che essa sia un'intenzione relativa alla "specie". Tuttavia- diremo
- non può essere che la sua specificità227 sia predicabile di molti, perché -
come abbiamo reso evidente- gli individui della stessa specie una, non essen-
do differenti riguardo all'intenzione dell'essenza, dovrebbero differenziarsi
soltanto per gli accidenti, e abbiamo già escluso che ciò sia possibile per la
necessità d'esistenza.
Ma [tutto] questo si può mostrare [anche] con una sorta di sommario, così
da tornare poi a [occuparci di] ciò di cui volevamo [discutere]. E allora dire-
mo: se la necessità d'esistenza è un attributo della cosa228 ed è per essa esi-
stente, [si hanno due possibilità]: o per quanto riguarda quest'attributo, cioè
per la necessità d'esistenza, è necessario essere come tale, in se stessa, esisten-
te per questa [certa cosa] di cui è attributo, e allora a una tale [necessitàf 29
sarà impossibile esistere senza essere un attributo per [questa data cosa] e sarà
impossibile esistere per qualcosa di diverso da essa, e [una tale necessità]
dovrà quindi esistere per essa sola; oppure per la [cosa] l'esistenza della
[necessità] sarà possibile, non necessaria; ma allora questa cosa potrebbe esse-
re non-necessariamente esistente per sé, pur essendo necessariamente esistente
per sé, e questo è contraddittorio. La necessità d'esistenza non appartiene,
quindi, che ad uno soltanto 230 •
Se poi qualcuno dicesse che il fatto che [l'attributo della necessità] esista
per [un ente necessariof 31 non impedisce che esso esista come attributo per un
altro [ente necessariof 32 , perché il fatto che esso sia un attributo per l'uno233
non~·tca la necessità del suo essere attributo dell'altro, allora diremo: il
nostro iscorso riguarda il fatto che la necessità d'esistenza si determini come
attri uto per [il necessariamente esistente] in quanto appartiene proprio ad
esso e senza che a questo riguardo si presti attenzione all'altro. E tale [neces-
sità] non è in sé un attributo per l'altro, ad esserlo è piuttosto qualcosa di simi-
le ad essa, in cui il necessario è ciò che è necessario in questo stesso determi-
nato [attributo] 234 . Esprimendoci diversamente, diremo che o il fatto che uno
di essi sia235 necessariamente esistente e il fatto che sia proprio se stesso sono
una [stessa cosa], e allora ogni [ente] che sia necessariamente esistente sarà
propriamente se stesso e non qualcosa di diverso da sé; oppure, se il [47] fatto

Si quis autem dixerit quod eam esse proprietatem huius non prohibet illam esse proprie-
tatem alterius (eam enim esse proprietatem alterius non removet eam debere esse proprieta-
tem huius), dicemus quia per hoc quod dicimus quod necessitas essendi cum assignatur pro-
prie illi rei, inquantum est illius, non consideratur esse alterius, intelligitur quod non est pro-
prietas alterius ipsamet, sed consimilis eius, quoniam ipsa non debetur nisi illi soli. Ve! dice-
mus aliter quod postquam unum eorum est necesse esse, tunc ve! idem ipsum erit unum tan-
tum: et tunc, quicquid est necesse esse erit idem ipsum et non aliud praeter ipsum; ve! ipsum
esse necesse esse erit aliud quam ipsum esse ipsum: et tunc coniunctio eius quod est ipsum
104 tV [471

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esse ipsum [54] cum necesse esse ve! erit per seipsam ve! per causam aliam praeter se et
occasionem facientem illud necesse esse. Si autem fuerit per seipsum quod ipsum est neces-
se esse. erit idem ipsum tunc quicquid est necesse esse. Si vero fuerit per causam et occasio-
nem facientem illud esse necesse esse. tunc de hoc quod ipsum est idem ipsum erit occasio.
et proprietatis sui esse solitarii erit causa. Igitur erit causatum, quod est inconveniens. Sed
quia necesse esse unum est in nomine, non sicut species sub genere, et unum est numero,
non sicut individua sub specie, sed est intentio quae designat illud tantum suo nomine, in
cuius esse nihil aliud sibi communicat. Super hoc autem alias adhuc addemus explanatio-
nem. Ideo non est multiplex. Hae igitur sunt proprietates qui bus appropriatur necesse esse.
Eius autem quod est possibile esse, iam manifesta est ex hoc proprietas, séilicet quia
ipsum necessario eget alio quod faciat illud esse in effectu; quicquid enim est possibile esse,
TRATTATO PRIMO- SEZIONE SETTIMA 105

di essere necessariamente esistente è diverso dal fatto di essere se stesso [si


determina un'alternativa]: o il fatto che il necessariamente esistente sì accom-
pagni al fatto di essere se stesso è qualcosa di essenziale, oppure è dovuto a
una causa e a una ragione che renda necessario quel che è diverso da sé. Se è
per essenza, e poiché è necessariamente esistente, allora ogni cosa che sia
necessariamente esistente sarà in sé questo [dato ente necessario]; se invece è
dovuto a una causa e a una ragione che renda necessario quel che è diverso da
sé, per il suo essere in sé questo dato ente [necessario] ci sarà una ragione,
come vi sarà una ragione per il suo appropriarsi della sua singola esistenza, ed
esso sarà un causato.
Il necessariamente esistente è dunque uno in [senso} totale, non è come le
specie sotto il genere 236 ; è uno nel numero, non è come gli individui sotto l~
specie; anzi, vi è un'intenzione che spiega il suo nome e che appartiene ad
esso soltanto e nulla partecipa alla sua esistenza. Aggiungeremo chiarimenti in
un altro luogo. Queste sono le proprietà che specificamente appartengono 237 al
necessariamente esistente238 •
Quanto al possibilmente esistente, a partire da tutto ciò è già evidente
quale ne sia la proprietà: e cioè che esso ha bisogno obbligatoriamente di
un'altra cosa che lo renda esistente in atto. E quel che è possibilmente esisten-
te, ebbene, in considerazione della sua essenza, è sempre possibilmente esi-
stente, anc~e s può accadere che la sua esistenza sia necessaria a partire da
altro; ciò, pa·, o gli accade continuativamente, oppure la necessità dell' esisten-
za che gli iene da altro da sé non si ha continuativamente, ma in un momento
ad esclusione dì un altro momento e perciò è necessario che gli appartenga
una materia la cui esistenza sia anteriore nel tempo, come chiariremo.
Tuttavia, neppure ciò la cui esistenza è continuativamente necessaria in virtù
dì altro da sé 239 è semplice nella [propria] realtà; ciò che gli appartiene in con-
siderazione della propria essenza, infatti, è diverso da quel che gli appartiene
in virtù di altro da sé, così che esso ottiene il proprio essere (huwiyya) a partire
da questi due [elementi] insieme nell'esistenza; perciò, considerata in se stes-
sa, nessuna cosa che non sia il necessariamente esistente si spoglia di una
qualche intimità240 con la potenza e con la possibilità. [Solo] il [necessaria-
mente esistente] è singolo e ciò che è diverso da esso è un doppio ed è qualco-
sa di cui [si predica] la composizìone241 •

respectu sui, semper est possibile esse, sed fortassis accidet ei necessario esse per aliud a se.
lstud autem ve! accidet ei semper, ve! aliquando. Id autem cui aliquando accidit, debet habe-
re materiam cuius esse praecedat illud [55] tempore, sicut iam ostendemus. Sed id cui sem-
per accidit, eius quidditas non est simplex: quod enim habet respectu sui ipsius aliud est ab
eo quod habet ab alio a se, et ex his duobus acquiritur ei esse id quod est. Et ideo nihil est
quod omnino sit exspoliatum ab omni eo quod est in potentia et possibilitate respectu sui
ipsius, nisi necesse esse.
106 .;,-1.:11 J.&.èll - J}SI-..IW.i tA [48]

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VIII
CAPITULUM IN QUO OSTENDITUR QUID SIT VERITAS ET CERTITUDO ET DEFENDUNTUR PRIMAE PRI-
MARUM IN PROPOSITIONIBUS VERISSIMIS

Veritas autem intelligitur et esse absolute in singularibus, et intelligitur esse aetemum,


et intelligitur dispositio dictionis vel intellectus qui significat dispositionem in re exteriore
cum est ei aequalis. Dicimus enim: "haec dictio est vera" et "haec sententia est vera"; igitur
necesse esse est id quod per seipsum est veritas semper; possibile vero est veritas per aliud a
se, et est falsum in seipso. Quicquid igitur est praeter necesse esse quod est unum, falsum
107

SEZIONE OTIAVA

SEZIONE IN CUI SI METIE IN EVIDENZA [CHE COSA SONO] LA VERITÀ 242


E LA VERIDICITÀ. DIFESA DELLE PRIME ASSERZIONI DELLE PREMESSE VERE

Con "realtà" [o "verità"] (al-/:laqq) in senso assoluto si intende l'esistenza


che riguarda le singole cose; poi l'esistenza eterna 243 e, infine, lo stato di
quell'enunciato (qawl) o dì quel nesso [concettuale] ('aqd) che indica lo stato
aèlla cosa all'esterno, quando gli è conforme 244 • Diciamo, infatti: "questo è un
~unciato veto" e "questa è una convinzione vera". Così, il necessariamente
esistente è quel che è vero per sé continuativamente, mentre il possibilmente
~istente è vero in virtù dì quel che è diverso da sé e in se stesso è falso 245 .
Tutto quel che è altro dal necessariamente esistente, uno, è quindi falso in se
Stesso .
.,., Quel che è vero in dipendenza della conformità [alle cose esterne] è come
Qiò che è veridico (al-$iidiq); ma- a quanto credo- sarà veridico in consìdera-
~one del suo rapporto con la cosa e vero, invece, in considerazione del rap-
Porto che la cosa ha con esso. Quanto agli enunciati, quello che più merita dì
esser vero è quello la cui veridicità è continuativa, e più di questo [lo] merita
quello la cui veridicità è primaria e non è dovuta a una causa.
Il primo di tutti gli enunciati veridici - quello in cui ogni cosa (say ') ha,
nell'analisi, il proprio termine [ultimo], al punto tale da essere dicibile, in
potenza o in atto, di ogni cosa che in virtù di esso è evidente o è resa evidente
è, come abbiamo mostrato nel Libro della dimostrazione 246 - "che non vi è un
medio tra l'affermazione e la negazione" 247 . [Ora], questa proprietà non è fra
gli accidenti di nulla se non dell'esistente in quanto esistente e a causa della
sua generalità riguarda ogni esistente. [49] Così, quando il sofista nega questo

est in se. Veritas autem quae adaequatur rei, illa est certa, sed est certa, ut puto, respectu
suae comparationis ad rem, et est veritas respectu comparationis rei [56] ad ipsam. Ex dic-
tionibus autem veris, illa est dignior dici vera cuius certitudo est semper; sed quae dignior
est ad hoc est illa cuius certitudo est prima, et non per causam.
. Prima vero omnium dictionum certarum ad quam perducitur quicquid est per resolutio-
nem, ita ut dicatur potentia ve! effectu de omni quod probatur cum per ipsam probatur, sicut
iam ostendimus in Libro demonstrationum, est cum inter affirmationem et negationem non
est medium; et haec proprietas non est de accidentibus alicuius rei, nisi de accidentibus esse
inquantum habet esse communiter in omni quod est. Et sophisticus, cum negaverit hoc, non
108 [49]

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. -.\.&:L. rJ.. l..\! ~.f'..,. 'l..l;i rt

negabit nisi ve! lingua contradicendo, ve! quia accidit ei simulatio per quam non intellexit
extremum contradictoriarum, ve! per errorem aliquem qui sibi contingit quoniam non intel-
lexit dispositiones et condiciones earum. Deinde, oppilare os sophistici et instruere erro-
neum, non est ullo modo nisi philosophi secundum modum derivationis, quae tamen deriva-
tio aliquis modus est argumentationis cuius iudicium conceditur.
[57) Ipsa vero argumentatio non est in se argumentatio cuius iudicium debeat concedi,
sed est argumentatio in comr,aratione, quoniam argumentatio cuius iudicium conceditur
duobus modis est, scilicet aut ~st argumentatio in se et haec est cuius propositiones sunt cer-
tissimae in seipsis, et apud sa.pientes sunt notiores ipsa conclusione et cuius ordinatio est
ordinatio concludens. Aut est ~1rgumentatio talis scilicet secundum comparationem, videlicet
quia dispositio propositionum talis est apud adversarium quod eam concedet, quamvis id
TRATTATO PRIMO- SEZIONE OTTAVA 109

[principio], lo nega solo con la lingua, ostinandosi; oppure perché è in diffi-


coltà riguardo ad alcune cose a proposito delle quali - a causa di un errore in
cui è incorso - gli [appaiono] falsi ambedue gli estremi della contraddizione,
magari perché non ha colto come si dia la contraddizione e quali ne siano le
condizioni.
Far tacere il sofista e risvegliare [l'attenzione] di colui che è perplesso
sono poi [un compito] che spetta in ogni caso soltanto al filosofo e che si fa
senz'altro con una sorta di discussione; e non v'è dubbio che tale discussione
sarà un tipo di sillogismo, cui conseguirà ciò che si esige [dimostrare]; a meno
che esso in sé sia non un sillogismo cui consegue quel che si esige [dimostra-
re], ma un sillogismo per analogia. . ...
Il sillogismo cui consegue ciò che si esigelctfinostrare], infatti, è in due
modi: uno è tale in se stesso, ed è quello le cui premesse sono in se stesse veri-
diche e, presso coloro che sono dotati çli intelletto, più note della conclusione;
la composizione [di un simile sillogismo] è una composizione concludente;
l'altro è tale per analogia: esso consiste nel fatto che lo stato delle premesse
presso l'interlocutore è tale che questi ammetterà la cosa, pur non trattandosi
di qualcosa di veridico; e se anche 248 [ammette] qualcosa di veridico, non si
tratterà di qualcosa di più noto della conclusione ammessa; contro questo [sil-
logismo], dunque, si comporrà un argomento 249 vero in assoluto oppure [vero]
per [l'interlocutore].
Insomma, il sillogismo è ciò da cui - una volta che si ammettano le sue pre-
messe- consegue necessariamente qualcosa (say'); un dato [discorso], quindi,
è un sillogismo, quando è [costruito] in questo modo. Tuttavia, da ciò non con-
segue che ogni sillogismo sia un sillogismo cui consegue [necessariamente]
quel che si esige [dimostrare]. Quel che si esige [dimostrare] consegue, infatti,
quando si siano ammesse [le premesse del sillogismo], ma quando esse non
siano state ammesse, si ha [semplicemente] un sillogismo: esso, infatti, include
in sé ciò che - una volta posto e ammesso - è una conseguenza necessaria ma,
quando non lo si è ancora ammesso, non ne consegue quel che si esige [dimo-
strare]: che il sillogismo sia un sillogismo, infatti, è qualcosa di più generale del
suo essere un sillogismo da cui consegua quel che si esige [dimostrare].

certum non si t, ve! est certum, sed propositio non est notior conclusione quam nondum con-
cessi t; fit igitur ei ordinatio ve! absolute vera ve! verisimilìs; et omnino iam est ei argumen-
tatio quoniam, cum propositiones ab eo conceduntur, sequitur inde aliquid; haec igitur est
argumentatio inquantum est sic; sed tamen non sequitur ex hoc ut omnis argumentatio sit
argumentatio cuius iudicium consequatur propter hoc quod ipse iudicium eius concessit;
cum vero iudicium eius non conceditur, est tamen argumentatio eo quod inducitur in eam
tale quid quod, si poneretur et concederetur, sequeretur; sed quia nondum est concessum,
non est secutum eius iudicium. Et isti [58] sunt duo modi, sicut nosti. Igitur argumentatio in
110 [50]

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qua sequitur iudicium eius per seipsam, est illa cuius propositiones per se conceduntur et
ante conclusionem; argumentatio vero quae est secundum comparationem, est illa cuius pro-
positiones concedit adversarius; et ideo sequetur illi conclusio. Et quod mirabile est: sophi-
sticus etiam cuius est quod intentio est ut sibi satisfiat, necessario inducitur ad unum ex his
duobus, scilicet ut ve! cesset et quiescat, ve! cognoscat sine dubio ex istis rebus sibi esse
conclusum.
Remedium vero erronei est ut solvatur sibi simulatio, quoniam erroneus ille non incidit
in hoc nisi ve! quia videt contrarietatem esse inter praecipuos et plures, et videt quia senten-
TRATIA TO PRIMO- SEZIONE OTIA V A 111

[50] Ma anche il fatto che un sillogismo sia tale che ne consegua quel che
si esige [dimostrare] può essere inteso in due modi, come hai appreso. Il sillo-
gismo da cui quel che si esige [dimostrare] consegue in relazione alla cosa in
se stessa è, infatti, quello le cui premesse sono in se stesse ammissibili e ante-
riori alla conclusione; quello che è, invece, per analogia-è-quello le cui pre-
messe sono ammesse dall'interlocutore, così che ne segua la conclusione250 .
Ed è stupefacente che il sofista, il quale ha per scopo la disputa, sia costret-
to a una delle due cose: o al silenzio e a por termine [alla discussione] oppure
ad ammettere senz'altro alcune affermazioni (asya') e ad ammettere che esse
concludono contro di lui.
Quanto a colui che è perplesso, la sua guarigione ('ila g) consiste nella
soluzione dell'aporia; questo perché colui che è perplesso è caduto [in diffi-
coltà] per via del fatto che vede contrarietà [di opinioni] nella maggior parte
dei più nobili [pensatori] e perché, osservando che l'opinione di ciascuno di
essi è tale da opporsi all'opinione dell'altro- che egli trova pari a quello e non
inferiore - per lui non risulta necessario che una delle due posizioni sostenute
si riveli più degna dì [ricevere] l'assenso 251 rispetto all'altra. Oppure [il per-
plesso è caduto in difficoltà] perché da coloro che sono noti e famosi e dei
quali si attesta la nobiltà, ha udito alcune dottrine che il suo intelletto non
accoglie immediatamente; come la dottrina di colui che ha sostenuto che "la
[stessa] cosa non la puoi vedere due volte, anzi neppure una volta sola" o che
"la cosa non ha esistenza in se stessa, ma piuttosto in virtù della relazione" 252 •
E, se colui che sostiene una dottrina simile è famoso per la [sua] sapienza, non
è inverosimile che colui che ne abbia una conoscenza superficiale253 rimanga
perplesso di fronte a questo suo dire. Oppure [il perplesso sarà caduto in diffi-
coltà] perché' nel suo animo si trovano contemporaneamente sillogismi dalle
conclusioni opposte, riguardo ai quali egli non è in grado di sceglieme uno e
di dichiarare falsi gli altri.

tia unius opposita est sententiae alterius quem reputat illi aequalem, et ideo dictio unius non
est potior apud eum ad credendum quam dictio alterius; ve! quia audit verba praecipuorum
quorum auctoritas magna est, quae non recipit sensus eius statim cum dicuntur, sicut sunt
verba illius qui dicit quod non est possibile aliquid bis videri, sed nec etiam seme!, eo quod
nulla res habet esse in se nisi in relatione, quare tunc non est longe quin turbetur ille qui
noviter audit hanc dictionem; ve! quia iam multae sunt apud eum argumentationes opposita-
rum conclusionum, quarum unam non potest ipse eligere et aliam respuere.
112 o' [51]

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[59] Ei autem cui tale quid accidit philosophus subvenit duobus modis, uno scilicet, sol-
vendo ambiguitatem in quam incidit, et alio, excitando eum ad perfecte intelligendum quod
inter duas contradictorias non potest esse medium. Solvit autem id in quod incidit, cum
ostendit ei quod philosophi homines fuerunt, non dii, et ideo non fuerunt aequales in cogni-
tione; unde quia unus eorum fui t certi or ali o in aliquo, non ideo debet ut alter non si t eo cer-
tior in aliquo alio; et etiam cum ostendit quod plures ex philosophis, quamvis noverint logi-
cam, non tamen sequuntur eam, sed in fine redeunt ad ingenium et reguntur eo non refrenan-
tes illud; et etìam quia ex praecipuis, quidam utuntur transsumptionibus et dicunt verba usi-
tata, sed abominabilia vel erronea, cum ipsi habeant in eis aliam intentionem occultam; plu-
TRATTATO PRIMO - SEZIONE OTTAVA 113

[51] Il filosofo, dunque, pone riparo a quel che accade a simili [personag-
gi] in due modi: il primo di questi è la soluziqne di ciò in cui consiste il dub-
bio; il secondo consiste nel risvegliare completamente [l'attenzione dell'inter-
locutore] sul fatto che non è possibile che vi sia un medio tra due contraddit-
tori.
[Così,] per risolvere ciò in cui consiste [il dubbio], si potrà far riconoscere
[al proprio interlocutore] che gli esseri umani sono esseri umani e non angeli e
che perciò, con questo, non è necessario che [gli uomini] siano pari nel mirare
al giusto, ma non è [neppure] necessario che, se una-a-proposito di una [certa]
cosa è più nel giusto dell'altro, l'altro non lo sia di più a proposito di qualche
altra cosa254 • [E ancora risolverà il dubbio] far riconoscere che la maggior
parte di coloro che filosofeggiano apprende la logica ma non ne fa uso; anzi, a
questo proposito, [la maggior parte] in fin de' conti, ricorre all'ingegno [natu-
rale] e lo cavalca come chi galoppi, senza freni, a briglia sciolta255 ; e [ancora]
che fra i [pensatori] più nobili vi è chi fa uso di simboli o parla con espressioni
che in apparenza sono detestabili o sono errori, riponendo in esse un proponi-
mento nascosto. Anzi, questa è la maniera [di esprimersi] della maggior parte
dei sapienti, o piuttosto dei profeti, i quali non incorrono affatto in un errore o
in una trascuratezza. [Tutto] ciò, dunque, farà cessare la preoccupazione del
suo cuore per quanto riguarda quel che non lo soddisfaceva da parte degli
uomini di scienza.
Poi questo glielo si farà riconoscere, dicendo: "quando discuti non puoi
sfuggire a una delle due possibilità: o con la tua espressione intenzioni fra le
altre una certa cosa in se stessa, oppure non la intenzioni" 256 ; se [l'interlocuto-
re] dirà: "quando parlo, non intendo niente" ebbene, sarà già uscito dall'insie-
me di coloro che, perplessi, domandano di esser ben guidati, e allo stesso
tempo contraddirà se stesso; il discorso (che va fatto] con lui non sarà allora
questo tipo di discorso.
E se poi dicesse: "quando parlo con la [stessa] espressione intendo ogni
cosa", avrebbe già abbandonato la ricerca della buona guida.

ribus vero ex sapientibus prophetis quibus non accidit aliquid erroris nec voluntas deceptio-
nis est iste usus. Cum hoc igitur philosophus removet turbationem ab animo illius quam
habet ex ambiguitate verbi philosophorum.
Deinde faciet eum scire dicens: "cum tu loqueris, necesse est ut, vel intendas secundum
intellectum tuum aliquid, vel non". Si autem dixerit quod: "cum ego loquor, nihil intelligo",
iste iam est extra [60] universitatem erroneorum et imbecillium et est contrarius sibi ipsi,
unde cum huiusmodi homine non est diu loquendum. Si vero dixerit quod: "cum ego loquor,
intelligo ex mea locutione quicquid est", similiter et iste stultus est. Si autem dixerit quod:
"cum ego loquor, intelligo ex locutione aliquid vel aliqua multa terminata", omnino autem
114 [52]

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attribuit verbo significationem aliquarum rerum terminatarum, in qua significatione non


continentur aliae res praeter illas. Si autem illae multae res convenerint in una intentione,
tunc iam significavit ex sua locutione unam intentionem. Si vero non convenerint, tunc
nomen est commune, et sine dubio potest unaquaeque illarum designari proprio nomine, et
haec omnia concedunt erronei et imbecilles.
Cum autem nomen fuerit significativum unius rei, sicut homo, tunc non homo quod est
oppositum ei, nullo modo significabit hoc quod homo; quod enim significat homo, non est id
quod significat non homo. Si enim homo significa! <non> hominem, tunc sine dubio [non]
homo significabit aliam rem, quae est lapis ve! navis ve! album ve! nigrum ve! ponderosum
ve! leve et quicquid est praeter id quod significat hoc nomen homo. Similiter est etiam
TRATIATO PRIMO- SEZIONE OTIAVA 115

[52] Ma se invece dice: "quando parlo, intendo con ciò una [data] cosa e
proprio quella o molte cose determinate", allora comunque egli ha assegnato
all'espressione il fatto che essa indica [determinate] cose e proprio quelle,
senza introdurre257 in questa data indicazione qualcosa di diverso da esse. Ora,
se queste molte [cose] coincidono in uno [stesso] significato, allora egli avrà
indicato comunque un [solo] significato; e se non è così, il nome sarà un nome
comune258 e per ognuna [delle cose] di quell'insieme sarà senz'altro possibile
isolare un nome [proprio]; questo lo ammetterà colui che assume la posizione
di coloro che, perplessi, domandano di essere ben guidati. Ed essendo il nome
l'indicazione di una [sola] cosa- come, per esempio, "l'uomo"- questo nome
non starà assolutamente a indicare ciò che è non-uomo, e cioè ciò che è distinto
dall'uomo. Perciò, quel che il nome di "uomo" sta a indicare non sarà quel che
indica il nome del "non-uomo"; perché, se "uomo" indicasse "non-uomo", allo-
ra senz'altro l'uomo e la pietra e la barca e l'elefante, sarebbero una [stessa]
cosa, anzi [il nome "uomo"] starebbe a indicare il bianco e il nero, il pesante e
il leggero e tutto quel che è esterno [all'ambito di] quel che indica il nome di
''uomo"~ e cosl sarebbe lo stato di quel che va inteso a Qartire da queste esQres-
sioni e ne conseguirebbe necessariamente che ogni cosa e nessuna cosa sareb-
bero la stessa [cosa] e che il discorso risulterebbe incomprensibile259 .
Inoltre, non si sfugge a una delle due possibilità: o questo sarebbe lo statu-
_to di ogni espressione e lo statuto di qualunque cosa venga indicata con il lin-
guaggio, oppure alcune di queste cose sarebbero in questo modo, mentre altre
sarebbero differenti.
Se questo fosse [lo statuto] di ogni cosa, ecco che accadrebbe che non
'frto;~bbero] esservi né conversazione né discorso, anzi [non potrebbero esser-
~]~ un'aporia né un'argomentazione probante.
Se invece l'affermazione si distinguesse dalla negazione in alcune cose e
in altre no, allora laddove si distinguesse, a indicare "uomo" sarebbe
senz'altro qualcosa di diverso da quel che indicherebbe "non-uomo", mentre
laddove [53] non si distinguesse- per esempio come se quel che fosse indica-

dispositio de intellectis [61] illorum plurium nominum; aut si non, sequeretur ex hoc quod
unaquaeque res esset unaquaeque alia res, et nulla ex rebus esset ipsamet, et sic nulla locutio
intelligeretur. Deinde necesse esset ut hoc esset iudicium ve! de omni verbo et iudicium de
omni eo quod significatur per verbum, ve! ut aliquid istarum rerum esset huiusmodi et ali-
quid earum non esset huiusmodi. Si autem hoc esset in omni re, contingeret tunc quod nulla
esset Iocutio, nulla narratio, nulla etiam simulatio, nulla ratio. Si vero esset in aliquo eorum,
tunc in aliquo esset discreta affirrnatio a negatione et in aliquibus non esset discreta. In qui-
bus autem esset discreta, id quod significat homo sine dubio esset aliud ab eo quod significat
non homo. In quibus vero discreta non esset, sicut album et non album, significata eorum
116 O'l' [53]

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essent unum; igitur quicquid esset album esset non album, et quicc1uid esset non album esset
album. Postquam autem hoc nomen homo secundum eum est intellectum discretum, tunc
cum esset albus, esset etiam et non [62] albus, eo quod album et 11on album secundum eum
sunt unum; similiter in non homo, quia contingeret iterum ut hom.o et non homo essent non
discreta.
Hoc igitur et consimile iam removet ambiguitatem erronei et imbecillis, ut sciat quod
affmnatio et negatio non coniunguntur in aliquo nec sunt simul v~rae. Similiter etiam mon-
strabitur ei quod ipsae utraeque nec simul removentur nec simuj sunt falsae. Cum autem
ambae fuerint simul falsae de aliquo, erit illud non homo et eri t etiam non non homo; conve-
ni t igitur affirmativa quae est homo cum negativa sua quae est twn homo; hoc autem iam
ostendimus falsum esse. Utentes autem his et consimilibus non hl!bebunt opus conferre ser-
TRATTATO PRIMO- SEZIONE OTTAVA 117

to da "bianco" e da "non-bianco" fosse una [stessa cosa], così che ogni cosa
che non è bianca fosse bianca, e ogni cosa che è bianca fosse non-bianca -
l'uomo, avendo un concetto distinto, se fosse bianco, sarebbe anche il non-
bianco260, che poi sarebbe una stessa cosa con il bianco; e anche il non-uomo
sarebbe tale, e si avrebbero allora un'altra volta l'uomo e il non-uomo indi-
stinguibili 20 .
Questo [argomento] e simili elimineranno la malattia 261 di colui che, per-
plesso, chiede di essere ben guidato 263 in quanto conoscerà che l'affermazione
e la negazione non vanno insieme e non sono vere insieme. E così gli sarà
anche evidente che esse non sono insieme ammissibili e recusabili. Infatti, se
sono recusate entrambe a proposito di una cosa, [se] -per esempio- la tale
cosa non è "uomo" e non è "non-uomo", allora la cosa che è "non-uomo" e la
sua negazione - che è "non non-uomo" - verrebbero messe insieme; e si è già
risvegliata [l'attenzione] sulla falsità di questa [conclusione]. Queste e cose
simili, infatti, sono [cose] sulle quali non c'è bisogno che ci dilunghiamo;
risolvendo le difficoltà che si oppongono [a ciò] e che provengono dai sillogi-
smi di colui che è perplesso, è possibile offrirgli una guida264 .
Quanto a colui che è ostinato, sarà bene domandargli di introdursi nel
fuoco: infatti il fuoco e il non-fuoco sarebbero una stessa cosa! E gli si farà
provar dolore, colpendolo, perché il soffrire e il non soffrire sarebbero una
[stessa cosa]! E gli si proibiranno il cibo e la bevanda, perché il mangiare e il
bere e il trascurar [entrambi] sarebbero una [stessa cosa] !
Questo principio che abbiamo difeso contro colui che lo nega è il primo dei
principi delle dimostrazioni e sta al filosofo primo difenderlo. I principi delle
dimostrazioni sono utili alle dimostrazioni e le dimostrazioni sono utili per
conoscere le [cose] essenziali che accadono ai loro soggetti 265 ; ma poiché la
conoscenza della sostanza dei soggetti, [54], della quale si trattava precedente-

monem cum ilio; per dissolutionem vero simulationis quae est inter contradictorias argu-
mentationis, erroneum possumus revocare.
Sed oportet ut stolidum mittamus in ignem, quoniam tenet ignem et non ignem esse
unum, et verberibus faciamus eum dolere, quoniam tenet quod dolere et non dolere sunt
unum, et subtrahamus ei cibum et potum, quoniam comedere et non comedere, bibere et non
bibere apud eum idem est.
[63] Hoc igitur principium quod defendimus contra hos qui illud falsificant, est primum
ex principiis demonstrationum. Philosophus vero primus debet ista tueri. Principia vero
demonstrationum prosunt demonstrationibus, et demonstrationes prosunt cognitioni acciden-
tium essentialium suis subiectis. Sed cognitionem substantiae subiectorum, quae per definì-
118 [54]

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tionem tantum sciebantur in eis quae transacta sunt, oportet philosophum ut inquirat hic et
stabiliat; unde oportet ut in hac una scientia loquatur de utrisque rebus.
Sed dubium est mihi, quare ipse loquitur de eis definiendo et imaginando, cum hoc sit
doctoris scientiae particularis; si autem loquitur de eis secundum credulitatem, fit in eis
locutio demonstrativa. Dicemus igitur quod haec posita de quibus tractabatur in aliis scien-
tiis fiunt accidentalia in hac scientia, quoniam sunt dispositiones quae accidunt ad esse et
divisiones eius; et ideo quod non probatur in alia scientia, probatur in ista; et etiam quia
haec non considerantur in alia scientia, sed quia dividitur haec scientia in substantiam et
TRATTATO PRIMO- SEZIONE OTTAVA 119

mente, si conosce soltanto in virtù della definizione ed è fra [le cose] cui il
filosofo deve arrivare, questa scienza una deve parlare delle due cose insieme.
Però a questo proposito si potrebbero avere dei dubbi 266 : se [questa scien-
za] parla [di tali cose] 267 nel senso della definizione e della rappresentazione
ebbene, di ciò discute [anche] colui che possiede una scienza particolare; se ne
parla invece per quanto riguarda l'assenso [nel giudizio], allora il discorso che
le riguarda si fa dimostrativo. Ebbene - diremo - queste [cose] che in altre
scienze fungono da soggetto, in questa scienza sono [soggetti] accidentali, per-
ché sono stati che accadono all'essere e divisioni che gli [competono]; così,
quel che non viene dimostrato in un'altra scienza, viene dimostrato qui.
Ma anche se non si considera nessun'altra scienza e si divide il soggetto di
questa stessa scienza nella sostanza e negli accidenti che gli sono propri, ecco
che quella data sostanza che è soggetto di una certa scienza, oppure 268 la
sostanza in assoluto, non è soggetto di questa scienza, ma ne è [solo] una
parte; [la sostanza] sarà, quindi, in un certo senso come un qualcosa che acca-
de269 alla natura di ciò che funge da soggetto [in questa scienza] e che è l'esse-
re; infatti, quella sostanza- ad esclusione di un'altra cosa- è venuta alla natu-
ra dell'essere, accompagnandolo o essendo esso stesso270 . L'essere è, infatti,
una natura che è valido predicare di ogni cosa, si tratti di quella data sostanza
o di altro da essa. E come hai potuto comprendere già prima di questo [discor-
so] nelle [cose già dette], non è in quanto è essere che essa è una sostanza o
una certa sostanza o un certo soggetto.
E con ciò, l'indagine sui principi della rappresentazione e della definizione
non è né una definizione né una rappresentazione; né l'indagine sui principi
della dimostrazione è una dimostrazione, come se le due indagini differenti
venissero ad essere una [stessa] indagine.

accidentia, ideo accidentia fiunt ei propria: igitur substantia erit illa quae erat subiectum in
aliqua scientia, et substantia absolute non est subiectum huius scientiae, sed pars aliqua
subiecti eius; igitur aliquo modo substantia illa fit accidentalis naturae sui subiecti, quod est
esse, et fit adiuncta naturae entis sine alio, ve! est etiam ipsum esse; ens enim talis naturae
[64] est quod potest praedicari de omni, sive illud sit substantia sive aliud. Ipsa enim sub-
stantia ex hoc quod est ens nec est substantia nec substantia aliqua, scilicet subiectum ali-
quod, sicut intellexisti ex praedictis. Et cum omni hoc, inquisitio de principiis imaginationis
et definitionis non est definitio nec imaginatio; nec inquisitio de principiis demonstrationis
est demonstratio, ita ut utraque inquisiti o quae est diversa si t una inquisitio.
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"

TRATTATO SECONDO

TRACTATUS Il
123

INTRODUZIONE

Sezione prima

Con il II trattato si entra, per così dire, nel pieno di quella prima parte della
Metafisica (Il- V) in cui Avicenna presenta i concetti generali sui quali edifica-
re, nella seconda parte dell'opera (VI-X), il proprio sistema filosofico. Si tratta
di concetti di chiara derivazione aristotelica che Avicenna legge alla luce di
quei testi del neoplatonismo che, per lo più sotto il nome di Aristotele, andaro-
no a costituire una parte integrante del patrimonio filosofico in arabo; tra di
essi spiccano la cosiddetta Teologia di Aristotele e il Libro del bene puro (cfr.
la Bibliografia conclusiva e l'Introduzione).
La prima sezione del trattato è incentrata sulla nozione di "sostanza"
{gawhar). [57-58,4] Avicenna giunge a definirla servendosi del metodo diaire-
tico, al quale ricorre frequentemente nel corso dell'opera; ciò che esiste (al-
mawgud: l'esistente o l'essere) è, infatti, o l) qualcosa che esiste in altro da sé
e che è quindi in un soggetto: è l'accidente; o 2) qualcosa che non esiste in un
soggetto: la sostanza. [58,5-58,9] Un accidente può inerire a un altro accidente
(la velocità è nel moto, la rettitudine è in una linea retta, ecc.) ma, poiché la
sua sussistenza dipende dalla posizione di una sostanza in sé sussistente, esso
rimanda sempre, e necessariamente, a una sostanza (cioè a un soggetto ultimo;
cfr. il concetto aristotelico di {moKELf!EVOV i!axaTov). Così, poiché non si può
procedere all'infinito nel dire che qualcosa esiste in qualcos'altro, si deve
giungere infine a una sostanza che sia in sé sussistente. Si affaccia, quindi,
un'importante distinzione terminologica. Per comprendere appieno la differen-
za che separa la sostanza dall'accidente, è infatti necessario tenere presente la
differenza tra il "sostrato" o "soggetto" (mawqu') e il "ricettacolo" o "luogo di
inerenza" (mal:zall): il primo è tutto ciò che, in sé sussistente, riceve o accoglie
qualcos'altro non come una sua parte (è la sostanza cui inerisce l'accidente); il
secondo è, più genericamente, tutto ciò cui qualcos'altro inerisce e che, in
virtù di ciò che vi inerisce, acquisisce un determinato stato; e poiché tale
"stato" può consistere nella stessa sussistenza, il "luogo di inerenza" non si
identifica solo con la sostanza cui ineriscono gli accidenti, ma anche con la
materia che, priva di una propria sussistenza, la acquista in virtù della forma
che le inerisce. [58,10-58,16] Tale distinzione tra "soggetto" e "luogo di ine-
renza" fa seguito alla presentazione dell'errore di chi (e si tratta forse di alcuni
124 TRATTATO SECONDO

teologi), osservando come alcune cose sembrino identificarsi con le loro qua-
lità, sostiene che la stessa cosa possa essere una volta accidente (per esempio
il calore nell'acqua) e una volta sostanza (il calore nel fuoco). Per Avicenna, il
calore è invece sempre un accidente, anche se in certi casi è un accidente inse-
parabile dalla quiddità della cosa. [59-60,4] Il "luogo di inerenza" è quindi
qualcosa di più generale del "soggetto" e, a partire da tale distinzione,
Avicenna introduce i concetti di forma, di materia e di sostanza, richiamando i
diversi significati della sostanza aristotelica (il sinolo, la forma, la materia).
[60,5-14] La trattazione, tuttavia, non è appiattita sull'aristotelismo; non solo
perché il concetto di "luogo di inerenza" gioca un ruolo fondamentale
nell'antologia del Kalam (lo sfondo della polemica è costituito anche dalle
discussioni dei teologi sugli accidenti creati da Dio in un substrato: mal;tall),
ma anche perché Avicenna riconduce i principi aristotelici alle distinzioni tipi-
che del proprio sistema. Poiché quel che esiste in un ricettacolo o luogo di ine-
renza finisce, infatti, per costituire un composto e ogni composto rimanda alla
causa della propria esistenza, le cose composte sono definite "possibilmente
esistenti" e "causate nell'esistenza". Così, mentre nel I trattato Avicenna
aveva affermato che il possibilmente esistente è "composto e doppio" (cfr. l,
7, p. 47 del testo arabo), qui egli afferma che ogni composto (o doppio) è un
"possibilmente esistente". Vanno quindi osservate le note conclusive della
sezione: oltre al carattere di possibilità e di necessità per altro di tutto ciò che
si è finora andato distinguendo (il necessariamente esistente è unico e non ha
"omologhi", le "sostanze" sono invece molte e "omologhe" le une alle altre),
va ricordato che è la presenza- o l'assenza- di un vincolo con la materia dei
corpi a fornire il criterio in base al quale si distingue una tipologia - e, come si
vedrà quindi, una gerarchia- di enti. La sezione si chiude perciò con l'identi-
ficazione delle diverse divisioni della sostanza: corporea o incorporea; vinco-
lata alla materia o, infine, totalmente libera da questa; a ciascuna di queste
divisioni corrisponde, nel sistema avicenniano, un "grado" (daraga) o "rango"
(martaba) dell'esistenza: quello dei corpi, quello delle anime e quello delle
intelligenze.

Sezione seconda

[61-63] La sezione è interamente dedicata a chiarire che cosa sia il


"corpo", l'ultimo grado della gerarchia discendente degli enti cui Avicenna ha
accennato alla fine della prima sezione. Il concetto di corpo dipende da quello
di "forma della corporeità" che è fondamentale sia nella metafisica sia nella
fisica di Avicenna. La forma della corporeità è quella forma che, definendo il
corpo in quanto tale, si identifica come ciò in virtù di cui in un corpo è possi-
bile supporre le tre dimensioni (lunghezza, larghezza e profondità). Così, fin
dali' inizio della sezione, Avicenna confuta la tradizionale definizione del
INTRODUZIONE 125

corpo e all'idea delle dimensioni in atto sostituisce quella della supponibilità o


ipoteticità delle dimensioni. Mentre la comune definizione del corpo insiste
sulla sua tridimensionalità attuale, quella filosofica si basa, infatti, su quella
potenziale o possibile: nel corpo in quanto tale, le linee, le superfici, e la fini-
tezza (che è un conseguente e non un costituente del corpo) devono poter esse-
re supposte, ma non devono essere necessariamente in atto. [64,1-5] Avicenna
ricorre in proposito all'esempio della cera (lo si ritrova anche in altre opere
avicenniane): la cera, sciogliendosi, perde le proprie dimensioni, ma non la
propria corporeità. La forma della corporeità, non è perciò legata alle dimen-
sioni attuali di un corpo ed è, per così dire, un "fatto ipotetico"; [64-65] in tal
senso, l'estensione corporea si distingue dall'estensione in senso quantitativo
o matematico, che è invece determinabile e misurabile.
Il secondo tema affrontato nella sezione è quello della confutazione
dell'atomismo [65,4-66,15]. Le opere di Avicenna, specialmente nelle parti
dedicate alla filosofia naturale, contengono in genere alcuni argomenti contro
l'atomismo. In essi non va rintracciato solo il segno della tradizione aristoteli-
ca di cui Avicenna è continuatore, ma anche uno strumento atto a ricusare il
sistema metafisica dei teologi dell'Islam (i mutakallimùn), i quali sostenevano
l'atomismo. Sebbene di recente si sia messo in discussione che l'atomismo sia
in via esclusiva un apparato concettuale strumentale all'idea dell'assoluta
onnipotenza divina, è chiaro che confutare l'atomismo per Avicenna significa
anche distruggere uno dei fondamenti della cosmologia dei teologi e potere di
conseguenza presentare quella filosofica come la sola interpretazione raziona-
le dei fenomeni naturali 1•

1 Sull'idea di 'parte indivisibile', l'atomo, cfr. L. GARDET (diuz, in E.I., Il, n. éd., 1961-

1965, p. 623): <<seui l' atome est substance, et substance matérielle, sensible ou subtile; tout
le reste est de l'ordre de !'accident ('arat!); aucun accident ne dure plus d'un instant (an,
waqt); aucun ne peut etre surajouté à un autre accident, il ne peut résider qu'en l'atome-sub-
stance, et ne peut passer d'un sujet dans un autre; chaque accident est donc directement créé
par Dieu; en conséquence, toute action transitive entre deux corps est impossible; donc:
aucune efficace des causes secondes [ ... ]». Per una bibliografia sull'atomismo nell'Isliim,
oltre all'ormai storico lavoro di S. PINES, Beitriige zur islamischen Atomenlehre, Heine,
Berlin 1936 (rist. Garland, New York 1987), cfr. D.B. MACDONALD, Continuous Re-crea-
tion and Atomic Time in Muslim Scholastic Theology, «<sis», 9 (1927), pp. 326-344; C.
BAFFIONI, Atomismo e antiatomismo nel pensiero islamico, Istituto Universitario Orientale,
Napoli 1982; A. DHANANI, The Physical Theory of Kaliim, E.J. Brill, Leiden-New York-
Kiiln 1994; H.A. WOLFSON, The Philosophy of the Kaliim, Harvard University Press,
Cambridge (Mass.)-London 1976, pp. 466-517; R. F'RANK, Bodies and Atoms. The Ash 'arite
Analysis, in M.E. MARMURA (ed.), lslamic Theology and Philosophy. Studies in Honor of
George F. Hourani, State University of New York Press, Albany 1984, pp. 39-53; sulle
implicazioni filosofiche dell'atomismo, si veda poi D. PERLER l U. RuooLPH,
Occasionalismus: Theorien der Kausalitiit im arabisch-islamischen und europiiischen
Denken, Vandenhoeck und Ruprecht, Giittingen 2000. Sulla trasmissione delle dottrine pre-
126 TRATIATOSECONDO

Gli argomenti che Avicenna schiera in genere contro l'atomismo sono


diversi e complessi. Qui egli ne ricorda sostanzialmente un tipo, quello teso a
confutare l'idea di atomi che differiscano fra loro solo per la posizione. Il pro-
cedimento è, anche qui, diairetico. l) Se un corpo- scrive Avicenna- fosse
concepito talmente piccolo da essere come un punto, esso si comporterebbe
esattamente come un punto e non potrebbe dare origine ad altri corpi; 2) se,
d'altra parte, l'atomo non è come un punto, allora in esso deve potersi dare, in
un certo qual modo, una distinzione tale da dare luogo a due "sezioni". Va
allora comparata la differenza che distinguerebbe due "sezioni" di atomo tra
loro, con quella con cui si distinguono due atomi, e va quindi esaminato il tipo
di divisibilità che si dovrebbe ascrivere alle "sezioni" dell'atomo. Ora, 2.a)
tale divisibilità non può essere dovuta alla natura dell'atomo (argomento che
però Avicenna qui non sviluppa), perché per ipotesi gli atomi sono omogenei
alloro interno; si deve quindi 2.b) ipotizzare l'intervento di una causa, esterna
all'atomo, responsabile della divisione. Questa causa può essere concepita o
2.b.i) tale da far sussistere l'atomo, oppure 2.b.2) tale da non farlo sussistere.
Tuttavia, è chiaro che, se le due sezioni dell'atomo si dividono per via di una
causa esterna che non ne determina la sussistenza [2.b.2], l'inesistenza
dell'atomo è già dimostrata: in questo caso, infatti, l'atomo non è un corpo in
sé indivisibile (due sezioni potrebbero ricongiungersi dopo essersi separate e
separarsi dopo essersi congiunte). Se invece la causa della divisibilità risiedes-
se nella sussistenza dell'atomo (e cioè in una causa esterna che fosse responsa-
bile della sua sussistenza) [2.b.I], ecco che ciò potrebbe essere o 2.b.u) nel
senso della sussistenza interna alla natura dell'atomo; o 2.b.2.2) nel senso della
sussistenza della sua sola esistenza in atto. La prima possibilità [2.b.u] con-
traddice l'ipotesi che vuole gli atomi distinti per la sola posizione; la seconda
[2.b.2.2] è pienamente accettabile, ma non dimostra l'esistenza dell'atomo:
accade infatti che in una concezione non atomista la forma, responsabile della
sussistenza in atto di una cosa, ne renda impossibile la divisione (si pensi alla
sfera celeste, concepita come una e indivisibile).
[66,15-68,10] La confutazione dell'atomismo sostiene la tesi della corpo-
reità divisibile e permette quindi ad Avicenna di presentare il concetto di
materia: il corpo continuo accetta continuità e divisione che, in quanto oppo-

socratiche alla civiltà arabo-islamica, cfr. poi H. DAIBER, Aetius Arabus. Die Vorsokratiker
in arabischen Uberlieferung, Akademie der Wìssenschaft und der Literatur.
Verèiffentlichungen der Orientalischen Kommission (Bd. 33), Steiner, Wiesbaden 1980; cfr.
inoltre il breve ma puntuale studio di D. GUTAS, Pre-plotinian Philosophy in Arabic (Other
than Platonism and Aristotelism): A Review of the Sources, in W. HAASE (Hrsg.), Aufstieg
und Niedergang der Romischen Welt (ANRW), Teil II, Band 3617. Teilband: Philosophie, de
Gruyter, Berlin-New York 1994, pp. 4939-4973, che ripercorre criticamente gli studi sul
tema. Sulle riserve rispetto all'idea dell'atomismo come teoria funzionale all'onnipotenza
divina, cfr. D. G!MARET, La doctrine d'Al-Ash'arf, Cerf, Paris 1990.
INTRODUZIONE 127

sti, portano a presupporre un sostrato comune: il continuo è quindi in qualco-


sa, la materia prima2 • Avicenna apre così la strada all'indagine dei concetti di
materia e di forma e della composizione che costituisce il corpo. Se ne ricava
l'ambiguo statuto ontologico del corpo che è "in atto" in virtù della forma e
"in potenza" in virtù della materia; questa è, infatti, ciò che gli permette di
essere "preparato a". In quanto è in potenza, cioè in quanto è "preparata a", la
materia non è a sua volta composta di materia e fonna. È bene soffermarsi poi
sulla nozione di "preparazione" (isti'diid). Essa è l'elemento- complementare
a quello del flusso divino (jay4), che è già stato introdotto nella prima sezione
- che permette di legittimare i mutamenti del corpo; la preparazione giustifica,
infatti, quella ricezione di forme che, dipendendo dalla causalità "dall'alto"
del dator formarum, realizzano il corpo ogni volta in modo diverso. La "pre-
parazione" della materia è in tal senso una nozione più complessa di quella
aristotelica di materia o di potenza (che per altro non è priva di problemati-
cità), e rappresenta, per così dire, una sorta di articolazione della possibilità;
nel gioco che si stabilisce tra forma e materia, la preparazione riveste il ruolo
che era della privazione aristotelica: orienta e dirige la potenza, determinando-
la, prima della forma, a essere "potenza di" qualcosa e non "di altro". Qui,
comunque, ciò che interessa Avicenna è la questione della sostanzialità della
materia che è sostanza pur essendo pura preparazione (cfr. ARIST., Metaph.,
VII [Z], 3, 1028 b 33- 1029 a 33).
[68,11-fine] La parte conclusiva della sezione è infine dedicata a determi-
nare, con argomenti complessi, il carattere per cui la forma della corporeità si
distingue dall'estensione: mentre la prima è una forma in se stessa attuata,

2 Al ragionamento di Avicenna è sottesa la tradizionale concezione dei primi commentato-

ri aristotelici; poiché la materia comune dei quattro elementi doveva essere qualcosa di esteso,
essi ne deducevano che la "materia prima" inestesa non fosse identica alla materia comune
degli elementi e ponevano quindi, tra la materia prima e gli elementi, la "prima materia infor-
mata" dalla forma corporea o forma della corporeità. Su questo tema e sulla tradizione dei
commentatori a riguardo è ancora utile l'introduzione di H.A. WOLFSON in Crescas' Critique
of Aristotle. Problems of Aristotle's Physics in Jewish and Arabic Philosophy, Harvard
University Press, Cambridge (Mass.) 1929 (il capitolo V su materia e forma; cfr. tuttavia a
questo proposito A.D. STONE, Simplicius and Avicenna on the Essential Corporeity of
Materia! Substance, in R. WISNOVSKY [ed.], Aspects of Avicenna, Markus Wiener Publishers,
Princeton 2001, in part. pp. 90-91); cfr. inoltre A. HYMAN, Aristotle's "First Matter" and
Avicenna's and Averroe's "Corporea! Form", in Essays in Medieval Jewish and Islamic
Philosophy. Studies for the Publication of the American Academy for Jewish Research, selec-
ted and with an lntroduction by A. HYMAN, Ktav Publishing House, New York 1977, pp. 335-
406. Sull'argomento con cui si dimostra l'esistenza della materia prima, cfr. WoLFSON,
Crescas' Critique ... , pp.IOI-102 e p. 591: <<Matter which is continuous loses its continuity and
becomes divided. Continuity and division are opposites, and opposites cannot be the recipients
of each other. Hence, they imply the existence of a substratum capable of assurning both these
opposites. This substratum is the prime matter>>. Per Avicenna, cfr. anche lliih., Il, pp. 78-79;
'Uyiln, p. 48; Hidiiya, pp. 234-235.
128 TRATIATO SECONDO

anche se comune a tutti i corpi in quanto tali, l'estensione è una nozione di


genere e si realizza quindi solo come linea o come superficie o come corpo.

Sezione terza

Il tema della sezione - l'assoluta dipendenza della materia dalla forma - è


fondamentalmente aristotelico, ma assume nella fisica e nella metafisica avi-
cenniane un ruolo peculiare. Questa sezione III getta le basi di quella conce-
zione - per la quale i critici hanno coniato termini come "extrinsécisme radi-
ca!" (Gardet; Gilson) o "formalisme" (Michot) - secondo cui tutto è retto e
legittimato dalla forma, che dà sussistenza e realtà non solo al mondo celeste,
ma anche a quello della materia sublunare.
[72,4-73, 7] La materia sussiste sempre e solo con la forma e in virtù di
essa: ciò che è composto di materia e forma è un composto di atto e di "prepa-
razione a" e la materia, che è potenza assoluta, non è dotata di esistenza in
atto. Gli argomenti proposti da Avicenna per dimostrare la dipendenza della
materia dalla forma procedono anche qui con il metodo diairetico; sono però
complessi ed espressi in un linguaggio reso arduo anche dal frequente ricorso
a riferimenti impliciti e a temi sottintesi.
Il primo argomento prende le mosse dall'ipotesi dell'indipendenza della
materia dalla forma. Se la materia si spogliasse della forma, essa: l) avrebbe,
o 2) non avrebbe, una localizzazione e una posizione. l) Il primo caso com-
prende due ulteriori divisioni: la) o la materia senza la forma ha una posizione
ed è divisibile, oppure l b) ha una posizione, ma è indivisibile. la) Se la mate-
ria è divisibile, essa ha un'estensione, il che contraddice l'ipotesi; lb) se è
indivisibile, è invece assimilabile al punto e, contrariamente all'ipotesi, non
può essere qualcosa di isolabile.
2) Se poi la materia, spogliata della forma, è concepita priva di localizza-
zione, come le sostanze intelligibili, si va incontro ad altre due conseguenze:
2a) o essa ha accesso d'un colpo alla localizzazione che poi le spetterebbe;
oppure 2b) vi accede gradualmente. 2a) Nel primo caso, essa dovrebbe essere
già appropriata per una particolare localizzazione; altrimenti, come potrebbe
accaderle d'un colpo una determinazione locale e posizionale? L'ipotesi si
trova quindi confutata. 2b) Nel secondo caso- che Avicenna sviluppa più
avanti [cfr. 74,6 e ss.] - si dovrebbe avere una graduale espansione (inbisii!)
della materia nelle direzioni che costituirebbero la sua localizzazione. Ma
anche in questo caso, dovrebbe già appartenerle una localizzazione: infatti,
come potrebbe la materia incominciare ad espandersi verso altre direzioni, se
non in quanto già localizzata in una data posizione?3

3 Le stesse argomentazioni, sebbene in una forma più sommaria, Avicenna le utilizza nel

K. al-Nagtit; ne dà conto quindi SAHRASTANI (cfr. Livre des religions et des sectes, II, traduc-
INTRODUZIONE 129

La forma dell'estensione non può darsi, quindi, se non in quanto "già loca-
lizzata" e [73,8-74,5) Avicenna lo illustra ricorrendo anche all'immagine di un
pezzo di argilla "astratto" o "libero" dalla propria forma: senza la forma,
l'argilla non potrebbe occupare nessuno dei vari luoghi che la propria "argillo-
sità" le permette di occupare (o dovrebbe poterli occupare tutti insieme, il che
è egualmente assurdo). È chiaro che il tema della dipendenza della materia
dalla forma è anche quello della determinazione, cioè del passaggio dall'uni-
versale (tutti i diversi luoghi o le diverse localizzazioni che l'argilla come tale
può occupare) al particolare (il fatto che questa argilla qui sia determinata
localmente in questo particolare luogo e non in un altro). Il tema della sezione
è quindi uno dei temi centrali della metafisica; quello della determinazione
locale o quantitativa della materia è infatti uno degli aspetti del problema della
"determinazione" o "individuazione" e rientra nel grande tema del passaggio
dalla potenza all'atto. Così, con l'esempio dell'argilla, Avicenna mette in evi-
denza che a determinare una materia e un composto di materia e forma è qual-
cosa che appropria (mu!Ja$$i$) la materia a un certo luogo o a una certa posi-
zione e introduce un nuovo elemento della causalità sublunare, quello della
causa "determinatrice" o "appropriatrice".
Nel secondo gruppo di argomenti Avicenna si occupa del carattere genera-
le della materia in quanto "ricettore". [74,12-75-11] La materia può essere
concepita in sé o come un ricettore (ed è questa la tesi di Avicenna), oppure
come qualcosa di sussistente in sé cui accada dì essere un ricettore. Per confu-
tare questa seconda ipotesi, Avicenna affronta una serie di argomenti, ancora
una volta piuttosto complessi. l) Se la materia fosse qualcosa di sussistente in
sé cui accada la ricettività, con essa dovrebbero accaderle anche la localizza-
zione, la quantità, la divisibilità. La materia, cioè, sarebbe in se stessa priva di
luogo e di parti e solo dopo, una volta accompagnata da un determinato conco-
mitante e scomparsa la sua "essenza senza parti", verrebbe ad essere dotata di
parti e quantitativamente determinabile. la) In questo modo, tuttavia, quel che
fa sussistere la materia in sé sussistente e indivisa cesserebbe a causa del
sopraggiungere di un accidente (e allora la materia non sarebbe in sé indivi-
sa!); lb) altrimenti, si dovrebbe supporre che l'unicità della materia non
dipenda da quel che la fa sussistere, ma da qualcos'altro; ma se l'unicità della
materia non fosse dovuta a ciò che la fa sussistere in atto, si dovrebbe immagi-
nare la materia (e qui Avicenna passa dall'uso di hayillii, traslitterazione del

tion avec introduction et notes par J. JOLIVET et G. MONNOT, Peeters l Unesco, Leuven 1993,
p. 399: <<Mais il est impossile que la matière se sépare de la forme corporelle et qu'elle subsi-
ste en existant en acte. [... ] à supposer qu'elle soit dépouillée [de toute forme], sans position,
sans lieu (l:zayyiz), et qu'elle ne subisse pas de division- car tout cela ce sont des formes; à
supposer ensuite qu'une forme la rencontre: alors, ou bien elle la rencontrera d'un seul coup
- je veux dire qu'une extension qui y sera introduite y inhérera d'un seui coup et non par
dégrés; ou bien l'extension et la continuité lui viendront par dégrés>>.
130 TRATTATO SECONDO

greco VÀ.Y! al termine arabo miidda) come una sostanza tale da accettare qual-
cosa (una forma) che la renda una (sia in atto sia in potenza) e al contempo
tale da accettare qualcosa che la renda molteplice (sia in atto sia in potenza).
Ma è chiaro che una sostanza simile non potrebbe essere altro che un mero
ricettore. La concezione che vorrebbe far consistere la materia in qualcosa di
diverso da un ricettore si rivela cosi insostenibile: con questo argomento
Avicenna riconduce la seconda ipotesi alla prima, che è da lui accolta.
2) L'argomento successivo [75, 12-77,4], ancora più complesso, prende
anch'esso le mosse dalla formulazione dell'ipotesi di una materia separabile
dalla forma. Ipotizziamo due casi: nel primo separeremo la materia (in sé una e
indivisibile) dalla forma corporea (la materia in questione non è più parte di un
corpo); nel secondo lasceremo che la materia sia parte di un corpo, pur essendo
tale da essere separabile dalla forma corporea: le due materie così concepite
saranno fra loro l) simili o 2) diverse? 2) Ma come potrebbe giustificarsi una
differenza tra le due? Tra due sostanze concepite con la medesima natura non
si può dare alcuna differenza: non si può quindi né affermare che una abbia
delle proprietà diverse dall'altra, né che l'una o l'altra in determinate condizio-
ni siano fatte svanire; non sì può quindi neppure pensare che, tra le due sostan-
ze, quella unita alla forma del corpo sì unifichi con la forma e si identifichi con
essa (se esistono come distinte, due sostanze non possono divenire una; se una
è esistente e l'altra inesistente, si dà luogo a un'assurdità: l'esistente non si
unisce a qualcosa di inesistente; se infine esse generano una terza cosa, è per-
ché si sono entrambe corrotte; ne emerge, fra l'altro, lo statuto particolarissimo
della materia come "sostanza"). l) [76, 15-77,4] L'equivalenza è invece scarta-
ta con un argomento semplice: la stessa cosa, se presa da sola, non può avere
lo stesso statuto che ha quando è presa insieme ad altro da essa.
Con tali argomentazioni, Avicenna dimostra che, proprio perché la materia
deve essere pensata come qualcosa che sia tale da ricevere la divisione, essa
deve essere concepita come qualcosa che è in sé preparazione ma che è anche
inseparabile dalla forma (concepire una materia senza forma corporea dà
luogo alle assurdità appena esaminate). La forma da cui la materia è insepara-
bile non è tuttavia una forma determinata (quasi che la materia non possa
accoglierne un'altra), ma la forma della corporeità. Le altre determinazioni
non le appartengono, quindi, per sé, ma neppure possono provenirle dalla
forma della corporeità: è necessario supporre una causa ulteriore, una causa
"appropriatrice" che diriga o pre-determini la preparazione della materia a
ricevere una certa forma e non un'altra forma o un'altra localizzazione.
Avicenna pone qui [cfr. p. 78] le premesse per uno degli elementi più impor-
tanti e al tempo stesso più problematici della sua metafisica e della sua fisica:
la necessità di cause "appropriatrici" della materia (v. supra l'uso del termine
mul:ta$$i$) che dirigano "il diritto" della materia a ricevere una forma e non
un'altra, rendendo la generale preparazione della materia una preparazione
appropriata a una forma data (in tal senso Avicenna indica la necessità di una
INTRODUZIONE 131

"condizione" che, aggiunta alla materia, determini ciò che la informa a infor-
marla in un dato modo). Come dimostreranno i trattati successivi, le cause
appropriatrici vanno individuate nell'azione del moto dei cieli ma anche,
almeno in parte, nell'interazione tra cause celesti e cause sublunari.

Sezione quarta

[80,4-81 ,3) Il dato di partenza della sezione è l'assoluta coesistenza della


materia corporea e della forma materiale; oggetto di indagine è il genere di
legame o rapporto ('alaqa) cui tale coesistenza rimanda. Una prima ipotesi è
quella della relazione o correlazione (icftifa): due elementi correlativi, tuttavia,
non possono essere intelletti l'uno senza l'altro e, poiché noi, da una parte,
abbiamo intellezione di molte forme indipendentemente dalla materia e,
dall'altra, dalla materia indeterminata non deduciamo una forma particolare, il
rapporto tra la materia e la forma non può essere concepito come una correla-
zione. La materia è relativa alla forma in quanto "preparata" a una forma parti-
colare, ma ciò che si deve qui comprendere è il rapporto tra la materia prima
indeterminata e la forma, non quello tra la materia in quanto "preparata a" e la
particolare forma che le spetta. Con 1' ormai consueto metodo Avicenna passa
quindi a esaminare i soli due tipi di rapporto che appaiono concepibili: quello
che lega la causa al causato e quello che sussiste tra due cose omologhe
Bell'esistenza. Il primo tipo di rapporto è noto; il rapporto fra omologhi
(mutaktifi 'a - coaequalia come traduce talvolta il latino) deve invece essere
definito: esso è quell'ipotetico rapporto tra due o più elementi, in cui nessun
elemento è causa dell'altro, ma ciascuno degli elementi non esiste senza l'altro
(v. supra, Iltih., I, 6 e il relativo riassunto critico).
[81,3-83,4] Neppure questo secondo tipo di rapporto corrisponde a quello
tra la materia e la forma: la forma, pur non essendone la sola causa, è in certo
modo causa della materia; l'anteriorità essenziale della forma rispetto alla
materia è una sorta di modo della causalità: la forma causa la materia "in
quanto la precede". È tuttavia necessario seguire da vicino gli argomenti di
Avicenna perché il rapporto di "omologia", sebbene venga negato, serve ad
Avicenna, da una parte, a qualificare 1' essere della forma-causa e quello della
materia-causata e, dali' altra, a reperire una conferma per il sistema emanatista
in cui esse sono inserite. Se due cose sono fra loro in un rapporto di omologia,
nessuna delle due potrà essere rimossa senza che non lo sia anche l'altra; la
rimozione dell'una, pur non essendo causa della rimozione dell'altra, le sarà
cioè assolutamente contemporanea. Vi sono però tre ipotesi possibili: l)
secondo la prima, la rimozione di una delle due cose comporta necessariamen-
te la rimozione di una terza cosa, diversa da ambedue; 2) nella seconda ipote-
si, è la rimozione di una delle due cose ad essere causata da una terza cosa, a
sua volta rimossa; 3) nella terza ipotesi, infine, non si stabilisce alcun legame
132 TRATTATO SECONDO

con qualcosa di esterno: la rimozione delle due cose, e così anche il loro reci-
proco rapporto, devono essere spiegati senza ricorrere all'intervento di qualco-
sa di diverso dai due elementi in questione. Ora - afferma Avicenna - se si
desse credito a questa terza ipotesi, allora: 3a) o la natura di ognuna delle due
cose sarebbe in se stessa dipendente dall'altra- e si tornerebbe a quella corre-
latività che si è già esclusa- oppure 3b) questa dipendenza non riguarderebbe
la natura e quindi la quiddità delle due cose, ma solo la loro esistenza. Se
riguardasse la loro esistenza, però ognuna delle due cose dovrebbe essere in sé
possibilmente esistente e necessaria in virtù di altro. Ma non essendo possibile
spiegare il passaggio dal possibile al necessario se non in virtù di una causa
d'esistenza, è chiaro che anche in questo caso si dovrebbe supporre una terza
cosa che causi l'esistenza di entrambe.
Premessa degli argomenti di Avicenna è che la causa della rimozione di
una cosa - cioè la causa della cessazione della sua esistenza - è sempre anche
causa della sua esistenza (p. 81). Pensare quindi che due cose non abbiano
una causa della rimozione esterna ad esse significherebbe pensarle prive di
una causa dell'esistenza e pensare, perciò qualcosa di impossibile. Ecco, allo-
ra, che appaiono percorribili solo le due ipotesi che chiamano in causa una
terza cosa "esterna", evocando, in ultima analisi, il rapporto tra causa e cau-
sato (nella seconda ipotesi la rimozione di una delle due cose è dovuta a una
terza e il rapporto tra le due cose è quindi quello tra la causa e il suo causato
o, più precisamente, tra il medio di una relazione causale e il causato ultimo;
nella prima ipotesi, si finisce egualmente per ricorrere a un rapporto causa-
causato). Il risultato di tale analisi è di importanza capitale per il sistema avi-
cenniano. L'idea che il rapporto tra la materia e la forma sia risolvibile senza
il ricorso ad una terza cosa è confutata e, in forza di tale confutazione,
Avicenna stabilisce su di un piano teoreticamente forte le basi che gli permet-
tono di porre la propria concezione del datar formarum e della causalità del
flusso divino. In forza di questa confutazione, Avicenna non stabilisce solo
che l'una sostanza è causa dell'altra e che entrambe dipendono da una terza
causa, ma mostra anche come, date due cose, si debba sempre supporre una
causa ad esse superiore. La tesi della causalità del flusso di forme assume
così maggiore consistenza: è infatti solo collocando un principio sovraordina-
to sia alla materia sia alla forma che Avicenna riesce a risolvere il problema
della loro relazione.
[83,4-85,2] È necessario infine comprendere se sia la materia a esser causa
della forma o non sia, piuttosto, l'inverso. Che la materia non sia causa della
forma è tesi che Avicenna può sostenere con una certa facilità: in primo luogo,
la "preparazione a" non causa nulla e non è una ragione sufficiente per l'esi-
stenza di nulla; se non fosse così, infatti, la materia causerebbe continuativa-
mente e cesserebbe di essere mera "preparazione". In secondo luogo, la mate-
ria, che è in potenza, non può causare la forma, che è in atto (per causare essa
dovrebbe prima essere in atto, o con un'anteriorità essenziale o con un'ante-
INTRODUZIONE 133

riorità temporale). In terzo luogo, la materia, che non ha alcuna differenziazio-


ne, causerebbe una forma senza differenziazione e non si troverebbe un princi-
pio per la differenza. La materia, quindi, è pura ricettività e non ha - afferma
Avicenna- alcuna "produttività" ($Un') nell'attualità della forma.
[85,3-86,9] Una volta chiarito che è la forma, quindi, a esser causa della
materia, è però necessario esaminare se la forma sia da sola la causa della
materia o non lo sia piuttosto insieme a un'altra causa (e cioè insieme al datore
delle forme). E, come è chiaro, non può essere che così, altrimenti non vi
sarebbero mutamenti ma solo continue generazioni e corruzioni: se la forma
fosse, da sola, causa della sussistenza della materia, a ogni forma dovrebbe
corrispondere una materia nuova ("avventizia": l:u'idita), nata con essa. Non si
avrebbe più il mutamento (cioè il passaggio da una forma all'altra, permanen-
do il substrato materiale), ma solo la generazione sempre ripetentesi di forma
e materia. La materia è dunque fatta sussistere dalla forma di cui è il substrato
e da una "terza cosa" (say' liilil). L'essere, "l'esistenza", della materia fluisce
da questa terza cosa e da questa stessa "terza cosa" emana, nella materia, una
forma. E per corroborare la tesi della compresenza nel sinolo della ricettività
della materia e dell'attualità della forma, Avicenna porta l'esempio dell'illu-
minazione, la quale si sostiene su due elementi: la causa che dà la luce e la
cosa che è in grado di riceverla. Quel complesso procedere di forme in cui
eonsiste il flusso emanativo (jay4) - essenziale anche per la psicologia avicen-
niana - è fondato, per così dire, "dal basso", a partire dalle nozioni di "materia
t:!'forma". Tuttavia, se una forma "coadiuva" o "aiuta" (più avanti Avicenna
parlerà delle cause adiutrici) il datore delle forme a far sussistere in atto la
materia, essa conforma anche la materia ogni volta in un modo piuttosto che in
un altro ed è quindi responsabile delle differenze. Il complesso tema della
determinazione e dell'individuazione è qui nuovamente evocato.
[86, 10-fine] Il resto della sezione è dedicato alla confutazione di alcune
possibili obiezioni. In primo luogo, se la materia ha sussistenza in atto in virtù
della forma e di quella "terza cosa" o "causa esterna" che dà sussistenza sia
alla materia sia alla forma, una volta svanita la forma particolare e venuto a
mancare uno dei componenti della causa, dovrebbe svanire anche la materia,
che ne è il causato. Ma a chi muova tale obiezione, bisogna far notare che non
è questa particolare forma a esser causa della materia, ma la forma in quanto
tale e, poiché lo svanire di una forma ha luogo in vista della successione di
un'altra forma, ecco che lo svanire di una forma particolare non può determi-
nare lo svanire della materia: la materia fluisce dalla causa separata solo in
quanto è destinata ad essere accompagnata dalla forma.
In secondo luogo, Avicenna affronta l'obiezione che concerne la determi-
nazione numericamente particolare della materia: non è impossibile che un
insieme che costituisce un'unità in senso generico o generale (e cioè l'insieme
costituito ualla forma e dal datore delle forme) sia causa di un'unità numerica.
Infine, dopo aver distinto le forme in forme che sussistono separate dalla
134 TRA ITA TO SECONDO

materia (sono quelle celesti) e forme che non sussistono separate dalla materia
(quelle del mondo sublunare), Avicenna passa a confutare l'idea che la mate-
ria possa, anche solo sotto un certo aspetto, esser considerata una causa per
queste ultime: è la materia a perfezionarsi in virtù della forma e ad essere
quindi un causato della forma, non il contrario. Ma vi è una ragione ulteriore
che Avicenna oppone a questo ragionamento: il fatto che la forma non esista
se non nella materia non significa che causa della sua esistenza sia la materia o
il suo essere nella materia. Il fatto che la causa non esista se non con il causa-
to, non significa, infatti, che l'esistenza della causa sia il causato o il suo esse-
re nel causato. Come si vedrà più avanti (cfr. IV, l, pp. 165 e ss.), ciò che
conta nel rapporto tra causa ed effetto è l'anteriorità essenziale, non quella
temporale: la chiave che gira nella toppa e la mano che la fa girare si muovono
necessariamente nello stesso momento ma l'intelletto sa bene che è il moto
della mano a causare quello della chiave e non il contrario; così, anche se
forma e materia esistono contemporaneamente, è alla forma che spetta l'ante-
riorità essenziale della causa. La risposta all'obiezione ha quindi una sua effi-
cacia pur basandosi su un'equazione non dimostrata e cioè che esistere nella
materia sia la stessa cosa che esistere con la materia.
Vi è ancora un elemento degno di nota. Avicenna non ha qui determinato il
rapporto esistente tra la forma e la materia soltanto secondo l'anteriorità
dell'una rispetto all'altra. In questo trattato la forma si definisce come causa
mediatrice della materia, ma al tempo stesso come qualcosa la cui esistenza
non emana solo insieme alla materia ma anche in vista del ruolo di causa che
essa ricopre nella materia. È evidente, quindi, che il ruolo di medio che la
forma rappresenta per la materia non è assimilabile a quello della causa
mediatrice tout court. Per questo, sembra, Avicenna definisce la forma in certo
modo (min waghin) un medio: essa è infatti causata per la materia e il suo fon-
damento è - come per la materia - la causa datrice delle forme. Sia la forma,
sia la materia derivano la loro esistenza dal datar formarum: la forma per
determinare la materia e la materia per essere determinata dalla forma. II flus-
so divino è un processo che assicura la possibilità dell'emanazione dei due
elementi: è solo la sussistenza e la permanenza (qiwiim; baqii') della materia a
dipendere dalla forma, non la sua essenza e non la sua esistenza (wugud);
l'esistenza dipende in egual modo, per la forma come per la materia, da quella
causa esterna che Avicenna non ha qui ancora definito ma che si sa essere il
datore delle forme, cioè l'ultima delle intelligenze agenti, quella che «ci segue
da vicino».
136 [57]

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TRACTATUSSECUNDUS

CAPITULUM DE NOTIFICATIONE SUBSTANTIAE ET SUARUM PARTIUM PER VERBA GENERALIA

[65] Dicemus igitur quod esse ve! est rei per essentiam sicut homini esse hominem, ve!
est ei per accidens sicut Petro esse album; ea vero quae sunt per accidens infinita sunt.
Accingamur ergo nune et tractemus de esse secundum quod est esse per essentiam.
137

[SEZIONE PRIMA]

IN CUI CON UN DISCORSO GENERALE


SI FANNO CONOSCERE LA SOSTANZA E LE SUE DIVISIONI

L'esistenza di una cosa- diremo- può essere per sé- c6me l'esistenza
dell'uomo in quanto uomo- e può essere per accidente- come l'esistenza di
Zayd in quanto bianco; ma poiché le cose che sono per accidente non sono
determinabili 1, lasciamo da parte per ora questo [punto] e occupiamoci
dell'esistente e dell'esistenza che sono per sé.
Tra [tutte] le [cose] esistenti per sé la sostanza è quella anteriore 2. Questo
perché ciò che esiste è in due distinti [modi]: nel primo, è quel che esiste in
un'altra cosa, laddove tale altra cosa è data in se stessa sia quanto alla sussi-
stenza sia quanto alla specie; [è quel che esiste in un'altra cosa] esistendovi
non come una parte [della cosa] ma senza che se ne possa [affermare] la sepa-
ratezza da essa3 ; e questo è "quel che esiste in un soggetto"; nel secondo è
invece quel che esiste senza trovarsi in una cosa in questo modo: non è quindi
affatto in un soggetto ed è [ciò che chiamiamo] "sostanza". Ora, se ciò che si
designa nel primo modo4 è qualcosa che esiste in un soggetto, [è chiaro] che
anche tale soggetto dovrà inevitabilmente essere in uno dei due modi, e allora:
se il soggetto è una sostanza, l'accidente sussisterà nella sostanza mentre, se
non fosse una sostanza, esso sarebbe a sua volta in un soggetto e l'indagine

Quod autem prius est ex omnibus divisionibus eorum quae sunt per essentiam, substan-
tia est, quoniam esse duobus modis est. Unum est id quod, cum si t in aliquo cuius existentia
et species acquisita est in seipsa, non est sicut pars eius nec potest esse sine eo; et hoc est
quod est in subiecto. Aliud est quod est, sed non est in aliquo hoc modo, quoniam nullatenus
est in subiecto, et hoc est substantia. Postquam autem primum membrum divisionis quod
iam assignavimus est id quod est in subiecto, tunc non potest esse quin conveniat subiecto
una ex his duabus assignationibus. Si autem subiectum fuerit substantia, et existentia acci-
dentis erit in substantia; si vero non fuerit [66] substantia, tunc illud etiam erit in subiecto, et
138 [58]

Ila J:.. J ~Q' ~\r Jj> Jl ..!ll.; yl,..i Jl..:-1_,' .\.1.:.:':1\ Jl


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inquisitio redibit ad principium; sed inconveniens est ut hoc eat in infinitum, sicut specialiter
monstrabitur hoc. Ultimum enim eius sine dubio eri t id quod non est in subiecto; < ... > unde
substantia est constituens esse accidentis, nec est constituta ab accidente; igitur substantia
est praecedens in esse. Quod autem accidens possit esse in accidente, hoc non negatur: velo-
citas enim in motu est et rectitudo in linea, et figura in superficie, et etiam, accidentia dicun-
tur multa et unum: haec autem omnia, sicut ostendemus, accidentia sunt; quamvis autem
accidens sit in accidente, utraque tamen simul in subiecto sunt; subiectum enim certissimum
est id quod constituit utrumque et est existens per se.
TRATIATO SECONDO- SEZIONE PRIMA 139

tomererebbe [58] al punto di partenza. Tuttavia, come renderemo evidente, è


impossibile che si proceda all'infinito, specialmente a proposito di una que-
stione simile: l'ultimo [elemento], quindi, sarà senz'altro in qualcosa che non
è in un soggetto5 , e sarà cioè in una sostanza, e la sostanza sarà ciò che fa sus-
sistere l'accidente quale esistente, senza [a sua volta] sussistere in virtù
dell'accidente. Ecco perché la sostanza è quel che è anteriore nell'esseré.
Che poi un accidente possa essere in un [altro] accidente, è innegabile: la
velocità è nel movimento, la rettitudine nella linea, la figura piana nella super-
ficie; gli accidenti, inoltre, sono rapportabili sia all'unità sia alla molteplicità,
le quali - come ti mostreremo - sono tutte accidenti. Tuttavia, se anche un
accidente si trova in un altro accidente, entrambi sono poi [a loro volta] insie-
me in un soggetto, e a farli sussistere tutti e due, essendo sussistente' per se
stesso, è quel che è realmente un soggetto.
Ora, molti di coloro che pretendono di [possedere] la conoscenza ritengono
possibile che una stessa cosa sia al contempo una sostanza e un accidente 7 in
rapporto a due cose [diverse]. Il calore- dicono- è un accidente in qualcosa
di diverso dal corpo del fuoco, mentre nell'insieme del fuoco 8 non è [mai] un
accidente perché vi esiste9 come una parte, e inoltre non può essere rimosso
dal fuoco, il fuoco permanendo [tale]; esso, dunque, non esisterebbe nel fuoco
come vi esiste l'accidente e, non esistendovi come esiste l'accidente 10 , -
[dicono] - vi esiste come esiste la sostanza. Ma questo è un grave errore, e
benché non fosse quello il luogo [per discuterne], ne abbiamo già trattato a
sufficienza nei primi [trattati] della Logica 11 • In effetti, è solo là che costoro
hanno errato a questo riguardo 12 •

Deinde iam aestimaverunt multi qui se reputabant sapientes quod aliqua res est substan-
tia et accidens simul secundum respectum ad duo. Dixerunt enim quod calor accidens est
corpori ignito, sed igni generaliter non est accidens, eo quod est in eo sicut pars eius; et
etiam, quia non potest removeri ab igne, ita ut remaneat ignis. Igitur esse eius in igne non est
ut esse accidentis in eo; si enim esse eius in eo fuerit ut esse accidentis in eo, tunc esse eius
in eo non erit ut esse substantiae; et hic est magnus error. De hoc autem iam satis diximus
[67] in principio logicae, quamvis ibi non esset locus eius, sed quia ipsi erraverunt ibi.
140 [59]

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Dicemus etiam iam notum esse ex praeteritis, quod inter id in quo aliquid est et subiec-
tum differentia est. Subiectum enim intelligitur id quod iam est in sua specialitate existens
per se, et deinde fit occasio existendi aliud in se, non sicut Pars eius. ld vero in quo aliquid
est, est id in quo, cum aliquid advenit, fit per illud alicuius dispositionis, cuius non erat, et
hoc potest vocari materia subiecta. lgitur non est procul ut aliquid sit in alia, quod aliud non
fit per se species existens perfecta in etiectu, sed acquiritm· sibi sua existentia ex eo quod
advenit in illud, salurn vel cum alia vel cum aliis quae, cohvenientia, faciunt illud esse in
effectu ve l faciunt illud speciem aliquam. Illud igitur quod si c venit in aliquid, sine dubio est
in eo non ut aliquid est in subiecto, quoniam non convenit dicere quod sit in aliquo nisi in
universitate vel in materia subiecta, et est in universitate vel in materia subiecta sicut pars.
TRATTATO SECONDO - SEZIONE PRIMA 141

[59] Diciamo allora che nella trattazione precedente si è già appreso che vi
è una differenza fra il luogo di inerenza e il soggetto 13 : con soggetto si intende
ciò che, essendo sussistente in se stesso e nella propria specificità 14, viene poi
ad essere una causa perché vi sussista qualcosa che in esso non è come una sua
parte; luogo di inerenza è invece ogni qualcosa cui inerisca qualcos'altro e che,
in virtù di quest'ultimo, venga a trovarsi in un determinato stato. Non è quindi
inverosimile che una cosa esista in un luogo di inerenza e che tale luogo di ine-
renza non sia per se stesso una specie sussistente, perfetta e in atto, ma ottenga,
anzi, di sussistere soltanto a partire da ciò che vi inerisce o da solo, o con qual-
cos'altro, o [con] altre cose che, congiuntamente, fanno sì che tale cosa 15 sia
qualcosa di esistente in atto, oppure [fanno sì che essa sia] una specie determi-
nata. E ciò che inerisce a un simile luogo di inerenza è senz'altro qualcosa che
esiste non in un soggetto 16; questo perché non si può dire che [qualcosa] è in
qualcos'altro, se non in quanto [si intende] o che è nell'insieme oppure che è
ne/luogo di inerenza. Se è nell'insieme, vi si trova come una parte, mentre il
soggetto è ciò 17 in cui la cosa si trova senza essere come una sua parte; se,
invece, è nel luogo di inerenza, esso non vi si trova [necessariamente] come
qualcosa che si sia dato in altro nel senso che tale [altro] sia qualcosa che sus-
siste in atto come una specie e che fa quindi sussistere quel che vi inerisce 18 •
Anzi, il luogo di inerenza lo abbiamo [appena] preso in considerazione come
tale da sussistere in atto soltanto in quanto quel che vi inerisce lo fa sussistere 19
e20 lo abbiamo considerato tale che la sua specificità21 si porti a compimento
soltanto in virtù di [quel che vi inerisce]; [questo] quando la sua specificità si
dà - o viene ad essere specificità22 - solo in quanto si mettono insieme più
cose, il cui insieme costituisce quella [sua] data specie.
È evidente, dunque, che alcune cose che sono nel luogo di inerenza non
sono in un soggetto; stabilire poi [l'esistenza] di quel che è in un luogo di ine-
renza e non in un soggetto è ciò di cui dovremo occuparci fra poco e, quando
lo avremo fatto, [vedremo] che si tratta della cosa cui, in un caso simile23 , si
dà propriamente il nome di "forma", anche se, per omonimia, abbiamo chia-
mato "forma" anche qualcosa di diverso da essa. E poiché quel che esiste [60]

Subiectum igitur est id in quo est aliud non sicut pars eius; in materia vero subiecta est non
sicut id quod venit in aliud quod iam existit species in effectu et constituit ipsum; hanc enim
materiam subiectam non posuimus constitui in effectu nisi per consti-[68]tutionem eius
quod venit in illam, vel posuimus id quod non perficitur < ... > nec acquiritur nec fit eius spe-
cialitas nisi ex coniunctione rerum quarum collectio est ipsa species.
Manifestum est igitur ex hoc quia id quod est in materia subiecta non est in subiecto;
stabilire autem quid sit id quod est in materia subiecta et non in subiecto, in proximo stude-
bimus. Quod cum ostenderimus, erit illud quod in hoc loco appropriamus nomine formae,
quamvis etiam aliud praeter ipsum vocemus formam communione nominis. Postquam id
quod est non in subiecto est id quod vocatur substantia, tunc forma etiam substantia est; sed

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142 ., . [60]

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materia subiecta quae non est in alia subiecta materia non est in subiecto sine dubio; omne
autem quod est in subiecto est in subiecta materia, sed non convertitur: tunc materia subiecta
vera substantia est.
lam autem nosti, ex proprietatibus quas habet necesse esse, quod necesse esse non est
nisi unum, et quia id quod habet partes et id quod est coaequale ad esse eius quod est neces-
se esse non est necesse esse: ex hoc igitur scies quod hoc compositum et hae omnes partes
in se sunt possibile esse, et sine dubio habent causam quae facit debere i Ila esse.
TRATIATO SECONDO- SEZIONE PRIMA 143

non in un soggetto è quel che si chiama "sostanza", ecco che anche la forma~
"sostanza"24 . Quanto a quel luogo di inerenza25 che non è in un altro luogo di
ìnerenza, esso senz'altro non è in un soggetto, perché qualunque [cosa sia] esi-
stente in un soggetto esiste in un luogo di inerenza, ma non l'inverso 26 . Così,
quel che è realmente luogo di inerenza è anche sostanza, e anche questo insie-
me [di materia e forma] è sostanza 27 •
Tra le proprietà che spettano al necessariamente esistente - lo hai già
appreso - vi è che esso non è se non uno, mentre quel che è dotato di parti o28
quel che ha un omologo29 della propria esistenza non è necessariamente esi-
stente. E a partire da ciò si conosce, quindi, che questo composto e in se stesse
tutte queste parti sono possibilmente esistenti e devono quindi avere una causa
che renda necessaria la loro esistenza.
Perciò, in primo luogo, diremo che ogni sostanza o è un corpo o è altro da
_!!n corpo; se è altro da un corpo, o è parte di un corpo o non è parte dj un
corpo ed è anzi qualcosa di interamente separato dai corpi; se è parte"'di un
corpo, o è la sua forma o è la sua materia; se è separata, non essendo parte di
un corpo, allora o le appartiene un certo vincolo con cui dirigere i corpi, facen-
doli muovere - e si chiama allora "anima" - oppure è sotto ogni aspetto libera
da [vincoli] materiali 30 e si chiama "intelligenza". E noi ci occuperemo di sta-
bilire ognuna di queste divisioni.

Primum igitur dicimus quod omnis substantia ve! est corpus ve! non corpus. Si autem
fuerit non corpus ve! erit pars corporis ve! non erit pars corporis, sed est separatum omnino
a corpore. Si autem [69] fuerit pars corporis, tunc ve! erit formalis ve! materialis. Si autem
fuerit separatum quod non si t pars corporis, ve! habebit ligationem aliquo modo cum corpo-
ribus propter motum quo movet illa et vocatur anima, ve! erit separatum a materiis omnimo-
do et vocatur intelligentia. Nos autem stabiliemus unamquamque istarum divisionum.
144 [61]

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II
CAPJTULUM DE CERTITUDINE SUBSTANTJAE CORPOREAE ET DE EO QUOD COMPONJTUR EX EA

[69] Primum autem in hoc est cognitio corporis et certitudo suae quidditatis.
Manifestatio autem quod corpus est substantia una continua non composita ex partibus indi-
visibilibus iam assignata est. Cognitio vero eius et verificatio eius erit hic. Iam autem fuit
usus dicere quod corpus est substantia longa, lata et profunda, et oportet ut nos considere-
mus hoc quomodo sit. Ex unoquoque enim istorum verborum, scilicet latum et longum et
profundum, intelliguntur diversa. Aliquando enim dicitur longitudo linea quocumque modo
fuerit; aliquando dicitur longitudo maior duarum linearum contìnentium superficiem; ali-
quando dicitur longitudo maiores dimensiones extensae [70} intersecantes se quocumque
145

SEZIONE SECONDA

IN CUI SI DETERMINA CHE COSA SIANO


LA SOSTANZA CORPOREA E CIÒ DI CUI ESSA SI COMPONE 31

La prima cosa [di cui dobbiamo trattare] è conoscere il corpo e determina-


re che cosa esso sia realmente 32 . Ora, che il corpo sia una sostanza una, conti-
nua, e non sia composto da parti che non si dividono in parti, lo abbiamo già
mostrato esaurientemente 33 ; quanto a determinarne la realtà e a definirlo 34 ,
l'abitudine corrente è che si dica: il corpo è una sostanza lunga, larga e
p~ofonda 35 ; è quindi necessario che esaminiamo come sia tale [definizione,
avvertendo] però che con ognuno dei termini "lunghezza", "larghezza" e
''profondità" si comprendono cose diverse.
A volte, infatti, si parla di "lunghezza" per la linea, qualunque essa sia,
mentre talvolta, tra due linee che contornano una superficie, "lunghezza" si
dice di quella dalla misura36 maggiore; a volte, inoltre, si dice "lunghezza" di
quella maggiore a:a--dimensioni di diversa estensione che si intersecano,
comunque essa sia, sia essa o meno una linea; e a volte, poi, "lunghezza" si
dice della distanza che va supposta tra la testa dell'animale e quel che gli si
oppone, sia il piede o la coda37 . La larghezza, poi, si dice della superficie stes-
sa; si dice della minore di due dimensioni nella misura, e si dice della dimen-
sione che congiunge la destra alla sinistra. Anche la profondità si può dire di
una simile dimensione che congiunga due superfici, come quando [la] si pren-
de in considerazione a iniziare da sopra, in modo tale che, se si inizia dal
[punto] inferiore, essa si chiama "altezza" 38 . E questi sono i [diversi] modi
noti a questo [riguardo].
Ma non è necessario che in un corpo vi sia sempre una linea in atto: nella
sfera non vi è in atto alcuna linea, affatto, e finché essa non è in movimento,
non vi si determina alcun asse; d'altra parte, che essa sia in movimento non è

modo fuerit, sive sint lineae sive aliud; aliquando dicitur longitudo spatium positum inter
·caput et pedem hominis vel inter caput et caudam animalis. Latitudo etiam dicitur ipsa
superficies, et dicitur latitudo mensura minor duarum dimensionum, et dicitur latitudo spa-
tium quod est inter dextrum et sinistrum. Profunditas etiam dicitur spatium quod coniungit
duas superficies, sed hoc dicitur si accipitur a capite superiori; si vero accipitur incipiens a
parte inferiori, dicitur altitudo. Hae sunt igitur maneriae famosae qui bus i sta dicuntur.
Non oportet autem hoc esse in unoquoque corpore in effectu. In sphaera enim non est
linea in effectu ullo modo; nec assignatur axis in ea nisi cum movetur; non est autem ex
condicione sphaerae, scilicet ad hoc ut ipsa sit corpus, ipsam moveri sic ut appareat axis in
146 ,,. [62]

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ea ve! alia linea. Iam enim certificatum est ipsam esse corpus per id quod certificatur corpo-
reitas, et postea accidìt sibi motus vel comìtatur. Nec etìam oportet ut in corpore, ex hoc
quod est corpus, sit superficies, quia non oportet ut in eo sit superficies nisi ex hoc quod est
finitum; ad certitudinem vero ipsum essendi corpus, et ad sciendum nos illud esse corpus,
non eget ut sit finitum. Finitio enim accidentale est ei et comitans. Et ideo ad imaginandum
corpus non est necesse [71] imaginari corpus finitum; qui autem ìmaginat corpus infinitum
non imagìnat corpus non corpus, nec imaginat privationem finitionis nisi qui imaginat cor-
pus; sed errat sicut ille qui dixit quod corpus est instrumentum erravit in credulitate, sed non
erravit in imaginatione suarum partium quae sunt subiectus et praedicatus. Deinde si, ad
TRATTATO SECONDO- SEZIONE SECONDA 147

una condizione perché la sfera venga ad essere un corpo 39 [62] in modo che
così vi si manifesti un asse o un'altra linea. Essa, infatti, innanzitutto si deter-
mina come corpo in virtù di quel che determina la corporeità40 , e poi le accade
- o le consegue4 1 - il movimento. E neppure è necessario che nel corpo, in
quanto è corpo, vi sia una superficie; ciò infatti è necessario solo in quanto è
finito, ed esso non ha bisogno di essere finito per determinarsi come corpo e
perché noi lo riconosciamo come tale: la finitezza è piuttosto qualcosa che gli
accade, un suo conseguente necessario, e perciò non si ha bisogno42 di rappre-
sentarsela del corpo quando ci si rappresenta il corpo 43 e chi si rappresenti un
corpo non finito non si rappresenta un corpo che non sia corpo. Anzi, la man-
canza di finitezza non può essere rappresentata se non da chi si rappresenti un
corpo! E tuttavia, [chi parli di un corpo infinito] sbaglia, come chi afferma
che il corpo è uno strumento sbaglia [nel giudizio] riguardo all'assenso, pur
non avendo sbagliato nell'lwere rappresentazione dei due [elementi] semplici
della [proposizione], e cioè il soggetto e il predicato44 . Inoltre, se [anche] il
corpo, per avere la propria realtà di corpo, avesse immancabilmente bisogno
di avere una superficie45 , potrebbe esservi un corpo contornato da una sola
superficie, e cioè la sfera. Tra le condizioni [necessarie] affinché il corpo sia
un corpo non c'è neppure che esso abbia dimensioni che siano l'una maggiore
dell'altra46 ; infatti, anche il cubo è un corpo con tutto che, compreso da sei
delimitazioni, non ha dimensioni che siano l'una maggiore dell'altra, in modo
da avere lunghezza, larghezza e profondità in uno dei significati [ricordati] 47 .
E che [il corpo] sia corpo non dipende poi neppure dal fatto che sia posto
sotto il cielo, in modo tale che le direzioni gli accadano a causa delle direzioni
del mondo e abbia quindi lunghezza, larghezza e profondità in un altro senso;
e [questo] benché [il corpo] abbia immancabilmente bisogno di essere o un
cielo o in un cielo.

essendum certissime corpus, necessarium esset corpori habere superficies, iam est corpus
quod circumdat superficies una. Non est etiam de condicione corporis, ad hoc ut sit corpus,
habere dimensiones excedentes se; cubus enim etiam est corpus, quamvis circumdetur sex
terminis, et tamen non sunt in eo dimensiones superantes se, licet habeat longitudinem, lati-
tudinem et spissitudinem secundum unam ex acceptionibus. Nec etiam ipsum esse corpus
pendet ex positione eius sub caelo ad hoc ut accidant ei partes propter partes mundi, et ad
hoc ut longitudo et latitudo et profunditas sint ei secundum aliam intentionem. Si enim
necesse esset illud esse vel caelum ve! in caelo, manifestum est tamen ex hoc quod, ad hoc
148 [63]

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ut ipsum sit corpus in effectu, non est necesse esse in corpore tres dimensiones in effectu
secundum praedictos modos trium dimensionum.
Si igitur hoc ita fuerit, tunc quis coget nos ponere tres dimensiones necessario esse in
effectu in corpore, ad hoc ut sit corpus? Quapropter vera descriptio corporis haec erit: cor-
pus est substantia in qua [72] potest poni dimensio quocurnque modo volueris incipere, et
illa a qua primum inceperis erit longitudo; deinde potest poni alia dimensio secans illam
secundum rectos angulos, et illa erit latitudo; et iterum potest poni tertia dimensio interse-
cans illas orthogonaliter in eodem loco sectionis; et deinceps non potest poni ulla alia linea
perpendicularis hoc modo praeter has tres. Et quia corpus est huiusmodi, idcirco dixerunt
TRATTATO SECONDO- SEZIONE SECONDA 149

[63] Ora, da tutto ciò è evidente che- affinché il corpo sia [tale] in atto-
non è necessario che in esso siano in atto tre dimensioni nei modi in cui
[comunemente] si comprendono le tre dimensioni. E così stando le cose, come
potremmo essere obbligati a supporre tre dimensioni esistenti in atto nel
corpo, affinché [il corpo] sia corpo? Il significato di questa "definizione
descrittiva"48 del corpo sarà piuttosto che il corpo è la sostanza in cui ti è pos-
sibile supporrr: .una dimensione che abbia inizio dove vuoi di modo che
quell'inizio sia la lunghezza; poi ti è possibile supporre in esso anche un'altra
dimensione che intersechi quella [precedente] ad angolo retto: questa seconda
dimensione sarà la larghezza; e ti è possibile [infine] supporre in esso una
terza dimensione che intersechi queste due dimensioni secondo angoli retti, in
modo tale che le tre si incontrino su di uno stesso punto, senza che ti sia possi-
bile supporre alcun'altra dimensione, perpendicolare in questo [stesso] modo
ma diversa da queste tre.
È quindi perché il corpo è in questo modo che esso si designa come
"lungo, largo e profondo" 49 , come si dice che il corpo è quel che è divisibile in
tutte le dimensioni. E ciò non significa che [il corpo] sia diviso in atto 50, in
modo definitivo, ma che per sua natura in esso è possibile supporre questa
divisione.
Ed è così che è necessario che il corpo venga definito51 , e cioè che esso è
la sostanza la cui forma è tale e che in virtù di [tale forma] è ciò che è. Poi, le
altre dimensioni che si possono supporre tra i termini [del corpo], e i suoi stes-
si termini, le sue figure e le sue posizioni sono cose che non lo costituiscono52
[come tale] ma che, piuttosto, conseguono alla sua sostanza: può essere che ad
alcuni corpi consegua una di [queste] oppure.tutte e che ad altri non consegua
nessuna di esse o alcune [soltanto]. [64] Se tu [infatti] prendessi della cera e le

quod corpus est id quod est longum, latum et profundum, sicut dicunt quod corpus est divi-
sibile in omnes dimensiones, nec intelligunt ipsum omnino dividi in effectu, sed quia huiu-
smodi est quod potest in eo poni haec divisio.
Sic igitur oportet intelligi corpus: quod ipsum est substantia cuius haec est forma qua est
id quod est. Deinde ceterae dimensiones quae ponuntur in eo inter extremitates eius, et
extremitates eius et figurae etiam et situs eius, non sunt constituentes ipsum, sed sunt conse-
quentes substantiam eius; aliquando enim differentias corporum comitatur aliquod ex his vel
omnia simul, aliquando non comitatur in aliquo corporum aliquod ex his. Si enim acceperis
150 J~l ~l - ~\.:)\~W.\ [64]

~ •.s! l.k t ~\ ..!\!.) u.J'}- l.l[ ( ' o.l.JJ.~ ;J..u,. t.lJ.M.o ..:.,l,lr:ll
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~ J .Jis' J.:i.L .l~ JL.,.,;\ -Il~ Ù" ll.,...l\ ·~L,;..._\ JL,...;I J.i

aliquam ceram et figuraveris eam taliter quod sint in ea dimensiones in effectu inter has
extremitates numeratas, mensuratas, terminatas, postea, si commutaveris ipsam figuram,
nulla earum remanebit in effectu et eadem singulariter cum eodem termino et eadem mensu-
ra, sed pro eis succedent aliae dimensiones diversae ab illis numero: hae igitur [73] sunt
dimensiones de capitulo quantitatis. Si autem evenerit ut corpus sit, sicut caelum verbi gra-
tia, quod inseparabiliter comitantur dimensiones uno modo, non est hoc illi ex hoc quod est
corpus, sed ex alia natura conservante eius perfectiones secundas.
Corporeitas igitur vera est forma continuitatis recipiens id quod diximus de positione
trium dimensionum, et haec intentio est extra mensuram et extra corporeitatem disciplina-
lem. Hoc enim corpus secundum hanc formam non differt ab alia corpore, sive sit maius
sive minus, nec comparatur ei, sive sit aequale sive numeratum per illud sive communicans
TRATIATO SECONDO- SEZIONE SECONDA 151

dessi una configurazione tale che di essa si potessero supporre in atto, tra tali
termini, dimensioni numerabili, misurabili e determinabili, poi - una volta che
tu mutassi questa figura- di quelle [dimensioni] non resterebbe niente di indi-
vidualmente uno in atto, [che fosse] con quel dato limite e quella data misura.
Avverrebbero, invece, altre dimensioni, numericamente diverse da quelle [pre-
cedenti]; queste dimensioni, infatti, sarebbero quelle che appartengono alla
categoria della quantità53 . E se capita che vi sia un corpo- come per esempio
la sfera [celeste] - cui conseguono dimensioni uniche 54 , ciò non accade in
quanto è corpo, ma piuttosto a causa di un'altra natura che conserva le sue
perfezioni seconde.
In realtà quindi la corporeità è la forma della continuità che è suscettibile
di quella supposizione delle tre dimensioni di cui abbiamo detto. E questa
nozione [di corporeità] è diversa dalla misura55 ed è diversa dalla corporeità
-in senso matematico. Questo dato corpo, infatti, in quanto gli appartiene que-
sta forma, non differisce da un altro corpo per essere più grande o più picco-
lo, né gli corrisponde per il fatto di essere eguale o contato da esso o tale da
contarlo o ancora [per essere] associato o distinto da esso; [tutto] ciò, infatti,
gli appartiene soltanto in quanto è misurabile e in quanto una parte di esso è
[tale da] contarlo; la considerazione che di esso se ne ha in questo senso è
diversa dalla considerazione della corporeità che abbiamo menzionato.
Queste sono cose che ti abbiamo già spiegato in modo più semplice in un
altro passaggio, al quale farai bene a ricorrere 56 . Ed è per questo che quando
un corpo si rarefà e si condensa perché viene riscaldato o raffreddato, la
misura della sua corporeità si altera, mentre la corporeità di cui abbiamo par-
lato non si altera e non muta.
Il "corpo fisico" è dunque una sostanza in quèsto modo; quando, invece,
diciamo "il corpo matematico", ebbene, con ciò intenzioniamo o la forma di
questo [corpo], in quanto- considerato nell'anima, ma non nell'esistenza57 - è
determinabile e misurabile, oppure una certa misura dotata di continuità in
questo stesso modo, in quanto le [appartiene] una continuità definibile e misu-
rabile, sia in un'anima58 [65] sia in una materia59 . È, infatti, come se il corpo

ei sive incommunicans; hoc enim non est ei nisi inquantum est mensuratum et inquantum
aliqua pars eius numerat illud. Et haec omnia considerantur in eo absque consideratione cor-
poreitatis quam assignavimus. Quae omnia iam plenius tibi alias ostendimus, et si opus fue-
rit, inde recolas. Propter hoc etiam est possibile ut, cum unum corpus rarificatur et densatur
calefactione et infrigìdatione, permutetur eius quantitas, sed corporeitas eius quam diximus
non permutetur nec alteretur. Igitur corpus naturale est substantia secundum hunc modum.
Per corpus autem disciplinale ve! intelligimus formam aliquam, inquantum est terminatum
et mensuratum, acceptum in anima, non in esse; ve! intelligimus per illud mensuram ali-
quam habentem continuitatem secundum hunc modum, [74] inquantum habet continuitatem
terminatam, sive sit in sculptione, sive in materia plana. lgitur corpus disciplinale in se est
152 "\0 [65]

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sicut accidentale huic corpori quod designavimus, cuius tenninus est superficies, linea vero
est terminus termini eius. De his etiam adhuc postea amplius tractabimus, cum considerave-
rimus quomodo est eis continuatio et quomodo est ipsa corpori naturali.
Primum igitur dicam quod de natura corporum est dividi, sed ad probationem huius non
sufficìt ipsa sensibilìtas. Potest enim aliquis dicere quod de corporibus sensibili bus istis nul-
lum est pure unum, eo quod sunt composita ex corporibus unitis guae non sunt sensibilia nec
possunt dividi ullo modo. Iam autem locuti sumus de destructione huius probationibus natu-
ralibus. Sed ex sententiis facili gr ad destruendum est sententi a illius qui dixìt ea esse diversa
figuris. Sed si aliquis dixerit quod naturae eorum et figurae consimiles sunt, oportebit tunc
ut eius sententiam et id quod sentit destruamus per ea <Wae dìcemus.
TRATIATO SECONDO- SEZIONE SECONDA 153

matematico fosse qualcosa che accade in sé a quel corpo di cui abbiamo chia-
rito [le proprietà]: la superficie è il suo termine e la linea il termine del suo ter-
mine. In seguito chiariremo il discorso [da farsi] a questo riguardo60 ed esami-
neremo come la continuità appartenga a queste [cose] e al corpo fisico.
Ora, in primo luogo diciamo che alle nature dei corpi appartiene di divi-
dersi, ma per stabilirlo non sono sufficienti i [dati] osservabili. Qualcuno
potrebbe dire, infatti: nessuno dei corpi osservabili è un corpo puramente
uno; [i corpi] sono anzi composti di [altri] corpi, mentre i corpi unici non
sono sensibili e non è possibile che si dividano, sotto nessun aspetto. Noi
abbiamo già trattato della confutazione di questa [dottrina] con le prove della
fisica 61 e in particolar modo [abbiamo confutato] la dottrina più facile da con-
traddire e cioè quella di chi fa consistere la differenza tra [gli atomi] nelle
figure. Ma se qualcuno dice che le nature [degli atomi] e le loro figure sono
fra loro simili, allora è necessario confutare la dottrina e l'opinione di costui
con quanto [ora] dirò.
[E cioè] - diremo - se del più piccolo dei corpi si facesse [qualcosal in cui
non vi è divisione - né in potenza, né in atto - in modo da essere tutto come
un punto, allora il suo statuto sarebbe senz'altro lo statuto del punto nel senso
che a partire da un tale corpo non potrebbe comporsi il corpo sensibile.
E se così non fosse, ma al contrario in esso fosse per essenza possibile iso-
lare62 una sua sezione da un'altra - anche se non in virtù di quel tipo 63 di
sezionamento che separa le due sezioni che vi si possono supporre con I'esti-
mativa64, allora - diremo - lo stato di ciò che si avrebbe tra le due sezioni
[così ottenute] differirebbe dallo stato di ciò che si ha tra una parte [indivisibi-
le] e l'altra, nel senso che le due parti [indivisibili] non si saldano [l'una
all'altra], e le due sezioni non si separerebbero, [e ciò] per una differenza
dovuta alla natura [66] della cosa e alla sua sostanza65 , oppure a causa di qual-

Dico igitur quod si posuerit minimum ex corporibus esse indivisibile in potentia et


effectu, ita ut omnino si t quasi punctum, tunc iudicium de ipso corpore eri t sicut iudicium de
puncto in impossibilitate componendi corpus sensibile ex ilio. Si vero non fuerit ita, sed fue-
rit in se tale ut possit una pars eius abscindi ab alia parte, tamen sectio [75] quae separat
duas partes quas potuit ponere in eo, non est illius naturae ut in effectu possit intelligi. Dico
enim quod dispositio inter divisionem et divisionem quae est diversitas qualis est dispositio
inter partem et partem, secundum quod duae partes non coniunguntur et secundum quod
duae divisiones non separantur in effectu, non potest esse qui n si t ve! ex natura rei et ex sub-
stantia eius, ve! ex causa, extrinseca praeter naturam et substantiam eius.
154 Jl:ll j,.UJI - 4•..:1:!1 ~W.I "''l [66)

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Si autem fuerit ex causa extrinseca praeter naturam et ~ubstantiam, tunc ve! erit causa
per quam constituitur natura et substantia in effectu, sicut est forma materiae et sicut est
subiecta materia accidenti, vel erit causa per quam non constituitur. Si autem fuerit ex causa
per quam non constituitur, tunc potest concedi quod, secundum naturam et secundum sub-
stantiam, est inter illas duas coniunctio separationis et sep<rratio coniunctionis; haec igitur
natura corporalis comparatione sui receptibilis est divisionls, sed tamen non dividitur nisi
per causam extrinsecam, et tantum sufficit ad id in quo sumus. Vel erit illa causa per quam
constituitur unaquaeque partium, habens partem in constitu-[76]tione suae quidditatis et
naturae, ve! constituens illas esse in effectù-non habens pru:tem in constitutione quidditatis
earum, quia diversitas est in hoc. Primum vero quod accìdlt ex hoc est quod haec corpora
different substantiis. Isti autem non tenent hoc. Secundurr, est quod naturae corporeitatis
TRA TIATO SECONDO- SEZIONE SECONDA 155

cosa di esterno alla natura e alla sostanza. Ora, se [la ragione di ciò] è una
causa [che proviene] dall'esterno della natura e della sostanza [dell'atomo],
allora: o essa sarà una causa in virtù della quale la natura e la sostanza sussi-
stono in atto - come è la forma per la materia66 e il luogo di inerenza67 per
l'accidente -, oppure non sarà una causa in virtù della quale [esse] sussisto-
no68. Se non si deve a una causa in virtù della quale sussistono69 , allora, per
quanto riguarda la natura e la sostanza, [le due sezioni] potranno ricongiunger-
si dopo essersi separate, e separarsi dopo essersi congiunte. In tal modo, que-
sta data natura corporea [dell'atomo], considerata in se stessa, riceverebbe la
divisione e sarebbe indivisibile 70 solo in virtù di una causa che proviene
dall'esterno; e già stabilire questo ci sarebbe sufficiente per quel che stiamo
trattando. Se, invece, ognuno degli atomi 71 sussistesse in virtù di tale causa -
nel senso di una sussistenza interna alla natura [del!' atomo] e alla sua quid-
dità, oppure nel senso di una sussistenza che riguardi la sua esistenza in atto
senza entrare nella sua quiddità e sia a questo riguardo differente 72 - ecco che
nel primo caso, questi corpi [atomici] dovrebbero essere differenti per quanto
riguarda le sostanze - ma ciò costoro non lo sostengono; nel secondo caso,
poi, tale [divisibilità], non essendo impossibile per la natura della corporeità
loro propria, sarebbe per essa impossibile solo in quanto una forma l'avrebbe
specificata in tal modo. Ma noi questo non lo consideriamo impossibile: può
accadere che alla corporeità si accompagni qualcosa che renda un corpo sussi--
stente secondo una specie che non accetta né la divisione né la continuità con
altro da sé, e anzi questo è proprio ciò che noi affermiamo della sfera [cele-
ste]; e ciò di cui qui si aveva bisogno è appunto che fosse la natura della cor-
poreità- in quanto natura della corporeità- a non impedire [questo] 73 •
Ora - diremo - abbiamo innanzitutto stabilito che la realtà della corporeità
in quanto corporeità non è tale da non essere divisibile: alle nature corporee74
spetta sempre, infatti, di essere divisibili; ne risulta così manifestamente che la
forma del corpo e le dimensioni sussistono in qualcosa. Ed ecco perché: o que-
ste dimensioni sono la stessa continuità75 , oppure sono un qualcosa che accade
alla continuità- secondo quanto verificheremo- senza essere le [stesse] cose

quam habent non est hoc inconveniens, sed est ei inconveniens hoc inquantum est formn
suae specialitatis. Nos autem non negamus hoc; possibile est enim adiungi corporeitati ali-.
quid quod faciat corpus esse speciem quae non recipit divisionem nec continuationem cum
alio a se, sicut fit in caelo. Quod autem nobis necessarium est hic, hoc est scilicet ut natunt
corporeitatis non prohibeat hoc inquantum est natura corporeitatis. Primo igitur dicam no~
iam certificasse quod corporeitas, inquantum est corporeitas, non est nisi receptibilis divisio·-
nis; igitur in natura corporeitatis est recipere divisionem.
Igitur manifestum est ex hoc quod forma corporis et dimensiones sunt existentes in ali-
quo; et hae dimensiones ve! sunt ipsa continuatio, vel sunt aliquid cui accidit continuatio,
sicut adhuc certificaberis quod illae sunt res quibus accidit continuati o; verbum enim dimen-
156 [67]

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sionum est nomen ipsarum quantitatum continuarum, non rerum, quibus accidit continuatio.
Id autem quod est ipsa continuatio ve! continuum in se, impossibile est ut remaneat ipsum,
continuatione [77] destructa. Omnis enim continuatio est dimensio quae, cum separatur,
destruitur illa dimensio et acquiruntur aliae duae dimensiones; similiter etiam cum restaura-
tur continuatio, scilicet continuatio secundum quod est differentia, non accidens (iarn enim
ostendimus hoc alias), restauratur etiam alia dimensio et destruitur quicquid erat proprium
unicuìque illarum. Igitur in corporibus est aliquid quod est subiectum continuationi et
discontinuationi propter ìd continuationis quod accìdit mensuris terminatis. Corpus enìm,
inquantum est corpus habens formam corpoream, est quiddam in effectu; inquantum vero
aptum est ad quarnlibet mensuram, est in potentia. Res autem secundum quod est in potentia
TRATIATO SECONDO~ SEZIONE SECONDA 157

cui accade [67] la continuità. Il termine "dimensioni" è, infatti, un nome [che


si dà] alle stesse quantità continue, non alle cose alle quali accade la conti-
nuità. Ora, è impossibile che ciò che è la stessa continuità, o il continuo in sé,
permanga così come è in se stesso, una volta che sia venuta meno la
continuità76 : la continuità dì una dimensione 77 è sempre tale che, una volta
sezionata, [accade che] questa [determinata] dimensione venga meno e che si
ottengano altre due dimensioni; e analogamente [ciò avviene] quando si ha78
una continuità, intendo [dire quando si ha] la continuità nel senso in cui essa è
una differenza [specifica] e non un accidente; lo abbiamo già mostrato in un
altro passaggio: si produce un'altra dimensione e tutto ciò che era proprietà
[delle dimensioni precedenti] si vanifica. Nei corpi, dunque, vi è qualcosa
(say') [che funge da] soggetto per la continuità e per la discontinuità e per le
misure determinate che accadono alla continuità.
Inoltre, il corpo in quanto è un corpo cui appartiene la forma della corpo-
reità è una cosa in atto, mentre in quanto è preparato, di qualunque preparazio-
ne tu voglia, è in potenza; ciò che in potenza è una [certa] cosa non è in atto
un'altra cosa, anche se la potenza appartiene al corpo non in quanto gli appar-
tiene I'atto 79 ; la forma del corpo, infatti, in quanto è forma, accompagna
un'altra cosa, diversa rispetto ad esso80 • Il corpo quindi è una sostanza compo-
sta da un elemento (say ') a partire dal quale gli appartiene la potenza, e da un
elemento (§ay') a partire dal quale gli appartiene l'atto: ciò in virtù di cui gli
appartiene l'atto è la sua forma, mentre ciò a partire da cui [il corpo] è in
potenza è la sua materia (maddatu-hu), e cioè la hule (hayiila).
Qualcuno però potrebbe sollevare una questione e dire 81 che anche la
materia (hayiila), essendo in se stessa materia (hayiila) e sostanza in atto ed
essendo inoltre "preparata a", è composta. Diremo, allora, che la sostanza
della materia (hayiila) e il suo essere in atto materia (hayiila) non sono niente
altro che il fatto che essa è una sostanza "preparata a questo", e che la sostan-
zìalità che le appartiene non la rende in atto una data cosa tra le cosé 2, [68]

est aliqua res, et ipsa est alia res secundum quod est in effectu; est igitur potentia corpori,
sed non inquantum est sibi effectus; igitur forma corporis coniuncta est alii inquantum est ei
forma. Corpus igitur est substantia composita ex quodam per quod habet potentiam, et ex
quodam per quod habet effectum. Id autem per quod habet effectum est forma eius, per
quod vero habet potentiam est materia eius, et hoc est hyle.
Potest autem aliquis opponere dicens quod hyle etiam composita est, quia ipsa in se est
hyle et substantia in effectu, et est etiam adaptata. Dico igitur quod substantia hyle et suum
esse hyle in [78] effectu non sunt aliud quam substantia adaptata. Substantialitas enim quam
habet non facit eam esse in effectu aliquam rerum, sed adaptat eam ad essendum aliquid in
158 Jl:JI J....All - 4~~1 ~Lil.l [68]

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...rf.J . "="') ~ 14 \!U,;_, '-:(.li~ l.L ~.JÌ ,.,)J~ .!Ili) •)~ •.:v,

effectu per formam. Substantialitas enim eius non intelligitur aliud nisi guia est aliguìd quod
non est in subiecto; per hoc autem quod non intelligitur aliud nisi quia est aliquid, < ... > sed
quod non est in subiecto, negatio est; ex hoc autem quod ipsa dicitur aliquid, non sequitur
ipsam esse aliquid designatum in effectu, naro hoc commune est. Res vero non fit in effectu
per aliguid commune, nisi habuerit differentiam per guam approprietur; differentia vero eius
est guod est apta ad quodlibet. Igitur forma quam putant esse eius est quod est apta, recepti-
bilis. lgitur non est hic certitudo hyle una per quam sit in effectu et alia certitudo per quam
sit in potentia, nisi forte sibi evenerit certitudo extrinsecus per guam fiat in effectu. lgitur
ipsa in se et respectu sui esse est in potentia, sed haec certitudo extrinsecus adveniens est
forma. Comparatio autem hyle ad has duas intentiones similior est comparationi sìmplicis ad
id quod est genus et differentia guam comparationi compositi ad id quod est hyle et forma.
TRATIATO SECONDO- SEZIONE SECONDA 159

ma la prepara invece affinché, in virtù della forma, essa possa essere una
[determinata] cosa in atto. La sua sostanzialità non significa se non che essa è
"qualcosa (amr) che non è in un soggetto" 83 , laddove ciò che vi viene afferma-
to è che essa è "qualcosa" (amr), mentre il fatto che essa non è in un soggetto,
è una negazione. [Ora, dal fatto] che essa è "qualcosa" non consegue che essa
sia una cosa determinata in atto, perché questo è un qualcosa di comune [ad
altro], e una cosa, in virtù di ciò che è comune, non viene a essere alcunché in
atto, finché non ha una differenza che le sia propria: la differenza [della mate-
ria] starebbe [allora] nell'essere preparata a ogni cosa e la sua forma,- quella
che si riterrebbe sua - starebbe nel fatto che essa è qualcosa che è "preparato
a" e che riceve. Ma dunque per la materia (hayiilii) non c'è una realtà in virtù
della quale essa sia in atto e un'altra realtà [in virtù della quale essa sia] in
potenza; a meno che non le sopraggiunga una realtà dall'esterno: [allora] essa
viene ad essere in atto in virtù di questa [realtà] -e questa realtà è la forma-
mentre in se stessa e per quanto riguarda la considerazione dell'essere della
sua essenza, essa è in potenza. E il rapporto della materia (hayiilii) con queste
due intenzioni84 è più simile al rapporto [istituito dal] semplice nei confronti di
quel che è genere e differenza [specifica], che al rapporto del composto con
quel che è materia (hayùlii) e forma.
E qm ciò è evidente che la forma della corporeità in quanto tale ha biso-
gno di una materia (miidda); e poiché la natura della forma della corporeità in
se stessa, in quanto forma di corporeità, non ha differenze, essa è una natura
una e semplice che non può specificarsi in virtù di differenze che si introduca-
no in essa in quanto corporeità; se vi si introducessero delle differenze, infatti,
esse sarebbero cose che le si aggiungerebbero dali' esterno e sarebbero ancora
una delle forme che accompagnano la materia: il loro statuto insieme ad essa
non sarebbe quello delle vere differenze. Ne è prova evidente il fatto che,
quando la corporeità [di una cosa] differisce dalla corporeità di un'altra
[cosa] 85 , ciò è in virtù del fatto che [per esempio] una [cosa] è calda e l'altra è
fredda o che questa ha una natura celeste 86 e quella una natura terrestre.
Questa [forma di corporeità] non è [69] come l'estensione (miqdiir) 87 , che in

Manifestum est igitur'ex hoc quod forma corporeitatis inquantum est forma corporeitatis
eget materia et quod natura formae corporeitatis, inquantum est forma corporea, ipsa in se
non diversificatur, quia est una natura simplex, quae non potest specificari differentiis super-
venientibus sibi inquantum est corporea. Sed si supervenerint [79] differentiae quae sint res
sibi extrinsecus adiunctae, erunt aliquae ex formis separabilibus a materia, et iudicium de eis
non eri t quale est iudicium de veris differentiis.
Manifestatio autem huius haec est quod una corporeitas non diversificatur ab alia corpo-
reitate, nisi quia haec est calida et illa frigida, ve! quia ista est natura caelestis et illa habet
naturam terrestrem. Non est autem hoc sicut mensura quae non est in se res terminata inte-
160 [69]

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rim dum non specificatur in lineam ve! superficiem ve! corporalem, nec sicut numerus qui
non est res terminata interim dum non specificatur in duo vel tria ve! quattuor; qui, cum ter-
minatur, non terminatur per aliquid sibi extrinsecus adiunctum quasi natura generalitatìs,
sicut quantitas et numeralitas, non si t sine illa natura existens et potens signarì, nisi adiunga-
tur sibi natura qua specificetur; immo dualitas ipsa est numeralitas quae dicitur de dualitate
et appropriatur per eam, et longitudo ipsa est ipsa quantitas quae dicitur de ea et approprìatur
per eam. Hic autem non est sic, quia cum corpo-[80jreitati adiuncta fuerìt alia forma quae
non est differentia quam putant, eius coniunctio cum corporeitate non faciet corporeitatem,
TRATTATO SECONDO- SEZIONE SECONDA 161

se stessa non è alcunché di dato finché non si specifica in quanto linea o super-
ficie o corpo; né è come il numero che non è alcunché di dato finché non si
specifica come due o tre o quattro. Inoltre, quando [l'estensione o il numero] 88
si attuano [come un che di dato], ciò non accade in quanto si aggiunge loro
qualcosa dall'esterno, [come se] al di sotto della natura generica89 - come
quella dell'estensione o quella numerica- vi fosse una natura sussistente, desi-
gnabile, alla quale si aggiungesse un'altra natura così da specificarsi in virtù di
questa. Al contrario, la stessa natura della duplicità è la [natura] numerica che
si predica della duplicità e che propriamente le appartiene, e la stessa longitu-
dinalità è la [natura] estensionale che di questa si predica e che propriamente le
appartiene. Nel nostro caso, invece, non è così: quando alla corporeità si
aggiunge un'altra forma, non è che questa data forma, che è ritenuta una diffe-
renza [specifica], e la corporeità costituiscano in virtù della loro riunione una
"corporeità". Al contrario! La corporeità sarà una delle due [forme] 90 , data e in
se stessa realizzata. Infatti, noi qui con "la corporeità" intendiamo dire quella
che è come la forma, non quella che è come il genere; e hai già appreso la dif-
ferenza fra le due [cose] nel Libro della dimostrazione 91 ; qui ti verrà dato un
chiarimento e una dimostrazione di tale [questione], ma la differenza tra le due
[cose] l'hai già individuata in quel che ti si è chiarito e reso evidente.
Infatti, le [varie] specie di tutto ciò che è estensione possono differire in
virtù di cose che appartengono loro in se stesse, ma quanto all'estensione in
senso assoluto, in se stessa essa non ha nessuna di queste [cose]: l'estensione
in senso assoluto non ha alcuna essenza stabilita se non in quanto è una linea o
una superficie; ed è quando essa sì dà come linea o come superficie che può
essere che alla linea appartenga in se stessa di differire dalla superficie in virtù
di una differenza che si dà per la natura dell'estensione [in quanto] linea o
superficie.

quia corporeitas quae est una ex illis est terminata in se et certificata, nisi intellexerimus hic
corporeitatem eam quae est sicut forma, non quae est sicut genus. lam autem nosti differen-
tiarn inter illa in Libro demonstrationum. Hoc autem adhuc arnplius monstrabimus, quarnvis
ex praedictis iarn certificatus sis de differentia inter illa. Quod enim fuerit sicut mensura,
species eius poterunt differre per aliqua quae sunt in eis; mensura vero absoluta non habet in
se aliquid horum, quoniarn mensurae absolutae non acquiretur essentia in se, nisi fuerit linea
ve! superficies; cum autem fuerit linea ve! superficies, poterit tunc linea differre a superficie
per differentiam quae facit naturarn quantitativam esse linearn vel superficiem.
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Corporeitas vero quam designavimus est in seipsa natura acquisita: non enim acquirit
sibi specialitatem suam aliquid quod adiungatur ei, ita ut, si putaremus non esse adiunctum
corporeitati aliquid, ipsa non esset corporeitas, sed est corporeitas tantum, quae non potest
esse acquisita in nostra anima nisi materia et continuatio. Similiter [81] etiam fit, si posueri-
mus cum continuatione aliquid aliud, non quod continuatio non acquiritur nobis nisi per
adiunctionem eius cum illa: aliis etiam rationibus manifestabitur quod continuatio non est in
effectu sola. Non enim quia res non est in effectu, ideo non est acquisita eius natura: albedo
enim et nigredo unaquaeque est acquisita natura et intentio propriata proprietate quam habet
in seipsa, et tamen non habet esse in effectu nisi in materia.
TRATI ATO SECONDO- SEZIONE SECONDA 163

[70] La corporeità di cui stiamo parlando, invece, è in se stessa una natura


data; la sua specificità [cioè] non si dà in virtù di qualcosa che le si aggiunge
come se, immaginando che alla corporeità non si sia aggiunto nulla e che anzi
essa sia [solo] corporeità, nelle nostre anime non si potesse avere 92 che una
·materia e una continuità soltanto93 • E analogamente, quando con la continuità
stabiliamo [esistente] qualcos'altro, ciò non è perché per noi la continuità non si
dà in se stessa se non in virtù del fatto di essere in relazione con [qualcos'altro]
e di esserne accompagnata, ma invece perché, con altri argomenti [probanti],
risulta evidente che la continuità non esiste in atto da sola. Ma il fatto che una
data cosa non esista in atto [da sola] non [significa] che la sua natura non sia
qualcosa di dato: [nel caso del] bianco e del nero, infatti, la natura di ognuno dei
due si dà secondo un'intenzione determinata, la più completa nella sua determi-
nazione, che è quella che riguarda la sua essenza; poi però nessuno dei due può
esistere in atto se non in una materia.
Quanto all'estensione in senso assoluto, è impossibile che essa si dia come
natura designabile, se non in quanto se ne fa obbligatoriamente una linea
oppure una superficie, in modo che sia possibile che esista. [Cioè] non è che
l'estensione possa esistere come estensione, e che poi a questo segua che essa
sia una linea o una superficie, nel senso in cui queste sarebbero qualcosa senza
di cui [l'estensione] non esisterebbe94 in atto, pur avendo un'essenza data.
Non è così. Anzi, si ha rappresentazione della corporeità che esiste in virtù
delle sue cause - quelle in virtù delle quali e nelle quali essa esiste - essendo
essa soltanto corporeità, senza aggiunta, mentre non si ha rappresentazione
dell'estensione che esiste in virtù delle sue cause- quelle in virtù delle quali e
nelle quali essa esiste - essendo essa soltanto estensione, senza aggiunta. Una
data estensione, infatti, ha bisogno per sé di differenze per esistere come qual-
cosa di dato e tali differenze sono entità ad essa essenziali e non comportano
che per via della loro attuazione essa divenga qualcosa di diverso dall'esten-

Mensura vero absoluta, impossibile est ut sit natura aliqua, nisi ponatur necessario linea
ve! superficies, et sic potest habere esse, non quod menstira possit esse mensura et deinde
sequatur ut si t linea ve! superficies. Ipsa enim est res quae non habet esse in éffectu sine illa,
quamvis si t acquisita essentia eius. Hic autem non est sic; corporeitas enim imaginatur esse
per causas per quas et in quibus habet esse,< ... > et est mensura tantum sine additione. Unde
mensura in se eget differentiis quibus fiat res acquisita, et ipsae differentiae essentiales sunt
164 VI [71]

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ei, sed tamen non faciunt debere ipsam esse aliquid aliud a mensura. Ergo potest esse ut
mensura differat a mensura in aliquo quod est ei per essentiam.
[82] Forma vero corporeitatis, inquantum est corporeitas, est una natura simplex acqui-
sita non habens in se diversitatem, et ideo forma corporeitatis simplicìter non differt a forma
corporeitatis simpliciter per differentiam intrantem in corporeitatem. Quod enim sequitur
TRATI ATO SECONDO - SEZIONE SECONDA 165

sione: [71] perciò è possibile che un'estensione differisca da un'altra estensio-


ne95 in qualcosa che le appartiene per essenza96 •
Quanto alla forma della corporeità in quanto corporeità, ebbene essa è urta
natura una, semplice, [in sé] data, senza differenziazione al proprio interno; e
una pura forma della corporeità non differisce 97 da un'altra pura forma de]\a
corporeità in virtù di una differenza che sia interna alla corporeità. Quel che la
accompagna, [d'altronde], la accompagna soltanto in quanto98 è qualcosa di
esterno alla sua natura: perciò non può esservi una corporeità che abbia biso-
gno di una materia e una corporeità che non abbia bisogno di una materia. I
concomitanti esterni non possono, sotto nessun aspetto, dispensarla del biso-
gno della materia; il bisogno della materia, infatti, è soltanto della corporeità e
di ogni [cosa] dotata di materia per sé, ed è della corporeità in quanto corpo-
reità, non in quanto essa è una corporeità insieme a un qualche concomitante.
Così si rivela evidente che i corpi sono composti di una materia e di una
forma.

eam, non sequitur nisi quia est extra naturam eius. lgitur impossibile est ut sit corporeitas
egens materia, et corporeitas non egens materia. Consequentia enim quae sunt extra naturam
eius, non sunt sufficientia ad hoc ut ipsa non egeat materia. Non est enim opus materia nisi
corporeitati inquantum est corporeitas cum consequenti et omni habenti materiam propter se
< ... >. Iam igitur manifestum est quod corpora composita sunt ex materia et forma.
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III
CAPITULUM QUOD MATERIA CORPORALIS NON SPGLIATUR A FORMA

Dicemus nunc quod haec materia corporalis non potest esse in effectu spoliata a forma,
sicut ostendemus in proximo: iam enim ostendimus quod ql!icquid est, in quo iam est alì-
quid existens acquisitum in effectu, et est etiam in eo praeparatio ad recipiendum aliud, illud
est compositum ex materia et forma; materia vero ultima non est composita ex materia et
forma nec potest esse sine forma. Ipsa [83] enim intellecta absque forma corporali, necessa-
rio ve! haberet situm et locum secundum esse quod haberet tunc, ve! non.
167

[SEZIONE TERZA]

A PROPOSITO [DEL FATTO] CHE LA MATERIA CORPOREA


NON SI SPOGLIA DELLA FORMA

Diremo, ora, che è impossibile che questa materia corporea esista in atto
spogliata della forma. Questa affermazione la chiarisce rapidamente quanto
abbiamo già messo in evidenza [e cioè] che ogni essere in cui esista qualcosa
che è in atto, dato e sussistente, e [in cui esista] anche una preparazione a rice-
vere qualcos'altro, è un composto di materia e forma, mentre la materia ultima
non è composta di materia e forma.
Inoltre, se [la materia] si separasse dalla forma corporea, non si sfuggirebbe
a una delle due [possibilità]: essa avrebbe- o non avrebbe- una posizione e
una localizzazione 99 per l'esistenza che allora le spetterebbe. Se avesse una
posizione e una localizzazione e potesse dividersi, avrebbe senz'altro un'esten-
sione, mentre si era supposto che non l'avesse; se invece non potesse dividersi,
pur avendo una posizione, allora sarebbe senz'altro un punto, in essa potrebbe
terminare una linea e - secondo quanto hai appreso in altri luoghi - non potreb-
be essere un'entità singola e isolabile.
Se poi questa sostanza non avesse posizione e non fosse designabile, ma
fosse anzi come le sostanze intelligibili 100, si avrebbero necessariamente [anco-
ra due possibilità]: o la dimensione data le inerirebbe interamente d'un colpo;
oppure essa si muoverebbe [per ottenere] perfettamente la propria estensione
con un movimento continuo.
Ora, se l'estensione le inerisse d'un colpo e si desse semplicemente con il
suo [stesso] determinarsi in una localizzazione [ad essa] appropriata, l'esten-
sione dovrebbe esserle sopraggiunta come già propria di una [certa] localizza-
zione; altrimenti, nessuna localizzazione ne sarebbe stata [73] degna più di

Si autem haberet situm, tunc ve! posset dividi, et lune sine dubio esset habens mensu-
ram; sed iam posita est non habens mensuram; ve! non posset dividi. Si vero non posset
dividi et haberet situm, tunc sine dubio punctus esset et esset possibile lineam protrahi usque
ad eam; non enim posset esse per se solum et terminata, sicut nosti alias. Si autem haec suh-
stantia non haberet situm, ita ut non posset designari, sed esset sicut substantiae intelligibi-
les, tunc necesse esset ut spatium quod habet, ve! adveniret ei totum subito, vel ipsa movere-
tur ad perfectionem mensurae suae motu continuo. Si autem adveniret totum subito, tunc
ipsa iam existeret cum sua mensuratione in loco proprio, et mensura inveniret eam appro-
priatam loco proprio, alioquin unus locus non esset ei potius quam alius, sed mensura iafh
168 V'(' {73]

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invenit eam ibi ubi coniungitur ei; igitur sine dubio inveniret eam [84] in loco in quo esset.
lgitur substantia illa esset habens locum. Ponamus autem illam non esse sensibilem; iam
enim posita est non habens locum ullo modo, et hoc est contrarium. Non potest autem esse
ut locum haberet subito cum reciperet mensuram: mensura enim, si inveniret eam essentem
non in loco, tunc mensura quae coniungitur ei esset etiam non in loco, nec esset ei occurrens
in aliquo proprio ex locis diversis quos habere potest; tunc igitur esset non habens locum, et
hoc est inconveniens; ve! esset in quolibet loco quem possibile esset habere. nec appropria-
retur uni potius quam alii. sed hoc similiter est inconveniens.
Hoc autem manifestius fiet si aestimaverimus hyle alicuius glebae exspoliatam, et dein-
de advenire in eam formam illius glebae. Tunc non potest concedi quod forma veniat in eam
non existentem in suo loco, nec potest esse ut gleba sit in quolibet Ioco qui est glebae locus
TRATI ATO SECONDO- SEZIONE TERZA 169

un'altra; l'estensione le sarebbe quindi sopraggiunta là dove le si fosse


aggiunta e cioè le sarebbe sopraggiunta senz'altro quando essa era nella loca-
lizzazione in cui si trovava; tale sostanza 101 sarebbe stata quindi localizzata,
pur potendo non essere sensibile; eppure si era supposto che non fosse affatto
localizzata, e ciò è contraddittorio.
Né [d'altronde] può essere che la localizzazione si dia d'un colpo, con la
ricezione dell'estensione. Infatti, se l'estensione le sopraggiungesse, pur non
trovandosi [la materia] in nessuna localizzazione, l'estensione [si troverebbe]
ad accompagnarla senza essere in una localizzazione; essa [cioè] non le
sopraggiungerebbe in una localizzazione determiniata 102 tra le diverse localiz-
zazioni che di essa si potrebbero predicare e [la materia] non avrebbe alcuna
localizzazione - cosa che è impossibile - oppure si troverebbe in ogni localiz-
zazione che può appartenerle, senza avere come propria una di esse [in partì-
colare]; e anche questo è impossibile.
E ciò appare ancor più manifesto se noi ci immaginiamo la materia
(hayillii) di una certa argilla in cui, già libera [della forma], dovesse poi darsi
la forma di quella certa argilla. Dunque: non può essere che [la forma] si dia in
essa senza che essa si trovi in una localizzazione, ma non può neppure essere
che quella tale argilla si determini in ogni localizzazione che in potenza è una
localizzazione naturale per l'argilla. L'"essere argillosa" (al-madariyya),
infatti, non la rende tale da occupare ogni localizzazione deUa sua specie, ma
neppure la rende più degna per una certa direzione della sua localizzazione ad
esclusione di un'altra direzione. [L'argilla] non può esistere se non in una
direzione determinata fra tutte le localizzazioni, ma non può essere che essa si
dia in una direzione determinata senza che, fra i [vari] stati, qualcosa la deter-
mini a tale [direzione]. Infatti, [qui] non si ha che l'accompagnarsi di una
forma a una materia, cosa - questa - che si predica però comunemente quando
[l'argilla] si dà in una qualunque delle diverse direzioni naturali delle parti
della terra. E hai già appreso che il fatto che la localizzazione si dia in questo
modo 103 in una data direzione avviene, quando avviene, solo in ragione del
fatto che [la cosa] cade in prossimità di essa [o] per la violenza esercitata da
qualcosa che determina tale prossimità con il dirigersi (74] proprio in quel

naturalis in potentia: forma enim glebae non facit eam occupare omnem locum suae speciei
nec ponit eam aptiorem uni plagae sui termini quam alii. Nec potest esse ut sit, nisi in plaga
quae est ei propria de universitate omnium locorum, nec potest esse in plaga propria non
habens dispositionem aliquam appropriantem eam illi: non enim est coniunctio formae curn
materia ad hoc ut habeat se [85] communiter ad essendum in qualibet plagarum quae sunt
naturales partibus terrae. Iam enim nosti, quod huiusmodi adventus in plagam loci non est in
eo in quo est, nisi ve! ob hoc quod accidit ei esse circa eum propter violentiam cogentis qui
appropriavit ei ipsum fieri circa illam plagam veniendo ad ipsum locum motu recto, ve! quia
inceperit esse ibi secundum illam propinquitatem, vel quia ceciderit ibi propter appropriatio-
170 Vt [74]

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nem, aliquo transmutante eam; iam autem satis dictum est de hoc. Hyle autem quae est in
gleba non appropriatur exspo\iata; forma etiam glebeitatis non est debita plagae nisi cum
motione habuerit comparationem cum illa plaga; immo propter ipsam comparationem tan-
tum, non propter suum esse hyle prius et propter suam acquisitionem formae posterius qua
appropriatur, quasi illa comparati o sit situs aliquis. Similiter etiam est si hyle receperit men-
suram plenarie, non subito, sed secundum infusionem; omne enim quod infunditur partes
habet, et omne quod habet partes habet [86] situm, tunc substantia illa est habens situm et
locum; prius vero non habebat situm nec locum; igitur hoc est inconveniens.
TRATIATO SECONDO - SEZIONE TERZA 171

dato luogo, con un movimento rettilineo, oppure perché fin dall'inizio [questo
qualcosa] è venuto ad essere in quel punto; ed è o in virtù di una tale prossi-
mità, oppure [in virtù] del fatto che [la cosa] vi cade per la traslazione [opera-
ta] da qualcos'altro che si ha la determinazione [delluogo] 104 • E a questo pro-
posito, ti puoi ritenere soddisfatto con quel che si è detto.
La materia (hayulii) che [appartiene] all'argilla, dunque, una volta liberata
[dalla forma], non ha una propria determinazione 105, e inoltre la forma
dell'"essere argilloso" non si trova in una data direzione, a meno che non
abbia un qualche rapporto con quella data direzione 106 ; [ma questo] per via di
quello [stesso] rapporto, non per il fatto che [la materia] è in primo luogo
materia (hayulii), e neppure perché, essa, in secondo luogo, acquisisce la
forma 107 che le è appropriata; e quel rapporto dovrebbe consistere in una cena
posizione.
E così, se invece [la sostanza]l 08 ricevesse l'estensione secondo perfezione,
non d'un colpo ma al contrario per [progressiva] espansione e nel senso in cui
tutto ciò cui appartiene di per sé di espandersi ha direzioni, poiché qualunque
cosa abbia direzioni è dotata di posizione, ecco che tale sostanza sarebbe dota-
ta di una posizione e di una localizzazione, mentre si era detto che non avesse
né posizione né localizzazione; e questo è contraddittorio.
[Ora], quel che ha reso necessario tutto ciò è la supposizione [che abbia-
mo fatto, secondo la quale tale sostanza]l 09 si separerebbe dalla forma corpo-
rea; quindi è impossibile che essa esista in atto se non [in quanto] sussiste in
virtù della forma corporea.
E come [d'altronde] un'entità 110 che non avesse localizzazione 111 , né in
potenza né in atto, potrebbe ricevere la quantità? È quindi evidente che la
materia non permane separata [dalla forma].
Non si sfuggirebbe, inoltre, a una delle due possibilità: o l'esistenza della
materia consìste nell'essere un ricettore che sia dunque sempre tale da ricevere
qualcosa, senza [mai] spogliarsi della propria ricettività 112 ; oppure le appartie-
ne un'esistenza propria, sussistente, cui successivamente si accompagna [la
capacità] di ricevere: in virtù del suo essere, proprio e sussistente, [la materia]
sarebbe allora non dotata di quantità e non dotata di localizzazione 11 3, e [75]

Quod autem facit debere sequi haec omnia, fuit nostra positio de separatione hyle a
forma corporali; igitur impossibile est ut sit in effectu nisi constituta a forma corporali.
Quomodo enim essentia quae non habet locum in potentia nec in effectu erit receptiva quan-
titatis? Manifestum est igitur quod materia non remanet separata.
ltem non potest esse quin ve! ipsum esse eius sit esse semper receptivum alicuius, non
exspoliatum a recepto, ve! sit sibi esse proprium prius, et deinde sequatur ut recipiat. Tunc
igitur in suo esse proprio, quod haberet prius, esset non habens quantitatem. Iam igitur con-
sti tuta esset nondum habens quantitatem nec terminum. Tunc ergo mensura corporalis quae
172 vo [75]

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accideret ei et faceret eius essentiam eiusmodi quod posset habere in potentia partes alicuius
dimensionis, esset postquam essentia eius iam constituta fuisset substantia in seipsa, non
habens terminum nec quantitatem nec receptionem divisionis. Sed esse eius proprium per
quod ipsa in se praecederet, non esset [87] remanens omnino cum multiplicaretur. Igitur hoc
quod praecederet non habens terminum et quod non dividitur in aestimatione, propter acci-
dentale contingeret removeri ab ea, scilicet propter adventum accidentis in eam, per quod
constitueretur effectus. Si autem illa unitas fuerit non qua constituitur hyle, sed ad aliquid
aliud est, et quod nos posuimus esse proprium, fuerit non proprium esse eius quo constitui-
tur, tunc materia erit habens formam accidentem si bi, existens < ... > non una in potentia.
Igitur inter has duas res erit aliquid commune quod est receptibile illarum duarum rerum,
quod eiusmodi est quod aliquando est in sua existentia non divisibile, et aliquando est in sua
potentia divisibile, scilicet potentia propinqua quae non habet medium.
TRATTATO SECONDO- SEZIONE TERZA 173

l'estensione corporea sarebbe ciò che, essendo accaduto a questo suo [essere],
ne avrebbe reso l'essenza tale da avere in potenza delle parti; [e ciò] dopo che
alla sua essenza fosse dato di costituire una sostanza in sé 114 non dotata di
localizzazione, né di quantità, né di divisibilità.
Ora, se l'essere che le è proprio, quello in virtù del quale [la materia] sussi-
ste115, non permanesse assolutamente al momento del [suo] moltiplicarsi, allo-
ra a qualcosa che sussiste in modo da non avere localizzazione 116 e da non
essere divisibile -né nell'immaginazione [estimativa] né per supposizione 117
-accadrebbe di essere abbandonato da ciò in virtù di cui sussiste in atto; [e
questo] a causa del sopraggiungere di qualcosa di accidentale! Invece, se tale
[sua] unicità 118 non si dovesse a ciò in virtù di cui la materia (hayilla) sussi-
ste119, ma a qualcosa d'altro- e ciò che abbiamo supposto come un essere pro-
prio per [la sostanza della materia]l 20 non fosse un essere proprio in virtù del
quale essa sussiste -, allora alla materia (madda) dovrebbero accadere una
forma in virtù della quale essere una, in potenza e in atto, e un'altra forma in
virtù della quale essere non una, in potenza e in atto 121 . Ma in tal modo, fra le
due cose 122 vi dovrebbe essere qualcosa di comune: si tratterebbe del ricettore
delle due cose che di per sé verrebbe ad essere, una volta, tale da non avere
nella sua potenza da dividersi e, un'altra volta, tale da avere nella sua potenza
da dividersi; e intendo [dire] nella potenza prossima, quella per cui non c'è
alcun medio 123 .
Supponiamo adesso questa sostanza [e supponiamo] che sia venuta ad
essere in atto due [cose]; ognuna delle due sarebbe numericamente diversa
dall'altra e lo statuto ùi [ognuna delle due] starebbe nel separarsi dalla forma
corporea. Si separi allora ognuna delle due dalla forma corporea: ecco che
ognuna delle due permarrebbe come una sostanza una, in potenza e in atto. E
supponiamo che [questa] stessa [sostanza] non sia divisibile, ma che la forma
della corporeità l'abbia abbandonata in modo tale che essa permanga una
sostanza una in potenza e in atto; ecco che non si sfugge a una delle due possi-
bilità: o in se stessa questa che permane come sostanza - e che non è un corpo
- è in se stessa simile a quella che è come una parte di esso 124 e che permar-
rebbe tale, liberata [dalla forma], oppure ne differisce.

Ponamus igitur quod haec substantia iam fiat in effectu duae, quarum unaquaeque sit
alia numero ab alia, et iudicium utriusque sit quod separata sit a forma corporali. Separatur
ergo unaquaeque earum a forma corporali, et remanebit tunc unaquaeque earum sub-
[88]stantia una in potentia et effectu. Et ponamus etiam ipsam quod non dividatur, sed quod
separata si t ab ea forma corporalis, ita ut remaneat ipsum substantia una in potentia et effec-
tu. Igitur non potest esse quin ve! illud quod remansit substantia, et illud non corpus sit
ipsum tale qualis est pars eius quae remansit sic exspolìata, ve! sit diversum ab eo. Si autem
fuerit diversum ab eo, necesse est tunc ut ve! si t hoc eo quod remansit hoc et annihilatum est
174 [76]

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illud, vel e converso; vel utrumque remansit, sed appropriatur buie qualitas eius vel forma
quae non invenitur illi, vel differunt in superabundantia in mensura. Si autem remanserit
unum eorum et annibilatur alterum et fuerit natura eorum consimilis, non autem fecit annibi·
lari unum eorum nisi remotio formae corporalis, tunc oportet ut alterum annihiletur per sei-
psum. Si vero appropriatur buie qualitas sua et natura fuerit una, nec accidìt ei aliqua dispo-
sitio nisi separatio tantum formae corporalis, et cum bac dispositione non advenit nisi quod
sequitur ex ipsa disposi tione, tunc oportebit ut dispositio alterius sit similiter.
Si autem dixerint quod prima duo, quamvis duo sint, uniuntur tamen et fiunt unum,
dicemus absurdum esse duas substantias uniri. Si enim uniuntur et unaquaeque earum babet
TRA TI ATO SECONDO- SEZIONE TERZA 175

[76] Ora, se ne differisce, allora [nuovamente] non si sfugge a queste pos-


sibilità: o [ne differisce] perché questa permane [sostanza] mentre quella è
inesistente, oppure all'inverso, oppure permangono entrambe, però vi sono
una qualità o una forma che sono proprie dell'una e che non esistono per
l'altra 125 , oppure [le due] differiscono per una disparità che riguarda la misura
o la qualità o altro [e che è] successiva alla [loro] identità 126 •
Se una delle due permane, mentre l'altra è inesistente 127 , e la [loro] natura
è una, simile, ed è solo la rimozione della forma corporea ad aver reso inesi-
stente una delle due, allora dovrebbe essere resa inesistente in sé [anche]
l'altra.
Se poi a una è propria una qualità, ma la natura è una e, a parte la separa-
zione dalla forma corporea, insieme alla quale 128 non si è prodotto che quel
che necessariamente gli consegue, non si è prodotto [alcuno] stato, allora
anche lo stato dell'altra dovrebbe essere tale.
E se si dicesse: le prime due [materie], essendo due, si sono unificate e
sono divenute una [sola sostanza], diremo che è impossibile che due sostanze
si unifichino; infatti, se si unificano - ed ognuna di esse è esistente - sono due,
non uno; e se invece si unificano e una delle due è inesistente, mentre l'altra è
esistente, come si sarebbe potuto unificare l'inesistente con l'esistente? E se
invece nell'unificazione fossero entrambe inesistenti e a partire da esse avve-
nisse una terza cosa, allora non si sarebbero unificate, ma si sarebbero corrotte
e fra le due e la terza vi sarebbe una materia comune. Ma quello di cui noi
stiamo discutendo è la stessa materia, non una cosa dotata di materia.
Quanto poi al fatto che siano differenti per via di una disparità nell'esten-
sione o in altro, ebbene entrambe dovrebbero essere prive di una forma corpo-
rea e avere tuttavia una forma dell'estensione 129 , e questo è assurdo.
Se poi [le due cose] non differissero da nessun punto di vista, ciò vorrebbe
dire che lo statuto che [questa] cosa avrebbe, se non se ne fosse distaccato ciò
che è diverso da essa, sarebbe lo stesso statuto che essa avrebbe una volta che
questo se ne fosse distaccato; e che lo statuto [della cosa presa] con qualcosa
di diverso da essa e lo statuto [della cosa presa] [77] da sola, e da ogni punto

esse, tunc sunt duo, non unum. Si autem uniuntur ita ut unum eorum desinat esse et alterum
habeat esse, tunc quomodo potest esse ut id quod non est uniatur cum eo quod est? Si vero
utrumque desini t esse in uni tione [89] et provenit aliquid tertium ex eis, tunc sunt non unita,
sed annihilata, inter quae et tertium est materia communis; noster autem senno est de ipsa-
met materia, non de eo quod habet materiam. Si autem differunt in superabundantia mensu-
rae, tunc oportet ut sint non habentia formam corporalem et sint habentia formam mensura-
lem, quod est contrarium. Si autem non differunt ullo modo, tunc iudicium de re, scilicet
quod non separetur ab ea id quod est praeter eam, et iudicium quod separetur ab ea id quod
est praeter eam, est omnino unum iudicium, quod est inconveniens, scilicet quia iudicium de
176 vv (77]

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l• .:.1\j .>~_,11 Ju4 ~ ~.;l.ull ~ iJ~ .JL.,•.~J. ~~

parte subiecti et de toto subiecto esset unum omnimodo, scilicet esset quod res non minuere-
tur curo aliquid ab ea acciperetur sicut curo non acciperetur ab ea aliquid, et esset de eo iudi-
cium unum curo non adderetur ei aliquid sicut curo adderetur ei aliquid. Et omnino quicquid
potest concedi in aliqua hora esse duo, in natura suae essentiae est aptitudo divisionis, et
impossibile est hoc separari ab eo, sed fortasse prohibebit ab hoc accidentale quod non est
aptitudinis; illa autem aptitudo divisionis nihil est nisi per coniunctionem mensurae curo
essentia.
Restat ergo ut materia non spolietur a forma corporali, et quia haec substantia non fuit
facta quanta nisi propter mensuram quae requievit in ea, tunc non est quanta ex ipsa. Non
TRA TIATO SECONDO- SEZIONE TERZA 177

di vista, sarebbero uno [stesso] statuto; [ma] questo è assurdo. Intendo dire che
[è assurdo che] lo statuto di una parte del soggetto e lo statuto dell'intero siano
da ogni punto di vista uno [stesso statuto] e cioè che, essendo la cosa tale da
non diminuire 130 in quanto se ne prende una parte (say'), essa equivalga [a
come era] se se ne prende [una parte] 131 , e che il suo statuto, quando non le si
aggiunga alcunché, sia lo stesso di quando le si aggiunge qualcosa.
Insomma, ogni cosa che in un certo momento possa venire ad essere due
[cose] ha nella natura della propria essenza la preparazione alla divisione, da
cui non può separarsi; e tuttavia può essere impedita dal dividersi in virtù di
qualcosa che [le] accade 132 [e che è] diverso dalla preparazione della [sua]
essenza. E tale preparazione è impossibile se l'estensione non accompagna
l'essenza [della cosa]1 33 .
[Quel che] resta [da affermare] è dunque che la materia 134 non si spoglia
della forma corporea; e poiché questa sostanza 135 viene ad essere una quantità
solo in virtù di un'estensione 136 che le inerisce, essa non è in sé una quantità.
Non è necessario, quindi, che la sua essenza sia determinata a ricevere proprio
una certa dimensione (qufr) e non un'[altra] dimensione, e una misura (qadr) e
non un'altra misura; [e questo] anche se la forma della corporeità è una e il
rapporto di quel che in sé è indivisibile e non quantificabile - e che anzi è
divisibile in parti e quantificabile solo in virtù di altro da sé- è [sempre] uno
[stesso] rapporto, con qualunque estensione la cui esistenza sia ammissibile.
Altrimenti, [la materia] avrebbe in sé un'estensione che potrebbe applicarsi a
ciò che le è eguale ma non a ciò che è maggiore di essa. E a partire da ciò è
evidente che la materia può rimpicciolirsi per condensazione e può ingrandirsi
per rarefazione, che è poi qualcosa di avvertibile con i sensi 137 • Anzi, è neces-
sario che il fatto che per essa si determini l'estensione sia in ragione di una
causa che esiga che esista [proprio] questa determinata [78] estensione. Questa

oportet igitur ut sit proprium suae essentiae recipere unam dimensionem tantum et [90] nul-
lam aliam dimensionem, nec unam tantum mensuram et non aliam. Si igitur forma corpora-
lis esset una, tunc comparatio eius quod non est divisibile nec quantitativum in sua essentia
quia non partitur nec quantitatur nisi per aliud a se, ad aliquam mensuram quae potest esse,
esset una comparatio; alioquin mensura esset in seipsa et adaequaretur ei quod esset sibi
aequale, quamvis non separetur ab eo ulla pars.
Manifestum est igitur ex hoc quod materia potest minorari constrictione et potest augeri
dilatatione, et hoc sensibile est; oportet autem ut mensura alternetur in ea propter causam
quam convenit esse. Necesse est enim ut ipsa causa vel sit formae et accidentia quae sunt in
178 VA [78]

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.:..~iJI J.li Jf' ;,j:._ .J}l..l .ci~ • ~ \la.J ' -'\.i J l. ii..>_,.,..l ~

materia, ve! alia res extrinseca. Si autem causa de hoc esset res extrinseca, ve! esset acqui-
rens ìllam mensuram terminatam mediante alia impressione, ve! causa proprìae aptitudìnis.
Tunc iudicium de hoc et iudicium de divisione prima esset unum, et contingeret quod quan·
titates corporum variarentur propter diversitatem suarum dispositionum; ve! non esset acqui-
sitio propter causam illius et suae [91] mediationis, et tunc corpora essent aequalia ad pro·
merendum quantitatem et aequalia ad spatium promerendum, et hoc est falsum.
Cum hoc etiam non oporteret ut ex ea causa adveniret spatium unum tantum et non
aliud, nìsi propter alìquìd: ìnte\ligo autem per hoc quod dico aliquid condicionem quae
adiungitur materiae per quam meretur mensuram desigmltam, non ob hoc quod ipsa est
materia quae imaginetur habere quantitatem, sed quia aliquid est materiae propter quod
TRATTATO SECONDO- SEZIONE TERZA 179

causa 138 non potrà poi che essere o una delle forme e uno degli accidenti che
sono nella materia, oppure una causa che proviene dali' esterno.
Ora, se è una causa che proviene dall'esterno: o essa procura tale estensio-
ne determinata 139 in virtù della mediazione di qualcos'altro, oppure a causa di
una preparazione propria [della materia]; [in quest'ultimo caso], però lo statu-
to di questa [seconda ipotesi] e lo statuto della prima sarebbero uno stesso sta-
tuto che rimanderebbe al fatto che le estensioni dei corpi differiscono per via
della differenza degli stati [dei corpi] 140 • D'altra parte, se il fatto che [la causa]
procuri [tale estensione] non fosse a causa di tale [altra cosa] e in virtù della
sua mediazione, i corpi sarebbero [tutti] eguali nell'avere diritto alla quantità e
sarebbero eguali nei loro volumi; e questo è falso. Con ciò, tuttavia, non è
necessario che da questa causa derivi un volume determinato e non un altro
volume, se non per via di un certo qualcosa e con questo "qualcosa" intendo
una condizione che si aggiunge alla materia e in virtù della quale essa ha dirit-
to a una determinata estensione, non a causa del fatto stesso di essere materia
e neppure a causa del fatto che per essa vi è qualcosa che la conformi nella
quantità, ma piuttosto [a causa di qualcosa) che sia per la materia ciò per cui
essa ha diritto a che, quel che la conforma, la conformi con quel certo volume
e [quella certa] quantità 141 •
[l corpi] 142 possono differire [o] in senso assoluto per la specie oppure,
senza differire per la specie in senso assoluto, per la maggiore o minore inten-
sità, anche se la maggiore e minore intensità sono assimilabili alla differenza
che riguarda la specie. Tra il differire per la specie in senso assoluto 143 e il dif-
ferire per la maggiore o minore intensità c'è però una differenza (mul;iilafa)
che è nota a coloro che considerano [la questione]: è infatti noto che la materia
(hayillii) può in se stessa disporsi ad [accogliere] estensioni differenti; e anche
questo è un principio della fisica 144 .
[Vediamo] inoltre che ogni corpo è senz'altro determinato a una certa loca-
lizzazione e che la localizzazione non gli è propria in quanto è corpo, altrimenti
ogni corpo avrebbe la medesima [localizzazione] 145 : [il corpo] è senz'altro

meretur imaginari illius spatii et illius quantitatis. Et potest concedi quod diversificetur spe-
cie absolute, et potest concedi quod diversificatur secundum fortius et debilius, non secun-
dum speciem absolute, quamvis id quod est fortius et debilius proxima si t diversitati quae fit
specie. Sed inter diversitatem quae est specie absolute et inter diversitatem quae est inter
fortius et debilius est manifesta differentia apud inquisitores. lam autem notum erat quod in
ipsa hyle adveniunt mensurae diversae, et hoc etiam est principium naturalium.
Et etiam quod omne corpus appropriatur sine dubio aliqua una [92] tantum partium, et
quod illa pars non est si bi propria inquantum est corpus, alioquin omne corpus haberet illam.
lgitur sine dubio appropriata est ei in se forma aliqua, et hoc manifestum est: ipsum enim
ve! est non recipiens figurationes et divisiones, sed est ei hoc propter aliquam formam qua
180 [79]

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adaptatum est ad hoc; ìpsum enim, inquantum est corpus, receptivum est eius; vel est recep-
tibile earum secundum facilitatem et difficultatem. Quomodocumque autem fiat, est secun-
dum aliquam formarum praenominatarum in naturalibus. Materia enim corporea non habet
esse separata a forma. fgitur materia non constituitur in effectu nisi per formam; igitur mate-
ria, cum spoliatur in intellectu, iam accipitur sic prout nullo modo habet esse sic.
TRATTATO SECONDO- SEZIONE TERZA 181

determinato ad essa a causa di una certa forma che è all'interno dello stesso
[corpo], e questo è evidente.
Infatti 146 , o esso è tale da non ricevere le configurazioni [79] e le distinzio-
ni - ed è quindi in virtù di una certa forma che viene ad essere tale, poiché in
quanto è corpo le riceve 147 -, oppure è tale da riceverle con facilità o con diffi-
coltà. Comunque sia, esso è secondo una delle forme menzionate nella Fisica.
La materia corporea, quindi, non esiste separata dalla forma, e anzi la materia
sussiste in atto solo in virtù della forma; dunque con il liberare la materia
[dalla forma] nell'operazione estimativa, se ne fa qualcosa che non è stabilito
nell' esistenza 148 .
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IV
CAPITULUM DE PRIORITATE FORMAE SUPER MATERIA.M IN ORDINE ESSENDI

Iam certificatum est quod materia corporalis non habet esse in effectu nisi per essentiam
formae, et etiam quod forma materialis non habet esse separ·ata a materia. Igitur necesse est
ut inter illa sit habitudo relationis, ita ut non intelligatur qui'iditas cuiusque earum nisi prae-
dicata respectu alterius. Sed non est ita. Nos enim intelligitnus multas ex formis corporali-
bus, et indigemus multa consideratione ad hoc ut stabiliamus quod materiam habent.
183

SEZIONE QUART A

SULL'ANTERIORITÀ DELLA FORMA RISPETTO ALLA MATERIA


NEL RANGO DELL'ESSERE

Ora, si è già validamente mostrato che la materia corporea sussiste in atto


solo con ('inda) l'esistenza della forma e anche che la forma materiale non
esiste separata dalla materia. Non si sfugge, dunque, a una delle due possibi-
lità: o fra le due vi è il legame di ciò che è relativo (mucjiif) - e allora la qukl-
dità di ciascuna di esse non viene intelletta se non [perché è] detta in relazione
all'altra- [oppure no]. Ma non è così [non vi è, cioè, il legame della relazi()-
ne]. Noi, infatti, abbiamo intellezione di molte forme corporee e abbiamo
bisogno di imporci un arduo compito per stabilire che ad esse appartiene una
materia; e aJJo stesso modo jntendjamo çuesta materia come Ja sostanza che è
preparata, ma con ciò non conosciamo, se non in virtù dell'indagine e della
speculazione [filosofica], che in ciò per cui essa è preparata debba esservi
qualcosa di essa in atto 149 •
Certo, in quanto essa è preparata, [la materia] è relativa alla [cosa] per ct1i
è preparata, e fra le due 150 vi è il legame della relazione; tuttavia il nostro
discorso riguarda quella certa rapportabilità che c'è fra le due entità 151 , senza
[considerare] la relazione che accade loro o sia loro conseguente; e come ciò
sia possibile, lo hai già appreso.
Inoltre, il nostro discorso riguarda quel che si ha tra la materia e la forma
in quanto esistenti, mentre la preparazione non comporta necessariamente un
legame con qualcosa che sia senz'altro esistente. Dunque, se un tale [legamt:]
può darsi, [81] è perché non si sfugge a una delle due possibilità: o il legame

Similiter hanc materiam intelligimus substantiarn adaptatarn, et tamen ex hoc non scimlts
quod [93] de eo ad quod est adaptata debeat esse in ea aliquid in effectu, nisi cum inquisitic,_
ne et consideratione. Verum est autem quod, inquantum est adaptata, relata est ad id quod
est adaptatum ad earn et est inter ea habitudo relationis. Nostra autem Iocutio est de respect.u
suarum essentiarum absque eo quod accidit eis de relatione ve! comitatur eas; iarn autein
scisti quomodo est hoc. Et etiam, quia nostra locutio est de dispositione inter materiarn ~t
formarn inquantum sunt: sed adaptatio non facit esse habitudinem rei quae habet esse si11e
dubio.
184 A\ [81]

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Si autem hoc possibile est esse, tunc necesse est ut sit i11ter illas habitudo ve! qualis est
inter causam et causatum, ve! qualis est duarum rerum q11ae sunt simul in esse, nullum
autem eorum est causa ve! causatum alterius; non enim f~otcit unum eorum esse alterum.
Omnia autem quorum unum non est causa nec causatum aJterius, est tamen inter ea haec
habitudo, non potest esse ut remotio unius eorum sit causa remotionis alterius, inquantum
est essentia, sed erit cum eo; scilicet erit remotio quae non potest esse nisi cum remotione,
non remotio quae faciat debere esse remotionem, si forte hoc concedendum sit. Iam autem
nosti differentiam inter utrumque modum. Nosti etiam quia Id cuius remotio est causa remo-
tionis alterius, causa est eius; hoc enim manifestum est tibi ex multis Jocis; adhuc etiam
inducemus per quod facilius intelligas.
TRATTATO SECONDO- SEZIONE QUARTA

fra le due 152 è quel certo legame [che si stabilisce] fra la causa e il causato,
oppure è il legame [che sussiste] tra due cose omologhe nell'esistenza 153 : ne 8 _
suna delle due è causa o causato dell'altra e tuttavia nessuna delle due esiste,
se non esiste l'altra.
[Ora, se si hanno] due cose- qualunque esse siano- nessuna delle quali è
causa dell'altra né è causato dell'altra e inoltre tali che fra di esse vi sia questo
legame, la rimozione di una delle due non può essere causa della rimoziol)e
dell'altra in quanto entità [data]; questa sarà piuttosto qualcosa [che avvieni;!]
insieme a quella 154 : intendo [dire]l 55 che sarà una rimozione che non può non
essere insieme a una rimozione, ma non una rimozione che procura neceSS<i-
riamente una rimozione, benché avvenga immancabilmente. Hai già appre~ 0
la differenza che c'è tra i due modi, come hai già appreso che la cosa la Cui
rimozione è causa della rimozione di qualcos'altro è causa di questo [qual-
cos'altro]. Ciò ti si era reso evidente già prima [in altri] luoghi in modo dett<t-
gliato, e in [questa] nostra [trattazione] si aggiungeranno man mano ulteriori
chiarimenti. Per ora qui hai appreso che vi è una differenza tra il dire di UJ:ìa
cosa che "la sua rimozione è causa della rimozione di un'altra cosa" e il dite
che, "immancabilmente, con la sua rimozione si avrà la rimozione di un'altr·a
cosa" 156 •
Se, dunque, la rimozione dell'una delle due cose menzionate non è caus.a
della rimozione dell'altra ma, piuttosto, si ha immancabilmente che, con il
rimuovere l'una, sarà rimossa l'altra, allora senz'altro: o la rimozione di quella
che delle due viene rimossa comporta necessariamente la rimozione di una
terza cosa, diversa da ambedue; oppure è [essa stessa] ad esser necessaria a
partire dalla rimozione di una terza cosa, di modo che, se a questa terza cosa
non fosse accaduto di essere rimossa, la rimozione di quella [che viene rimof;-
sa] non sarebbe stata possibile; oppure niente di [tutto] ciò 157 •
Ora, se non fosse possibile 158 , e però l'una non fosse rimossa se non con
l'altra e quell'altra a sua volta se non con questa, senza [l'intervento di] una
terza causa diversa dalla natura delle due, allora la natura di ognuna di esse
per esistere in atto dipenderebbe dali' altra. [82] E allora: o [questa dipender1-

[94] Nunc enim dico iam olim te didicisse quod multum interest inter dicere de aliq4 0
quod remotio eius sit causa remotionis alterius, et dicere quod cum remotione eius neces~e
si t remo veri alterum. Si autem remoti o unius istorum praenominatorum non est causa rem<)-
tionis alterius, sed est necesse ut si t cum remotione alterius, tunc non potest esse quin rem<)-
tio unius eorum quod removetur aut faciat debere esse remotionem alicuius tertii praet~r
illas, aut ut debeat removeri ad remotionem alicuius tertii, ita ut, si non fuerit remotio quqe
accidit illi tertio, non sit remotio unius istorum, aut ut nihil istorum sit. Si autem nihil horum
fuerit, sed fuerit ut hoc non removeatur nisi cum remotione illius, et illud cum remotior1e
istius absque causa tertia, sed ex natura,~ua quae est praeter naturam cuiusque earum pend~­
bit in esse in effectu ab alio. Sed si fuerit hoc ex quidditate sua, erunt relatae: iam autem
186 l -~11 - 4.;1:11 ':IJI.ill
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patuit eas non esse relatas. Ve! erit hoc ex esse earum: manifestum est autem quod huiusmo-
di esse non est necessarium esse; est igitur possibile in sua quidditate, sed per aliud praeter
se fit necessarium esse; igitur necesse est ut illud fiat neces·-[95]sarium esse, et suum com-
par cum eo. Ad ultimum autem, cum elevaverimus nos in causis ad aliquid tertium, profecto
illud tertium, inquantum est causa in effectu debendi esse il!orum, erit sic quod non poterit
removeri unum eorum nisi propter remotionem essendi tertium causam in effectu; igitur
haec duo non removebuntur nisi propter remotionem tertiae rei; iam autem diximus non ita
esse, et hoc est contrarium.
TRATTATO SECONDO- SEZIONE QUARTA 187

za] si deve alla quiddità delle due [cose] -ma allora esse sarebbero relative,
mentre si è già messo in evidenza che non sono relative; oppure [questa dipen-
denza] riguarda l'esistenza delle due [cose]. È evidente, tuttavia, che una
[cosa] simile 159 non sarà "necessariamente esistente" e che sarà, dunque, nella
sua quiddità, "possibilmente esistente", pur venendo ad essere - in virtù di
qualcosa di diverso da sé- "necessariamente esistente". Ora, non potrà affatto
venire ad essere necessariamente esistente in virtù di quell'altra [cosa] 160, lo si
è già chiaramente mostrato. È dunque necessario, in ultima istanza, che essa-
e con essa la sua compagna - vengano ad essere necessariamente esistenti, se
risaliamo nelle cause, in virtù di una una terza cosa. Ed essendo questa terza
cosa la causa in atto della necessità dell'esistenza di entrambe, non si potrà
rimuovere nessuna delle [due], se non rimuovendo il fatto che essa è causa in
atto. Queste due [cose] si rimuoverebbero allora soltanto in virtù della rimo-
zione di una terza causa; ma avevamo detto che non fosse così, e ciò è con-
traddittorio. E avendo già confutato questa [ipotesi], resta vera una delle altre
due divisioni 161 •
Ora, se la rimozione delle due è in ragione della rimozione di una terza
cosa, in modo tale che esse siano entrambe suoi causati, esaminiamo come sia
possibile che l'essenza di ciascuna di esse sia vincolata a che la accompagni
l'essenza dell'altra. Ebbene, non si sfugge a una delle due possibilità: o l'esi-
stenza di ciascuna delle due sarà necessaria a partire dalla causa in virtù della
mediazione della propria compagna - ed ecco che allora ognuna delle due sarà
la causa prossima della necessità dell'esistenza della propria compagna- ma
questo è impossibile, lo abbiamo già messo in evidenza nelle nostre precedenti
trattazioni; oppure una delle due sarà in se stessa più prossima a questa terza
[cosa], venendo così ad essere la causa mediatrice, mentre la seconda sarà il
causato. La realtà starebbe allora nell'ipotesi che abbiamo già avanzato: il
legame fra le due sarebbe un legame in virtù del quale una delle due è causa e
l'altra un causato.

Iam autem hoc destructum est, et remansit ut veritas sit in una duarum aliarum divisìo-
num. Si enim fuerit remotio earum propter causam remotionis tertiae rei, ita ut ipsae sìnt
causata eius, tunc consideremus quomodo potest esse ut essentia cuiusque illarum sit pen-
dens ex coniunctione essentiae alterius. Tunc enim necesse esset ut debitum essendi unutn-
quodque eorum ex causa esset mediante suo compare, et tunc unumquodque eorum es~et
causa propinqua debendi esse suum compar, et hoc est inconveniens; ex praedictis enim ver-
bis nostris iam claruit hoc esse inconveniens, scilicet ut unum eorum sit propinquius hl.Jic
-tertio, ad hoc ut fiat illud causa media, et secundum fiat causatum. Restat ergo vera divisio
quam praediximus, scilicet quod habitudo quae est inter illas est talis habitudo quod propter
eam unum eorum est causa et alterum causatum. Si autem remotio unius earum facit debere
188 [83]

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removeri tertium, ad cuius tertii remotionem facit debere relboveri secundum eorum, tunc
unum eorum fit causa causae. Causa autem causae causa est. Ad ultimum autem deprehen-
detur quod unum eorum est causa et alterum causatum.
[96] Speculemur igitur quod eorum oportet esse causam. Materia autem non potest esse
causa essendi formam. Primo, quod materia non est materia nisi quia est ei virtus receptionis
et adaptationis; adaptatum autem, inquantum est adaptatum, non est causa essendi id ad
quod est adaptatum; si enim esset causa, deberet tunc ut illt1d semper haberet esse in isto
sìne adaptatione. Secundo, quìa impossibile est ut essentia reì quae adhuc est in potentia sit
causa rei quae est in effectu, quia oporteret ut essentia eius prius esset, et deinde fieret causa
TRATIATO SECONDO- SEZIONE QUARTA 189

[83] Se, invece, la rimozione di una delle due rendesse necessaria 162 la
rimozione della terza [cosa], dalla cui rimozione sarebbe poi necessaria la
rimozione della seconda delle due, ebbene una delle due verrebbe ad essere
causa della causa, e la causa della causa è una causa. La questione si stabili-
rebbe in ultima analisi nel senso che una delle due sarebbe un causato e l'altra
una causa.
Esaminiamo dunque adesso quale delle due conviene che sia la causa.
Quanto alla materia, ebbene non può ssere che essa sia la causa dell'e~i­
stenza della forma. In primo luogo, perché la materia è materia soltanto in
quanto le appartiene la potenza della ricezione e della preparazione, e ciò che
è preparato, in quanto è preparato, non è causa dell'esistenza di ciò per cui è
preparato: se [ne] fosse una causa, [ciò per cui è preparato] dovrebbe per esso
esistere continuativamente, senza preparazione 163 . In secondo luogo, è impos-
sibile che l'essenza di una cosa- essendo ancora in potenza 164 - sia causa di
una cosa in atto; piuttosto, la sua essenza dovrebbe esser divenuta già in atto
per poi venire ad essere causa di qualcos'altro, sia [che si intenda] l'anteriorità
[in questione come] temporale sia [che la si intenda come] essenziale. Intendo
[dire che la cosa deve essere anteriore] anche nel caso in cui essa non sia affat-
to esistente se non in quanto è causa di una seconda [cosa] e in quanto questa
seconda [cosa] può così sussistere nell'essenza in virtù di essa che, in tal
senso, è anteriore [solo] per essenza 165 • Ed è lo stesso, sia che ciò di cui essa è
causa ne accompagni l'essenza sia che ne sia separato: da alcune delle cause
[da cui proviene] l'esistenza di qualcosa, può provenire, infatti, soltanto l'esi-
stenza di qualcosa che le accompagni per essenza; da altre cause dell'esistenza
di qualcosa, invece, può provenire soltanto l'esistenza di qualcosa [che ne è]
per essenza separato. L'intelletto non ha certo difficoltà ad ammettere que~ti
[due casi] e l'indagine ne rende poi necessaria la coesistenza. Dunque: se la
materia fosse causa della forma, essa dovrebbe necessariamente avere in atto
un'essenza anteriore alla forma; ma di ciò abbiamo già mostrato l'impossibi-
lità, fondandoci non sul fatto che non è possibile che la sua essenza esista [8':1-]

alterius, si ve haec prioritas sit tempore si ve essentia. Si enim nullo modo haberet esse nisi in
hoc quod est causa secundi, tunc secundum haberet esse per essentiam, et ob hoc esset prius
per essentiam, sive illud quod est causa eius sit coniunctum essentiae eius, sive disiunctum
ab essentia eius. Possibile est enim esse etiam aliquam causarum essendi rem, ita ut non ~it
per illam nisi esse rei < ... > quae est disiuncta ab eius essentia. Intellectus enim non refugit
hoc, et deinde inquisitio facit debere esse utramque divisionem. Si igitur materia fuerit causa
formae, oportebit tunc ut habeat essentiam in effectu ante formas. Iam autem prohibuimus
hoc sic, non quod [97] dicamus eius essentiam non posse esse nisi comitans coniunctionem
190 c:.1!)1 ...,--
t _:t\_ -...Wl ':\)tALI
. At [84]

J..il ~ i;§:._ .:>l I..J_,o:-.J J.:..:~ -'l.i IJ! ~ J. ~ ;J_,.,..JI ~JW. l.;!. \Il
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formae, sed quod inconveniens est ut eius essentia habeat esse in effectu nisi per formarn;
inter haec enim differentia est. Tertio quod, si materia esset causa propinqua formae, in
essentia tunc materiae non esset diversitas, quia in eo quod l'rovenit ex re in qua non est
diversitas non est diversitas ullo modo; unde oporteret ut in fojJila materiali non esset diver-
sitas; ergo si haec diversitas esset propter res quae diversificìlntur ex dispositionibus quae
sunt in materia, tunc ipsae res essent primae formae in materia, et sermo noster redi~et ad
principium.
Si autem esset causa essendi has formas diversas materiìl, et aliud cum materia quod
non est in materia, sic ut materia sola non esset eis causa propinqua, sed materia et aliud,
TRATIATO SECONDO- SEZIONE QUARTA 191

se non accompagnata necessariamente dalla forma, ma al contrario sul fado


che è impossibile che la sua esistenza sia in atto se non in virtù della forma; e
fra le due cose vi è una differenza. In terzo luogo, se fosse la materia ad essere
la causa prossiq1a della forma, non avendo in se stessa differenziazione - e
quel che consegue necessariamente da una cosa che non ha in sé differenziil-
zione non ha a sua volta affatto differenziazione - sarebbe necessario che nelle
forme materiali non vi fosse differenziazione. E se poi la differenziazio[le
delle [forme] fosse dovuta a delle cose che fossero differenti a partire dagli
stati della materia, allora queste cose sarebbero le prime forme nella materia, e
il discorso tornerebbe nuovamente alla radice. Inoltre, se la causa dell' esistetl-
za di queste forme differenti fosse nella materia e in un'altra cosa che fos§e
assieme alla materia ma non nella materia, in modo tale cioè che ad esser la
causa prossima non fosse la sola materia, ma fossero invece la materia e
un'altra cosa, ecco che nella materia si darebbe una determinata forma, u[la
volta riunitesi insieme questa altra cosa e la materia. E se ad esservi -e a unir-
si con la materia- vi fosse una cosa diversa da quella [di cui si è appe[la
discusso], si darebbe una forma diversa da quella determinata forma. E alla
ma'Lei:ra appanene'o'oe Tea\men\e \a i:u:e2'lone ùe\\a toTmatfj.(;,.
La proprietà di una forma proviene sempre soltanto da quelle cause. E ogfli
forma è essa stessa 167 soltanto in virtù della proprietà [che le è] propria; così la
causa del fatto che ogni forma esista con la propria proprietà è la cosa esterna,
e alla materia non appartiene alcuna "produttività" ($Un') riguardo a quella
proprietà; una data forma è esistente soltanto in quanto la sua esistenza è con
una data proprietà: la materia non ha alcuna "produttività" ($Un') nella partico-
Jare determinazione che riguarda sempre l'esistenza di una forma, [85] se non

tunc ex coniunctione illius alius et materiae proveniret aliqua forma signata in materia. Et si
aliquid aliud praeter illud aliud adiungeretur materiae, et proveniret alia forma praeter illam
signatam, tunc materia certe esset receptibilis formae. Proprietas autem cuiusque formlle
non est nisi ex illis causis quae adiunguntur materiae; ergo unaquaeque forma non esset id
quod est nisi propter proprietatem suam. Causa igitur essendi unamquamque formam ex
~oprietate sua id quod est, esset aliud a materia, [98] et materia nihil ageret in proprietatem
~llam, quia forma non haberet esse nisi propter proprietatem illam; igitur materia nihil ageret
tn faciendo habere proprium esse unamquamque formam; sed esset necesse ut forma haberet
192 [85]

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esse in ea, et hoc esset proprietas causae recipientis. Igitur remaneret materiae receptibilitas
tantum. lam autem poteris adinvenire quod materia est causa formae aliquo modorum.
Remansit igitur quod ipsa forma est per quam materia habet esse.
Consideremus ergo si sit possibile an per solaro formam materia habeat esse. Dico igitur
quod in forma a qua non separatur sua materia potest hoc concedi, sed in forma quae separa-
tur a sua materia et remanet materia habens esse cum alia forma, hoc non conceditur. Si
enim haec forma sola per se esset causa, destrueretur materia ad remotionem illius, et prop-
ter formam succedentem haberet esse alia materia quae inciperet esse, et illa forma egeret
TRATTATO SECONDO- SEZIONE QUARTA 193

in quanto si ha immancabilmente bisogno di essa perché in essa esista la


forma. E questa è la proprietà della causa ricettiva, così che [alla materia] resta
soltanto la ricezione; ed essendosi confutato che la materia possa essere-sotto
un certo aspetto causa della forma, resta che la forma sola sia ciò in virtù di
cui è necessaria l'esistenza della materia.
-- Ora esaminiamo, dunque, se sia possibile che la forma sia da sola 168 quella
in virtù di cui è necessaria l'esistenza della materia. E diremo: ciò è ammissi-
bile per la forma dalla quale la materia non si separa, ma per la forma che si
separa dalla materia, laddove la materia permane esistente in virtù di un'altra
forma, ciò non è ammissibile. Questo perché, se questa forma fosse da sola per
sé una causa, in seguito alla sua inesistenza la materia sarebbe inesistente: la
forma ad essa successiva avrebbe quindi un'altra materia, [una materia] che
esisterebbe a partire da essa; tale materia sarebbe allora avventizia (f:tiidita) 169
e per [ogni forma] si avrebbe bisogno di un'altra materia. È quindi necessario
che la causa dell'esistenza della materia sia, insieme alla forma, un'altra cosa,
al punto che l'esistenza della materia fluirà soltanto da quella tale cosa; ma è
assolutamente impossibile che il fluire [dell'esistenza della materia] da [tale
cosa} sia portato a perfezione senza una forma: esso (al-amr) 170, piuttosto,
iipva compimento in virtù di tutte e due [le cause] insieme.
i- Nella sua esistenza, quindi, la materia è dipendente da questa cosa e da una
fi.xma - qualunque essa sia - che emana nella [materia stessa] a partire da
[quella cosa] 171 , e privata di quella forma, [la materia] non cessa di esistere. La
forma, infatti, non si separa [dalla materia] se non per un'altra forma che,
insieme alla causa dalla quale proviene il principio dell'esistenza della mate-
ria, fa quel che faceva 172 la prima forma. In virtù del fatto che questa seconda
[{Qrma]l 73 ha in comune con la prima di essere una forma, essa ha in comune
con [la prima] di coadiuvare [la cosa] nel far sussistere [86] questa materia;

alia materia. Oportet igitur ut aliqua alia res sit causa essendi materiam cum forma, ita ut
esse materiae non fluat nisi ab illa re. Sed impossibile sit perfici fluxum eius ab illa sine
forma ullo modo; perficitur enim res ex utraque earum. Esse igitur materiae pendebit ex illa
re et ex forma, quocumque modo veniat ab illa in illam. Quapropter non destruitur privatio-
ne formae, eo quod forma non separatur ab illa nisi propter [99] aliam formam quae, cum
causa propter quam coepit esse materia, agit id quod agebat prima forma in illam, inquan-
tum haec secunda communicat cum prima in hoc quod est forma, scilicet inquantum adiuvat
ad constituendum hanc materiam, sed, in hoc quod differt ab ea, facit materiam in effectu
194 l'l J.....ill- ti\:JI
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substantiam alìam praeter eam substantiam quam agebat prima. Multa enim ex his quae sunt
non perficiuntur nisi propter esse duarum causarum: illuminatio enim et lux non proveniunt
nisi ex causa lucida et qualitate quae facit corpus illuminatum receptibile lucis quod non
penetret radius, sed revertatur; deinde illa qualitas formabit radium alia proprietate colorum
quam sit illa proprietas qua formavit eum, non alia qualitas. Oportet autem nunc ut non con-
tendas mecum de his quae dixi de penetratione radii et de reversione eius, quoniam et per
teipsum poteris considerare hoc, nec est longe, si bene consideraveris, te posse invenire
exempla de his convenientiora, nec nocet etiam si exempla non inveneris: non enim oportet
esse exemplum omnis rei.
à'JtATIATO SECONDO- SEZIONE QUARTA 195

invece, in quanto ne differisce, essa rende la materia una sostanza in atto


diversa dalla sostanza che la prima [forma] faceva [in atto].
Ora, molte delle cose esistenti trovano completamento solo in virtù
dell'esistenza di due cose; infatti, l'illuminare e il dar luce si danno solo a par-
tire da una causa che illumina e da una qualità che, non per se stessa, rende il
corpo lucente tale da ricevere i raggi in modo che vi penetrino e non si rifletta-
no; inoltre, tale qualità costituisce i raggi secondo una proprietà 174 diversa
dalla proprietà con cui li costituisce un'altra qualità di colori. Non è necessario
discutere 175 di quel che abbiamo sostenuto a proposito della penetrazione e
della riflessione dei raggi, poiché tu capisci di che cosa si tratta 176 . E non è
inverosimile - se ci rifletti su - che per questo tu possa trovare immagini più
convenienti, ma non sarai in errore neppure nel non trovare alcuna immagine:
non è necessario infatti che vi sia un'immagine per ogni cosa.
Ora, qualcuno potrebbe dire che, se la materia dipende da quella [data]
,cosa e da una forma, tutte e due insieme sono per essa (la-hu) 177 come una
,t;ausa e, se la forma svanisce, svanisce questo insieme che è la causa, e così
dovrà svanire il causato.
Ma la materia - diremo - non dipende da quella cosa e dalla forma in
quanto la forma è una forma d'una determinata specie, ma in quanto è forma.
~l'insieme [da esse costituito] non svanisce affatto: quella data cosa è conti-
~Ùvamente esistente e [così lo è] la forma in quanto forma; [87] così, è

Potest autem quis dicere quod, si materia fuerit pendens ab illa et a forma, tunc coniunc-
tio earum erit ei sicut causa; si autem destructa fuerit forma, destruetur coniunctum quod
!fl'at causa; oportebit igitur [100] ut destruatur causatum. Ad quod dico quod materia non est
llendens a re illa et a forma, inquantum forma est forma designata specie, sed inquantum est
llkma; hoc autem coniunctum non destruitur ullo modo. Semper enim habet esse ab illa et a
forma inquantum est forma. Evenit igitur quod, si non fuerit illa res, non erit materia, et, si
196 Av [87]

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non fuerit forma inquantum est forma, non erit materia. Si autem destrueretur prima forma
non ob causam successionis secundae, tunc res illa separata esset per se faciens hoc, nec
esset id quod est forma inquantum est forma. Esset igitur impossibile fluere ab illa re esse
materiae, ob hoc quod est sola absque communicatione ve! condicione.
Potest autem aliquis dicere quod coniunctio illius causae et formae, non est unum nume-
ro, sed est unum intentione communi; unum autem secundum intentionem communem non
est causa eius quod est unum numero et eius quod est qualis est natura materiae: ipsa enim
est unum numero. Contra quod dico, quod unum secundum intentionem communem, quod
'fRATIATO SECONDO- SEZIONE QUARTA 197

[solo] se non vi fosse quella data cosa e se non vi fosse la forma in quanto
forma che non vi sarebbe la materia 178 . Se la prima forma svanisse non in
ragione del succedersi della seconda 179 , quella data cosa separata sarebbe da
sola e, non essendoci quel che è la forma in quanto forma, sarebbe impossibile
che da essa fluisse l'essere della materia; [quella data cosa] sarebbe, infatti, da
sola, senza qualcosa che le si associ o senza condizione.
E tuttavia qualcuno potrebbe ancora dire: tale insieme- [e cioè] la causa e
la forma - non è qualcosa di numericamente uno, ma qualcosa di uno in senso
generico 180 e quel che è uno in senso generico non è causa dell'uno per nume-
ro né di quel che è come la natura della materia, che infatti è una per numero.
Ma noi - diremo- non riteniamo impossibile che ciò che è uno in senso gene-
rico e che conserva l'unità della propria genericità in virtù dell'uno per nume-
ro sia causa di ciò che è uno per numero, e qui è [proprio] così. Infatti, quel
che è uno nella specie- che si conserva per l'uno per numero- è ll'ente] che
è separato 181 : così, quella data cosa rende necessaria la materia e non porta a
èompimento la sua azione di renderla necessaria, se non in virtù di una delle
cose che la accompagnano, una qualunque di esse. Quanto poi a che cosa sia
questa data cosa, lo apprenderai in seguito 182 .
Le forme o sono forme da cui la materia non si separa, oppure sono forme
da cui la materia si separa, senza però poter restare priva di simili forme. E il
fatto che le forme che si separano dalla materia in vista di qualcosa di succes-
sivo si succedano [nella materia] rende [la materia stessa] permanente grazie
al succedersi di quelle forme 183 ; così, la forma in un certo senso è un medio tra
la materia - che è fatta permanere - e ciò che la fa permanere. [88] E la

est conservata unitas suae communitatis ad unum numero, non prohibetur esse causa eius
quod est unum numero. Non enim causa est unius numero. Item unum specie quod conser-
Vatur per unum numero, illud est separatum; illud ergo est res quae facit debere esse mate-
riam; non enim perficitur suum debitum essendi nisi per aliquam rerum quae adiungitur ei,
qualiscumque fuerit; sed quid si t illa res, tu scies postea < ... > .
1. [101] Sed, quia ille qui formas succedentes quae adiunguntur materiae facit succedere in
illam, ipse facit eam remanere per successionem illarum formarum, tunc illa forma est ali-
quo modo media inter materiam conservatam et conservantem eam. Id autem quod est
198 [88]

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medium in constitutione convenientius est esse prius Constitutum, ut deinde per illud consti-
tuatur aliud a se, prioritate essentiae, et illud est causa propinqua conservati in permanenti a.
Si enim constituitur a causa quae facit remanere materiam mediatione eius, tunc constitutio
eius est prius ex primis, et deinde fit constitutio mat~riae; si autem fuerit existens non per
causam illam, sed per seipsam, et deinde constituitu~ materia per ipsam, tunc hoc manife-
stius est in illa < ... >. Igitur forma prior est hyle.
TRATTATO SECONDO- SEZIONE QUARTA 19g

mediazione riguarda il far sussistere [la materia]: infatti, in primo luogo, co11
una priorità per sé, sussiste l'essenza [della forma] 184 , poi, in virtù di ess<t
vien fatto sussistere qualcosa di diverso da essa. [La forma], quindi, è la caus~
prossima della permanenza di quel che è fatto permanere e se essa sussiste i0
virtù della causa che, grazie alla sua mediazione, fa permanere la materi<t
allora dalle prime [cause] la sussistenza giunge in primo luogo [alla forma] ~
poi alla materia; se [la forma] sussistesse, invece, non in virtù di quella caus(t
ma in virtù di se stessa, sussistendo poi la materia in virtù di essa, ecco che ~Ì
suo [carattere di causa] sarebbe ancor più manifesto 185 •
Le forme da cui la materia non si separa non si possono considerare come
causate dalla materia, come se fosse la materia per se stessa a esigerle e a reQ_
derle necessarie; così, [la materia] finirebbe per render necessaria l'esistenza
di qualcosa in virtù di cui essa stessa si perfeziona e finirebbe quindi per ess~­
re [al contempo] ricettiva- in quanto in virtù di questo [qualcosa] essa si pet_
fezionerebbe - e tale da far esistere, in quanto ne renderebbe necessaria [l'es L
stenza]. [In tal caso], infatti, la [materia] renderebbe in se stessa necessaria
l'esistenza di qualcosa in virtù di cui ha forma 186 ; ma in quanto è un ricettor~
una COSa è aiVersa (a'a quef cae èf rfl quaa(O è qua{casa cae rena'e aecessaaoJ&j
e la materia sarebbe dunque dotata di due elementi (dat amrayn): in virtù dj
uno dei due essa sarebbe "preparata", mentre in virtù dell'altro ne trarrebb~
esistenza un'altra cosa. Ma [se così fosse], quel che dei due è ciò che è prepa_
rato sarebbe la sostanza della materia, mentre quell'altro elemento sarebb~
qualcosa in più rispetto al suo essere materia, qualcosa che accompagnerebb~
[il suo essere materia] e in cui dovrebbe produrre necessariamente qualcos'l
(a[ar), come la natura del movimento è nella materia; ma così questa data cos'l
sarebbe la prima forma e il discorso tornerebbe al caso precedente.
La forma è dunque anteriore alla materia (al-hayilla) e non è possibile eh~
si dica che la forma sia in se stessa esistente sempre in potenza, venendo aq
essere in atto solo in virtù della materia, perché proprio l'atto è la sostanz'l
della forma. Quanto poi alla natura di quel che è in potenza, il suo luogo dj
inerenza è la materia (al-madda) ed è quindi la materia quella di cui è valid<)
affermare che essa in se stessa è esistente in potenza e che.-è in atto in virtìì
della forma 188 • [89] La forma invece, benché non si separi dalla materia (al_

Non potest autem hoc concedi quod forma per seipsam habeat esse in potentia, sed fit i'J
effectu per materiam, quia substantia formae est effectus. Natura vero eius quod est esse i'J
potentia est proprietas materiae; igitur materia est id de quo convenit dici quod [102] in S<e
habet esse in potentia; sed in effectu est per formam; forma autem, quamvis non separetur
200 [89]

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ab hyle, tamen non constituitur ab hyle, sed a causa quae acquirit sibi hyle: quomodo autem
constitueretur forma per hyle, cum nos iam ostenderimus eam esse causam hyle? Causa
autem non constituitur a causato: impossibile est enim aliqua duo esse quorum unum consti·
tuatur ab altero sic ut unumquodque eorum acquirat alteri suum esse. Ostensum est igitur
illud esse impossibile, et ostensa est etiam differentia inter id per quod res constit11itur et
inter id quod ab eo non separatur.
Forma igitur non habet esse nisi in hyle, non autem quod hyle causa est sui esse et quod
ipsa est in hyle, est sicut hoc quod causa non est nisi cum causato, non quod causatum sit
causa essendi causam ve! essendi cum causato sed quod, cum causa fuerit causa in effectu.
TRATTATO SECONDO- SEZIONE QUARTA 201

hayillii), non sussiste in virtù di essa, ma invece in virtù della causa che la fa
acquisire alla materia 189 • E come potrebbe 190 la forma sussistere in virtù della
materia (al-hayulti), se abbiamo già messo in evidenza che ne è la causa? La
causa191 non sussiste in virtù del causato, né due cose sussistono l'una in virtù
dell'altra in quanto ognuna delle due darebbe all'altra l'esistenza. L'impossi-
bilità di questo è evidente, come evidente ti si è rivelata la differenza tra ciò in
virtù di cui la cosa esiste e ciò che non se ne separa.
La forma, dunque, non esiste se non nella materia (jf l-hayulii), ma ciò non
{significa] che causa della sua esistenza sia la materia (al-hayulii) o il suo
essere nella materia (jf l-hayulii). Allo stesso modo, il fatto che la causa non
esista se non con il causato [non significa] che l'esistenza della causa coincida
'éon il causato o con il suo essere con il causato; e come 192 dalla causa in atto
-consegue necessariamente il causato e [consegueJ che esso sia 193 con essa,
così, essendo la forma una forma esistente, consegue che essa faccia sussistere
\llla cosa, laddove tale cosa accompagna la sua essenza. È quindi come se quel
che fa sussistere una cosa in atto e le dà l'esistenza sia o qualcosa che dà
[l'esistenza] ed è separato, o qualcosa che dà [l'esistenza] ed è in contatto -
benché non sia una parte (di quel che causa); come la sostanza, (che è causa)
degli accidenti che le sono concomitanti e le conseguono necessariamente, e le
complessioni.
Perciò è evidente che ogni forma che esista in una materia che si fa corpo
(mii.dda mugassama) esiste in virtù di una certa causa; ora, per quanto riguarda
là [forma] avventizia, ciò è manifesto; e per quanto riguarda quella che si
accompagna sempre a una data materia (mtidda), [ciò] è perché la materia cor-
porea (al-hayillii al-gismiiniyya) è stata resa ad essa appropriata da una causa.
E questo [aspetto] lo renderemo ancor più manifesto in altri luoghi 194 .

8equetur ex ea esse causatum et esse cum ea: similiter cum forma habuerit esse forma,
. sequetur ex hoc ut constituat aliguid, guod aliguid coniungitur suae essentiae; et id guod
constituit est res in effectu et dat ei esse, sed de hoc guiddam est cui dat esse et est non
C~niunctum ei, et guiddam est cui dat esse et est coniunctum ei, guamvis non sit pars eius,
stcut substantia est accidenti bus et complexionibus guae seguuntur et comitantur eam .
. [103] Ex his igitur manifestum est guod guaecumgue forma habet esse in materia corpo-
rab, per causam aliguam est in ea. Sed in illis formis guae incipiunt, hoc manifestum est; in
~~tantibus vero materiam, similiter est eo guod materia corporalis non appropriatur eis
rust per causam. Adhuc autem hoc amplius monstrabimus alias.
W Wl AJWI

TRATTATO TERZO

TRACTATUSlli
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205

INTRODUZIONE

Sezione prima

Questa prima sezione è una breve ricapitolazione di questioni già affronta-


te e serve a introdurre il tema delle categorie, che costituisce il filo del discor-
~ dell'intero trattato. [93] Avicenna riassume brevemente i modi in cui si dice
la sostanza: sostanza si dice di ciò che è separato, del corpo, della materia,
d,ella forma; anche in questo contesto, a essere menzionato come primo signi-
ficato di "sostanza" è "ciò che è separato" (al-mufiiriq). Avicenna richiama
e&~>licitamente la trattazione psicologica della sua Fisica, nella quale, sulla
~se di un argomento fondato sull'immaginazione, egli ha mostrato come
ranima sia un'entità separata dal corpo (è l'argomento dell'uomo velato; cfr.
la·successiva nota 5 al testo): le sostanze separate di cui si occupa la metafisi-
ca hanno quindi già ricevuto una prima legittimazione nella trattazione dedica-
ta"'alla scienza naturale.
(94] Prima di affrontare la trattazione sistematica delle categorie (nel suo
elenco non compare quella del "possesso", fatta probabilmente rientrare nella
qpalità, cfr. ARIST., Cat., 8, 8 b 25-26), Avicenna ricorda che- eccettuata la
W)stanza - tutte le categorie hanno lo statuto di accidenti e che tali sono quindi
~e la quantità e la qualità che, da una parte, sostanzialmente i Pitagorici e,
4all'altra, i «partigiani della dottrina della latenza» (a~/:tiib al-kumiin; cfr. la
~ 12 al testo), hanno ritenuto o ritengono "sostanze". [94,12-95] Per la dot-
trina della latenza, Avicenna si limita qui a rimandare alla confutazione che ne
~ nella Fisica, mentre esamina brevemente le teorie di coloro che difendono
la sostanzialità della quantità e del numero: essi finiscono per attribuire lo sta-
blto di principio al punto - e ciò è assurdo - oppure finiscono per essere con-
traddetti dall'analisi dell'uno. [95-96] Si introducono così i concetti di uno
(wii/:tid) e unità (wa/:tda) che verranno poi ampiamente trattati nella sezione
IIUccessiva; seguendo Aristotele (cfr. Metaph., V [.6.], 6; X [l], 2), Avicenna
ricorda che l'uno l) è rapportabile all'essere (al-mawgiid: "l'esistente"), pur
non essendo immediatamente e totalmente riconducibile ad esso; 2) è princi-
pio della quantità e del numero; 3) è principio del continuo, in quanto ne è
~causa formale".
206 TRA TIATO TERZO

Sezione seconda

Seguendo sempre da vicino la Metafisica aristotelica, Avicenna prosegue


qui la trattazione dell'uno che aveva introdotto in chiusura nella prima sezio-
ne. [97-98,11] Egli definisce, in primo luogo, l'ambito generico e problemati-
co nel quale, con diverse gradazioni o "modulazioni", sono compresi i vari
significati dell'uno (l'espressione bi-l-taskìk vale "ambiguità", "equivocità",
talvolta "analogia" e si oppone all'univocità) e dà dell'uno una prima defini-
zione: l'uno si dice - secondo anteriorità e posteriorità- di realtà distinte che
possono essere considerate coincidenti in quanto in atto non contengono alcu-
na divisione (qisma: in questa formula pare ricalcata la definizione aristotelica
di Metaph., V [À], 6, 1016 b 3-5; qisma corrisponde al greco owtpwv;- anche
nella traduzione della Metafisica di UstaJ, utilizzata da Averroè). In secondo
luogo, e ancora una volta come Aristotele, Avicenna pone la distinzione tra
l'uno che è per se (bi-d.iiti-hi) e l'uno che è per accidens (bi-l- 'araQ.) e, in base
a questa distinzione, riassume i significati dell'uno: l'uno per accidente riuni-
sce un soggetto e un predicato, oppure due predicati, oppure due soggetti;
l'uno per sé, è invece: l) per genere (o prossimo o remoto); 2) per specie (o
prossima o remota, e in quest'ultimo caso coincide con il genere prossimo); 3)
per comparazione o rapportabilità (ed è l'uno per analogia); 4) per soggetto; 5)
per numero, dove quest'ultimo può essere a sua volta tale o a) per continuità o
b) per contiguità o c) per specie o d) per essenza.
Mentre l'uno per accidente riguarda quindi cose in essenza molteplici (due
soggetti uniti in un predicato, due predicati uniti in un soggetto o un soggetto e
un predicato tra loro uniti), l'uno per sé individua cose che possono essere
considerate per se stesse un'unica realtà. La trattazione avicenniana dell'uno
assume, quindi, quella relativizzazione del concetto di uno (l'uno si dice "in
molti modi" e si dice dello stesso molteplice) cui il Parmenide di Platone
prima e le discussioni aristoteliche poi erano già giunti. Tale relativizzazione è
immediatamente evocata da Avicenna a proposito dell'uno nel senso del gene-
re, il quale è molteplice per specie, e dell'uno per specie, che può esserlo- o
non esserlo - nel numero, e cioè negli individui; vi sono, infatti, degli enti che
si distinguono solo in virtù della specie e questo può avvenire per sé (come nel
caso degli angeli che non potrebbero differire individualmente perché separati
dalla materia) o per accidente (come nel caso dei corpi celesti; sebbene, infat-
ti, il sole sia il solo individuo della specie "sole", nulla impedisce di immagi-
nare che ce ne sia un secondo o un terzo; questo tema tornerà poi a proposito ""
della dottrina degli universali in Iliih., V, l, p. 196).
[98,12-99,8] Avicenna passa quindi ad affrontare l'uno nel senso del conti-
nuo (al-mutta$il; TÒ avvEXTJS"); quello autentico (cioè quello che è realmente
tale: bi-1-l:taqìqa) contiene la molteplicità solo in potenza, mentre quello che è
tale nel senso "dell'aggregazione" - e che è poi riducibile all'uno per conti-
guità - contiene una molteplicità che è tale in atto ma che è come "ricoperta"
INTRODUZIONE 207

da un'unità: in questo caso l'unità è data dalla consecutività delle parti della
cosa (l'unità d'aggregazione - al-wa/:tda al-igtimii'iyya -è, per esempio,
l'unità che può essere attribuita alle diverse membra di uno stesso corpo).
Infine, l'uno nel senso del continuo è considerabile o in relazione alla sola
estensione (o misura) o in relazione alla natura della cosa. [99,9-101,11] È
infatti. la natura della cosa a determinarne la divisibilità: ogni cosa che è una,
in quanto tale, è indivisibile (basta tornare alla definizione dell'uno) e tuttavia,
vi sono cose che per natura si dividono o si moltiplicano e che sono quindi
"uno" se considerate in quanto indivise (secondo il senso dell'uno nel sogget-
to), e che invece non lo sono se considerate in relazione alla loro natura; la
linea e il corpo semplice, come l'acqua, sono, per esempio, moltiplicabili e
divisibili (la linea lo è per sé, il corpo e l'acqua lo sono in virtù dell' estensio-
ne), mentre i corpi complessi o le sostanze "complete", come l'uomo o
l'anima, non possono in quanto tali essere moltiplicati o dividersi. Le cose
indivisibili possono essere considerate, infine, anche sotto un altro aspetto:
alcune, oltre a quella per cui sono "uno", hanno un'altra natura; sono allora o
come il punto (che è identificato non solo dall'unità, ma anche dalla posizio-
ne) oppure come l'intelletto o l'anima che hanno una natura "una"; ciò che
invece non ha una natura diversa da quella dell'uno è l'unità, ossia l'uno nel
senso del principio del numero.
[101,12-fine] Le notazioni di Avicenna sono significative: l'indivisibilità è
considerata un fatto mentale e la completezza da cui essa dipende può essere,
oltre che reale, per ipotesi e pura convenzione (così un soldo è "uno"). L'unità
può infatti eSBere considerata da diversi punti di vista o nel rapporto (cioè per
un predicato) o nel soggetto. Degna di nota, infine, è la distinzione dei diversi
significati dell'uno che Avicenna opera in base alla loro gerarchia (come
all'inizio egli aveva accennato al tema dell'anteriorità e della posteriorità):
l'unità per specie è anteriore a quella per genere, l'unità per numero lo è
rispetto a quella per specie e così via. Anche in questa super-posizione gerar-
chica dei significati dell'uno, che riprende un tema aristotelico, è riconoscibile
la relativizzazione di questo concetto (così forte da permettere di rovesciare il
discorso: l'uno si dice del molteplice in vari modi ... ). Infine, Avicenna precisa
che, sebbene la nozione dell'uno possa essere predicata di tutto ciò che esiste,
come quella dell'essere, essa non è a questa riconducibile.

Sezione terza

Questa sezione costituisce un'approfondita indagine delle nozioni di uno,


unità e accidentalità del numero. [104-106,9] Al centro della riflessione avi-
cenniana è il carattere aporetico che va riconosciuto alle nozioni dell'uno e del
molteplice: per definire l'unità si ricorre alla molteplicità così come, per defi-
nire la molteplicità, ci si serve dell'unità; di unità e di molteplicità (come del
208 TRATTATO TERZO

numero, che le corrisponde) non si danno definizioni: è solo possibile "risve-


gliare" (tanbìh) l'attenzione su qualcosa che l'intelletto (per quanto riguarda
l'uno) o l'immaginazione (per quanto riguarda il molteplice) possiedono già.
All'orizzonte si profila la questione, già aristotelica, della natura dell'opposi-
zione tra l'uno e i molti.
(106,10-108,3] La sola verità dicibile dell'unità riguarda il suo statuto di
conseguente necessario della sostanza: ogni sostanza è una, ma l'unità non
costituisce la quiddità della sostanza. Avicenna dimostra l'inseparabilità di
unità (che è in tal senso un accidente) e di sostanza utilizzando, ancora una
volta, il procedimento diairetico e le argomentazioni per assurdo. Se l'unità si
desse separata, si avrebbero diverse assurdità. l) lnnanzitutto, ci si dovrebbe
chiedere se - separata dalla sostanza - l'unità sia indivisibile 1.1) per sé o,
invece, 1.2) in virtù di una natura diversa dalla propria; ma poiché è sempre
qualcosa a essere indivisibile, il primo caso si riduce al secondo: quel qualco-
sa di indi visibile potrebbe infatti essere o l) una sostanza o 2) un accidente; 2)
se fosse un accidente, poiché non si può procedere all'infinito (Avicenna lo ha
già stabilito in Iliih., II, l, p. 57) l'unità finirebbe per essere in una sostanza. l)
Se invece fosse una sostanza, allora: la) se l'unità non se ne separasse, vi
sarebbe esistente come qualcosa esiste in un soggetto (l'unità cioè sarebbe un
accidente e si tornerebbe al caso precedente); l b) se invece l'unità se ne sepa-
rasse, allora essa se ne separerebbe J.b1) o per darsi in un'altra sostanza, ma
allora la sostanza, restata senza unità, non sarebbe più "una" (e questo è assur-
do); altrimenti, la si dovrebbe immaginare con una unità "propria" e una tale
da accompagnarsi e separarsi da essa; ma in questo caso si avrebbero due
sostanze, non una sola sostanza; l.b2) oppure, anche ammesso che l'unità non
si trasferisca a un'altra sostanza, pensar! a separabile significa cadere nelle
stesse difficoltà; Le) infine, non si può credere che la stessa unità, che si è
concepita separabile dalla sostanza, appartenga a due o più sostanze, perché si
avrebbero in realtà due o più unità.
[108,4-109,10) 1.2) Inoltre, se l'unità non fosse semplice indivisibilità, ma
fosse invece un "essere indivisibile" che si accompagna a una sostanza dalla
quale può poi separarsi, 1.2.a) una volta separatasi dalla sostanza, l'unità stessa
sarebbe una "sostanza separata" e, in quanto tale, non potrebbe esser detta degli
accidenti. 1.2.b) Altrimenti, si dovrebbe supporre un'unità propria delle sostan-
ze e un'unità propria degli accidenti; e si avrebbe però allora il problema della
comune natura di questa unità: per essere realmente unità in tutti e due i casi (e
non per semplice omonimia), l'unità dovrebbe essere, infatti, associabile tanto
alla sostanza quanto agli accidenti e si finirebbe così per ammettere comunque
l'esistenza di una "unità-accidente" (l' indivisibilità), in sé comune sia alla
sostanza sia agli accidenti e più generale di quella che si era creduta inizialmen-
te l'unità. In tal modo quindi Avicenna dimostra come l'unità, che non è altro
che l'indivisibilità, sia un accidente inseparabile delle cose (e come, di conse-
guenza, il numero sia un accidente). [109,11-fine] L'inseparabilità che l'unità
INTRODUZIONE 209

ha rispetto alla cosa non è quella che il genere ha rispetto alle proprie differen-
ze, ma quella del conseguente necessario che, senza entrare nella quiddità della
cosa, la accompagna, tuttavia, necessariamente.

Sezione quarta

L'estensione- o misura- (miqdiir) è un accidente: nel quadro della pole-


mica anti-atomista e anti-pitagorica, la quarta sezione è occupata interamente
da questo tema. [ 111 ,4-112,2] Avicenna riprende il discorso già svolto a pro-
posito del corpo e distingue nuovamente tra corpo o estensione in quanto
misura o estensione del continuo (è il corpo nel senso della quantità acciden-
tale, ossia della forma accidentale che inerisce alla materia; è la misura del
numero di volte - anche infinito - che un corpo può essere, per così dire,
t:percorso") e il corpo o l'estensione in quanto continuo (è il corpo nel senso
della forma della corporeità o della sostanza corporea che si genera grazie
all'unione di questa con la materia); vi è poi un terzo senso dì "corpo", quel-
lo per cui esso è sostanza, che non rientra però nel tema della sezione. È il
senso del corpo come "continuo" che identifica il corpo come tale; rispetto
'ad esso, infatti, i corpi sono tutti uguali, mentre per il primo significato essi
differiscono l'uno dall'altro (i corpi sono cioè di diversa misura e possono
mutare misura). [ 112,3-1 I 4, l] Avicenna si sofferma, quindi, sulla nozione di
S'uperficie (ma il suo discorso, con i dovuti mutamenti, vale anche per la
linea). Anche nella superficie si rintracciano due sensi: in un senso essa è
termine del corpo, ed è quindi qualcosa di relativo (è in questo senso che la
superficie è bi-dimensionale, perché è termine del corpo che accetta tre
dimensioni); in un altro è un'estensione, una misura. Anche qui, rispetto al
primo senso tutte le superfici sono eguali (tutte sono il termine di un corpo),
,mentre per il secondo senso esse differiscono tra loro (sono di diversa misu-
t:a). In entrambi i casi, tuttavia, la superficie - come poi la linea - è un acci-
dente. Se la superficie nel senso del termine è chiaramente accidente, perché
èsiste nella sostanza non essendone una parte, la superficie nel senso della
misura è chiaramente un fatto accidentale perché avviene e svanisce nella
sostanza del corpo la quale, invece, è soggetta a continuità e discontinuità,
permanendo tale.
[114,2-116,3] Una volta appurata l'accidentalità delle estensioni, resta da
Rpiegare in quale senso nell'immaginazione, o più propriamente rispetto alla
facoltà estimativa (wahm), la superficie si dia come separata dal corpo e la
linea come separata dalla superficie o il punto come separato dalla linea.
Avicenna distingue allora i due modi in cui è possibile concepire la separa-
tezza di qualcosa: il primo è il modo in cui qualcosa si concepisce senza (o
àeparato da) qualcos'altro (la superficie si suppone senza il corpo); il secon-
do è quello in cui si considera solo una data cosa, senza prestare attenzione a
210 TRATTATO TERZO

quel qualcosa che eventualmente le si accompagna (si considera solo la


superficie, senza prestare attenzione al fatto che con essa vi sia o non vi sia il
corpo). Solo in questo secondo modo non si incorre nell'illusione di conside-
rare la superficie, che è termine del corpo, come realmente separata dal
corpo. Anche la definizione della linea (che è qui tale in senso generale e
comprende quindi sia la linea, infinita, sia il segmento o la semiretta) soffre
dell'illusione: non può essere il punto a tracciare la linea con il proprio movi-
mento; se il punto è tale in virtù del contatto, ecco che, una volta svanito con
il moto il contatto, con esso svanisce anche il punto; la linea va quindi conce-
pita come un insieme di punti, non come il risultato del moto di uno stesso
punto. Inoltre, se il punto si muovesse in qualcosa, dovrebbe già esservi qual-
cosa (una linea e quindi una superficie e un corpo) che ne legittimi il movi-
mento in una determinata direzione.
[116,3-fine] Avicenna si preoccupa, infine, di confutare un'errata defini-
zione dell'angolo che, descrivendolo come il risultato del moto di una linea a
partire da uno solo dei suoi due capi o estremità, finisce per considerarlo una
sorta di quarto genere di estensione. Si ribadisce così come le sole quantità
continue siano le tre dimensioni spaziali e quella temporale.

Sezione quinta

Tutta la sezione è occupata dall'esame del numero. [119,4-122,12] Il


numero esiste nelle cose concrete e nell'anima, e solo nell'anima può dirsi
astratto dalle cose concrete. In ciò ogni numero è come l'uno dal quale, in ulti-
ma analisi, dipende. Ogni numero ha specifiche proprietà (la divisibilità,
l'irrazionalità numerica etc.) che gli appartengono in quanto è quel dato nume-
ro e in tal senso la molteplicità è qualcosa di distinto dalla proprietà che spetta
a ogni forma numerica in quanto tale: la realtà propria di ciascun numero è la
sua unità; cosi, se il dieci, in quanto molteplice, è molteplicità (è dieci volte
uno), in quanto decina, esso è qualcosa di unitario cui appartengono determi-
nate proprietà (per es. quella di essere divisibile in due "cinque"). Le proprietà
di un dato numero emergono tuttavia dalla sua descrizione, mentre il solo
modo per definire il numero è quello- difficile "a immaginarsi e a esprimersi"
(cfr. 122,11-12) di considerare tutte le unità di cui esso si compone.
[122,13-124,13] Il secondo tema della sezione è costituito dalla diade che i
Pitagorici non considerano numero ma che, nella tradizione aristotelica, e in
tal senso anche per Avicenna, è un numero ed è anzi il più piccolo dei numeri,
divisibile in sole due unità. Non bisogna quindi credere, come fanno alcuni,
che il molteplice si dia solo in presenza di ciò che è maggiore di due (questo lo
fanno i grammatici: in arabo, come in greco, per indicare due cose si usa il
duale, mentre il plurale è riservato a tre o più cose); né si può credere che il
"poco", che è la diade, sia tale in assoluto. Il "poco" è un termine relativo ed è
INTRODUZIONE 211

quindi tale sempre in relazione ad altro: la diade è il più piccolo dei numeri,
ma non è un'entità piccola in assoluto.
[124,14-fine] Avicenna ricorda quindi che i sensi in cui è possibile parlare
di "molteplice" sono due: il primo è quello assoluto e dipende dalla reiterazìo-
11~ dell'unità (il molteplice, in tal senso, si oppone all'unità come ciò che è
misurato si oppone all'unità di misura); il secondo è quello relativo e dipende
dalla comparazione con altro (in tal senso il molteplice è "più" di qualcos'altro
e si oppone allora a ciò che è "poco"). Il molteplice non sì oppone, quindi,
all'uno come ad un contrario. Ma di questo, tratta la sezione successiva.

Sezione sesta

Si esamina qui il tema dell'opposizione tra l'uno e il molteplice, da subito


presentata nel suo carattere aporetico: nessuna delle quattro opposizioni possi-
bili (contrarietà, forma e privazione, contraddizione, relazione) risulta applica-
bile al rapporto tra l'uno e i molti.
[126-128,2] Non si tratta di contrarietà: due cose contrarie non si costitui-
JCOno l'una a partire dall'altra e i molti, composti a partire dall'uno, non pos-
sopo essere a questo contrari. Neppure obiettare che la molteplicità si oppone
ol soggetto cui inerisce l'unità è un argomento valido: non è a uno stesso sog-
getto numericamente uno che l'unità e la molteplicità ineriscono (come
potrebbe lo stesso soggetto essere uno e molti?); e poi l'unità, a ben guardare,
è vanificata non da una molteplicità, ma proprio da un'altra unità che le si
aggiunge (esattamente come una determinata superficie cui sia accostata
un'altra superficie svanisce cosicché al suo posto se ne genera una terza).
~n:{128,2-129,5] L'opposizione tra l'uno e i molti non sembra corrispondere
aeppure a quella che si ha tra il possesso (ossia il possesso di una determinata
lbr:ma) e la privazione: l'unità non è la privazione dei molti e la molteplicità
ilon è la privazione dell'uno. La privazione, infatti, non è qualcosa che sia
concepibile in sé ma si definisce e concepisce solo in virtù del possesso; inol-
tre:, componendosi a partire dall'unità, come potrebbe la molteplicità costituire
la privazione dell'unità o, viceversa, l'unità la privazione di essa? Così, anche
se alcuni degli antichi filosofi (e il riferimento è ai Pitagorici) hanno assimila-
to l~ opposizione tra l'uno e i molti a quella tra il possesso e la privazione, attri-
bnendo all'uno i valori positivi e alla molteplicità quelli negativi, questo tipo
di analogia è da rigettare.
[129,6-129,10] Per le stesse ragioni, il rapporto tra l'uno e i molti non può
~sere considerato come quello fra due contraddittori; nella contraddittorietà,
infatti, l'opposizione della privazione e del possesso rientra come nel proprio
genere (e si avrebbe allora la stessa difficoltà: la negazione è concepibile solo
in virtù dell'affermazione: l'unità- o viceversa la molteplicità- dovrebbe
QUindi essere concepita solo in virtù del suo contraddittorio).
212 TRATTATO TERZO

[ 129,11-130,4] Vi è infine, l'opposizione della relazione; ma neppure que-


sta sembra convenire al rapporto tra l'uno e i molti. Il fatto che due cose siano
relative significa che esse sono concepibili (o dicibili) solo l'una in relazione
all'altra; ma la molteplicità, pur essendo causata dall'unità, non è come tale
concepibile solo in virtù dell'unità (e così l'unità, che è causa del molteplice, è
concepibile indipendentemente da esso): il rapporto tra unità e molteplicità
esiste in quatto esse sono rispettivamente causa e causato, ma il loro esser
causa e causato è qualcosa di diverso dalla loro natura. Avicenna distingue la
concepibilità dell'uno da quella dei molti rilevando quindi che, se sul piano
intellettuale ('a q l) l 'uno precede i molti, sul piano dell'immaginazione
(ta!Jayyul) sono i molti a precedere l'uno: i molti si immaginano o concepisco-
no tali indipendentemente dall'uno, pur essendo causati dall'uno (torna il tema
d'apertura di III, 3, p. 105); inoltre, due cose relative sono convertibili nella
loro relazione.
[130,5-133,15] Una volta escluse tutte e quattro le categorie di opposizio-
ne, appare chiaro che l'opposizione tra l'uno e i molti, non toccando le loro
essenze, li riguarda solo in quanto essi sono assunti rispettivamente come
unità di misura e quantità misurata. A questa, Avicenna fa seguire una serie di
considerazioni sull'unità di misura (e in questo modo viene evocato il tema
dell'incommensurabilità), che in ogni categoria è, in genere, ciò che vi è di più
piccolo e può misurare solo ciò che ad essa è omogeneo; l'unità di misura può
essere poi tale o per natura o per convenzione.

Sezione settima

[134] L'interrogativo di partenza riguarda il carattere accidentale delle


qualità. Alcuni - e Avicenna fa qui riferimento a due teorie cosmologiche
della teologia islamica - ritengono che le qualità siano sostanze. Secondo tali
teorie, ambedue riconducibili alla cosiddetta "dottrina della latenza" (cfr. i
riferimenti dati nella nota 12 al testo), di cui Avicenna discute ampiamente
quando considera i fenomeni della generazione e della corruzione (v. Liber
tertius naturalium de generatione et corruptione e Liber quartus naturalium
de actionibus et passionibus), le qualità sono sostanze o nel senso in cui esse
si infiltrano nei corpi, come l'acqua in un vestito bagnato, oppure nel senso in
cui esse esistono nei corpi o con i corpi, potendo esservi "nascoste" o "manife-
ste"; secondo quest'ultima teoria, i fenomeni naturali non sono il risultato di
un mutamento, ma solo la manifestazione (o viceversa l' occultazione) di entità
già esistenti nei corpi, seppure in modo latente (come l'olio è già nel sesamo ).
La confutazione di tali teorie è articolata da Avicenna in più argomenti.
[134,16-137,11] l) Se le qualità sono sostanze, esse la) o sono corpi o l.b)
non sono corpi. lb) Se non sono corpi, o l.b.1) a partire da esse si forma un
corpo, ma ciò è impossibile, perché da ciò che non è corporeo e non è quindi
INTRODUZIONE 213

divisibile non può formarsi alcun corpo; lb.z) oppure non si forma alcun
corpo, nel qual caso, le qualità-sostanze accompagnerebbero i corpi o si infil-
trerebbero in essi, senza costituirli. Ma allora: l.b.2.1) per infiltrarsi in un corpo
o accompagnarlo, esse dovrebbero avere una posizione ed essere quindi cor-
poree, contro l'ipotesi; inoltre: l.b.2.2) ci si può chiedere se tali qualità-sostan-
ze non siano - o siano - tali da separarsi dal corpo cui si accompagnano.
l.b.2.2.1) Se non si separano dal corpo cui si accompagnano, allora- come è
evidente - esse sono accidenti e della sostanzialità hanno solo il nome;
l.b.2.2.2) se, viceversa, se ne separano, allora, o l.b.z.z.z.a) lo fanno in quanto si
trasferiscono da un corpo all'altro; oppure l.b.z.z.z.b) lo fanno in quanto sussi-
stono separate dal corpo.
l.b.2.2.2.a.1) Se le qualità-sostanze potessero separarsi dal corpo solo per tra-
sferirsi a un altro corpo, si avrebbe l'assurdità di un corpo che potrebbe raf-
freddarsi solo se si scaldasse quello accanto ad esso o che potrebbe mutare di
colore solo se il proprio colore passasse al corpo a fianco! l.b.2.2.z.a.2) Né si
può credere che tali qualità-sostanze rimangano nel corpo, nascoste, dato che
la dottrina della latenza si è già rivelata erronea. l.b.2.2.2.a.3) In ogni modo -
nota infine Avicenna- tale trasferimento delle qualità non risolverebbe la que-
stione della loro accidentalità: anche degli accidenti, infatti, sarebbe possibile
dire che "passano" da un corpo all'altro. l.b.z.2.2.a.4) Vi è poi una questione più
generale che riguarda la determinazione della qualità: o una qualità si accom-
pagna a un determinato corpo proprio perché si tratta di quel determinato
corpo, oppure gli si accompagna in ragione di una causa esterna che non tocca
la natura del corpo. l.b.2.2.2.a.4.1) Ora, se la qualità è vincolata a un determinato
soggetto individuale, essa non può evidentemente trasferirsi a un soggetto
diverso; l.b.2.2.2.a.4.2) e se invece non gli è vincolata, è necessario supporre
l'esistenza di una causa che giustifichi l'abbandono da parte della qualità del
primo soggetto, e poi di un'altra causa che dia conto del suo trasferirsi all'altro
soggetto. La causa che giustificherebbe l'abbandono del primo soggetto, infat-
ti, non spiega automaticamente che la qualità si accompagni a un altro sogget-
to. In tal senso, o la qualità fa a meno del soggetto perché non è ad esso vinco-
lata, oppure può esistere solo in quel soggetto. [137,12-138,3] D'altra parte,
senza un soggetto si avrebbe un'alterazione dell'identità della cosa e non un
trasferimento della qualità da un soggetto a un altro .. Avicenna mostra come
l'alterazione implichi sempre un permanere: la sostanza permane mentre la
qualità, che è accidente, svanisce.
[138,4-139] l.b.2.2.2.b) Se, d'altra parte, la qualità sussiste separata dal
corpo, allora l.b.2.2.2.b.l) è possibile concepirla come percepibile in sé; in tal
caso, tuttavia, essa, non essendo qualcosa di intelligibile, è un corpo (e si deve
allora immaginare un vuoto nei corpi in cui esso si possa inserire); l.b.2.2.2.b.2)
se poi si considerasse la qualità (Avicenna prende ad esempio il bianco) come
qualcosa di separabile, ma incorporeo (non in sé designabile), non lo si potreb-
be pensare tale da trasferirsi nei corpi; l.b.z.2.2.b.3) infine, se se ne fa qualcosa
214 TRATIATO TERZO

dotato di estensione, non si fa che raddoppiarne l'esistenza (si avrebbe infatti


la qualità come tale e la qualità come estensione): se la qualità fosse un corpo,
infatti, in virtù di una data natura essa sarebbe estensione, mentre in virtù di
un'altra natura essa sarebbe, per esempio, bianchezza. In ogni caso (a parte le
difficoltà che ne conseguirebbero, per esempio se le dimensioni del "bianco"
fossero maggiori di quelle del corpo cui esso dovrebbe inerire) non si verrebbe
più a parlare del bianco ma di un corpo bianco.

Sezione ottava

La sezione è incentrata sulla questione dello statuto di accidentalità che


deve essere riconosciuto alle forme che costituiscono la conoscenza umana.
[140] Se è chiaro che le forme degli accidenti sono accidenti, meno evidente è
che le forme delle sostanze siano a loro volta degli accidenti. È in gioco, in
realtà, la definizione stessa della sostanza come di "ciò che esiste non in un
soggetto": se l'intelletto è un soggetto, come può la sostanza (conosciuta come
tale) "esistere" in esso? Avicenna sembra considerare seriamente questa obie-
zione, anche perché essa gli consente di ribadire che la definizione della
sostanza è ciò che negli individui concreti, e cioè nella realtà, non esiste in un
soggetto; questa definizione non esclude che, in quanto conosciuta, la sostanza
esista sotto un'altra forma, ossia nel modo della forma dell'intelligibile e che
perciò esista in un soggetto quale l'intelletto. Nei termini della linguistica si
potrebbe dire che il fatto che la sostanza sia tale da essere intelletta non costi-
tuisce un tratto "pertinente" della sua definizione in quanto sostanza. La defi-
nizione della sostanza è tale in quanto la sostanza, "sia o non sia essa
nell'intelletto" esiste "non in un soggetto" negli individui concreti e cioè,
come Avicenna chiarirà, in quegli individui che rendono attuali gli statuti e le
azioni che le vanno attribuiti. [141] Analogamente, se, secondo la definizione
aristotelica, il movimento è "perfezione di ciò che è in potenza in quanto è in
potenza" (cfr. ARIST., Phys., III, l, 201 b 4-5), ciò non vuol dire che, quando
abbiamo intellezione del movimento, esso sia nell'intelletto la perfezione
dell'intelletto, quasi ne fosse il motore. Lo statuto della sostanza è, insomma,
analogo a quello del magnete che attrae il ferro ma non attrae il palmo della
mano: anche quando il magnete è nel palmo della mano e non lo attrae, la sua
natura è quella di attirare il ferro. [142] Non si può neppure far notare che
nell'intelletto la sostanza esiste in un soggetto; quando si nega assolutamente
(a~lan) che la sostanza sia in un soggetto, ci si riferisce comunque alla sua esi-
stenza nella realtà, e non quindi all'esistenza dell'intelligibile della sostanza
nell'anima.
[142,8-142,17] Vi è infine un'altra obiezione cui rispondere, e riguarda lo
statuto delle sostanze separate. Qualcuno potrebbe ritenere che, in quanto in se
stesse intelligibili, le sostanze separate coincidano con i loro intelligibili e
INTRODUZIONE 215

siano, come tali, degli accidenti. Ma il fatto che esse siano in sé intelligibili
significa solo che esse hanno intellezione di loro stesse indipendentemente dal
fatto che qualcosa di diverso ne abbia intellezione e che esse sono in sé libere
dalla materia e in questo senso "astratte" (mugarrada); non è però la loro stessa
essenza a costituire oggetto di scienza, ma una forma. [143-144,6] Non si può
dire, inoltre, che sia la stessa forma a imprimersi in diverse materie; la forma
non si imprime nelle materie: la scienza consiste nelle tracce, cioè nelle impres-
sioni delle forme che sono nell'anima ed essa, come tale, è un accidente (per la
dottrina degli universali e la loro esistenza nell'anima, cfr. IliiA, V, 1-2).

Sezione nona

[145,4-146,7] L'argomento della sezione consiste solo apparentemente


nella discussione del carattere accidentale delle qualità che ineriscono alle
quantità; in realtà, Avicenna è qui interessato essenzialmente a due cose: la
confutazione delle dottrine atomiste dei teologi e la conseguente conferma
della fisica aristotelica. Così, se alcune delle qualità di quantità, come la
parità e la disparità, sono già state definite, e altre appartengono specifica-
mente all'aritmetica, è delle qualità che riguardano l'estensione che Avicenna
qui si occupa. Ora, parlare delle estensioni o misure significa in primo luogo
trovare un metodo per dimostrarne l'esistenza. Nessuna figura e nessun soli-
do esistono, infatti, in modo evidente e- poiché tutte le figure sono deducibi-
li a partire da quella del cerchio, è in primo luogo necessario dimostrare l'esi-
stenza di quest'ultimo, tenendo presente fra l'altro- e Avicenna ha in mente
proprio le dottrine dell'atomismo teologico- che alcuni, ritenendo le esten-
sioni formate da parti indivisibili (atomismo geometrico), negano l'esistenza
del cerchio (cioè negano che nella realtà del mondo sensibile possa darsi un
cerchio "perfetto", corrispondente all'idea geometrica che se ne possiede).
Avicenna procede in due tappe: in un primo momento, dimostrando l' esisten-
za del cerchio e q~indi la divisibilità delle "parti" che lo compongono, confu-
ta l'atomismo a partire dagli stessi principi dell'atomismo; in un secondo
momento, elabora le dimostrazioni dell'esistenza del cerchio a partire da
principi "della vera dottrina".
l) Confutazione delle tesi atomiste. [146,8-147-4] Se, accogliendo l'ipotesi
atomista, si fa del cerchio "sensibile" qualcosa che non corrisponde al cerchio
in senso geometrico, si ha una figura costituita da atomi, dai bordi "dentellati".
Il "centro" di un tale cerchio è un atomo; è possibile, tuttavia, tracciare una
semiretta che, partendo daJ "centro" (C), passi su di un punto (cioè un atomo)
della circonferenza (B); ora, rimuovendo l'atomo della circonferenza che cor-
risponde al punto di incontro di tale semiretta (C-B), si ha un altro punto D e
un'altra semiretta C-D; si hanno allora due possibilità: o C diviene il centro
reale del cerchio (perché la linea C-D, e cioè quella che unisce C con il punto
216 TRATIATO TERZO

immediatamente successivo aB, corrisponde al raggio)- e si ha allora un cer-


chio nei senso ideale, in cui ogni punto della circonferenza è equidistante dal
centro, e la tesi atomista è già confutata- oppure no; ma se C non è "centro",
è comunque possibile renderlo tale, aggiungendo alla circonferenza una parte
o rimuovendone una; e in ogni caso, quindi, si sarà dimostrata l'esistenza del
cerchio.
(147-5-147,9] Il secondo argomento insiste sulla dentellatura del cerchio:
facendo entrare ogni dente in una fessura o incavo, e cioè rimuovendo ogni
"dente", si potrà ottenere un vero cerchio.
[147,10-148,8] L'argomento successivo ribadisce semplicemente il primo:
non si può negare che sia sempre possibile far passare una linea retta tra due
punti; così, se si rimuovessero tutti gli atomi (i punti) che costituiscono la cir-
conferenza a eccezione di uno, sarebbe possibile tracciare una semiretta tra di
esso e quello che si è supposto corrispondere al centro del cerchio (è d'altron-
de ciò che gli atomisti ammetterebbero se si fosse nel vuoto). In tal caso si
avrebbero quindi due "punti" l'uno di fronte all'altro, la semiretta che li con-
giunge sarebbe un "raggio" da cui sarebbe di conseguenza possibile costruire
un cerchio. Ora, - continua Avicenna -poiché gli atomisti non possono trince-
rarsi dietro l'argomento che, quando sono esistenti, gli atomi non possono
essere paralleli - cioè non possono "star di fronte" gli uni agli altri (non è
ammissibile l'idea di parti che si comportino diversamente a seconda che
siano considerate esistenti o inesistenti, ossia a seconda che siano stati o meno
rimossi gli atomi del cerchio), ecco che l'esistenza del cerchio è nuovamente
confermata. [148,9-148,13] Una volta dimostrata l'esistenza del cerchio, la
dottrina atomista appare insostenibile; si è infatti dimostrato come la circonfe-
renza non sia rettificabile e si è così provata l' incommensurabilità delle linee
che l'atomismo, invece, nega; perché in base ai principi dell'atomismo, tutte le
linee, composte di atomi, dovrebbero essere fra loro commensurabili.
2) Dimostrazioni secondo i principi "della vera dottrina". [148,14-fine]
Avicenna ricorda in primo luogo come già a partire dalla dimostrazione
dell'esistenza di un corpo semplice, ossia la sfera celeste, sia possibile arrivare
al cerchio, che ne è la sezione; egli espone, quindi, altri due argomenti. Il
primo è di carattere geometrico: si pongano due linee (o due superfici o due
corpi) in contatto su di un angolo; ebbene, perché una delle due linee coincida
con l'altra o venga ad esserle parallela, si formerà necessariamente una linea
curva. Per coincidere con l'altra linea, senza tagliarla, la prima linea finirà,
infatti, per tracciare una linea curva; ed egualmente, se saranno ambedue le
linee a muoversi, si avrà un arco di cerchio. Il secondo argomento è di caratte-
re fisico: se, su di un piano, si colloca un corpo che ha un'estremità più pesan-
te dell'altra, facendolo poggiare sulla superficie pilma con la sua estremità più
leggera, per essere tenuto in piedi, esso avrà bisogno dì qualcosa che lo
sostenga; viceversa, venendo a mancare il sostegno, il corpo cadrà e, cadendo,
traccerà un cerchio. Infatti, quando il corpo cade, un'estremità va verso l'alto
INTRODUZIONE 217

e l'altra verso il basso, così da formare un semicerchio; altrimenti, con il muo-


versi di un'estremità, un punto del corpo dovrebbe muoversi in lunghezza
(quest'ultimo caso, però è meramente immaginativo: non si dà in natura per-
ché le parti leggere salirebbero e non si potrebbero muovere in lunghezza). Il
corpo considerato nell'ipotesi è quindi divisibile in due parti: una che cade
verso i1 basso "per natura" e una che va verso l'alto "per violenza"; in tal
modo, si dimostra il cerchio, a partire dal quale è possibile poi ricavare l'esi-
stenza delle altre figure e degli altri solidi.

Sezione decima

[152,4-153,11] Tema della sezione è il concetto di relazione di cui, comun-


que, Avicenna ha già trattato nella Logica. Il carattere accidentale del relativo
non è per altro messo in dubbio: il relativo è sempre relativo di qualcosa. La
relazione accade alle sostanze come alle altre categorie. Tutte le cose relative
sembrano riassumibili in quattro classi: eguaglianza; eccesso-mancanza; azio-
ne-passione; somiglianza. [153,12-154,6] Si può tuttavia dare anche un'altra
definizione generale del rapporto tra due relativi: i due relativi possono essere
tàli da non aver bisogno di nient'altro che di loro stessi per istituire la relazio-
ne che li lega (sono così, per esempio, la destra e la sinistra), oppure possono
essere tali in quanto partecipano di qualcosa di altro rispetto a loro stessi,
come l'amato e l'amante, i quali partecipano rispettivamente dell'esser preso e
del prendere; vi sono, infine, quelli in cui solo uno dei due estremi della rela-
zione partecipa di qualcosa di altro da sé, ed è questo il caso del conoscente e
del conosciuto (perché solo il primo è in relazione alla scienza). [154,7-
155,16] Appare comunque più urgente comprendere come si dia la relazione
e, precisamente, se essa sia un'intenzione numericamente una che viene parte-
cipata dai relativi o non sia, piuttosto, una proprietà distinta in ciascuno degli
elementi relativi, come sembra evidente - per esempio - nel caso di quei rela-
tivi che differiscono nella loro relazione, come il "padre" e il "figlio" (relativi
asimmetrici). Per Avicenna è infatti in questo senso che deve essere concepita
la relazione tra le cose, e cioè esattamente come la si concepisce nel caso di
due cose che abbiano lo stesso accidente, come la bianchezza: non vi è quindi
una cosa una di cui parteciperebbero entrambi i relativi - non vi è uno stesso
accidente che abbia due distinti luoghi di inerenza - e vi è, invece, una pro-
prietà in ciascuno dei due relativi: il fatto che ognuno dei due sia in rapporto
all'altro non fa di essi una stessa cosa.
[ 156,1-157 ,2] Vi è, infine, un'altra importante questione ed è quella che
riguarda il "luogo" dell'esistenza della relazione: se esso sia nei singoli indivi-
dui o vada invece individuato solo nell'intelletto (come, per esempio, è solo
nell'intelletto che le cose sono universali o particolari; genere o specie, ecc.).
Secondo coloro che difendono l'esistenza della relazione come esclusiva
218 TRATTATO TERZO

dell'intelletto (e Avicenna si riferisce ancora una volta alle dottrine dei teologi
e, forse, anche ad alcune teorie stoiche), una relazione nelle cose non si può
dare perché si andrebbe all'infinito: se la relazione del padre con il figlio esi-
stesse nel padre, si dovrebbe dare anche una relazione tra il padre e la pater-
nità e così via, all'infinito. [157,3-fine] Avicenna giunge alla propria soluzio-
ne ridefinendo il relativo come qualcosa la cui quiddità si dice (o si predica)
solo in relazione ad altro da sé: è evidente allora che il relativo - ossia la cosa
che è relativa- esiste nella realtà concreta ma che, una volta che in essa si sia
astratta l'intenzione in virtù della quale essa è relativa a qualcos'altro, questa
intenzione è qualcosa che in sé stabilisce la relazione e non rimanda a niente
altro che a se stessa. Che poi questa intenzione si dia in questo determinato
soggetto, significa che è questo determinato soggetto ad essere intelletto in
rapporto a qualcos'altro. Il predicato della relazione che esiste nel soggetto fa
quindi in modo che il soggetto venga assunto con qualcosa d'altro; se il relati-
vo è un accidente nella cosa, la relazione "in rapporto a" è solo nell'intelletto.
La dottrina di Avicenna sul relativo assegna quindi un ruolo importante alla
concettualizzazione: non esiste mai una relazione tra una cosa esistente e una
cosa inesistente (come si potrebbe credere nel caso dell'anteriorità di una cosa
rispetto a un'altra che deve ancora verificarsi, o della resurrezione e della
conoscenza che ne abbiamo): la relazione è sempre tra forme che sono esisten-
ti nell'intelletto.
220 [93]

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TRACTATUS TERTIUS

CAPITULUM DE ASSIGNATIONE EJUS QUOD OPORTET INQUIRI


DE DISPOSITIONE NOVEM PRAEDICAMENTORUM IN ACCIDENTAUTATE EORUM

[104] Dicam igitur quod iam ostendimus quid sit substantia, et ostendimus quod ipsa
praedicatur de separato et de corpore et de materia et de forma. Sed certificare quod corpus
sit et quod sit substantia non est opus; materiam vero et formam iam ostendimus esse sub-
221

SEZIONE PRIMA

IN CUI SI INDICA CIÒ CHE CONVIENE INDAGARE DELLO STATO


DELLE NOVE CATEGORIE E (SI DISCUTE] DELLA LORO ACCIDENTALITÀ

Diciamo: che cosa sia la sostanza 1 lo abbiamo già reso evidente e [abbia-
mo chiarito] che essa si dice di quel che è separato, del corpo, della materia e
della forma. Ora, del corpo si può fare a meno di stabilire [l'esistenzaf, [l'esi-
stenza] della materia e della forma l'abbiamo già stabilita3 , e [che esista] quel
che è separato l'abbiamo stabilito in modo quasi definitivo4 e ancora lo faremo
in seguito. Inoltre, se ricorderai quel che abbiamo detto a proposito
dell'anima, considererai valida l'esistenza di una sostanza separata e incorpo-
rea5. Perciò, adesso è opportuno passare ad appurare [quale sia la realtà] degli
accidenti e a stabilime [l'esistenza].
E diremo: che cosa siano le dieci categorié lo hai già compreso all'inizio
della Logica7 e non v'è poi dubbio che fra tutte il relativo- [proprio] in quan-
to è relativo- debba essere qualcosa che accade a qualcos'altro e così è per i
rapporti che riguardano il dove, il quando, la posizione, l'azione, la passione:
essi sono stati che accadono alle cose in cui si trovano, come qualcosa che esi-
sta in un soggetto. Qualcuno, tuttavia, potrebbe dire che l'azione non è di que-
sto tipo perché l'esistenza dell'azione non [94] è nell'agente ma, invece, in

stantiam. Separatum vero iam ostendimus per potentiam propinquam effectui, et adhuc ple-
nius ostendemus. Si autem memineris id quod diximus de anima, certificabitur ti bi esse sub-
stantiam separatam, non corpus. Necesse est igitur ut procedamus ad certificandum acciden-
tia et stabiliendum ea. Dicam igitur quod in principio logicae iam cognovisti quidditatem
decem praedicamentorum, et ideo non dubitas quia id quod ex eis est ad aliquid, inquantum
est ad aliquid, est res accidens alicui necessario; similiter comparationes quae sunt in ubi et
quando et in si tu et in age re et pati et habere; sunt enim dispositiones ace i-[ l 05]dentes ali-
quibus in quibus sunt, sicut id quod est in subiecto. Si quis autem dixerit quod agere non est
sic, eo quod esse actionis non est in agente, sed in patiente, si hoc dixerit et concesserimus
222 \t [94J

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• ..!.U.) l:.l..i .u ~'(, ' u"=l.ll

J'>l.J":J> ..:,.':)l..,.:li.Jf Jl..,....; &i ' p~_,._,/.; J_,.ill ..... ~t 1.. t,


' J~\ _,..J'!! 4-_,.il.b~ ~l u" .L c:>l : Jli .w_,.!.,.!! •.sJI:-.J 10

i ~_,._,.L;~ J,l .)4i r \A' ~· r.u! t., ' r...IJ! .JfÌ ·~ r_,.&.. .,... l.,
. ~_,.).:~ -:.:'*-'1 J,l ~~ ~,

illi, tarnen non nocebit ad hoc quod modo intendimus, scilicet quod actio habet esse in ali-
quo sicut in subiecto, quamvis non sit in agente. De praedicarnentis igitur de quibus est
quaestio an sint accidentia an non, duo remanent, scilicet praedicamentum quantitatis et
praedicamentum qualitatis.
Sed de praedicamento quantitatis multis visum fuit linealll, superficiem et mensuram
corporalem ponere esse de praedicamento substantiae, nec suffecit eis hoc, sed etiam posue-
runt haec esse principia substantiae; quibusdarn vero ex eis vistlm fuit hoc sentire de quanti-
tatibus discretis, scilicet numeris, et posuerunt eas principia substantiarum.
TRATIATO TERZO- SEZIONE PRIMA 223

quel che è fatto. Ma anche se [qualcuno] affermasse questo e glielo si conce-


desse, non vi sarebbe alcun danno per quel che si desidera8 [mostrare, e cioè,]
che l'azione esiste in qualcosa: la sua esistenza sarebbe in un soggetto, anche
se non nell' agente9 .
Fra le categorie ne resta, però, qualcuna al cui proposito sussiste [qualche]
difficoltà e di cui [ci si chiede] se si tratti, o non si tratti, di un accidente; [è il
caso di] due categorie: la categoria del quanto e la categoria del come.
Per ciò che riguarda la categoria del quanto, infatti, molti ritennero di far
rientrare la linea, la superficie e l'estensione 10 corporea tra le sostanze e di non
limitarsi a ciò ma, anzi, di fare di tali cose i principi delle sostanze; e alcuni
questa [stessa] opinione la ebbero riguardo alle quantità discrete, cioè ai
numeri, dei quali fecero i principi delle sostanze 11 •
Quanto alla [categoria del] come, ebbene, alcuni altri tra i [filosofi] della
natura hanno ritenuto che essa non sia affatto un predicato, ma che invece il
colore sia in se stesso una sostanza, il gusto un'altra sostanza, l'odore
un'altra sostanza ancora e che, a partire da queste, sussistano le sostanze sen-
t;\bili·, e il maggior numero dei partigiani della ~tearia1 della latem.a prafe&&a
questa dottrina 12 •
Ora, i dubbi [che sollevano] i partigiani della dottrina della sostanzialità
del come è più opportuno esporli nella scienza naturale, ed è quindi come se
l'avessimo fatto 13 .
Quanto ai partigiani della dottrina della sostanzialità del quanto, ebbene:
colui che professa che le [quantità] continue sono sostanze e principi per le
sostanze ha già sostenuto [implicitamente] che queste sono le dimensioni che
costituiscono la sostanza corporea; ma [poiché] quel che costituisce una cosa è
anteriore [ad essa] e quel che è anteriore alle sostanze dovrebbe essere più
degno della sostanzialità, [costui] farebbe del punto il più degno della sostan-
zialità fra le tre 14 !

De qualitate autem quibusdam ex naturalibus visum fuit quod non subsistunt in aliquo
uUo modo, sed quod color per se est substantia et sapor alia substantia et odor alia substanti~
et quod haec sunt constituentia substantias sensibiles. Et plures ex his qui tenent sententiam
de occulto intendunt hoc. Sed sententiam eorum qui dicunt qualitatem esse substantiam con-
venientius est ponere in scientia naturali, et fortasse nos iam fecimus hoc.
[106] Sed ex his qui tenent substantialitatem quantitatis, illi qui dicunt quod continuae
quantitates sunt substantiae et principia substantiarum; illi iam dixerunt quod: "haec sunt
dimensiones constituentes substantiam corpoream; quicquid enim constituit rem, prius est
ea; quod autem prius est substantia, dignius est substantialitate", et posuerunt punctum el(
tribus'dignius substantialitate.
224 [95]

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Qui vero tenent sententiam de numero posuerunt hunc principium substantiae, ipsum
vero posuerunt compositum ex unitatibus, ita quod fecerunt unitates principia principiorum.
Deinde dixerunt quod unitas est natura non pendens in sua essentia ex aliqua rerum, scilicet
quia unitas est in omni re, et quod unitas in ipsa re est ipsa quidditas ipsius rei. Nam unitas
in aqua est ipsamet aqua et in hominibus est ipsi homines; et etiam quod ipsa, inquantum est
unitas, non eget ut sit aliqua ex rebus. Quicquid autem est, non est id quod est nisi quia est
unum designatum. Igitur unitas est principium lineae et superficiei et omnis rei: superficies
enim non est superficies nisi unitate suae propriae continuationis, similiter et linea; punctum
etiam est unitas cui factus est situs. Igitur unitas est causa omnis rei, et primum quod ex uni-
tate fit et generatur numerus est. Numerus igitur est causa media inter unitatem et omnem
TRATfATO TERZO- SEZIONE PRIMA 225

[95] I partigiani del numero, poi, hanno fatto [dei numeri] i principi delle
sostanze, sennonché, hanno considerato i [numeri stessi] composti di unità, e
così le unità sono venute ad essere i principi dei principi 15 ! Inoltre, hanno
sostenuto che l'unità è una natura che in se stessa non dipènde da nulla, perché
}'unità è in ogni cosa e l'unità [che è] in una data cosa è diversa dalla quiddità
di questa data cosa: l'unità [che è] nell'acqua è diversa dall'acqua e [quella
che è] negli esseri umani è diversa dagli esseri umani. Inoltre, mentre in quan-
to è unità 16 essa può fare a meno di essere una data cosa, ogni cosa viene ad
essere quel che è solo in quanto è una e determinata, e così 17 - [hanno detto]~
l'unità è principio della linea, della superficie e di ogni cosa. La superficie,
infatti, non è superficie se non in virtù dell'unità della continuità che le è pro-
pria, e così la linea, e il punto sarebbe anch'esso un'unità alla quale è soprag-
giunta una posizione. [Secondo costoro] l'unità sarebbe quindi causa di ogni
cosa e la prima [cosa] a provenire e ad avvenire a partire dall'unità sarebbe il
numero, il quale sarebbe così una causa mediatrice tra l'unità e qualunque
[altra] cosa: il punto, infatti, sarebbe un'unità posizionale, la linea una dupli-
cità posizionale, la superficie una triplicità posizionale [e infine] il corpo una
quadruplicità posizionale. Poi hanno proseguito così per gradi fino a far deri-
vare ogni cosa dal numero 18 .
Così noi in primo luogo dobbiamo mostrare come evidente che le estensio-
ni (al-maqiidfr) 19 e i numeri sono accidenti e poi, dopo di ciò, ci occuperemo
di risolvere i dubbi [sollevati da] costoro. Ma prima di [tutto] questo dobbia-
mo far conoscere [quale] sia la realtà delle specie della quantità: conviene
quindi far conoscere la natura dell'unità. E faremo bene a far conoscere la
natura dell'uno, in questi passaggi 20 , con due [diversi] argomenti: il primo dei
due è che l'uno è decisamente comparabile con l'essere, che è il soggetto 21 di
g_J.!esta scienza; il secondo è che l'uno, da un certo punto di vista, è un princi-
pio per la quantità.

rem; punctum vero est unitas situalis et linea dualitas situalis et superficies temarietas situa-
lis et corpus quatemarietas situalis. Illi etiam non sunt contenti tantum hoc, sed processerunt
dicentes quod nihil fit nisi per numerum.
Conveni! igitur nobis ut prius ostendarnus quod mensurae et numeri accidentia sunt, et
deinde studebimus solvere quaestiones quae fiunt in his. Ante hoc autem oportet ut notifice-
mus certitudinem specierum [ 107] quantitatis, et quod dignius est nobis est hoc ut ostenda-
mus naturarn unitatis. Congrui t enim nobis ut in hoc loco assignemus naturarn unitatis prop-
ter duas res, quarum una est quod unitas multam habet convenientiam cum esse quod est
subiectum istius scientiae, alia, quod unitas initium est aliquo modo quantitatis. Quod autem
226 ~'\ [96]

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initium sit numeri bene consideranti facile est intelligere; continui etiam similiter est, quia
continuationi aliqua unitas est quae est quasi causa formalis continui, mensura enim non est
mensura nisi inquantum mensuratur; sed esse eius secundum quod mensuratur non est nisi
inquantum numeratur, et esse eius secundum quod numeratur est esse eius inquantum habet
unitatem.
TRATI ATO TERZO- SEZIONE PRIMA 227

[96] Quanto al fatto che [l'uno] sia principio del numero, è [cosa] facile [a
comprendersi], per chi vi rifletta; che poi lo sia per il continuo, è perché la
continuità è una certa unità ed è quindi come se [l'uno) fosse 22 una causa for-
male del continuo; l'estensione poi, essendo tale, è rnisurabile2 \ ed è misura-
bile in quanto è numerabile ed è numerabile in quanto le appartiene un uno.
228 [971

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II
.CAPITULUM DE UNO

Dicam igitur quod unum dicitur ambigue de intentionibus quae sic conveniunt quod in
eis non est divisio in effectu, inquantum unumquodque eorum est id quod est; haec autem
intentio est in eis secundum prius et posterius. Et hoc dicitur unum secundum accidens.
Unum autem secundum accidens est cum de aliquo, cui adiunctum est aliud, dicitur
quod ipsum est alterum et dicitur quod utraque sunt unum. Et hoc est ve! subiectum et
229

[SEZIONE SECONDA)

DISCORSO INTORNO ALL'UNO

L'uno - diremo - si dice genericamente (bi-l-taskfk)Z 4 di cose (ma 'amn)


che coincidono 25 [tra loro) nel fatto che nessuna ha in atto una divisione che la
riguardi in quanto è quel che è26 ; questa intenzione [dell'uno] si trova, tuttavia,
in esse secondo anteriorità e posteriorità; ma questo [lo vedremo] dopo l'uno
per accidente 27 •
L'uno per accidente [si ha quando) di una cosa che ne accompagni un'altra
si dice che essa è l'altra e che le due sono una stessa [cosa]. E potrà trattarsi o
di un soggetto e di un predicato accidentale, come [quando] diciamo che
"Zayd e lbn 'Abd AlHih sono uno" e che "Zayd e il medico sono uno"; oppure
di due predicati per uno stesso soggetto 28 , come [quando] diciamo: "il medico
e lbn 'Abd Allah sono una stessa [persona)", poiché accade che una stessa
cosa (say') sia e medico e lbn 'Abd Allah; oppure di due soggetti per uno
[stesso] predicato accidentale, come [quando) diciamo che "la neve e il gesso
sono uno" - lo sono cioè, per quanto riguarda il bianco - poiché accade che
dei due si predichi 29 uno stesso accidente 30 •
Dell'uno che è per sé31 però [vi sono diversi modi): vi è l'uno per genere;
l'uno per specie, ed è l'uno che è per differenza [specifica]; l'uno per compa-
razione (bi-l-muniisaba) 32 ; l'uno per il soggetto; l'uno per numero; [98) l'uno

praedicatum accidentale, sicut cum dicimus quod Petrus et physicus sunt unum, ve! quod
[108] Petrus et filius Ioannis sunt unum. Ve! sunt duo praedicata de uno subiecto, sicut
cum dicimus quod physicus et filius Ioannis sunt unum, eo quod accidit ut physicus et
filius Ioannis sint unum aliquid. Vel sunt duo subiecta unius praedicati, sicut cum dicimus
quod nix et gypsum sunt unum, scilicet in albedine, eo quod accidit praedicari de utrisque
unum accidens.
Sed unum quod est secundum essentiam, aliud est unum genere, aliud unum specie et
hoc idem est unum differentia, et aliud est unum comparatione, et aliud est unum subiecto,
230 v. [98]

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et aliud est unum numero. Unum autem numero aliquando est continuatione, aliquando per-
fectione, aliquando propter speciem suam, aliquando propter suam essentiam.
Unum autem genere aliquando est unum propinquo genere, aliquando remoto, et unum
specie similiter aliquando est unum propinqua specie quae non dividitur in species, aliquan-
do remota et convenit cum aliqua divisionum capituli primi, quamvis hic sit diversitas
secundum respectum. Cum autem fuerit unum specie, sine dubio erit unum differentia; con-
stat autem quod quicquid est unum genere, multa est specie; unum vero specie, aliquando
est multa numero, aliquando non est multa numero, scilicet cum natura totius speciei fuerit
in uno individuo; et hoc uno modo erit species et alio modo non erit species, eo quod uno
TRATTATO TERZO- SEZIONE SECONDA 231

per numero può poi essere in virtù della continuità, può essere in virtù della
contiguità33 , può essere in ragione della sua specie e può essere infine in ragio-
ne della sua essenza.
L'uno per genere può essere per genere prossimo e può essere per genere
remoto. Analogamente, l'uno per specie può essere per specie prossima, che
non si divide in specie [ulteriori], e può essere per specie remota, corrispon-
dendo in questo caso a una delle due divisioni della prima categoria, benché
nel modo in cui lo si considera vi sia una differenza34 .
Quando [l'uno] è uno per specie, esso è senz'altro uno per la differenza,
mentre è noto che l'uno per genere è molteplice nella specie e che l'uno per
specie può essere - ma anche non essere - molteplice nel numero; se tutta la
natura della specie è in un solo individuo, esso da un certo punto di vista è una
specie e, da un altro punto di vista, non lo è: infatti, da un certo punto di vista
esso è universale e da un altro punto di vista non è universale 35 • Rifletti su ciò
nel passo in cui discuteremo dell'universale, oppure ricorda i passaggi che hai
incontrato precedentemente36•
, L'uno nel senso del continuo, poi, è quello che, sotto un certo aspetto, è
uno in atto ma in cui, sotto un altro aspetto, c'è anche una molteplicità. Quello
cJle è realmente [uno nel senso del continuo] è quello in cui la molteplicità è
splo in potenza; esso è nelle linee, e [indica] allora quella che non ha angoli 37 ;
nelle superfici, ed è la superficie piana; nei solidi38 , ed è il corpo che è conte-
1\~U,>.da una superficie che non ha discontinuità in corrispondenza di un
a,ogolo39• A questo segue ciò in cui la molteplicità è in atto ma i cui estremi si
incontrano su di un termine comune, come [accade] ad etrambe le linee che
comprendono [99] l'angolo e ancora a questo segue ciò che ha gli estremi con-

~ est universale et alio modo non est universale; hoc autem perpendes ex loco in quo
l:glçtabimus de universali, et si recordatus fueris eorum quae dieta sunt tibi.
:L [109] Unum autem continuatione est id quod est unum in effectu aliquo modo, et est in
!~U.nultitudo alio modo. Sed verum unum est id in quo est multitudo in potentia tantum, ut
!' Jmei.s, illa scilicet in qua non est angulus, et in superficiebus, illa quae est planissima, et
-~ribus, illud quod circumdat superficies in qua non est curvatura secundum angulum.
l\}st hoc autem sequitur aliud unum in quo est multitudo in effectu, sed duo eius extrema
~lantur apud terminum communem, sicut totalitas duarum linearum continentium angu-
232 [99]

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lum. Et sequitur etiam aliud cuius extrema contingunt se sic ut videatur esse continuum in
comitantia motus unius ad aliud. cuius unitas est quasi sequens unitionem motus; hic enim
est cohaerentia, et hoc est sicut membra quae sunt composita ex aliis membris, et principali-
ter id cuius cohaerentia est naturalis, non artificialis. Sed unitas in isto omnino debilior est;
egreditur enim ab unitate continuitatis ad unitatem aggregationis. Unitas autem continualis
dignior est aggregali in intellectu unitatis: in unitate enim continuali non est multitudo in
effectu, sed in unitate aggregali est multitudo in effectu; unitas enim quae sibi attribuitur
non aufert ab ea multitudinem. Unitas vero continuitatis ve! consideratur respectu quantitatis
ve! alterius naturae, sicut si fuerit aqua ve! aer quibus accidit esse unum continuitate ut sint
TRATIATO TERZO- SEZIONE SECONDA 233

tigui secondo una contiguità che è assimilabile al continuo: in quanto il movi-


mento di [un estremo] è consecutivo a [quello] dell'altro, la loro unità è come
consecutiva all'unità del movimento perché vi è una [sorta di] sutura (ilti/:llim);
questo [uno] è come [quello che si ha con] le membra che sono composte da
[altre] membra, e il più degno [dell'unità in questo senso] è quello la cui sutu-
ra è naturale, non artificiale40.
L'unità che riguarda queste [cose], insomma, è più debole ed esce
dall'unità del continuo [per passare] a quella d'aggregazioné 1• L'unità del
continuo, infatti, è più degna dell'intenzione dell'unità rispetto a quella
d'aggregazione perché, mentre nell'unità del continuo non c'è molteplicità in
atto, nell'unità d'aggregazione vi è della molteplicità in atto, dato che vi è una
molteplicità42 che un'unità ha ricoperto senza però far cessare da essa il fatto
di essere molteplice43 •
L'unità nel senso del continuo, poi, o è considerata soltanto con l'estensio-
ne oppure è insieme a un'altra natura, come "acqua" o "aria". All'uno [nel
senso] del continuo accade poi di essere uno nel soggetto; infatti, - questo
l'hai appreso nella Fisica - il soggetto che è realmente continuo è un corpo
semplice e identico nella natura44 , così che il soggetto dell'unità nel senso del
continuo è uno anche per quanto riguarda la natura, in quanto la sua natura
non si divide in forme differenti. Anzi- diremo- l'uno per numero non v'è
dubbio che, in quanto è uno, sia indivisibile nel numero45 e neppure quel che è
diverso da esso, se è uno46 , è divisibile in quanto è uno; tuttavia è necessario
esaminarlo a partire dalla natura cui è accaduta l'unità: ecco, allora, che fra
[quel che è] uno per numero vi sarà qualcosa che in virtù della propria natura,
[natura] alla quale è accaduta l'unità, non è tale da moltiplicarsi - come
"l'uomo uno"- e qualcosa che [invece], per natura, è tale [da moltiplicarsi]-
come "l'acqua una" e "la linea una": l'acqua, infatti, può divenire [più] acque
e la linea, [più] linee47 •

unum in subiecto. Subiectum enim continui verum est corpus [IlO] planum convenientis
naturae, et iam nosti hoc in naturalibus. lgitur subiectum unitatis continuitate est etiam
unum in natura, inquantum eius natura non dividitur in formas diversas.
Dico autem quod unum numero sine dubio non est divisibile numero secundum quod est
per seipsum, sed nec quicquid est unum praeter hoc, est divisibile inquantum est unum.
Oportet autem considerare hoc secundum naturam ex qua accidit ei unitas. Unum igitur
numero aliud est quod ex natura sua, ex qua accidit sibi unitas, non potest multiplicari, sicut
unus homo; et aliud est quod ex natura sua non est hoc, sicut aqua una et linea una; aqua
enim una potest fieri aquae plures, et linea una potest fieri multae.
234 Jl:ll J,..Al\ - ~l:ll ~W.\ ' .. [100]

.Jl 1.1_, '~T~-' v-;s::::._ .li iJ;:._ .Jl l..\t ..!ll..i ~v- ,A ,s,Al\_,
4- v- ;s:.;._ ~ '~ ' u-WI ~,).W~. ..lo-1_,11 : J_,~\ Jl:.. . .J§:.. ~
'"'~' ~ v- ;s::::._ .li 4:.S:J , r-i \..il .:>Wl_,.. ~ v- '"'r , ~
• &JW~ ~ -1.-I.J .r}.J ÌJ.l!.J ~ ~ &J§:! ' iJJ:.J ~ Jl r..i \..il
''e - oi\ ',)~.,. ;;;::._ .Jt t. l : ~ J.o * .J;::.. "::J .s..ill t.t.J o
oi\ \.)~.,. iJ'(' ÌJ~ • ;;;::._ ~ .:,1 \.l.J ' '"'_,:t~ - ~ .A ._;.
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4to:- V' ~.J :u... '-" 4- V' 4.-.i;... ~ 4k.i:.li.J l.laAi i.J p ' ~}
c;!)\ ;;;::._ ~ i.Jl L.l.J ~ •.).}'1tl i ..~..o)l J:!- ~ .!li:...J ' .s.r:l
~'"'.ili~ ,)~.J oi\ J.i.ll iJ\i' .r"'.J Jl..ll J:.. 4:!§:.1' ':-\:.:. I..J \•
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i~ \rl..il ,J> Jl t.J.11 j o;5:.; iJ§:._ iJl ..!1!4 w-i 4 Jl.a;~\ ..:....:--
~j •.;s:.; ;;;::._;;t ..!ll.i ~..! ~ )..ul\ .J" \~_, '·~)\ .:r ·~

Quod autem ex natura sua non est hoc, illud multiplicatur tmo modo et non multiplicatur
alio modo. Exemplum primi est de hominibus: sicut homo mms numero non multiplicatur
secundum suam naturam, scilicet secundum quod est homo cum dividitur, multiplicatur
autem alio modo cum dividitur in corpus et animam. lgitur borno est anima et corpus et neu-
trum per se est homo. Quod autem non est sic, est duobus rnodis, uno quia ve! est ei alia
natura praeter hoc quod ipsum est res non divisibilis, ve! non est. Si autem praeter hoc fuerit
ei alia natura, tunc illa natura ve! est situs et quod convenit situi, et hoc est punctum; punc-
tum enim non est divisibile inquantum [Il l] est punctum, nec ali o modo, et hic est natura
alia praeter unitatem praedictam; ve! illa natura non erit situs nec quod convenii ei. lgitur est
sicut intelligentia et anima: intelligentia enim habet esse pra~Jter id quod intelligitur de ea
TRATIATO TERZO- SEZIONE SECONDA 235

[100] Poi, quel che per propria natura non è tale [da moltiplicarsi] o è tale
da potersi moltiplicare sotto un altro aspetto, oppure non [lo è]. Esempio del
primo [caso] è l'uno per numero [che si dice) degli esseri umani; esso, infatti,
non si moltiplica per quanto riguarda la sua natura- cioè [non si moltiplica] in
quanto è "uomo", venendo diviso- però può moltiplicarsi sotto un altro aspet-
to, quando venga diviso in un'anima e un corpo; infatti, [all'uomo] apparten-
gono un'anima e un corpo, eppure nessuno dei due [elementi] è "uomo". Ciò
che invece non [può moltiplicarsi, neppure sotto un altro aspetto], è in due
modi: o insieme all'essere una cosa indivisibile ha un'altra natura, oppure no.
Se insieme a questo [e cioè all'essere indivisibile] ha un'altra natura, allora: o
tale natura è costituita dalla posizione e da quel che si rapporta alla posizione
-e allora si tratta di un punto, e il punto, [pur] avendo una natura diversa
dall'unità che si è menzionata, non è divisibile né in quanto punto né sotto un
altro aspetto; oppure [tale natura] non è costituita dalla posizione e da quel che
vi si rapporta, e in questo caso si tratta di ciò che è come l'intelletto e l'anima:
l'intelletto, infatti, ha un essere diverso da. quello da cui si comprende che esso
è indivisibile e tale essere non consiste in una posizione; ed esso poi non si
divide, né per quanto riguarda la sua natura né sotto un altro aspetto. Infine,
quel che non ha un'altra natura48 è come la stessa unità che è il principio del
numero; intendo [dire] che, una volta che le si aggiunga una qualche cosa
diversa da essa, l'insieme delle due viene ad essere un certo numero. E fra
questi tipi di unità vi è [anche] ciò il cui concetto non si divide nella mente e
che ajoniori [non ha] divisione, né materiale né locale né temporale.
Torniamo ora al caso in cui si ha molteplicità anche in relazione a quella
natura che è una per l'unità e in relazione al continuo; vi si trova sia quel che
si moltiplica nella natura che per sé è tale da esser preparata [a passare]
dall'unità alla molteplicità- e tale è l'estensione-, sia quel che si moltiplica
in una natura [101] cui appartiene soltanto l'unità, preparata a moltiplicarsi in

quod non dividitur; illud autem esse non est situs nec dividitur in sua natura nec alio modo.
Quod autem adhuc est in quo non est natura alia, est sicut ipsamet unitas quae est princi-
pium numeri. Cum enim sibi adiungitur unitas alia ab ea, earum coniunctio fit numerus. Et
ex his modis unitatis unus est de quo id quod intelligitur non dividitur in intellectu, nedum
dividatur in materiam localem ve! temporalem.
Redeamus igitur ad divisionem quae multiplicatur etiam, inquantum habet naturam uni-
late unam et continuitate; eius enim quidda!ll est multiplicabile per multitudinem quae est in
natura quae ex seipsa adaptata est moltitudini secundum quod est unum, et haec est mensu-
ra; et quiddam est in cuius natura est multitudo quae natura non habet unitatem aptam multi-
236 [101]

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tudini nisi propter causam aliam praeter se, et hoc est corpus simplex, sicut aqua: haec enim
aqua est aqua una numero< ... >, non propter aquaeitatem, sed propter adiunctionem causae
quae est mensura; igitur illae aquae multae numero erunt Una in specie et una etiam in
subiecto; ex natura enim subiecti sui est ut fiant in effectu un::t numero. Non est autem sic in
individuis [112] hominum. Non est enim modus numerorum subiectorum eorum sic uniri ut
fiant subiectum unius hominis; unusquisque enim eorum est unus unitate sui subiecti, sed
aggregatio multitudinis eorum non est unum subiecto, nec e~t modus eius qualis est modus
uniuscuiusque partium aquae. Unaquaeque enim una est in se propter suum subiectum, et
TRATIATO TERZO- SEZIONE SECONDA 237

virtù di una causa che è diversa da se stessa, e questo è il corpo semplice,


come l'acqua; questa [determinata] acqua, infatti, è una per numero, è acqua, e
nella sua potenza vi è di venire ad essere acque molteplici per numero, non in
ragione del [suo] essere acqua, bensì per il fatto che le si accompagna quella
causa (sabab) che è l'estensione; è in tal modo che queste [determinate]
acque, che sono molteplici per numero, sono una per specie e una anche per il
soggetto, perché per la natura del loro soggetto si unificano49 in atto come una
per numero. Non è così, invece, per gli individui umani. Infatti, non appartiene
alla molteplicità dei loro soggetti di unificarsi come un solo soggetto "uomo".
Certo, ognuno di essi è uno in virtù del proprio soggetto uno, ma l'insieme che
[si forma] a partire dalla [loro] molteplicità non è "uno" per il soggetto, e lo
stato in cui si trova [ogni uomo] non è quello in cui è ogni porzione d'acqua;
infatti, [ogni porzione d'acqua] costituisce in se stessa un "uno" in virtù del
proprio soggetto, ma l'insieme stesso [di tutte le porzioni] si dice "uno" nel
soggetto, perché ai suoi soggetti appartiene di unificarsi 50 in un soggetto che è
uno nel senso del continuo: è così che l'insieme [delle porzioni d'acqua] costi-
tuisce una [ soJa] acqua.
Ma [ancora], ognuna di queste due nature 51 o è [tale che] per essa si attui
tutto quel che è possibile le appartenga52 , oppure no. Se si [attua], si ha [u11a
natura] completa e una secondo completezza; se non [si attua si ha una natura]
molteplice53 , e abitudine degli uomini è fare del molteplice qualcosa di diverso
dall'uno! Ora, quest'unità completiva è o per ipotesi e quindi per rappresenta-
zione estimativa e per convenzione54 , come un dirham "intero" o un diniir
"intero", oppure è realmente [tale]55 . Questa poi [a sua volta] lo è o per arte-
come la casa completa, perché infatti della casa che manca [di qualcosa] n<m
si dice che è una casa-, oppure per natura- come un individuo "uomo" uno,
completo nelle membra. [102] E poiché la linea retta, nel suo essere retta, ptiò

totum dicitur esse unum in subiecto, eo quod modus suorum subiectorum est ut possint uniri
et fieri unum subiectum, et tunc omnes i!lae aquae erunt una aqua.
Unaquaeque autem harum duarum partium ve! habet quicquid possibile est ei habete,
vel non. Si autem habuerit, est petfecta et est una integritate; si vero non habuerit est fractio;
usus autem hominum est fractionem ponere non unum. Isti vero modi petfectionis, vel S4nt
per accidens et per situm, ut numerus petfectus, vel sunt certissime, scilicet ve! artificio, ut
dicitur domus petfecta quia domus impetfecta non dicitur una domus, ve! natura, ut indivi-
duum unius hominis dicitur petfectum suis membris. Linea vero recta etiam recipit augmen-
238 Jl:ll J.dll - 4:Jtll ~li!. l [102]

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tum in directum quod non habebat, et tunc non est una secundum modum perfectionis; linea
vero circuli non recipit augmentum, sed naturaliter recipit circulationem undique circa cen-
trum, et ideo est [113] perfecta; igitur est una secundum perfectionem; videtur etiam quod
unumquodque individuum hominum sit unum hoc modo. Ex omnibus igitur quae sunt
unum, quaedam sunt quae comitatur perfectio et quaedam sunt quae non comitatur perfectio.
Unum autem aequalitate est comparatio aliqua, sicut hoc quod comparatio navis ad rec-
torem et civitatis ad regem una est: hae enim duae comparationes consimiles sunt, nec est
earum unitio per accidens, sed est unitas quaedam in qua uniuntur per accidens, unitas navis
TRATIATO TERZO- SEZIONE SECONDA 239

ricevere un'aggiunta che [prima] non aveva, essa non è una nel senso della
completezza, mentre quella circolare, poiché non è [tale da] riceverla, ma anzi
per natura per essa si dà quella circoscrizione che abbraccia il centro da ogni
Jato, è completa e una per completezza56 . E sembra che anche ogni individuo
umano sia uno in questo senso. Così, vi sono alcune cose, come gli individui e
la linea circolare, cui consegue necessariamente la completezza e altre, come
l'acqua e la linea retta, cui la completezza non consegue necessariamente.
Quanto all'uno nel senso dell'equivalenza, esso è in virtù di un certa com-
parazione (bi-muniisabatin mii) 57 come, per esempio, sono una stessa [cosa] la
situazione in cui è la nave 58 nei confronti del timoniere e la situazione in cui è
la città nei confronti del re59 ; queste due, infatti, sono situazioni che coincido-
no e la loro unità non è per accidente; è piuttosto l'unità di quel che in queste
due si unisce che è per accidente: intendo [dire] che nelle due l'unità della
nave e della città è un'unità per accidente, ma quanto all'unità delle due situa-
zioni, essa non è l'unità che abbiamo considerato unità per accidente.
Diciamo allora da capo: poiché l'unità o si dice di cose molteplici per
numero60 o si dice di una cosa una per numero - e abbiamo già mostrato di
aver ben compreso [tutte] le divisioni dell'uno per numero- passiamo a guar-
dare le cose dall'altro punto di vista [cui abbiamo fatto cenno]. E diremo, allo-
ra, che delle cose molteplici per numero si dice che sono "uno" solo sotto un
altro aspetto, [e cioè] a causa del fatto che esse vengono a coincidere riguardo
a una [data] intenzione (ma'nii): esse coincidono o in un rapporto, o in un pre-
dicato diverso dal rapporto, o in un soggetto. E il predicato poi o è genere, o
specie, [103] o differenza [specifica], o accidente. Da questo contesto ti sarà

et civitatis, et per illas est unitas per accidens; unitas enim duarum dispositionum non est
Unitas quam posuimus unitatem per accidens.
Dicam iterum quod, postquam unitas dicitur de rebus quae sunt multae numero et dicitur
de re una numero, iam autem ostendimus divisiones eius quod est unum numero: procede-
lllus nunc ad aliam partem. Dicam igitur quod ea quae sunt multa numero non dicuntur una
alio modo nisi propter convenientiam quam habent in intentione aliqua. Convenientia enim
eorum ve! est comparationis, ve! est praedicati praeter comparationem, ve! est in subiecto;
Praedicatum vero ve! est genus ve! species ve! differentia ve! accidens; ex hoc igitur loco
240 [103]

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facilius erit tibi cognoscere nos iam certificasse divisiones unitatis et ex praedictis cogno-
sces quae earum est dignior unitate et quae prius meretur eam, et scies quod unum genere
dignius est unitate [114] quam unum comparatione, et unum specie dignius est eo quod est
unum genere, et unum numero dignius est uno specie. Simplex etiam quod nullo modo divi-
ditur dignius est composito, perfectum vero quod dividitur dignius est imperfecto.
TRATI ATO TERZO - SEZIONE SECONDA 241

facile allora riconoscere che abbiamo già individuato le divisioni dell'uno e da


quel che hai appreso sai quale di esse sia la più degna dell'unità, meritandola
per prima 61 : sai che l'uno per genere è più degno dell'unità dell'uno nel [senso
della] comparazioné2 ; che l'uno per specie è più degno dell'uno per genere;
che l'uno nel numero è più degno dell'uno per specie e che quel che è sempli-
ce, che non si divide in nessun modo, è più degno del composto e che, fra ciò
che si divide, quel che è completo è più degno di quel che è manchevole.
L'uno può corrispondere all'esseré 3 nel senso che l'uno si dice di ognuna
delle categorie, come l'essere; quel che con questi due [termini] va compreso
è tuttavia - come sai - differente, anche se essi coincidono nel senso che nes-
suno dei due indica la sostanza di qualcosa; ma questo lo hai già appreso.

Unum autem parificatur ad esse, quia unum dicitur de unoquoque praedicamentorum,


sicut ens, sed intellectus eorum, sicut nosti, diversus est. Conveniunt autem in hoc quod nul-
lum eorum significat substantiam alicuius rei, et iam nosti hoc.
242 [104]

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III
CAPITULUM DE CERTIFICATIONE UNIUS ET MULTITUDINIS
ET OSTENDERE QUOD NUMERUS EST ACCIDENS

Difficile est nobis nunc ostendere quidditatem unius. Si eoim dixerimus quod unum est
id quod non dividitur, iam diximus quod unum est id quod non multiplicatur necessario; iam
igitur accepimus multitudinem in astensione unius. Necesse est autem multitudinem definici
per unum; unum enim est principium multitudinis, et ex ipso est esse eius et quidditas eius.
Deinde quacumque definitione definierimus multitudinem, pooemus in ea unum necessario.
243

[SEZIONE TERZA)

SEZIONE IN CUI SI APPURA LA REALTÀ DELL'UNO E DEL MOLTEPLICE


E SI RENDE EVIDENTE CHE IL NUMERO È UN ACCIDENTE

Quel che ci sarà ora difficile individuare è che cosa sia l'uno 64 . Infatti,
dicendo che "l'uno è quel che obbligatoriamente non si moltiplica"65 , nel [ren-
dere] evidente l'uno avremmo assunto la molteplicità, ma la molteplicità è
obbligatoriamente definita dall'uno perché l'uno è il principio della moltepli-
cità: dall'[uno] infatti [derivano] l'esistenza e la quiddità [della molteplicità] e
poi, con qualunque definizione definiremo la molteplicità, in essa saremo
obbligati a utilizzare l'uno. Così è, per esempio, quando diciamo66 che la mol-
teplicità è un aggregato di unità: abbiamo assunto l'unità nella definizioile
della molteplicità e inoltre abbiamo fatto [anche] un'altra cosa, abbiamo, cioè,
~'11\ln\o n~\\a d~fln):ù.on~ ~d~\\a mo\t~p\\dtà1 \'aggi~gatw, ma \'aggi~ga\o '11~15\­
bra essere la stessa molteplicità. E se avessimo detto [che la molteplicità è
fatta di] unità (wal:zdiit) o di [molte cose] une (wii/:zidat), o di tanti "uno"
(iibiid), ebbene avremmo sostituito il termine "aggregato"67 con quest'altro
termine, il cui significato però non si comprende e non si conosce se non in
virtù della molteplicità. E poi, anche dicendo che la molteplicità è quel che è
numerato dall'uno, avremmo già assunto l'unità nella definizione della molte-
plicità e avremmo assunto68 nella sua definizione anche la numerazione e la
misurazione, le quali analogamente si comprendono soltanto in virtù della
molteplicità.

Dicimus enim quod multitudo est aggregatum ex unitatibus: iam igitur accepimus unitatem
in definitione multitudinis, et etiam fecimus aliud quia, cum posuimus [115] aggregatum in
definitione eius, videtur quod aggregatum sit ipsa multitudo. Cum autem diximus ex unitati-
bus ve! ex unis ve! ex unitìs, ìam induximus verbum aggregationis, cuius verbi intentio non
intelligitur nisi per multìtudinem. Item, cum dicimus quod multitudo est id quod numera!Ur
per unum, iam accepimus unitatem in definitione multitudinis et accepimus in definitione
eius numeratìonem et mensurationem, per quae non intelligitur nisi multitudo. Unde difficile
est nobis ponere hic aliquid quod possit sufficere.
244 [105]

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Videtur autem quod multitudo notior sit apud nostram imaginationem quam unum, et
videtur quod unitas et multitudo sint de his quae prius formamus, prius autem imaginamus
multitudinem et prius intelligimus unitatem, sed unitatem intelligimus absque principio
intelligibili ad imaginandum eam, sed saltem imaginamus, et deinde facimus cognosci mul-
titudinem per unitatem cognitione intelligibili, et hic accipimus unitatem imaginatam in sei-
psa et ex principiis imaginationis; facimus autem unitatem cognosci per multitudinem [116]
innuendo in hoc intentionem imaginativam ad hoc ut inducat nos ad id quod tunc poterat
nobis esse per se notum, sed non formabatur praesens in intellectu. Item, cum dicunt quod
unitas est res in qua non est multitudo, significat quod intentio huius verbi res prius est intel-
lecta apud nos, quae est apposita huic alii; non est autem haec; designatio eius <est> ob hoc
quod multitudo removetur ab ea.
TRATIATO TERZO- SEZIONE TERZA 245

[ 105] Quanto ci è difficile a questo proposito dire qualcosa di cui tener


conto! Eppure sembra che la molteplicità sia più nota per la nostra immagina-
zione, mentre l'unità lo sia per i nostri intelletti e che tanto l'una quanto l'altra
siano fra le cose (umiir) di cui abbiamo una rappresentazione primaria; la mol-
teplicità, tuttavia, in primo luogo la immaginiamo, mentre dell'unità abbiamo
intellezione senza [che vi sia] un principio69 intellettuale per rappresentarla.
Anzi, se c'è [un tale principio], esso sarà immancabilmente qualcosa di imma-
ginativo. Inoltre, se è in virtù dell'unità che facciamo conoscere 70 la moltepli-
cità, la facciamo conoscere secondo l'intelligenza, così che l'unità è assunta 71
come qualcosa che è in sé rappresentabile ed è tra i principi della rappresenta-
zione; far conoscere 72 l'unità in virtù della molteplicità consiste, invece, nel
risvegliare [l'attenzione], e la via immaginativa vi è utilizzata73 per accennare
a un intelligibile [che è già] in noi [ma] che non ci rappresentiamo presente
nella mente.
Così, se si dice: "l'unità è la cosa in cui non c'è molteplicità", indicando
che quel che si vuole [dire] con questo termine ["unità"] è la cosa intelligibile
che è in noi [come qualcosa di] primario e che si oppone a quest'altra74 o che
non è [quest'altra], si risveglia [l'attenzione] su di [una cosa], negandone
un'altra.
Fa meraviglia poi colui che definisce il numero dicendo: "il numero è una
molteplicità composta di unità o di [diversi] uno", quando la molteplicità è lo
stesso numero e non è come il genere del numero! La realtà della molteplicità
è di essere composta di unità e così, coloro che dicono che "la molteplicità è
composta di unità" è come se dicessero che "la molteplicità è molteplicità": la
molteplicità, infatti, non è se non un nome per ciò che è composto di unità.
E se poi qualcuno dicesse: "la molteplicità si può comporre di cose diverse
dalle unità, come gli uomini e il bestiame", allora diremmo che, come queste
cose non sono unità, ma cose che sono soggetto per l'unità75 , così egualmente
esse non sono molteplicità, ma cose che sono soggetto per la molteplicità; e
come quelle cose sono [cose] une 76 e non unità, così [queste] sono [cose] mol-
teplici e non molteplicità77 •

Miror autem de eo qui definit numerum dicens quod numerus est multitudo aggregata
ex unitatibus ve! ex unis ve! ex unitis. Ipsa enim multitudo est ipse numerus, non sicut genus
numeri. Certitudo vero multitudinis est quod composita est ex unitatibus. Dicere igitur
eorum quod multitudo est composita ex unitatibus idem est quod dicere: "multitudo est mul-
titudo"; multitudo enim non est nisi nomen compositi ex unitatibus. Si quis autem dixerit
quod multitudo componitur ex rebus quae non sunt unitates, sicut ex hominibus et bestiis,
dicemus quod, sicut hae res non sunt unitates, sed res subiectae unitatibus, sic etiam non
sunt multitudo, sed res subiectae multitudini et, sicut res illae sunt unae, non unitates, sic
haec sunt multa, non multitudo.
246 [106]

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Quod autem dicunt quod numerus est quantitas discreta habens ordinem, putant se iam
evasisse haec inconvenientia; sed certe non evaserunt, quoniam quantitas, ad hoc ut forme-
turin anima, eget ut sciatur habere partem et divisionem ve! aequalitatem; pars vero et [ 117]
divisio non formatur nisi per multitudinem; aequalitate autem quantitas notior est apud intel-
lectum purum. Aequalitas enim est de accidentibus propriis quantitatis quoniam oportet
accipi in definitione aequalitatis. Dicitur enim quod aequalitas est unitio in quantitate, ordo
vero, quem ponunt in definitione numeri, est etiam de eo quod non potest intelligi nisi post
intellectum numeri. Oportet igitur ut scias quod haec omnia sunt designatio qualis solet fieri
per exempla et per nomina multivoca, et quod hae intentiones formantur per seipsas, ve!
omnes ve! aliquae ex eis, nec significatur de eis per ea aliquid nisi ut innuantur et cogno-
scantur tantum.
TRATIATO TERZO- SEZIONE TERZA 247

[106] Coloro, poi, che ritengono che dicendo che "il numero è una quantità
discreta dotata di ordinamento" siano sfuggiti a questa [difficoltà], ebbene non
ne sono sfuggiti. Infatti, affinché nell'anima sia rappresentabile la quantità, si
ha bisogno78 che siano note la parte, la divisione e l'eguaglianza; ma la parte e
la divisione si possono rappresentare solo in virtù della quantità e quanto
all'eguaglianza, per l'intelletto sano la quantità è più nota di essa, perché
l'eguaglianza è [uno] degli accidenti propri della quantità, nella cui definizio-
ne deve esistere la quantità; si dice, infatti, che l'eguaglianza è un modo
d'essere "una stessa cosa" (itti}Jiid) nella quantità e nell'ordinamento che viene
assunto anche nella definizione del numero; e [un tale modo] non si concepi-
sce, se non dopo aver concepito il numero.
Si deve allora sapere che tutte queste sono [espressioni] che risvegliano [la
mente] (tanb!hiit) come lo sono quelle che risvegliano la mente con le imma-
gini e con i sinonimi; e [si deve sapere] che queste intenzioni sono- o tutte o
in parte - rappresentabili per se stesse e si indicano con queste espressioni sol-
tanto perché su di esse si risvegli [l'attenzione] ed esse risultino distintamente.
Quindi- diremo- l'unità o si dice degli accidenti79 , oppure si dice delle
sostanze. Quando si dice degli accidenti, non è una sostanza, e a questo propo-
sito non v'è dubbio; quando si dice delle sostanze, di esse non si dice affatto
né come una differenza [specifica] né come un genere; [l'unità], infatti, non
entra nella costituzione (ta}Jqlq) della quiddità di nessuna sostanza, ma- come
hai già appreso- è, piuttosto80, un conseguente necessario della sostanza. Essa
quindi non si dice delle [sostanze] 81 come si dicono il genere e la differenza,
ma [come] si dice "quel che è accidentale". L'uno è una sostanza, mentre
l'unità è quell'intenzione che è accidente; infatti, l'accidente che è uno dei
cinque [predicabili] - anche se in questo senso è accidente - può essere
sostanza e può esserlo solo82 quando lo si assume [come] composto, come il
bianco83 . La natura dell'intenzione del semplice [accidente] [107] sarà invece

Dico igitur quod unitas vel dicitur de accidentibus vel dicitur de substantia; cum autem
dicitur de accidentibus, non est substantia, et hoc est dubium; cum vero dicitur de substan-
tiis, non dicitur de eis sicut genus nec sicut differentia ullo modo: non enim recipitur in cer-
tificatione quidditatis alicuius substantiarum, sed est quiddam comitans substantiam, sicut
iam nosti. Non ergo dicitur de eis sicut genus ve! sicut differentia, sed sicut accidens. Unde
unum est substantia, unitas vero est intentio quae est accidens; accidens autem quod est
unum de quinque, quamvis sit accidens secundum hanc intentionem, potest tamen concedi
esse substantia; sed hoc non potest [118] concedi nisi cum accipitur compositum, sicut
album. Natura enim intentionis simplicis de eo, sine dubio est accidens secundum aliam
248 [107]

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intentionem, eo quod est in substantia non sicut pars eius, et impossibile est esse sine eo.
Consideremus igitur nunc an unitas, quae est in omni substal)tia et non est pars eius con-
stitutiva, possit esse separata a substantia. Dico autem hoc esse impossibile. Si enim unitas
esset esse spoliatum a substantia, necessario spoliatum esset sic quod non divideretur, vel
non esset ibi natura praedicata de ea quod non dividitur, vel ess~t ibi alia natura. Pars autem
prima est frivola, quia ad minus non potest esse quin sit ibi esse quod non dividitur. Si
autem illud esse quod non dividitur sine dubio est intentio praeter unitatem, tunc illud esse
quod non dividitur, vel est substantia, vel accidens. Si vero fuerit accidens, tunc unitas est in
accidente sine dubio, et deinde in substantia. Si autem fuerit illuCi substantia et unitas non est
TRATTATO TERZO- SEZIONE TERZA 249

senz'altro un accidente nell'altro senso: infatti, è esistente nella sostanza senza


essere come una parte di essa e non può avere sussistenza separata dalla
[sostanza].
Esaminiamo ora l 'unità che si trova in ogni sostanza e che non ne è una
parte costituente 84 ; la sua sussistenza può darsi separata dalla sostanza?
Ebbene - diremo - ciò è impossibile; questo perché, se sussistesse un'unità
astratta, senz'altro non si sfuggirebbe a una delle seguenti possibilità:
o essa sarebbe semplicemente85 tale da non dividersi, senza che vi sia una
natura di cui predicare che non si divide, oppure vi sarebbe un'altra natura.
Ora, il primo caso è impossibile; infatti, in questo caso vi deve essere almeno
un [dato] essere 86 e sarà questo [dato] essere a non dividersi; ma se questo
[dato] essere è un'entità (ma'nii) diversa dall'unità e non si divide, allora esso
o è una sostanza oppure è un accidente; se è un accidente, l'unità è in un acci-
dente e quindi poi è senz'altro in una sostanza87 , mentre, se è una sostanza e
l'unità non se ne separa, [l'unità) si trova in essa al modo in cui qualcosa si
trova nel soggetto. E se poi [è in una sostanza e l'unità] se ne separa88 , ecco
che, separatasi da quella [data] sostanza, per l'unità dovrebbe esservi un'altra
sostanza per Ja Quale venjre ad essere e aJJa Quale accompagnarsj, [e Questo),
una volta che si sia supposto che il suo essere si accompagni a [qualcosa] di
sostanziale; [in tal modo tuttavia,] se a una [data] sostanza non giungesse
questa unità, non avrebbe unità - e questo è impossibile - oppure avrebbe
un'unità che è [sempre] e un'unità che è concomitante, avendo allora due
unità, non una unità; ma così vi sarebbero due sostanze, non una sostanza,
perché quella sostanza sarebbe due "uno", e [anche] questo è impossibile. B
ancora: se ogni unità fosse in una sostanza diversa, a una delle due sostanze
l'unità potrebbe non essere comunicata, [108] ma (wa) la questione si porreb-

separata ab eo, tunc ipsa est in eo quemadmodum est aliquid in subiecto. Si vero separatt1r
ab eo, tunc unitas, cum separata ponitur ab illa substantia, habebit etiam alias proprietate:s
quae adveniunt e i [ 119J et adiunguntur e i, sed postquam posita fuerit ipsa adiuncta alicui alii
substantiae; et haec substantia eri t sic quod, si non adveniret ei illa unitas, non haberet unitll-
tem, quod est absurdum, ve! haberet eam quae sibi inerat et unitatem quae adveniret et tunc
essent ei duae unitates, quod similiter est absurdum. Si autem utraque unitas esset etiam i.n
alia una substantia, tunc ad aliquam duarum substantiarum non adveniret unitas et ratio redi-
ret iterum ad principium sicut id ad quod veniret unitas et fieret etiam duae substantiae. Si
autem unaquaeque unitas esset in ambabus substantiis, tunc unitas esset dualitas, quod simi-
250 ..:.JI:JI J..a.ill - 4:11:11 i.IUL\ [108]

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!iter est absurdum. Manifestum est igitur quod unitas non est illius naturae ut separetur a
substantia in qua est.
Incipiam igitur et dicam quod unitas non sic exspoliatur ut non dividatur, sed est esse
quod non dividitur ita quod esse est de essentia unitatis, non subiectum ei. Si enim posueri-
mus quod haec unitas separatur a substantia ve! quod potest habere esse separatum sic ut
non dividatur, ve! non tale esse quod non dividatur tantum, sed [120] unitas substantialiter
est ipsum esse quod non dividitur, eo quod illud esse constituitur esse non in subiecto, tunc
accidentibus non erit unitas ullo modo; si autem accidentibus fuerit unitas, profecto eorum
unitas erit praeter unitatem substantiae, et illa unitas dicetur de eis communione nominis;
TRATIATO TERZO- SEZIONE TERZA 251

be nuovamente riguardo a quella cui l'unità sarebbe stata comunicata e che


egualmente verrebbe ad essere "due sostanze"; e se poi ogni unità fosse insie-
me nelle due sostanze, allora l'unità sarebbe una dualità, e questo è assurdo 89 .
Ed è quindi evidente che90 l'unità, di per sé, non si separa dalla sostanza in
cui si trova.
Ricominciamo [dunque] e diciamo: se l'unità non è semplicemente91 tale
da non dividersi ed è piuttosto un [dato] essere che non si divide, come se
l'essere fosse interno all'unità e non ne fosse [come] un soggetto, allora una
volta supposto che questa unità si sia separata dalla sostanza - se [le] fosse
possibile esistere per se stessa - essa sarebbe un essere indivisibile e astratto e
non sarebbe soltanto un essere indivisibile92 . Anzi, l'unità sarebbe un essere
sostanziale e indivisibile, dato che tale essere sussisterebbe non in un soggetto;
ma allora ecco che gli accidenti non potrebbero avere unità, sotto nessun
aspetto, e se ne avessero una, la loro unità sarebbe diversa dall'unità della
sostanza e l'unità si potrebbe dire [degli accidenti solo] per omonimia (istirtik
al-ism). Così, anche fra i numeri, alcuni sarebbero composti a partire
dall'unità "degli accidenti" e altri sarebbero composti a partire dall'unità
"delle sostanze": ma allora- [ci si chiede- questi] due [tipi di numeri] parte-
ciperebbero - o non parteciperebbero - ambedue dell'intenzione (ma 'nti)
dell'essere indivisibile? Esaminiamolo.
Se non ne partecipassero, l'unità in uno dei due [casi] sarebbe un essere
divisibile, mentre nell'altro 93 non lo sarebbe. Ma (wa) con "unità degli acci-
denti" o "delle sostanze" noi non intendiamo questo: in tal modo in uno dei
due [casi] con "l'unità" finiremmo per intendere una cosa diversa rispetto
all'essere indivisibile.
Perciò, se partecipassero ambedue dell'indivisibilità (dalika al-ma 'nti), è
in essa (ma 'nti) che andrebbe riconosciuto quel dato essere indivisi bile che
intendiamo [quando parliamo] di unità; essa sarebbe, quindi, più generale 94
dell'intenzione che abbiamo menzionato or ora: a quella, infatti, [109] con il

igitur continget etiam quod ex numeris alii ordinabuntur ex unitate accidentium et alii ordi-
nabuntur ex unitate substantiarum. Consideremus igitur an communicent in intentione esse
quod non dividitur, an non. Si autem non communicant, tunc unitas quae est in uno eorum
est esse quod non dìviditur, et in alio non est sìc; per unitatem vero accidentium ve! substan-
tiarum non ìntelligimus illud, ita ut per unìtatem unius eorum intelligamus aliquid praeter
esse quod non dividitur. Si autem communicaverint in hoc, tunc illa intentio, scilicet esse
quod non divìditur, est id quod intelligimus per unitatem, et haec intentio est communìor
intentione quam paulo ante nominavimus; ad hoc enim sequeretur illud, dum ipsa esset esse
252 [109]

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,:,t>~ ..~.ool_,.k:-! Jl k_r:t bl_,. r~ rj"l ~ J.' u:-.r.~t~.r.

< ... > substantiale, postquam possib\le est poni exspoliatam. Igitur illa intentio sine dubio, si
fuerit substantia, non accidet accidenti; non autem sequitur ut dicas quod, si fuerit accidens,
non accidet substantiae: substantiae enim accidit accidens et constituitur per eam, accidenti
vero non accidit substantia sic ut ipsa constituatur in ìllo. Igitur unitas collectiva communior
est illa inten-[12l]tione et de illa est noster senno inquantum est esse quod non dividitur
tantum, sine additione alia, et hoc non separatur a suis subiectis; alioquin fieret intentio
minus communis.
Postquam igitur fuit absurdum ut unitas sit esse non divisibile in accidentibus et in sub-
stantiis et ut, cum hoc, possit separari et esse substantia quae accidìt accidenti, et ut unitas
sit diversa in substantiis et accidentìbus, manifestum est tunc quod certitudo unitatis est
TRATI ATO TERZO- SEZIONE TERZA 253

fatto di essere un essere indi visibile, conseguiva di essere un essere sostanziale


ed era perciò possibile supporla come astratta. E senz'altro, se questa intenzio-
ne [dell'unità] fosse una sostanza, non potrebbe accadere all'accidente mentre,
se fosse accidente, non saremmo costretti a dire che non può accadere alla
sostanza: alla sostanza accade l'accidente e [anzi] è in virtù di essa che l'acci-
dente sussiste, mentre all'accidente non accade la sostanza in modo da trovar-
vi sussistenza.
L'unità a tutti comune è quindi più generale di quell'intenzione e il nostro
discorso verte su di essa e soltanto in quanto essa è essere indivisibile, senza
altra aggiunta; tale [essere indivisibile] non si separa dai propri soggetti, altri-
menti verrebbe ad essere quella certa intenzione più particolare95 • È impossibi-
le, infatti, che l'unità sia un essere indivisibile che è negli accidenti e nelle
sostanze e che al contempo possa essere tale da separarsi, essendo una sostan-
za che accade a un accidente; o [anche è impossibile] che l'unità sia differente
[quando è] nelle sostanze e [quando è] negli accidenti. E perciò è evidente che
la realtà dell'unità consiste in un'intenzione (ma 'm'i) accidentale e che fa parte
dell'insieme dei conseguenti necessari delle cose.
Né qualcuno potrebbe dire che questa unità non [può] esser separata solo
nel modo in cui non [possono] esser separate le intenzioni generali (al-ma 'ani
al- 'amma) [che, altrimenti,] sussisterebbero96 senza le loro differenze [specifi-
che], come l'umanità non si separa dall'animalità97 • Il fatto che questa separa-
zione sia impossibile non rende necessiaria l'accidentalità: a renderla necessa-
ria è invece quell'impossibilità di separarsi che appartiene a un'intenzione
data, esistente e individuale.
Diremo perciò che le cose non stanno così. Il rapporto di quel che abbiamo
supposto più generale con quel che abbiamo supposto più particolare non è il
rapporto che ciò che è diviso da una differenza [specifica] costitutiva [ha con
essa]: abbiamo già messo in evidenza che l'unità non entra nella definizione
della sostanza o dell'accidente; il loro è anzi il rapporto che un conseguente
necessario comune ('amm) [ha con la cosa]; e quando designiamo una sempli-

intenti o accidentis et est de universitate eorum quae comitantur res. Non debet autem aliquis
dicere quod haec unitas non separatur, nisi ad modum quo non separantur intentiones com-
munes existentes absque suis differentiis, et quod prohibitio huius separationis non facit
debere accidentalitatem eius, quia non facit debere accidentalitatem eius nisi prohibitio
separationis ab intentione cuius esse acquisitum est singulariter.
Dico autem non ita rem esse, quia comparatio eius quod nos posuimus communius ad id
quod posuimus minus commune, non est qualis est eius comparatio ad id quod dividitur per
differentiam constitutivam. Iam enim ostendimus quod unitas non est intrans in definitione
substantiae nec accidentis, sed fortasse est comitans eam; cum enim innuerimus aliquid de
254 ..;.l Wl J..&.ill - l:ll:ll ':\lUI.l \\• [110]

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• u"'.J'~)I,;.r.....&l_;l.\.)J.Jli, 1,;._,.

unis simpliciter, tunc ipsum erit [122] discretum per se a proprietate quae adiungitur sibi,
non sicut color qui est in albedine. Cum igitur certum fuerit quod non est separata, certifica-
bitur quia id quod praedicatur de intentione comitante communi, nomine derivato a nomine
simplicis intentionis, ipsum est intentio quae est unitatis; ipsum vero simplex est accidens.
Postquam igitur unitas est accidens, tunc numerus qui necessario provenit ex unitate acci-
dens est.
TRA TIATO TERZO- SEZIONE TERZA 255

ce [unità] 98 , [110] essa è qualcosa di distinto per essenza dalla particolare


determinazione che la accompagna, non è come l'esser colore che è nel bian-
co. Così, una volta che sia valido [dire] 99 che [questo qualcosa] non è separa-
to, è valido [dire] che quel predicato che è un'intenzione necessariamente
conseguente, comune e che deriva il proprio nome dal nome di un'intenzione
semplice è l'intenzione dell'unità; e questa [intenzione] semplice è un acci-
dente100. E se l'unità è un accidente, allora il numero, che si compone
dell'unità, è un accidente.
256 Il\ [111]

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IV
CAPITULUM QUOD MENSURAE SUNT ACCIDlòNS

Quantitates continuae sunt mensurae continuorum; sed corpus quod est quantum. est
mensura continui quod est corpus ex intentione formae, sicut tu iam nosti ex multis aliis
locis; corpus vero secundum aliam intentionem, quod est de pra(:dicamento substantiae, iam
sufficienter ostendimus. Sed hanc mensuram iam manifestum est esse in materia et quod
ipsa augmentatur et minuitur, substantia permanente eadem. Igitur est accidens sine dubio,
257

[SEZIONE QUARTA)

A PROPOSITO DEL FATTO CHE LE ESTENSIONI 101 SONO ACCIDENTI

Le quantità continue sono le estensioni delle [cose] continue e il corpo che


è quantità è l'estensione del continuo, che, come ormai hai appreso in numero-
si luoghi, è il corpo nel senso della forma; del corpo nell'altro senso, invece-
quello che rientra nella categoria della sostanza - abbiamo trattato esauriente-
mente102.
Ora, di questa estensione si è già rivelato evidente che è in una materia e
che aumenta e diminuisce, mentre la sostanza permane; essa perciò è
senz'altro un accidente ma fa parte di quegli accidenti che sono legati alla
materia o a quel che è nella materia. Tale estensione, infatti, non si separa
dalla materia se non nell'immaginazione estimativa e neppure si separa dalla
forma che appartiene alia materia: essa è I' estensione della cosa continua che
riceve determinate dimensioni, e questo non è possibile che sia senza questa
casa continua, come il tempo d'altra parte non è se non in virtù di quel conti-
nuo che è lo spazio 103 . Una data estensione consiste cioè nel fatto che il conti-
avo sia tale da esser misurato un dato numero di volte 104 oppure, se si immagi-
na [un'estensione] infinita, nel fatto che non si abbia termine nel misurarlo. E
questo è qualcosa di diverso rispetto al fatto che la cosa sia tale da accettare
che si suppongano le dimensioni già menzionate, perché a questo riguardo non
vi,è differenza tra un corpo e l'altro mentre, riguardo al fatto di esser misurato
per tale numero di volte o di non avere affatto termine nella sua misurazione
in questo [modo] 105 , vi è differenza tra un corpo e un altro corpo: [112] con

sed est de accidentibus quae pendent ex materia et ex re quae est in materia: haec enim men-
SUl'a non separatur a materia nisi in aestimatione; nec separatur a forma quae est materiae, eo
quod ipsa est mensura rei quae recipit dimensiones huiusmodi. Nec est possibile ut ipsa sit
sine hac re, sicut tempus non potest esse nisi per continuum quod est spatium, quia haec
mensura est continuum inquantum mensuratur totiens ve! totiens [123] per hoc et non finitur
mensuratio in aestimatione in infinitum. Sed hoc est contrarium ad hoc quod res est sic quod
recipìt in se positionem trìum dimensionum supranominatarum, in quo non differt unum
corpus ab alio, sed in mensurari totiens ve! totiens et non finiri eius mensurationem in
totìens ullo modo, unum corpus differt ab alio corpore. Haec autem intentio est quantitas
258 (il} J..All - ~1:11 ~li!. l ,,,. [112]

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corporis, illa vero est forma eius; sed haec quantitas non separatur ab illa forma in aestima-
tione ullo modo, ipsa vero et forma separantur a materia in aestimatione.
De superficie autem et de linea possumus dicere quod uno respectu sunt finis et alio
respectu sunt mensura; et etiam quod superficies habet respectum quo recipit in se positio-
nem duarum dimensionum secundum modum dimensionum praenominatarum, scilicet dua-
rum dimensionum tantum sic ut se intersecent secundum rectum angulum; et quod potest
mensurari et metiri, et quod est minor et maior, et quod accident ei dimensiones secundum
diversitatem figurarum. Considerabo igitur has dispositiones in illa, et dicam quod sua
receptio positionis duarum dimensionum non est ei, nisi ob hoc quod est finis corporis quod
est receptibile trium. De hoc autem quod res est finis eius quod est receptibile trium, inquan-
tum est finis huiusmodi, non finis absolute, iudicium est quod receptibile est positionis [124]
duarum dimensionum; hoc igitur modo non est mensura, sed hoc modo est relata, sed,
quamvis sit relata, tamen non est nisi mensura. Iam enim nosti differentiam inter relatum
TRATTATO TERZO- SEZIONE QUARTA 259

quest'ultima cosa si intende, infatti, la quantità del corpo, mentre con quella la
sua forma. E nell'immaginazione estimativa questa quantità non si separa
affatto da quella forma ma sia essa sia la forma si separano dalla materia 106 •
Quanto alla superficie- come la linea- conviene che essa (la-hu) venga
considerata sia in quanto è termine, sia in quanto è estensione; la superficie
può esser considerata in quanto accetta che vi si suppongano due dimensioni,
al modo delle dimensioni già menzionate - intendo dire due dimensioni sol-
tanto che si intersecano su di un angolo retto - e in quanto si estende ed è
misurabile, è più grande o più piccola, e in essa si suppongono diverse dimen-
sioni anche a seconda della differenza delle figure.
Riflettiamo allora su questi stati che la riguardano. Ebbene, - diremo - che
[la superficie] sia suscettibile del fatto che in essa si suppongano due dimen-
sioni è cosa che le appartiene solo in quanto è il tennine del corpo, il quale è
suscettibile della supposizione di tre dimensioni 107 . Ora, il fatto che una cosa
sia termine di quel che è suscettibile di tre [dimensioni] si dà in quanto è ter-
mine di qualcosa di simile e non in quanto è un termine in senso assoluto,
come se essa dovesse 108 essere [in sé] suscettibile del fatto che vi si supponga-
no due dimensioni; e non è sotto questo aspetto che essa è un'estensione: sotto
questo aspetto essa è piuttosto qualcosa di relativo ma, pur essendo un relati-
vo, non è se non un'estensione. Hai appreso la differenza che sussiste tra il
relativo in senso assoluto 109 e il relativo nel senso della categoria, il quale" 0 ,
come abbiamo messo in evidenza, non può essere un'estensione o una qualità.
Quanto poi al fatto che la superficie sia un'estensione, ciò è in virtù
dell'altro aspetto, quello in virtù del quale è possibile che essa si differenzi-
nella misura (qadr) e nella dimensione (masiil;za) - da qualche superficie
diversa da essa; nel primo senso, invece, non è affatto possibile che essa si dif-
ferenzi [da un'altra superficie] 111 •
Tuttavia, sotto entrambi gli aspetti essa è un accidente.
Infatti, in quanto è termine, essa è qualcosa che accade a quel che ha un
termine perché vi esiste [non] come una sua parte 112 e senza di esso non sussi-
ste. E abbiamo già detto che non rientra tra le condizioni di quel che esiste in
qualcosa d'altro di corrispondere all'essenza di questo qualcosa d'altro; [quan-
to a] dove l'abbiamo sostenuto, ebbene è nei [libri di] Fisica: è lì allora che
devi riflettere se ti si presenta una difficoltà a questo riguardo 113 •

absolute et inter relatum quod est praedicamentum, quod non potest concedi, sicut ostendi-
mus, esse mensuram ve! quale. Quod autem superficies sit mensura, fit secundum alium
modum, per quem scilicet potest differre ab aliis superficiebus in mensuratione et dimensio-
ne, sed secundum primum modum non potest differre ab illis ullo modo; utroque tamen
modo accidens est. Sed ipsa, inquantum est finis, accidens est finito, eo quod est in eo non
sicut pars eius nec potest esse sine eo. Iam autem dixeramus in naturalibus quod condicio
eius quod est in aliquo non est ut parificetur ei in essentia: ibi ergo consideretur hoc quia, si
de hoc modo dubitatio contigerit, non erit nisi secundum quod ipsa est mensura quae est
260 l l'l" [113]

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accidens; quamvis enim hoc quod in superficie ponuntur duae dimensiones, esset ei inquan-
tum est ipsa, tamen hoc [125] non esset comparatio quantitationis < ... >ad formationem cor-
poralem, sed esset comparatio < ... > accidentalis ad formam; et tu scies hoc per considera-
tionem principiorum.
Scias autem quod, propter accidentalitatem quae advenit superficiei et recedit ab ea in
corpore propter continuationem et disgregationem et diversitatem figurarum et intersecatio-
nem earum: aliquando superficies corporis plani, cum destruitur inquantum est plana, fit
sphaerica. Iam autem nosti ex his quae praedicta sunt quod una certissime superficies non
est subiectum sphaericae et planae in esse et alii in effectu; sicut unum corpus potest esse
subiectum in effectu diversarum dimensionum quae superveniunt ei, similiter et superficies:
TRATTATO TERZO- SEZIONE QUARTA 261

[113] Ma anche in quanto è estensione [la superficie] è un accidente 114 : se


il fatto di essere una superficie in quanto vi si suppongono due dimensioni
fosse qualcosa che le appartiene per sé, per la superficie il rapporto tra la
[forma] dell'estensione (nisbatu l-miqdiiriyya) e questo qualcosa non sarebbe
lo stesso rapporto che c'è tra la [forma] dell'estensione e la forma corporea e
anzi, il rapporto di questa data entità con la [forma] dell'estensione sarebbe,
per la superficie, il rapporto che una differenza [specifica] ha con un genere,
mentre l'altro rapporto sarebbe quello che qualcosa di accidentale ha con la
forma. Questo lo sai, se rifletti sui fondamenti 115 •
La superficie - sappilo - a causa della sua accidentalità è qualcosa che nel
corpo avviene e svanisce in virtù della continuità e della discontinuità, della
differenza delle figure e delle intersezioni 116 : la superficie del corpo può esse-
re piana e poi svanire in quanto piana e venire ad essere circolare.
Ora, dalle cose affermate in precedenza hai appreso che in realtà non è la
stessa superficie una ad essere, neli' esistenza, soggetto della sfericità e della
planarità; perciò non è che, come uno stesso corpo è il soggetto delle diverse
dimensioni in atto che una dopo l'altra gli sopravvengono, così la superficie
[sia il soggetto di dimensioni differenti], una volta abbandonata 117 la sua figu-
ra e scomparse le sue dimensioni. Questo infatti non sarebbe possibile, se non
nel caso in cui essa venisse sezionata, ma - lo hai appreso da altre trattazioni -
nel sezionarla la forma della superficie una, che è in atto, svanisce 118 ; e hai
appreso 119 anche che questo invece non consegue necessariamente nella mate-
ria (hayiilii), come se la materia fosse per la continuità qualcosa di diverso da
quel che è per la discontinuità. Inoltre, sai che, una volta che si compongano
delle superfici che si congiungano l'una con l'altra in una composizione che
faccia svanire i limiti comuni, quel che si genera è una superficie numerica-
mente altra; e se si tornasse alla sua prima composizione, non si avrebbe
numericamente quella prima superficie, ma un'altra, simile ad essa nel nume-
ro: l'inesistente, infatti, non può esser fatto tornare [all'esistenza]. [114] E poi-

ut enim removeatur ab ea figura eius ita ut destruantur dimensiones eius, hoc non potest in
ea fieri nisi per incisionem eius; incisione enim eius fit destructio formae superficiei unius
quae erat in effectu. Iam autem nosti hoc ex aliis verbis; et etiam nosti quod hoc non sequi-
tur [126] in hyle, ita ut ei quod est hyle sit continuatio aliunde quam disgregatio; et etiam
nosti quod, cum quis coniunxerit superficies alias cum aliis, ita ut destruantur termini com-
munes, fiet ex eis superficies alia numero; et deinde, si iterum converterit eam ad suam pri-
mam dispositionem, non erit iam illa prima superficies una numero, sed consimiles aliae
numero, quoniam quod annihilatum est non reducitur. Postquam autem scieris formam
dispositionis in superficie, scies etiam in linea; unde considera de ea secundum illam.
262 \ \t [114]

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Constat igitur quod haec accidentia sunt quia esse eorum non separantur a materia; nosti
etiam quod illa non separantur a forma quae in natura sua materialis esse aestimatur, < ... >et
quod linea separatur a superficie in aestimatione. Dico autem quod haec separatio in hoc
loco duobus modis intelligitur. Uno, cum ponimus in aestimatione superficiem et non cor-
pus, et lineam et non superficiem; altero, cum attendimus superficiem tantum et non attendi-
mus omnino an sit cum corpore an non sit cum corpore. Tu enim nosti quod differentia inter
TRATIATO TERZO- SEZIONE QUARTA 263

ché conosci come stanno le cose per la superficie, sai già come stanno per la
linea: prendi l'una come termine di paragone per l'altra!
Ora, ti si è rivelato evidente che, quanto ali' esistenza, questi sono accidenti
che non si separano dalla materia e sai anche 120 che per l'immaginazione 121
essi non si separano neppure da quella forma che per sua natura è materiale 122 .
Resta dunque da conoscere come convenga concepire il fatto che diciamo che
"nell'immaginazione la superficie si separa dal corpo e che, nell'immaginazio-
ne, la linea si separa dalla superficie" 123 •
Ebbene, diciamo che in questo contesto 124 questa separabilità si può conce-
pire in due modi: uno consiste nel fatto che nell'immaginazione una superficie
sia supposta 125 senza un corpo e una linea senza una superficie; l'altro, invece,
consiste nel fatto che si presti attenzione alla superficie senza prestare assolu-
tamente attenzione al corpo, sia [questo] con essa o non lo sia. Tu sai che la
differenza che sussiste tra i due modi è manifesta: vi è, infatti, una differenza
tra il considerare una cosa da sola, pur credendo che essa si dia con qualcosa
di diverso da essa da cui non si separa, e il considerarla da sola, aggiungendo
(ma'a) la condizione che si separi da ciò che è con essa; [e questo] in quanto si
giudica che, come presti attenzione ad essa sola, in modo che nella tua imma-
ginazione essa sussista da sola, con ciò è fatta una differenza tra questa e
l'altra cosa, per il fatto che si giudica che quella tale altra cosa non è insieme
ad essa 126 •
Chi poi ritenesse che la superficie e la linea e il punto si possono immagi-
nare come una superficie e una linea e un punto, supponendo che non vi sia
alcun corpo né assieme alla superficie, né assieme alla linea, né assieme al
punto, ebbene, riterrebbe qualcosa di vano. E questo perché, nell'immagina-
zione estimativa, non è possibile che la superficie sia supposta isolata, senza
che sia il termine di qualcosa. A meno che non la si immagini con una posizio-
ne propria e si immagini che abbia due direzioni che conducano quel che ad
essa si dirige a incontrare - come sai - due diversi lati; ma allora, ecco che
quel che si era immaginato una superficie sarebbe qualcosa di diverso da una
superficie! [115] La superficie, infatti, è lo stesso limite, non qualcosa che

haec manifesta est; quoniam differt inter considerare rem solummodo, quamvis intelligatur
esse cum alio a quo non separatur, et inter considerare rem solummodo cum condicione
sepa-[127]rationis suae ab eo quod cum ipsa est, ut sic iudicetur de ea quasi sit considerata
per se sola; quamvis enim in tua aestimatione sit existens per se sola, tamen cum hoc discre-
tio est inter eam et aliam rem iudicatam quod ipsa non est cum ea. Igitur quisquis putaverit
quod superficies et linea et punctum possint putari linea superficies et punctum tali posi tione
264 l\ O
[115]

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ut corpus non sit cum superficie nec cum linea nec cum puncto, iste iam putavit errorem.
Non est enim possibile in aestimatione poni superficiem per se, sic ut non sit finis rei, sed
sic ut aestimetur cum proprio situ et aestimentur ei duae partes, quibus duabus partibus
simul non obviabit veniens ad eam, sicut tu nosti. Igitur quod tu aestimasti superficiem non
est superficies. Superficies enim non est nisi ipsemet terminus, non quod est habens duos
terminos; sed, si superficies aestimatur ipsemet finis qui sequitur ad unam partem, inquan-
tum est sic, ve! aestimetur ipsamet pars et terminus, sic ut incisio fiat ei ali o modo, tunc ipsa
eri t finis eius aestimata cum eo aliquo modo, et similiter est in linea et puncto.
Quod autem dicunt quod punctus designa! lineam suo motu est quiddam quod dicitur ad
imaginandum, sed non est possibile hoc esse; quod enim punctus non potest poni tangens et
movens, iam osten-[128]dimus hoc nullo modo posse esse; postquam enim tactus non per-
TRATTATO TERZO- SEZIONE QUARTA 265

abbia due limiti e se la superficie, in quanto tale, è immaginata come il tenni-


ne stesso che segue una sola delle due direzioni o come la stessa direzione con
(wa) il limite, senza che vi sia separazione dall'altra direzione, allora ciò di cui
essa è il termine, sotto un certo aspetto, è immaginato insieme ad essa; e ana-
logo è il caso della linea e del punto 127 •
E quel che si dice, e cioè che il punto con il proprio movimento disegna la
linea, è qualcosa che si dice per pura immaginazione 128 ma che non può esse-
re. Non certo perché il punto non lo si possa supporre in contatto con qualcosa
che sia in movimento, perché abbiamo già messo in evidenza che, da un certo
punto di vista, questo è possibile. Ma piuttosto perché una volta che il contatto
non sia stabile, dopo il contatto non si ha 129 un punto che resti principio di una
linea, mentre la cosa dopo il contatto dovrebbe permanere come già era prima
del contatto; e poi tra [la linea e i suoi punti] 130 e le parti del contatto non resta
un prolungamento; quel dato punto, infatti, - come hai appreso nella Fisica -
è venuto ad essere un punto 131 [soltanto] in virtù del contatto, non altro, e allo-
ra, una volta che in virtù del movimento il contatto sia svanito, come potrebbe
permanere un punto? 132 E analogamente, come potrebbe permanere quale
segno stabile ciò di cui [il punto stesso] sarebbe principio? Questo accade,
piuttosto, soltanto nell'estimativa e nell'immaginazione 133 •
E ancora: senz'altro il movimento [del punto] si darebbe essendovi una
cosa esistente secondo la quale e nella quale si darebbe il movimento: tale
cosa sarebbe suscettibile del fatto che in essa si dia movimento; ma allora essa
sarebbe un corpo oppure una superficie oppure una dimensione in una superfi-
cie o una dimensione che è una linea. E tutte queste cose dovrebbero dunque
essere esistenti prima del movimento del punto e perciò il movimento del
punto non sarebbe una causa della loro esistenza!

manet nec remanet punctus post tactum nisi sicut erat prius ante tactum, tunc non erit ibi
punctus remanens principium lineae post tactum, nec remanet distensio inter illud et partes
tactus. Illud enim punctum non est factum punctum et terminus nisi propter tactum, sicut
audisti in naturalibus. Cum enim tactum consecutus fuerit motus, quomodo ipsum remanebit
punctum? Et ita secundum quod fuerit principium lineae erit puncti secunda descriptio? Hoc
autem non est nisi in imaginatione tantum. Item necesse est sine dubio ut, cum motus fuerit,
hic sit aliquid habens esse super quod vel in quo fiat motus, et quod sit receptibile motus ut
moveatur in eo; igitur illud vel est spatium quod est corpus vel superficies, vel spatium in
superficie, vel spatium quod est linea. Haec igitur habebunt esse ante motum puncti; motus
igitur puncti non erit illis causa essendi. Esse etiam mensurae corporalis, manifestum est;
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esse vero superficiei est ex hoc quod necesse est finitam esse mensuram corporalem, esse
vero lineae est propter incisionem superficierum et propter positionem terminorum illis.
[129] Iam autem quidam putaverunt de angulo quod ipse sit quantitas continua alia a
superficie et corpore; unde oportet considerare hoc circa illum. Dico igitur quod mensura,
sive sit corpus sive superficies, iam accidit ei contineri intra fines qui copulantur in uno
puncto; unde, inquantum est inter hos fines, est res habens angulum, < ... > et, si volueris,
qualitatem quae est ei, inquantum est huiusmodi, appellabis angulum; primum igitur est
sicut quadratum et secundum sicut quadratura. Si autem posueris nomen anguli intentioni
primae, dices: "angulus est aequalis, minor et maior secundum quod est, quia eius essentia
TRATTATO TERZO- SEZIONE QUARTA 267

[116] Ora, che esista l'estensione corporea è cosa manifesta, mentre che
esista la superficie è cosa dovuta al fatto che necessariamente l'estensione cor-
porea deve esser finita; e l'esistenza della linea si deve poi al fatto che è possi-
bile sezionare le superfici e che vi si possono supporre dei limiti.
Quanto all'angolo, si è ritenuto che esso fosse una quantità continua di
diverso tipo rispetto alla superficie e al corpo; conviene perciò condurre un
esame a suo riguardo. E diciamo, dunque: all'estensione, sia essa un corpo o
una superficie, può accadere di essere contenuta tra termini che si incontrano
su di uno stesso punto; in quanto è tra termini di questo genere - senza che,
sotto un [qualunque] aspetto 134 , si guardi allo stato dei suoi stessi termini -
essa è un qualcosa dotato di un angolo; è quindi come se essa fosse un'esten-
sione più che una dimensione che ha termine su di un punto; e se vuoi, chia-
ma pure questa stessa estensione, in quanto tale, "angolo" o, se vuoi, chiama
"angolo" la qualità che le appartiene in quanto tale: la prima sarà analoga al
quadrato, la seconda alla quadratura 135 • Quindi, se poni il nome secondo il
primo senso dici "un angolo eguale" o "minore" o "maggiore" per sé, perché
la sua sostanza è un'estensione e se, invece, poni il nome nel secondo senso,
lo dici in ragione dell'estensione in cui esso si trova, come accade per la qua-
dratura; e poiché in questo, che è l'angolo nel primo senso, è possibile sup-
porre o tre o due dimensioni, esso è un'estensione, o di un corpo o di una
superficie.
[Vediamo adesso] l'opinione di colui che dice: una superficie si ha
nell'immaginazione solo quando la linea che la fa si muove con entrambi i
punti [delle estremità], in modo da produrla: la lunghezza [cioè] si sarebbe in
realtà mossa 136 in larghezza, dopo la lunghezza si sarebbe prodotta la larghez-
za, e così si sarebbero formate lunghezza e larghezza; la linea che produce 137
l'angolo, però, per produrre una superficie non si sarebbe mossa né soltanto in
lunghezza, come era, né in larghezza: essa si sarebbe mossa soltanto con uno
solo dei suoi due capi; così verrebbe a prodursi l'angolo. Ma in tal modo
costui fa dell'angolo un quarto genere delle estensioni 138 !

mensura est"; si vero imposueris intentioni secundae, tunc propter mensuram quae est in ilio
dices de ilio veluti quadraturam. In hoc autem quod est angulus secundum intentionem pri-
mam, possunt poni tria spatia ve! duo, et est tunc mensura corporalis ve! superficialis.
Qui autem putat dicens quod non esset superficies nisi moveretur linea in aestimatione
cum duobus suis punctis, quousque facit eam longitudo quae vere mota est in Jatum et inde
provenit latitudo post Jongitudinem, et ob hoc est Jongitudo et latitudo; si autem moveatur
linea ad faciendum angulum, sed nec in longum solum sicut est, nec in latum sicut cum facit
superficiem, sed moveatur ex uno suorum capitum, et fiet angulus: hic angulum poni t genus
quartum in men-[130]suris. Causa autem huius rei est ignorantia intentionis de hoc quod
268 1\V [117]

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diximus, scilicet quod rei opus est tribus ve! duabus dimensionibus ad hoc ut angulus si t cor-
poralis ve! superficialis; postquam igitur nosti quia quod dixit non sequitur, tunc non debet
audiri ab intelligentibus, eo quod homo ille praesumpsit loqui de eo quod non conveniebat
ei; qui obliviosus et turbatus tenuit quod superficies revera est quadratus ve! parte altera lon-
gior et nihil aliud: sed hoc verbum eius non est tale de quo curare debeamus. Iam igitur nostì
esse mensurarum et quod sunt accìdentia et quod non sunt principia corporum, et quod error
non contingit in hoc nisi ex eo quod tu nosti.
Iam etiam patuit ex praemissis quod tempus accidens est et quod pendet ex motu.
Remansit igitur ut scias quod non est mensura praeter has. Et dico quod quantum continuum
TRATTATO TERZO~ SEZIONE QUARTA 269

[117] La ragione di questa [sua opinione] è il fatto che [un tale personag-
gio] ignora che cosa significhi dire che "per essere un corpo o una superficie
piana, la cosa deve avere o tre o due dimensionP 39". E poiché questo lo hai già
appreso, sai già che ciò che egli dice non è conseguente e che non conviene
che chi è intelligente vi presti orecchio: si tratta soltanto di un tentativo [di
intervenire], da parte di un uomo di tal fatta, in qualcosa che non lo riguarda.
Quest'uomo distratto e confuso 140 può arrivare persino a [sostenere] che la
vera superficie è quella costituita dal quadrato o dal rettangolo e da nient'altro
che questi. Ma quel che egli dice non è fra le cose di cui è importante occupar-
si. Sai, infatti, che esistono le diverse misure (aqdiir), che esse sono accidenti
e che non sono principi dei corpi; l'errore in proposito si produce solo per via
di quel che sai.
Quanto al tempo, nelle trattazioni precedenti, hai già appurato la sua acci-
dentalità e la sua dipendenza dal movimento 141 • Ti resta da sapere che non c'è
alcuna estensione al di fuori di queste. Infatti - diremo - per la quantità conti-
nua non si sfugge a queste due possibilità: o essa è qualcosa di stabile, che
ottiene l'esistenza con tutte le sue parti, o non lo è. Se non lo è ed è piuttosto
qualcosa che si rinnova nell'esistenza, una cosa succedendo all'altra, allora è
il tempo. Se poi è stabile ed è l'estensione, allora: o è la più completa delle
estensioni, ed è quella in cui è possibile supporre tre dimensioni 142 - perché,
infatti, non è possibile supporvene un numero superiore- e questa è l'esten-
sione corporea; oppure in essa si suppongono due dimensioni soltanto; o anco-
ra essa è dotata soltanto di una dimensione 143 ; infatti, qualunque continuo ha
una certa dimensione, in atto o in potenza, e poiché non vi sono più di tre
[dimensioni] -né meno di una- le estensioni sono tre, mentre le quantità 144
continue per sé sono quattro.
E magari si potrà dire anche di altre cose che sono quantità continue, ma
non è così 145 : [ 118] il luogo è la stessa superficie e quanto alla pesantezza e

necessario, ve! est stabile habens esse simul cum omnibus suis partibus, ve! non est stabile.
Si autem non fuerit stabile, sed renovatur esse eius per successionem unius post aliud, ipsum
est tempus. Si vero fuerit stabile et ipsum est mensura, tunc ve! erit illa quae est perfectior
ex mensuris et haec est in qua possunt poni tres dimensiones (nam plures in ea poni non
possunt), et haec est mensura corporalis, ve! in qua possunt poni duae tantum dimensiones,
ve! quod est habens unam tantum dimensionem, eo quod omne continuum habet aliquam
dimensionem in effectu ve! in potentia. Sed, quia dimensiones non fuerunt plus [131] quam
tres nec minus quam una, ideo mensurae sunt tres, et hae sunt quantitates continuae per se.
Iam autem appellantur quaedam aliae quantitates continuae, sed non est ita.
270 IlA [118]

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Locus vero est ipsa superficies, gravitas vero et levitas suis motibus faciunt debere esse
mensuras diversas in temporibus et locis, et non est illis ut separentur in partes quarum una
numeret aliquam earum, scilicet gravitatem ve! levitatem, neque ut opponantur sibi secun-
dum aequalitatem ve! inaequalitatem, sic ut ponatur eis aliquis terminus qui parificetur alìi
termino eiusdem generis, neque ut hoc quod sequitur ex isto parificetur ei quod sequitur ex
ilio quod est eiusdem generis, neque quia alius terminus parificetur ei sic ut sit ei aequalis
ve! inaequalis: non enim adaequabitur, sed inaequabitur. Nos autem non intelligimus per
aequalitatem et inaequalitatem quas notum est esse mensuras, nisi hanc intentionem. Divisio
autem quae accidit gravitati et !evitati quod una gravitas est dimidium alterius gravitatis, hoc
TRATTATO TERZO- SEZIONE QUARTA 271

alla leggerezza, in virtù dei loro movimenti esse comportano necessariamen-


te146 diverse estensioni, nei tempi e nei luoghi, ma non appartiene loro di divi-
dersi in parti, [una delle quali] le conterebbe, né appartiene loro di opporsi
l'una all'altra a seconda della loro eguaglianza o [della loro] disparità; [se così
fosse] per esse si dovrebbe supporre un limite che si aggiunga a un altro limite
ad esso omogeneo e quello che viene ancora dopo di esso si dovrebbe aggiun-
gere a quello dopo ancora, ad esso omogeneo, così che a questo si possa
aggiungere l'ultimo limite, in modo da avere eguaglianza oppure differenza e
disparità, invece dell'eguaglianza. Per l'eguaglianza e la disparità che si rico-
noscono all'estensione intendiamo, infatti, proprio questo significato; invece
la divisibilità in parti che accade a leggerezza e pesantezza e per la quale un
peso è [per esempio] metà di un altro, consiste nel fatto che uno si muove 147
nel tempo per metà della distanza oppure, nella stessa distanza, ma nel doppio
del tempo; oppure nel fatto che in un [dato] strumento 148 il più grande si
muove verso il basso di un moto con cui consegue che il più piccolo si muova
verso l'alto, o cose simili. È come il calore che è il doppio di un altro calore o
in quanto agisce due volte di più o perché è in un corpo che, pur essendo il
doppio di un altro, è caldo di un calore simile.
E così stanno le cose per quel che è piccolo, quel che è grande, quel che è
molto e quel che è poco 149 ; infatti, anche questi sono accidenti che accompa-
gnano le quantità nel senso del relativo; e hai già appreso in un altro luogo
quel che va detto a proposito di tutte queste cose.
La definizione della quantità, insomma, è [questa]: essa è ciò 150 in cui può
esistere qualcosa di essa di cui è corretto [affermare] che sia uno e che misu-
ri151; e questo per sé 152, sia che la correttezza [di questa affermazione] riguardi
l'esistenza [della cosa], sia che sia ipotetica.

non contingit nisi ve! quia motum est in uno tempore, dimidio spatio, ve! in uno spatio, tem-
pore duplo, ve! quia maior movetur deorsum per instrumentum, tali motu ex quo sequitur
minorem moveri sursum ve! aliquid aliud huiusmodi. Et est hoc sicut calor qui est duplus
alterius caloris, eo quod agit duplum illius, ve! est in corpore duplo consimili in calore.
Similiter est dispositio magni et parvi, multi et pauci; haec enim accidentia sunt etiam quae
accidunt [132] quantitatibus de praedicamento relationis. Tu autem iam cognovisti haec
omnia ex aliis locis.
lgitur quantitas omnino est illa in qua possibile est esse aliquid de illa quod per seipsum
potest esse unum numerans, si ve hoc possit esse in se, si ve si t ex positione.
272 [119]

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v
CAPITULUM DE CERTIFICANDA QU!DDITATE NUMERI ET DE DEFINITIONE SUARUM SPECIERUM ET
MAN!FESTATIONE PRINC!PIORUM EIUS

Oportet ut hic certificemur de natura et proprietatibus numerorum et quomodo debent


intelligi dispositiones et esse eorum. Iam autem transieramus ab hoc incidenter ad loquen-
dum de quantitatibus continuis: nostra enim intentio fecit debere hoc fieri. Dicemus igitur
quod numerus habet esse in rebus et habet esse in anima. Et illud quod dixerunt quidam
quod numerus non habet esse <nisi> in [133] anima, non est attendendum, sed quod dixe-
273

[SEZIONE QUINTA]

IN CUI SI APPURA CHE COSA SIA 153 IL NUMERO, SI DEFINISCONO


LE SUE VARIE SPECIE E SE NE PORTANO ALL'EVIDENZA I PRINCIPÌ

Conviene qui appurare quale sia la natura dei numeri, quali siano le loro
proprietà e come vadano rappresentati il loro stato e la loro esistenza; ce ne
eravamo frettolosamente allontanati per considerare le quantità continue per-
ché lo scopo che ci eravamo proposti lo rendeva necessario. Ora - diremo - il
numero ha un'esistenza nelle cose e un'esistenza nell'anima e l'affermazione
di chi dica che il numero non ha esistenza se non nell'anima non è qualcosa di
cui vada tenuto conto: chi invece dicesse che il numero, astratto dalle cose
numerabili che sono negli individui [concreti], non ha esistenza se non
nell'anima, sarebbe nel vero 154 . Abbiamo già reso evidente, infatti, che l'uno
non si astrae dagli individui [concreti], sussistendo per sé, se non nella mente,
e tanto più questo è [vero] per ciò la cui esistenza si ordina a partire dall'esi-
stenza dell'uno. Che poi nelle cose esistenti vi siano numeri è qualcosa di cui
non si può dubitare, dato che nelle cose che esistono vi sono unità al di sopra
di una 155 : ognuno dei numeri è una specie a sé ed è uno in se stesso in quanto è
quella specie e, in quanto è quella specie, ha dei caratteri propri: sarebbe
impossibile che una cosa priva di realtà avesse la proprietà della primarietà o
della composizione o della completezza o dell'addizione o della sottrazione o
dell'elevazione al quadrato o al cubo o dell'irrazionalità 156 e delle altre figure
che appartengono [ai numeri].

runt quod numerus exspoliatus a numeratis signatis non habet esse nisi in anima, hoc verum
est. Postquam autem iam ostendimus quod unum non exspoliatur a signatis ita ut existat per
se nisi in intellectu, similiter intelligendum est de unoquoque quod sequitur in ordine post
esse unius. Quod autem in eis quae sunt numeri sint, sine dubio verum est, eo quod, in eis
quae sunt, sunt unitates plus quam una; unusquisque autem numerorum species est per se et
est unus in se, inquantum ipse est ipsa species et, inquantum ipse est ipsa species, habet pro-
prietates. Id enim quod non habet certitudinem in se, impossibile est ut habeat proprietatem
primarietatis ve! compositionis ve! perfectionis ve! superfluitatis ve! diminutionis ve] qua-
drationis ve! cubitionis ve! surditatis ve! aliarum figurarum quas habent numeri. Igitur uni-
274 \T• [120]

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cuique numerorum est certitudo propria et forma propria quae de ipso concipitur in anima.
et ipsa certitudo est unitas eius qua est id quod est.
Numerus autem non est multitudo quae non conveniat in unitate, ita quod non est neces-
se dicere esse aggregatum ex unitatibus; ipse enim numerus, inquantum est aggregatus, unus
est et possunt ei attribui proprietates quae non sunt alterius numeri, nec est mirum [134] si
res sit una, inquantum habet aliquam unam formam, sicut est denarietas et ternarietas, et
habeat multitudinem in se; igitur, inquantum est denarietas, est cum proprietatibus quae con-
veni un t omnibus decem, sed, inquantum habet multitudinem, non habet proprietates nisi
proprietates multitudinis quae est opposita unitati, et, propter hoc, decem non dividuntur
secundum denarietatem in decem decimas, quarum unaquaeque habeat proprietatem dena-
TRATIATO TERZO -SEZIONE QUINTA 275

[ 120] Ognuno dei numeri, quindi, ha una realtà che gli è propria e una
forma a partire dalla quale viene rappresentato nell'anima 157 ; tale realtà è la
sua unità, quella in virtù della quale [ogni munero] è quel che è. Il numero,
infatti, non è una molteplicità che non si riasssuma in un'unità, come se si
potesse dire che esso è [semplicemente] un aggregato di "uno" (af:rad): in
quanto è un aggregato, esso è un "uno" di cui si predicano proprietà che non
appartengono a [un numero] diverso.
E non c'è da stupirsi che una certa cosa sia una in quanto ha una certa
forma - come la decuplicità, per esempio, o la triplicità - e che le venga attri-
buita anche una molteplicità: in quanto è decuplicità, [la cosa] è qualcosa con
le proprietà che appartengono alla decina, mentre per via della sua
molteplicità 158 le appartengono, a questo riguardo, solo le proprietà della mol-
teplicità opposta all'unità; è per questo, [per esempio], che nella sua decupli-
cità il dieci non si divide in due decine, a ognuna delle quali appartengano le
proprietà della decina. E neppure si deve dire che la decina non è altro che
"nove più uno" o "cinque più cinque" o "uno più uno più uno ... " e così via,
finché non sì termini con il dieci 159• Infatti, quando dici che il dieci è "nove
più uno", dici qualcosa in cui predichi il nove del dieci e cui annetti 160 l'uno;
ed è, quindi, come se dicessi che 161 "il dieci è nero e dolce"; ma allora dovreb-
be essere necessariamente vero attribuirgli ambedue le qualità annesse una
all'altra, solo che così il dieci sarebbe "nove" e anche "uno".
E se con l'annessione [del nove all'uno] non avessi voluto [semplicemen-
te] far conoscere (ta'rif) [la cosa] ma avessi, anzi, inteso dire quel che si inten-
de dicendo che "l'uomo è un animale razionale" - e cioè che è un animale,
quel dato animale che è razionale - allora è come se avessi detto: "il dieci è
nove, quel dato nove che è uno", e anche questo è impossibile.

rietatis. Nec debet dici quod decem et sint novem et unum, vel quinque et quinque, sed
unum et unum et unum, quousque pervenias ad illum. Dictio enim tua qua dicis quod decem
sunt novem et unum, est dictio qua praedicasti novem de decem et insuper addidisti unum;
est igitur quasi dixeris quod decem sunt nigrum et dulce. Oporteret igitur ut illae duae pro-
prietates essent verae de decem quae adduntur una super aliam; igitur decem essent novem
et etiam unum.
Si autem per hanc additionem non intendistì notificare, sed intendistì sicut ille qui dicit
quod homo est animai et rationale, scilicet animai quod est rationale, erit similiter quasi
dixisses quod decem sunt novem, qui novem sunt unum, quod etiam est inconveniens. Si
276 \n [121]

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vero intelligis quod decem sunt novem cum uno, et intendis per hoc quod decem sunt novem
qui sunt cum uno, ita ut, cum novem fuerint sola, non sint decem, cum vero fuerint cum uno,
tunc illa novem sint decem, simìliter etiam errasti: si ve enim novem sint sola, si ve aliquid si t
cum eis, ipsa semper erunt novem et nullo modo erunt decem. Si [135] autem non intellexi-
sti per unum proprietatem quam habent novem sed decem, erit tunc quasi dixeris quod
decem sunt novem et, existendo novem, sunt etiam unum: hoc etiam error est. Hoc autem
totum solemus dicere, sed inducit errorem. Sed denarius est aggregatio ex novem et uno,
cum accepta fuerint utraque simul et provenit ex eis coniunctis aliquid aliud ab eis, quod est
decem.
TRATTATO TERZO- SEZIONE QUINTA 277

E se avessi inteso dire [ 121] che il dieci è "nove con uno", volendo dire
che il dieci è il nove che è 162 con un "uno", in modo tale che, se il nove fosse
da solo, non sarebbe dieci, allora essendo con l'uno, quello stesso nove sareb-
be dieci, e avresti egualmente sbagliato. Infatti, il nove, quando è solo o con
una qualunque cosa che sia con esso, è nove e non è affatto dieci. E se poi del
[termine] "con" non fai un attributo del nove, ma di ciò cui esso è attribuito, è
come se dicessi: "ìl dieci è nove ed essendo nove è anche uno", e anche questo
è un errore.
Anzi, tutto questo è una metafora del linguaggio e induce in errore. Il
dieci, piuttosto, è l'insieme 163 del nove e dell'uno quando essi sono assunti
l'uno insieme all'altro così che ne venga ad essere una cosa diversa rispetto ad
ambedue.
La definizione (f:tadd) di ciascun numero - se vuoi che se ne individui la
reale costituzione - consiste nel dire che esso è un numero che si ha a partire
dall'aggregazione di un uno, più un uno, più un uno, così da menzionarne tutte
le unità. E questo perché non si sfugge a una delle due possibilità: o il numero
si definisce senza dare indicazione del fatto che esso si compone di ciò di cui
si compone, ma con una delle sue proprietà - e questa però è la descrizione
(rasm) 164 di quel numero, non la definizione che se ne darebbe in relazione
alla sua sostanza; oppure, [il numero si definisce] dando indicazione del fatto
che si compone di ciò di cui si compone. Ma se si indicasse la sua composizio-
ne a partire da due numeri, senza [indicare] l'altra 165 , per esempio, facendo del
"dieci" [quel che è composto] da "cinque più cinque", questa [composizione]
non sarebbe più degna [di essere scelta] rispetto alla composizione del "sei
con il quattro": il legame che l'identità 166 [del dieci] ha con una delle due
[composizioni] non è più degno dell'altro [legame], ma [allo stesso tempo il
dieci], in quanto dieci, è una quiddità una, ed è impossibile che sia una quid-
dìtà una ma che ad indicarla siano diverse definizioni.

Cum autem volueris scire certitudinem definitionis uniuscuiusque numeri, erit ut dicas
quod numerus est proveniens ex aggregatione unius et unius et unius, ita ut numerentur
omnes unitates. Necesse est enim ut numerus ve! definiatur per aliquam ex suis proprietati-
bus sine consideratione compositionis eorum ex quibus compositus est, et tunc haec erit
descriptio illius numeri, non sua definiti o substantialis; ve! per considerationem compositio-
nis eorum ex quibus compositus est. Si autem consideratur compositio eius ex duobus
numeris tantum absque aliis, verbi gratia quod denarius compositus est ex quinque et quin-
que, non erit hoc dignius quantum ad compositionem eius quarn ex sex et quattuor. Nam
essentia eius non pendet potius ex una compositione quam ex alia; inquantum enim ipse est
decem, est una quidditas, et impossibile est ut eius quidditas sit una et quod significat eius
quidditatem, inquantum est una, sit definitiones diversae. Cum autem hoc sit, tunc eius defi-
278 [122]

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nitio non est dignior esse ex una [136] illarum compositionuw potius quam ex alia, sed ex
hoc quod diximus; postquam autem ita est ei, tunc, quoniam compositio ex quinque et quin-
que, et ex sex et quattuor, et ex tribus et septem, iam est comitans et consequens illum; tunc
hae sunt descriptiones eius quamvis, cum definieris illum per quinque et quinque, oportebit
te tunc definire quinque, et sic reducis ad unitates et tunc intelligetur. Idem enim intelligitur
cum dicis quod decem sunt ex quinque et quinque, sicut cum dicis quod est ex tribus et sep-
tem vel ex octo et duobus, scilicet si consideraveris illas unitates aggregatas.
Si vero consideraveris formam de quinque et de tribus et septem, erit unaquaeque ista-
rum considerationum diversa ab alia; essentia enim unitatis non habet diversos intellectus
TRATIATO TERZO - SEZIONE QUINTA 279

[122] E se le cose stanno così, la definizione [del numero] non è né questa


né quella ma è piuttosto quella che abbiamo sostenuto. Cioè, stando così [le
cose], poiché che [il dieci] si componga 167 di cinque più cinque, di sei più
quattro o di tre più sette è qualcosa che consegue e vien dietro [al fatto che
sia dieci], tutte queste non sono altro che descrizioni [del numero] nel senso
che, per definire [il dieci] con il cinque hai bisogno 168 di definire il cinque e
così tutto si risolve nelle unità (a/.ziid). Quando dici che il dieci si fa a partire
da "cinque più cinque", quel che si deve comprendere è quindi la stessa cosa
che si deve comprendere quando dici che si fa a partire da "tre più sette" e da
"otto più due"; questo, intendo dire, prendendo in esame quelle unità. Se
invece prendi in esame la forma di "cinque e cinque" e di "tre e sette", ogni
considerazione è diversa dall'altra 169 ; ma di una stessa essenza non ci sono
realtà che vadano comprese diversamente: sono solo i suoi conseguenti
necessari e i suoi accidenti ad essere molteplici. Perciò l'eminente filosofo 170
disse: "Non calcolate che il sei sia tre più tre! Invece, è sei volte uno",
Tuttavia, considerare il numero a partire dalle sue unità è una delle cose diffi~
cili 171 a immaginarsi e a esprimersi cosicché si finisce necessariamente [per
ricorrere] alle descrizioni 172 •
Come poi si dia la diade, lo si deve indagare a partire dallo stato del nume-
ro. Alcuni, infatti, hanno sostenuto che la diade non è numero, e questo in
quanto la diade è il primo pari mentre l'unità è il primo dispari; come, quindi,
l'unità, che è il primo dispari, non è [123] numero, così la diade, che è il primo

certitudinis suae, sed multiplicantur eius accidentia et comitantia, et propter hoc dixit egre-
gius philosophus: "Non putetis quod sex sunt tres et tres, sed sunt sex seme!". Consideratio
autem numeri secundum unitates suas est difficilis ad imaginandum et ad proferendum; et
ideo necessario recurrunt ad descriptiones praedictas, scilicet ex quinque et quinque, vel e~
aliis.
Quod autem debet inquiri de dispositione numeri, hoc est scilicet [137] dispositio duali-
tatis. Quidam enim illorum dixerunt dualitatem non esse aliquem de numeris, eo quod duali-
las est primum par, unitas vero est primum impar et non est numerus, similiter et dualitas
280 [123]

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quae est prirnum par, non est numerus. Et dixerunt quod, qui~ numerus est multitudo com-
posita ex unitatibus, ex omnibus autem unitatibus constituentibus numerum pauciores sunt
tres, ideo dualitas, si est numerus, tunc necesse est ut si t ve! compositus, ve! primus; et si est
compositus, tunc numerat eum aliud quam unitas; si autem est numerus primus, tunc non
habet medietatem. Qui autem inquirunt certitudinem, non occupantur circa huiusmodi ullo
modo, quoniam unitas non fuit non-numerus ob hoc quod sit par ve! impar, sed quia non
separatur ipsa in unitates. Curn autem dicunt numerum esse compositum ex unitatibus, non
intelligunt id quod intelligunt grammatici de verbo aggregationis, et quod minor aggregatio
est tres, quamvis diversitas sit in hoc; intelligunt enim per hoc maiorem ve! plurem uno,
TRA TI ATO TERZO- SEZIONE QUINTA 281

pari, non sarebbe numero. Costoro hanno sostenuto [questa posizione]l 13


anche perché il numero è una molteplicità composta di unità e le unità [ridot-
te] al minimo sono tre e perché - [dicono] - se la diade fosse 174 un numero,
allora non si sfuggirebbe a una delle due possibilità: essa, cioè, o sarebbe o
non sarebbe composta 175 ma, se fosse composta, dovrebbe essere contata da
qualcosa di diverso dall'uno 176 e, d'altra parte, se fosse un numero primario,
non potrebbe avere una metà.
Ora, i partigiani della verità non si preoccupano di simili cose, nel modo
più assoluto. L'unità (al-wal:zda), infatti, non è qualcosa di diverso dal numero
in quanto è dispari o pari, ma in quanto non è divisibile in altre unità. Dicendo
"composta da unità", essi non intendono dire ciò che intendono i grammatici
con il termine "plurale" - a parte la controversia avutasi a questo riguardo - e
cioè che il minimo è tre 177 . Essi, piuttosto, con ciò intendono dire "maggiore"
(aklar) e "più" (azyad) di uno. Per abitudine sono arrivati a questa [afferrn<:t-
zione] e non osservano che non esiste alcun "pari" che non sia numero e che,
anche se esiste un dispari che non è numero, ciò non li obbliga a perseverare
nella ricerca di un pari che non lo sia. Inoltre, non pongono a condizione 178 ,
per quanto riguarda il numero primo, che esso non abbia una metà in assoluto
ma [solo] che, in quanto è primo, non abbia una metà numerica; essi con
"primo" intendono soltanto "che non è composto da numeri". Invece, poiché
con "numero" noi intendiamo 179 solo qualcosa in cui risieda la [possibilità] di
una divisione e in cui esista un uno, la diade è il primo numero ed è il numero
più piccolo 180 . La molteplicità numerica, invece, non ha termine 181 in un limi-
te, e il fatto che la diade sia "poco" non è qualcosa che si dica per sé, ma in
relazione al numero. [ 124] Se la diade non è maggiore di qualcosa, non per

quia sic consueverunt nec curant si invenitur par qui non si t numerus ve! invenitur impar qui
non sit numerus. Si autem posuerimus eos dicere posse inveniri parem qui non sit numerus,
ve! imparem qui non sit numerus, non tamen concedent de numero [138] primo quod non
habet medietatem absolute, sed condicionaliter quia non habet medietatem quae si t numerus.
inquantum est primus. Intelligunt enim de primo quod non est compositus ex numero, et non
intelligunt de numero nisi id in quo est discreti o et in qua invenitur unitas. Igitur dualitas est
primus numerorum et est ultima paucitas in numero.
Multitudo autem in numero non pervenit ad finem, paucitas vero dualitatis non dicitur
per se, sed respectu alterius numeri, nec. quia dualitas non est maior aliquo, sequitur inde
282 \yt [124]

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quod non sit eius paucitas comparatione alterius a se; unde non oportet ut, si ponatur duali-
tas referri ad aliquid, sequi inde ipsam non referri ad aliud relatione quae sit diversa ab alia.
Non enim debet ut, cum alicui rei accidunt duae relationes simul, scilicet relatio paucitatis et
relatio multitudinis, ita ut, cum fuerit paucum respectu alicuius, sit multum respectu alterius,
sequi ex hoc ut, cum omni paucitate quae accidit alicui, accidat etiam ei multitudo; sicut, si
aliquis idem fuerit dominus et servus, non debet sequi ex hoc quod aliquis alius non sit
dominus tantum, nec, si aliquid est genus et species, sequitur ex hoc ut aliquid aliud non sit
genus tantum. Non enim paucum fit paucum propter aliquid aliud respectu cuius est pau-
TRATIATO TERZO- SEZIONE QUINTA 283

questo 182 è necessario che il suo esser "poco" non sia in relazione a qualcosa
di diverso da essa; infatti, non è necessario che qualcosa cui accada 183 una
relazione con altro debba necessariamente avere un'altra relazione con
un'altra cosa, concomitante a quella [prima] relazione: se, cioè, ad una cosa
accadono al contempo due relazioni - una relazione per cui è "poco" e insie-
me una relazione per cui è "molto", in modo tale che essa, così come in rap-
porto a una certa cosa è poco, in rapporto a un'altra è molto- non è necessario
che da ciò consegua che a una cosa cui accade di "esser poco" 184 accada sem-
pre anche di "esser molto"; d'altra parte, allo stesso modo, essendo una stessa
cosa "possedente" e "posseduta", non è necessario che non vi sia nessuna cosa
che sia solo possedente; oppure una cosa che è genere e specie non comporta
necesariamente che non vi sia una cosa che sia soltanto genere: il poco non
viene ad essere poco per il fatto che vi è una qualche cosa rispetto alla quale
esso è a sua volta molto, ma solo per via di ciò che in rapporto ad esso è
molto 185 • La diade, infatti, è il più piccolo "esser poco": è "esser poco" in rap-
porto a ogni numero, perché è manchevole in rapporto a ogni numero, ed è
"più piccolo" in quanto non è molto per nessun numero; ma se la diade non
venisse messa in rapporto ad un'altra cosa, non sarebbe "poca".
Con la molteplicità poi vanno compresi due significati: uno è che nella
cosa vi sia più di una unità, e questo non è affatto in rapporto a qualcos'altro;
l'altro è che nella cosa vi sia tutto quel che è in qualcos'altro e un [alcunché]
"in più", e questo [significato] è quello in relazione ad altro. [125] E così è

cum, sed propter aliquid aliud [139] quod, comparatione eius, est multum. Dualitas igitur est
paucitas parvissima; sed paucitas eius est respectu omnis numeri, eo quod minor est omni
numero; et est parvissima quia non est talis multitudo in qua sit numerus; cum autem non
consideraveris dualitatem respectu alicuius alterius, sed per se, tunc non erit pauca.
De multitudine vero intelliguntur duae intentiones: una est, ut in re sit ex unitatibus plus
quam una, et hoc non fit respectu alicuius ullo modo; alia est, ut si t in ea quantum est in ali-
quo alio et insuper aliud, et hoc est in respectu. Similiter etiam est de magnitudine, longitu-
284 ,,.0 [125]

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dine, latitudine. Multitudo igitur absoluta est apposita unitati oppositione qua aliquid est
oppositum suis principiis ex. quibus perficitur; alia vero multitudo opponitur paucitati oppo-
sitione relationis; nec est contrarietas inter multìtudinem et unitatem ullo modo, cum unitas
constituat multitudinem; et debemus certificare hoc.
TRATI ATO TERZO - SEZIONE QUINTA 285

[anche per] la grandezza, la lunghezza e la larghezza. Ora, la molteplicità in


assoluto si oppone all'unità come una cosa si oppone al principio che la misu-
ra; la molteplicità nell'altro senso, invece, si oppone all'esser poco con
l'opposizione propria del relativo. E non vi è contrarietà tra l'unità e la molte-
plicità, nel modo più assoluto; come potrebbe esservene se è l'unità a costitui-
re la molteplicità? Ma è necessario verificare il discorso che si è fatto a questo
(proposito l.
286 '"' [126]

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VI
CAPITULUM DE OPPOSIT!ONE QUAE EST INTER UNUM ET MULTUM

Oportet considerare oppositionem quae currit inter multum et unum. Oppositio vero fit
quattuor modis, et hoc iam certum est; sed adhuc certificabitur quod forma oppositionis facit
debere tot esse [140] modos eius. Ex quibus una est oppositio contrariorum; oppositio vero
quae est inter unum et multum non est huiusmodi. Unitas enim constituit multitudinem; nul-
lum vero contrariorum constituit suum contrarium, sed removet et destruit.
Potest autem aliquis mihi obicere dicens quod unum et multum talia sunt; non enim
oportet dicere quod contrarium destruit contrarium quomodocumque evenerit, sed ut dicatur
287

(SEZIONE SESTA] 186

SULL'OPPOSIZIONE TRA L'UNO E IL MOLTEPLICE 187

Conviene dunque riflettere su come si dia l'opposizione tra il molteplice e


l'uno 188 . L'opposizione per noi era di quattro tipi, questo lo si era già appura-
to; in seguito appureremo anche che è la stessa forma dell'opposizione a com-
portare necessariamente che i suoi tipi siano tutti compresi in questo insieme e
fra di essi c'è l'opposizione della contrarietà 189 .
Non è possibile però che l'opposizione tra l'unità e la molteplicità sia in
quest'ultimo modo 190 : l'unità 191 è un costituente della molteplicità e nessuno
dei contrari costituisce il proprio contrario, ma anzi lo vanifica e lo nega; [e
ciò] anche se qualcuno potrebbe dire che proprio questo è il caso dell'unità e
della molteplicità.
Infatti- [potrebbe obiettare] -non si deve dire che, comunque sia, il con-
trario fa svanire il contrario, ma che "il contrario 192 fa svanire il contrario in
quanto inerisce al suo stesso soggetto; ecco allora che per sé l'unità, inerendo
al soggetto della molteplicità, fa svanire la molteplicità, [e ciò] nel senso in cui
hai ammesso che allo stesso soggetto [possono] accadere l'unità e la moltepli-
cità". Ora, in risposta a quest'uomo diremo che, come la molteplicità si attua
solo in virtù dell'unità, così essa svanisce solo in virtù dello svanire delle sue
unità. Non è la molteplicità a svanire per sé, in modo primario: accade, invece,
che prima svaniscano le sue unità e che poi, con queste, svanisca [la moltepli-
cità] perché svaniscono le sue unità. Quando, dunque, l'unità fa svanire la
molteplicità, non la fa svanire in modo primario 193 . Al contrario, essa in primo
luogo fa soltanto svanire dal loro stato in atto le unità che appartengono alla
molteplicità fino a che [127] esse divengano in potenza e ne consegua così che

quod contrarium destruit contrarium cum venìt in subiectum eius, et hoc modo unum con-
suevit destruere multum cum ponitur in subiecto quod erat multitudinis, sicut iam concessi-
sii quod eidem subiecto accidit unitas et multitudo. Contra quem sic respondeo quod multi-
tudo sìcut non acquiritur nisi per unitatem, sic nec destruitur nisi propter destructionem sua-
rum unitatum; multitudo autem non destruitur per se destructione prima, sed primo accidit
suis unitatibus destructio, et deinde accidit eì simul destrui propter destructionem suarum
unitatum; igitur cum unitas destruit multitudinem, non fit hoc principaliter, sed quia unitates
quae sunt multitudinis primo destruuntur a sua dispositione in effectu, ita quod fiunt in
potentia, et ex hoc sequitur ut non sit multitudo. Igitur unitas non destruit multitudinem sic
288 H' V [127]

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ut non destruatur unitas, sicut calor destruit frigiditatem. Vnitas itaque non est contraria
multitudini nisi sic quod unitatibus illis accidit causa destruellS ex qua proveniunt isti modi,
et hoc fit propter [ 141] destructionem superficierum. Si autelll propter adventum cuiuslibet
eorum in subiectum oportet unitatem esse contrariam < .. .? unitati, quamvis unitas non
destruat unitatem, sicut calor destruit frigiditatem, tamen unitllS adveniens, cum destruit uni-
tatem primam, destruet eam a re quae non erat subiectum unitatis alterius, et quod magis
debet putari, hoc est scilicet quia est pars sui subiecti; sed multitudo non destruitur propter
hanc unitatem destructione prima. Ad condicionem vero contrariorum non sufficit tantum ut
TRA TIATO TERZO- SEZIONE SESTA 2S9

non vi sia più molteplicità. L'unità, quindi, primariamente fa svanire solo


l'unità, anche se non la fa svanire come il caldo fa svanire il freddo: l'unità,
infatti, non è contraria all'unità. Piuttosto [essa fa svanire l'unità] in quanto a
quelle unità accade una causa che le vanifica, in quanto da essa si produce urla
data altra unità, e ciò con [lo stesso principio] con cui svaniscono le superfi-
ci194. Quindi, se a causa di questa successione che si ha nel soggetto, l'unità
deve essere il contrario della molteplicità, ecco che sarebbe meglio [affermll-
re] che è l'unità ad essere il contrario dell'unità! [E questo] anche se l'unità
non fa svanire l'unità come il caldo fa svanire il freddo: infatti, quando l'unità
che sopraggiunge fa svanire l'unità originaria, la fa svanire da qualcosa che •n
sé non è il soggetto dell'altra unità ma che, anzi, è più conveniente ritenere
una parte del suo soggetto 195 . Poi non è in modo primario che la molteplicità è
fatta svanire da questa unità. E poi, perché si abbiano due contrari, non è urJa
condizione sufficiente il fatto che sia uno stesso soggetto quello in cui essi si
succedono: assieme a questa successione è necessario che le nature siano
incompatibili e tali da escludersi reciprocamente; a nessuna delle due appar-
terrà di per sé di essere costituita dall'altra, a causa della differenza essenziale
che è in esse: la loro incompatibilità deve essere primaria.
Inoltre, si potrebbe anche dire che il soggetto dell'uno e del molteplice non
è uno stesso [soggetto]; infatti, la condizione perché si abbiano due contrari è
che per i due vi sia un soggetto numericamente uno, mentre l'unità in sé e la
molteplicità in sé non hanno un soggetto numericamente uno ma invece ttn
soggetto 196 che è uno nella specie. E, d'altra parte, come potrebbe essere
numericamente uno il soggetto dell'unità e della molteplicità?

sit unum subiectum in quod ipsa sibi succedant, sed oportet ut, cum hac successione, sint
etiam naturae refugientes a se et multum distantes, et sua distantia sit prima. Non enim sunt
talia contraria, ut unum eorum praecedat alterum in diversitate quae est inter illa. Potcst
etiam aliquis dicere quod subiectum unitatis et multitudinis non est unum. Condicio vero
contrariorum est ut duobus ex illis si t subiectum unum numero, unitas vero per se et multitU-
do per se non habent subiectum unum numero, sed unum specie: subiectum enim multitudi-
nis quomodo erit unum numero? Ex praedictis autem poteris scire certitudinem huius, et
290 l T'A [128]

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quid est in ilio, et quid de illo, et quid ad illud. Igitur iam manifestum est quod oppositio
quae est inter unum et multum non est opposi ti o contrariorum.
[142] Consideremus ergo an sit inter ea oppositio formae et privationis. Sed primum
oportet scire quod privatio quae est una ex his duobus est privatio rei, cuius natura erat
essendi in subiecto eius ve! in specie eius ve! in genere eius, sicut: iam manifestum est tibi de
intentione privationis. Tu autem potes sustinere quod unitas, aliqtw modo, est privatio multi-
tudinis, cuius natura est secundum speciem suam multiplicari, et potes sustinere ut, alio
modo, multitudo ponatur privatio unitatis in rebus quarum natura est uniri. Verum est autem
impossibile esse duo quorum unumquodque sit privatio et habitus respectu alterius; sed ex
his, illud quod est habitus est id quod per se intelligitur et est stabile per seipsum, privatio
TRATTATO TERZO- SEZIONE SESTA 291

[128] Del resto, a partire da quanto ti si è [chiarito] precedentemente, non ti


è difficile conoscere la realtà di questa [posizione] e tutto quel che la riguarda e
che è contro o a favore di essa: si è già mostrato manifesto ed evidente che
l'opposizione tra l'uno e il molteplice non è l'opposizione della contrarietà.
Passiamo dunque a esaminare se l'opposizione tra le due [nozioni] sia
quella che c'è tra la forma e la privazione.
In primo luogo- diremo- è necessario, come ti si è già [chiarito] a propo-
sito della privazione, che tra i due 197 la privazione sia privazione di un alcun-
ché che di per sé dovrebbe appartenere o al soggetto o alla sua specie o ai suo
genere. Sta a te, perciò, trovare un punto di vista per cui fare dell'unità la pri-
vazione della molteplicità - in ciò che di per sé, secondo la propria specie,
deve essere molteplice- come [starebbe a te] trovare un altro punto di vista
per cui fare della molteplicità Ia privazione dell'unità - in cose che per loro
natura sarebbero unitarie. Ma la realtà è che non può essere che vi siano due
cose, ognuna delle quali sia privazione e possesso in relazione all'altra. Il pos-
sesso tra le due è piuttosto quel che è concepibile 198 in sé e che per se stesso è
affermato 199 , mentre Ia privazione consiste nel fatto che questa data cosa -
[cioè] quella che è ciò che in sé è concepibile e per se stesso affermato- non
sia in quei qualcosa in cui per sé dovrebbe essere 200 ; [Ia privazione] cioè si
concepisce e si definisce solo in virtù del possesso.
Quanto agli Antichi, alcuni considerarono questa opposizione quella tra la
privazione e il possesso di cui fecero la prima contrapposizione201 ; sotto il
possesso e la forma ordinarono il bene, il dispari, l'uno, la fine 202, la destra, la
luce, il quiescente, il retto, il quadrato, la scienza e il maschio e nell'ambito
della privazione le cose che a queste si oppongono, come il male, il pari, la
molteplicità, l'infinità, la sinistra, la tenebra, il mobile, il curvo, il rettangole>,
l'opinione, e la femmina203.
Quanto a noi, ci pare difficile fare del possesso l'unità e della molteplicità
la privazione. In primo luogo, ecco noi definiamo l'unità con l'inesistenza
('adam) della divisione o l'inesistenza della partizione 204 in atto, [129] ma nel

vero est ut illud quod intelligitur per se et est stabile per se, non sit in re cuius natura erat IIt
esset in illa; evenit igitur quod privatio non intelligitur nec definitur nisi per habitum.
Quidam ergo ex antiquis posuerunt oppositionem quae est habitus et privationis opposi-
tionem quae est inter unum et multum, et quidam oppositionem quae est primae contradic;-
tionis; et illi posuerunt sub habitu formam, ut bonitatem et impar et unum et finitum ~t
lumen et dextrum et quietum et rectum et quadratum et scientiam et memoriam [143] ~t
masculum, et sub privatione posuerunt opposita istorum, sicut est malitia et par et multum ~t
infinitum et sinistrum et tenebra et mobile et curvum et parte altera longior et opinio et obli-
vio et femina. Nobis autem grave est ponere unitatem habitum et multitudinem privationem.
Primo, quia nos invenimus unitatem privari divisione et parte in effectu et accipimus divi-
sionem et partitionem in definitione multitudinis, et iam diximus quid contingat in his.
292 [129]

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Secundo, quia unitas est in multitudine et constituens eam. Sed quomodo quidditas habitus
est in privatione, ita ut privatio sit composita ex habitibus qui coniungantur? Similiter, si
habitus fuerit multitudo, tunc quomodo erit compositio habitus ex suis privationibus? Unde
non potest esse inter ea oppositio privationis et habitus.
Et, postquam hoc non potest esse, tunc non potest dici etiaro quod oppositio sit inter ea,
quae est contradictoriarum. Quod enim ex his est in verbis, est praeter intentionem nostram;
quod vero ex his est in rebus, est de genere oppositionis quae est privationis et habitus,
immo est genus huius oppositionis, quia affirmativa est stabilitio, et negativa est privatio; et,
si huiusmodi opposi ti o esset inter unum et multum, accideret absurdum quod accidit in prae-
dictis.
TRATTATO TERZO- SEZIONE SESTA 293

definire la molteplicità assumiamo la divisione e la divisione in parti, e abbia-


mo già ricordato qualcosa a questo proposito205 . In secondo luogo, l'unità esi-
ste nella molteplicità, costituendola, e allora, come potrà la quiddità del pos-
sesso esistere nella privazione al punto che la privazione venga a comporsi di
più possessi insieme? E analogamente, se fosse la molteplicità ad essere il
possesso, questo come potrebbe comporsi a partire dalle privazioni di esso?
Non può essere, quindi, che l'opposizione fra le due si consideri come l'oppo-
sizione della privazione e del possesso.
E poiché ciò non può essere, non si può neppure dire 206 che l'opposizione
tra [l'unità e la molteplicità] sia l'opposizione della contraddittorietà, perché
[l'opposizione] di questo tipo che riguarda i termini 207 esula da ciò che convie-
ne a questa considerazione, mentre quella che riguarda le cose comuni 208 è
dello stesso genere dell'opposizione che si ha tra la privazione e il possesso e
anzi ne è il genere. Infatti, all'affermazione corrisponde il fatto che sia stabili-
ta [l'esistenzaj209 , mentre alla negazione corrisponde la privazione; e a questo
proposito si ha allora quella stessa impossibilità che si aveva in quel che
abbiamo già esaminato.
Esaminiamo allora se l'opposizione tra le due sia, invece, quella della rela-
zione210.
Ora- diremo-, non è possibile che si dica che tra l'unità e la molteplicità
in se stesse vi sia l'opposizione della relazione. La quiddità della molteplicità
non è, infatti, concepita solo in relazione all'unità, come se essa fosse molte-
plicità solo a causa del fatto che vi è unità, e questo anche se essa è moltepli-
cità solo in ragione dell'unità. Hai già appreso nei libri di logica la differenza
tra ciò che non è se non in virtù di qualcos 'altro e ciò la cui quiddità non si
dice se non in rapporto a qualcos'altro.
La molteplicità ha bisogno solo che di essa si comprenda che deriva
dall'unità, perché in se stessa essa è causata dall'unità211 ; ma ciò che va inteso
in quanto è causata è diverso da ciò che va inteso in quanto è molteplice: la
relazione le appartiene solo in quanto è causata e l'esser causato212 è qualcosa
che consegue necessariamente alla molteplicità, [130] ma non è la stessa mol-

Consideremus igitur si sit inter ea oppositio relationis. Sed dico [144] non posse dici
inter unitatem et multitudinem secundum essentias earum esse oppositionem relationis. Non
quod quidditas multitudinis intelligitur respectu unitatis, ita ut multitudo non sit nisi quia hic
est unitas, quamvis multitudo non sit nisi causa unitatis; et tu iam nosti ex libris logicae dif-
ferentiam inter id quod non est nisi propter aliud et inter id cuius quidditas non dicitur nisi
respectu alterius. Sed multitudo non eget ad hoc ut intelligatur nisi quia est ex unitate, quo-
niam causatum est unitatis in seipsa; et hoc quod intelligitur esse causata aliud est ab co
quod intelligitur esse multitudo; et relatio non est illi nisi inquantum est causata; causalitas
vero comitans est multitudinem, non est ipsa multitudo. Item si multitudo esset de relatione,
294 [130]

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eveniret quod, sicut quidditas multitudinis dicitur respectu unitatis, sic quidditas unitatis,
inquantum est unitas, diceretur respectu multitudinis secundmn condicionem conversionis
relativorum, et essent coaequaeva in esse, inquantum haec est unitas et illa est multitudo.
Non est autem ita in re.
Postquam igitur est manifestum tibi totum hoc, tunc claret non esse oppositionem inter
ea secundum seipsa, sed consequitur ea oppositio, scilicet quia unitas, inquantum est mensu-
ra, opponitur multitudini inquantum est mensurata; rem auten1 esse unitatem et eam esse
mensuram non est idem, quia distinctio est inter ea. Unitati enin1 accidit ut si t mensura, sicut
accidit ei ut sit causa. Deinde propter unitatem quae invenitur in rebus, accidit eis ut sint
mensurae. [145] Unum autem cuiusque rei et mensura eius sunt generis rei, quoniam unum
TRA TI A TO TERZO- SEZIONE SESTA 29S

teplicità. Inoltre, se [la molteplicità] fosse un relativo, sarebbe come se la smt


quiddità si dicesse in rapporto all'unità e - secondo la condizione della con-
vertibilità dei due relativi- la quiddità dell'unità in quanto unità si direbbe irt
rapporto alla molteplicità; le due [cose cioè] - questa in quanto è unità e quella
in quanto è molteplicità- sarebbero correlative213 nell'esistenza. Ma le cose
non stanno così.
Ora, poiché tutto ciò ti si è rivelato evidente, conviene che decidi [della
questione, stabilendo] che fra le due non c'è un'opposizione che riguardi le
loro stesse essenze ma che, piuttosto, le accompagna una certa opposizione:
l'unità in quanto è un'unità di misura si oppone alla molteplicità in quanto
misurabile214 ; il fatto che qualcosa sia unità e il fatto che sia unità di misura
non sono una stessa cosa: tra i due [modi] c'è una differenza. All'unità accade
di essere unità di misura come le accade di essere causa; inoltre, in ragione
dell'unità che esse hanno, accade che le cose siano misure, purché però l'uno
e l'unità di misura di una cosa siano sempre di uno stesso genere; così, l'unità
nelle lunghezze è una lunghezza, nelle larghezze è una larghezza, nei solidi è
un solido21 S, nei tempi è un tempo, nei movimenti è un movimento, nei pesi è
un peso, nelle parole una parola, nelle lettere una lettera216 .
Affinché la disparità a suo riguardo sia minima217 , ci si sforzerà sempre di
considerare "uno", in qualunque cosa, [l'elemento] che è il più piccolo possi-
bile: in alcune cose, infatti, l'uno è determinato per natura- come una noce e
un cocomero- in alcune altre, invece, l'uno è determinato per convenzione21 s
e così, quel che rispetto a un dato uno eccede è considerato maggiore
dell'uno219 , mentre quel che rispetto ad esso è manchevole non viene conside-
rato "uno". Anzi, l'uno è ciò che è stato supposto tale perché "completo" ma si
può considerare "uno" anche la cosa che in un dato genere è la più manifesta.

in longitudinibus est longitudo, et in latitudinibus est latitudo, et in corporatis corporatum, et


in temporibus tempus, et in motibus motus, et in lancibus pondus, et in nominibus et verbis
syllaba.
lam autem conati sunt quidam ponere in omni re unum id quod potest esse rninus in ea,
eo quod ad ultimum pervenitur ad id quod est parvissimum in illa. Ex rebus autem quaedant
posita est una per naturam, sicut nux et cucumer, et quaedam est in qua ponitur unum ad
placitum; si igitur super illud unum aliquid fuerit additum, erit plus uno, et si subtractunt
fuerit a!iquid de eo, non invenietur unum, quia non erit hoc unum, nisi positum fuerit cunt
sua integritate. Ponunt etiam hoc unum esse de rebus evidentioribus in suo genere; ununt
296 ,,., [ 131]

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enim, verbi gratia, in longitudinibus est palmus, et in latitudinibus est palmus in palmum, et
in corporatis palmus in palmum in palmum, et in motibus motus mensuratus cognitus. Non
invenitur autem motus huiusmodi qui sit communis omnibus, nisi motus mensurati naturali-
ter, et proprie qui non variantur, sed extenduntur convenienter sic quod conveniunt in omni
mensuratione, et adhuc [146] magis proprie sunt illi qui sunt minoris mensurae secundum
motum. Parva autem mensura secundum motum est illa cuius tempus est magis parvum, et
hic est motus caelestis velocissimus, valde contentus in sua mensura: circularis enim nec
augetur nec minuitur umquam; parvitas mensurae eius cognita est per velocitatem sui recur-
sus, non quod expectemus aliam eius revolutionem in posterum, ut in unaquaque die et
TRATTATO TERZO- SEZIONE SESTA 297

[131] Per esempio: nelle lunghezze l'uno è un palmo (sibr) 220 e nelle grandez-
ze221 un palmo per un palmo; nei solidi 222 è un palmo per un palmo per un
palmo e nei movimenti un movimento misurabi1e e conoscibile. Ora, un movi-
mento che sia in questo modo e sia comune a tutti non si trova se non fra i
movimenti determinati per natura e, propriamente, fra quelli invariabili e che
anzi hanno [sempre] identica durata, in modo da permanere gli stessi per ogni
misurazione e, ancor più propriamente, fra quelli che sono una minima misura
di movimento. E la misura minima nel movimento è quella più piccola rispetto
al tempo ed è il velocissimo moto celeste, la cui durata (qadr) è fissata esatta-
mente perché la rivoluzione non la eccede né diminuisce; la quantità nota della
sua breve misura, dovuta alla velocità del ritorno ('awd) 223 , non è qualcosa di
cui ci si debba aspettare che in un certo tempo si rinnovi, anzi, ogni rivoluzio-
ne si completa nel giro di un giorno e di una notte, è tale da [tornare] ad essere
con facilità 224 , da essere rinnovata225 ed essere divisa in parti con i movimenti
delle ore. E così il movimento che si compie in un'ora è, per esempio, l'unità
di misura dei movimenti, e analogamente il tempo da essa espresso è l'unità di
misura dei tempi. Per quanto riguarda i movimenti si potrebbe supporre anche
un movimento "uno" in relazione alle distanze 226 , sennonché non se ne fa uso
e227 non trova posto nella prima supposizione 228 .
Quanto ai pesi, supponiamo [come unità] anche il peso di un dirham e
anche di un diniir2 29 ; e per quanto riguarda gli intervalli della musica, il rila-
sciamento230 della nota, che è un quarto di tono, o altri simili fra gli intervalli
brevi 231 ; e fra i suoni vocali 232 , la lettera vocalizzata breve o la lettera quie-
scente o una sillaba breve.

nocte sequentibus compleatur eius una revolutio, propinqua ad esse adinventioni et termina-
tioni, nec etiam terminationem quae fit motibus horarum, ad hoc ut motus unius horae, verbi
gratia, sit mensura motuum, ut ideo tempus illius sit mensura temporum. Iam autem accidit
motibus ut ex eis aliquis dicatur motus unus secundum mensuram cursus, sed hoc non est
hic recipiendum, quia non est de his quae primo posuimus. In ponderosis autem ponunt
quod eius ponderositas est veluti unius dragmae aut unius denarii una, et in intervallis musi-
cae ponunt a/ha quod interpretatur quarta toni ve! [147] aliquid aliud quod est minoris inter-
valli, et in vocibus littera vocalis brevis vellittera muta ve! syllaba brevis.
298 [132]
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Unumquodque autem istorum positorum non evenit necessario, sed ponitur ad placitum;
possibile est enim poni unum in unoquoque praedictorum sive in maiore sive in minore
quam posuerant; et cum hoc, cum positum fuerit unum in huìusmodi rebus, non oportebit
tamen ut cum eo mensurentur quaecumque sunt eiusdem generis; potest enim esse ut alte-
rum sit incommunicans ei quod per ipsum primum mensuravimus. Est enim linea incommu-
nicans lineae, et est superficies incommunicans superficiei, et est corpus incommunicans
corpori. Sicut autem linea et superficies et corpus sunt incomrnunicantia lineae, superficiei
et corpori, sic et motus incommunicat motui. Et postquam ita est, tunc tempus et gravitas
etiam incommunicant tempori et gravitati, et potest esse ut quicquid non communicat isti
communicet alii. Et hoc totum nosti ex disciplinalibus. Cum al!tem hoc ita sit, tunc unitates
TRATTATO TERZO- SEZIONE SESTA 299

[132] Non è necessario che ognuna di queste [misure] poste per convenzio-
ne esista realmente, d'obbligo, e anzi può esistere [anche solo] per ipotesi 233 .
Ed è [anche] possibile supporre, in ogni categoria, che l'uno sia qualcosa
di meno o di più di quel che si è supposto; nonostante ciò, se fra queste cose
vi è qualcosa che è supposto tale, non necessariamente con questo [qualcosa]
si misurerà tutto quanto rientri nello stesso suo genere. È possibile, infatti, che
vi sia qualcos' altro 234 che sia incommensurabile235 rispetto a tutto ciò che in
un primo [momento] è stato misurato [dall'unità di misura]; vi è, infatti, una
linea incommensurabile rispetto a un'altra linea, una superficie incommensu-
rabile rispetto a un'altra superficie, un corpo incommensurabile rispetto a un
altro corpo. E se la linea, la superficie e il corpo sono incommensurabili
rispetto a un corpo, a una superficie e a una linea, ecco che analogamente il
movimento potrà essere incommensurabile rispetto a un altro movimento. Ma
se è così, allora anche il tempo e il peso saranno incommensurabili rispetto a
un altro tempo e a un altro peso e per questa certa [cosa] che, rispetto a
quest'altra, è incommensurabile potrà esservi [anche] un'altra cosa rispetto ad
essa incommensurabile, diversa da quella [prima] 236 • Tutto ciò lo hai già
appreso nella disciplina della matematica; ma se è così, allora le unità che si
suppongono per ogni genere di queste [cose] saranno 237 molte e potranno per-
sino essere infinite. E se vi è un uno 238 che può risultare conveniente per
misurare una certa cosa, vi potranno essere 239 cose, magari infinite, che non
ne saranno mìsurate 240 •
Ora, poiché con la misura si conosce ciò che è misurato, la scienza e i sensi
sono state annoverate tra le misure delle cose perché per mezzo di essi si
conoscono [le cose] e qualcuno ha sostenuto che "l'uomo misura ogni cosa"
perché gli appartengono la scienza e i sensi, con i quali coglie ogni cosa241 ; ma
conviene che la scienza e i sensi siano 242 misurate con il conoscibile e il sensi-
bile e che questo ne sia un fondamento; anche se può accadere che la misura
sia misurata da ciò che si misura.

quae ponuntur in unoquoque istorum generum sunt multae et usque in infinitum. Cum igitur
fuerit hic unum aptum ad mensurandum eo aliquid, tamen possunt esse multa sine numeto
quae non mensurabuntur per illud; postquam autem [148] per mensuram cognoscitur mensu-
ratum apud scientiam et sensum, tunc per mensuras cognoscuntur res ipsae.
Quidam autem dixerunt quod homo mensurat unamquamque rem per hoc quod ip~e
habet sensum et scientiam et per eas apprehendit quicquid est, et ideo fortasse sensus et
scientia sunt mensurae sciti et mensurati, et haec sunt radix illi. Et contingit etiam quod
mensura potest mensurari per mensuratum, et hoc debes imaginare in dispositione oppositio-
nis quae est inter unitatem et multitudinem.
300 [133]

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Dubitatur autem de dispositione magni et parvi, quomodo sibi opponuntur et quomodo


opponatur eis aequalitas; aequale enim oppositum est unicuique eorum, quia aequale et
magnum non possunt esse nisi inaequalia, et similiter aequale et parvum. Si autem hoc quod
magnum et parvum opponuntur sibi, de relatione est, tunc hoc etiam erit magnum compara-
tione illius quod est parvum, et aequale non referetur ad aliquod illorum, sed ad id quod est
sibi aequale; et ideo putatur per hoc quod, inquantum est magnum et parvum, non oportet ut
sit inter ea aequale: hoc enim nosti ex aliis locis.
TRATTATO TERZO- SEZIONE SESTA 301

[133] Dunque è così che ci si deve rappresentare lo stato dell'opposizione


tra l'unità e la molteplicità; tuttavia, [anche nel comprendere] come il più
grande e il più piccolo si oppongano l'uno all'altro, e come essi si oppongano
all'eguaglianza, si potrà trovare difficoltà. L'eguale si oppone, infatti, a cia-
scuno dei due, perché come l'eguale e il più grande non possono essere che
contrastanti l'uno rispetto all'altro, così l'eguale e il più piccolo. D'altra parte,
se il più grande e il più piccolo si oppongono l'uno all'altro è perché fanno
parte di ciò che è relativo - perché il primo è più grande in rapporto a quel che
è più piccolo - mentre l'eguale non è relazionabile a nessuno dei due, ma a
quel che è eguale ad esso; inoltre, bisogna ritenere che quando vi sono un più
grande e un più piccolo, fra i due non debba necessariamente esserci qualcosa
di eguale. E questo lo hai già appreso in un altro luogo 243 •
Ora, se le cose stanno così, conviene che l'opposizione più degna per
l'eguale non sia nei confronti del più grande e del più piccolo, ma nei confron-
ti del diseguale, e cioè di ciò che ne è la privazione in quanto 244 in esso
dovrebbe per sé esservi l'eguaglianza: la privazione [dell'eguale] non riguarda
il punto, l'unità, il colore, l'intelletto e [cioè] cose245 non misurabili, ma cose
misurabili e quantificabili. L'eguale, dunque, si oppone solo a [ciò che ne è] la
privazione e cioè all'ineguaglianza, però l'ineguaglianza si accompagna
necessariamente a questi due, intendo dire al più grande e al più piccolo, come
fa il genere. Non intendo [dire] che essa sia un genere, ma che essa si accom-
pagna necessariamente a ciascuno dei due. Infatti, uno dei due è grande - e la
grandezza è un'intenzione (ma 'na) d'esistenza cui si accompagna necessaria-
mente questa privazione [dell'eguaglianza]- e l'altro è piccolo, e la piccolez-
za, sotto questo aspetto, si dà in questo stesso modo.

[149] Postquam autem res ita est, tunc potest dici quod oppositio aequalis prima non est
aù magnum et parvum, sed ad inaequale quod est eius privatio in re in cuius natura est esse
aequalitatem: non enim est eius privatio in puncto vel unitate vel intelligentia vel colore vel
in aliis rebus in quibus non est mensura, sed in rebus in quibus est mensurabilitas et quanti-
las. Igitur aequale non est oppositum nisi suae privationi quae est inaequalitas. Sed inaequa-
litas comitatur illa duo, scilicet magnum et parvum, sicut genus; non autem intelligo quod ~it
genus, sed est intentio quae comitatur unumquodque illorum duorum: unum autem illorum
est magnum; sed magnitudo est intentio quam comitatur haec privatio, alterum vero est par-
vum, et parvitas est illius modi ad hoc.
302 l'l" t [134]

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VII
CAPITULUM QUOD QUALITATES SUNT ACCIPENTES

Loquamur igitur nunc de qualitatibus. Sed qualitates sensibiles et corporales non est
dubium esse: iam enim locuti sumus de esse earum in aliis locis et destruximus opiniones
eorum qui tenuerunt eas non esse. Nunc autem non dubitatur de eis nisi an sint accidentes
[150] an non. Quibusdam enim visum fuit quod ipsae sint substantiae quae commiscentur
corporibus et diffunduntur per ea. Color itaque per se substantia est, et ca! or, et similiter
unumquodque aliorum. Igitur apud eos qualitates sunt huius dignitatis, nec sufficit eis quod
haec habent esse vicissim et removentur, re signata existente in suo esse. Ipsi enim dicunt
303

[SEZIONE SETTIMA)

IN CUI SI AFFERMA CHE LE QUALITÀ SONO ACCIDENTI

Parliamo246 ora delle qualità. Riguardo all'esistenza delle qualità sensibili


e corporee non sussiste alcun dubbio; del resto abbiamo già trattato della loro
esistenza in altri luoghi, contraddicendo le pretestuose obiezioni di chi si osti-
na [a negarne l'esistenza]247 • Il dubbio sussiste tuttavia a proposito di una que-
stione [che le riguarda]: se esse siano o non siano accidenti.
Vi sono, infatti, alcuni che ritengono che [le qualità] siano sostanze che si
mescolano ai corpi e che si infiltrano in essi: il colore sarebbe cioè in sé una
sostanza e analogamente il calore, e ognuna di queste altre 248 [qualità] secondo
costoro, avrebbe tale dignità di [sostanza]. Non li convince [del contrario] il
fatto che queste cose talvolta esistono e tal altra non esistono, mentre la cosa
che è designabile ostensivamente è sussistente ed esistente. Essi, infatti,
sostengono che quella [e cioè la qualità] non è che non esista, ma che piuttosto
prenda a separarsi poco a poco [dalla cosa], come l'acqua in cui si immerga un
vestito: dopo un'ora non vi è più acqua, mentre il vestito esiste nello stesso
stato [in cui era prima], e non per questo l'acqua viene ad essere un accidente.
Anzi, l'acqua è una sostanza cui appartiene di separarsi da un'altra sostanza
con cui è stata in contatto; e [l'acqua) può separarsi persino in modo che nel
suo separarsi non si avvertano le [sue singole] parti che si separano; perché
esse si sono separate, essendo più piccole di quel che i sensi possono percepire
come separato e distinto.
Altri invece dicono che queste [qualità] possono essere latenti.
Conviene dunque porre bene in evidenza che quanto costoro sostengono è
vano. Perciò - diremo - non si sfugge a una delle due possibilità: se queste
[qualità] sono sostanze, o sono sostanze che sono corpi, oppure sono [135]
sostanze che non sono corpi 249 •

quod non annihilantur istae res, sed paulatim separantur, sicut aqua qua humectatur pannus,
et paulo post non invenitur aqua in panno, ipso habente esse secundum modum suum; et
tarnen ob hoc non fit aqua accidens, quia aqua substantia est quae separatur ab alia substan-
tia cui coniuncta fuit; fortasse enim separatur separatione tali quae non sentitur in ea, propter
partes quae separantur ab ea adeo minimae quod non potest eas sensus apprehendere separa-
tione separante. Dicunt autem alii quod occultantur; et oportet ut ostendamus esse falsum
quod dixerunt.
Dico igitur quod, si hae sunt substantiae, necessario vel sunt substantiae quae sunt cor-
pora, vel sunt substantiae quae non sunt corpora. Si autem sunt substantiae non corporeae,
304 [135]

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J.i;.:, ~~ ~ ~ f"':" ,$ iJ§.• .:>l..!.\!.) 0- ~ ~~ ' <4:11..:...1 4.J
. ~ .s..ill lj,o. ~ ' w; •A~ u- 4:'1

tunc ve! sunt huiusmodi quod potest ex eis componi corpus, et hoc est absurdum, quoniam
ex eo quod non partitur in spatia corporea non potest corpus componi; ve! non potest ex eis
corpus componi, sed earum esse non est nisi propter coniunctionem sui cum corporibus et
propter infusionem sui in illa. Primum autem de hoc est quod hae substantiae habebunt
situm; sed omnis substantia habens situm divisibilis est, [151] et hoc iam notum est tibi.
Secundum est quod unaquaeque harum substantiarum, necessario ex natura sua ve! potest
separari a corpore in quo est, ve! non potest. Si autem fuerit sic ut non possit separari, sed
habuerit suum esse in corporibus sic ut ipsa subiecta sint ei, eo quod non est in eis sicut pars
eius nec est separata, corporis autem quod designatum est per illam perfecta est substantiali-
tas per se, tunc non est nisi accidens, nec habet ipsa de substantialitate nisi nomen tantum. Si
TRATI ATO TERZO - SEZIONE SETTIMA 305

Ora, se queste [qualità] sono sostanze non corporee, allora: o sono tali che
a partire da esse si possano comporre dei corpi - e questo è impossibile, infatti
da quel che [non] si divide in dimensioni corporee, non è possibile che si com-
ponga un corpo 250 ; oppure non è possibile [che da esse si componga un
corpo]: l'esistenza [di quella sostanza che sarebbe qualità] si darebbe allora
solo 251 nel senso che si accompagnerebbe ai corpi o si infiltrerebbe in essi 252 •
Ma questa [ipotesi è confutata]: in primo luogo, perché così queste sostanze
avrebbero una posizione, e ogni sostanza dotata di posizione è divisibile; que-
sto è già evidente. In secondo luogo, perché non si sfuggirebbe a una delle due
possibilità: o ognuna di queste sostanze potrebbe esistere per sé separata dal
corpo in cui è, oppure no. Se non potesse esistere separata ed esistesse nei
corpi come se questi ne fossero dei soggetti, allora [queste sostanze] non
sarebbero altro che accidenti e della sostanzialità avrebbero solo il nome; esse,
infatti, non sarebbero nel [corpo] come parti né se ne potrebbero separare253 e
il corpo da esse qualificato sarebbe tale da trovare in se stesso la propria perfe-
zione. Se, invece, [tali sostanze]254 si separassero dai loro corpi, allora: o
sarebbero tali da separarsi per trasferirsi da un corpo all'altro, senza avere
alcuna sussistenza astratta [dai corpi], oppure ad esse apparterrebbe di separar-
si, sussistendo astratte [dai corpi].
Ora, se fossero tali [da separarsi per trasferirsi da un corpo all'altro], ecco
che se, essendovi state, non esistessero in un dato corpo, ciò si avrebbe solo in
quanto si trasferirebbero 255 verso un altro [corpo]. Ma allora in un corpo la
bianchezza si dovrebbe corrompere sempre solo in quanto la sua stessa bian-
chezza si sarebbe trasferita in un corpo contiguo; altrimenti, essa dovrebbe
permanere astratta [dal corpo] per darsi poi in un corpo lontano, senza accom-
pagnarsi a nessun corpo per tutta la durata del percorso che coprirebbe la
distanza [tra i due corpi]. Ma la cosa non sta così.
Quanto alla latenza256 , ne abbiamo già trattato esaurientemente e ne abb-
biamo mostrato l'impossibilità. Inoltre 257 , a partire da ciò [che si è detto], ogni
corpo dovrebbe riscaldare un altro corpo in quanto a questo verrebbe
trasferito 258 un po' del proprio calore, così che questo [corpo], quello che
riscalda, dovrebbe di conseguenza raffreddarsi. [136] E d'altra parte, questa

autem possunt separari a suis corporibus, tunc separati o ve! talis erit quod per eam moventur
de hoc corpore ad aliud corpus, eo quod non possunt habere existentiam per se, vel separatio
talis erit quod poterunt existere per se. Si autem sic fuerint quod hoc quod non sunt in hoc
corpore ideo contingit quia motae sunt ad aliud corpus, sequetur ex hoc quod a quocumque
corpore removetur sua albedo, ve! movebitur ad aliud corpus contingens illud, vel remanebit
per se exspoliata quousque perveniat ad corpus remotum, interim ipsa manens non coniunc-
ta alicui corpori in mora peragendi spatium. Et sequetur etiam ex hoc quod, cum unum cor-
pus calefacit aliud corpus, transferat calorem a se in illud; unde infrigidabitur quod calefa-
cìebat aliud. Deinde haec species translationis non aufert ei accidentalitatem suam, eo quod
306 [136]

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multi ex hominibus concesserunt hanc translationem fieri in ipsis accidentibus, scilicet [152]
translationem in partes subiecti et translationem de subiecto in subiectum, quia non est non
accidens nisi habeat existere non in subiecto. Si autem id quod est existens in subiecto con-
sideratur posse transferri ad aliud subiectum, sic ut non exspolietur ab ilio, profecto haec
consìderatìo non est nisi post exìstentìam in subìecto.
Sed hoc non potest esse ullo modo, nec potest esse quin id quod existit in aliquo subiec-
to pendeat essentia eius singulariter ab illo subiecto < ... >; unde constat quod non potest
remanere eius singularitas nisi in ilio subiecto singulari. Si autem non fuerit suum esse in
ilio subiecto, tunc non egebit eo nisi ob aliquam causam quae non est constituens ipsum esse
TRATTATO TERZO- SEZIONE SETTIMA 307

specie di trasferimento non vanificherebbe l'accidentalità [della qualità]2 59 .


Infatti, molti ammettono questo trasferimento - intendo dire il trasferimento
nelle varie parti 260 del soggetto e il trasferimento da un soggetto a un altro sog-
getto - lo ammettono per gli stessi accidenti. [La qualità] non sarebbe un acci-
dente solo se si riconoscesse valido che essa sussiste non in un soggetto, men-
tre esaminare se quel che sussiste in un soggetto possa trasferirsi in un altro
soggetto senza esistere astratto dai due è una cosa che può essere considerata
valida solo dopo [aver assunto] che [la cosa] sussiste nel soggetto 261 •
Inoltre, ciò non può affatto essere valido, perché non si sfugge a una delle
due possibilità: o l'essenza individuale di quel che esiste in un certo soggetto è
vincolata a quel dato soggetto individuale, oppure non vi è vincolata.
Ora, nel primo caso, è ben noto che il suo individuo non potrà permanere
se non in quel [medesimo] soggetto individuale 262 • Se, invece, a farlo esistere
in quel dato soggetto è solo una certa causa - la quale causa non lo fa sussiste-
re in quanto è questo dato individuo - ecco che tale causa potrebbe abbando-
narlo, come tutte le altre cause, e in tal modo esso per sussistere non avrebbe
bisogno proprio di quel dato soggetto. Tuttavia, il fatto che tale causa abban-
doni [il causato che fa sussistere in un dato soggetto] non è una ragione perché
esso abbia bisogno di un altro soggetto263 : a causare il fatto che una cosa non
abbia bisogno di un altro soggetto è, infatti, che non esista la causa che faceva
sì che ne avesse bisogno, così che in se stesso esso non ne abbia bisogno; ma
il fatto che quella data causa lo abbandoni non coincide con la stessa esistenza
di un'altra causa. A meno che, quella [prima] causa non possa scomparire che
per via dell'esistenza di questa [seconda] causa e non altrimenti. In quest'ulti-
mo caso, infatti, se questa causa venisse ad essere, sarebbe perché quell'altra è
scomparsa: il bisogno del primo soggetto si sarebbe già separato dalla cosa264 ,
che avrebbe bisogno dell'altro soggetto per due ragioni: in primo luogo, per la
scomparsa [137] della prima causa e, in secondo luogo, per l'esistenza della

inquantum est ipsum individuum, et ideo possibile est ipsam causam removeri ab eo et cete-
ras causas, sic ut ad existentiam suam non egeat subiecto ilio. Remotio enim illius causae
non est causa sibi egendi ullo subiecto, quoniam causa quae in aliquo non eget subiecto est
privatio causae inquantum egebat eo. et ipsum in se non egebat. Unde remotio illius causae
non est esse aliam causam, nisi fuerit inconveniens non removeri causam illam [153] nisi
propter esse illius alius causae tantum, et non propter aliquid aliud. Cum igitur evenerit
causa ista, removebitur illa causa. Igitur res sic erit quod parum egebit subiecto primo, sed
egebit alio subiecto duabus de causis, quarum prima est propter remotionem primae causae,
308 II"V [137]

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secunda est propter esse secundae causae. Universae autem istae causae sunt res extra natu·
ram illius accidentis, quod non eget illis ad hoc ut sit certitudo suae essentiae, scilicet ut sit
color ille, quia non eget illis nisi in appropriando se cum subiecto ad ipsum essendum colo-
rem. Si autem ad essendum hunc colorem fuerit ipsum idem su])iectum, tunc non egebit ali-
quo quod faciat illud egere subiecto. Cuius enim esse per se sufficiens est existere, ut non
egeat subiecto, non accidet ei aliquid propter quod egeat subiecto nisi propter conversionem
sui. Si autem non fuerit idem ipsum subiectum, sed pendet ex subiecto, tunc ipsum subiec-
tum appropriatum est ei, eo quod deductum est ad id quod est appropriatum per se: appro-
priatum enim non aptatur ad quodlibet infinìtorum in potentia quod non contingit quin diffe-
rat ab altero in suo iudicio.
TRATIATO TERZO- SEZIONE SETTIMA 309

seconda causa. Tutte queste cause sarebbero però cose (umìir) esterne rispetto
alla natura [della cosa] e sarebbero cose delle quali essa non avrebbe bisogno
per realizzare 265 la propria essenza ed esistere, per esempio, come quel dato
colore: [di queste cause] essa avrebbe bisogno solo per divenire propria di un
soggetto. Infatti, se il suo essere colore e il suo essere questo colore determi-
nato fanno sì che [la cosa, ossia la qualità] faccia a meno del soggetto, non vi è
nulla che la porti ad avere bisogno266 del soggetto: a ciò che, per esistere, fa a
meno del soggetto, non accade quel che gliene fa avere bisogno, se non per
alterazione della sua identità. Se poi [il fatto di essere un colore e di essere un
colore determinato] non le 267 facessero fare a meno [del soggetto], ma la vin-
colassero a un soggetto, tale soggetto sarebbe qualcosa di determinato specifi-
camente per [la qualità], perché lo si esigerebbe in sé [come] qualcosa di
determinato 268 : quel che è determinato non esige qualunque cosa capiti tra
quel che è in potenza infinito e nel cui statuto una parte non differisca
dall'altra. Se poi ci si chiedesse come si possa esigere proprio quel determina-
to uno269 , si direbbe che [la cosa] esige ciò a cui è vincolata in primo luogo la
legittimità della propria esistenza e che, per ciò, è per essa specificamente
determinato; [ma se è così], ecco che questo colore, in quanto è questo colore,
o fa a meno del soggetto oppure è limitato 270 a un dato soggetto.
Quanto all'alterazione dell'identità [della cosa], averla menzionata com-
porta un impegno che dobbiamo rispettare: ora, se con "alterazione
dell'identità [della cosa]" si intende che questa data [cosa] si annienta, men-
tre un'altra esiste, senza che niente della prima cosa (say ') entri nella secon-
da271, allora la prima si è annientata mentre si attua I' altra e non è che la
prima [cosa] si sia trasferita nella seconda. Con "alterazione dell'identità
[della cosa]" noi intendiamo, invece, soltanto che ciò che è qualificato con la
prima [qualità] venga ad essere qualificato con la seconda e questo in quanto
qualcosa della prima cosa permane nella seconda, che infatti [138] è com-

[154] Si quis autem dixerit: "quomodo aptabitur uni tantum assignato?", dicetur ei quod
adaptatur ei a quo pendet secundum certìtudìnem sui esse princìpalìter; ìgìtur appropriatur ei
per hoc. Color igitur iste inquantum est color iste ve! non est egens subiecto, ve! est egens
alìquo proprio subìecto. Conversionem autem suae identitatis, si tenere voluerimus, incide-
mus in laqueum a quo vix expediri poterimus. De conversione enim identitatis non intelligi-
mus ut hoc annihiletur et illud sit, sine introitu alicuius de primo in secundum. Si enim hoc
esset, eveniret tunc quod primum annihilaretur et alterum haberet esse, et non esset primum
quod mutatum est ad secundum, quia non intelligimus de conversione nisi quia id quod fue-
rat subiectum primo, ìam assignatur secundo; de primo enìm remanet aliquid in secundo;
igitur compositum est ex materia et ex alio quod est in ea. Unde, si hoc assignaretur colorita-
310 ,,.,.. [138]

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ti, profecto in coloritate esset aliquid quod destrueretur et aliquid quod remaneret; et quod
destrueretur esset illud per quod aliquid fit color, immo est ipsa coloritas quae est forma
materialis ve! accidens; et noster sermo est de ipsis.
Redeamus igitur et dicamus quod, si possibìle est separari al:l his substantiis, ita ut albe-
do ve! aliquid huiusmodi existat per seipsum, necessario tunc fiet ei assìgnatio, et albedo
cuius natura est ut appre-[155]hendatur erit sic quod non refugiet apprehendi propter ulti-
mam parvitatem sui, et omnino id quod intelligitur erit albedo tantum. Si autem fuerit sic,
sequetur tunc ex hoc quod inanitas erit, ita quod erit in ea desigmtta, et non est in corporibus,
et sequetur etiam quod habebit aliquem situm et mensurationem aliquam; igitur habebit in se
mensuram sensibilem, nìsi id quod est minimum eius. Nos enìm non imaginamus albedinem
TRA TIATO TERZO- SEZIONE SETIIMA 311

posta da una materia e da qualcosa che è in essa. Così, se [la cosa] - come
nella questione [che ci si è proposta] - fosse, per esempio, l'attributo della
coloreità, nella coloreità vi sarebbe qualcosa che svanisce e qualcosa che per-
mane: quel che svanisce sarebbe ciò in virtù di cui la cosa verrebbe ad essere
un certo colore; anzi, essa sarebbe la coloreità e la forma materiale o l'acci-
dente. Ed è di queste [cose] che noi stiamo parlando.
Torniamo [sull'argomento] e diciamo: se [la qualità] potesse separarsi da
queste sostanze e sussistere per sé, per esempio come "bianco" o come qual-
cos'altro, allora non si sfuggirebbe ad [alcune possibilità; per esempio potreb-
be] esservi la possibilità di designare tale [qualità] e allora il bianco- a meno
che non si fosse incapaci di percepirlo a causa della sua eccessiva piccolezza
e272 lo si conoscesse [solo] grazie all'insieme 273 - sarebbe di per sé percepibi-
le. Se fosse così, tuttavia, [nei corpi] dovrebbe conseguentemente esistere uno
[spazio] vuoto affinché in esso, e non nei corpi, si trovi quel qualcosa di desi-
gnabile e [il bianco] dovrebbe conseguentemente avere una certa posizione e
una certa misurazione 274 , avendo quindi in sé un'estensione di cui solo poco
sarebbe percepibile dai sensi 275 . Noi, infatti, non abbiamo immaginazione di
un bianco che non abbia né posizione né estensione e a fortiori non potremmo
vederlo. Ma, avendo esso un'estensione, una posizione e qualcosa in più, che
poi sarebbe la disposizione alla bianchezza, esso sarebbe un corpo bianco e
non semplicemente il bianco. Noi, infatti, intendiamo con il "bianco" proprio
questa disposizione che si aggiunge all'estensione e al volume [del corpo].
Se invece [la qualità del bianco], non permanendo su quell'insieme grazie
al quale viene conosciuto il bianco, abbandonasse questa forma e venisse ad
essere un'altra cosa, spirituale276 , il bianco finirebbe per avere, per esempio,
un soggetto nel quale la bianchezza - che è nel modo che conosciamo - si tro-
verebbe in modo accidentale 277 : [un soggetto] al quale un'altra volta [potreb-
be} accadere di venire ad essere [toccato} da un'altra forma spirituale, nel qual
caso ciò che avremmo conosciuto 278 in un primo momento come bianco si
sarebbe corrotto e la sua forma sarebbe scomparsa. Ma quel che è separato ed
intellettuale - lo abbiamo già indicato precedentemente - non può trasferirsi,
come [fa nell'ipotesi] questa cosa, [divenendo} nuovamente qualcosa di dotato
di posizione e di mescolato ai corpi.

sine situ; igitur non habet mensuram, nedum possit videri. Si enim haberet mensuram et
situm, et insuper dispositionem albedinis, esset tunc corpus album, non albedo tantum. Nos
enim non intelligimus de albedine nisi hanc dispositionem quae est insuper praeter mensu-
ram et spatium. Si enim non remanet albedo cum mensura quae notatur de ea, sed transmu-
tatur ab hac forma et fit res spiritalis, tunc evenit quod albedo, verbi gratia egebit subiecto in
quo subsistat secundum praedictum modum, et accidet ei iterum ut iterum fiat alia forma
spiritalis. Erit igitur quia id quod primum notavimus albedinem destruetur et removebitur
eius forma. De sepa-[156]rato autem intelligibili, iam innuimus in praedictis quod non pote-
st moveri res huiusmodi ut iterum habeat situm et commisceatur corporibus.
312 [139]

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Si quis autem posuerit quod albedo est in se aliquid habens mensuram, tunc habebit duo
esse, esse scilicet quod est albedo, et esse quod est habens men~uram. Si autem albedo eius
fuerit alia numero a mensura corporis in quo est, tunc, cum fuerit in corporibus et in aliis
quae sunt in eis, spatium intrabit in spatium. Sed si ipsa fuerit ipsum corpus per se, tunc
ratio redibit ad id quod albedo est corpus et habet albedinem, et ita albedo est in albo corpo·
re, inseparabiliter, nec albedo est coniunctio illius corporis et qualitatis, sed aliquid in ilio
corpore, eo quod definitio albedinis et quidditas eius, non est quidditas longi et lati et pro·
fundi, sed quidditas longi et lati et profundi eri t etiam dulcedinis secundum hanc sententiam.
Igitur albedo erit etiam coniuncta dulcedini et dicetur de ea, et .tJaec est intentio nostrae dic·
TRATTATO TERZO- SEZIONE SETTIMA 313

[ 139] Se poi qualcuno facesse del bianco una cosa dotata in sé di estensio--
ne, ecco che [al bianco] apparterrebbero due esistenze: un'esistenza in quanto
"bianco" e un'esistenza in quanto "estensione". E se la sua estensione fosse
numericamente diversa da quella del corpo in cui esso andrebbe numerica-
mente a trovarsi, allora- poiché esso [in tal caso] sarebbe interno ai corpi e
penetrerebbe in essi- una dimensione sarebbe entrata in un'altra dimensione.
Se poi [il bianco] fosse esso stesso il corpo, distaccato, la questione tornerebbe
da capo: quella data cosa in cui dovrebbe consistere il "bianco" sarebbe un
corpo cui apparterrebbe la sua bianchezza; la bianchezza, cioè, si troverebbe
in quel corpo solo che non se [ne] separerebbe e il bianco non sarebbe costitui--
to dall'insieme di quel dato corpo e della qualità, ma sarebbe qualcosa in quel
dato corpo; infatti, la definizione e la quiddità del bianco non sono 279 la quid-
dità del lungo, del largo e del profondo. Anzi, secondo questa opinione, ht
quiddità del lungo, del largo e del profondo [potrebbe] attribuirsi persino al
calore! In tal senso, il bianco, essendo attribuito a una cosa, si accompagne-·
rebbe [ad essa]. Ma è questo quel che noi intendiamo quando diciamo che la
qualificazione è in quel che è qualificato e che con ciò essa non è tale da sepa-·
rarsene e non è una parte dì quella data cosa che è lunga e larga: ìl bianco e il
caldo sono accidenti, solo che sono conseguenti necessari.
Resterebbe [da affrontare] il discorso che riguarda il fatto che per sua natu-
ra [la qualità] si separerebbe: ma si è già reso evidente che le qualità che sono
sensibili sono accidenti, e questo è un principio della fisica; quanto alle prepa-
razioni, la questione (amr) a loro riguardo è ancor più chiara e quanto a quelle
che sono vincolate all'anima e alle cose dotate di anima, si è già reso evidente
nella Fisica- quando abbiamo trattato degli stati dell'anima280 - che esse sono
accidenti che sussistono nei corpi.

tionis de assignatione qua fit designatum, et cum hoc etiam erit inseparabilis ab ea, nec erit
pars huius quod erit Iongum [157] et latum; igitur albedo et calor sunt accidens, sed noJl
comitans inseparabilis.
Restat ergo dicere quod de natura eius est ut separetur etiam. Igitur iam manifestum est
quod qualitates sensibiles accidentia sunt: et hoc est unum de principiis naturalium. Sed de
aptitudinibus hoc manifestius est. Ostensum est enim in naturalibus quod ea quae pendent de
anima et de habentibus animas, accidentia sunt quae constituuntur in corporibus; et hoc fuit
ostensum cum loquebamur de dispositionibus animae.
314 u-\:11 J.....&ll - 4:1l:ll -:..1\.il.\ [140]

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VIII
CAPJTULUM DE SCIENTIA ET QUOD EST ACCJDENS

De scientia quaestio est. Potest enim aliquis dicere quod scientia est acquisita ex formis
eorum quae sunt exspoliatis a suis materiis, quae sunt formae substantiarum et accidentium.
Sed si formae accidentium sunt accidentia, tunc formae substantiarum quomodo erunt acci-
dentia? Substantia enim sibi ipsi substantia est; igitur quidditas eius substantia est; itaque
quidditas eius non est in subiecto ullo modo, sed eìus quìdditas stabilis est, sive accipìatur
secundum quod apprehenditur ab intellectu, si ve accipiatur secundum esse extrinsecum.
315

[SEZIONE OTIAVA]

SULLA SCIENZA E SUL SUO ESSERE UN ACCIDENTE

Un'obiezione si può muovere a proposito della scienza: qualcuno, infatti,


potrebbe dire che la scienza è quel che si acquisisce a partire dalle forme delle
cose esistenti, astratte dalle loro materie, le quali sono forme di sostanze e di
accidenti; ma se le forme di accidenti sono accidenti, le forme delle sostanze
come [possono] invece essere accidenti? La sostanza [potrebbe dire] è per sé
una sostanza e la sua quiddità è di essere una sostanza che non è affatto in un
soggetto e tale sua quiddità si deve conservare comunque, sia essa rapportata
alla percezione che ne ha l'intelletto oppure all'esistenza esterna.
Ora - diremo - la quiddità della sostanza è una sostanza nel senso che,
negli individui concreti 281 , essa è ciò che esiste non in un soggetto e questo
attributo va riconosciuto anche alla quiddità delle sostanze intellette la quale,
infatti, è una quiddità cui di per sé, negli individui concreti, appartiene di esse-
re esistente non in un soggetto: questa quiddità è intelletta a partire da una
cosa la cui esistenza negli individui concreti è di essere non in un soggetto.
Invece, il fatto che essa nell'intelletto esista in questo modo non rientra nella
sua definizione in quanto sostanza; la definizione della sostanza, cioè, non è
che essa "nell'intelletto è non in un soggetto"; la sua definizione è che, piutto-
sto, "sia o non sia essa nell'intelletto, la sua esistenza negli individui concreti
non è in un soggetto".
Se poi si dicesse che anche l'intelletto è [uno] degli individui concreti, si
dirà che con "individuo concreto" si vuoi dire ciò in cui, una volta che vi si
attui la sostanza, emanano le azioni e gli statuti che le appartengono.
Del resto, analogamente, la quiddità del movimento è di essere la perfezio-
ne [141] di qualcosa che è in potenza282 , ma nell'intelletto non c'è alcun movi-

[158] Ad quod dico quod quidditas substantiae substantia est sic quod in signatis est non
ut in subiecto. Et haec assignatio est quìdditatis substantiarum intellectarum, quoniam quid-
ditas est cuius natura est esse in signatis non ut in subiecto, scilicet quoniam haec quidditas
intelligitur res cuius esse est in signatis non ut in subiecto. Esse vero eius in intellectu secun-
dum hanc assignationem, non est in definitione eius secundum quod ipsa est substantia
<... >. Quidditas enim motus est quod est perfectio eius quod est in potentia. In intellectu
316 Hl [141]
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autem non est motus secundum hanc designationem, sic ut in intellectu sit perfectio aliqua
in potentia huiusmodi, ita ut quidditas motus sit movens intellectum. Sed intentio suae quid-
ditatis secundum hanc formam est quod ipsa est quidditas quae in singularibus est perfectio
in potentia. Cum igitur intelligitur quod haec quidditas est etiam secundum hanc assignatio-
nem, tunc est in intellectu quidditas quae in singularibus est perfectio eius quod est in poten-
tia; esse igitur eius in singularibus non differt a suo esse in inte!lectu. In utroque enim [159]
esset secundum idem iudicium, quia in utroque esset quidditas quae in singularibus est per-
fectio eius quod est in potentia. Si enim dixerimus quod quidditas motus est quae est perfec-
tio eius quod est in potentia, verbi gratia in ubi, ut omne quod est in ubi, postea, cum fuerit
TRATTATO TERZO- SEZIONE OTTAVA 317

mento che sia qualificabile in questo modo, come se nell'intelletto potesse


esservi la perfezione di qualcosa che è in potenza in questo senso e in modo
tale che la quiddità [del moto] finisse per essere [un principio] motore
dell'intelletto! Il fatto che la quiddità [del moto] sia in questo modo significa
che essa è una quiddità che negli individui concreti è perfezione di qualcosa
che è in potenza e che, una volta intelletta, questa quiddità sarà ancora qualifi-
cabile in questo modo: essa, infatti, nell'intelletto è una quiddità che negli
individui concreti è la perfezione di qualcosa che è in potenza. Il suo essere
negli individui concreti e il suo essere nell'intelletto non differiscono, perché
in ambedue i [casi] essa è secondo uno [stesso] statuto: in ambedue [i casi]
essa è una quiddità che esiste negli individui concreti come la perfezione di
qualcosa che è in potenza. D'altronde, se avessimo detto che il movimento è
una quiddità che, per esempio riguardo [alla categoria] del "dove", è perfezio-
ne di qualcosa che è in potenza rispetto a ogni cosa in cui esiste, ma che poi,
nell'anima, non è così, la realtà [del moto] sarebbe stata differente. Questa
[affermazione] è come quella di chi dice che la realtà della pietra del magnete
è di essere una pietra che attira il ferro: se, trovandosi ad accompagnare la cor-
poreità del palmo ldella mano) di un uomo, lil magnete) non attira lla mano)
mentre, trovandosi ad accompagnare la corporeità di un [pezzo] di ferro, lo
attira, non si deve dire che [il magnete] nel palmo della mano e nel ferro è
dalla realtà differente ma che, in ognuno dei due [casi], esso è qualificabile in
uno stesso modo: esso, cioè, è una pietra che per propria natura attira il ferro;
infatti, quando è nel palmo [della mano] è ancora in questo modo e quando è
presso il ferro è ancora qualificabile in questo modo. Tale, dunque, è lo stato
delle quiddità delle cose nell'intelletto; e anche il movimento nell'intelletto è
così qualificabile: non è che, poiché nell'intelletto [la cosa] è in un soggetto,
venga meno che ad essere nell'intelletto è la283 quiddità di qualcosa che negli
individui concreti non è in un soggetto 284 •

in anima, quod certitudo eius varietur, hoc eri t sicut si aliquis diceret certitudinem magnetis
esse quod est lapis attrahens ferrum; tunc cum fuerit coniunctus corpori palmae hominis, et
non attraxerit ferrum, fueritque coniunctus corpori alicuius ferri et attraxerit illud, non tamen
dicetur ob hoc quod certitudo eius varietur cum palma et ferro, quoniam in unoquoque ilio-
rum est cum eadem assignatione, quae est quod est lapis cuius natura est attrahere ferrum.
Cum enim fuerit cum palma, erit etiam illius assignationis, et cum fuerit cum ferro erit etiam
non diversae assignationis; similiter est de quidditatibus rerum in intellectu, quia non, cum
fuerint in intellectu in subiecto, destruetur in intellectu eas esse non quidditatem aliquam in
singularibus non ut in subiecto.
318 u-\:JI J.,..tll- 4:11:11 ~I.Al.\ \t'l" [142]

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Si quis autem dixerit nobis: "iam dixistis quod substantia est id cuius quidditas non est
in subiecto omnino, et posuistis quidditatem eorum quae sciuntur in subiecto", respondebo
nos iam dixisse quod [160] non est ut in subiecto in singularibus omnino. Si autem dixerint:
"igitur iam posuistis quidditatem substantiae aliquando esse accidens, aliquando esse sub-
stantiam, quod iam prohibueratis", dicam nos siquidem prohibuisse quidditatem aliquam in
singularibus aliquando esse accidens, aliquando esse substantiam ita ut sit in singularibus
aliquo egens subiecto, et in eisdem non egens subiecto ullo modo, sed non prohibuimus
quod intellectum de illa quidditate intelligatur fieri accidens, scilicet cum est in anima non
sicut pars.
Unde potest aliquis dicere: "igitur quidditatis intelligentiae agentis et substantiarum
separatarum similiter est dispositio, videlicet ut id quod intelligitur de eis sit accidens, quod
autem intelligitur de eis non est diversum ab eis, quia ipsae per se intelliguntur". Ad quod
respondeo dicens non esse ita in re. Sensus enim nostrae dictionis quod ipsae per se intelli-
TRATTATO TERZO - SEZIONE OTTAVA 319

[142] E se [ci] venisse detto: "voi avete detto che la sostanza è qualcosa la
cui quiddità285 non è assolutamente 286 in un soggetto, ma la quiddità delle
[sostanze] che sono conosciute l'avete fatta essere in un soggetto" ecco, noi
risponderemmo che abbiamo già detto che [la sostanza] non è assolutamente
in un soggetto negli individi concreti. E se [ci] si dicesse: "avete fatto sì che la
quiddità della sostanza talvolta sia un accidente e talaltra una sostanza, mentre
questo lo avevate [dichiarato] impossibile", diremmo che noi, pur avendo
dichiarato impossibile che la quiddità di una cosa esista negli individui con-
creti una volta come accidente e una volta come sostanza - come se essa, negli
individi concreti, avesse bisogno di un certo soggetto, e poi sempre in essi non
avesse affatto bisogno di un soggetto -, non abbiamo dichiarato impossibile
che ciò che di tali quiddità è intelletto venga ad essere un accidente e sia287
cioè esistente nell'anima non come una parte.
Qualcuno poi potrebbe dire che, poiché anche lo stato della quiddità
dell'intelletto attivo e delle sostanze separate è tale e che perciò il loro intelli-
gibile288 è un accidente, dato che esse sono per se stesse intellette, il loro intel-
ligibile non differisce da esse!
Ma - diremo - le cose non stanno così. Infatti, ciò che intendiamo dicendo
che [le sostanze separate] sono per sé intellette è che esse hanno intellezione
di se stesse, anche se niente di diverso da esse ne ha intellezione e inoltre che
esse sono libere dalla materia e dai vincoli con essa per se stesse, non in virtù
di un'astrazione di cui l'intelletto avrebbe bisogno di incaricarsi.
Ma se invece avessimo detto che l'intelligibile tratto da esse è sotto ogni
aspetto esse stesse o qualcosa di simile ad esse, oppure avessimo detto che per
l'esistenza del loro intelligibile 289 non si ha bisogno di altro che del fatto che
la loro quiddità esista nell'anima, avremmo certo detto qualcosa di impossibi-
le. La loro essenza, infatti, è separata e non è essa stessa a divenire una forma
per l'anima dell'uomo: se venisse ad essere [una forma per l'anima
dell'uomo], in tale anima si darebbe la forma del Tutto ed essa conoscerebbe
ogni cosa in atto: verrebbe ad essere così per una sola anima, mentre le altre
anime resterebbero senza ciò di cui avere intellezione poiché una determinata
anima avrebbe tutto per sé.

guntur hic est scilicet quod ipsae intelligunt se, quamvis alia non intelligant eas, et etiam
quia per se sunt spoliatae a materia et ab eius appendiciis non quod ad intelligendum eas
necesse sit animae eas exspoliare. Si autem dixerimus quia hoc ve! consimile est intellectum
de eis omnino, ve! dixerimus quia ad esse id quod intelligitur de eis non est opus nisi ut
essentiae earum sint in anima, [161] tunc iam destruxerimus essentias earum esse separatas,
nec erunt ipsaemet forma animae hominis: nam si essent, profecto eveniret quod in una
anima acquisita esset forma totius, et sciretur omne quod est in effectu, et esset hoc uni tan-
tum animae; ceterae vero animae remanerent non habentes quod intelligerent, eo quod ali-
qua una anima susciperet eas. Quod autem dicitur quia res una numero est forma multis
320 [143]

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materiis in quas imprimit, ita ut ipsamet sit impressa in hac materia et in alia, hoc esse
impossibile tu scies parva inspectione. Iam autem innuimus dispositionem huius cum loque-
remur de anima; sed adhuc etiam amplius oportebit inquiri hoc. Igitur de illis rebus non
inquiritur in intellectibus humanis nisi intentiones quidditatum suarum, non ipsae; et est
iudicium de eis sicut iudicium de aliis intellectis substantiis corporalibus, excepto uno, scili-
cet quod illae aliae egent abstractione quousque abstrahatur ab eis intentio quae possit intel-
ligi, istae vero non egent aliquo nisi ut intelligantur esse ut sunt, et sigilletur anima per eas.
TRATTATO TERZO- SEZIONE OTTAVA 321

[143] E quel che si dice, [e cioè] che una cosa numericamente una sia
forma per molte materie, non in quanto abbia influenza su di esse, ma invece
in quanto essa stessa, nella sua identità, si imprime 290 in quella data materia e
in quell'altra e in quell'altra ancora, questa, [come] si riconosce alla minima
riflessione, è [una cosa] impossibile. Abbiamo già indicato come stanno le
cose in proposito, quando abbiamo parlato dell'anima e passeremo 291 poi ad
approfondire [la questione] per chiarirla definitivamente 292 .
Delle sostanze separate293 , quindi, negli intelletti umani si danno soltanto
le intenzioni delle loro quiddità, non le loro stesse essenze, e il loro statuto è
in tutto lo statuto di tutti gli altri intelligibili tratti dalle sostanze salvo che per
una cosa e cioè: mentre le [sostanze] hanno bisogno di operazioni astratti-
ve294 perchè se ne astragga un'intenzione di cui avere intellezione295 , queste
[sostanze separate] non hanno bisogno di una cosa diversa dalla [semplice]
esistenza dell'intenzione così come essa è, così che poi l'anima ne riceva
un'impressione.
Ora, ciò che abbiamo detto consiste solo nella contraddizione dell'argo-
mento dell'avversario; non vi stabiliamo alcuna dottrina 296 da seguire. La que-
stione riguardo a questi intelligibili la chiariremo in seguito, mentre - dicia-
molo - le forme naturali e quelle matematiche non possono sussistere per sé
separate, ma devono invece essere in un intelletto o in un'anima; quanto alle
cose separate, poi, non è che la stessa esistenza di tali cose separate - come
distinte da noi - sia la scienza che noi ne abbiamo; piuttosto, noi dobbiamo
subime l'impressione: è quel che di esse si imprime a costituire la scienza che
noi ne abbiamo. E analogamente, anche se vi fossero forme 297 separate ed enti
matematici separati, la scienza che noi ne avremmo consisterebbe solo in quel
qualcosa che per noi di essi si darebbe; non sarebbero essi stessi ad esistere
per noi, trasferendosi in noi. Abbiamo reso evidente [144] la vanità di questa

Hoc autem quod dicimus non est nisi destructio rationis adversarii; [162] nec tamen
adhuc est in eo firmamentum eius quod intelligimus. Dicam igitur quod horum intellectorum
deinceps monstrabimus dispositionem. Si enim fuerint de formis naturali bus ve! disciplinali-
bus, tunc non est possibile ea existere separata per se, sed oportet ut sint in intelligentia ve!
in anima. Quod autem intelligimus de rebus separatis, ipsum esse illorum separatorum
discrepans a nobis non est ex hoc quod nos scimus illa, sed quia nos imprimimur ab eis;
quod enim nos imprimimur ab eis, hoc est nos scire eas; similiter essei etiam si formae natu-
rales esseni separatae et disciplinales separatae; quod enim tunc sciremus de eis non esset
nisi quod acquireremus de eis, nec esseni nobis nostrae animae quasi mutatae ad illas. Iam
enim ostendimus destructionem huius alias. Sed quia quod invenitur in nobis de illis est
322 ~l:/1 J....èll _ i.:il:JI -;dl.ill [144]

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impressiones quae assimilantur eis sine dubio, et hoc est nostra scientia de illis; hoc autem
vel acquiritur nobis in nostris corporibus vel in nostris animabus. Sed iam ostendimus
impossibile esse hoc acquiri in nostris corporibus; restat igitur ut acquiratur [ 163) hoc in
nostris animabus; unde quia sunt impressiones animae, non essentiae illarum rerum, nec
exemplum quasi illae res non remaneant existentes nec in materiis corporalibus nec anima-
bus, tunc id quod subiectum non habet, erit id cuius multiplicatur species sine causa ex qua
pendeat ullo modo: igitur sunt accidentes in anima.
TRATIATO TERZO- SEZIONE OTIAVA 323

[opinione] in vari luoghi. Ciò che [delle forme] esiste per noi è costituito,
invece, da quelle impressioni che senz'altro sono simili [ad esse]; esse costi-
tuiscono la scienza che noi ne abbiamo. Tale [scienza], poi, per noi deve
darsi 298 o nei nostri corpi o nelle nostre anime; e poiché abbiamo già mostrato
impossibile che essa si dia nei nostri corpi, resta che [le forme] si diano nelle
nostre anime. E poiché esse sono impressioni nell'anima e non sono né le stes-
se essenze di quelle cose né modelli di quelle cose- [in tal caso), infatti, esse
non sussisterebero in una materia corporea o psichica e la specie di quel che
non ha soggetto si moltiplicherebbe quindi senza una causa cui essere in qual-
che modo vincolata- esse, nell'anima, sono accidenti.
324 \t o [145]

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IX
CAPITULUM AD LOQUENDUM DE QUALITATIBUS QUAE SUNT IN ClUANTITATE ET STABILIRE EAS

Remansit unum genus qualitatum, et oportet stabilire sm1m esse et assignare quod est
qualitas; et hae sunt qualitates quae sunt in quantitatibus, sed quae sunt in numero, sunt ut
paritas et imparitas et cetera huiusmodi: iam autem notum est esse quorundam ex eis, et in
arithmetica stabilitum est esse remanentium. Sunt enim accidentes eo quod pendent ex
numero et sunt proprietates eius; sed numerus de quantitate es\.
325

[SEZIONE NONA)

INTORNO ALLE QUALITÀ CHE RIGUARDANO LE QUANTITÀ.


SE NE STABILISCE [L'ESISTENZA)

Questa sezione converrebbe alla Fisica 299 ; è infatti rimasto un solo genere
delle qualità di cui bisogna300 stabilire l'esistenza e a proposito del quale biso-
gna risvegliare l'attenzione sul fatto che si tratta di una qualità: si tratta delle
qualità che riguardano le quantità.
Quanto a quelle che riguardano il numero, come la parità e la disparità e
altro, si è già potuto conoscere l'esistenza di alcune di esse, mentre le restanti
si è stabilito che esistono nella disciplina dell'aritmetica. Che siano accidenti
deriva dal fatto che sono vincolate al numero e alle sue proprietà: il numero fa
parte della quantità e la quantità è un accidente.
L'esistenza [delle qualità] che accadono alle estensioni non è invece evi-
dente; nessuna cosa, infatti, tra il cerchio, la linea curva, la sfera, il cilindro, il
cono, esiste in modo evidente. E neppure al geometra è possibile dimostrare la
loro esistenza, perché tutte le altre cose gli si rivelano evidenti [solo] per aver
posto l'esistenza del cerchio e perché, inoltre 301 , è legittimo affermare che
questo dato triangolo esiste, se è legittimo affermare il cerchio, e così per ciò
che è quadrato e così per tutte le altre figure 302 . [146] Seguendo il metodo del

Eorum autem quae accidunt mensuris esse non est adeo notum. Circulus enim et linea
curva et sphaera et pyramis et columna talia sunt quod nullius eorum esse manifestum est, et
impossibile est [164] geometrae probare esse eorum; nulla autem de aliis probantur ei nisi
prius constiterit ei esse circuii; trianguli enim esse non certificatur nisi prius certificetur cir-
culus, similiter quadratum et ceterae figurae. Sphaerae enim esse non certificatur secundum
326 c:-l:l1 J...z.àll- ~\:J1-:..\W.1 [146]

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viam geometrae nisi cum revolvitur circulus in circulum secundum quod nosti. Columna
etiam est cum circulus movetur a primo situ in directum secundum rectam Iineam, centro
non discedente ab ea. Pyramis est cum triangulus recti anguli movetur super Iatus continens
rectum angulum, extremitate cuius lateris servante centrum circuii, et extremitate secundi
lateris designante circumferentiam circuii.
Qui autem tenent corpora componi ex atomis negant esse circulum; unde oportet ut
ostendamus esse circuii; quod autem accidens sit manifestum est nobis, eo quod pendet ex
mensuris quae sunt accidentia.
Dico igitur quod, ex principiis eorum qui tenent mensuras componi ex atomis, possumus
stabilire adversus eos esse circuii; deinde per esse circuii destruentur sui atomi. Si enim
positus fuerit circulus sensibiliter, secundum quod ipsi dicunt, non erit vere circulus, quia
circumferentia est anfractuosa; et similiter si posita fu eri t in eo pars [ 165] ut si t centrum,
TRATIATO TERZO- SEZIONE NONA 327

geometra303 , del resto, è solo facendo ruotare un cerchio in un [altro] cerchio,


nel modo in cui hai appreso, che è legittimo affermare l'esistenza della sfera;
invece [l'esistenza] del cilindro [è sostenibile solo] se un cerchio è fatto muo-
vere tenendo ben fisso il suo centro a una linea retta la cui estremità [coincida
con] il centro stesso [del cerchio; e ciò] dalla prima posizione [del cerchio]
così continuando secondo la linea retta; il cono, poi, [è dimostrabile solo]
facendo muovere un triangolo rettangolo su uno dei due lati [dell'angolo]
retto, conservando l'estremità di questo lato come il centro del cerchio e ruo-
tando con il secondo lato sulla circonferenza (mu/:lf!) del cerchio.
L'esistenza del cerchio, inoltre, è fra quelle cose che nega chi ritiene che i
corpi si compongano di parti che non si dividono in parti 304 ; è quindi necessa-
rio mostrare in modo evidente l'esistenza del cerchio; la sua accidentalità,
invece, ci è manifesta per via del fatto che esso dipende dalle estensioni, le
quali sono accidenti.
Ebbene: diciamo che l'esistenza del cerchio si può stabilire seguendo la
dottrina di chi considera le estensioni composte da "parti che non si dividono
in parti", contro di essa, persino a partire dai suoi stessi fondamenti; poi, in
virtù dell'esistenza dello stesso cerchio, si troverà contraddetta [l'esistenza]
della "parte che non si divide in parti".
Vediamo perché: supponiamo un cerchio sensibile 305 , il quale, secondo
quanto costoro sostengono, sarebbe diverso da un autentico cerchio, anzi la
[sua] circonferenza sarebbe dentellata 306 e supponiamo quindi in esso una
parte che ne sia il centro307 ; infatti, tale parte, pur non essendo un autentico
centro, secondo loro potrà valere quale centro per i sensi. Di ciò che si è sup-
posto essere un centro per i sensi si faccia poi l'estremità di una linea compo-
sta di parti che non si dividono in parti, retta; possiamo infatti, legittimamente
[affermarne] l'esistenza, anche una volta supposto ciò che non si divide in
parti. Ora, se sull'altra estremità [le] facciamo corrispondere una parte di quel-
le che sono sulla circonferenza e poi la togliamo dalla sua posizione 308 per
prendere la parte che è [immediatamente] successiva a quella che è sulla cir-
conferenza che abbiamo considerato e alla quale, in un primo momento,
abbiamo applicato la linea, ecco che l'estremità della linea retta le corrispon-
derà, o toccandola o standovi di fronte, in direzione del centro. Ora, se essa
corrisponde con il centro [147], ecco lo scopo [che ci si proponeva]; e se,

quamvis illa non sit vere centrum, tamen erit apud eos centrum quantum ad sensum.
Ponamus igitur positum centrum quantum ad sensum extremitatem lineae rectae compositae
ex atomis: hoc enim certum est ex positione atomorum. Si autem cum alia extremitate lineae
parificaverit ad aliquam partem circumferentiae, et deinde moverint eam a situ suo ad aliam
partem circumferentiae sequentem, et parificaverint cum ea sicut prius parificatione tangen-
di et aequidistandi a plaga centri, tunc, si parificaverit centro, hoc est quod intendimus. Si
328 [147]

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autem addiderit vel minuerit, poterit adaequari cum atomis, ita ut non sint ibi duae partes
quae impediunt illud: si enim addiderit minuetur, et si minuerit addetur; si autem creverit
propter additionem, ve! decreverit propter diminutionem, tune: atomus est divisibilis sine
dubio: iam autem posita erat non divisibilis. Cum igitur fecerint sic, scilicet movendo
lineam de parte ad partem circumferentiae, complebitur circulus. Deinde si fuerit in eius
superficie [166] anfractus etiam partium, tunc si fuerit subiectum eius in urceo, supplebunt
omnes partes diminutas urcei, ad supplendam diminutionem totius superficiei. Si autem non
poterunt capi in urceo, tunc urceus est minor eis in mensura; igitur sunt divisibiles, eo quod
id quod implet urceum est minoris spatii quam illae; et quod ita fuerit, est divisibile in se,
quamvis non sint superabundantes. Si vero non fuerit subiectum eius in urceo, removebuntur
a parte superficiei partes excedentes.
Si quis autem dixerit quod, postquam adaequaverint inter P<trtem quae est ad centrum et
partem quae est ad circumferentiam seme!, si postea moverint lineam, non poterunt amplius
adaequare cum parte centri et cum parte circumferentiae seguenti, nec per contingentiam
TRATIATO TERZO- SEZIONE NONA 329

invece, vi è un eccesso o una mancanza [rispetto ad esso], allora sarà possibile


aggiustare [la misura] con le parti finché non vi sia più alcuna parte in ecces-
so: infatti, se vi è un eccesso, se ne toglierà [una], e se vi è mancanza, la si
completerà. Ma se vi è una mancanza togliendo via [una parte] e vi è un ecces-
so aggiungendone [una], allora [la parte] è senz'altro divisibile, mentre si era
supposto 309 che fosse indivisibile. E così, agendo 310 analogamente su ogni
parte, tutto il cerchio sarà completo311 •
Poi, se sulla superficie [del cerchio] vi fosse una dentellatura312 anch'essa
fatta di parti [indivisibili], ebbene se tali parti si potessero porre [ciascuna] in
un incavo, esse si [potrebbero] introdurre nell'incavo in modo che313 tutti gli
interstizi della superficie siano colmati; se poi non entrassero nell'incavo,
quest'ultimo ne sarebbe più piccolo nella misura ed esse sarebbero, quindi,
divisibili! Infatti, a riempire l'incavo sarebbe qualcosa di volume inferiore, e
qualunque [cosa] si trovi ad essere ["maggiore di"P 14 è in se stessa divisibile,
anche se non si può sezionare. Se [invece le parti] non si potessero porre in un
incavo, si potrebbero [semplicemente] togliere dalla superficie senza che se ne
abbia bisogno 315 .
E se poi qualcuno obiettasse che, una volta che la parte del centro e quella
della circonferenza si siano fatte corrispondere, non è possibile che vi sia cor-
rispondenza - né per contatto, né per opposizione frontale (muwiizii) - tra la
[parte] del centro e quella che è successiva a quella [prima parte presa] nella
circonferenza, allora gli chiederemmo se non vede che, se si fanno mancare
tutte queste parti, restando [solo] quella che è nel centro e [quella che è] sulla
circonferenza316, fra di esse vi è un'[ideale] linea retta cui è possibile far corri-
spondere questa linea [che si è tracciata tra il centro e la circonferenza].
Ora, se questo non lo ammettessero, [costoro] sarebbero usciti [dall'ambi-
to] di ciò che è per sé evidente, essendosi gettati in un'altra difficoltà: sarebbe
infatti possibile supporre determinate posizionP 17 in cui questa [ideale] linea
retta si dia, nel vuoto che essi [ammettono], e in tal modo tra due [determina-
te] parti nel vuoto si darebbe una linea retta, mentre fra altre due parti non si
darebbe. Ma questa è arroganza da parte di chi sostiene 318 [una cosa simile]: è
possibile dire [qualcosa di simile] - e non c'è nulla di male - ma solo se si

nec per aequidistantiam, respondebo ei: "vides quod, si annihilarentur omnes hae partes et
remaneret pars illa quae erat in centro et quae erat in circumferentia, essetne tunc inter eas
duas directio super quam posset adaequari haec linea?". Si autem non concesserint hoc, tunc
iam sunt extra id quod est notum per se et [167] inciderunt in aliud difficile, scilicet quod
possibile est poni !oca propria in quibus compleatur haec directio in inanitatem quae est
apud eos, ita ut inter duas partes inanitatis si t directio et inter alias duas non sit. Sed haec est
stulta arrogantia eius qui praesumpsit loqui de hoc, nec curo quod vendiderit suum intellec-
tum vili pretio. Arbitrium enim rectum testatur inter quaslibet duas partes necessario contin-
gere distantiam sine dubio quam implet aliquid quod est brevius de pieno ve! aliquid quod
est minus spatium in pieno. Si autem dixerint hoc esse, sed interim dum fuerint hae duae
330 [148]

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partes, non erit inter eas duas haec distantia, quia non potest concedi quod aequidistent
extremitates lineae secundum directionem; certe hoc etiam est illius stulti. Eveniret igitur
quod illae partes, si haberent esse sine iudicio distantiae, non tamen essent talis iudicii qualis
si privatae essent, et vero arbitrio non est dubium hoc totum destrui, nec est in aestimatione
quae est regula in rebus sensibilibus et eis quae pendent ex eis, sicut tu nosti, dubium non
posse imaginari ex partibus quae non dividuntur et [168] cornponi certe vel circulum, vel
aliquid aliud; hoc enim non est nisi secundum regulam eorum qui dixerunt hoc.
Postquam autem certificatum est esse circulum, tunc certificabuntur figurae geometricae
et destruetur pars quae non dividitur, et hoc scies per hoc quod omnis linea dividitur in duo
TRATIATO TERZO- SEZIONE NONA 331

vende la propria intelligenza a basso prezzo! Infatti, persino l'immediatezza


testimonia che tra due parti cui capiti di essere l'una di fronte all'altra a riem-
pire [la distanza della] loro opposizione (mul;u'id.a) è senz'altro il più corto dei
pieni oppure la più corta distanza [148] nel pieno 319 •
Se poi sostengono che questo si dà ma che, finché queste parti [indi visibili]
esistono, fra di esse non si ha una simile opposizione frontale (mu/:uid.a) 320 e
non è possibile che le due estremità di una retta si trovino di fronte alle loro
estremità321 , anche questo - [diremo] - è tale [da esser contraddetto]. Sarebbe,
infatti, come se, esistendo, quelle parti mutassero lo statuto del [loro] star di
fronte rispetto a quello che ne sarebbe lo statuto se fossero inesistenti. Tutto
ciò è qualcosa che non è difficile confutare già immediatamente, e che non
può rappresentarsi neppure l'immaginazione estimativa la quale - come hai
appreso - è la regola delle cose sensibili e di quel che ad esse è vincolato 322 :
nel senso che, a partire da parti che non si dividono in parti non si compone, in
realtà, né un cerchio né qualcosa di diverso da un cerchio! E a questa [conclu-
sione si è arrivati] seguendo soltanto la regola di coloro che sostengono
[l'indivisibilità delle parti]. Ora, poiché è legittimo affermare [che esiste] il
cerchio, è legittimo affermare [che esistono] le figure geometriche323 ed è
quindi confutata [l'esistenza della] parte [indivisibile]. Questo lo si sa a partire
dal fatto che ogni linea si divide in due parti eguali e che la diagonale non è
commensurabile al lato324 e a quel che gli si assimila; la linea325 dalle parti in
numero dispari non si divide, infatti, in due parti eguali, mentre ogni linea
composta da parti che non si dividono in parti dovrebbe essere commensurabi-
le ad ogni linea, ma ciò è contrario a quel che si dimostra una volta posto il
cerchio; e [analogo è il discorso per] altre cose diverse da questa.
Ma adesso è necessario parlare di come vada stabilita [l'esistenza] del cer-
chio secondo il principio della vera dottrina; sono invece qualcosa che non si
può respingere la rettitudine [della linea] e il fatto che le due estremità di una
linea- se ciò che [la traccia] muovendosi le è aderente e non devia [dal pro-
prio tracciato] - siano necessariamente l'una di fronte all'altra326 e che poi
invece, se se ne separa327 , [ciò che la traccia] devia e se [ne] allontana328 •

aequalia, et quod diametrus non communicat cordae, et consimilia; et quod linea impar ulti-
ma non dividitur in duo, et quod omnis linea quae est composita ex partibus quae non divi-
duntur communicat omni lineae, sed hoc contrarium est ei quod probatur post positionem
circuii, et contingent alia huiusmodi.
Oportet igitur loqui de circulo secundum stabilimentum verae sententiae, quia quod rec-
titudo lineae et distantia sit inter duo extrema suorum punctorum, si fixa fuerit extremitas
lineae quae moveri debet ad faciendum circulum, non erit discedens a suo situ, sed si sepa-
ratur ab eo, erit discedens et remota, et hoc est quod nemo potest refugere. Dico ergo iam
332 [149]

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...,:._;; .J1 ~- ..:..:\, •.J~ .J[ .w.~ J. ' ~l .!Il.) 4::11 :;... 'j ~li

manifestum esse ex naturali bus aliquo modo esse [ 169] circuii, quoniam manifestum est ibi
corpus simplex esse, et quod corpus simplex habet figuram naturalem, et quod eius figura
naturalis non est diversa ullo modo in parti bus suis, et similiter nulla figurarum <non> circu-
Iarium. Iam igitur verificatum est esse sphaerae; incisio enim eius in directum est circulus:
iam igitur certificatum est esse circuii. Sed adhuc possumus h<JC amplius certificare. Dicam
igitur de manifestis esse quod, cum fuerit aliqua superficies vel aliqua linea secundum ali-
quem situm, non est impossibile accidere alii Iineae, ve! alii superficiei esse talis situs ut
coniungatur ei per a!iquam suarum extremitatum secundum rectum angulum. Item de mani-
festis est nos posse movere aliquod corpus quomodolibet qltousque occurrat alii corpori
habenti situm consimilem illi et quasi distet ab eo omnibus sui~ dimensioni bus, et sit contra-
TRATIATO TERZO- SEZIONE NONA 333

[ 149] Ora, diciamo che nella Fisica l'esistenza del cerchio sotto un certo
aspetto si è mostrata evidente329 ; ci si è rivelato, infatti, [che esiste] un corpo
semplice, che ogni corpo semplice ha una figura naturale e che la figura natu-
rale di [un corpo semplice] è quella in cui, all'interno delle sue parti, non vi è
alcuna differenziazione; e poiché nessuna delle figure non-circolari è tale, si
era già legittimamente affermata l'esistenza della sfera: poiché la sua sezione
[realizzata] con [il piano] retto è il cerchio, si era già legittimamente affermata
l'esistenza del cerchio.
Possiamo tuttavia affermare legittimamente [l'esistenza del cerchio] anche
dicendo che è evidente che se vi è una linea - o una superficie - in una certa
posizione, non è impossibile supporre un'altra superficie- oppure un'altra
linea - che abbia una posizione tale da essere in contatto con una delle due
estremità di quella [prima linea o superficie], su di un certo angolo. Ed è evi-
dente che, con un moto traslatorio, potremo muovere 330 questo corpo - o que-
sta linea- come vogliamo, fino al punto in cui [la linea] venga a contatto con
quell'altra [linea o quell'altra superficie] o si trovi posta nella sua stessa posi-
zione, come se 331 cioè si trovasse di fronte [all'altra linea] con tutta la propria
estensione, essendo in contatto con essa, oppure come se si trovasse posta
nella sua stessa posizione o le fosse parallela332 . [Oppure] si può porre proprio
uno [stesso] corpo in una data posizione e poi in un'altra posizione che tagli
[la prima]: il discorso [da farsi] riguardo ai due corpi e a un corpo unico è lo
stesso [discorso]. Infatti, se ci fosse rettitudine ma non ci fosse circolarità,
tutto ciò non sarebbe affatto possibile333 : se il movimento [atto] a corrisponde-
re [all'altra superficie] fosse secondo rettitudine - in modo da procedere in
lunghezza e tornare poi [alla posizione orizzontale] in qualunque modo si
voglia, oppure in modo da procedere in altezza e da tornare [poi], qualunque
ne sia il modo, oppure ancora in modo da procedere in larghezza a partire dai
due lati o comunque si voglia supporre - ebbene, se il punto che si suppone
essere al centro della superficie, o della linea, conservasse334 nel proprio movi-
mento una linea retta, non incontrerebbe affatto quell'altro corpo, ma, comun-
que, lo taglierebbe.

positum ei situm in suo loco, ve! aequidistans. Et possibile est aliquod corpus poni secun-
dum aliquem situm, et deinde ipsum idem poni secundum alium situm secans primum. Idem
autem est hoc dicere de duobus corporibus quod de uno. Si autem fuerit rectitudo et non cir-
culatio, non erit possibile ullo modo. Si autem moveatur punctus ad parificandum se alii
secundum rectitudinem procedens in longitudinem et dei nde revertatur qualibet [ 170] rever-
sione, sive sursum sive deorsum, sive in latum in quamlibet partium duarum sive quocum-
que modo posueris, tunc, si punctus quero posueris in medio lineae ve! superficiei custodie-
rit in sua motione lineam rectam, profecto ipse non obviabit illi corpori ullo modo, sed inter-
secabit illud quocumque modo evenerit. Tu autem potes ponere unamquamque istarum divi-
334 [150]

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sionum in intellectu et considerare eas. Ad ultimum autem oportet fieri motum secundum
alium modum quem dicam tibi, scilicet ut unum extremorum lineae ve! superficiei in motu
sit fixum in suo loco et alterum moveatur circulariter, ve! utrumque moveatur, ve! ut unum
sit tardius et alterum velocius. Erit igitur quod si duorum extremorum unum moveatur tan-
tum faciet omnino arcum circuii. Et, postquam certum fuerit esse arcum circuii, constabit
alium posse similiter fieri et tamdiu sic quousque circulus perficiatur; et hoc est secundum
principia vera.
Si quis autem irriserit haec, via prima contradicet ei. Et nos etiam ponemus corpus grave
cuius una extremitas si t ponderosi or alia, et ponetur stans super superficiem planam, tangens
eam cum uno suorum extremorum leviore, scilicet ita ut sit stans super eam. Tu scis autem
TRATIATO TERZO- SEZIONE NONA 335

Ti è possibile supporre [ 150] e considerare in atto ognuna di queste


ipotesi 335 , ma in ultima istanza il movimento [del corpo] dovrà coincidere con
uno dei modi che menzionerò: [e cioè] o una delle due estremità della linea-
oppure della superficie o del corpo- [nel suo supposto movimento] è costretta
alla propria posizione, mentre l'altra si muove, e questo secondo un cerchio;
oppure tutte e due si muovono, però in modo che una delle due sia più lenta e
l'altra più veloce; le due estremità - o il solo [corpo] mobile - faranno allora
in ogni caso un arco di cerchio336 ; e una volta che si sia così legittimamente
affermata l'esistenza di un arco di cerchio, sarà legittimo che esso raddoppi
fino a completare [il cerchio]: ciò [riposa] su validi principi.
Se poi, invece, qualcuno dice che si abbia scomposizione [delle parti], la
prima via [che si è seguita] lo contraddice337 .
E ancora: supponiamo338 un corpo pesante e facciamo che una delle sue
due estremità sia più pesante dell'altra; facciamolo star su sopra a una superfi-
cie piana in modo che, con un espediente, si tenga in contatto con essa con
l'estremità più leggera: tu sai che, se la sua inclinazione sarà equilibrata nelle
varie direzioni, il (corpo] continuerà a star su 339 , mentre venendo fatto inclina-
re in una direzione, ciò che [lo] trattiene scompare fino al punto che [il corpo]
cade e si producono senz'altro o un cerchio o una curva.
Come ciò sia, ebbene: supponiamo un punto situato sulla sommità [del
corpo] che è in contatto con la superficie; anch'esso incontrerà un punto della
superficie e allora senz'altro: o il punto resterà stabile nel proprio sito, e allora
qualunque punto supporremo sulla sommità di quel corpo, si sarà formato un
cerchio; infatti 340, con il movimento di questa estremità verso giù, l'altra estre-
mità si muoverà verso su, e ognuna delle due estremità [contribuirà] a formare
un cerchio il cui centro sarà il punto delimitato tra la parte ascendente e la
parte discendente; oppure il punto si muoverebbe scorrendo sulla lunghezza
della superficie, così che l'altra estremità formi [151] una sezione [di cerchio]

quod, si statio eius inclinetur ad partes aequaliter, stabit, sed, si inclinetur ad unam partem
tantum, tunc, remoto retentore, cadet, [ 171] et faciet arcum sine dubio ve1 curvaturam. Sed
quomodo erit: ponamus punctum in capite quo tangit superficiem et tangat eam in puncto.
Igitur necesse est ut punctum ve! si t fixum in suo loco, et tunc omne punctum quod posueris
in superiore capite illius corporis faciet cìrculum [erit igitur quod unumquodque punctorum
quod posueris in capite illius corporis faciet circulum], ve! erit ut, cum motu unius extremi-
tatis deorsum, moveatur alia extremitas sursum, itaque eveniet quod unaquaeque extremitas
faciet circulum cuius centrum erit punctum positum inter punctum ascendens et inter punc-
tum descendens, ve! movebitur punctum currens super longitudinem superficiei, et tunc alia
336 \O\ [151]

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extremitas faciet costam et lineam curvamo Sed quia inclinatio ad centrum non est nisi
secundum aequidistantiam, tunc absurdum est ut punctum moveatur super superficiem ad
faciendum circulum. Motus enim ille ve! erit violentus ve! naturalis. Non est autem violen-
tus nec naturalis. Nam violentia illa non imaginatur nisi apud partes graviores, quae non
impellit eas ad partem illam. Sed si impulerit eas servata continuitate, impellet eas ad con-
trarium sui motus et reversabit eas. Potes igitur ponere quod ipsum est altius eis, eo quod est
ponderosius, quaerens motum velociorem, medium autem eis, tardius est, si fuerit ibi conti-
nuatio quae prohibeat, [ 172] verbi grati a, inflecti; igitur necesse eri t alto urgere inferius ut
descendat. Igitur necesse erit tunc ut corpus sit divisibile ad duas partes: unam ad quam
TRATTATO TERZO- SEZIONE NONA 337

o una linea curva; ma poiché l'inclinazione verso il centro è solo secondo


equidistanza341 , è impossibile che il punto scorra sulla superficie: infatti, un
tale movimento sarebbe o per violenza o per natura, ma non può essere né per
violenza né per natura. Una tale violenza, infatti, non ce la si può rappresenta-
re se non a partire dalle parti che sono più pesanti, le quali non lo spingerebbe-
ro in quella direzione. Anzi, se lo spingessero in modo da conservare la conti-
nuità, lo spingerebbero verso il contrario del loro movimento e lo farebbero
muovere per poter discendere esse stesse: è come se, le [parti] elevate, essendo
più pesanti, ricercassero un movimento più veloce, mentre quelle mediane uno
più lento; vi è una continuità che rende impossibile che l'inclinazione devi342 ,
così che ciò che è elevato, per discendere, è costretto a portare su ciò che è
inferiore; e il corpo risulta dunque divisibile in due parti: una parte che inclina
verso l'alto, per violenza, e una parte che inclina verso il basso, per natura. Fra
le due vi è un termine che è un centro per i due movimenti: tracciata a partire
da esso una linea retta, ecco che si forma il cerchio. Ed è evidente che, se dalla
discesa del corpo [deve] conseguire che esso abbandoni [una posizione, il
corpo] va verso sopra, mentre se non abbandona [la propria posizione], è
ancor più legittimo affermare l'esistenza del cerchio.
E una volta stabilita [l'esistenza] del cerchio, è stabilita [l'esistenza] della
curva perché, essendo stabilito 343 il cerchio, sono stabiliti 344 i triangoli e anche
l'angolo retto ed è stabilita la possibilità di ruotare uno dei due lati [sull'ango-
lo] retto così da poter [affermare l'esistenza] del cono; e se poi si seziona un
cono con una superficie secante, si può [affermare] una sezione [di cono] e
quindi una curva.

inclinatur sursum violenter, et aliam ad quam inclinatur deorsum naturaliter; inter quas est
terminus qui est centrum duorum motuum; et si posuerimus ut ab eo exeat linea recta, pro-
fecto faciet circulum. Manifestum est igitur quod si, ex descensu corporis sequitur recessio,
alia pars est sursum, sed, si non recedit ab eo, tunc esse circuii est certius.
Cum igitur certificatur circulus, certificabitur curvum, quia, cum certificatur circulus,
certificatur triangulus, et rectus angulus etiam; et ostenditur esse verum quod aliquod late-
rum continentium rectum angulum revolvitur circa angulum; si autem divisa fuerit pyramis
superficie secante, certificabitur curvum.
338 _r. Wl J,..Al1 - 4.:ll:.l1 ~W.\ \0'1' [152]

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x
CAPITULUM DE AD ALIQUID

[173] Oportet loqui de ad aliquid et ostendere quomodo debeat certificari quidditas rela-
ti et relationis et eorum definitio, sed quod praemisimus in logica posset sufficere intelligen-
ti. Si autem posuerint relationem esse, profecto erit accidens. Et hoc non est dubium, quia
est res quae non intelligitur per se, sed intelligitur semper alicuius ad aliud. Non est enim
relatio quae non si t accidens.
339

[SEZIONE DECIMA]

SUL RELATIVO

Ora, per quanto riguarda ciò che va detto del relativo e per chiarire come si
debbano individuare la quiddità e la definizione del relativo e della relazione,
quel che abbiamo presentato345 nella Logica è già sufficiente per chi l'abbia
capito346 • Poi, quanto al fatto che, se si deve supporre un'esistenza per la rela-
zione, essa sarà un accidente, questo è fuor di dubbio, dato che si tratta di
qualcosa di cui non si ha intellezione per sé e se ne ha intellezione sempre
come di una cosa con 347 un'altra cosa: non vi è, infatti, alcuna relazione che
non sia accidentale.
In primo luogo essa accade alla sostanza - come il padre e il figlio - oppu-
re alla quantità; in quest'ultimo caso può essere o qualcosa che nei due estremi
è differente o qualcosa che è coincidente; quel che è differente 348 è come il
doppio con la metà mentre quel che è coincidente è come l'eguale con l' egua-
le, il parallelo con il parallelo349, il corrispondente con il corrispondente, il
tangente con il tangente. Quel che è [dai termini] differenti, poi, può essere di
una differenza determinabile e individuabile - come la metà e il doppio - o
non individuabile ma edificata tuttavia su qualcosa di individuabile - come il
"multiplo di" 350 e il tutto e la parte; vi è poi quel che non è assolutamente indi-
viduabile, come l'eccedente e il manchevole o ciò che è "in parte" e l'insieme.
E così è quando un relativo cade su di un relativo, come "il più eccedente" e
"il più manchevole": il più eccedente, infatti, è "in più" in rapporto a qualcosa
che, rapportato a qualcosa di manchevole, è egualmente "in più" 351 .

Cuius prima accidentalitas est substantiae, sicut pater et filius, vel quantitati, de qua
quaedam est cuius duo extrema sunt diversa et quaedam cuius duo extrema sunt convenien-
tia. Diversa sunt sicut duplum et dimidium, convenientia vero, sicut aequale et aequale, et
aequidistans et aequidistans, et compar et compar, et tangens et tangens. Diversa autem
quaedam sunt quorum diversitas est terminata certificata, sicut dimidium et duplum; et
quaedam quorum non est certificata, sed innititur certificatae, sicut multiplex et totum et
pars; et quaedam quorum nullo modo est certificata, sicut magnum et [174] parvum et quod
est de aliquo et totum. Similiter cum acciderit relatio in relatione, sicut maius et minus;
maius enim non est maius nisi comparatione magni, et minus non est nisi comparatione
340 [153]

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parvi. Et relatio etiam accidit in qualitate, cuius quaedam est conveniens, sicut assimilatio,
et quaedam est diversa, sicut velox et tardum, grave et leve in ponderibus, acutum et grave
in voci bus; et adhuc etiam accidit in his omnibus relatio in relatione, ut acutius et gravius; et
in ubi, sicut supra et infra, et superius et inferius; et in quando, sicut prius et posterius, et
secundum hunc modum potest dici in aliis.
Paene enim omnia relativa possunt contineri in speciebu& aequalitatis: et in his quae
fiunt per augmentum et diminutionem, et quae fiunt per actionem et passionem, et quae pro-
veniunt ex potentia, et quae proveniunt ex assimilatione. Quae :mtem sunt per augmentum et
diminutionem sunt de quantitate, sicut nosti. Quae vero sunt fJer potentiam, sunt ut victor,
expulsor et ablator et similia. Quae autem sunt per actionem et passionem, sunt ut pater et
TRATI ATO TERZO- SEZIONE DECIMA 341

[153] Qualche relativo riguarda la qualità 352 ed è o coincidente- come la


reciproca somiglianza [fra le cose] -o differente, come nel movimento 353 il
veloce e il lento, nei pesi il pesante e il leggero e nei suoni l'acuto e il grave;
e allo stesso modo in tutte queste [cose] una relazione può cadere su di una
relazione.
[Una relazione può riguardare] anche illuogo 354 - come il più alto e il più
basso- e il tempo 355 - come l'anteriore e il posteriore- e [così via] secondo
tali qualità 356•
Le cose relative si possono 357 riassumere quasi [tutte] nelle varietà dell'egua-
glianza, in quelle dell'eccesso e della mancanza, in quelle dell'azione e della
passione -la cui origine è la potenza- e in quelle della somiglianza358 •
Ora, quelle che sono per eccesso o sono della quantità - come sai - oppure
riguardano la potenza, come "quel che è preminente", "quel che vince", "quel
che impedisce" e altro 359 ; quelle per azione e passione sono come il padre e H
figlio, "quel che taglia" e "quel che è tagliato" e quanto vi è di simile; quelle
per somiglianza sono come la scienza e il conoscibile, i sensi e il sensibile; fra
Je àve [cose), infatti, vi è somigJianza: Ja scienza è simiJe aJJa stmttvra ài qve}
che è conoscibile e i sensi alla struttura di quel che è sensibile, anche se di
[tutto] ciò non si possono stabilire precisamente né la misura né la limitazione.
Ma le cose relative si possono riassumere [anche] a partire da un [altro]
aspetto 360 : i due relativi, infatti, possono essere due cose che non hanno biso-
gno di nessun'altra cosa rispetto a quelle caratteristiche del relativo, perché i11
virtù di essa accada loro una relazione, come "quel che è a destra" e "quel ché
è a sinistra": in quel che è a destra non c'è- ad eccezione dello stesso essere a
destra - alcuna modalità né alcun elemento (amr) caratteristico in virtù del
quale [quel che è a destra] verrebbe ad essere relativo nel senso di essere a
destra. Oppure, si avrà bisogno del fatto che in ognuno dei due elementi [rela-
tivi] vi sia qualcosa, in modo che in virtù di [questo qualcosa ognuno di essi]
sia rapportabile all'altro, come l'amante [154] e l'amato: nell'amante, infatti,

filius, et incisor et incisum, et similia. Sed quae sunt per assimilationem, sunt sicut scientia
et scitum, et sensus et sensatum: inter hoc enim est assimilatìo. [175] Scientia enim assìmi-
latur disposìtioni scitì, et sensus assìmilatur dispositioni sensati, quamvis haec omnino non
possunt terminaTi.
Relativa vero non possunt comprehendi uno modo. Alia enim sunt relativa quae non
egent aliquo ex his quae solent stabilire relationem, sicut dextrum et sinistrum: in dextrc:>
enim non est qualitas nec aliquid aliud certum per quod fiat relatum comparatione, nisi ipsa
dextrarietas. Et alia sunt relativa quorum unumquodque opus habet aliquo per quod referatur
ad aliud, sicut amator et amatum: in amatore enim est disposi ti o apprehendens quae est prin-
342 [154]

~_,.:...1.1 J., 4'-il.,;.)'l t~ d' ..[1;~14!.:~ .;-:Wl J .:,~ . ..;_,.:..J.I_,


. .u:. W li_,:.,.. ~ Jl ..,• -.s;..s..

. ~)J.\., tlJI J:.. .s.r~\ (,)_,~~~l .s-'.. [ J ·~5 :JI Il~ .J5" lt. ;J
.r)J.I_, •.,..:'l)/1 Jl1il.4.. lr, ).P'~JI..,a ~ "'.) Jj,.,.. .li Wl()~ t
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cf _,-.,..:~1 Jl '-"'~:Al~ cf .A_, ' . . . ~~ jrl ·!.i- Jl '-"'~:Al~
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r-1 u. ':}_, ~,. . . Ui •..HL1 .Y..)IJ

cipium relationis; et in amato est dispositio apprehensa quae fecit illud esse amatum a suo
amatore. Et alia sunt in quibus haec dispositio est in una tantmn partium et non in alia, sicut
est scitor et scitum: in scitore enim acquiritur qualitas quae est scientia, per quam fit relatus
ad aliud; in scito vero nihil aliud acquiritur per quod fiat relatum, nisi quia acquisitum est in
alio aliquid quod est scientia. Quod autem remansit [176] hic de relatione, hoc est scilicet ut
sciamus an relatio una numero et subiecto sit inter duo, habens duos respectus, sicut quidam
et plures ex hominibus putaverunt, quod in relatione unumquodque relativorum habeat pro-
prietatem.
TRATIATO TERZO- SEZIONE DECIMA 343

vi è una disposizione a prendere361 che è il principio della relazione, mentre


nell'amato vi è una disposizione ad essere preso, ed è questa che lo rende
amato per l'amante. [O ancora]: questa data cosa potrà essere solo in uno dd
due estremi [della relazione] senza essere nell'altro, come per il conoscente e
il conosciuto; nell'essenza del conoscente, infatti, si sarà data una modalità362 ,
che è la scienza, in virtù della quale esso è venuto ad essere relativo all'altro,
mentre nell'essenza del conosciuto non si è dato nient'altro [rispetto a ciò che
esso è]: esso viene ad essere relativo semplicemente perché in quell'altro si~
dato qualcosa, e cioè la scienza363 .
Quel che ci resta qui [da considerare] a proposito del relativo è di sapere se
- come ritengono alcuni e anzi la maggioranza - la relazione sia un'unic<1-
intenzione (ma 'mi) - nel numero e nel soggetto - che esiste tra due cose e che
ha due considerazioni364 ; oppure se a ognuno dei due relativi spetti una pro--
prietà che riguardi la sua relazione.
Ora - diremo - ognuno dei due relativi ha un'intenzione (ma 'nti) in se
stesso in rapporto all'altro che non è l'intenzione che l'altro ha in se stesso in
raQQOrto ad esso e ciò è evidente nelle cose che differiscono nella (loro 1 re la-·
zione 365 , come il padre [e il figlio]. La relazione [del padre] alla paternità, che
è una qualificazione del suo essere, è infatti solo nel padre, anche se, [essendo]
nel padre366 , essa appartiene al padre solo in rapporto a qualcos'altro; e il fatto
che essa sia in rapporto a qualcosa d'altro367 non è il suo essere nell'altro: la
paternità non è nel figlio, altrimenti sarebbe una qualificazione del [figlio] e
da questo deriverebbe il proprio nome, ed è, invece, nel padre. E [la cosa] sta
così anche per quanto riguarda il figlio in rapporto al padre. Quindi, non si ha
affatto una stessa cosa che sia in ambedue, perché non si ha se non una pater-
nità o una filiazione. Quanto poi a uno stato [che si possa] porre sia per la
paternità sia per la filiazione, non lo conosciamo e non ha nome.

Dicam igitur quod unumquodque relativorum in se habet intentionem respectu alterius,


quae non est illa intentio quam habet in se aliud respectu illius; et hoc est manifestum ill-
rebus diversis in relatione, sicut in patre qui habet relationem, scilicet paternitatem, quae est
proprietas cuius esse est in solo patre, sed non est patri nisi respectu alterius rei quae est
< ... > in alio; paternitas enim non est in filio; tunc enim esset proprietas illius, et nomen eiuG
derivaretur ab ea. Paternitas autem in patre est. Sirniliter etiam est dispositio filii respect\1
patris. Non est enim hic res una quae sit in ambobus; unde non est hic nisi paternitas vel
filiatio, sed dispositionem appositam paternitati ve! filiationi nos nescimus, nec habet
344 \00 [155]

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nomen. Si autem fuerit hic ut in nive et cygno, quorum unuJ1lquodque quamvis sit album,
non tamen oportet ut sin t unum aliquid, non quod essendo unumquodque [ 1771 propter
respectum alterius ponat unumquodque eorum unum comitans respectu alterius, quasi hoc
sit illi uni et non alteri, sed est in respectu alterius. Cum autem intellexeris hoc in eis quae
exemplificavimus tibi, similiter scias dispositionem ceterorum relativorum in quibus non est
diversitas. Non autem advenit dubitatio paene in hoc loco jlisi quia uni ex fratribus est
dispositio respectu alterius, et alter etiam habet dispositioneJ11 respectu primi, et utraeque
dispositiones sunt eiusdem speciei sensibilis, et putaverunt eas esse unum singulare. Non est
TRATI ATO TERZO~ SEZIONE DECIMA 345

[155] Ma, se è in ciò che risiede il fatto che ognuno dei due [relativi] sia in
uno stesso stato in rapporto all'altro, allora questo è come il fatto che ognuna
[di due cose] - il cigno e la neve - sia bianca. Infatti, non è necessario che
[ognuno dei due] sia una stessa cosa: il fatto che [ognuno] sia in rapporto
all'altro non fa di essi una stessa [cosa], perché ciò che appartiene a ognuno
[dei due] in rapporto all'altro appartiene [ogni volta] a questo tale uno e non
all'altro, pur appartenendogli in rapporto all'altro.
E avendo capito questo negli esempi che ti abbiamo presentato, sapn1i
come stanno le cose [anche] per tutti gli altri relativi, quelli in cui non c'è dif-
ferenza [negli estremi della relazione]. La maggior parte delle difficoltà risie-
de solo in questo. Infatti: avendo uno di due fratelli un certo stato in rapporto
all'altro, e avendo anche l'altro un certo stato in rapporto al primo, ed essendo
i due stati di una stessa specie, i due sono stati considerati uno stesso indivi-
duo; ma non è così. Il primo, infatti, ha la fratellanza nei confronti del secort-
do: esso, cioè, ha una qualificazione 368 in virtù della quale è fratello del secort-
do e questa qualificazione appartiene a lui 369 , anche se gli appartiene solo in
rapporto al secondo. Questa non è numericamente la [stessa] qualificazione
del secondo e lo è invece per specie, come se il secondo fosse bianco e [anche]
il primo fosse bianco. Anzi, anche il secondo è fratello 370 di questo primo per-
ché gli appartiene il suo stato in sé che è detto in rapporto al primo.
E lo stesso [si dica per] l'esser contiguo in due cose contigue. Infatti, ogmt-
no dei due [contigui] è contiguo rispetto al proprio compagno in quanto gli
appartiene la sua contiguità, la quale non è se non in rapporto all'altro, se esso
è come [il primoP 71 • E non devi affatto ritenere che un accidente uno numeri-
camente sia in due diversi luoghi di inerenza, in modo tale da dover poi per
ciò correre ai ripari, attribuendo ali' accidente un nome generico 372 , come
hanno fatto coloro che sono deboli nel discernere.

autem sic, quoniam primo est fraternitas respectu secundi quae est dispositio quod est frater
secundi; et ideo illa dispositio est illi, sed respectu secundi, nec est dispositio secundi i!la
numero, sed specie, sicut si secundus esset albus, et primus albus. Secundo enim est etiajll
quod est frater huius primi, quoniam habet dispositionem in se praedicatam respectu primi.
Similiter est contactus in contactis; unumquodque enim eorum est tangens alterum, quoniajll
contactum non habet nisi respectu alterius cum fuerit sibi consimile et coaequale. Igittlr
nullo modo putes quod unum accidens sit in duobus subiectis. ita ut excuseris ob hoc quod
ponas accidenti nomen ambiguum. sicut fecerunt homines debilis cognitionis.
346 .
, ., [156]

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[178] Quod autem diligenter considerandum est de hoc, hoc est scilicet ut cognoscamus
si relatio in se habet esse in singularibus, ve! est aliquid quod non formatur nisi in intellectu,
et erit tunc sicut multae dispositiones quae comitantur res cum intelliguntur: non habent esse
nisi postquam habentur in intellectu. Cum enim res intelliguntur advenit eis in intellectibus
aliquid quod non erat eis extra; fiunt enim universale et essentiale et accidentale, et fiunt
genus et differentia, et fiunt praedicatum et subiectum, et alia huiusmodi.
Ex hominibus autem quidam fuerunt qui tenuerunt quod certitudo relativorum non est
nisi in anima cum intelliguntur res. Et alii dixerunt: "non, immo relatio est quiddam quod est
in singularibus", et ratiocinati sunt hoc modo, dicentes: "nos scimus quod haec res in esse
est pater illius, et ille in esse est filius eius, sive intelligatur, sive non intelligatur; et scimus
TRATIATO TERZO- SEZIONE DECIMA 347

[156] Ma più di questo è importante conoscere se in se stessa la relazione


sia esistente nei singoli individui o sia qualcosa di cui si ha rappresentazione
soltanto nell'intelletto, essendo come molti degli stati che conseguono neces-
sariamente alle cose quando se ne abbia intellezione, una volta che si siano
date nell'intelletto. Infatti, per le cose, una volta intellette, si producono delle
determinazioni (umiir) nell'intelletto che non provengono loro dall'esterno, e
in modo tale che esse divengono universali e particolari373 , essenziali e acci-
dentali, genere e specie, predicato e soggetto e altre cose di questo tipo.
Alcuni hanno sostenuto che anche la realtà delle relazioni si produce
nell'anima soltanto una volta che le cose siano intellette374 • Altri hanno affer-
mato che, piuttosto, la relazione è qualcosa di esistente negli individui, e
hanno argomentato [la loro posizione] dicendo: "noi sappiamo che questo
[individuo] nell'esistenza è padre di quell'[individuo] e che quell'[individuo]
nell'esistenza è figlio di quest'[individuo], se ne abbia o non se ne abbia intel-
lezione, e sappiamo che le piante ricercano il nutrimento e che la ricerca è
insieme a una certa relazione, mentre le piante non hanno assolutamente intel-
lezione ( 'aql) e neppure percezione; sappiamo, inoltre, che il cielo è in se stes-
so sopra la terra e che la terra è sotto di esso, sia o non sia esso percepito; e la
relazione non consiste se non negli equivalenti di queste cose alle quali abbia-
mo alluso ed essa appartiene alle cose, anche se esse non sono percepite"375 •
Il secondo gruppo 376 afferma invece che, se la relazione fosse esistente
nelle cose, le relazioni di conseguenza non potrebbero necessariamente avere
termine: sarebbe, infatti, come se tra il padre e il figlio vi fosse 377 una relazio-
ne, relazione che dovrebbe esistere o per ambedue o per uno dei due o per
ognuno dei due. Così, quanto alla paternità che accade al padre, nella misura
in cui è il padre ciò cui essa accade, essa sarebbe un relativo, e così la filiazio-
ne. Il legame della paternità con il padre e quello della filiazione con il figlio
sarebbero quindi esterni allegarne che c'è tra il padre e il figlio e così per la
relazione vi dovrebbe essere un'altra relazione e sì andrebbe all'infinito; vi

etiam quod plantae inquirunt nutrimentum; inquisitio vero est cum relatione aliqua, sed her-
bae non habent intellectum ullo modo nec apprehensionem. Et scimus etiam quod ipsum
caelum est super terram et terra est inferius eo, sive apprehendatur, sive non; et relatio non
est nisi ad similitudinem eius quod assignavimus de istis, et haec est rebus, quamvis non
appre-[179]hendatur". Dixit etiam prima secta quod, si relatio esset in rebus, oporteret tunc
ex hoc non finiri relationes; relatio enim quae esset inter patrem et filium, ve! esset in ambo-
bus illis, ve! in altero tantum, ve! in unoquoque eorum. Inquantum vero paternitas est patri et
est accidentalis ei quia esse patrem accidit ei, est relatio; similiter et filiatio; hic igitur est
ligatio quae est paternitatis cum patre, et filiationis cum filio, et est alia a ligatione quae est
inter patrem et filium. Oporteret igitur ut relationi esset alia relatio, et procedere! hoc in infi-
348 [157]

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nitum, et quod de relatione esset ligatio quae est inter esse et non esse, sicut nos priores
sumus comparatione eorum qui nos sequentur, et scimus resurrectionem.
Id autem per quod solvuntur istae duae viae, hoc est scilicet ut redeamus ad definien-
dum ad a/iquid absolute. Dico igitur quod ad aliquid est cuius quidditas dicitur respectu
alterius, et quicquid fuerit in signatis hoc modo ut secundum quidditatem suam non dicatur
nisi respectu alterius, illud est ad aliquid.
In signatis autem multa sunt huiusmodi, quia in signatis est ad aliquid; si autem ad ali-
quid habuerit aliam quiddìtatem, tunc restat ut determinemus quid habeat de intentione intel-
lecta respectu alterius. Illa enim intentio certissime est de intentione intellecta respectu [180]
TRATI ATO TERZO- SEZIONE DECIMA 349

sarebbero, [ 157] inoltre, fra le relazioni, quelle che rappresentano un legame


tra un esistente e un inesistente, come noi siamo anteriori in rapporto ai secoli
che ci seguiranno e come siamo conoscenti in rapporto alla resurrezione 378 •
Per sciogliere l'aporia che deriva da entrambi i metodi [occorre] tornare a
definire il relativo, in senso assoluto: il relativo - diremo - è qualcosa la cui
quiddità si dice 379 soltanto in rapporto ad altro da sé; quindi, ogni cosa che tra
gli individui concreti sia tale che la sua quiddità si dica380 solo in rapporto ad
altro da sé è un relativo 381 . Ma tra i [singoli] individui vi sono molte cose quali-
ficabili in questo modo e il relativo, dunque, è esistente nei [singoli] individui.
E se il relativo ha un'altra quiddità, conviene allora liberare quello che gli
appartiene di quella data intenzione che è intelligibile in rapporto a quel che è
altro da sé; [infatti, è tale data intenzione che è realmente intelletta in relazione
ad altro da sé]3 82 , perché [il relativo] è intelligibile in rapporto ad altro da sé
solo a causa di questa data intenzione, mentre questa intenzione non è intelli-
gibile in rapporto ad altro da sé a causa di qualcosa che sia diverso da se stes-
sa: essa, anzi - come hai appreso - è per sé un relativo. Non vi sono dunque
un'essenza e una data cosa che è la relazione ma vi è, piuttosto, qualcosa che è
in sé relativo, non in virtù di un'altra relazione, ed ecco che, [seguendo] questa
via, le relazioni sono finite.
Quanto poi al fatto che questa intenzione per sé relativa sia in questo dato
soggetto ebbene, in quanto è in questo soggetto, la sua quiddità è intelletta in
rapporto a questo soggetto; ma essa ha [anche] un'altra esistenza [e cioè], per
esempio, l'esistenza della paternità; anche tale esistenza è relativa, però quella
non è questa383 • Sia, quindi, questa un qualcosa che accade a ciò che è relativo,
accompagnandolo necessariamente: ognuno dei due è relativo [158] per quel

alterius; alterum enim non intelligitur nisi respectu alterius, causa huius intentionis. Haec
autem intentio non intelligitur respectu alterius, scilicet causa rei quae sit alia a se, sed
inquantum in se est relatìo, sìcut tu nostì. Non enim est ibi essentia rei quae sit ad aliquid,
sed est ibi relatio per se, non per aliam relationem. Sic igitur terminabuntur relationes secun-
dum hanc viam. Sed suum esse huius intentionis quae est relatio per se in hoc subiecto, est
inquantum quidditas eius est in hoc subìecto dieta respectu huius subiecti, et habet aliud
esse, verbi gratia, esse patemitatis; et hoc esse est etiam relatio. Sed illud non est hoc. Sit
igitur accidentale ad aliquid quod comitatur ad aliquid quorum unumquodque, quantum est
350 [158]

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in se, relatum est ad id quod est relatum ad ipsum absque alia relatione; quia hoc quod dici-
tur relativum est per se; quod igitur est dictum, est relatum per se, et inquantum est patemi-
tas, est relata per se; et in hoc quod est relata per se non eget relatione qua fiat relata; quia in
se habet quidditatem intellectam respectu subiecti, scilicet quia ipsa est cuius cum intellecta
fuerit quidditas, egebit repraesentari intellectui aliquid aliud, respectu cuius hoc intelligatur.
Si autem hoc relatum accipiatur in signatis, [181] habebit esse cum alia re per se, non egens
alio cum quod sequitur ipsum; sed ipsa est ipsum cum, vel cum appropriatum specie illius
relationis, ut, ad hoc ut intelligatur, egeat intelligi cum praesentatione alterius rei, sicut quid-
TRATTATO TERZO- SEZIONE DECIMA 351

che gli è relativo, per sé, non in virtù di un'altra relazione; il fatto di essere un
predicato è relativo per sé e il fatto di essere "paternità" [e cioè la paternità] è
divenuto relativo per sé384 . Il fatto stesso di essere [questo predicato] è relativo
per sé e non ha bisogno di un'altra relazione in virtù della quale divenire rela-
tivo; esso, anzi, è per sé una quiddità intelligibile in rapporto al soggetto e cioè
è tale che, una volta che la sua quiddità venga intelletta, questa ha bisogno che
nella mente si assuma un'altra cosa in rapporto alla quale esso possa essere
intelletto.
Anzi, una volta che questo si prenda in considerazione come relativo nei
[singoli] individui, esso è per sé esistente con un'altra cosa e non a causa di un
altro essere con385 che lo accompagni. Anzi, esso stesso è lo stesso con e l'esse-
re con specifico della specie di quella data relazione; e una volta intelletto386 si
ha bisogno, perciò, che esso sia intelletto assumendo [insieme con esso]
un'altra cosa, come è per la quiddità della paternità in quanto paternità387 :
l'essenza [della paternità], infatti, è relativa per sé, non in virtù di un'altra
relazione che la connetta [alla cosa]. È all'intelletto che appartiene di inventa-
re che esista qualcosa [d'altro] fra le cose [cioè fra di essa e ciò che le è connes-
so]388, come se vi fosse un essere con esterno alle due [cose], cui la [loro] stes-
sa rappresentazione non è costretta [a ricorrere], ma che è invece un'altra389
delle considerazioni concomitanti che l'intelletto produce; l'intelletto, infatti,
può associare le cose con le cose per varie considerazioni, senza obbligato-
rietà, ma in se stessa, [la paternità] è una relazione che non è in virtù di
un'altra relazione: essa è una quiddità che per sé viene intelletta in rapporto ad
altro.
Vi sono molte relazioni che si accompagnano ad alcune essenze per sé,
non a causa dell'accadere di un'altra relazione, ma [che accadono] anzi come
questa relazione che si accompagna alla relazione della paternità390 . E tale

ditas paternitatis, inquantum paternitas, est relata per se, non per aliam relationem ligantem.
Intellectus enim habet adìnvenire aliquid inter ea duo, quasi cum sit extra ea duo, quod ali-
quid adinvenire formatio non fecit necessarium, sed alius ex respectibus sequentibus, quos
facit intellectus. Intellectus enim coniungit res cum rebus, propter diversitatem respectuum,
non propter necessìtatem. Sed in seipsa est relatio, non per talem relationem, cuius quidditas
per se intelligatur respectu alterius. Hic enim sunt relationes multae quae comitantur aliquas
essentias per se, non per aliam relationem accidentem, sicut contingit hanc relationem con-
sequi relationem paternitatis; et sicut contingit relationem sequi dispositionem scientiae,
352 [159)

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quae non sequitur ipsas res per aliam relationem, sed sequitur eam per se, quamvis intellec-
tus fortasse adinveniat hic relationem.
Cum igitur notaveris hoc, tunc iam notasti quod ad aliquid est in esse, tali esse quod est
intentio cuius haec est definitio. Et haec definitio non facit ad aliquid esse nisi accidens:
cum enim intellectum [182] fuerit, erit secundum praedictum modum, et non faciet debere
esse rem existentem per se unam coniungentem inter duo. Dici enim secundum respectum
non contingit nisi in intellectu. Illud igitur est relatio intelligibilis; relatio autem adinventa
TRA TIA TO TERZO -SEZIONE DECIMA 353

[159] è il modo in cui la relazione è concomitante alla disposizione della


scienza; essa, infatti, non [le] è concomitante a causa di un'altra relazione che
sia nelle cose stesse, ma le è concomitante per sé, e [questo] benché l'intelletto
qui possa inventare un'altra relazione.
E poiché questo lo sai, sai già che il relativo si dà nell'esistenza nel senso
che gli appartiene questa definizione; questa definizione comporta necessari<t-
mente solo che, nell'esistenza, il relativo sia un accidente che, quando è intel-
letto, è nel modo che si è menzionato; essa non comporta necessariamente che
esso sia una cosa dall'essenza sussistente e una e che congiunge le due cose: il
dire "in rapporto" si produce solo nell'intelletto. [Il rapporto], infatti, è in virtù
della relazione che è nell'intelletto, mentre la relazione che è nell'esistenza391
è ciò che abbiamo già mostrato e cioè il fatto che l'intelligibile della quiddità
sia tale che, una volta intelletto, è "in rapporto" [a qualcos'altro]. II suo essere
nell'intelletto consiste però nel fatto di essere intelletto in rapporto a qualcosa
di diverso da sé e così esso nell'esistenza ha uno statuto, mentre nell'intelletto
ha un [altro] statuto: in quanto è nell'intelletto, non [è considerato] in quanto
relazione. Nell'intelletto poi possono esservi persino delle relazioni inventate
che l'intelletto produce solo a causa della proprietà che l'intelletto ricava da
esse.
Il relativo, dunque, è esistente nei [singoli] individui e si è reso evidente che
il fatto che esso esista non comporta necessariamente che vi sia una relazione
insieme a un'altra relazione, all'infinito. Né da ciò consegue che tutto ciò di coi
si ha intellezione come di un relativo abbia una relazione nell'esistenza.
Quanto poi all'anteriore e al posteriore nel tempo e al fatto che uno dei due
sia inesistente e ciò che vi è di simile, ebbene - sappilo - l'anteriorità e la
posteriorità sono due relativi che stanno tra l'esistenza- quando è intelletta-
e l'intelligibile, il quale -devi sapere -non è ricavato dall'essere proprio
[della cosa]. [160] In se stessa, infatti, la cosa non è anteriore se non per una

est id quod iam ostendimus, scilicet cuius esse, inquantum intelligitur, est intellecta quiddi-
tas in respectu; eius vero esse in intellectu, inquantum intelligitur respectu alterius, habet in
esse iudicium et in intellectu iudicium, secundum quod est in intellectu, non inquantum e~t
relatio. Possunt autem esse in intellectu relationes adinventae, quas intellectus non intelligit
nisi propter proprietatem quam habet intellectus ex illis. lgitur ad aliquid habet esse in sit1-
gularibus, et ostensum est quod eius esse non facit debere esse hic relationem relationi sine
fine, nec sequìtur ex hoc ut omne quod intelligitur relatum, habeat in esse relationem.
Eorum autem quae sunt prius et posterius in tempore et quod est huiusmodi, unum e~t
privatum, sed inter aliqua quae sunt prius et posterius sunt duae relationes, sicut inter es~e
354 _rW1 J...ùll - -.:Jl:l1 :JU!.1 [160]

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quando intelligitur et inter intellectum quod non accipitur ex esse proprio. Scias autem quod
res in se non est prius, nisi eo quod est simul cum ea, et hoc species prioris et posterioris est
cum utraque sunt simul in intellectu. Cum enim praesentatur in intellectu forma prioris et
forma posterioris, [183] inte!liget anima hanc comparationem incidere inter duo quae sunt in
intellectu, quoniam haec comparatio est inter duo quae sunt in intellectu. Sed ante hoc, res in
se non est prior; quomodo enim erit prior re quae non habet esse? lgitur quae fuerint de rela-
tivis secundum hunc modum, non erit eorum relatio nisi in solo intellectu; nec intelligentur
existere in esse secundum hanc prioritatem et posterioritatem. Hoc enim prius et posterius
est certe de intentionibus intelligibilibus ex comparationibus quas ponit intellectus ex
respectibus qui acquiruntur rebus, cum comparat inter eas intellectus et designat eas.
TRATIATO TERZO- SEZIONE DECIMA 355

cosa che esiste con essa; e questa specie di anteriore e di posteriore è qualcosa
che esiste nella mente per i due estremi insieme: quando nella mente sono pre-
senti la forma di quel che è anteriore e la forma di quel che è posteriore,
l'anima ha intellezione di questa rapportabilità che sussiste fra due [cose] che
esistono [nella mente] (fi-hi): questa rapportablità è, infatti, tra due [cose] che
esistono nell'intelletto. Ma prima di [essere nell'intelletto] la cosa in se stessa
non è anteriore; come potrebbe essere anteriore a qualcosa che non è esistente?
Le cose relative che sono in questo modo sono dunque relazionabili solo
nell'intelletto e non hanno ne Il' esistenza un'intenzione sussistente in relazione
a questa [determinata] anteriorità e a [questa determinata] posteriorità.
Piuttosto, questa [determinata] anteriorità e [questa determinata] posteriorità392
sono realmente una delle intenzioni intellettuali 393 e delle comparazioni
(muniisabiit) che l'intelletto suppone, e sono [una] delle considerazioni che si
danno per le cose quando l'intelletto, riferendosi ad esse, le mette fra loro in
rapporto 394 .
~1)1 AJWI

TRATTATO QUARTO

TRACTATUS IV
INTRODUZIONE

Sezione prima

[163,4-164,5] Anteriorità e posteriorità sono concetti di capitale importanza


per un pensiero, quale quello avicenniano, che per rendere ragione dell'ordina-
mento e della differenziazione degli enti si affida al criterio della gerarchia. In
tal senso, la discussione che occupa questo quarto trattato è propedeutica a quel-
la della causalità (e cioè ai trattati VI e VIII). Anteriorità e posteriorità sono esa-
minate ali' interno della discussione su ciò che può essere assimilato ai caratteri
propri (lJawii~~) e agli accidenti necessari (lawiizim) dell'esistenza (o essere). La
prima generale proprietà dei due concetti sembra risiedere nel loro carattere di
relativi: anteriore (mutaqaddim) e posteriore (muta'a!Jbir) non possono essere
definiti indipendentemente; il primo si definisce in quanto "ha qualcosa che quel
che è posteriore non ha", mentre il secondo "non ha niente che non esista anche
nell'anteriore". Dopo aver dato questa generica, nonché problematica (bi-l-
taskfk) definizione, Avicenna passa in esame i diversi campi in cui più comune-
mente i due concetti trovano applicazione. Così, presentati con quella che
potrebbe definirsi una nota di storia linguistica (riferiti in un primo momentc>
agli ordinamenti spaziale e temporale, i nomi dell'anteriore e del posteriore pas·-
sarono solo in un secondo tempo a indicare in modo astratto il rango degli enti
in un dato ordinamento), i due termini rivelano il loro carattere prettamente con·-
venzionale e, anche in questo senso, "relativo": anteriore e posteriore sono l'une>
legato all'altro, dipendendo ambedue da un determinato punto di partenza; se ii
punto di partenza vien fatto mutare, anch'essi- di conseguenza- mutano.
[164,6-167,5] Un caso a parte è costituito da ciò che si dice anteriore in
relazione alla nozione stessa. In esso rientrano l'anteriorità nel merito (l'eccel-
lente, il più nobile, etc.) e quella nell'esistenza che si dice, per esempio,
dell'uno rispetto al due o ai molti. Questo senso di anteriorità non riguarda una
serie data (l'uno esiste anche in assenza del due o dei molti) e tale distinzione
permette di affrontare quel modo dell'anteriorità che più interessa la dottrina
della causalità. All'interno dell'anteriorità nell'esistenza, oltre all'anteriorità
che riguarda la condizione (sar!) d'esistenza di una cosa (è il caso dell'une>
rispetto ai molti), si distingue, infatti, quella che riguarda l'ottenimento o ii
darsi dell'esistenza (J:tu~iil al-wugiid) e che si dice precisamente di ciò che "fa
acquisire" (tufidu) l'essere o esistenza.
360 TRATTATO QUARTO

La definizione dell'anteriore in questo secondo senso richiama da vicino la


dottrina dell'emanazione (si ricorderà che il termine ifada- "far acquisire"- è
stato già utilizzato per descrivere l'azione della prima Causa agente; cfr. Ilah.
I, 3, p. 18): il discorso si trasforma quindi in una trattazione della possibilità e
della necessità. Il rapporto tra causa e causato è illustrato con un esempio che
occorre spesso anche in altre opere avicenniane: l'esempio della mano che,
con il proprio movimento, "muove" la chiave nella toppa. Il moto (al-ta/:zrfk:
letteralmente: "il far muovere", "la mozione") della mano e quello della chia-
ve (f:zarakat al-miftal:z) sono infatti "insieme" in senso assoluto ma, proprio in
virtù della loro assoluta simultaneità, illustrano chiaramente come il rapporto
tra la causa e il causato non debba essere concepito come un rapporto di ante-
riorità e posteriorità temporale, bensì come un rapporto di anteriorità e poste-
riorità essenziale; anche nel caso di una contemporaneità di causa e causato
l'intelletto stabilisce, infatti, una relazione fra il moto della mano e quello
della chiave nei termini del "prima" e del "poi": l'intelletto accetta che si dica
"la mano si è mossa e quindi si è mossa la chiave", mentre rifiuta qualunque
proposizione che abbia l'ordine inverso.
La questione della concomitanza o, impropriamente, della contemporaneità
tra causa e causato trascina con sé quello che può esser definito un assioma
della filosofia avicenniana: le cause "vere" o "reali" si danno sempre insieme
ai causati. E si noti che è precisamente su questo fondamento (l'autentica
causa agente è con il suo causato) che l'idea dell'eternità del mondo si sostie-
ne nel sistema di Avicenna. Bisogna dunque distinguere tra cause vere e cause
possibili: quando la condizione della causalità è nella stessa essenza della
causa, finché l'essenza della causa esiste, la causa è causa e, di conseguenza,
esiste necessariamente anche il causato; se, invece, la condizione della causa-
lità non risiede nell'essenza della causa, ma in qualcosa che le si aggiunge
(come è in tutte le cause possibili), la causa è tale solo in relazione all'attuarsi
della condizione che deve accompagnarne l'essenza: a esser "causa", allora,
non sarà più semplicemente l'essenza di quella cosa che chiamiamo "causa",
ma questa e, insieme ad essa, ciò che le si accompagna. Il termine "condizio-
ne" (sart) si rivela così come un termine essenziale alla teoria della causalità
avicenniana: le condizioni (al-surut) sono quelle relazioni o quegli aspetti che
devono accompagnare le cause possibili (al- 'ila!) affinché esse divengano
cause in atto ed esercitino il proprio potere causale. La nozione di condizione
della causalità serve quindi ad Avicenna a rendere conto della causalità non
necessaria ossia di quella causalità che può attuarsi e non attuarsi. Se, infatti,
la causa fosse semplicemente definita come ciò che dà luogo al causato, non si
potrebbe dare ragione né dell'azione umana, la quale può verificarsi come non
verificarsi, né di una qualunque delle cause sublunari. Solo una causa in cui la
"condizione della causalità" sia interna all'essenza e con essa coincidente è
una causa necessaria; e in questo senso l'unica causa che sia realmente (bi-1-
/:taq!qa) tale è il Primo, l'ente necessariamente esistente.
INTRODUZIONE 361

[167,6-169,14] La seconda parte della sezione è dedicata alla confutazione


di una possibile obiezione (forse da ricondurre all'ambiente as'arita): la con-
comitanza di causa e causato potrebbe far credere che essi siano interdipen-
denti, senza anteriorità della prima rispetto al secondo. L'anteriorità della
causa si appalesa, tuttavia, non appena ci si fermi a considerare il significato
che il termine id/i ("se" o "quando") ha nella proposizione "se (o quando) c'è
uno dei due, allora c'è l'altro". Dei quattro significati eventualmente attribui-
bili a questa proposizione, Avicenna dimostra come sia vero solo il terzo (e in
parte il quarto), secondo il quale "se uno qualunque dei due elementi è esisten-
te, si dà l'altro nell'intelletto" 1: data l'esistenza di uno dei due, si inferisce
l'esistenza del secondo. Altrimenti, la proposizione non può essere intesa se
non ponendo come soggetto la causa: è solo quando ad avere esistenza è la
causa e in modo concomitante al causato che allora esiste il causato. Lo stesso
vincolo è del resto esprimibile nei termini della rimozione (ed è questo un
tema centrale, che Avicenna ha già affrontato nel II trattato). L'argomento
della rimozione funziona, infatti, come una sorta di cartina di tornasole delle
dimostrazioni già percorse: rimuovere la causa significa rimuovere il causato,
mentre rimuovere il causato non comporta affatto la rimozione della causa.
[169,14-fine] Nell'ultimo paragrafo è introdotto l'argomento della seconda
sezione, dedicata ai concetti di atto e potenza che in quelli di anteriorità e
posteriorità trovano il loro sfondo logico.

Sezione seconda

[170,4-172,12] Seguendo in parte il percorso della Metafisica di Aristotele


(cfr. Metaph., V [~], 12; per tutta la sezione, cfr. IX [8), 1-9), Avicenna
distingue sei significati di "potenza": forza (vs. debolezza); impassibilità (vs.
passibilità); potere (vs. incapacità); potenza (vs. atto); possibilità (vs. neces-
sità); possibilità per una linea di dar luogo a una data superficie (vs. impossi-
bilità). Il termine "potenza" (quwwa) è definito quindi in primo luogo come la
capacità, in genere propria degli animali, di compiere azioni che richiedono
grande forza; questo è il significato della "potenza" come forza fisica (e in
arabo, come in italiano, è lo stesso termine a indicare i due significati). La
"potenza" come impassibilità indica invece sia ciò che non patisce facilmente,
sia ciò che patisce raramente o che non patisce affatto; infine, "potenza" è lo
stesso principio dell'azione: il "potere" o "capacità" (qudra), il cui contrario è

1
Questi i quattro possibili significati: l) esiste uno dei due, quindi esiste l'altro; 2) esi-
ste uno dei due, quindi è già esistente l'altro; 3) se nell'intelletto esiste uno dei due, allora
nell'intelletto, cioè per la mente, deve esistere l'altro; 4) se sì ottiene nell'intelletto l'esisten-
za di uno dei due, l'altro deve essere ottenuto esistente nell'intelletto o nell'esistenza.
362 TRATIATO QUARTO

l'incapacità ('agz), è quella proprietà per cui si agisce quando si vuole e non si
agisce quando non si vuole (e questo concetto si rivelerà fondamentale per la
teologia avicenniana, cfr. infra). Gli altri due significati del termine sono più
autenticamente filosofici. Nel quarto senso, "potenza'' è il principio di muta-
mento in altro in quanto altro (cfr. ARIST., Metaph., V [Ll], 12, 1019 a 15 e ss.;
IX [8], l); nel quinto essa è la possibilità (imkiin): ciò che ha la potenza di
agire non la possiede in quanto agisce in atto, ma in quanto ha la possibilità di
agire e di non agire; con il termine "potenza attiva" si intende poi la possibilità
di agire, mentre con quello di "potenza passiva" la possibilità di ricevere
l'azione; con "atto" si intende la realizzazione o il completamento della poten-
za (anche quando si tratti di una potenza passi va e l'atto consista non in
un'azione, ma in una passione). Infine, Avicenna ricorda il significato che il
termine "potenza" ha in geometria, secondo il quale una data linea è "in poten-
za" una data superficie.
[172,17-173,12] Di estremo interesse per la dottrina emanatista è la discus-
sione che Avicenna dedica alla potenza nel senso del "potere": con essa egli
assicura una connotazione etica all'azione emanativa, l'unica attribuibile a un
Dio "necessariamente esistente".
Il ragionamento è tutto interno alla definizione già presentata: secondo tale
definizione il potere è proprio di un essere che può agire o non agire e che è,
in quanto tale, un soggetto dotato di volontà e capacità decisionale2 • Ora, se
"potente" è chi può agire come non agire, chi agisca continuamente (e quindi
il Principio) sembra non potersi dire "potente" (di ciò che agisce continuamen-
te sembra infatti doversi dire che "non può non agire"). A sostenere questa tesi
sono i teologi, i quali vincolano la nozione di creazione a quella di volontà.
Avicenna mostra però come la condizione sulla quale si basa l'attribuzione del
"potere" a un soggetto - e cioè il "se" da cui dipende la sua azione volontaria
-non sia vincolata a un tempo nel quale l'azione è supposta non essere (ossia
al prima della creazione), ma solo alla possibilità che l'azione non sia. In que-
sto senso vi è un riferimento preciso alla logica: la nozione di "potere" è defi-
nita con il ricorso a proposizioni condizionali (chi agisce è potente poiché agi-
sce se vuole e non agisce se non vuole), e una proposizione predicativa sem-
plice quale "agisce sempre (o continuativamente- dii'iman)" non può contrad-
dirne una condizionale. Implicitamente, quindi, il discorso permette di affron-
tare una questione teologica di grande importanza e di mostrare come l'idea
dell'emanazione necessaria sia perfettamente rispondente alle esigenze del
pensiero teologico. Con la discussione sulla potenza nel senso del "potere"
Avicenna fonda l'idea della volontà (e quindi della volontà divina), anziché
sulla novità dell'atto di volizione, sulla possibilità di non volere: anche la

2 Cfr. D. G!MARET, Les noms divins en lslam. Exégèse lexicographique et théologique,


Éditions du Cerf, Paris 1988, pp. 235-237.
INTRODUZIONE 363

causa che "ha sempre voluto agire", e non solo quella che lo ha voluto in un
dato momento, si può dire "potente" e l'emanazione, che in tal senso non è
una necessità naturale, si rivela conciliabile con l'idea di una volontà divina.
[ 173-13-176, 12] È ancora nell'ambito della potenza quale principio
dell'azione (quindi nel senso del potere ma anche in quello prettamente filoso-
fico di principio di mutamento in altro in quanto altro), che Avicenna passa a
considerare le potenze che regolano le azioni degli enti sublunari; alcune si
accompagnano alla ragione (nutq) e all'immaginazione (ta[Jayyul), altre non si
accompagnano ad esse e sono in tal senso irrazionali (cfr. ARIST., Metaph., IX
[8], 2). La discussione sulle potenze consente ad Avicenna di precisare il con-
cetto di condizione (sar!) della causalità, già presentato nella sezione prece-
dente. Se la causa vera è solo necessaria, e se solo la causa necessaria è in atto,
ciò che è in potenza può esser causa dell'azione solo in quanto passa all'atto;
ma per passare all'atto la causa in potenza ha bisogno che le si aggiunga qual-
cosa di esterno e questo qualcosa di esterno è la condizione della causalità.
Nelle potenze che si accompagnano alla ragione e all'immaginazione, proprie
esclusivamente degli esseri dotati di ragione, la condizione della causalità può
risiedere nella volontà, nell'ira, etc.; nelle altre, essa è data fondamentalmente
dall'assenza di ostacoli. La potenza che caratterizza l'agire umano non è quin-
di "completa" e non può da sola spiegare un'azione. Negli animali che non
sono dotati di ragione, invece, la potenza, se non è ostacolata, è tale da passare
sempre all'atto. Un'ulteriore distinzione riguarda le potenze passive che pos-
sono essere complete o manchevoli in quanto possono essere prossime
(qarlba) o remote (ba'lda "lontane"), laddove le potenze prossime sono quelle
per cui l'azione si realizza senza che vi sia bisogno di passare per una potenza
ulteriore (il fanciullo, a differenza del seme, è in potenza uomo per una poten-
za prossima). Infine, poiché le potenze si attuano nel mondo sublunare per
natura, ma anche per abitudine, per caso e per arte, Avicenna tratta delle diffe-
renze e delle affinità tra l'abito, che è alla base dell'arte, e l'abitudine.
[176,13-179,3] Fondamentale è poi la discussione della potenza nel senso
filosofico del termine (''potenza di", "possibilità" e quindi sostrato della possi-
bilità o "materia"). In tale contesto, la prima menzione riguarda la concezione
megarica, secondo la quale potenza e atto si danno simultaneamente e per la
quale è quindi la stessa idea di potenza a essere messa in discussione (cfr.
ARIST., Metaph., IX [8], 3). Con un'articolata argomentazione, Avicenna
dimostra che la possibilità non può essere concepita se non come un alcunché
di esistente in un soggetto: anche se la possibilità si potesse supporre come
una sostanza sussistente in sé, non sarebbe possibile eluderne il carattere di
relatività: la possibilità è sempre possibilità di qualcosa e, poiché non si può
dare una sostanza che sia in sé anche qualcosa di relativo, la possibilità non
può essere "sostanza", ma deve invece sempre presumere una sostanza cui
inerire. In tal modo è fondata la necessità di una materia per tutto ciò che
passa dalla possibilità all'esistenza e viene quindi a essere dopo non essere
364 TRATTATO QUARTO

stato. L'implicito riferimento alla materia contenuto in tale discussione per-


mette così di approdare all'idea della composizione ilemorfica della realtà,
dove poi il tema dell'ilemorfismo reintroduce quello della "particolare appro-
priazione" (i!Jti~ii~) della materia alla forma e richiama la nozione di "com-
plessione". Come si è osservato anche a proposito del trattato Il, questo è uno
dei punti più ambigui della costruzione avicenniana: da una parte deve esservi
assoluta contemporaneità tra materia e forma - per esempio, tra il prodursi
dell'anima e quello del corpo- dall'altra, perché la "forma del corpo" venga
ad essere, è necessario che vi sia una materia atta a ricevere la forma umana.
Non solo, quindi, a dispetto dell'idea di un'assoluta contemporaneità, la mate-
ria deve essere già complessionata per accogliere la forma, ma inoltre se la
forma non può essere emanata senza che vi sia già una complessione materiale
atta a riceverla, si finisce per delegare alla stessa materia (seppure già com-
plessionata) quella determinazione che dovrebbe venire dalla forma. Trapela,
infine, una difficoltà di carattere più generale: se il diritto (istil:zqiiq) della
forma- o dell'anima umana- ad avere esistenza è constatato a partire dalla
materia (cfr. in particolare 178,17-179,3), si finisce per dovere ammettere
l'idea di uno "sguardo" delle cause prime sulla materia (o comunque sul
mondo inferiore) che appare in sé inconciliabile con una delle premesse insop-
primibili del sistema avicenniano, secondo la quale "il superiore non agisce
nei confronti delr inferiore". [ 179,4-181 ,6] Lo stesso tema della "preparazione
a" percorre la trattazione successiva che riguarda l'azione dei corpi in relazio-
ne alle loro potenze; Avicenna dimostra come ogni corpo agisca in virtù di
una potenza in esso contenuta: anche quando i corpi agiscono in virtù di una
causa superiore, è in essi che va cercata una proprietà, facoltà o potenza; in tal
senso un corpo è appropriato o determinato per una data azione.
[181,7-fine] Il tema della potenza e del suo rapporto con l'atto viene
affrontato nuovamente alla fine del capitolo. Dopo aver ribadito la necessità di
una materia che faccia da substrato del possibile per tutto ciò che è "dopo non
essere stato", Avicenna delinea la distinzione tra la possibilità della cosa - che
è carattere dipendente dalla cosa stessa - e il potere che si ha su di essa. Il
potere che una cosa ha nei confronti di un'altra consegue alla possibilità di
esistere che la cosa stessa ha in sé e, se la possibilità della cosa dipende solo
dali' essenza della cosa, il potere che si ha su di essa dipende, invece, dalla
relazione che essa stabilisce con qualcosa di esterno. Tale distinzione, stretta-
mente legata alle discussioni teologiche (e in modo eminente a quelle dei
mu 'taziliti sul significato di "possibile" e di "inesistente"), è di capitale impor-
tanza per la metafisica avicenniana. Essa si riallaccia alla definizione di ciò
che è in sé possibile e di ciò che è in sé necessario e comporta - almeno a que-
sto livello della dottrina- una preminenza del possibile che, in tanto può esser
creato (su di esso, cioè, si ha potere), in quanto è appunto possibile in sé. Tale
preminenza assume sul piano antologico il significato dell'esistenza materiale:
il possibile (che viene a essere dopo non essere stato) è sempre preceduto da
INTRODUZIONE 365

una materia. La preminenza della possibilità o la preesistenza per il possibile


di una materia non può però essere letta nel senso di una preminenza della
potenza rispetto all'atto. Così, se nel paragrafo successivo Avicenna ricorda
gli errori di coloro che, a cominciare dagli Antichi, hanno ritenuto in diverso
modo che la potenza precedesse l'atto, egli lo fa soprattutto per salvare la pro-
pria concezione della possibilità, che non deve essere intesa in contraddizione
con l'assioma aristotelico per cui l'atto precede sempre la potenza. Il termine
di tutto è, infatti, in un principio che è sempre in atto: «qualcosa di esistente in
atto e che non sia venuto ad essere» (in quale senso vada concepita la premi-
nenza del possibile, Avicenna lo spiegherà, del resto, in Iliih., VIII, 3).

Sezione terza

In questa sezione non si presentano particolari difficoltà di interpretazione.


Avicenna distingue, tentando anche qui di tracciare una sorta di storia dei vari
termini, i significati di "più che completo" (cui corrisponde il Principio),
"completo" (cui corrispondono il Principio ma anche le intelligenze), "suffi-
ciente" (come Avicenna definisce l'anima del Tutto), "manchevole" (con cui
si qualifica tutto ciò che è nel mondo sublunare), "parte" (sia in senso generi-
co, sia nel senso della parte numerabile), "tutto" e "insieme". Sono da notare i
richiami all'uso tecnico della terminologia (cfr. ARIST., Metaph., V [A], 16; 25
e 26), distinto da quello del linguaggio comune e, per quanto riguarda la meta-
fisica, il tema neoplatonico di ciò che è "più che completo" o "al di sopra del
completo" [pp. 188-189]. Il fondamento dell'emanazione è infatti la sovra-
completezza del Primo da cui, in favore delle cose, "fluisce" o "deborda"
l'esistenza.
366 [163]

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TRACTATUS QUARTUS

CAPITULUM DE PRIORE ET POSTERIORE ET INCEPTIONE

[184] Postquam locuti sumus de his quae sunt entis et unitatis quasi species, nunc opor-
tet loqui de his quae sunt eorum quasi proprietates et accidentia comitantia. Prius autem
incipiemus de his quae sunt entis, et ex his primo de prioritate et posterioritate. Dico igitur
quod quamvis prioritas et posterioritas dicantur multis modis, taJTien fortasse conveniunt in
361

[SEZIONE PRIMA)

SEZIONE SU CIÒ CHE È ANTERIORE E CIÒ CHE È POSTERIORE


E SUL VENIRE ALL'ESSEREI

Poiché abbiamo parlato delle cose che per l'essere e l'unità occupano il
posto che spetta alle specie, conviene ora discutere delle cose che a loro riguar--
do sono al posto dei caratteri propri e degli accidenti necessariamente conse-·
guenti. Iniziamo, allora, in primo luogo, con quelle che appartengono all'esser~
e, fra queste, con l'anteriorità e la posteriorità2; e diciamo che, benché anterio--
rità e posteriorità si dicano in molti modi, essi si possono riassumere in qualco--
sa di unico, [seppure] in modo generico\ e cioè che quel che è anteriore- irt
quanto è anteriore - ha qualcosa che quel che è posteriore non ha, mentre quel
che è posteriore non ha niente che non esista anche per l'anteriore.
Noto e accettato4 fra i più è l'anteriore nel luogo e nel tempo, laddov~
l'anteriorità e il prima riguardano 5 cose che hanno un ordinamento; così quel
che è [anteriore] nel luogo è quel che è più prossimo a un determinato punto di
partenza: gli appartiene, infatti, di seguire un [dato] punto iniziale quando quel
che è dopo di esso non [lo] segue [ancora], mentre quel che è dopo di esso
segue quel dato punto iniziale quando ormai essò lo ha già seguito; e così è
anche per quanto riguarda il tempo in rapporto all'istante presente o a un
istante che si suppone come punto iniziale, fosse pure - come sai - un punto
iniziale differente nel passato e nel futuro.
Poi il nome del "prima" e quello del "dopo" sono stati trasferiti da
quest'[ambito] a tutto ciò che è più prossimo a un determinato principio; tale
anteriorità d' ordinamento6 può allora riguardare cose che sono per natura,
come il corpo è prima dell'animale [164] in rapporto alla sostanza, quando a

uno secundum ambiguitatem, scilicet quia priori, inquantum est prius, aliquid est quod non
est posteriori, sed nihil est posteriori quod non habeat id quod est prius.
Sed in usu vulgari, prius est id quod est prius loco et tempore, sic ut prior et anterior sint
in rebus habentibus ordinem, sicut est prius in loco id quod est propinquius principio termi-
nato. Erit igitur quod sequitur illud principium sic quod illud sequatur id quod est post [185)
illud; quod autem est post illud sequetur illud principium, iam autem secutum fuerat illud.
Similiter etiam fit in tempore, comparatione praesentis instantis vel positione cuiuslibet
principii, quamvis varietur in praeterito et futuro, sicut scisti. Iam autem transmutaverunt
nomen prioritatis et posterioritatis ab his principiis ad omne id quod est propinquius princi-
pio terminato. Haec autem prioritas invenitur ordinata in rebus per naturam, sicut corpus
prius est animali respectu substantiae, si substantia fuerit posita principium; sed si indivi-
368 l'l t [164]

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duum fuerit positum principium, variabitur. Similiter est in eo quod est propinquius primo
principio, sicut puer est prior viro. Et invenitur in rebus prius non natura, sed magisterio
sicut neumata musicae, < ... > cum accipiuntur ex parte gravi, ve l casu et contingentia quo-
cumque modo evenerit.
Deinde transmutaverunt illud ad alia, scilicet quia ultimum et nobile et praecedens etiam
quamvis in ignobilitate, posuerunt prius. Posuerunt igitur ipsam nobilitatem sicut principium
terminatum, de qua, si unum habuerit quod non habet alterum, alterum vero non habuerit
nisi quod habet primum, illud posuerunt prius, quia praecedens est [186] eiusmodi quod
habet id quod sequens non habet; est igitur praecedenti modus et augmentum. Et de hac
maneria posuerunt prius eum cui servitur et gubernatorem; voluntas enim accidit gubernato-
ri et non gubernato, nec accidit gubernato nisi postquam acciderit gubernatori; movetur igi-
tur voluntate gubernatoris.
TRATIATO QUARTO- SEZIONE PRIMA 369

esser posta [come] principio è la sostanza - mentre se a essere considerato


principio è l'individuo, [la cosa] è differente- e come analogamente quel che
è più prossimo al motore primo, come il fanciullo, è prima dell'uomo 7 ; [oppu-
re] può riguardare cose che non sono per natura ma che sono o per arte, come
l'armonia della musica- se assumi [quale criterio] l'acutezza [del suono],
l'anteriore è infatti diverso da quello che è se assumi la gravità - o per
Jortuna 8 o per caso, comunque sia.
Poi si è passati ad altre cose e si sono considerati anteriore "il superiore",
"l'eminente"9 e anche "il precedente", foss'anche al di fuori dell'eminenza.
Così, è la stessa intenzione [di anteriorità] a essere stata considerata come prin-
cipio determinato e, [fra due elementi], si è considerato anteriore quello che ha
qualcosa [di essa] che l'altro non ha, mentre all'altro non appartiene se non ciò
che quel dato primo [elemento] possiede. Infatti, in una determinata categoria
"quel che precede" ha qualcosa che il secondo non ha, mentre il secondo ha di
essa tutto ciò che ha il precedente e anche qualcosa di più 10 • A questo [stesso]
tipo [di anteriorità rimanda] il fatto che si siano considerati prima [degli altri]
"colui che è servito" 11 e il capo: la scelta cade, infatti, sul capo e non su colui
che è capeggiato e se cade su colui che è capeggiato, è solo in quanto cade sul
capo, così che esso si muove in virtù della scelta del capo.
Poi trasferirono tale [concetto] a quel che è [suscettibile] di questa conside-
razione in relazione all'esistenza e, [tra due cose], considerarono anteriore
quella alla quale l'esistenza [appartiene] primariamente, [e ciò] anche se alla
seconda [cosa] - alla quale per altro l'esistenza non appartiene se non in quan-
to appartiene già alla prima- non dovesse appartenere ancora un'esistenza 12 •
È come [ciò che accade con] l'uno: che esista la molteplicità, infatti, non è una
condizione per l'esistenza dell'uno, mentre il fatto che l'uno sia esistente è
una condizione d'esistenza per la molteplicità; e in ciò non è che l'uno faccia
acquisire- o non faccia acquisire- l'esistenza alla molteplicità, piuttosto 13 se
ne ha bisogno affinché alla molteplicità sia fatta acquisire un'esistenza, in
quanto essa si compone a partire [dall'uno] 14 •
Dopo ciò si è passati [a considerare] il darsi dell'esistenza da un altro
punto di vista. Infatti, se vi sono due cose tali che l'esistenza di una delle due
non viene dall'altra ma, al contrario, le appartiene a partire da se stessa oppure

Deinde transmutaverunt illud ad id quod habet hanc considerationem respectu essendi.


Id enim cui esse est prius, quamvis non sit secundum, secundum vero non habet illud esse
nisi qui a primum habuit esse prius eo, posuerunt prius ali o, sicut est unum: ad hoc enim ut
sit unum, non est necesse esse multitudinem, sed ad hoc ut sit multitudo necesse est esse
unum. Et hoc non est ideo quod unum det esse moltitudini vel non det, sed quia eget eo ad
hoc ut multitudo habeat esse per compositionem eius.
Deinde transtulerunt illud ad habendum esse alio modo. Cum enim fuerint duo quorum
unum non habuerit esse ex altero, sed ex seipso vel ex alio tertio, secundum vero habuerit
370 ,,. [165]

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esse ex hoc primo, tunc habebit debitum essendi quod non est sibi ex seipso, sed habet ex se
possibilitatem duobus modis, uno, ut primum sit tale ut, cum habuerit [187] esse, sequatur
necessario ipsum esse causam necessario essendi ipsum secundum, et tunc primum prius est
in esse hoc secundo. Et ob hoc non refugit intellectus ullo modo dicere quod, cum Petrus
movit manum suam, mota est clavis, aut dicere quod Petrus movit manum suam et deinde
mota est clavis. Refugit autem dicere quod, cum mota est clavis. Petrus movit manum suam,
quamvis dicamus quod, cum mota est clavis, scimus Petrum iam movisse manum suam.
Quamvis igitur uterque motus simul habeat esse in tempore, tamen intellectus attribuit uni
eorum prioritatem et alteri posterioritatem, eo quod motus secundi non est causa essendi
motum prioris, immo motus prioris causa est essendi motum secundi. Non est enim longe
TRATIATO QUARTO- SEZIONE PRIMA 371

a partire da una terza cosa- [165] mentre l'esistenza della seconda viene da
questa prima - ecco che [la seconda cosa riceve] dalla prima la necessità
dell'esistenza, che non appartiene alla sua essenza per se stessa, poiché, per se
stessa, le appartiene piuttosto la possibilità; [la seconda cosa riceve la neces-
sità dell'esistenza] se si ammette che all'esistenza della prima [cosa], fin tanto
che essa esiste, consegua di essere causa della necessità d'esistenza della
seconda [cosa].
La prima [cosa], infatti, è anteriore alla seconda nell'esistenza. Per questo
l'intelletto non negherà affatto che diciamo: "poiché Zayd ha mosso la propria
mano, si è mossa la chiave", o che si dica: "Zayd ha mosso la propria mano e
quindi si è mossa la chiave", mentre negherà che si dica: "poiché si è mossa la
chiave, Zayd ha mosso la propria mano"; [e questo] anche se si dice: "poiché si
è mossa la chiave, sappiamo che Zayd ha mosso la propria mano". L'intelletto,
perciò, nonostante la coesistenza dei due movimenti nel tempo, suppone per
uno dei due un'anteriorità e per l'altro una posteriorità; dato il primo movimen-
to, infatti, la causa della sua esistenza non è il secondo movimento'\ mentre la
causa dell'esistenza del secondo movimento è il primo movimento 16 •
E non è inverosimile che la cosa, fin tanto che esiste, debba essere obbliga-
toriamente causa di un'altra cosa. E in realtà nessuna cosa può essere legitti-
mamente causa di un'altra, se non in quanto quest'altra cosa è con essa 17 • E
perciò, se condizione del fatto che [una data cosa] sia causa è la sua stessa
essenza 18 , finché la sua essenza è esistente, essa è una causa ('il la) e una
ragione (sabab) per l'esistenza della seconda [cosa]. Se, invece, condizione
del suo essere causa non è la sua stessa essenza, allora per sé la sua essenza è
tale che la cosa può provenirne o non provenirne 19, nessuno dei due estremi
essendo più degno dell'altro e, analogamente 20 , quel che [da essa] è generato è
possibile che sia e possibile che non sia. Ma non è in quanto è possibile che
sia che [quel che è generato] è esistente, né è in quanto è possibile che lo
generi, che ciò [che lo genera] è datore dell'esistenza: il fatto che una cosa si
dia a partire da ciò che può generarla non si deve al fatto stesso che esso può
generarla; [ 166] infatti, il suo stesso esser tale da poter generare non è suffi-

aliquam rem esse quae, cum habuerit esse, necessario debeat esse vera causa alicuius, et
impossibile est aliquid esse eiusmodi ut sit vera causa alterius et illud non habeat esse cum
eo. Si autem ipsa essentia eius fuerit condicio ipsum essendi causam, tunc, quamdiu essentia
eius habuerit esse, eri t causa et occasio essendi secundum. Sed, si ipsa sua essentia non fue-
rit condicio ipsum essendi causam, tunc ipsum per se est sic quod possibile est rem esse ex
eo et possibile est non esse, et neutrum eorum dignius est altero ad hoc.
Similiter etiam quod generatur, possibile est esse et possibile est non esse. Non enim,
inquantum est possibile esse, habet esse, nec inquantum possibile est ut illud generet istud,
illud attribuit esse huic, [188] quoniam res quam possibile est esse, non est ob hoc quod pos-
sibile est illam generaci ab illa; hoc enim quod possibile est per ipsum fieri aliud non est suf-
372 [166]

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ficiens ad hoc ut res sit per illud. Cum autem ipsum suum esse fuerit possibile et non suffi-
ciens, aliquando tunc res erit cum eo et aliquando non, et tunc eius comparatio ad id quod
erit vel non erit, in utraque disposi tione una erit.
Sed in dispositione qua discemitur esse a non esse, non erit talis discretio qualis est
discretio comparationis quae est causati cum possibilitate sua essendi per causam, scilicet
per quam variatur dispositio non essendi causatum per causam, quamvis possibile sit ipsum
esse per causam. Igitur possibilitas rem essendi per causam, quantum ad ipsam essendum
per illam et non essendum per illam, una est; et cuius comparatio fuerit ad essendum rem
per illam et non essendum rem per illam, una, ipsam esse causam non est dignius quam non
TRATTATO QUARTO- SEZIONE PRIMA 373

ciente affinché la cosa sia da esso generata21 • Se il suo stesso essere consiste
nel fatto che è tale da poter generare [qualcosa], ecco che- non essendo suffi-
ciente [a generare] - con la cosa, esso potrà una volta essere esistente 22 e
un'altra volta non essere esistente, essendo in entrambi i casi il suo rapporto
con quel che si genera e con quel che non si genera uno stesso rapporto 23 .
Relativamente a quello stato in cui genera si distingue da non genera,
distinguere la situazione (amr) per cui il causato esiste insieme al suo poter
provenire dalla causa non [significa avere operato] una distinzione tale che a
ciò si opponga il fatto che il causato non abbia esistenza a partire dalla causa e
insieme ad esso si dia il suo poter provenire dalla causa24 • [In un caso simile]
il rapporto del provenire [della cosa] dalla causa25 sarebbe - con l'esistenza
della cosa a partire dalla [causa] e con la sua inesistenza a partire da essa-
uno stesso rapporto; e ciò il cui rapporto con l'esistenza della cosa da sé e con
l'inesistenza della cosa da sé è un [identico rapporto] non è più degno di esse-
re causa di quanto sia di non esserlo. L'intelletto sano, invece, vuole necessa-
riamente che vi sia uno stato in virtù del quale l'esistenza [della cosa a partire
dalla causa] si distingua dalla sua inesistenza.
Ma poi, se anche un tale stato comportasse necessariamente tale distinzione,
una volta che per la causa si fosse dato e fosse esistente lo stato [che la porta a
causare], ad essere "causa" sarebbe quell'insieme costituito dall'essenza [della
causa] e da quel che la accompagna e, anteriormente a ciò, l'essenza [della
causa] sarebbe [solo] il soggetto della causalità26 • Essa27 sarebbe cioè [solo]
quel che può legittimamente divenire causa e questo [suo] essere non coincide-
rebbe allora con lo stesso essere della causa ma sarebbe, piuttosto, un essere
tale che, una volta che gli sia aggiunto un altro essere, si darebbe la causa,
costituita dall'insieme dei due 28 . È [cioè] a partire da questo [insieme] che
dovrebbe provenire il causato ed è indifferente: consista tale [essere aggiunto]
in una volontà29 , un desiderio, ira o in una natura che viene a essere [nella
causa] o in altro, o consista invece in qualcosa di esterno e che vada atteso per
l'esistenza della causa, è solo allora che l'esistenza del causato sarà necessaria,
poiché [solo allora la causa] è venuta a essere tale che, legittimamente, ne pro-
viene il causato, senza che manchi nessuna delle restanti condizioni 30 .

esse causam. Sed certus intellectus facit debere hic esse dispositionem qua discematur suum
esse per illam a suo non esse per illam. Si autem fuerit illa dispositio etiam quae faciat debe-
re esse hanc discretionem, et haec dispositio fuerit attributa causae et habuerit esse, tunc
totalitas [ 189] essentiae et eius quod adiungitur ei eri t ipsa causa; ante hoc autem, essentia
erat subiectum causalitatis et erat talis quod posset vere fieri causa. Et ideo hoc esse non erat
tunc esse causae, sed cum adiungitur ei aliud esse, ex eius coniunctione fit causa; et tunc
causatum debet esse per illam, sive illud adiunctum sit voluntas, sive voluptas, sive natura
contingens et similia, sive aliquid extrinsecum parans esse causalitatis; et cum fuerit eiu-
smodi proveniet ex ea causatum sine diminutione condicionis et debebit esse causatum.
374 \W [167]

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Igitur esse omnis causati necessario est cum esse suae çausae, et propter esse suae causae
necessario est esse sui causati, et sunt simul in tempore vel inrellectu vel in aliis, sed non
sunt simul in respectu habendi esse; esse enim illius non provenit ex isto, quia illud habet
acquisitionem essendi quae non est ex esse istius, et huic est acquisitio essendi quae est ex
esse illius. Illud igitur est prius comparatione acquisitionis essendi.
Si quis autem dixerit quod, postquam unumquodque eorum sic est quod, cum unum
eorum fuerit, erit et alterum, et cum remotum fuerit unum, removebitur alterum, tunc non est
unum eorum causa et alterum causatum, eo quod unum eorum non est dignius esse [190]
causam in esse quam alterum, respondebimus ad hoc, sed postquam consideraverimus quid
TRATIATO QUARTO- SEZIONE PRIMA 375

[ 167] L'esistenza di un causato è dunque sempre necessaria insieme


all'esistenza della sua causa e dall'esistenza della sua causa viene necessaria-
mente l'esistenza del causato. I due sono insieme nel tempo o nella durata o
altro 31 , ma non sono insieme in rapporto all'ottenimento dell'esistenza; 2 •
Questo perché l'esistenza di quella non si dà a partire dall'esistenza di questo:
alla [causa], infatti, appartiene di ottenere un'esistenza che non dipende dal
fatto che [il causato] ottenga l'esistenza, mentre a quest'ultimo appartiene
d'ottenere un'esistenza che dipende dal fatto che quella abbia ottenuta l'esi-
stenza; la [causa], dunque, è anteriore riguardo all'ottenimento dell'esistenza.
Qualcuno [però] potrebbe dire: se ognuno dei due è tale che quando esista
uno, esiste l'altro e quando uno sia rimosso, è rimosso l'altro, allora non è che
uno dei due sia causa e l'altro causato, poiché nell'esistenza nessuno dei due è
più degno di essere causa di quanto non lo sia l'altro 33 .
Noi a ciò risponderemo dopo aver considerato34 che cosa implichi il senso
di questa affermazione. Dunque: non è che quando esiste uno dei due - indif-
ferentemente - esiste l'altro, senza distinzione o differenza, e questo perché
non si può sfuggire a tali alternative, (e cioè che] con "quando" si intende
[dire]:
[a] o che quando si sia data l'esistenza di uno qualunque dei due, è neces-
sario che- nella stessa esistenza- si dia l'altro;
[b] o che quando si sia data l'esistenza di uno qualunque dei due, è neces-
sario che -nell'esistenza -si sia già data l'esistenza dell'altro;
[c] oppure che quando si sia data l'esistenza di uno qualunque 35 dei due
nell'intelletto, è necessario che si dia l'altro nell'intelletto;
[d] oppure che quando si sia data l'esistenza di uno qualunque dei due, è
necessario- per l'intelletto- che si sia già dato l'altro, nell'esistenza oppure
nell'intelletto.
Il termine "quando", infatti, in simili passaggi è equivoco e induce in errore36 .

contineat sensus huius quaestionis, scilicet quoniam non est verum ut, cum unumquodlibet
eorum habuerit esse, habeat esse et alterum sine differentia et diversitate.
Sensus enim de cum intelligitur aut ut, cum esse uniuscuiuslibet eorum acquisitum fue-
rit, debeat ex hoc in esse ut iam si t acquisitum esse alterius, aut ut, cum esse uniuscuiuslibet
eorum acquisitum fuerit in intellectu, debeat alterum acquiri in intellectu, aut ut, cum esse
uniuscuiuslibet eorum acquisitum fuerit in intellectu, debeat ex hoc ut alterum iam acquisi-
tum sit in esse, aut ut, cum unum fuerit in esse, alterum acquisitum sit in intellectu. Hoc
enim verbum cum vel quando in huiusmodi locis est commune et deceptorium.
376 \'\A [168]

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Dico igitur quod primum est falsum et non concessum. UJlum enim eorum tantum est
quod, cum acquisitum fuerit, debet ex eo [191] acquiri alterum <... >; immo causa est quae
acquiritur cum acquisitum fuerit causatum.
Secundum vero non est certum ex parte causae, quoniam non, cum fuerit causa, debet in
esse causatum acquiri ex seipso ve! sine causa, quonìam si ipsllm iam acquisitum est, tunc
non debuit in esse acquiri causa ut habeat esse causa, sed erit qvod illud iam acquisitum est,
et sufficiens est sibi ad suum esse; per hoc autem quod dicirous iam acquisitum est, non
intelligimus quod praeteriit. Coniunctio autem, scilicet cum est hoc, est illud, certificatur ex
parte causati duobus modis: primo quod, cum causae fuerit acquisita essentia, non est hoc
debitum ex acquisitione causati. Secundo, quod rei quae iam lJCquisita est, impossibile est
TRATTATO QUARTO~ SEZIONE PRIMA 377

[168] Dunque: la prima [ipotesi]- diremo- è menzognera e non ammissi-


bile; è [solo] uno dei due, infatti,- e cioè la causa- quello a partire dal qualt!,
una volta che si sia dato, è necessario che si dia l'altro, successivamente alla
sua possibilità. Il fatto che si dia il causato non rende necessario che si dia }a
causa, ma al contrario la causa si sarà già data affinché si possa dare il causato,
La seconda ipotesi non corrisponde a verità dal lato della causa: non è che
se esiste la causa, il causato sia stato reso necessario nell'esistenza, essendoi>i
già dato da sé o in virtù di qualcosa di diverso dalla causa; e questo perché se
[il causato] si è già dato, non è stato necessario nell'esistenza a partire d~tl
fatto che si sia data la causa, giacché la causa esiste, mentre quella [entità che
è il causato] si sarebbe data come indipendente nell'esistenza; a meno che con
"essersi data" si intenda non il fatto che è passata, ma invece la concomitart-
za37. Inoltre, da due punti di vista [questa ipotesi] non corrisponde a verità
neppure dal lato del causato: perché anche se la causa ha un'essenza data, ciò
non è necessario 38 a partire dal fatto che si sia dato il causato e, in secondo
luogo, è impossibile che l'esistenza della cosa che si è già data sia necessaria a
partire dal fatto che si sia data una cosa che si suppone si [debba ancora] dare;
a meno che con 1'espressìone "sì è data" non sì intenda ciò che l con essa] :ù
deve comprendere, [ma qualcos'altroP 9 .
Delle ultime due ipotesi, è valida la prima. Si può dire, infatti, sia che
quando la causa esiste nel!' intelletto, è per l'intelletto necessario che
nell'intelletto si dia il causato di cui quella causa è la causa per essenza, sia
che, quando il causato esiste nell'intelletto, è necessario che nell'intelletto 5i
dia anche l'esistenza della causa40 . La seconda- che è la quarta ipotesi- cor-
risponde a verità se dici: se esiste il causato, l'intelletto è testimone del fatto
che per la causa si sarà senz'altro già data un'esistenza completa affinché 5i
dia [169] il causato; ed essa nell'intelletto potrà esservi dopo il causato, non

debere esse suum esse acquisitione rei quae ponenda est acquisita; nos enim non intelligi-
mus per hoc quod dicimus acquisita est sensum eius.
Sed aliarum duarum partium divisionis prima est vera. Potes enim dicere quod, cuJll
causa fuerit in intellectu, debet acquiri causatum [192] eius in esse cuius ipsa est causa per
essentiam in intellectu, et etiam cum causatum fuerit in intellectu, debet etiam acquiri jn
intellectu esse causae.
Per secundam vero, quae est quartum membrum divisionis, certificatur tua dictio, scili-
cet quod, cum habuerit esse causatum, testificabitur intellectus quod causae iam omnino
acquisitum est esse sine dubio < ... >. Quae aliquando eri t in intellectu post causatum, non
378 \'l~ [169]

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tantum in tempore, nec sequitur certificari membrum ultimurn istarum duarum divisionum
quae continentur in quarta, per id quod tu iam notasti. Similiter in membro quarto, quia, cum
remota fuerit causa, removetur causatum, sed remoto causato, uon removetur causa. Scimus
autem quod causa iam remota est in se cum potuit removeri causatum, quia cum nos poni-
mus causatum remotum, iam ponimus id quod necesse est poni cum eo in potentia, scilicet
quoniam ipsum est cuius, si possibilis fuerit remotio, non est (>ossibilis nisi quia removetur
causa. Sed non remotio causati ve! positio eius est causa rernotionis causae ve! positionis
eius. Remotio vero causati est signum remotionis causae et positio eius est signum positionis
eius.
TRATIATO QUARTO- SEZIONE PRIMA 379

soltanto in senso temporale, senza che - per quel che già sai - con ciò conse-
gua che sia vera l'altra di queste due ipotesi che rientrano nella quarta41 •
E così è per la parte che riguarda la rimozione. Se rimuoviamo la causa,
infatti, avremo in realtà rimosso il causato mentre, se rimuoviamo il causato,
non avremo rimosso la causa; anzi, sappiamo che - affinché sia possibile
rimuovere il causato - la causa sarà già stata rimossa in sé, prima. Infatti, poi-
ché avremo supposto la rimozione del causato, noi avremo già supposto quel
che immancabilmente con ciò si deve supporre in potenza, e cioè che la sua
rimozione fosse possibile. E se la sua rimozione è possibile, allora essa è possi-
bile solo in quanto in primo luogo è stata rimossa la causa. Infatti, la rimozione
della causa e il fatto che essa sia stabilita [esistente] sono la causa [rispettiva-
mente] della rimozione del causato e del fatto che esso sia stabilito [esistente],
mentre la rimozione del causato indica la rimozione della [causa], e il fatto che
esso sia stabilito [esistente] indica che essa è stabilita [esistente] 42 .
Torniamo a dove abbiamo lasciato [la discussione ]43 e per risolvere l' apo-
ria diciamo: non è il fatto che essi siano insieme (al-ma 'iyya) 44 a rendere
necessaria per uno dei due [elementi] la causalità, come se, essendo ambedue
sullo stesso piano per quanto riguarda l'essere insieme, nessuno dei due fosse
più degno della causalità di quanto lo sia l'altro. No! I due sono differetJ.ti
semplicemente perché l'esistenza di uno dei due, pur essendo insieme all'altta,
l'abbiamo supposta necessaria non in virtù dell'altra, mentre l'esistenza del
secondo, come l'abbiamo supposta insieme all'esistenza dell'altro, così
[l'abbiamo supposta] in virtù dell'altro45 .
Così è necessario determinare la questione. Quel che fa difficoltà qui è la
questione della potenza e dell'atto: quale dei due sia anteriore e quale dei due
sia posteriore. La conoscenza di questo [tema] è infatti una delle cose [più]
importanti per quel che riguarda la conoscenza dell'anteriorità e della poste-
riorità, essendo la potenza e l'atto stesso fra gli accidenti e i concomitatJ.ti
dell'essere e delle cose che è necessario conoscere quando si [vogliono] cono-
scere gli stati di ciò che esiste in [senso] assoluto.

Redeamus ergo ad id unde discessimus. Dico igitur de solutione [193] quaestionis, q11ia
hoc quod ego attribui uni eorum causalitatem, non est quasi unum eorum sit dignius causa.Ji-
tate quam alterum, eo quod sunt in simul et aequalia, sed quia unum eorum ponimus e~se
illud cuius esse non debet esse per aliud, sed cum alio; alterum vero ponimus esse illud
cuius esse, sicut non variatur nisi cum esse alterius, sic est et per aliud. Sic debes certificari
de huiusmodi quaestione. Dubitatur autem hic de potentia et actu, quod eorum sit prius et
quod posterius; cognitio enim istorum valde necessaria est ad cognoscendum id quod est
prius et posterius, quamvis potentia et actus sint de accidentibus esse et de consequentibus
eius, et de his quae debes scire ibi ubi cognosces dispositiones esse absoluti.
380 \V• [170]

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II
CAPITULUM DE POTENTIA ET EFFECTU ET FORTITUDINE ET DEBILITATE,
ET STABILITUR ESSE MATERIA IN OMNIBUS GENiiRATlS

Quod intelligitur de hoc nomine potentia, primum imposuerunt intentioni quae est in
animalibus, ex qua possunt provenire actiones [194] validae qu<te sunt de genere motuum,
nec sunt saepissime in plerisque hominibus in sua quantitate et qualitate, cuius contrarium
vocatur debilitas, et est quasi augmentum et vehementia intentioois quae est fortitudo, vide-
licet cum animai est eiusmodi quod provenit ex eo actio quando vult, et non provenit quando
381

SEZIONE SECONDA

SEZIONE SU POTENZA E ATTO, SU POTERE E INCAPACITÀ E SUL FATTO


CHE PER OGNI GENERATO SI DEVE STABILIRE [L'ESISTENZA DEL]LA MATERIA

Il termine "potenza" (quwwa) e ciò che ne è sinonimo sono stati posti in


primo luogo [per indicare] quel dato principio (ma 'n ii) che 46 , esistente
nell' animale4 7 , fa sì che per esso sia possibile che ne provengano 48 azioni
penose che [rientrano] nella categoria dei movimenti, [azioni] che per lo più,
per quanto riguarda la loro quantità e la loro qualità, non provengono dagli
esseri umani; ed è come se [la potenza] - il cui contrario si chiama "debolez-
za"- fosse una maggiorazione e un'intensificazione di quel che si intende con
il potere (qudra) e che consiste nel fatto che l'essere vivente sia tale che
l'azione ne proviene, se vuole, e non ne proviene, se non vuole, e il cui contra-
rio è l'incapacità49.
Poi da ciò [il termine "potenza"] è stato trasferito [a un altro significato] ed
è stato attribuito a quel dato principio (ma 'nii) per il quale, e in ragione del
quale, la cosa non patisce con facilità. E ciò perché [ci si avvedeva che po a chi
[normalmente] agisce e procura movimento con pena51 accade di patire per le
[proprie azioni], e il patire e il dolore che gli accadono lo distolgono dal porta-
re a compimento il proprio atto. Così, se pativa una passione sensibile, di esso
si diceva che si era indebolito e che non aveva "potenza", e se [invece] non
aveva patito, si diceva che aveva "potenza" e, [in tal senso], "non patisce"
indicava quel che abbiamo prima chiamato "potenza". Il nome di questo prin-
cipio (ma 'nii) lo si fece quindi divenire tale che il fatto che [una certa cosa]
non patisca se non raramente, anche non facendo nulla, si chiama "potenza".
Poi, si considerò la cosa che non patisce affatto più degna di questo [ 171]
nome e si nominò quindi il suo stato in quanto tale "potenza" 52 .

non vult, cuius contrarium est impotentia. Deinde transtulerunt ab hoc ad intentionem quae
est potentia difficile patiendi et facile faciendi, alioquin ei qui ageret actiones et motiones
validas accideret patì etiam ab illis, et tunc passio et dolor qui accideret si bi ab illis adversa-
retur ei ad complendum suam actionem. Inquantum enim patitur passione sensibili debet ut
agat debiliorem, sed si non patitur dicitur habere potentiam. Inquantum igitur non patitur,
signum est intentionìs quam prìmum vocavimus potentiam. Deinde imposuerunt eam nomcn
huius intentionìs, ìta ut, ìnquantum non patitur nisi parum, vocetur potentia, quamvis niltil
agat. Deinde rem quae non patitur ullo modo posuerunt digniorem hoc nomine, et ideo
dispositionem eius inquantum est sic, vocaverunt potentiam. Deinde fortitudìnem ipsarn
382 \VI [171]

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u ~1· . ..!ll.i~ _,t p _,t !l..:.l J!. ' ':Jt.;il J. ' ;.i~(. iJl.J

quae est dispositio animalis, ex qua est ei ut agat, sed non agit, ve! propter appetitum [195]
ve! propter privationem appetitus et remotionem instrumentorum, posuerunt potentiam, eo
quod est principium effectus.
Deinde philosophi transtulerunt nomen huius potentiae, et laxaverunt circa omnem
dispositionem quae est in aliquo principium variationis ab ilio in aliud, inquantum illud est
aliud, quamvis non sit ibi voluntas, adeo quod calorem vocaverunt potentiam, eo quod
ipsum est principium variationis ab uno in alterum, inquantum est alterum, ita ut cum homo
moverit seipsum ve! medetur si bi ipsi et ipse fuerit principium variationis a se in se, non sit
hoc inquantum ipse est recipiens medicationem et motum, sed inquantum ipse est alter,
quasi enim ipse est duo, quorum unum habet potentiam agendi et alterum habet potentiam
TRATTATO QUARTO- SEZIONE SECONDA 383

Si fece inoltre dello stesso potere (qudra) -che è lo stato53 che appartiene
all'essere vivente e in virtù del quale gli appartiene di agire e di non agire, in
misura della volontà, della mancanza di volontà e della cessazione degli osta-
coli- una "potenza" (quwwa), perché esso è il principio dell'azione.
I filosofi trasferirono quindi il nome della potenza [nella loro disciplina] e
in senso assoluto applicarono il termine "potenza" a ogni stato che in una
[data] cosa sia principio di un mutamento che da essa provenga in altro in
quanto altro; [e ciò] pur non essendoci volontà54 , al punto tale che nominaro110
il calore una "potenza" perché esso è principio del mutamento da altro in altro
in quanto altro. [E ciò] a tal punto che, quando il medico 55 muove se stesso o
cura se stesso ed è principio del mutamento da sé in sé, ciò in lui non si ha in
quanto egli [stesso] riceve la cura o il movimento, ma in quanto è altro; anzi, è
come se egli fosse due cose: una alla quale appartiene una potenza di agire e
una alla quale appartiene una potenza di patire; e sembra che le due cose elle
[lo costituiscono] (min-hu) siano divise in due parti così che, per esempio, il
motore sarà nella sua anima e il mobile nel suo corpo, ed egli sarà, in virtù
della propria forma, il motore e, nella sua materia, il mobile: egli, ctuindi, in
quanto riceve la cura è per sé diverso da quel che è in quanto cura.
Quindi, dopo ciò, poiché - nella cosa cui appartiene una potenza nel sigtli-
ficato comunemente accettato, sia essa nel senso di un "potere" o di un'inten-
sità di potenza - trovarono che non è condizione di tale potenza che la cosa in
virtù di essa sia agente in atto, ma che anzi, in quanto [la cosa ha] la "poten-
za", le appartiene una "possibilità di agire" e una "possibilità di non agire", [i
filosofi] trasferirono il nome della potenza alla possibilità e chiamarono quindi
"esistente in potenza" la cosa la cui esistenza è nel limite della possibilità; la
possibilità di ricevere la cosa e la sua passione la chiamarono "potenza passi-
va", e il compimento di questa potenza lo chiamarono poi "atto" (ji'l), ancbe
se non è un'azione (ji'l) ma, piuttosto, una passione, come "esser mosso" o
"esser configurato" o altro. Infatti, poiché [ 172] il principio che lì veniva chia-

patiendi, et videtur quod duo ipsius sint discreta in duas partes, verbi gratia, quia res quae
movet est in anima, et res quae movetur est in suo corpore. lpse est igitur movens per suarn
formam et motum in sua materia. Inquantum igitur recipit medicinam est alius a se inquan-
tum medetur. Deinde postquam invenerunt rem quae habet potentiam secundum commò-
nem usum, sive sit fortitudo sive vehementia potentiae, cum autem non est condicio illius
potentiae ut ex ea sit agens in effectu, sed, inquantum est potentia, habet possibilitatem
agendi et possibilitatem non agendi, transumpserunt nomen potentiae ad possibilitatem.
Rem igitur quae est in termino possibili-[196]tatis dìxerunt esse in potentia, et possibilita-
tem recipiendi et suae passibilitatis vocaverunt potentiam passibilitatis. Deinde perfectio-
nem huius potentiae vocaverunt actum, quamvis non sit actus sed passio, sicut motio et
figuratio et alia huiusmodi. Et quia ibi fuit principium quod vocatur potentia, et fuit radix
384 JWI J....All - ~ 1)1 -..IIJ!.I \V'l' [172]

r~l llr, u-11 J J.,~, J...-~1 w(, ' •} ~ .s~l t.Y.I .!.\la .:,l(
~•_.; S'il .y:- \.. Jl "-\; .s~l Il. ly:o ''J.; ~~ _,. \. ~ _,. lil
J_,_- J-Àl~ w_,;.·~J ' J..All (""~ ;_.; ~J.i u-11 Jl J-All u-~
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prima quae vocatur hoc nomine, quae certe non est nisi actus, ic:leo hoc cuius comparatio ad
id quod vocatur modo potentia est sicut comparatio actus ad iq quod vocaverunt antiquitus
potentiam, vocaverunt nomine actus; et intelligunt per actum atquisitionem essendi, quam-
vis ille sit passio ve! aliud quod non est actus nec passio. Ho<;: igitur est potentia passiva.
Aliquando autem vocatur potentia bonitas et vehementia istorun1.
Geometrae vero postquam invenerunt quod aliqua linea est quae est latus cuiusdam qua-
drati, et aliqua est quae non potest esse latus illius quadrati, posuerunt illud quadratum
potentiam illius lineae, quasi illud sit aliquod posse eius; et praecipue quia imaginavit ali-
quis eorum quod quadratus est proveniens ex motu illius lateris in consimile sibi.
TRATTATO QUARTO- SEZIONE SECONDA 385

mato "potenza" e che era la radice prima di ciò che veniva nominato con que-
sto nome è, per come è in realtà, solo un atto, [i filosofi] chiamarono questa
[cosa]- il cui rapporto con quel che adesso hanno nominato "potenza" è ana-
logo al rapporto che l'atto aveva con quel che prima era chiamato "potenza" -
con il nome dell'atto 56 , intendendo con "atto" il darsi dell'esistenza; [e questo]
anche trattandosi di una passione o di una cosa che non è né azione né passio-
ne; questa è la potenza passiva, e probabilmente parlarono di "potenza" per
l'abbondanza e l'intensità di questa.
Quando poi i geometri trovarono che ad alcune linee apparteneva di essere
da sé il lato di un quadrato, mentre per altre non era possibile essere lato di
quel [dato] quadrato, essi fecero di tale quadrato la potenza di quella tale linea,
come se esso fosse una cosa in essa "possibile"57 . E [questo] specialmente per-
ché alcuni di loro immaginarono che, [per esempio], questo [determinato] qua-
drato fosse venuto ad essere in virtù del movimento di quel [determinato] lato
su di uno ad esso simile.
Ora, poiché sei venuto a conoscere [che cosa sia] la potenza, sai già [che
cosa è] ciò che è potente e sai che "non-potente" è o quel che è debole, o quel
che è incapace, o quel che ha facilità a patire, oppure quel che è obbligatorio58 ,
o ancora il fatto che la misura di una [determinata] linea non possa costituire il
lato per la misura di una determinata superficie59 •
Invece, fra tutte [queste affermazioni] può forse fare difficoltà la questione
deHa potenza che è nel senso del potere. Si ritiene, infatti, che essa non sia esi-
stente se. non in ciò (li-mii) cui appartiene di per sé di agire e di non agire e
così, se si tratta di ciò cui appartiene di per sé soltanto di agire, [alcuni] non
ritengono che a [questo riguardo si possa parlare di] potere. Ma questo non è
vero. Infatti, se questa [certa] cosa che agisce soltanto agisce senza volere e
senza avere volontà, allora essa non ha né potere né potenza in questo senso;
ma se, invece, essa agisce in virtù di una volontà e di una scelta, solo che è
dalla volontà continuativa [173] e la sua volontà non muta in modo casuale o

Cum autem scieris potentiam iam scies potentem, et scies quod impotens est ve! debilis,
ve! invalidus, ve! ille qui est facilis ve! necessarius ad patiendum, ve! mensura linearis, cum
non est latus mensurae superficialis positae.
Et ex his omnibus dubitatur de potentia quae intelligitur fortitudo. [197] Putatur enim
quod ipsa non habet esse nisi cum est eiusmodi quod agit et eiusmodi quod non agit. Cum
autem est eiusmodi quod agi t tantum, non videtur esse fortitudo. Hoc autem non est certum,
quia, si haec res quae tantum agit, agit non volens, et non est alicuius appetens, tunc illud
nec est potentia nec fortitudo secundum hanc intentionem. Si autem agit voluntate et est
voluntas perpetua, sic quod non variatur esse casuali nec potest variari variatione essentiali,
386 \W [173]

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tunc agit per fortitudinem, quia definitio fortitudinis qua eligunt isti definire eam invenitur
hic; hoc enim posse est ei ut agat cum voluerit, et non agat tum non voluerit. Sed utraque
istarum est condicionalis, scilicet ut, cum voluerit aget, et curr1 noluerit non aget; et haec non
recipiuntur in definitione fortitudinis nisi secundum quod sur1t hypotheticae. Non est autem
certitudo hypotheticae ut sit hic repetitio antecedentis ullo 'nodo vel certitudo categorica,
quia non, si certa fuerit nostra dictio quae est: "cum noluerit fton aget", sequetur certum esse
eum non velle, nec, si falsum fuerit eum nolle ullo modo, facjet debere falsam esse nostram
dictionem quae est: "curo noluerit non aget". Hoc enim inducit quod si noluerit non age t,
sicut curo voluerit aget. Cum autem certum fuerit quod, curo voluerit aget, certum erit quod,
TRATIATO QUARTO- SEZIONE SECONDA 387

il suo mutamento è impossibile per un'impossibilità essenziale60 - essa agisce


in virtù di un potere. E questo perché la definizione del potere, quella con la
quale costoro preferiscono definire [il potere], si ritrova in questo caso: di una
tale [cosa], infatti, è legittimo [affermare] che agisce se vuole e che non agisce
se non vuole. Sono entrambe [proposizioni] condizionali - cioè: "se essa
vuole, agisce" e "se non vuole, non agisce" - ed entrambe entrano a definire il
potere solo nel senso che sono due [proposizioni] condizionali. [Ora], perché
[la proposizione] condizionale corrisponda a verità, non deve necessariamente
esservi - da nessun punto di vista - aggiunta61 e veridicità di una [proposizio-
ne] predicativa. Se il nostro dire "se non avesse voluto, non avrebbe agito"
corrisponde a verità, non consegue che corrisponda a verità [affermare] "ma in
un certo momento non ha voluto"; né se "non ha affatto voluto" è falsa 62 , ciò
rende necessariamente falso che si affermi: "se non avesse voluto, non avreb-
be agito". Ciò comporta, infatti, che se non avesse voluto, non avrebbe agito,
come [d'altra parte], se vuole, agisce. E se è legittimo [affermare] che "se
vuole, agisce", è legittimo [affermare] che "se agisce, ha voluto" e cioè che se
agic;ce, agjsce jn guanto è 'potente" (çiidir). È dunQue Jegjttjmo [affermare)
che "se non avesse voluto, non avrebbe agito" e "se non ha agito, non ha volu-
to" e in ciò non è contenuto necessariamente che in un dato momento non
abbia voluto. E questo è evidente a chi conosca la logica63 .
[Ora], alcune delle potenze che sono principi dei movimenti e delle azioni
sono potenze che accompagnano la ragione e l'immaginazione, altre sono
potenze che non le accompagnano.
Quelle che accompagnano la ragione e l'immaginazione sono omogenee
rispetto alla ragione e all'immaginazione; in virtù di una [stessa] potenza si
può conoscere l'uomo e il non-uomo e a una stessa potenza appartiene di
avere percezione64 di quel che riguarda il piacere e di quel che riguarda il
dolore e di avere percezione, insomma, di una cosa e del suo contrario; [174] e

curo [198] agit iaro voluit, scilicet curo agit, agit inquanturo est potens. Certuro igitur est
quia, curo noluerit non aget, et curo non egerit non voluit; et in hoc non est aliquid ex quo
sequatur quod nolit et velit, quod satis noturo est scienti logicaro.
Haec autero potentia quae est principiuro rootuuro et actionuro, quaedaro est coroes
rationalitatis ve! iroaginationis et quaedam quae non est comes earum. Quae autem est
comes rationalitatis et imaginationis, quasi fit eiusdem generis curo illis; paene enim una
potentia potest sciri homo et non homo, et quod delectat et quod molesta! aestimare unius
virtutis est, et omnino aestimare rem et eius contrarium; unaquaeque enim harum potentia-
388 Jl:.ll J-411 - ~ 1)\ -:.l W.\ IV t [174]

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rum est potentia super rem et super eius contrarium. Sed certe non est perfecta potentia, sci-
licet principium perfecte apprehendendi in actu variationem ab uno in alterum, secundum
quod est alterum, nisi cum adiuncta fuerit ei voluntas proveniens ex sententia aestimabili
sequente imaginationem concupiscibilem ve! irascibilem ve! ex sententia intelligibili
sequente cogitationem intelligibilem ve! formationem formae intelligibilis. Cum enim
comes eius fuerit illa voluntas, nec fuerit voluntas infirma, sed prompta, concurrentibus
omnibus quae faciunt debere membra moveri, fit sine dubio in effectu principium debitae
actionis. Diximus enim [199] quod causa, interim dum non est causa debendi rem esse per
illam, causatum non habet esse per illam; ante hanc autem dispositionem non est voluntas
nisi debilis, quia non concurrunt omnia. Hae igitur potentiae quae comitantur rationalitatem,
TRAITATO QUARTO- SEZIONE SECONDA 389

così, queste stesse potenze, prese una ad una, sono una potenza per la cosa e
per il suo contrario65 . Esse, tuttavia, non sono realmente una potenza completa
_cioè un principio di mutamento da una certa [cosa] a un'altra cosa in quanto
altra, secondo completezza e in atto -, se non in quanto ad esse si accompagna
la volontà, laddove [quest'ultima] scaturisce da una credenza dell'estimativa
che segua all'immaginazione concupiscibile o irascibile, oppure da un'opinio-
né6 intellettuale che segua al pensiero intellettuale o alla rappresentazione di
una forma intellettuale. Così, se a [queste] si accompagna tale volontà, che
non è una volontà che sia ancora [soltanto] incline [all'azione], ma è invece
una volontà che decide [l'azione]- ed è cioè quell'accordo che rende necessa-
rio che si mettano in moto le membra- allora [le potenze e la volontà] 67 ver-
ranno ad essere senz'altro un principio in atto per l'azione, necessariamente.
Infatti, abbiamo reso evidente che il causato non esiste a partire dalla causa
finché quest'ultima è qualcosa che non viene ad essere causa con necessità e
la cosa ne derivi quindi necessariamente. E prima di questo stato, la volontà è
soltanto debole, non essendosi avuto un accordo. Infatti, se queste potenze che
si accompagnano alla ragione sono prese singolarmente, dal fatto che ciò che
ne patisce l'azione sia presente e si ponga con esse in quel rapporto per cui, se
esse vi agiscono, è in virtù di tale [rapporto] che agiscono, non deriva necessa-
riamente che, essendo esse ancora [soltanto] "potenza", in virtù di tale [rap-
porto] si compia un'azione. Insomma: dal loro incontro con la potenza passiva
non consegue necessariamente che compiano una determinata [azione]; infatti,
se esse agissero necessariamente a partire da sé sole, ne dovrebbero necessa-
riamente provenire sia le due azioni contrarie sia quelle fra esse intermedie, e
questo è impossibile. Anzi, se esse fossero come abbiamo detto, agirebbero
con obbligatorietà.
Quanto alle potenze che sono negli [esseri] non dotati di ragione e di
immaginazione, ebbene, non essendovi da attendere una volontà o una scelta,
una volta che esse abbiano incontrato la potenza passiva, l'azione si fa neces-
saria58. Infatti, se qualcosa da attendere c'è, sarà una natura a dover essere
attesa, ma se c'è bisogno di una natura, allora: o tale natura è il principio della

per se, ex praesentatione sui patientis et ex proventu eius ab illis non debent esse in tali com-
paratione ut, cum egerit in illud, agat per illud sic ut agat per illud cum ipsae adhuc sint
potentiae, et omnino, ex eo quod obviat potentiae patienti, non sequitur ut agat. Si enim ex
ea- sola deberet ut ageret, deberet etiam per hoc ut provenirent ex ea duae actiones contrariae
et ea quae sunt media inter eas, quod est frivolum. Cum autem fuerit sicut diximus, tunc
aget necessario.
Sed potentiae quae sunt in eis quae sunt extra rationalitatem et imaginationem, cum
obviaverint potentiae patienti, profecto debebit esse actio ibi, eo quod non est ibi voluntas
nec electio quae exspectetur. Si autem fuerit alìquid quod ibi exspectetur, fortasse natura erit
quod exspectatur; sed si eguerit natura, tunc natura illa erit ve! principium rei ve! pars prin-
390 \Vo [175]

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cipii; principium autem erit compositum ex eo quod praeteriit et ex eo quod est, et tunc erit
consimile voluntati spectatae; voluntas autem differt ab hoc inquantum scit. Si autem, cum
potentia [200] passiva obviat activae, debet ut passio proveniat in his rebus, tunc ipsa poten-
tia passiva est perfecta.
Potentia enim passiva aliquando est perfecta, aliquando imperfecta, et aliquando est pro-
pinqua, aliquando remota. In spermate enim potentia est ut fiat vir, et in puero etiam poten-
tia est ut fiat vir. Sed potentia quae est in spermate eget ut obviet sibi etiam potentia prius
movens ad aliud quam movens ad virilitatem; opus est enim ut prius trahat ad effectum ali-
quid quod non est vir, et sic deinde adaptabitur ad trahendum ad effectum virum certissime;
TRA TI ATO QUARTO- SEZIONE SECONDA 391

cosa69 , [175] oppure è una parte del principio, e il principio è [dato] dall'insie-
me di quel che c'era prima e di quel che si è attuato [poi], così che ci si trova
nella stessa situazione di quando ad essere attesa era la volontà, anche se la
volontà se ne distingue in quanto conosce.
Inoltre, quella potenza passiva che, una volta che abbia incontrato l'agente,
fa necessariamente sì che queste cose subiscano l'azione, è la potenza passiva
completa. La potenza passiva, infatti, può essere completa e può essere man-
chevole, perché può essere prossima o remota. Nel seme, infatti, c'è potenza
di divenire uomo e anche nel fanciullo c'è potenza di divenire uomo; la poten-
za che è nel seme ha però bisogno che anche un'altra potenza motrice vi entri
in contatto, prima di quella che muove 70 alla virilità: perché ha bisogno di far
passare all'atto [prima] una qualche cosa diversa dall'uomo, e poi, dopo ciò è
disposta a far passare all'atto un uomo: e in realtà è quest'ultima l'autentica
potenza passiva71 • Quanto al seme, in esso in realtà non c'è ancora una poten-
za passiva72 ; è impossibile, infatti, che sia il seme in quanto seme a subire
[l'azione di divenire] uomo; tuttavia, poiché nella sua potenza c'è di divenire
una [certa] cosa per effetto di qualcosa di diverso dal seme, e poi, dopo questa,
di passare a un'altra cosa [ancora], anch'esso è in potenza questa altra cosa73 .
Anzi, la materia prima (al-miidda al-ula) è in potenza ogni cosa: alcune delle
cose che in essa si attuano sono dunque ostacolate da altre e per quel che è
ostacolato bisogna che sia fatto cessare [l'ostacolo]; altre, invece, non sono
ostacolate da altro ma, affinché venga completata la preparazione, hanno biso-
gno di qualche altra [potenza] che [le] accompagni. E queste potenze sono una
potenza remota74 • La potenza prossima, invece, è quella che, anteriormente
alla potenza attiva di cui patisce [l'azione], non ha bisogno di essere accompa-
gnata da un'altra potenza attiva: [invece] se l'albero non è in potenza una
chiave, è perché esso ha bisogno [176] che lo incontri in primo luogo un'altra

potentia enim viri passiva haec est. In spennate autem certissime non est adhuc potentia pas-
siva virilitatis. Impossibile est enim ut, dum sperma fuerit sperma, patiatur ad essendum
virum. Sed quia fuit in eius potentia fieri aliud quam sperma, et post hoc mutatur ad aliud,
quod etiam ipsum prius erat in potentia, idcirco materia prima est omnia in potentia. Sed ali-
quid est quod cum venit in eam impedit eam ab alio, et tunc necesse est removeri illud a quo
impeditur, et aliquid est quod cum venit in eam, non impedit eam ab aliquo alio, sed eget
alio quod adiungatur sibi ad hoc ut compleatur adaptatio; et hae potentiae sunt potentiae
remotae. Propinquae vero sunt quae non egent sibi adiungi unam potentiam activam ante
aliam potentiam activam per quam patiatur; arbor enim non est clavis in potentia propinqua,
392 Jl:.ll J...ùll- ~.1)1-:J'All IV" [176]

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quia eget ut prius [201) sibi obviet potentia activa praeter potentiam activam qua fit clavis
quae est potentia incidendi, sectandi et dolandi, et post hoc adaptatur ad patiendum ab
obviatione potentiae qua fit clavis.
Potentiarum autem guaedam sunt guae proveniunt ex natura, et quaedam guae prove-
niunt ex consuetudine, et quaedam ex artificio, et quaedam ex casu. Differt autem id quod
provenit ex artificio ab eo guod provenìt ex consuetudine. Id enim guod provenit ex artificio
est id in guo ad agendum ex materiis egemus instrumentis et motibus, et anima acquirit ex
hoc aptitudinem quae est sibi quasi sit forma illius artificii. Quae autem sunt per consuetudi-
nem, sunt ea quae adveniunt ex actionibus guae non egent illìs, guia non proveniunt nisi ex
TRATIATO QUARTO- SEZIONE SECONDA 393

potenza attiva, prima della potenza attiva [che lo porta] ad essere chiave, e
cioè la potenza che afferra, che sega e che leviga; poi, dopo [tutto] questo, è
disposto a patire qualcosa dal contatto con la potenza attiva che [lo porta] ad
essere chiave75 •
[Inoltre], alcune potenze si attuano per natura, alcune si attuano per abitu-
dine, altre per arte, e poi altre ancora per caso.
La differenza tra quel che si attua per arte e quel che si attua per abitudine
sta nel fatto che quel che si attua per arte è qualcosa al cui proposito si inten-
ziona l'uso di materie, strumenti e movimenti, perché l'anima per mezzo di
ciò acquisisca un abito che è come la forma dell'arte 76 ; quel che è per abitudi-
ne, invece, è qualcosa che si attua a partire da azioni le quali non hanno in ciò
il loro scopo77 e che anzi emanano solo a partire da un desiderio o da ira o da
un'opinione; oppure [sono azioni] nelle quali l'intenzione (al-qa$d) è rivolta a
qualcosa di diverso da questo fine, cui può poi seguire un esito- che è l'abitu-
dine- senza che esso fosse intenzionato78 • E l'abitudine non è lo stesso stabi-
lirsi di tali azioni nell'anima; essa, inoltre, può non avere strumenti e materie
determinate: non è lo stesso, infatti, che un uomo79 si abitui a camminare o si
abitui a lavorare illegno80, [e questo] a partire da quel che abbiamo sostenuto;
fra le due [cose] vi è una differenza rilevante, ma nonostante ciò, se tu concen-
tri l'attenzione [ti accorgi che] ottenere l'abitudine e l'arte fanno capo a uno
stesso modo.
Fra le potenze che sono per natura, poi, vi sono quelle che sono nei corpi
dotati di vita e quelle che sono nei corpi non dotati di vita81 •
E alcuni degli Antichi - fra cui i Megarici 82 - hanno sostenuto che la
potenza si dà insieme con l'atto e non lo precede; e questo lo hanno detto
anche alcuni di coloro che sono loro succeduti [ 177] molto tempo dopo. Ora,

concupiscentia ve! ira ve! sententia, ve! habetur in eis intentio non ad hunc finem, sed postea
consequitur eas finis qui est consuetudo, qui non fuit intentus, sed nec fuit consuetudo ipsa-
met stabilitio formae illarum actionum in anima; et fortasse fini non erunt instrumenta nec
materiae designatae, eo quod non est aequale homini exercere [202] ambulationem et exerce-
re carpentariam eo modo quo diximus; inter haec enim duo multum interest. Deinde cum hoc
si diligenter attenderis, acquisitio consuetudinis et artificii convertuntur ad unum modum.
Potentiae vero quae sunt per naturam, < ... > quaedam sunt in corporibus animalium.
Quidam autem ex antiquis dixerunt quod potentia est simul cum effectu nec praecedit
eam et secundum hoc dixerunt alii posteriores quod hoc duo motus sunt. Qui ergo hoc dixit,
394 \VV [177]

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videtur dixisse quod sedens non est potens surgere, scilicet quia non est possibile in natura
eius ut surgat interim dum non surgit, ergo quomodo surget? Et, quod non est in natura ligni
ut doletur ex eo porta, quomodo igitur dolabitur? Et qui hoc dicit non est potens sine dubio
ut videat et inspiciat saepe in una die, igitur certissime erit caecus. Si igitur nulli rei quae
non est, est potentia essendi, tunc impossibile est eam esse. Id autem quod possibile est esse,
possibile est non esse, alioquin necesse esset esse; quod autem possibile est esse, necesse est
ut ve! sit aliquid ve! non sit aliquid. Si autem fuerit aliquid, necesse est tunc [2031 ut aut sit
subiectum rei cuius natura est ut subsistat in eo sua forma, aut ut hoc sit ibi similiter respec-
tu sui, sicut albedo quam possibile est esse et possibile est non esse quantum in se. Necesse
est igitur hic esse rem quae, cum est, ve! sit existens per se, sic ut possibile sit suum esse
TRATTATO QUARTO- SEZIONE SECONDA 395

colui che fa questa affermazione è come se dicesse che chi è seduto non ha la
potenza di stare in piedi, e cioè che, finché non sta in piedi, non [gli] è possibi-
le- per quanto riguarda la sua natura (gibla; gibilla)- stare in piedi; ma allora
come farà a stare in piedi? Ed [è come se dicesse] che8 3 alla natura del legno
non appartiene che se ne faccia una porta; ma allora come se ne potrà fare
una? Colui che afferma [una simile cosa] è senz'altro impotente a vedere e a
comprendere in uno stesso giorno più volte e in realtà, quindi, è cieco!
Invece: tutto ciò che non è esistente e che non ha la potenza di esistere è
impossibile che esista, mentre la cosa che è possibile che sia è [anche] possibi-
le che non sia, altrimenti sarebbe necessario che fosse8 4 . Ora, quel che è possi-
bile non può sfuggire a tale alternativa: o è possibile che sia - e non sia -
un'altra cosa, e questo è il soggetto della cosa, al quale per sé spetta che la
forma [della cosa] vi inerisca; oppure, è così [e cioè possibile che sia e che
non sia] in considerazione di se stesso, come il bianco, poiché in sé è possibile
che sia e [possibile] che non sia. Ma per questo poi [si riproduce] l'alternati-
va85: o esso è qualcosa che, quando esiste, sussiste per sé, e in tal modo la pos-
sibilità della sua esistenza consisterà nel poter sussistere astratto; oppure è
qualcosa che quando esiste, esiste in un alcunché di diverso da sé.
Ora, se il po~sibile è tale nel senso che può essere qualcosa in [un alcun-
ché] di diverso da sé, allora anche la possibilità della sua esistenza sarà in que-
sto alcunché di diverso che dovrà essere esistente insieme alla possibilità della
sua esistenza, e questo è il suo soggetto86 .
Se, invece, [questo possibile fosse qualcosa che] quando è, è sussistente
per sé e non in qualcosa di diverso da sé, né a partire da alcunché di diverso da
sé, in nessun modo, e fosse qualcosa che non ha vincolo con la materia - quel
vincolo che ha [invece] qualcosa che in essa sussista o che di essa abbia biso-
gno per un motivo qualunque - allora la possibilità della sua esistenza lo pre-
cederebbe senza essere vincolata a una materia piuttosto che a un'altra, né a
una sostanza piuttosto che a un'altra; quella [data] cosa [possibile] non avreb-
be dunque vincolo con nulla e la possibilità della sua esistenza sarebbe allora
una sostanza, perché sarebbe qualcosa di esistente per sé. Insomma, se la pos-
sibilità della sua esistenza non si desse, [la cosa] sarebbe qualcosa di diverso
dal possibilmente esistente e [sarebbe cioè] qualcosa di impossibile ma, dato

existens per se, ve! sit sic, ut cum si t, sit in alio a se: si autem possibile huius intentionis fue-
rit ut possibile sit ipsum esse aliquid in alio a se, tunc possìbilitas sui esse erit etiam in alio;
oportebit igitur ut illud aliud habeat esse cum possibilitate esse huius et illud sit subiectum
eius; si autem fuerit sic ut, cum fuerit, sit existens per se, non in alio a se, nec de alio a se
ullo modo, nec sit pendens ex aliqua materiarum ita ut constituatur in illa ve! egea! illa in
aliquo, tunc possibilitas sui esse eri t praecedens ipsum non pendens ex aliqua materia neque
ex aliqua substantia, eo quod illa res non pende! ex aliqua re. Igitur possibilitas sui esse eri t
substantia, quia erit res habens esse per se. Si autem suum esse possibile non habuerit esse,
erit tunc non possibile esse et impossibile.
396 Jl:ll ._Wl- 4.._\)\ -~\.il\ \VA [178]

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Postquam igitur est et existit per se, sicut positum est, tunc substantia est. Sed postquam
substantia est, tunc est illi quidditas quae [204] non est ad aliquid, eo quod substantia non
est ad aliquid per seipsam, sed accidit ei ad aliquid; huic igitur existenti per se est etiam esse
amplius praeter suum esse possibile quo est relativum. Noster autem senno est de ipso suo
esse possibile, et de ilio est nostrum iudicium quod non est in subiecto. Sed secundum quod
nunc dicitur, ponitur esse in subiecto, quod est inconveniens. lgitur non potest esse ut ei
quod permanet existens per se non in subiecto nec de subiecto ullo modo sit esse post non
esse. Sed oportet ut pendeat aliquo modo ex subiecto ad hoc ut sit. Cum autem fuerit res
quae est existens per se, sed est ex aliquo vel cum esse alterius a se - primum vero est sicut
corpus quod est ex hyle et forma, secundum est sicut aniinae rationales cum generatione
corporum, - tunc possibilitas sui esse pendebit ab ilio, non quod illa res in potentia sit esse
tRATTATO QUARTO- SEZIONE SECONDA 397

che essa si dà e- come si è supposto- è esistente e sussistente per sé, [178] essa
esiste come una sostanza, ed essendo una sostanza deve avere una quiddità in
virtù della quale8 7 non è qualcosa di relativo. Ora, poiché alla sostanza non com-
pete di essere relativa nell'essenza, ma invece quel che è relativo le si aggiunge
come un accidente, ecco che a questo qualcosa che sussiste per sé apparterrebbe
più esistenza che la possibilità della sua esistenza e in virtù di essa sarebbe un
relativo. Ma il nostro discorso riguardava la stessa possibilità della sua esisten-
za, che avevamo giudicato non essere in un soggetto; e ora invece essa viene
egualmente ad essere in un soggetto, e questo è contraddittorio88 •
Ecco dunque che non può essere che un qualcosa che permanga sussistente
per sé, non in un soggetto e non a partire da un soggetto- sotto nessun aspet-
to - abbia esistenza dopo non essere stato; al contrario, per generarsi 89 , è
necessario che abbia un certo vincolo con il soggetto. Poi, quando la cosa che
esiste è sussistente per sé ma esiste a partire da qualcosa di diverso da essa o
insieme all'esistenza di qualcosa di diverso da essa, la possibilità della sua esi-
stenza è vincolata a questo qualcosa: nel primo [caso] è come il corpo che esi-
ste a partire da una materia e da una forma, nel secondo è come le anime
razionali che esistono con il generarsi dei corpi. [E ciò va inteso] non nel
senso che qualcosa sia in potenza, come il corpo è in potenza bianco, e neppu-
re nel senso che in esso vi sia una potenza di esistere, avendo esso impressa in
sé [la possibilità, come] la possibilità del bianco è in quel soggetto in cui il
bianco si imprime, ma nel senso che esiste con [questo qualcosa] oppure che
esiste quando si dà un certo stato che a esso appartiene.
Ora, la possibilità dell'esistenza di un corpo che viene ad essere- come un
fuoco che [in un certo momento] viene ad essere- sta solo nel fatto che esso
viene ad essere a partire dalla materia e dalla forma. La possibilità della sua
esistenza ha quindi, sotto un certo aspetto, un luogo di inerenza che è la sua
materia; ciò a partire da cui [il corpo] viene ad essere in primo luogo- e cioè
la forma - viene ad essere nella materia e il corpo come tale viene ad essere
per via del fatto che si mettono insieme i due [principi] 90 ; [esso proviene]
quindi sotto un certo aspetto dalla materia e sotto un certo aspetto dalla forma.
Anche l'anima non viene ad essere se non con91 l'esistenza di un soggetto cor-
poreo. La possibilità della sua esistenza92 sussiste quindi in tale [soggetto] per-
ché tale materia le è appropriata93 ; l'anima, infatti, può esistere soltanto dopo

corpus album per potentiam, nec quod in illa sit impressa potentia essendi possibilitatem
albedinis in subiecto in quo imprimitur albedo, sed sic ut vel habeat esse cum eo vel cum
advenerit ei aliqua dispositio. Igitur cum fit corpus, verbi gratia sicut ignis cum fit, non est
possibilitas sui esse nisi ut fiat ex materia et forma; igitur possibilitas sui esse habet subiec-
tum alicuius modi, et hoc est materia. Igitur res ex qua aliquid fit primum est forma quae fit
in materia et fit corpus ex coniunctione earum, materiae uno modo, et formae alio modo.
Anima quoque non provenit etiam nisi [205] per esse subiecti corporalis, et possibilitas sui
esse est in illo existens per illud propter hoc quod illa materia appropriatur sibi, et quia
398 [179]

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anima non habet esse post non esse, nisi cum fuerit esse corporum secundum modum com-
mixtionis, per quam adaptatur fieri instrumentum eius et per quam discemitur certitudo suae
novae inceptionis a primis, non quod certitudo eius sit in illa, tunc, cum fuerit in illis corpo-
ribus possibilitas huius commixtionis, erit possibilitas essendi animam.
Omne autem corpus, a quo provenit actio non per accide11.s neque per violentiam alterius
corporis, agit per aliquam potentiam quae est in eo. Quod aQtem provenit per voluntatem et
per electionem, manifestum est; actio vero quae non est pe1· voluntatem neque per electio-
nem ve! provenit a seipso, ve! provenit a re corporali quae differt ab eo, vel a re non corpo-
rali differente ab eo. Si autem provenit a seipso, ipsum autern convenit cum aliis corporibus
in corporeitate et differt ab eis in hoc quod a se provenit illa actio, tunc in sua essentia intel-
TRATTATO QUARTO- SEZIONE SECONDA 399

non essere stata [ 179] ed è in questo che consiste la possibilità del suo venire
ad essere simultaneamente ('inda) all'esistenza di corpi 94 i quali, [avendo] una
certa complessione, possono validamente servirle come strumento; e in virtù
di essi il suo diritto a venire ad essere a partire dai principi si distingue dal suo
non diritto a provenime. Così, quando [nei corpi] vi è la possibilità di tale
complessione, essa è una possibilità perché esista l'anima.
Un corpo da cui emani un'azione che non sia per accidente, né per violen-
za da parte di un altro corpo, agisce sempre in virtù di una certa potenza che è
in esso. Ora, perché [tale azione] si dia in quel [dato corpo] che [agisce] per
volontà e scelta, è manifesto; invece, in quello che non [agisce] per volontà e
scelta, tale azione si dà perché95 essa emana o dalla sua essenza o da qualcosa
che è separato dal [corpo] ma corporeo, o ancora da qualcosa che è separato
dal [corpo] e incorporeo96 .
Dunque, se essa emana dalla stessa essenza [del corpo], la quale ha in
comune con gli altri corpi la corporeità e da essi si differenzia [solo] perché ne
emana tale azione, allora nell'essenza [del corpo deve] esservi un alcunché
(ma'nii) jn pjù rispetto alla corporejtà che sja il principjo in vjrtù del quale
emana tale azione; e questo [alcunché in più] è quel che ha nome di "potenza".
Se tale [azione] viene, invece, da un altro corpo, allora da questo corpo
essa proviene o per violenza97 o per accidente; ma avevamo supposto che non
fosse né per violenza da parte dì un altro corpo né per accidente. E se poi
[questa azione] sì avesse a partire da qualcosa di separato98 , allora non si sfug-
girebbe a una di queste [possibilità]: questo corpo, cioè, sarebbe appropriato a
[esercitare] una data mediazione per quella cosa separata99 o in quanto corpo,
o a causa di una potenza in esso, oppure a causa di una potenza in quella
[cosa] separata 100 •
Se fosse in quanto corpo, ogni corpo avrebbe in comune con esso [questa
azione], ma non ce l'ha.
Se fosse a causa di una potenza 101 [nel corpo], allora ecco che tale potenza
sarebbe il principio per cui ne emanerebbe quell'azione; [e ciò] anche se
[l'azione] fluisse da quel che è separato e si avesse in virtù del suo aiuto o esso
fosse il primo principio [dell'azione nel corpo].

ligitur esse aliquid amplius supra corporeitatem, quod est principium illius actionis ab ipso,
et hoc est quod vocatur potentia. Si vero fuerit hoc per aliud corpus, tunc haec actio huius
corporis erit per violentiam ve! per accidens. Iam autem posita fuit nec per violentiam alte-
rius corporis nec per accidens. Si autem fuerit per rem [206] non corporalem separatam,
necesse est tunc ut hoc corpus sit aptum ad habendum illud medium ab ilio separato, ve! ex
hoc quod est corpus, ve! ex potentia quae est in ipso, ve! ex potentia quae est in ilio separa-
to. Sì vero fuerit ex hoc quod est corpus, tunc omne corpus convenit in hoc. Sed si fuerit ex
potentia quae est in ipso, tunc illa potentia est principium proveniendi illam actionem ab
ipso, quamvis descendat a separato ve! per eius adiutorium, ve! quia est primum eìus princi-
400 Jl:ll j..UII - ~l) l ".\\W. l [180]

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pium in ipso. Si autem fuerit ex potentia quae est in ilio separato, tunc ve! ipsamet potentia
facit debere hoc, ve! propria eius voluntas. Si autem ipsamet potentia facit debere hoc, tunc
necesse est ut hoc debeat esse ab ipso eodem corpore propter aliquod praedictorum, et redi-
bit ratio ad principium. Si vero fuerit per voluntatem, necesse est lune ut illa voluntas sit
potius eligens hoc corpus propter proprietatem qua appropriatur sibi ex omnibus corporibus
ve! fortuitu quocumque modo evenerit. Si autem fuerit fortuitu, lune non procedet secundum
ordinem sempitemum ve! saepissimum. Res enim casuales sunt quae non sunt semper nec
saepe; res vero naturales sunt ea quae sunt semper ve! saepe; igitur non sunt casuales.
Restat igitur ut sit hoc propter proprietatem qua appropriatur ei ex omnibus corporibus,
et ut illa proprietas sit res a qua volunt esse [207] adventum illius actionis; deinde necesse
est ut etiam velint, quia ob hoc ve! illa proprietas facit debere esse actionem illam semper
ve! est ex ea saepe, ve! non facit debere ve! non erit saepe. Si autem fecerit debere semper,
TRATTATO QUARTO- SEZIONE SECONDA 401

[180] Ma se poi fosse a causa di una potenza in quel [principio] separato,


allora a rendere necessaria tale [azione] sarebbe o quella stessa potenza oppure
il fatto che si sarebbe determinata 102 una volontà.
Se fosse la stessa potenza a renderla necessaria, non si sfuggirebbe a una
delle due possibilità: o il fatto che [l'azione] sia necessaria a partire da 103 que-
sto determinato corpo si deve a una delle cose [appena] menzionate- e allora
il discorso ricomincia da capo - oppure [l'azione] si ha per volontà. Ma allora
egualmente non si avrebbero se non queste possibilità: o tale volontà avrebbe
distinto questo corpo in virtù di una proprietà che lo rende particolare 104
rispetto agli altri corpi, oppure a caso, come capita. Ma se fosse a caso, come
capita, [l'azione del corpo] non si avrebbe sempre secondo questo ordine che è
eterno o per lo più: le cose casuali, infatti, sono quelle che non sono né sempre
né per lo più, mentre le cose naturali sono sempre e per lo più e quindi non
sono casuali 105 .
Resta dunque che [tale corpo sia distinto] per una proprietà in virtù della
quale esso risulta particolare 106 rispetto a tutti gli altri corpi: a partire da tale
proprietà si vuole che [ne] emani tale azione. Ma nuovamente allora non si
sfugge a tali possibilità: o ciò è voluto perché tale proprietà rende necessaria
tale azione; oppure perché essa per lo più ne proviene; oppure né l'una né
l'altra cosa 107 •
Ora, se [tale proprietà] rende necessaria 108 [l'azione], essa ne è il principio.
Se [l'azione] è per lo più e - come hai appreso nella Fisica - quel che è per
lo più è in sé quel che è necessario 109 ma per il quale può esservi un ostacolo 110,
ecco che se [l'azione] non si ha, lo si deve a un ostacolo. Anche ciò che è per lo
più- se non c'è un ostacolo- è in sé necessario 111 e quel che è necessario è ciò
di cui- senza ostacolo- si ammette l'azione 112 • Infatti, che il [corpo] sia deter-
minato a che l'azione 113 per lo più [ne] provenga si deve a un'inclinazione della
sua natura per quel dato aspetto che ne proviene, cosicché - se [l'azione] non si
ha- lo si deve a un ostacolo.
Se poi tale proprietà non rendesse necessaria [l'azione nel corpo] né questa
ne provenisse per lo più, allora il fatto che [l'azione] provenga da [questo
corpo] o da qualcosa di diverso da esso sarebbe indifferente (waf:tid) 114 e
l'appropriata determinazione di esso [all'azione] sarebbe casuale, mentre si
era detto che non lo era.

tunc est principium huius. Si autem fuerit saepe, sed quod est saepe, sicut nosti in naturali-
bus, ipsum est quod debet esse semper, nisi sit aliquid impediens, quia sua proprietas quod
ex ea est saepe, est propter inclinationem suae naturae ad partem eius quod est ab illa; quod
si non fuerit, erit propter impediens. Id igitur quod est saepe erit semper. si non fuerit quod
impediat; et quod facit semper esse est id cui conceditur hoc sine impediente. Si autem illa
proprietas non facit debere esse semper nec saepe, tunc ipsam esse ab ea et ab alia idem eri t,
et hoc quod appropriatur sibi fit fortuitu; dictum est autem non esse fortuitu. Similiter si
402 [181]

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dixerint quod dignius est ipsam esse a datore ipsius proprietatis, haec siquidem intentio
eorum de adventu eius ab ilio convenientior eri t. lgitur ve! ille facit eam debere esse semper
ve! est praeparator debendi esse; praeparator enim causa [208] est ve! essentialiter vel acci-
dentaliter. Si autem nihil aliud fuerit causa essentialiter nisi illud, tunc non est per accidens;
quod enim est per accidens, est secundum aliquem duorum praedictorum modorum. Restat
igitur ut ìlla proprietas sit quae facit debere esse. Igitur proprietas quae facit debere esse
dicitur potentia; et ab hac potentia proveniunt actiones corporales, quamvis proveniant per
adiutorium principii remotioris.
Certificemus igitur nunc quod omne quod incipit habet principium materiale. Et dico
omnino quia omne quod incipit esse post non esse sine dubio habet materiam. Omne enim
TRATIATO QUARTO- SEZIONE SECONDA 403

[181] Così, se si dice che il possessore di tale proprietà 115 è più degno, ciò
significa che è più conveniente che [l'azione] emani da [tale proprietà], in
modo che [il corpo possessore di tale proprietà] sia o ciò che rende necessaria
[l'azione] o ciò che dà corso 116 alla sua necessità. Ora, quel che dà corso è
causa o per sé o per accidente; tuttavia, non essendovi altra causa, diversa da
esso, che sia per sé, esso non è per accidente, perché quel che è per accidente è
secondo uno dei due modi menzionati. Resta dunque [da affermare] che questa
data proprietà sia in se stessa tale da render necessaria [l'azione]: la proprietà
necessitante 117 si chiama "potenza" e da questa potenza emanano le azioni
corporee, benché ciò sia con l'aiuto di un principio più remoto.
A confermare con una chiara prova che per ciò che viene ad essere vi è
sempre un principio materiale, diremo in modo sommario: tutto ciò che viene
ad essere dopo non essere stato ha senz'altro una materia; ogni ente, infatti, ha
bisogno di esserell 8 - prima del proprio essere - possibilmente esistente in sé;
infatti, se in sé fosse stato "impossibilmente esistente", non sarebbe stato
affatto. La possibilità della sua esistenza non consiste nel fatto che l'agente ha
potere su di esso, piuttosto l'agente non avrebbe potere su di esso se esso non
fosse in sé possibile. O non vedi che diciamo: sull'impossibile non si ha pote-
re? Il potere si ha sopra quel che è possibile che sia. Se la possibilità d'essere
della cosa fosse lo stesso potere [che si ha] su di essa, questo discorso sarebbe
come se dicessimo che il potere si ha solo su ciò su cui si ha il potere e come
se dicessimo che sull'impossibile non si ha potere perché su di esso non si ha
potere; e non saremmo [in grado di] sapere se sulla tal cosa si ha potere o non
si ha potere, guardando alla cosa stessa, ma guardando allo stato del potere di
quel che avrebbe potere su di essa, [chiedendoci] se esso abbia o non abbia
potere. E se ci fosse difficile [stabilire] se sulla cosa si ha o non si ha potere

quod incipit esse, antequam sit, necesse est ut si t possibile in se. Si enim fuerit non possibile
in se, illud non erit ullo modo; non est autem possibilitas sui esse eo quod agens sit potens
super illud, quia agens non est potens super illud, cum ipsum non fuerit in se possibile.
Nonne enim vides quia possumus dicere quod super impossibile non est posse, sed posse est
super id quod possibile est esse? Si enim possibilitas essendi rem esset ipsum posse super
eam, tunc hoc esset quasi diceremus quod posse non est nisi super id quod est posse, et
quasi diceremus quod super impossibile non est posse eo quod non est posse super illud, et
nesciremus an res posset esse ve! non esse per considerationem sui ipsius in se, sed per con-
siderationem dispositionis potentiae illius qui potest super eam, si est potentia super eam vel
non. Si autem dubitaremus an esset potentia super illud an non, tunc non esset nobis possibi-
404 Jcll J...UII _ :..._1)1 -..~w. l [182]

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le scire illud [209] ullo modo. Si enim sciremus illud tunc vel secundum hoc quod res est
possibilis vel non possibilis, et lune intentio non possibilis esset quod non est posse super
illud et intentio possibilis esset quod est posse super illud, et sic sciremus ignotum per igno-
tum. Aperte igitur manifestum est quod intentio essendi rem in se possibilem non est inten-
tio ipsam essendi sic ut sit posse super eam, quamvis quantum ad subiectum sint unum.
lpsam enim esse sic ut sit posse super eam, comitans est ad ipsam esse possibilem in se,
quia ipsam esse possìbilem in se est respectu sui ìpsius, et ipsam esse sic ut sit posse super
eam est respectu suae relationis ad datorem essendi.
Postquam igitur hoc constat, dicemus quia omne quod incipit, antequam incipiat, vel est
in se possibile esse vel est impossibile esse; quod autem est impossibile esse, non erit; quod
vero possibile est esse vel iam praecessit illud possibilitas sui esse vel ipsum est possibile
esse. Impossibile est autem quin possibilitas sui esse vel sit intentio guae est, vel guae non
. tRATI ATO QUARTO- SEZIONE SECONDA 405

[182], non ci sarebbe affatto possibile saperlo: se noi, infatti, questo lo definis-
simo119 in quanto la cosa è impossibile o possibile - essendo il significato di
"impossibile" che "su di esso non si ha potere" e il significato di "possibile''
che "su di esso si ha potere" -, verremmo a definire ciò che si ignora con ciò
che si ignora.
È quindi chiaro ed evidente che il fatto che una cosa sia in sé possibile ha.
un significato diverso dal significato per cui su di una cosa si ha potere, ben-
ché i due [significati], per il soggetto, siano una stessa [cosa]; ed [è chiaro che]
il fatto che su di una [cosa] si abbia potere consegue a che [la cosa] sia possi-
bile in sé, e il fatto che [la cosa] sia possibile in sé è in considerazione
dell'essenza stessa, mentre il fatto che su di essa si abbia potere è in conside-
razione della relazione di essa con quel che la fa esistere.
E poiché ciò si è stabilito, diremo: qualunque [cosa] venga ad essere,
prima del suo venire ad essere, o è in se stessa possibile che esista oppure
impossibile che esista. Ora, quel che è impossibile che esista, non esiste; quel
che è possibile che esista, è preceduto dalla possibilità della sua esistenza, ed è
possibilmente esistente. E allora, non si sfugge [a uno dei due comi dell'alter-
nativa]: o la possibilità della sua esistenza è qualcosa di inesistente, o è qual-
cosa di esistente; è impossibile che sia qualcosa di inesistente, altrimenti la
possibilità della sua esistenza non lo avrebbe preceduto; essa è quindi qualco-
sa di esistente, e qualunque cosa sia esistente o sussiste in un soggetto o sussi-
ste non in un soggetto. Ora, qualunque cosa sussista non in un soggetto ha
un'esistenza propria 120 in virtù della quale non deve essere relativa [a qual-
cos'altro]; ma la possibilità dell'esistenza è solo in virtù della relazione nei
confronti di ciò di cui è la possibilità d'esistenza 121 ; la possibilità d'esistenza,
perciò non è una sostanza che non sia in un soggetto ed è qualcosa che è in un
soggetto e che accade a un soggetto.
Noi chiamiamo la possibilità dell'esistenza "potenza dell'esistenza" e chia-
miamo ciò che sostiene la potenza dell'esistenza e in cui si trova la potenza
d'esistenza della cosa "soggetto", "hule", "materia" e altro in relazione a
diverse considerazioni; a qualunque cosa venga a essere è quindi anteriore la
materia 122 .

est. Impossibile est autem ut sit intentio quae non est aliquid, alioquin non praecederet illud
possibilitas sui esse. Est igitur intentio quae est. Omnis autem intentio quae est, vel est exi-
stens non in subiecto, vel existens in subiecto; quicquid autem est existens non in ·Subiecto,
illud habet esse proprium per quod non debet esse relatum. Possibilitas vero essendi non est
nisi inquantum est secundum relationem ad illud cui est possibilitas essendi. lgitur non est
possibilitas essendi substantia quae non est in subiecto; est [210) igitur intentio quae est in
subiecto et accidentale subiecto. Nos autem possibilitatem essendi vocainus potentiam
essendi, et id quod est sustinens potentiam essendi, in quo est potentia essendi rem, vocamus
subiectum et hyle et materiam et cetera, secundum varios respectus. Postquam autem omne
quod incipit, iam praecedit illud materia, tunc dico quod haec capitula quae induximus
406 \1\1" [183]

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faciunt aestimari quod potentia absolute praecedit effectum, et est prior eo nisi in solo tem-
pore; et hoc est ad quod multi ex antiquis accesserunt.
Quidam enim ex illis attribuerunt esse hyle ante formam et quod postea agens investivit
eam forma qui fuit ei inceptio per seipsum, ve! <... >, sicut quidam ex his qui praesumpse-
runt loqui de huiusmodi putaverunt, dicentes fuisse quiddam sicut anima, cui forte contingit
occupari circa regendam hyle et informandum eam; sed, quia non decoravit regimen nec
complevit decorem formationis, subvenit ei creator et decoravi! eius constitutionem. Alii
vero dixerunt quod haec omnia fuerunt ab aeterno et movebantur naturis suis, motibus inor-
dinatis, sed creator adiuvit naturas eorum et ordinavit ea. Alii dixerunt quod primum fuit
tenebra et inanitas, vel aliquid quod non finiebatur, semper manens quietum, et postea
motum est, ve! confusio, quam [211] tenuit ille qui dictus est Cathegorismus. Omnes isti
dixerunt quod potentia est ante effectum, sicut in seminibus et in spermate et in omnibus
quae fabricantur. Oportet igitur considerare haec et Joqui de eis.
·TRATIATO QUARTO- SEZIONE SECONDA 407

Ora, le distinzioni che abbiamo presentato- diremo'- [183] fanno immagi-


nare che la potenza- in assoluto- sia prima dell'atto e che gli sia anteriore non
soltanto nel tempo; questa è una posizione (say') cui hanno inclinato molti fra
gli Antichi 123 • Alcuni di essi, infatti, hanno assegnato alla materia un'esistenza
anteriore alla forma e [hanno sostenuto] che l'agente la riveste della forma
dopo tale [esistenza] o a partire da sé, oppure- come ha ritenuto uno di costo-
ro, uno che si è occupato di qualcosa che non avrebbe dovuto interessarlo e di
cui uno simile non è davvero all'altezza - a causa di uno stimolo che lo avreb-
be invitato [ad agire] 124 • Infatti, (costui] ha sostenuto che a qualcosa di simile
all'anima sarebbe occorso casualmente (jaltatan) di occuparsi di governare la
materia (hayiilii) e di conformarla; tuttavia, non avendole dato un buon governo
né avendola portata a perfezione con una buona conformazione 125 , il Creatore-
altissimo- vi avrebbe posto rimedio, migliorandone la costituzione 126 •
Fra [gli Antichi] vi è poi chi ha sostenuto che queste cose 127 fossero
dall'eternità (fi-1-azal) in moto per loro natura con movimenti non ordinati: il
Creatore - altissimo - avrebbe allora dato aiuto alla loro natura, ordinandola.
Vi è poi chi ha sostenuto che il pre-eterno (al-qadim) è la tenebra o il
vuoto o un alcunché di infinito che da sempre sarebbe stato in quiete e che poi
si sarebbe mosso; oppure che [il pre-eterno] è il mescoli o del quale parlava
Anassagora. E questo perché costoro hanno sostenuto che la potenza è prima
dell'atto, come nei grani e nel seme e in tutto ciò che si fabbrica; conviene
quindi che riflettiamo su questo [tema] e che ne parliamo.
Ora, diremo, per quanto riguarda le cose particolari e gli enti corruttibili la
questione è come hanno sostenuto [costoro]: in queste cose, infatti, la potenza
è prima dell'atto secondo un'anteriorità temporale. Ma alle cose universali o a
quelle eterne, che non si corrompono - fossero pure particolari - quelle che
sono per potenza non sono affatto anteriori 128 . Inoltre, la potenza è posteriore,
a parte queste condizioni, sotto ogni aspetto. Infatti, poiché la potenza non
sussiste per sé, le appartiene immancabilmente di sussistere in virtù di una
sostanza 129 che ha bisogno di essere in atto; infatti, se [la cosa] non fosse dive-
nuta in atto, essa non sarebbe preparata a ricevere nulla, poiché quel che non
è, in senso assoluto, non è possibile che riceva nulla.

Dico igitur quod in rebus particularibus generatis corruptibilibus est sicut ipsi dixerunt.
In bis enim potentia prior est effectu prioritate temporis. Res autem universales ve! aetemae
quae non corrumpuntur, quamvis sint particularia, non praecedunt ea quae sunt in potentia
ullo modo. Immo potentia est posterior secundum istas condiciones omni modo. Potentia
enim, postquam non habet esse per seipsam, tunc necesse est ut sit per substantiam ad hoc ut
sit in effectu. Si vero non fuerit in effectu, tunc non est apta ad recipiendum aliquid; quod
enim nihil est absolute, non potest recipere aliquid. Item iam aliquid est in effectu quod non
408 .j\:.11 J,...èll- ~1)1 ~W.l lA t [184]

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eguit prius esse in potentia aliquid, sicut aeterna quae sunt semper in effectu. Hoc igitur
modo, certitudo eius quod est in effectu est ante certitudinem potentiae essentialiter; aliter
vero, potentia opus habet exire ad effectum per aliquid quod est in effectu, cum illud est in
potentia, non quod illud incipiat cum effectu; sic enim illud egeret alio trahente ad effectum,
et perveniret hoc usque ad aliquid quod est in effectu quod non incepit.
In plerisque autem non trahit potentiam ad effecturn nisi aliquid eiusdem generis cum
ilio effectu, habens esse in effectu ante effectum, [212] sicut cum calidum calefacit et frigi-
duro infrigidat. Plerumque autem id quod est in potentia, inquantum est sustinens potentiam,
est de eo quod est in effectu, sic ut effectus tempore sit prior potentia, non cum potentia;
sperma enim ex homine fuit et semen ex arbore, sic quod ex hoc fit homo et ex hoc arbor.
tRATTATO QUARTO- SEZIONE SECONDA 409

[ 184] Inoltre, una [data] cosa può essere in atto e non aver bisogno di esse-
re nulla in potenza, come [le sostanze] eterne, le quali, infatti, sono continuati-
vamente in atto; e sotto questo aspetto, la realtà di quel che è in atto è anterio-
re alla realtà della potenza, per essenza. Ma [lo è] anche sotto un altro aspetto:
la potenza, infatti 130, ha bisogno di passare all'atto in virtù di qualcosa che esi-
ste in atto 131 nel momento in cui la cosa è in potenza; non è che tale cosa
venga ad essere solo in quanto viene ad essere insieme all'atto; anche tale
[atto], infatti, ha bisogno di [qualcosa] d'altro che faccia passare [all'atto] e ha
termine in qualcosa di esistente in atto che non sia venuto ad essere 132 . E nella
maggior parte dei casi a far passare all'atto la potenza è soltanto qualcosa di
omogeneo a tale atto e che esiste in atto prima dell'atto: come il caldo riscalda
e il freddo raffredda.
E ancora: quanto spesso quel che è in potenza 133 in quanto sostiene la
potenza esiste a partire dalla cosa che è in atto, al punto tale che l'atto è nel
tempo prima della potenza, non con la potenza! Infatti, lo sperma viene
dall'uomo e il seme dall'albero, così che a partire dall'uno 134 vi sia un uomo e
a partire dall'altro un albero, anche se in queste cose supporre l'atto prima
della potenza non è più conveniente che supporre la potenza prima dell'atto.
L'atto, inoltre, è prima della potenza nella rappresentazione e nell'attività
definitoria. Infatti, non ti è possibile definire la potenza, se non in quanto essa
è dell'atto, mentre non hai bisogno di definire l'atto e di rappresentarlo in
quanto è della potenza: tu definirai il quadrato e ne avrai intellezione senza
che ti venga alla mente la capacità [di divenire quadrato che ne è all'origi-
ne]135, mentre non ti è possibile definire la potenza di divenire quadrato se non
menzioni il quadrato o verbalmente o intellettualmente, rendendolo parte della
definizione.
L'atto è inoltre prima della potenza nella perfezione e nel fine; la potenza,
infatti, è mancanza, mentre l'atto è perfezione e il bene, in ogni cosa, si ha
solo con l'essere in atto: dove c'è il male, là c'è qualche cosa che è in potenza

Non est enim in his dignius ponere effectum ante potentiam quam potentiam ante effectum.
Item effectus in imaginatione et definitione prior est quam potentia. Tu enim non potes defi-
nire potentiam nisi quia est huius effectus; effectus vero non eget in sua imaginatione et
definitione ut sit potentiae. Tu enim definies quadratum et intelliges illum ita ut non transeat
per animum tuum potentia essendi ipsum; nec est tìbi possibile definire potentiam quadratu-
rae, nisi nomines quadratum nomine ve! intellectu et ponas illum partem suae definitìonis.
Item effectus prior est potentia perfectione et fine. Potentia enim est imperfectìo et effectus
est perfectio, et bonum in omni re non est nisi ipsam esse in effectu; ubi autem fuerit
malum, ibi est aliquid in potentia aliquo modo; cum enim res fuerit mala, ve! erit per seip-
410 [185]

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sam mala et omnimodo, quod est impossibile; si enim habuerit esse, profecto inquantum est,
mala non est, quia non est mala nisi inquantum ipsa est privatio perfectionis, sicut ignoran-
tia; vel eri t sicut id quod facit debere hoc esse in alio, sicut iniuria. lniuria enim non est mala
nisi quia diminuitur natura bonitatis eius a quo fit iniuria, et eius cui fit iniuria minuitur
salus vel facultas vel alia huiusmodi. lgitur, inquantum aliquid est malum, permixtum est
cum privatione et cum aliquo quod est in potentia. [213) Si autem non esset cum ilio nec de
ilio id quod est in potentia, profecto perfectiones quae debentur rebus essent praesentes, et
ita non esset malum ullo modo. Manifestum est igitur quia id quod est in effectu bonum est
inquantum sic est; quod vero est in potentia, est malum ve! ab ipso est malum. Scias autem
quod potentia mali melior est quam effectus, et esse bonum in effectu melius est quam
potentia boni, et malum non est malum per potentiam mali, sed per habitum malitiae.
TRA TIATO QUARTO- SEZIONE SECONDA 411

[185] sotto un certo rispetto. Infatti, se una [data] cosa è male o lo è per sé e da
ogni punto di vista, ma questo è impossibile- se [la cosa] esiste, in quanto esi-
ste, non è male 136 ed è male solo in quanto in essa si ha l'inesistenza di una
perfezione, come l'ignoranza di colui che ignora- oppure [una data cosa è
male] perché rende necessaria in altro da sé [l'inesistenza di una perfezione]-
come l'ingiustizia di colui che è ingiusto. L'ingiustizia, infatti, è un male solo
perché in colui in cui si trova l'ingiustizia manca la natura del bene, mentre in
colui contro cui [è rivolta] l'ingiustizia [mancano] l'integrità o la ricchezza o
altro. Così, in quanto è male, [una data cosa] è mescolata con una privazio-
ne137 o con qualcosa che è in potenza; e, se con essa o in essa non vi fosse
qualcosa che è in potenza, le perfezioni che sono necessarie per le cose sareb-
bero presenti e non vi sarebbe male, da nessun punto di vista. È quindi eviden-
te che quel che è in atto, in quanto tale, è il bene, mentre quel che è in potenza
o è il male o ne viene il male. E sappi che la potenza del male è meglio
dell'atto [del male] e che l'essere in atto un bene è meglio della potenza al
bene: chi è cattivo non è cattivo in virtù della potenza del male, ma per il pos-
sesso del male 138.
Ma torniamo a ciò di cui stavamo trattando; lo stato dell'anteriorità della
potenza in senso assoluto- diremo- già [lo] conosci; quanto alla potenza par-
ticolare, le è anteriore l'atto di cui essa è potenza; e può esserle anteriore un
atto come il suo atto, in modo tale che la potenza ne provenga- oppure 139 può
non essere necessario [che l'atto la preceda], ma allora insieme ad essa si avrà
un'altra cosa in virtù della quale la potenza passa ali' atto; altrimenti, non
potrebbe esistere alcun atto, affatto. Da sola, infatti, la potenza non è sufficien-
te ad essere atto: essa ha piuttosto bisogno di qualcosa che faccia passare la
potenza all'atto. Ed ecco, hai appreso che l'atto è in realtà anteriore alla poten-
za e che è ciò che è anteriore per nobiltà e compiutezza.

Redeamus autem ad id in quo eramus et dicamus te iam novisse dispositionem priorita-


tis potentiae absolute. Sed potentia particularis praecedit effectum cuius ipsa est potentia;
aliquando autem praecedit effectus similis suo effectui, ad hoc ut sit potentia ab ipso, ali-
quando non, sed est cum ea aliquid aliud per quod exit potentia ad effectum; alioquin effec-
tus non haberet esse ullo modo. Sola enim potentia non sufficit ad hoc ut sit effectus, sed
eget aliquo per quod trahatur potentia ad effectum. lgitur iam nosti quod effectus secundum
veritatem, prior est potentia, dignitate et perfectione.
412 .:.JI:II J.a~l - ~ 1)1 ~W. l [186]

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III
CAPITULUM DE PERFECTO ET IMPERFECTO ET DE EO QUOD EST PLUS QUAM PERFECTIO
ET DE TOTO ET DE UNIVERSO

Primum autem assignaverunt perfectum in rebus habentibus numerum, cum omne quod
debet habere res, iam habet numero, et nihil [214] restat de eo quod non habeat in se. Deinde
transtulerunt hoc ad res habentes quantitatem continuam et dixerunt perfectum in statura, eo
quod ipsa apud vulgum est numerata: ipsa enim non cognoscitur a vulgo nisi inquantum
mensuratur; cum vero mensuratur, necesse est ut numeretur. Deinde transtulerunt hoc ad
413

[SEZIONE TERZA]

A PROPOSITO DI QUEL CHE È COMPLETO E DI QUEL CHE È MANCHEVOLE, DI QUEL


CHE È PIÙ CHE COMPLETO, DEL TUTTO E DELL'INSIEME

La prima volta che è stato definito 140 , il "completo" è stato definito in rela-
zione alle cose numerabili, quando per una [determinata] cosa era dato nel
numero tutto ciò che conviene sia dato, senza che nulla restasse inesistente 141 •
Poi tale [termine] è stato trasferito alle cose dotate di quantità continua e si è
detto allora "completo" in relazione alla statura, essendo anch'essa 142 , per la
massa della gente, numerabile; per la gente, infatti, essa si definisce solo in
quanto si misura, e, se è misurata, immancabilmente viene numerata.
Poi si trasferì tale [termine] alle qualità e alle potenze e si disse allora che
la tal [cosa] è completa nella potenza e che è completamente bianca, comple-
tamente buona, completa nel bene- come se per [una determinata cosa] fosse
dato tutto quanto il bene che le deve appartenere e nulla restasse al di fuori 143;
poi, se vi è qualcosa dello stesso genere della cosa, ma di cui non si ha biso-
gno per una necessità o un'utilità o qualcosa del genere, lo considerarono un
qualcosa in più, ritenendo quindi la cosa "completa" anche senza di esso.
Quando invece ciò di cui la cosa ha bisogno in se stessa 144 è dato e, insieme a
ciò, è dato anche qualcos'altro dello stesso genere, [qualcosa] di cui non si ha
bisogno per il fondamento dell'essenza della cosa ma che - pur non essendo
appunto richiesto per questa data cosa - è utile a suo riguardo, allora di questo
insieme si disse che è "sopra alla completezza" e "oltre il culmine" 145 •
In ciò consistono dunque "quel che è ·completo" e "la completezza" 146 ; ed
è come se si trattasse di nomi per il termine [ultimo]: in primo luogo spettano
al numero, poi a quel che è diverso da esso nell'ordinamento.

vires et qualitates; dixerunt enim: "hoc est perfectum virtute et perfectum albedine et perfec-
tum pulchritudìne et perfectum bonitate", quasi quicquid debet habere bonìtatis, iam habeat
et nihil remaneat extra. Deinde cum alicui fuerit additum aliquid eiusdem generis quo non
est opus eì ad necessitatem ve! ad utilitatem et similia, dixerunt superfluum, quia viderunt
rem esse perfectam sine eo. Deinde si illud quo opus est rei, iam habet res, et cum eo habet
etiam aliquid aliud sui generis quo non eget res quantum pertinet ad seipsam, sed, quamvis
non egeat eo in ea, tamen prodest pro modulo suo: omne hoc dicitur ultra perfectionem et
ultra finem.
Hoc igitur est perfectum et perfectio, et est quasi nomen finis, et hoc primum est nume-
ro et deinde ceteris ab eo per ordinem, < ... > quasi non dixerant quod ipsum perfectum si t
414 lA V [187]

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totum et universum, et quod temarius non sit perfectus nisi ob hoc quod habet principium et
medium et finem, quae faciunt eum perfectum; principium enim perfectionis in numero erat.
Deinde non est hoc in natura alicuius numerorum, inquantum est numerus, ut sit perfectus
absolute; omnis enim numerus unius generis est ad addendum ei aliquid quod non [215] est
in eo, qui tamen est perfectus in denarietate vel in senarietate; sed ìnquantum est numerus
non potest esse perfectus. Ternarius vero, inquantum habet princìpium, medium et finem,
perfectus est. Sed binarius inquantum habet principium et finem tantum, est imperfectus,
:TRATTATO QUARTO- SEZIONE TERZA 415

[187] E neppure quando ciò che è numerabile è minore di tre, di esso la


gente dice che è "completo", e così 147 è come se non dicessero 148 di esso
"tutto" e "tutto quanto"; è, cioè, come se il tre venisse ad essere completo solo
in quanto ha un principio, un medio e un termine: il fatto che per la cosa vi sia
un principio, un medio e un termine la renderebbe completa solo perché il fon-
damento della completezza sarebbe nel numero. Eppure, non appartiene alla
natura di nessun numero, in quanto numero, di essere completo in assoluto. In
un numero vi è infatti sempre qualcosa dello [stesso] genere della sua unità
che non è esistente; anzi, [qualcosa] sarà completo solo 149 nella decina e
nell'insieme del nove, ma un numero, in quanto tale, non può essere completo;
[un numero] è completo, invece, in quanto ha un principio, un termine e un
medio, perché avendo [solo] un principio e un termine sarebbe manchevole
nel senso che tra i due non vi sarebbe ciò cui per sé appartiene di stare fra i
due 150, e cioè il medio. Rapporta questo a tutti gli altri casi, e cioè che vi sia un
medio e non un termine, oppure [solo] un medio e un termine, essendosi per-
duto quel che dovrebbe essere un principio. Inoltre, è impossibile - se non per
due numeri - che nei numeri vi siano due principì senza che uno dei due sia in
qualche modo un medio; e neppure [è possibile che vi siano] due termini
senza che uno dei due sia in qualche modo un medio, se non per due
numeri 151 . Per quanto riguarda i medi, invece, può essere che essi siano molti,
ma il loro insieme in quanto sono medi è come una cosa [sola] 152 • Inoltre, per
la molteplicità non vi è un limite a cui arrestarsi; il fatto, quindi, che si diano il
principio, il termine (ultimo] [188] e la medietà 153 è quanto di più completo si

inquantum scilicet sunt duo inter quae non est aliquid suae naturae quod sit medium. Et
secundum hoc considera ceteras divisiones, scilicet si si t medium et non finis ve! medium et
finis, quia iam amisit quod debebat ei esse principium. ltem impossibile est esse duo princi-
pia in numeris quorum nullum sit medium ullo modo, nisi in binario numero, nec duo fines
quorum unus <non> sit medius alìquo modo, nisi in binario numero; media vero in ceteris
numeris cum possunt esse multa, tamen universitas eorum inquantum sunt media, sunt quasi
una res. Item rei multae non est finis in quo quiescas. Igitur acquisitio principii in ilio et
finis et medii est perfectio quae maior potest contingere in ordine consimili, sed hoc non est
416 .:.JI:ll ~~- ~1)1 ~W.I IM [188]

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nisi in numero, nec est hoc comprehensum nisi in tribus. Postquarn autem venimus usque ad
hoc, discedarnus inde; non est enim noster usus loqui de huiusmodi rebus quae fabricantur
super intentiones rhetoricas nec sunt de speculationibus demonstrativis.
Dico autem quod sapientes etiam transtulerunt perfectum ad certi-[2l6]tudinem essendi;
et ad verificandum illud dixerunt < ... > quod perfectum est id quod est huiusmodi, cum hac
condicione scilicet quod suum esse per seipsum, quantum perfectius esse potest, acquisitum
est ei, nec inest de eo nisi quod est ad eum, nec comparatur ei aliquid de genere essendi
TRATIATO QUARTO- SEZIONE TERZA 417

possa realizzare in un ordinamento simile; e ciò non si ha se non nel numero e


non è esprimibile se non nella triplicità.
E ora che abbiamo indicato tutta questa quantità [di cose], allontaniamoci
da ciò; non è infatti nostra abitudine parlare di cose simili che, edificate su
congetture oratorie 154, non appartengono ai metodi dei sillogismi scientifici.
Piuttosto, diremo che i filosofi 155 hanno trasferito [il termine] "completo"
anche alla realtà dell'esistenza. Da una parte, essi hanno sostenuto che "com-
pleto" è ciò per cui non vi è nulla che sia per sé tale da perfezionarne l'esisten-
za con qualcosa che non gli appartiene, ma per cui anzi è dato tutto ciò che è
tale [da perfezionarlo]; d'altra parte, essi hanno sostenuto che "completo" è
ciò che è in questo stesso modo con in più una condizione, [quella] di essere il
solo [ente] al quale appartenga la sua esistenza, per sé e nel modo più perfetto
che gli [è proprio], non partecipandone se non ciò che gli appartiene e senza
che gli si possa rapportare qualcosa del genere dell'esistenza che sia in più
rispetto a ciò, con un rapporto primario, non in ragione di qualcos'altro 156 .
Al di sopra della completezza è invece ciò cui appartiene l'esistenza che
gli conviene e da cui l'esistenza eccede a favore di tutte le altre cose: è come
se gli appartenessero la sua esistenza, che è quella che gli conviene, e l'esi-
stenza che è in più, che non è quella che gli conviene ma che ne eccede in
favore delle cose; e questo a partire dalla sua stessa essenza. Di questo fecero
quindi il rango del Principio primo che è sopra alla completezza e dalla cui
esistenza- in sé, non in ragione di qualcosa di diverso da sé -fluisce l'esi-
stenza, eccedendo dalla sua esistenza su tutte le cose. [189] Il rango della

superfluum super hoc, comparatione quae fit prima ad eum, nisi per causam quae sit aliud
ab eo. Plus quam perfectum autem est id cui est esse quod debet habere et ab eo exuberat
esse ad ceteras res, veluti si habeat suum esse quale oportet eum habere, et habet esse supe-
rabundans quo non est ei opus, et ab eo exuberet ad alia, et hoc sit ab eo essentialiter. Et
bune ordinem attribuerunt primo principio quod est ultra perfectionem, ex cuius esse in sei-
pso, non ex causa alia ab eo, fluit esse exuberans a suo esse ad ceteras res. Et ordinem per-
418 \M (189]

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fectionis attribuerunt intelligentiae ei quae, ex intelligentiis separatis, in principio sui esse


est in effectu, cui non commiscetur aliquid potentiae nec exspectat aliud esse. Si autem fue-
rit aliquid aliud ab ea, hoc etiam est ab esse quod fluit a primo.
Id autem quod est infra perfectum posuerunt duo, scilicet sufficiens et insufficiens.
Sufficiens est id cui attributum est aliquid per quod acquisitum est ei complementum sui in
seipso. Insufficiens vero absolute est id quod eget alio quod attribuat sibi completionem post
[217] completionem. Exemplum autem sufficientis est anima rationalis, quae est universita-
tis, sicut caeli. lpsa enim per seipsam agit actiones quae sunt ipsius, et facit esse perfectìones
quae debent esse ipsius, una post aliam, quae omnes non coniunguntur subito nec etiam
remanent semper, nisi quod fuerit de suis perfectionibus quae sunt in suis substantiìs et suìs
formis. Unde numquam cessant a potentia, quamvis in ipsis sit principium trahendi suam
TRATIATO QUARTO- SEZIONE TERZA 419

completezza lo attribuirono a quella 157 delle intelligenze separate che già nel
suo primo esistere è in atto e cui non si mescola quel che è in potenza e che
non attende un'altra esistenza a partire dalla quale esistere: se un'altra cosa vi
fosse 158, anch'essa proverrebbe dall'esistenza che fluisce dal Primo 159•
Al di sotto della completezza collocarono due cose: quel che è sufficiente e
quel che è manchevole.
Quel che è sufficiente è ciò cui è dato quel qualcosa in virtù del quale se ne
attua la perfezione, nella sua essenza; quel che è manchevole invece è, in
senso assoluto, ciò che ha bisogno di [qualcosa] d'altro che gli procuri perfe-
zione dopo perfezione. Un esempio di quel che è sufficiente è l'anima raziona-
le che appartiene al Tutto, intendo dire ai cieli. Essa, infatti, compie per sé le
azioni che le competono e fa esistere le perfezioni che è necessario che le
appartengano, una dopo l'altra, senza che esse si diano tutte insieme d'un sol
colpo e senza che - eccettuate quelle perfezioni che riguardano la sua sostanza
e la sua forma- esse permangano continuativamente; dunque [quel che è suf-
ficiente] non si separa da quel che è in potenza, benché contenga un principio
che fa passare la propria potenza all'atto, come apprenderai in seguito. Quanto
a quel che è manchevole, è come queste cose che sono nel [mondo] della
generazione e della corruzione.
Il termine "completezza" e il termine "tutto" e il termine "insieme" sono
quasi tali da essere interscambiabili per quel che significano. La completezza
però non include come condizione il fatto di contenere una molteplicità in
potenza o in atto, mentre il tutto deve appartenere a una molteplicità, in poten-
za o in atto. Anzi, in molte cose l'essere che conviene [al tutto] è l'unità, men-
tre sembra che, nelle cose misurabili e numerabili, la completezza sia in sé la
stessa del "tutto" nel soggetto: la stessa cosa dunque è "completa" in quanto
niente ne resta al di fuori, mentre è "tutto" perché si dà ciò di cui essa ha biso-
gno; essa, quindi, in rapporto alla molteplicità esistente che vi è compresa è
"tutto", mentre in rapporto a quel che non ne resta fuori 160 è "completa".

potentiam ad effectum, sicut hoc tu postea scies. Insufficiens autem est qualia sunt ea quae
sunt in generatione et corruptione.
Nomen vero perfectionis et nomen totius et nomen universi paene cognata sunt in signi-
ficatione. Non est autem condicio perfectionis ut contineat sub se multitudinem nec in
potentia nec in effectu. Totum vero oportet ut sit multitudinis ve! in potentia ve! in effectu.
Unitas enim in plerisque rebus est esse quod oportet habere. Perfectio vero in rebus habenti-
bus mensuras ve! numeros videtur esse ipsum totum in subiecto. Res igitur est perfecta
inquantum nihil remanet extra eam, et est totum eo quod quicquid necessarium est ei est in
ea; ipsa igitur, respectu multitudinis essentis in ea comprehensae in ea, est totum, et secun-
dum hoc quod nihil remansit extra eam, est perfecta. Postea vero dissenserunt in acceptione
420 .:..11:11 J.-.ill - ~i)\ ~W. l [190]

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u ,y;•• .J\~t( ~·l:-! i Ù" ..,.(.) J~' . ~o_,i!\_, t.~<>})-~

nominis totius et universi secundum duos respectus. Aliquando enim dicunt quod totum
dicitur continuum et disgregatum, universum vero non dicitur nisi disgregatum; aliquando
dicunt quod universum dicitur proprie id in cuius [21 8] situ non est diversitas, et totum dici-
tur id in cuius situ est diversitas, et dicitur totum et universum quod non habet utramque
dispositionem. Et tu scies quod haec nomina debent accipi secundum quod convenerimus.
Aliter etiam dicitur totum id in quo est distinctio, ita ut habeat terrninum. Totum etiam dici-
tur secundum respectum sui ad partem. Universum etiam debet esse similiter; universum
enim ex universitate est, et unìversìtas non est nisi unorum in effectu ve! unitatum in effectu.
TRATTATO QUARTO- SEZIONE TERZA 421

[ 190] Vi è stata inoltre controversia riguardo a come vadano considerati i


due termini "tutto" e "insieme"; a volte dicevano che il "tutto" si dice del con-
tinuo e del discreto, mentre "l'insieme" non si dice se non del discreto, e a
volte dicevano invece che "l'insieme" si dice specificamente di ciò per la cui
posizione non vi è differenziazione, mentre il "tutto" [si dice] di ciò per la cui
posizione vi è una differenziazione. Di ciò cui i due stati appartengono con-
giuntamente si dice "tutto" e "insieme" al contempo 161 •
Tu sai che questi termini devono essere usati come si è convenuto; il modo
più opportuno sta quindi in un certo senso nel dire "tutto" di quel che in sé
contiene una [certa] divisione in modo da avere una parte; infatti, il "tutto" si
dice in rapporto alla "parte". Ma anche l'insieme deve essere tale; l'insieme
deriva, infatti, dal fatto di "essere insieme", e il fatto di "essere insieme" è
proprio solo degli [elementi] unitari in atto e delle unità in atto, sebbene l'uso
abbia fatto sì che lo si applicasse anche a ciò le cui parti o le cui unità sono in
potenza 162 • Ed è allora come se il "tutto" in origine fosse l'opposto della
"parte" 16\ mentre "l'insieme" fosse l'opposto dell'uno: è come se del "tutto"
si considerasse che gli appartiene qualcosa che lo numera 164, pur non facendo
attenzione alla sua unità, mentre dell"'insieme" si considerasse che in esso vi
sono unità, pur non prestando attenzione alla loro numerazione.
Ma è come se 165 tutto questo discorso fosse superfluo; infatti, l'uso che si è
convenuto dopo ciò è di fare dei due [termini] una [stessa cosa], fino al punto
che si è venuti a dire "il tutto" e "l'insieme" anche delle [cose] che non sono
quantificabili poiché o si quantificano per accidente, - come il "tutto bianco"
o il "tutto nero" - o ad esse appartiene di intensificarsi e di indebolirsi - come
"tutto il calore" e "tutta la potenza" 166 • E "tutto" si dice [anche] di quel che è
composto di cose [fra loro] differenti, come l'essere vivente, che è [costituito]
da un'anima e da un corpo. [ 191] La "parte" a volte si dice di quel che è

Sed usus relaxavit etiam ad id quod est pars eius et unum eius in potentia. Igitur secundum
quod est totum est oppositum parti, et universum est oppositum uni, quasi totum sit quod
consideratur habere aliquid a quo numeretur, quamvis non consideremus eius unitatem, et
universum sit id in quo considerantur unitates, quamvis non consideretur in eo numeratio.
Haec autem omnis dictio superflua est. Convenientia enim fecit ea accipi eodem modo,
ita ut dicatur quod totum et universum est in rebus non habentibus quantitatem, eo quod
contingit ea quantitari accidentaliter, sicut dicitur albedo tota et nigredo tota, eo quod adve-
nit eis intendi et remitti, sicut dicitur calor totus et virtus tota. Compositum etiam ex rebus
differentibus, sicut animai, dicitur totum, eo quod est ex anima et corpore. Pars vero ali-
422 [191]

..,-'11 J!. ' ~$>:.} J J. 'p J ':l·c,s!l' ~l ~l..):\ l,rJ


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quando dicitur id quod numera! et aliquando dicitur id quod est aliquid alicuius, et habet
[219] secum aliud a se, quamvis non numeret illud, et fortasse appropriabitur hoc nomine
alicuius, quia aliquid dicitur pars in quod non dividitur res secundum quantitatem, sed in
esse, sicut anima et corpus animali, et hyle et forma composito, et omnino omne id ex quo
componitur aliquid compositum ex diversis principiis.
TRATIATO QUARTO- SEZIONE TERZA 423

numerabile e a volte di quel che è elemento costitutivo (say') di una [certa]


cosa- anche se non numera- e insieme al quale vi è [anche un altro elemen-
to] diverso da esso; e questo [elemento] può essere determinato con il nome di
"parte" 167 • Alcune parti sono [infatti] ciò in cui la cosa si divide, non per quan-
to riguarda la quantità, ma per quanto riguarda l'esistenza: come l'anima e il
corpo per l'essere vivente, la materia e la forma per il composto e, insomma,
ciò di cui si compone quel che è composto di principi differenti 168 •
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TRATTATO QUINTO

TRACTATUSV
1

1
INTRODUZIONE

Sezione prima

Il trattato - che è tra i più densi e difficili della Metafisica nonché tra i più
importanti, anche per la fortuna di cui godette in Occidente - è dedicato
all'analisi dello statuto logico-ontologico dell'intenzione (ma'nii). Le sezioni I
e II costituiscono il luogo della celebre trattazione avicenniana degli universa-
li, il cui nucleo è così riassumibile: le idee delle cose hanno un contenuto
meramente intenzionale, senza alcun predicato di quantità; in se stesso tale
contenuto non è né universale né particolare; esiste nell'intelletto (non ha cioè
un'esistenza separata come invece le idee platoniche) ma corrisponde alle con-
crete cose esistenti (e in tal senso è in esse). Bisogna quindi ben distinguere
l'universale (al-kulli)- che è ciò che può dirsi o predìcarsi di molti- dal con-
tenuto intenzionale (al-ma'nii) della cosa che corrisponde all'essenza di essa
ed è, come tale, indifferente a qualunque determinazione quantitativa (si parla
in tal senso della dottrina avicenniana dell'indifferenza dell'essenza).
[195,4-196,5] A costituire il punto di partenza della trattazione avicenniana
è l'analisi del termine "universale" (kullì) in cui Avicenna distingue tre signifi-
cati. L'universale è: l) ciò che si dice in atto di molti, come "uomo", "cavallo",
ecc. (in tal caso vi è in atto una pluralità di individui di cui è predicabile la stes-
sa intenzione e quindi la stessa "parola"); 2) ciò che può essere detto di molti,
pur non essendolo di fatto (in questo caso la pluralità degli individui è solo
potenziale e, come accade con l'idea di "casa eptagonale", può persino non
esservi neppure un individuo cui far corrispondere l'intenzione); 3) ciò che ci si
può rappresentare (ta,wwwur) come dicibile di molti, perché niente lo impedi-
sce, e che solo una causa esterna rende impossibile attribuire a molti (è il caso
del sole e di ogni altro corpo celeste: nella rappresentazione del sole non vi è
nulla che impedisca di immaginare più "soli" e in tal senso l'universale del sole
si dà, pur corrispondendogli un solo individuo). Gli elementi essenziali in tale
concezione sono due: in primo luogo, il carattere eminentemente linguistico
dell'universale, definito in termini predicativi: esso è ciò che è predicabile
(ma/:tmill) o dicibile (maqill) di molti; in secondo luogo, la mera potenzialità
della predicazione stessa: l'universale è ciò che può essere detto di molti, non
necessariamente ciò che lo è in atto. In tal senso, i tre significati dell'universale
che Avicenna distingue sono da lui stesso riassunti in una definizione generale
428 TRATTATO QUINTO

in cui l'universale si mostra quale perfettamente opposto al singolo particolare:


laddove l'universale è ciò che non trova impedimento a che la sua stessa rap-
presentazione sia detta di molti, il particolare è ciò la cui stessa rappresenta-
zione impedisce che la sua intenzione sia detta di molti e che quindi non è detto
se non in relazione a un singolo e determinato individuo.
[ 196,6-197] La determinazione quantitativa dell'universale si rivela così
distinta dal suo contenuto intenzionale (per definire il contenuto intenzionale
non si ha bisogno dell'universalità e il caso del sole, del resto, lo dimostra). Si
comincia così a profilare l'idea di un'intenzione che sia come tale indifferente
alla quantità, con l'immediata conseguenza di poter supporre ogni determina-
zione quantitativa quale suo accidente o concomitante. Avicenna del resto lo
dichiara: l'universale (e cioè la cosa che, con la sua referenza ogni volta diver-
sa, è dicibile di molti) in quanto è universale (cioè in quanto dicibile di molti) è
una cosa e in quanto è "ciò cui è concomitante l'universalità" (ossia in quanto è
il significato o il contenuto intenzionale della cosa, il suo ma 'na) è un'altra (sul
valore intensionale di tale contenuto intenzionale, v. A. DE LIBERA, Il problema
degli universali ... , pp. 187-188). È chiaro poi che a "ciò cui è concomitante
l'universalità", ossia all'intenzione che è in sé indifferente alla determinazione
quantitativa, potrà accompagnarsi anche la particolarità (come nel caso in cui
l'intenzione è considerata corrispondere al singolo indìviduo).
[ 197, 1-198,9] Dall'indifferenza del contenuto intenzionale a qualunque
determinazione quantitativa o, più esattamente, dalla sua assolutezza (essendo
solo se stessa, la cavallinità è "assoluta"), si ricavano due conseguenze: l) alla
domanda che pone un'alternativa tra affermazione e negazione (''la cavallinità
in quanto cavallinità è o non è universale?"), si dovrà sempre dare una risposta
negativa: la cavallinità non è universale e non è non-universale (può accaderle
l'universalità e comunque la predicazione quantitativa non entra nella sua
definizione); 2) alla domanda che pone, invece, l'alternativa tra due afferma-
zioni, costringendo quindi chi vi risponde ad affermare qualcosa (come nel
caso di chi chiedesse se la cavallinità in quanto cavallinità sia universale o sia,
invece, particolare), non può essere data alcuna risposta. La cavallinità (ossia
la quiddità o l'essere stesso del cavallo), come l'umanità (la quiddità o l'essere
stesso dell'uomo) non è infatti o universale o particolare; nella sua definizione
non rientra che il contenuto intenzionale che la descrive (equinitas in se est
equinitas tantum) e le determinazioni quantitative (l'universalità o la partico-
larità) le si aggiungono dall'esterno. Così, se considerare l'intenzione di qual-
cosa significa non considerare nient'altro assieme ad essa (lo sguardo che la
considera non deve cioè "adulterarla", comprendendo un qualche elemento
esterno che vi si mescoli), ciò non significa negare che ad essa si possano
accompagnare delle determinazioni. E questo è, si potrebbe dire, il motivo
conduttore della sezione.
[198,9-10-199,13] Avicenna passa quindi a riformulare la dottrina appena
esposta rispondendo ad alcune obiezioni o domande. La prima è di chi chiede
INTRODUZIONE 429

se l'umanità in due distinti individui sia identica o diversa (se l'umanità di


Zayd debba dirsi identica o diversa da quella di 'Amr). La questione è eviden-
temente quella di comprendere come possano conciliarsi o coesistere l'intentio
astratta (l'essenza) e il singolo particolare. Ed è, questo, un problema apparen-
temente più complesso di quello della conciliazione tra l'intenzione e l'univer-
sale: nell'universale (ossia in ciò che risulta dalla composizione di intenzione
e predicazione quantitativa) si lascia presumere, infatti, quella astrazione dalle
determinazioni che è anche dell'essenza e che invece, apparentemente, non
può essere operata quando si tratta del singolo individuo 1•
La risposta che Avicenna dà alla domanda riprende lo schema già applica-
to a proposito della questione precedente (l'umanità è universale o non univer-
sale?) e si risolve in una duplice negazione: l'umanità di Zayd non è divn-sa
da quella di 'Amr e non è non diversa da quella di 'Amr. Anche qui, infatti,
l'umanità va considerata in quanto umanità, in assoluto, senza condizioni,
ossia in quanto è solo umanità.
A questo, segue un passo (complesso e forse corrotto) cui Avicenna sem-
bra affidare una precisazione (ma è doveroso considerare questa come un'ipo-
tesi di lettura; per le diverse traduzioni date al passo, cfr. i riferimenti in nota).
Esaminando la lettera della risposta appena presentata (l'umanità di Zayd non
è né diversa né non diversa da quella di 'Amr), Avicenna afferma che quando
si parla di umanità in quanto umanità, si considera l'umanità in quanto tale e
non l'umanità in quanto essa è, per esempio, in Zayd; si può dunque conside-
rare l'umanità che è in Zayd ma in quanto è umanità. Del resto, se si ricondu-
ce l'espressione con cui ci si riferisce all'umanità a Zayd e a ciò che lo deter-
mina come singolo individuo, si esce evidentemente dall'ambito dell'umanità
in quanto tale; se invece la si riconduce all'umanità, per non fare della men-
zione di Zayd un'espressione puramente verbale e cioè senza significato, si
deve astrarre da Zayd (ossia dalle sue determinazioni accidentali) e conside-
rarne soltanto l'umanità.
Se, quindi, l'umanità che è in Zayd non è diversa (gayr) da quella che è in
'Amr, ciò non significa che nei due individui essa sia numericamente la stessa;
considerare l'umanità nell'individuo significa aggiungere qualcosa all'umanità
in quanto tale: se, in quanto tale, l'intenzione dell'umanità è sempre la stessa,
in quanto è esistente negli individui reali o, in quanto concepita come dicibile
di molti, essa non è più la sola intenzione dell'umanità. È tuttavia possibile
considerare l'intenzione in quanto tale, anche quando essa è di fatto predicata
di un individuo: la si considererà però non in quanto essa è nell'individuo: "in
quanto è in Zayd" e "in quanto tale" sono due determinazioni opposte e non
possono accompagnarsi l'una con l'altra.

1 Per le difficoltà che una tale posizione incontra sul piano teorico, cfr. ancora DE
LIBERA, L'art des généralités ... , pp. 527-555.
430 TRATTATO QUINTO

A chi poi obietti che, sostenendo che l'intenzione non è l'una o l'altra
determinazione (per es. non è universale e non è particolare), si finisce per
definire l'intenzione a partire da ciò che essa non è e quindi per prendere in
considerazione proprio qualcosa di diverso dall'intenzione in quanto tale, ces-
sando appunto di considerare l'intenzione in quanto tale (per esempio l'uma-
nità in quanto umanità), Avicenna risponde chiamando in causa le distinzioni
della logica: non è che l'umanità in quanto umanità sia (o non sia) l'una o
l'altra delle determinazioni; è piuttosto che, l'umanità, è o (non è) l'una o
l'altra delle determinazioni non in quanto umanità ma in quanto è altro che
sola umanità; in quanto tale essa non è nessuna delle determinazioni che le
possono invece accadere in quanto è altro che sola umanità.
[199,14-202,8] Dunque non si può dire "l'umanità in quanto umanità", se
non facendo riferimento a qualcosa di indeterminato; quando, viceversa, si sta
considerando qualcosa di determinato (questo dato uomo), non si può più par-
lare del contenuto intenzionale in quanto tale (e perciò si può parlare
dell'umanità di Zayd in quanto umanità solo se si astrae da Zayd). In tal senso,
Avicenna non fa che ribadire quanto ha già spiegato (si ricordi il "motivo con-
duttore" dell'intera sezione). In quanto tale, l'intenzione non ha nessuna deter-
minazione quantitativa: è in virtù degli accidenti che necessariamente la
accompagnano che essa è o particolare o universale; perciò essa è o essa stessa
oppure qualcosa di diverso da essa (l'umanità, cioè, è o "umanità" o l'univer-
sale dell'umanità o l'umanità di questo particolare individuo). Gli accidenti
che la accompagnano, quindi, la modificano nel senso in cui ogni volta che si
considera qualcosa di concreto - o viceversa qualcosa di universale, in poten-
za o in atto- si sta guardando all'intenzione e, contemporaneamente, a qual-
cosa di diverso da essa. In tal senso, l'intenzione è solo una parte della cosa
che si sta considerando e proprio per questo è anteriore alla cosa concreta (o
all'idea universale), come la parte lo è rispetto al tutto o il semplice rispetto al
composto (della parte e del tutto Avicenna ha trattato in Iliih., IV, 3).
[202,9-204,3] È infine ancora attraverso la discussione di un'obiezione
(che probabilmente gli fu mossa da qualche avversario) che Avicenna confer-
ma la propria tesi: a chi gli oppone che l'umanità in quanto tale, diversa da
quella del singolo (si ricordi prima l'esempio di Zayd), non è esistente in esso
ed è invece qualcosa di separato, perché altrimenti la stessa umanità numerica-
mente una si troverebbe in più individui fra loro diversi, Avicenna risponde
ribadendo ancora una volta la necessità di negare (non si deve dire che l'uma-
nità è A o B) ma anche di nqn negare (non si deve non dire che l'umanità è A
o B). L'uomo o "l'animale in quanto tale" non possono esistere che essendo
"un certo animale", eppure in "un certo animale" la quiddità è data sempre
dall"'animale in quanto tale". La particolarità (e l'universalità) sono dei con-
seguenti che si accompagnano necessariamente all'animalità, senza costituirla:
l'animalità quindi esiste (ossia si dà nella realtà) ogni volta o come particolare
o come universale, ma non è né particolare né universale. [204,4-fine] Come
INTRODUZIONE 431

è chiaro, alla base della dottrina degli "universali" c'è quella stessa dottrina
della distinzione tra essenza ed esistenza che regola tutta l' ontologia avicen-
niana. Tale distinzione permette ad Avicenna di rifuggire dal platonismo (e la
concezione avicenniana è definita da de Libera "antiplatonica"): se l'animalità
esistesse come tale, non essendo né nell'intelletto né in singularibus, si fini-
rebbe, infatti, per doverne ammettere un'esistenza astratta, assimilabile a quel-
la delle idee platoniche. Invece - ed è questo un punto problematico ma essen-
ziale- se l'idea dell'animale esiste in quanto universale nell'intelletto e in
quanto particolare in ogni individuo, astratta e in quanto tale essa esiste in
certo modo sia nell'intelletto (è l'idea dell'animale, priva di determinazione
quantitativa), sia in ogni individuo (in quanto corrisponde alla sua quiddità;
cfr. anche V, 2, p. 211: «la natura alla quale accade l'universalità è esistente
negli individui»). Senza tale duplice modo d'esistenza, non si potrebbe, infatti,
spiegare la conoscibilità delle cose (non vi sarebbe corrispondenza tra ciò che
io penso come "animale" e ciò che esiste). Vi è però una distinzione da fare: a
esistere sia nell'anima sia negli individui è l'intenzione non a condizione che
(ossia J'intenzione non considerata in relazione alle condizioni che la accom-
pagnano); l'intenzione a condizione che non (il nudo contenuto quidditativo
della cosa) esiste invece solo nella mente. Anche se "non si sa bene dove col-
locare l'apprensione delle essenze nella loro separazione eidetica" (cfr. A. DE
LmERa, Il problema degli universali... , p. 207), nell'intelletto vi sono quindi
due cose: la forma intellettuale astratta dalle determinazioni quantitative
(l'intenzione concettuale; il contenuto quidditativo della cosa) e la forma intel-
lettuale universale. E quest'ultima è universale in rapporto ai vari individui
che rappresenta ma, in rapporto all'anima che la pensa, è particolare (cfr.
lliih., III, 8, p. 143 e soprattutto V, 2).
Vi è infine da osservare come il tema e il linguaggio della logica non vada-
no distinti da quelli della metafisica; oltre alla distinzione di essenza ed esi-
stenza, che si è già richiamata, va notata quella, anch'essa metafisica, tra
"natura universale" e "natura particolare": il modo d'essere dell'animale in
quanto universale (ossia dell'intenzione o dell'essenza in senso universale)
corrisponde alla specie e alla "natura universale", ossia a ciò che esige il flus-
so divino della provvidenza, mentre il modo d'essere dell'animale in quanto
particolare corrisponde alla "natura particolare", cioè a dire al semplice indivi-
duo (su questo, cfr. Iliih., VI, 5, pp. 289-290).

Sezione seconda

[207,5-209,1] Si è ormai appreso- questo è il dato da cui prende le mosse


la trattazione - che cosa sia l'universale, ossia ciò che, una volta che l'univer-
salità gli inerisca in uno dei tre modi già accennati, è predicabile di molti e
non ha esistenza come tale nei singoli individui. Resta tuttavia da sapere se
432 TRATI ATO QUINTO

negli individui esista un quid in tutti identicamente esistente e a tutti comune.


Vi è cioè una qualche natura negli individui che sia identica in Zayd, 'Amr e
ijalid? La risposta discende ancora una volta dai principi che regolano la logi-
ca e l'ontologia avicenniane e, in primo luogo, dalla distinzione di essenza (o
natura) ed esistenza. Vi è infatti una "natura" alla quale accade l'esistenza o,
allo stesso modo, l'universalità (in tal caso essa esiste nell'anima), ed è questa
quel quid che identicamente esiste negli individui; a tale 'natura' non appartie-
ne in sé alcuna universalità. Così, se Avicenna distingue anche gli altri signifi-
cati di "universale" ("universale" è la sostanza celeste che, libera da materia,
non ha differenze individuali, come "universale" è il genere che "sussiste"
nelle specie), egli ribadisce ancora quella indifferenza quantitativa dell'inten-
zione che ha presentato nella sezione precedente e che porta ad affermare
l'universalità nel senso dell'attribuzione, non della significazione. Vi è quindi
un universale che è tale in relazione agli individui (è l'intenzione a condizione
che sia dicibile di molti): esso esiste nell'intelletto e, in quanto genere, sussiste
nella specie; vi è poi un universale che è tale in sé e ha un'esistenza esterna (è
l'ente celeste) e infine vi è l'intenzione, il contenuto quidditativo della cosa o
l'intenzione senza condizione (o non a condizione di), che esiste negli indivi-
dui o nell'intelletto (ma mai in quanto tale).
L'interrogativo di fondo- come Avicenna ha dichiarato all'inizio della
trattazione - sta nel chiedersi se sia possibile che una stessa cosa una sia, nella
propria identità, esistente in molti individui. Si deve allora notare come sia
solo l'avere isolato l'intenzione senza condizione (o non a condizione di) -
ossia aver posto quella che si definisce "separazione eidetica" - a rendere pos-
sibile una risposta affermativa. Infatti, se fosse la stessa umanità ad esistere, in
sé, in" più individui, si avrebbe una contraddizione: l'umanità universale
dovrebbe al tempo stesso essere singolare; essa si troverebbe cioè racchiusa
dagli accidenti dei vari individui, finendo per ricevere predicazioni contraddit-
torie (la stessa umanità a condizione di essere dei molti sarebbe infatti a condi-
zione di essere di uno solo ossia non di molti). Affermare invece che è l'uma-
nità senza condizione a esistere negli individui (come "parte" di quella che è a
condizione di essere di un singolo) permette di assentire contemporaneamente
alla sua esistenza in Zayd e nell'intelletto. Come tale essa è solo "una parte" di
Zayd (non ne comprende gli accidenti) ed è anche una parte del concetto uni-
versale (non ne ha l'universalità ossia le sue diverse predicazioni possibili).
Insistendo sul suo carattere antiplatonico, Alain de Libera ha definito questa
funzione dell'intenzione senza condizione "tolleranza ontologica": «bisogna
che la natura dell'essenza tolleri di essere concepita come invariante in diffe-
renti contesti ontologici, e questo può accadere solo a condizione di essere
concepibile in se stessa, priva di ogni carattere ontologicamente inibente» (v.
Il problema degli universali ... , p. 197).
[209,2-fine] È dunque certo che l'universalità accade alla natura della cosa
solo quando essa è nell'intelletto (solo quando essa cade nella rappresentazio-
INTRODUZIONE 433

ne mentale). A questo punto Avicenna riprende un tema già accennato nella


prima sezione: nell'intelletto l'intenzione universale è universale in rapporto
agli individui ma è singolare in rapporto al singolo intelletto in cui si trova e
non c'è in questo suo duplice modo alcuna contraddizione, perché diversi sono
i rapporti (o le considerazioni) in base a cui la stessa intenzione dell'universale
è universale o particolare. Del resto, l'universale è necessariamente una stessa
cosa che ha una relazione con i molti: se vi fosse un'intenzione per ogni indi-
viduo concepito, non vi sarebbe associazione e la molteplicità non sarebbe
conoscibile. Inoltre- come mostra poi Avicenna- non è contraddittorio attri-
buire relazioni molteplici allo stesso intelligibile; è anzi possibile attribuirglie-
ne di infinite: se si prende il caso dei rapporti numerici, ci si accorge infatti di
come a uno stesso intelligibile possano appartenere (in potenza) infiniti rap-
porti che l'intelletto scopre via via che procede nel calcolo o nelle analogie (è
per esempio in potenza che si hanno in mente i poligoni, le proporzioni tra
numeri, ecc.).
Una prima conseguenza di tale affermazione è quella di dover ammettere
neli' intelletto l'esistenza di due di v erse forme intellettuali. Anche qui,
Avicenna non fa che riprendere ciò cui aveva accennato nella conclusione
della sezione precedente: poiché in ogni singolo intelletto che intende vi è una
nozione universale (che non è che l'intenzione a condizione di essere dicibile
di molti, la quale contiene come una sua parte l'intenzione senza condizione),
è chiaro che si dovrà dare anche l'universale di tale nozione universale (il
quale comprenderà tutte le intenzioni universali concepite dalle varie anime);
quest'ultimo universale è universale sia in rapporto alle molteplici anime che
lo pensano, sia in rapporto ai molteplici individui che rappresenta (se ciascuno
di noi ha l'idea di gatto- universale in rapporto ai molti gatti, ma singolare in
rapporto a ciascuno di noi- a rappresentare l'idea di gatto che è in ciascuno di
noi sarà un'altra idea, un'idea che è universale in rapporto alle nostre molte
idee di gatto e che potremmo definire un 'meta-universale'?. Anche così si
rivela la possibilità di aggiungere considerazioni e relazioni diverse alla stessa
cosa una (più avanti Avicenna ricorda, per esempio, come l'intelletto che ha
intellezione possa avere intellezione di avere intellezione e così avere intelle-
zione di avere avuto intellezione, ecc.). Infine, oltre a ricordare che a fornire il
"materiale" per l'intellezione dell'universale è solo la prima.cosa (per esempio
il primo gatto) che cade nella nostra rappresentazione (gli altri gatti vengono

2 Sulla questione in genere, cfr. DE LIBERA, L "art des généralités .. . , pp. 571-575; l'ipote-

si di de Libera è che Avicenna introduca questo nuovo "universale" (che de Libera designa
come U2 in opposizione a Ul) per scongiurare il regresso all'infinito <<qui découlerait
immanquablement d'une ontologie réduite aux Ul [... ] la fonction de I'U2 est de maltriser
l'infinité potentielle des Ul, ce qui est possible dans la mesure où [... ]le rapport de l'U2 aux
Ul est analogue à celui de l'Ul aux choses extramentales» (cfr. L'art des généralités ... , pp.
574-575, nota 67).
434 TRATIATO QUINTO

per così dire riconosciuti ma non aggiungono nulla all'idea di gatto che si è
ormai formata), Avicenna affronta il tema della differenza tra il tutto e la parte
e tra l'universale e il particolare (per cui cfr. ArusT., Metaph., V [il], 25-26).

Sezione terza

A partire da questa sezione, l'oggetto del discorso non è più costituito,


genericamente, dall'universale, ma precisamente dal genere e dalla specie e
dai loro rapporti nella definizione (cfr. le discussioni in ARIST., Metaph., VII
[Z], 5-6; 10-15). [213,4-215,11] Qui, dopo avere brevemente ricordato come
anche del termine "genere" (gins) vi siano - e vi siano stati - diversi usi,
Avicenna affronta il tema logico della distinzione tra l'intenzione che è "gene-
re" e quella che è "materia". Per costruire il proprio argomento, egli si serve
dell'esempio del concetto di "corpo" che può essere sia "genere" dell'uomo
(in questo primo senso l'uomo "è" corpo e "corpo" è quindi un predicato di
uomo), sia "materia" dell'uomo (in questo secondo senso il corpo è solo una
parte dell'uomo e non può esserne un predicato). La differenza tra i due sensi
dipende dalla diversa considerazione ogni volta adottata: il corpo considerato
come sostanza nella cui definizione, oltre a quella della tridimensionalità, pos-
sono rientrare altre intenzioni è sostanza corporea e quindi "genere" dell'ani-
male e poi dell'uomo; il corpo considerato come sostanza nella cui definizione
non rientri altro che la tridimensionalità (e il significato di tale tridimensiona-
lità è chiaro a partire da /liih. Il), è "materia" o "soggetto". Nel primo senso si
ha il corpo non a condizione che (o che non) vi siano altre forme; in tal senso,
altre forme o intenzioni che ne accompagneranno l'intenzione potranno entra-
re nella sua quiddità; nel secondo, si ha il corpo a condizione che non vi siano
altre intenzioni: in questo senso qualunque proprietà a parte quella della tridi-
mensionalità sarà esterna alla nozione di corpo. [215,11-fine] Analogo è il
discorso per le altre intenzioni (Avicenna fa il caso di "animale" e poi, per la
specie, di "sensibile" e "razionale"): il genere è un'intenzione considerata in
modo tale che sia possibile che vi rientrino delle differenze; quando, vicever-
sa, l'intenzione è in se stessa conchiusa, si tratta della materia; la "specie" è,
invece, l'intenzione completa, e cioè quella del genere cui è stato aggiunto ciò
che lo specifica (in tal senso, la specie è a condizione che siano date tutte le
intenzioni che la definiscono).
Tuttavia, a costituire la materia o il genere della cosa è sempre la stessa
entità: a mutare è solo la considerazione che di essa se ne ha. La distinzione
tra "genere" e "materia" è in tal senso una distinzione logica. Il genere, quindi,
non esiste prima della cosa in se stessa realizzata, né esiste prima della specie:
semplicemente esso corrisponde alla considerazione della cosa che è ancora
indeterminata, cosicché conoscere il genere non significa conoscere la cosa (se
so che una cosa è "colore", non so se sia "bianca" o "nera"). Perciò, una volta
INTRODUZIONE 435

che l'anima conosca il genere, il passo ulteriore sarà quello di specificarne il


contenuto intenzionale e di giungere alla specie, mentre se conosce la specie,
il passo ulteriore sarà quello di designare ostensivamente qualcosa, ossia di
conoscere l'individuo determinato che vi rientra.

Sezione quarta

[220,4-221,15] In questa sezione viene esaminata la natura del genere. In


esso rientrano due tipi di determinazioni: quelle che lo rendono specie (come
"corporeo" o "incorporeo" per il genere della sostanza) e quelle che non lo
rendono specie (come "bianco" o diversamente "maschio" e "femmina" per il
genere "animale"). Dopo aver precisato che non si possono elencare una per
una tutte le differenze di un genere, Avicenna enuncia una sorta di legge gene-
rale: per divenire "specie" il genere deve essere diviso in modo essenziale
(l'articolazione della differenza deve seguire la natura stessa del genere) e
senza che la divisione si possa rovesciare (tra la sostanza corporea e quella
incorporea non vi è convertibilità). La divisione che dà la differenza deve
insomma conseguire direttamente al genere, in modo primario altrimenti, non
si ha una differenza specifica, ma qualcosa che consegue e divide a sua volta
la differenza (è per esempio il caso di "mobile" o "immobile" che articolano
"sostanza corporea", non "sostanza"). [221,16-225,4] Vi sono però alcune dif-
ferenze che, pur non derivando direttamente dal genere, lo specificano; ciò che
conta è allora che esse non derivino da una natura più generale del genere e
che facciano implicitamente conoscere la differenza ad esse superiore (è il
caso di "razionale" e "non razionale" rispetto a "corpo": esse permettono di
inferire che la sostanza che esse dividono è un corpo ossia una sostanza corpo-
rea "dotata di anima"). Vi sono invece alcune determinazioni che non divido-
no il genere nella specie. Le differenze che non dipendono dalla natura del
genere dipendono infatti o da una natura più particolare (come nel caso appena
considerato) o da una natura più generale di quella del genere. Se dipendono
da una natura più generale, esse sono come "maschio" e "femmina": sono
ininfluenti alla costituzione della specie come tale (maschio e femmina sono
comuni a tutte le specie ed è anche possibile concepire l'idea di un animale
senza specificarne il sesso); non ne riguardano il fine (il fine della specie non
si realizza nel sesso dell'individuo); dipendono dalla materia, non dalla forma
e sono insomma dei conseguenti o dei propri della natura del genere. Va nota-
to, tuttavia, che il fatto che esse derivino dalla materia non basta a spiegare
che non siano delle differenze: alcune differenze- e Avicenna prende a esem-
pio la capacità nutritiva- derivano proprio dalla materia.
[225,5-fine] Avicenna riprende quindi il discorso, riproponendo le due
questioni iniziali: l'una riguarda che cosa il genere possa contenere senza per
questo divenire una specie; l'altra, come si dia l'unità di genere e differenza.
438 TRATIA TO QUINTO

una cosa che è animale e un'altra che è razionale. In tal senso, animale razio-
nale non è l'insieme (magmu') di due cose. Se "animale" significa "corpo
dotato di anima percipiente", "razionale" significa che questo stesso corpo è
dotato di un tipo particolare di anima, quella razionale: il rapporto tra "anima-
le" e "razionale" è quindi quello tra qualcosa che è concepito come ancora
indeterminato (e che come tale non può darsi nell'esistenza, ma solo nell'intel-
letto) e qualcosa che è concepito come determinato (e che esiste perciò anche
al di fuori della mente: se un corpo dotato di anima esiste, è perché è dotato di
un particolare tipo di anima).
Avicenna ricorda dunque che la definizione, seppure in modo improprio,
può essere costruita anche senza fare ricorso alla differenza specifica ma a
qualcosa che la "indica": quando si definisce l'animale come "sensibile", lo si
fa non perché la sensibilità ne esprima l'essere o l'identità (huwiyya), ma per-
ché la sensibilità può venire assunta per rappresentare quelle potenze che con-
seguono necessariamente alla differenza propria dell'animale, identificandolo
(sensibilità, moto volontario, immaginazione): la sensibilità non è la differen-
za specifica dell'animale, ma uno dei suoi conseguenti, ed è spesso dai conse-
guenti che si ricavano i nomi per le cose (cfr. la sezione VI)
[238,9-240,8] È chiaro, quindi, che se la differenza va, con il genere, a
costituire un'entità unitaria, ciò non accade perché essa si aggiunge dall'ester-
no al genere, ma perché vi è contenuta (il genere contiene in potenza tutte le
differenze). Vi sono, infatti, due diversi tipi di unione: quella tra due cose fra
loro esterne e di cui l'una, se isolata, non avrebbe esistenza (in tal caso l'insie-
me che ne risulta è qualcosa di distinto da entrambe le cose, come dall'unione
di materia e forma si origina il sinolo); oppure quella tra due cose indipendenti
l'una dall'altra che, o mescolandosi o componendosi o trasformandosi, forma-
no una cosa una; questo tipo di unione è proprio anche delle cose che, isolate,
non hanno sussistenza; l'unione del soggetto e degli accidenti è di questo
secondo tipo, cui può essere ricondotta anche la relazione tra genere e diffe-
renza, che è quell'unione tra due cose delle quali l'una è in potenza l'altra. In
tal senso, genere e differenza sono l'uno distinto dall'altra solo in rapporto alla
determinazione e all'indeterminazione, non in rapporto all'esistenza. Un
esempio concreto di tale rapporto è offerto dalla relazione tra estensione e
linea: quest'ultima non è che una determinazione particolare e concretamente
esistente della prima.
[240,9-242] La definizione, perciò, in un certo senso ha due parti mentre,
in un altro senso, non è che un'entità unitaria: se genere e differenza sono con-
siderati ciascuno nella sua indeterminazione e nella sua determinazione,
divengono le due parti della definizione; se sono invece letti alla luce della
determinazione e della realizzazione che l'una offre all'altro, esprimono insie-
me la quiddità del definito e sono quindi la stessa cosa una. La conclusione
della sezione è quindi la vera risposta all'obiezione da cui si era partiti.
INTRODUZIONE 439

Sezione ottava

[243A-244, 17] Anche questa sezione è incentrata sulla definizione. Due


questioni emergono: l) come si definiscano le cose e quindi quale sia il loro
rapporto con la definizione; 2) quale differenza vi sia tra quiddità e forma. Per
ciò che riguarda la prima questione, va innanzitutto compreso che la definizio-
ne non si dà univocamente di tutte le cose: secondo anteriorità è quella della
sostanza, per posteriorità quella delle cose che in virtù della ·sostanza si defini-
scono. In tal senso, la sostanza - che non entra nella quiddità degli accidenti -
entra nelle definizioni degli accidenti come una parte. Lo stesso va detto per le
definizioni dei composti (da una sostanza e da un accidente) in cui la sostanza
entra anzi "due volte": una volta nella definizione della sostanza e una volta
nella definizione dell'accidente (nella definizione di "naso camuso" la sostan-
za - il naso - entra due volte; una volta nel definire "naso" e una volta nel
definire "camuso" che è "il naso piatto" o "schiacciato").
[244,17-245,17] Nelle sostanze semplici dunque- e si affronta qui la
seconda questione sollevata- essenza (forma) e quiddità corrispondono, men-
tre nelle sostanze composte esse non corrispondono: la quiddità è data infatti
dall'insieme di ciò che fa sussistere la cosa, insieme che, nei composti, com-
prende la materia, laddove la forma è solo una parte della quiddità. La quid-
dità si dice quindi per omonimia di cose diverse (del genere, della specie e
dell'individuo). [245,18-fine] Tuttavia- e questo tema rimanda anche alla
prima questione sollevata - del singolo individuo non si dà definizione: la
definizione è sempre generale e non può venire riservata a qualcosa di partico-
lare. Per quante precisazioni si possano aggiungere - Socrate è "il filosofo pio
ucciso ingiustamente il tal giorno e nella tale città" - non si arriva mai a quella
singolarità che è colta solo dalla designazione o dali' astensione. Solo quando
l'individuo di una data specie è unico (come nel caso degli enti celesti) la defi-
nizione coglie l'individuo ma, come Avicenna ha già spiegato, ciò nori dipen-
de dalla definizione stessa (cfr. V, 1).

Sezione nona

[248,4-249,15] Dopo aver precisato che la specie può avere delle parti (è il
caso delle qualità e delle sostanze composte), Avicenna si sofferma su tre casi
che dimostrano come le parti non siano sempre anteriori al definito: le dita
dell'uomo sono definite in virtù dell'uomo (in tal senso l'intero "uomo" è
anteriore alle dita); la sezione di cerchio è definita in virtù del cerchio; l'ango-
lo acuto, che è parte di quello retto, è definito in virtù di quest'ultimo (cfr.
ARIST., Metaph., VII [Z], 10). Non si tratta di parti della specie in senso for-
male o sostanziale (cioè di parti che entrino nella quiddità delle cose; la quid-
dità dell'uomo è indipendente dalle sue dita), ma di parti della materia che
440 TRAITATO QUINTO

sono tali in relazione a ciò che la materia può subire (per esempio, la divisibi-
lità che è ciò che la materia intelligibile del cerchio, ossia l'estensione, può
patire) [249,15~fine] Bisogna, tuttavia, operare alcune distinzioni: le parti pos-
sono infatti esistere in atto nella cosa (è questo il caso delle dita nell'uomo)
oppure in potenza, come è per la sezione di cerchio e per l'angolo acuto. E vi è
un'ulteriore differenza: la sezione di cerchio si fa a partire da un cerchio in
atto, mentre l'angolo acuto è solo definito a partire da un angolo retto, cioè da
un angolo concepito come tale. La conclusione della sezione è dedicata poi a
dimostrare perché nella definizione degli angoli sia necessario partire da quel-
lo retto: l'angolo retto è il solo a darsi in una posizione determinata e solo in
quella, così che l'angolo acuto e quello ottuso, che possono invece avere
diverse inclinazioni, si definiscono rispettivamente come minore e maggiore
di un angolo retto.
442 [195]

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TRACTATUS QUINTUS

CAPITULUM DE REBUS COMMUNIBUS ET QUOMODO EST ESSE EARUM

[227] Oportet nunc ut loquamur de universali et particulari. Convenientius enim est ei a


quo iam expediti sumus et hoc est de accidenti bus propriis esse.
Dico igitur quod universale dicitur tribus modis: dicitur enim universale secundum hoc
quod praedicatur in actu de multis, sicut homo; et dicitur universale intentio quam possibile
443

[SEZIONE PRIMA]

SEZIONE SULLE COSE GENERALI E SU COME SE NE DIA L'ESISTENZA 1

Conviene ora parlare dell'universale e del particolare2 , [come è] poi oppor-


tuno anche rispetto a ciò di cui abbiamo trattato esaurientemente [fin qui] e
cioè gli accidenti propri dell'essere. E allora diremo che l'universale si può
dire in tre modi.
"Universale" si dice, infatti, dell'intenzione (ma'nii) in quanto essa è detta
in atto di molti, come "l'uomo"; "universale" si dice poi dell'intenzione quan-
do essa può predicarsi di molti, benché ciò non sia a condizione che essi siano
esistenti in atto, come l'intenzione della "casa eptagonale": essa, infatti, è uni-
versale in quanto per sua natura si può dire di molti, e tuttavia non è necessa-
rio che quei molti siano senz'altro esistenti, anzi [non è necessario] che ne esi-
sta neppure uno3 .
"Universale" si dice infine di quell'intenzione che nulla impedisce di rap-
presentare come dicibile di molti e per cui ciò risulta impossibile solo se c'è
una causa (sabab) che lo impedisce e qualcosa che ne dà indicazioné, come è
per il sole e per la terra: in quanto essi5 sono intesi come "sole" e "terra" la
mente non pone, infatti, alcun impedimento [a considerare] possibile che
l'intenzione che essa [ne ricava] riguardi un molteplice, a meno che non le si
presenti una prova o un argomento probante in virtù del quale essa possa rico-
noscere che ciò è impossibile 6, laddove ciò risulta impossibile a partire da una
ragione esterna, non a causa della stessa rappresentazione.

est praedicari de multis, etsi nullum eorum habeat esse in effectu, sicut intentio domus hep-
tangulae, quae universalis est eo quod natura eius est posse praedicari de multis, sed non est
necesse esse illa multa; immo nec etiam aliquod illorum; dicitur etiam universale intentio
quam nihil prohibet opinari quin praedicetur de multis, quod tamen, si aliquid prohibet,
prohibebit causa qua hoc probatur, sicut sol et terra: hoc enim, ex hoc quod intelliguntur sol
et terra, non est prohibitum quantum ad intellectum posse intentionem eorum inveniri in
multis, nisi inducatur ratio qua sciatur hoc esse (228] impossibile; et hoc eri t impossibile ex
causa extrinseca, non ex ipsorum imaginatione. Possunt autem haec omnia convenire in hoc
446 [197]
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Si quis autem interrogaverit nos de equinitate secundum contradictionem, scilicet an


equinitas, ex hoc quod est equinitas, sit a ve! non <a>, non erit responsio nisi secundum
negationem, quicquid illud fuerit, non autem secundum negationem eius quod est, sed eius
quod dicitur de ea, videlicet quoniam non debet dici quod equinitas ex hoc quod est equini-
tas non est <a>, sed, ex hoc quod est equinitas, non est equinitas a nec aliquid aliorum.
Si autem partes quaestionis fuerint duae affirmativae immediate, tunc non erit necesse
respondere aliquam illarum ullo modo, quoniam [230) alterius earum, scilicet affirmativae,
TRA TIATO QUINTO- SEZIONE PRIMA 447

[ 197] Se riguardo alla cavallinità fossimo interrogati sui due estremi della
contrapposizione22 - per esempio: se la cavallinità sia A o non sia A23 - la
risposta non potrebbe essere che una negazione, di qualunque cosa [si trattas-
se]; non nel senso che la negazione vada dopo [aver specificato] "in quanto
[tale]", ma nel senso che essa va prima di "in quanto [tale]". Non si dovrà cioè
dire: "la cavallinità in quanto cavallinità non è A", ma piuttosto "non è, in
quanto è cavallinità, né A né nessun'altra cosa" 24 • E se poi i due estremi della
questione [fossero costituiti] da due affermazioni, in modo tale che una delle
due dovrebbe sen~'altro [essere scelta]25, noi non saremmo affatto costretti a
rispondere alle due [questioni]. Per questo lo statuto [della coppia] dell'affer-
mativa e della negativa differisce da [quello] delle due affermative che sono in
potenza due contraddittori26 : perché il significato dell'[attributo] che, dei due,
è quello positivo che consegue al negativo, sta nel fatto che quando 27 la cosa
non è qualificata con l'altro [attributo] affermativo, lo. è con questo. Tuttavia,
quando è qualificata con esso, non [per questo] la sua quiddità consiste in
esso; infatti, non è che quando l'uomo è uno o è bianco, lo stesso essere 28
dell'umanità consista29 nell'unità o nella bianchezza o che lo stesso essere
dell'umanità consista nell'uno o nel bianco. Perciò, se il soggetto della que-
stione lo facciamo [risiedere] nello stesso essere dell'umanità in quanto uma-
nità - come una cosa una - e veniamo interrogati su di uno dei due estremi
della contrapposizione, così che ci si chieda: "esso è uno o è molti?", non dob-
biamo necessariamente rispondere. [198] [L'umanità], in quanto è lo stesso

quae comitatur negationem, intellectus est quod, cum res non fueòt appropòata altera affir-
mativa, appropòabitur hac altera affmnativa. Cum autem fueòt appropòata hac, eius essen-
tia non eòt ipsa propòetas: homo enim cum est unus ve! albus, tunc essentia humanitatis non
eòt ipsa essentia unitatis ve! albedinis, nec essentia horninis eòt essentia unius ve! albi.
Cum ergo subiectum quaestionis posita fueòt ipsa humanitas secundum quod est huma-
nitas veluti aliquid unum, et interrogaveònt nos secundum aliquod contraòorum dicentes
quod aut est unum aut multa, tunc non eòt necesse respondere aliquod illorum: ipsa enim
448 [198]

.l.-J ~Y.. ~-' , l...ro .l.-1_, J) Jf .I.S:. ~U)'I ~_,.. li" .:...r.;,- 1,:\'.
• .la.i ~U)'I ~l trii ..!llj

' (.J~ v- .w.~ v...._, ~~ .} ~_,t .bo\_, ~~ .J.,..Y. Ja ~~l.. t_,·


_,. .:...r v- ...;_,..._,l l ..!llj _,.. 4Jj:._~- ,§J_, ' .!Il~ .J.,..Y.. ~~ ~~ ~
.:,i( .Jj:._ lil J. l~_,.. ~Wl_,.. .:...r .;,- 0§~ ~ ' .laM ~Wl •
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~ ~_,.:i i.!l ...,..~ Jlj ' .laM ~Wl_,,. .:...r ~ ~l t)ii iJl) \j,
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o.!..f-ù- ~W)'I I.!.IJ.i 4Jl ..,..Wl llr, ~J,'till... \1.-t;'bll• c:,':J,.,.~.J~
( .Jl ~~.V~ ù- tr .1/ J Jl J..;,. \rh ' .k.u~Ul li" ~l-il r./"
t..il..il li" o.!..f- ù- ~W)'\ ò.f:; c:,i r} 4iU)'I .:r \.e-.J~ ..!llj J:..
~ .;1- ~W)'\ ~~llil.J' ..!ll.l ~t.u_,' ....Al~~ .Jl '*-Wl ,.
• .k.ii 4:iU1li"

hurnanitas, ex hoc quod est ipsa hurnanitas, est quiddarn praeter aliquid illorurn in cuius
definitione non accipitur nisi hurnanitas tanturn. Sed si proprietas eius est esse unurn ve!
multa, sicut proprietas quae earn sequitur, tunc sine dubio appropriabitur per hoc, sed tarnen
ipsa non erit ipsurn appropriaturn, ex hoc quod est hurnanitas; ergo, ex hoc quod ipsa est
hurnanitas, non est ipsurn unurn ve! rnulturn, sed est aliud quidclarn cui illud accidit extrinse-
cus. Curn ergo ipsa consideratur secundurn hoc quod est humanitas tanturn, non erit tunc
necesse considerari curn hoc id quod accidit ei extrinsecus.
TRATIATO QUINTO- SEZIONE PRIMA 449

essere dell'umanità30, è infatti una cosa diversa da ognuno dei due [attributi] e
nella sua definizione non si trova 31 che l'umanità soltanto32 .
Se poi [ci si domanda] se essa33 sia qualificata èome una o molteplice in
quanto una certa qualificazione la accompagna dall'esterno, ebbene senz'altro
essa è qualificata in tal [modo]; tuttavia, in quanto è soltanto umanità, essa
non è tale cosa qualificata né, in quanto umanità, è molteplice: è piuttosto
come se questa [qualificazione] fosse solo qualcosa che la accompagna
dall'esterno.
Ecco allora che, se guardiamo [all'umanità] in quanto è soltanto umanità,
non dobbiamo adulterarla rivolgendo lo sguardo a qualcosa di esterno che del
[nostro] sguardo faccia due [diversi] sguardi- uno che guardi a essa in quanto
tale e un altro [rivolto] ai suoi concomitanti - laddove secondo il primo e
unico sguardo non vi sarebbe che l'umanità soltanto.
Perciò, se qualcuno chiedesse: "l'umanità che è in Zayd, in quanto è uma-
nità, è diversa da quella che è in 'Amr?", si dovrebbe necessariamente dire 34
di no; da questa ammissione, tuttavia, non consegue che si dica che quindi
guella e guesta sono numericamente una stessa I cosa]. Qui, infatti, si ha una
negazione in senso assoluto35 e con tale negazione noi abbiamo inteso [dire]
che questa umanità, in quanto è umanità, è soltanto umanità e che il fatto che
essa sia diversa da quella che è in 'Amr è qualcosa di esterno; infatti, se non
fosse qualcosa di esterno, ne dovrebbe conseguire che l'umanità, in quanto
umanità, è - per esempio.- A oppure non è A, ciò che abbiamo già
confutato36 , avendo preso [in considerazione] l'umanità in quanto essa è sol-
tanto umanità.

Ponamus ergo in hoc duas considerationes, unam considerationem de ipsa secundum


quod est ipsa, et aliam considerationem de con-[23l}sequentibus ipsam. Secundum autem
primam considerationem, non est nisi humanitas tantum. Unde, si quis interrogaverit an
humanitas quae est in Platone, ex hoc quod est humanitas, sit alia ab illa quae est in Socrate
et necessario dixerimus non, non oportebit consentire ei ut dicat: <<ergo haec et illa sunt una
numero>>, quoniam negatio illa absoluta fuit et intelleximus in ea quod illa humanitas, ex hoc
quod est humanitas, est humanitas tantum, sed ex hoc quod ipsa est alia ab humanitate quae
est in Socrate quiddam extrinsecum est. Ipse vero non interrogavit de humanitate nisi ex hoc
quod est humanitas. Cum autem dixit: <<humanitas quae est in Platone, ex hoc quod est
450 [199]

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humanitas», iam posuit ei respectum ex hoc quod est humanitas; attribuit ergo ei respectum
extraneum ab ea, cum dixit: <<quae est in Platone», aut <<quae est illa quae est in Platone>>.
Nam si non, tunc iam accepissemus humanitatem ex hoc quod est in Platone. Cum enim
exspoliaverimus considerantes illam per se secundum hoc quod est humanitas, non potest
esse quin haec dictio, scilicet quae est, ve! referatur ad huro.anitatem quae est in Platone, et
tunc hoc erit absurdum: non enim cohaeret ut humanitas sit in Platone ex respectu quo ipsa
est humanitas tantum; ve! referatur ad humanitatem, et tunc nominatio Platonis frustra fuit,
nisi intelligatur quia hoc quod humanitati accidit esse in Platone extrinsecum fuit; iam
autem [232] destruximus eam sic esse in Platone; sed si potest ita esse, sic etiam habet
respectum praeter humanitatem.
TRATTATO QUINTO- SEZIONE PRIMA 451

[199] D'altronde, quando si dice: "l'umanità che è in Zayd in quanto è


umanità, la si è considerata in quanto umanità37 , tralasciando il fatto che essa è
in Zayd e che essa è quella che è in Zayd38 , altrimenti la si sarebbe assunta39
secondo il fatto che è in Zayd", la si è già astratta40 e si è parlato in quanto si
rivolge la nostra attenzione ad essa41 , in quanto essa è [soltanto] "umanità"42 .
Non si sfugge poi a una di queste due possibilità, e cioè: o riconduciamo
I'espressione43 che riguarda [in quanto] essa è44 all'umanità che è in Zayd-
ma questo è impossibile a dirsi, perché non possono andare insieme il fatto
che sia un'umanità in Zayd e il fatto che essa sia considerata in quanto è sol-
tanto umanità- [oppure] se [l'espressione] è ricondotta soltanto all'umanità45 ,
la menzione di Zayd è puramente verbale46 , a meno di non intendere47 che
l'umanità è quella cui sarebbe accaduto dali' esterno di essere in Zayd, avendo
però noi lasciato cadere il fatto che essa è in Zayd. Perciò, è così che è [l'uma-
nità]? Anche in questo48 [caso] si dà la considerazione di qualcosa di diverso
dall'umanità [?] 49 .
Se poi qualcuno ci interrogasse, dicendo: "non state forse rispondendo con
l'affermare che (l'umanità] non è la tal [cosa] né è la tal [altra], quando invece
che essa non sia la tal [cosa] o la tal [altra] è qualcosa di diverso dal fatto che
essa sia umanità in quanto umanità?" Ecco, noi diremmo che non rispondiamo
che essa, in quanto è umanità, non è la tal [cosa], ma invece rispondiamo che
essa non è, in quanto è umanità, la tal [cosa]; e la differenza tra queste due
[formulazioni] si è appresa nella Logica 50 •
Ma vi è ancora dell'altro, e cioè che in simili questioni, se [le domande]
non sono vincolate a una determinazione 51 , il soggetto finisce quasi per riman-
dare all'indeterrninazione e ad esse non c'è risposta; a meno che52 non si con-
sideri tale [200] umanità come se essa fosse qualcosa di designabile, non tro-

Si quis autem interrogaverit dicens: «nonne respondistis dicentes quod ipsa non est ita,
cum ipsa non sit ita praeter suum esse humanitatis quo ipsa est humanitas>>, dicemus nos non
respondisse quod ipsa, ex hoc quod est humanitas, non est ita, sed respondisse quod ipsa,
non ex hoc quod est humanitas, est ita. Iam autem nota est in logica horum differentia.
Amplius. Subiectum huiusmodi quaestionum plerumque videtur indefinite cum non
determinatur signo, et tunc non fiet ad illam responsi o nisi ponatur ipsa humanitas quasi ali-
qua designata absque omni multitudine, et tunc nostra dictio, scilicet ex hoc quod ipsa est
452 ,. .. [200]

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humanitas non est pars subiecti, eo quod <non> congrue dicitur humanitas quae est ex hoc
quod est humanitas, alioquin, fieret indefinita. Si autem dicitur ipsa humanitas quae est ex
hoc quod est ipsa humanitas, iam cecidit in eam designatio quae addita est supra humanita-
tem. Si autem nos consenserimus in hoc, utraeque partes qu:;lestionis removebuntur ab ea; et
tunc non oportebit esse unum ve! multa nec ipsa nec aliud, nisi secundum intentionem quam
necesse est esse ipsam ve! aliam. Et tunc dicetur quod necesse est esse aliam propter acci-
dentia quae sunt cum illa, quoniam numquam invenitur sinc accidentibus, et tunc non acci-
pietur secundum hoc quod est humanitas tantum. Postquam autem humanitas [233] Platonis
non est sua nisi propter accidentia, tunc haec accidentia habent actiones in individuo
TRATTATO QUINTO- SEZIONE PRIMA 453

vandosi in essa alcuna molteplicità53 , nel qual caso, tuttavia, dire "in quanto è
umanità" non fa parte del soggetto: infatti, non è valido affermare "l'umanità
che, in quanto tale, è umanità", a meno che [l'umanità] non sia indeterminata;
ma se si dice: "quella data umanità, che è quella che in quanto tale è umanità",
allora su di essa cade la designazione, che si aggiunge, quindi, all'umanità54 .
Poi, [anche] se a questo proposito volessimo essere concilianti, ecco che
gli estremi della domanda sarebbero entrambi da negare 55 e [l'intenzione
dell'umanità] non sarebbe necessariamente una o molteplice, identica o diver-
sa56, se non nel senso che immancabilmente essa [finisce] per essere o identica
o diversa57 . Infatti, - diremo - poiché non può esistere se non con gli acciden-
ti, essa verrà immancabilmente ad essere diversa in virtù degli accidenti che la
accompagneranno; ma quindi5 8 essa non sarà assunta in quanto è soltanto
"umanità", poiché [per esempio l'umanità di Zayd] non è l'umanità di 'Amr:
in virtù degli accidenti, infatti, essa è diversa dalla sua umanità59 e questi acci-
denti affettano, da una parte, l'individuo Zayd 60 in quanto esso è costituito
dall'insieme dell'uomo - o dell'umanità - e degli accidenti conseguenti che
sono come delle parti di esso, e, dall'altra, l'uomo- o umanità- in quanto gli
sono rapportati.
Ma ricominciamo da capo e riassumiamo quanto [fin qui sostenuto], espri-
mendolo in altro modo, come a voler ricordare quanto detto precedentemente
nel nostro discorso: c'è- diremo- una cosa (say') sensibile che è l'animale o
l'uomo, con una materia e [alcuni] accidenti, e questo è l'animale fisico; e c'è
poi un'[altra] cosa61 che è l'animale o l'uomo considerato nella sua essenza in
quanto è esso stesso, [ma] senza che con esso si assuma ciò che vi si mescola
e senza che lo si determini con una [qualche] condizione, [come il fatto di
essere] generale o particolare62 [201] o uno o molteplice, in atto 63 , e neppure

Platonis, eo quod ipsum compositum est ex homine ve! ex humanitate et accidentibus quae
comitantur illud tamquam partes eius, et habent actionem in homine vel in humanitate, eo
quod referuntur ad hominem.
Repetemus autem ea a capite et recolligemus ad declarandum ea alio modo tamquam
rememorantes quae praedicta sunt. Dicemus ergo quod hic est quiddam sensibile quod est
animai vel homo cum materia et accidentibus, et hoc est homo naturalis. Et hic est quiddam
quod est animai vel homo, consideratum in seipso secundum hoc quod est ipsum, non
accepto cum eo hoc quod est sibi admixtum, sine condicione communis aut proprii aut unius
aut multi nec in effectu nec in respectu etiam potentiae secundum quod est aliquid in poten-
454 [201]

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tia: animai enim ex hoc quod est animai et homo ex hoc quod est homo, scilicet quantum ad
definitionem suam et intellectum suum absque consideratione omnium aliorum quae comi-
tantur illud, non est nisi animai vei homo. Sed animai commune et animai individuum, et
animai secundum respectum quo in potentia est commune ve! proprium, et animai secun-
dum respectum quo est in his sensibilibus ve! intellectum in anima, est animai et aliud, non
animai consideratum in se tantum. Manifestum est autem quod, cum fuerit animai et aliud
quod non est animai, animai tunc erit in hoc quasi pars eius; simiiiter et homo.
Poterit autem animai per se consideraTi, quamvis sit cum alio a se; essentia enim eius est
cum alio a se; ergo essentia eius est ipsi per se; ipsum vero esse cum alio a se est quiddam
TRATIATO QUINTO- SEZIONE PRIMA 455

[condizionandolo] in considerazione della potenza, essendo esso in potenza.


L'animale, infatti, in quanto è animale e l'uomo in quanto uomo - ossia in
considerazione della loro definizione e della loro intenzione - non vanno rife-
riti ad altre cose che si accompagnino ad essi, e non sono se non "animale" e
"uomo"64 •
L'animale generale65 , l'animale individuale, l'animale in quanto lo si con-
sideri in potenza generale o individuale, l'animale in quanto lo si consideri
esistente negli individui [concreti] o intelligibile nell'anima è un animale e [al
contempo] un qualcosa d'altro e non è un animale considerato in sé solo. E si
sa bene che, se [l'animale così considerato] è un animale e un qualcosa
d'altro, tra i due [ossia tra l'animale e questo qualcosa], l'animale sarà come
una parte. E così è per quanto riguarda l'uomo.
Tuttavia è possibile considerare l'animale nella sua essenza, anche se esso
è con qualcosa di diverso da sé: [anche] con qualcosa di diverso da sé, infatti.
la sua essenza è la sua essenza. E la sua essenza gli appartiene per sé, mentre
che esso sia con qualcosa di diverso da sé è o qualcosa che gli accade oppure è
qualcosa che consegue alla sua natura, sia essa l'animalità o l'umanità66 •
Perciò, ta1e considerazìoné1 , per quanto riguarda resistenza, è anteriore
all'animale che è individuale in virtù dei suoi accidenti o universale riguardo
all'esistenza o all'intelletto; [è anteriore come lo sono] il semplice rispetto al
composto e la parte rispetto al tutto. E in virtù di questa esistenza esso non è
né genere né specie né individuo né uno né molteplice. Anzi, in virtù di questa
esistenza esso è soltanto "animale" oppure soltanto "uomo", e tuttavia conse-
gue necessariamente che esso sia o uno o molteplice, poiché nessuna cosa esi-
stente sfugge a una delle due [determinazioni], nel senso che queste 68 sono un
conseguente necessario che viene dall'esterno.
E allora questo "animale"69 , pur esistendo in virtù di questa condizione70
[202] in ogni individuo, in virtù di questa condizione non sarà "un certo ani-

quod accidit ei ve! aliquid quod comitatur naturarn suarn, sicut haec animalitas et humanitas;
igitur haec consideratio praecedit in esse et animai quod est individuum propter [234] acci-
dentia sua et universale quod est in his sensibilibus et intelligibile, sicut simplex praecedit
compositum et sicut pars totum: ex hoc enim esse nec est genus nec species nec individuum
nec unum nec multa, sed ex hoc esse est tantum animai et tantum homo. Sed comitatur illud
sine dubio esse unum ve! multa, cum impossibile sit aliquid esse et non esse alterum isto-
rum, quamvis sit comitans ipsum extrinsecus; hoc autem animai, secundum hanc condicio-
nem, quamvis habeat esse in omni individuo, non tamen ex hac condicione est animai per-
456 [202]

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fectum, quamvis sequatur ut fiat aiiquod animai, non quod in veritate suae essentiae ex hac
condicione si t aliquod animai. Hoc enim quod ipsum animai in individuo est aiiquod animai
non prohibet ipsum esse animai ex hoc quod est animai, se(j non hac condicione ut sit ani-
mal ex hoc quod est in ilio: cum enim hoc individuum fuetit aliquod animai, tunc aiiquod
animai habet esse. Ergo animai quod est pars aiicuius animaiis habet esse, sicut albedo;
quae, quamvis sit inseparabiiis a materia, in se tamen haec tmbet esse albedo, sic in materia
aliud est considerata in se et habet veritatem essendi per se, quamvis veritati sui esse accidat
adiungi alii in esse.
Potest autem aliquis dicere quod animai ex hoc quod est animai non habet esse in indi-
viduis, quia quod est in individuis est aiiquod animai, non animai ex hoc quod est animai;
TRATIATO QUINTO- SEZIONE PRIMA 457

male", benché consegua necessariamente che venga ad essere "un certo ani-
male" perché, nella sua realtà e nella sua quiddità [acquisite] in virtù di
quest'altra considerazione, è "un certo animale"71 •
Il fatto che l'animale esistente nell'individuo sia "un certo animale" non
impedisce che ad esistere in esso sia "l'animale in quanto animale", non
[l'animale] in quanto considerato in un certo staton. Se questo individuo è "un
certo animale", allora "un certo animale" sarà esistente e "l'animale", che è
una parte di "un certo animale", sarà esistente; è come il bianco: infatti, ben-
ché [il bianco] non sia separato dalla materia, esso nella materia [che ne è il
soggetto] esiste con la sua bianchezza73 nel senso in cui esso è un'altra cosa
[rispetto alla materia], considerabile in sé e dotata di una realtà in sé; [e que-
sto] anche se a tale [sua] realtà accade nell'esistenza di accompagnare qual-
cos'altro.
Qualcuno potrebbe dire: l'animale "in quanto animale" non esiste negli
individui, perché quel che è esistente negli individui è "un certo animale" e
non "l'animale in quanto animale".
Inoltre, "l'animale in quanto animale" è esistente, ed è quindi separato
dagli individui.
Se poi "l'animale in quanto animale" esistesse per questo individuo [deter-
minato], allora non si sfuggirebbe a una delle due possibilità: o esso sarebbe
proprio [soltanto] di [questo individuo] o non [lo sarebbe]. Se fosse proprio di
[questo individuo], ad esistere in [questo determinato animale] o ad esserlo
non sarebbe "l'animale in quanto animale" ma "un certo animale" e se, invece,
non ne fosse proprio, allora una [stessa] cosa, numericamente una, sarebbe esi-
stente nella molteplicità, e questo è impossibile.
Ora, benché questo dubbio sia debole e sciocco, lo abbiamo presentato per-
ché è a partire da esso che in questo nostro tempo si sono sviluppate le sofisti-
cherie di un gruppo di coloro che zoppicano nel filosofare 74 . Diciamolo, dun-
que: in questo dubbio si trova [203]l'errore da numerosi punti di vista.

sed animai ex hoc quod est animai habet esse; ergo habet esse extra individua. Nam si ani-
mal ex. hoc quod est [235] animai habet esse in hoc individuo, tunc necesse est ut aut sit pro-
prium eius, aut non proprium. Si autem est proprium, tunc animai ex hoc quod est animai
non est existens in eo nec est ipsum, sed est aliquod animai. Si vero non est proprium, tunc
aliquid unum et idem numero habet esse in multitudine; quod est impossibile.
Hanc autem quaestionem, quamvis sit frivola, tamen induximus ideo quod multos qui
videbantur sapientes duxit in errorem. Dicemus ergo quod in hac quaestione venit error mul-
tis modis. Unus fuit opinio quod id quod est animai, cum fuerit aliquod animai, tunc natura
458 [203]

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animalitatis, considerata in se non secundum aliud, non habet esse cum ilio; declaratio
autem huius erroris iam patuit ex praedictis. Alius fuit opinio de hoc quod animai ex hoc
quod est animai debet esse proprium vel improprium secundum remotionem. Sed non est
ita. Animai enim consideratum ex hoc quod est animai et secundum eius animalitatem nec
est proprium nec improprium, quod est commune; utrumque enim removetur ab eo, nam
ipsum, ex animalitate sua, tantum est animai. Intentio vero animalis, ex hoc quod est animai,
est praeter intentionem proprii et communis nec sunt intrantia in suam quidditatem. Cum
igitur hoc ita sit, tunc animai ex hoc quod est animai nec est proprium nec commune ex sua
animalitate, sed est animai, non aliud aliquid a se de dispositionibus, sed consequitur ipsum
esse proprium vel commune. Hoc autem quod dicit impossibile esse quin sit aut proprium
aut commune, si intelligit ipsum ex sua animalitate necessario debere esse aliquid illorum
'J'RATIATO QUINTO- SEZIONE PRIMA 459

Il primo sta nel ritenere che in quel che esiste dell'animale, se è "un certo
animale", la natura dell'animalità considerata in se stessa, non a condizione di
altro, non è esistente75 ; e la prova evidente dell'errore di questa opinione sta in
Ciò che abbiamo precedentemente [sostenuto].
Il secondo sta nel ritenere che "l'animale in quanto animale" 76 debba esse-
re "particolare"77 o "non-particolare" nel senso dell'equivalenza78 , mentre non
è così. Anzi, se si guarda ad esso in quanto animale e sotto l'aspetto della sua
animalità, l'animale non è né "particolare" né "non-particolare", e cioè gene-
rale79. Al contrario, di esso si negheranno entrambi [i predicati]: sotto l'aspetto
della sua animalità, infatti, esso è soltanto animale e l'intenzione dell'animale
in quanto è animale è diversa dall'intenzione del particolare o del generale; né
i due [predicati] entrano nella sua quiddità. E se è così, "l'animale in quanto
animale" nella sua "animalità" non è né particolare né generale; anzi, esso è
"animale" senza essere una cosa o uno stato diversi da esso; e tuttavia ad esso
consegue [necessariamente] di essere o particolare o generale80.
Infatti, [esaminiamo] l'affermazione di colui [che sostiene che] non si
sfugge a una delle due possibilità e cioè che [l'animale] o è particolare o è
generale. Ora, se con ciò egli intende [dire] che, nella sua "animalità", [l'ani-
male] non sfugge a una delle due [predicazioni], ebbene nella sua "animalità",
[l'animale] sfugge [invece a tale alternativa]. Se, al contrario, intende [dire]
che nell'esistenza esso non sfugge a una delle due [predicazioni], e cioè che
[l'animale] non sfugge al fatto che consegua uno dei due [predicati], allora
dice il vero. Infatti, all'animale consegue obbligatoriamente di essere partico-
lare oppure generale, e qualunque [stato] dei due gli accada, non ne sarà svani-
ta "l'animalità", in virtù della cui considerazione81 esso non è né particolare né
generale; anzi esso viene ad essere particolare o generale dopo di essa, per
quei [determinati] stati che ad essa accadono.
Ecco, c'è una cosa che devi capire e cioè che è vero dire che "dell'animale
in quanto animale" non si devono dire particolarità o generalità, mentre non è
vero dire che "dell'animale in quanto animale" si devono [non] 82 dire partico-
larità o generalità83 . E questo perché se dell'animalità fosse necessario [204]

duorum, falsum: nam nihil eorum est ex sua animalitate. Si vero intelligit impossibile esse
quin sit aliquod eorum in eis quae sunt, quia non potest esse quin sequatur [236] ipsum esse
aliquid eorum, verax est, eo quod necessario sequitur animai esse proprium ve! commune.
Quodcumque autem horum acciderit, non destruetur animalitas, quae est ex hoc quod nec
est proprium nec commune, sed fit postea proprium ve! commune per id quod accidit ei de
dispositionibus.
Hic est autem quiddam quod debet intelligi, scilicet quia verum est dicere quod de ani-
mali, ex hoc quod est animai, non debet praedicari proprietas nec communitas, nec est
verum dicere quod de animali, ex hoc quod est animai, debet non praedicari proprietas vel
communitas; scilicet nam si animalitas faceret debere non praedicari de eo proprietatem vel
460 [204]
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communitatem, tunc nec esset animai proprium nec esset animai commune; et secundum
hoc debes intelligere magnam esse distantiam inter illa, et ob hoc etiam interest an dicatur
quod animai, ex hoc quod est animai per se, sine condicione alterius, et an dicatur quod ani-
mal, ex hoc quod est animai per se, cum condicione non rei alterius. Si enim concederetur
quod animai, ex hoc quod est animai per se, esset cum condicione quod non haberet esse in
sensibilibus istis, non tamen concederetur quod platonitas esset in sensibilibus istis; esse
enim animalis cum condicione non rei alterius in intellectu tantum est; animai vero per se,
non cum condicione rei alterius, habet esse in sensibilibus. Ipsum vero in se in veritate sua
est sine condicione alterius rei, quamvis [237] sit cum mille condicionibus quae adiunguntur
ei extrinsecus. Animai ergo per se ex sua animalitate habet esse in istis sensibilibus; hoc
autem non facit debere ipsum esse separatum per se. Ipsmn enim hoc quod est in se, sine
'fRATIATO QUINTO- SEZIONE PRIMA 461

non dire particolarità o generalità, non vi sarebbe un animale particolare o un


animale generale. In questo senso, deve esserci una differenza reale 84 tra il
fatto che diciamo che l'animale in quanto animale è astratto, non a condizio-
ne di un'altra cosa, e il fatto che diciamo che l'animale in quanto animale è
astratto a condizione che non vi sia un'altra cosa 85 •
Se all'animale86 in quanto animale, astratto a condizione che non vi sia
un'altra cosa, potesse spettare un'esistenza nella realtà concreta, allora
potrebbe esservi un'esistenza nella realtà concreta per le idee platoniche.
Invece, l'esistenza dell'animale a condizione che non vi sia un'altra cosa è
soltanto nella mente, mentre l'animale che è astratto, non a condizione di
un'altra cosa, ha un'esistenza nella realtà concreta: in se stesso e nella sua
realtà, infatti, esso è non a condizione di un'altra cosa, anche se mille condi-
zioni lo accompagnano dall'estemo 87 • Dunque, l'animale, nella sua pura ani-
malità, è esistente nella realtà concreta e ciò non comporta necessariamente
che sia separato. Esso è, piuttosto, ciò che in se stesso è libero dalle condizioni
concomitanti, esistente negli individui [concreti]. Alcune condizioni e alcuni
stati lo hanno circoscritto dall'esterno, ma per quanto riguarda la sua unità, in
virtù della quale esso è uno di quell'insieme, esso è puramente un animale non
a condizione di un'altra cosa; anche se tale unità è in più rispetto alla sua ani-
malità, essa è tuttavia diversa dagli altri concomitanti.
E se [anche] ci fosse un "animale separato" - come costoro ritengono -
non si tratterebbe dell'animale di cui abbiamo necessità e di cui stiamo parlan-
do; perché noi ricerchiamo un animale che sia dicibile di molti, in quanto
ognuno dei molti è identicamente questo [animale]. Di quel che è separato e
che non è predicabile di quei [molti] - poiché nessuno di essi lo è identica-
mente- non abbiamo bisogno in relazione a ciò di cui ci stiamo occupando88 •
L'animale [che sarà] assunto con i suoi accidenti, infatti, è l'ente 89 fisico,
mentre quello che è assunto in sé è la natura [205] della cui esistenza si dice

omnibus condicionibus quae sequuntur illud, habet esse in istis; iam autem circumdederunt
illud extrinsecus condiciones et dispositiones. Ipsum ergo in definitione suae unitatis propter
quam est unum illius collectionis est anima! per se absque condicione alterius rei, quamvis
illa unitas addita est ei super animalitatem suam et est de aliis consequentibus. Si autem
esset hic animai separatum per se, quemadmodum putaverunt illi, tunc non esset hoc animai
quod inquirimus et de quo loquimur. Nos enim inquirimus animai quod praedicetur de mul-
tis quorum unumquodque sit ipsum. Separatum vero non praedicatur de his, quoniam nul-
lum eorum est ipsum: unde non est opus eo ad id ad quod intendimus.
Animai ergo acceptum cum accidentibus suis est res naturalis; acceptum vero per se est
natura, de qua dicitur quod esse eius prius est quam esse naturale, sicut simplex pri_us est
462 [205]

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composito, et hoc est cuius esse proprie dicitur divinum esse, quoniam causa sui esse ex hoc
quod est animai est Dei intentione. Ipsum vero esse cum materia et accidentibus et ipsum
esse hoc individuum, quamvis sit divina intentio, attribuitur tamen naturae particulari. Unde,
sicut animai in esse habet plures modos, sic etiam et in intellectu. In intellectu etenim est
forma animalis abstracta secundum abstractionem quam pr!!ediximus, et dicitur ipsum hoc
modo forma intelligibilis. In intellectu autem forma animalis taliter est quod in intellectu
convenit ex una et eadem definitione multis particularibus. Quapropter una forma apud
intellectum erit relata ad multitudinem, et [238] secundum hunc respectum est universale,
TRATIATO QUINTO- SEZIONE PRIMA 463

che è anteriore- della [stessa] anteriorità che il semplice ha rispetto al compo-


sto90- all'esistenza di quello fisico 91 ; e [tale animale assunto in sé] è quello ht
cui esistenza si determina come "esistenza divina", perché la ragione della smt
esistenza in quanto animale è la provvidenza di Dio, altissimo, mentre il fatto
che esso sia con una materia e con alcuni accidenti, e che sia questo dato indi·-
viduo92, pur essendo in virtù della provvidenza di Dio, altissimo, è invece irl
ragione della natura particolare93 .
Così, come l'animale ha nell'esistenza più di un modo [d'essere] 94, così le>
ha nell'intelletto. Nell'intelletto, infatti, vi è la forma dell'animale astratte>
secondo quel modo di astrazione che abbiamo menzionato - e che, sotto que··
sto aspetto, si chiama "forma intellettuale"95 ; ma nell'intelletto vi è anche ht
forma dell'animale in quanto, in virtù di una stessa definizione e nella smt
identità, esso corrisponde nell'intelletto a molti individui concreti, cosicché, l<t
stessa forma una è relativa nell'intelletto a una molteplicità e, in virtù di que··
sta considerazione, [l'animale] è universale 96 . Esso è una [stessa] intenzione
nell'intelletto e il suo rapporto con ognuno degli animali- qualunque tu pren··
da - non differisce; cioè, qualunque animale tu assuma presente, la cui forma
nell'immaginazione sia in uno stesso modo e di cui poi l'intelletto liberi l<.t
sola intenzione dagli accidenti, nell'intelletto si ottiene97 proprio questa forma;
ed è questa forma quel che risulta astraendo l'animalità da un'immagine indi-
viduale, qualunque essa sia, sia essa ricavata da qualcosa di esistente all'ester-
no o da qualcosa che sia come quel che esiste ali' esterno e che però in sé non
esiste all'esterno ma è piuttosto l'immaginazione ad averlo creato98 .
Questa forma, pur essendo universale in rapporto agli individui, in rappor-
to all'anima particolare99 in cui è impressa, è individuale ed è una delle forme
che sono nell'intelletto. E poiché le anime individuali sono numericamente
molteplici, è possibile che questa forma universale sia numericamente molte-
plice, in relazione a quell'aspetto in virtù del quale essa è individuale, [ed è
possibile che] le appartenga poi un altro intelligibile [206] universale, il quale

quia ipsum est una intentio in intellectu, cuius comparatio non variatur ad quodcumquc
acceperis animalium, videlicet quoniam, cuiuscumque eorum primum repraesentaveris for-
mam in imaginatione, si postea exspoliaverit intellectus intentionem eius ab accidentibus,
acquiretur in intellectu haec ipsa forma. Ergo haec forma est quae acquiritur de exspoliationc
animalitatis a qualibet imaginatione individuali accepta de esse extrinseco, quamvis ipsa nofl
habeat esse extrinsecus, sed imaginatio abstrahit eam. Haec autem forma, quamvis respect~
individuorum sit universalis, tamen, respectu animae singularis in qua imprimitur, est indivi-
dua; ipsa enim est una ex formis quae sunt in intellectu, et quia singulae animae sunt multac
numero, tunc eo modo quo sunt particulares habebunt ipsae aliud intellectum universale,
464 ,..., [206]

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quod in tali comparatione est ad ipsas in quali est ad extra, et discemitur in anima ab hac
forma quae est universalis comparatione sui ad extra quae praedicatur de illis et de aliis.
Repetemus autem haec verba in proximo cum alia expositione.
Ergo res communes aliquo modo habent esse extrinsecus et aliquo modo non; quod
autem una et eadem res numero sit praedicata de multis, scilicet praedicata de hoc individuo
ita ut hoc individuum sit ipsa et de hoc individuo similiter, impossibile esse manifestum est.
Hoc autem adhuc apertius fiet. Res autem communes eo modo quo sunt communes in effec-
tu habent esse< ... >.
'[RATIATO QUINTO- SEZIONE PRIMA 465

in rapporto ad essa sarà come essa è in rapporto ali' esterno, ma che neli' anima
si distinguerà da questa forma che è universale in rapporto all'esterno, in
quanto è qualcosa di dicibile 100 di essa e di quel che da essa è diverso 101 • Ma
questo discorso lo riprenderemo fra poco, esprimendoci diversamente 102 .
Le cose generali sotto un certo aspetto sono esistenti ali' esterno e sotto un
altro aspetto non lo sono; ma che una stessa cosa 103 , numericamente una, sia in
sé predicabile di molti, essendo predicabile di questo individuo, in quanto que-
sto individuo è tale, e allo stesso modo di un altro individuo, ebbene l'impos-
sibilità di ciò è evidente e diventerà ancor più evidente. No! Le cose generali,
in quanto sono in atto generali, esistono soltanto nell'intelletto.
466 [207]

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Il
CAPITULUM QUALITER NATURAS COMITATUR UNIVERSALITAS ET COMPLETUR DICTJO IN HOC ET
DEINDE DE DIFFERENTIA UNIVERSALIS ET PARTICULARIS AD TOTUM ET PARTEM

[239] Iam autem manifestum est quid sit universale in eis quae sint, scilicet haec natura
cui accidit unus de intellectibus quem appellamus universale, qui intellectus non habet esse
per se solum in sensibilibus ullo modo; universale enim ex hoc quod est universale non
habet esse per se solum; non est autem dubitatio de eo <nisi> an habeat esse inquantum
accidit aliquibus rebus, ad hoc ut ipsum sit in sensibilibus; verbi gratia, aliquid quod est
homo ipsum habet esse in Platone et Socrate et Hippocrate.
467

[SEZIONE SECONDA]

[IN CUI SI DISCUTE] COME SIA L'UNIVERSALITÀ DELLE NATURE UNIVERSALI E SI


COMPLETA IL DISCORSO A QUESTO PROPOSITO E A PROPOSITO DELLA DIFFERENZA
TRA IL TUTTO E LA PARTE E TRA L'UNIVERSALE E IL PARTICOLARE

Hai già appurato che cosa sia l'universale tra gli esistenti: è quella natura cui
accade una di quelle intenzioni che abbiamo chiamato "universali" e una tale
intenzione non ha affatto esistenza come singolo nella realtà [concreta]; l'uni-
versale in quanto universale, infatti, non esiste in se stesso, ìsolatamente 104.
A suo riguardo sì ha però ancora un dubbio: [e cioè] se esso, in quanto
accade alle cose, abbia esistenza in modo tale che nella realtà [concreta] vi sia,
per esempio, qualcosa che è "uomo", che ne sia in sé l'essenza 105 e che esi-
sta106 [identicamente] per Zayd, per 'Amr e per .ijalid.
Ora- diremo - alla natura dell'uomo in quanto uomo è concomitante [il
fatto] di essere esistente, anche se "che essa sia esistente" non è "che essa è un
uomo" né è qualcosa che vi rientri 107 : insieme all'esistenza può esserle conco-
mitante questa universalità, ma per questa universalità non c'è esistenza se
non nell'anima. L'universalità che ha esistenza all'esterno è secondo un'altra
considerazione, [una considerazione] di cui abbiamo già dato una spiegazione
nelle precedenti parti [dell'opera] 108 ; anzi, tra queste nature [universali] ve ne
sono alcune che non hanno bisogno di materia, né per permanere né perché
per esse si dia principio a un'esistenza; è allora impossibile che si moltiplichi-
no e anzi, di esse è sussistente soltanto la specie, numericamente una; una
natura simile non si moltiplica infatti né in virtù delle differenze [specifiche],
né in virtù delle materie, né in virtù degli accidenti: [non] in virtù delle diffe-
renze [specifiche], per via della sua 109 specificità; [208] [non] in virtù delle

Dicemus ergo quod naturae hominis, ex hoc quod est homo, accidit ut habeat esse,
quamvis ex hoc quod habet esse non habet esse homo nec aliquid eius nec intrans in illum,
sed postea cum esse sequitur eam haec universalitas; sed haec universalitas non habet esse
nisi in anima. Universalitas vero extra secundum alium respectum est, sicut iam ostendimus
in praedictis.
Ex his autem naturis, illa quae non eget materia ad permanendum ve! incipiendum, si
est, impossibile est eam multiplicari, et species huiusmodi [240] est una numero. Huiusmodi
enim natura non multiplicatur differentiis nec materiìs nec accidentibus: differentiis non,
propter suam specialitatem; materiis non, quoniam abstracta est ve! nuda; accidentibus non,
468 JWI ~l - ;;._.U;\-;.J\lll [208]

... ~u 4.-J'èt '->_)(;'->i l.! ifl.r\11 '->.')(; ,;.1~~1-;1~ l.i.J • ,,_r.c:J; ,1_)1~
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quoniam accidentia aut sunt inseparabiliter comitantia naturam, et tunc non differt in eis
multitudo quae est sub specie, aut sunt accessibilia non comitantia naturam quorum accessio
fit propter hoc quod pendent ex materia. Iudicium ergo de huiusmodi cum fuerit species, est
ut esse eius sit unum numero. Quae vero ex istis naturis eget materia, non habet esse nisi
cum materia fuerit praeparata; unde ad eius esse adveniunt accidentia et dispositiones extrin-
secus per quae individuatur. Impossibile est autem unam et eandem naturam esse materia-
lem et non materialem, sicut ostensum est in praemissis. Si ì!Utem haec natura fuerit genera-
lis, ostendam postea quod natura generis non potest existere nisi in speciebus et deinde con-
stituit essentiam specierum; hìc ergo est modus esse univers~lium.
Non est autem possibile unam et eandem intentionem existere in multis. Humanitas
enim quae est in Socrate, si ipsa in se, non secundum intentionem definitionis, fuerit in
,TRATTATO QUINTO- SEZIONE SECONDA 469

materie, perché [ne] è astratta 110 ; [non] in virtù degli accidenti perché gli acci-
denti o conseguono necessariamente alla natura- e allora la molteplicità che è
sotto 111 la specie non differisce a loro riguardo - oppure accadono, non conse-
guono necessariamente alla natura; ma allora il fatto che [le] accadano è per
una causa che è vincolata alla materia e una simile [natura], se è una specie
esistente, è di diritto numericamente una 112 • Quanto a quelle [nature] che
hanno bisogno della materia, esse esistono solo con il fatto che esiste la mate-
ria disposta [ad accoglierle] e perciò alla loro esistenza si accompagnano acci-
denti e stati esterni in virtù dei quali esse si individualizzano; e non è possibile
che una stessa natura sia materiale e non materiale - di questo sei già venuto a
conoscenza in quel che via via hai potuto apprendere.
Quanto poi al fatto che questa natura sia [una natura] generica 113 , mostre-
remo che la natura del genere non può sussistere se non nelle specie e che
inoltre sussiste 114 della [stessa] sussistenza delle specie 115 • Questo è il modo i11
cui esistono le [cose] universali.
Non è possibile che vi sia un'intenzione che sia nella sua identità esistente
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se stessa, non nel senso della definizione - in Zayd, quel che accade a questa
umanità [che è] in Zayd, se non quegli accidenti la cui quiddità è dicibile 117
[solo] in relazione a Zayd 118 , le dovrebbe senz'altro accadere [anche] quando è
in 'Amr. Ora il fatto che nell'essenza dell'uomo si stabilisca quel che in esso
si stabilisce non ha bisogno di divenire un che di relativo, come che sia bianco
o nero o che conosca; [se così fosse], infatti, una volta conosciuto 119, esso no!l
sarebbe per ciò relativo se non a quel che è conosciuto e di conseguenza i con-
trari sarebbero necessariamente dati insieme in un'unica essenza 120; e [questo]
specialmente se lo stato del genere presso le specie è lo [stesso] stato della
specie presso gli individui: vi sarebbe quindi un'essenza una che sarebbe qua-
lificata in quanto razionale e in quanto altro che razionale e non è possibile
che chi ha una costituzione sana (gibla; gibilla salfma) intenda il fatto che una
[stessa] umanità sia racchiusa dagli accidenti di 'Amr e che sempre essa, nella
sua identità, sia racchiusa [209] dagli accidenti di Zayd. Invece, se guardi

Platone, tunc quod accidit huic humanitati in Platone sine dubio accidit ei in Socrate, nisi
quod fuerit de accidentibus cuius quidditas praedicatur tantum secundum respectur11
Platonis; quod autem existit in essentia Pliltonis, non ita est eius existentia in ipso ut opus
habeat referri ad aliquid, sicut cum albet et nigrescit ve! discit: cum enim scierit, per hoc non
refertur nisi ad scitum, sed sequetur [241] ex hoc quod in una essentia coniungentur contra-
ria, praesertim si dispositio generis quantum ad species fuerit qualis est dispositio speciei
quantum ad individua. Esset ergo tunc una essentia de qua proprie diceretur quod sit rationa-
lis et non rationalis. Non est autem possibile ut qui est sanae mentis intelligat quod unam et
eandem humanitatem vestiant accidentia Platonis et ipsa eadem sint accidentia Socratis. Si
470 [409]

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enim consideraveris humanitatem absque ulla alia condicione, tunc non considerabis has
relationes ullo modo, sicut iam praemonstravimus.
Manifestum est ergo non esse possibile ut una natura h<1beat esse in his sensibilibus, ita
ut in actu sit universalis, idest ipsa una sit communis omnihus; universalitas enim non acci-
dit naturae alicui, nisi curo ceciderit in formatione intelligibili. Qualiter autem fiat hoc, con-
siderabis ex hoc quod dictum est in libro De Anima; quod igitur in anima intelligitur de
homine est id quod est universale; eius autem universaiitas non est ex hoc quod est in anima,
sed ex hoc quod consideratur ad multa signata habentia esse ve! opinata: eorum enim iudi-
cium quantum ad ipsum idem est. Ex hoc autem quod haec forma est dispositio in anima ali-
qua, est unum de individuis scientiarum ve! formationum, qttia, sicut aliquid diversis respec-
tibus est genus et species, similiter aliquid diversis respectibus est universale et singulare.
TRATI ATO QUINTO- SEZIONE SECONDA 471

all'umanità senza condizione di un'altra [cosa], non guarderai a queste rela-


zioni, ed essa 121 sarà come ti abbiamo insegnato 122 •
Si è quindi già rivelato evidente che non è possibile che la natura esista
negli [individui] concreti e sia [al tempo stesso] in atto universale e che cioè
essa sola sia comune a tutti [gli individui] insieme. L'universalità accade
invece a una certa natura soltanto quando essa cade nella rappresentazione
mentale; quanto a [sapere] come essa vi cada, devi riflettere su quel che
abbiamo detto nel Libro dell'anima 123 • Quel che è universale, infatti, è l'intel-
ligibile dell'uomo [che è] nell'anima 124 e la sua universalità non è dovuta al
fatto che esso si trova nell'anima, ma al contrario al fatto che esso è rapporta-
bile a molti individui, i quali, siano essi esistenti o immaginari, hanno in rela-
zione ad esso ('inda-hu) uno stesso statuto. Poi, in quanto questa [sua] forma
è una disposizione in un'anima particolare, essa è uno degli [elementi] indivi-
duali delle scienze o delle rappresentazioni. E come una [stessa] cosa, in virtù
di considerazioni diverse, è genere e specie, così in relazione a considerazioni
diverse è universale e particolare: in quanto questa forma è - tra le varie
forme dell'anima- una certa forma in una certa anima 125 , essa, quindi, è par-
ticolare mentre, in quanto in essa sono associabili molti [individui] -in uno
dei tre modi che abbiamo mostrato nella [trattazione] precedente -, essa è
universale 126 •
E non c'è contraddizione tra queste due affermazioni (umur) perché non è
impossibile tenere insieme che alla stessa essenza [numericamente] una acca-
da un'associazione in virtù della relazione con molti 127 • L'associazione nella
molteplicità, infatti, è possibile solo in virtù della relazione, e se la relazione
appartenesse a molte essenze non sarebbe un'associazione 128 ; è necessario
quindi che molte relazioni appartengano a una stessa essenza numericamente
una. L'essenza numericamente una, [210] in quanto tale, è senz'altro indivi-

Haec igitur forma, secundum hoc quod est in anima, est aliqua formarum animae et est
singularis; et, secundum hoc quod in ea multa conveniunt secundum aliquem trium praedic-
torum modorum, est [242] universalis. Inter haec autem duo non est contrarietas. Non enim
est impossibile hoc simul esse, scilicet ut sit una essentia et accidat ei communio relatione
multorum. Communio enim multitudinis non potest esse nisi relatione tantum. Nisi enim
relatio fieret ad multa, non esset communio ve! participatio. Qportet ergo multa referri ad
essentiam unam numero; essentia autem una numero ex hoc quod ita est, individua est sine
dubio.
472 l'l• [210]
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lpsa quoque anima imaginatur etiam aliud universale et haec forma et alia coniunguntur
in ipsa anima vel in alia ab ipsa, quae omnes, secundum hoc quod sunt in anima, definiuntur
una definitione; similiter etiam sunt aliae communitates. lllud ergo aliud universale discre-
tum est ab hac forma suo proprio iudicio, idest comparatìone ipsius ad alia in anima, quo-
rum comparatio quae efficit ea universalia non fuit nisi ad eJ~trinseca, secundum quod ipsa
extrinseca praecesserunt in intellectu; potest igitur concedi quod haec ipsa forma adveniat ex
illis. Cum autem prius imaginatum fuerit aliquid eorum et anima impressa fuerit ab eo
secundum hunc modum, non recipiet postea aliam impressionem novam ab alio, nisi secun-
dum iudicium prius considerati: eius enim impressio talis est qualis forma prioris cum sit
exspoliata ab accidentibus, et hoc est piena conformitas. Si aurem vice horum imprimentium
aut vice impressi [243) ab eis fuerit aliquid aliud praeter illt! prius posita et non eiusdem
TRATTATO QUINTO- SEZIONE SECONDA 413

duale; tuttavia la stessa anima ha rappresentazione di un altro universale cbe


riunisce questa forma e un'altra, in tale anima o in un'anima diversa da essa; e
tutte [queste forme], in quanto sono nell'anima, si definiscono in virtù di urta
stessa definizione.
E così possono esistere altre associazioni: l'altro universale si distingue da
questa forma 129 in virtù di uno statuto che gli è proprio e che consiste nel raJJ-
porto che esso ha con cose (umiir) [che sono] nell'anima; invece, il rapporto <ii
questa data [forma], quello che la rende universale, è soltanto quello con cm•e
(umiir) [che sono] esterne [e ciò] nel senso che, di tali cose esterne, qualunque
sia [la cosa] che giunge per prima nella mente, questa stessa forma può in sé
darsi a partire da esse 130 . Quando una [di queste cose] giunge per prima [nella
mente], l'anima ne viene influenzata in questo modo, e qualcosa di diverso da
questa data [cosa] non avrà una nuova influenza [sull'anima] se non in virtù
dello statuto di questa possibilità che si è appena considerata 131 • La traccia [cii
questa influenza] sarà infatti come la forma di quella data [cosa] che è giunt:a
per prima, essendo stata astratta dagli accidenti; ed è in questo che consiste }a
<;:.\)m'St>\)\\d~\\'L'ù132 ~\'i'ù 'i'ùt>t>"~"'~\\\'ù'L\\)\\~ ~ 'i~'ù\\~). s~ t>\)\,\\\\\\\)%\) d\ 'ù\\'ù d\
queste influenze o di ciò che con esse influenza 133 , vi fosse una cosa diversa
da quelle cose conosciute e ad esse non omogenea, la traccia [di tale influell-
za] sarebbe diversa da questa e non vi sarebbe [questa] corrispondenza 134 •
Ora, all'universale che è nell'anima in relazione a queste forme che sono
nell'anima, questa considerazione [di universalità] appartiene in relazione alla
forma - qualunque essa sia - che, tra queste forme che sono ne li' anima, vi è
giunta per prima. Del resto, anche questa - in quanto è come abbiamo detto -
è una forma individuale 135 • E poiché alla potenza dell'anima appartiene di
avere intellezione e di avere intellezione del fatto di avere avuto intellezione, e
di avere intellezione del fatto di avere avuto intellezione di avere avuto intelle-
zione e di costruire relazioni su relazioni e di attribuire a una stessa cosa diffe-
renti stati di rapportabilità 136 che, potenzialmente, procedono all'infinito, ecco
che è necessario che per queste forme intellettuali, ordinate 137 l'una dopo
l'altra, non vi sia arresto 138 ; e necessariamente quindi ne consegue che esse
proseguano all'infinito, essendo però in potenza, non in atto.

generis cum illis, erit tunc impressio alia ab hac prima, et non erit conformitas. Universale
autem quod est in anima est secundum respectum ad has formas in anima, quem respectum
habet ipsum ad quamlibet harum formarum in anima quae prius repraesentata fuit animae.
Deinde haec forma eri t etiam singularis ex hoc quod est sicut diximus.
Sed quia in virtute animae est ut intelligat et ut intelligat se intelligere, et ut componat
relationes cum relationibus, et ut uni rei attribuat diversas dispositiones comparationum
usque ad infinitum in potentia, oportet tunc ut haec forma intelligibilis et quae succeduPt
sibi aliae post alias non cessent, et sequatur hoc ire in infinitum, sed in potentia, non in
effectu. Non enim incumbit animae ut, cum aliquid intellexerit, in actu debeat quoque intel-
474 Y\1 [211]

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ligere cum eo cetera quae comitantur illud proxime aut ut co~itet de illis, nedum illa quae
remoti ora sunt; hic enim sunt comparationes in radicibus surdiG et in proportionibus omnium
numerorum quae sunt proximae animae ad agendum de illiS. Nec tamen est necesse ut
anima insimul agat hoc totum ve! perseveret in agendo hoc, Ged in sua propinqua potentia
habet hoc agere, verbi gratìa, sicut pertransitio lateratorum quat: fme carent per cogitationem
eius; sed [244] comparatio numeri cum simili numero saepe e&t infinita secundum multipli-
cationem; haec autem comparatio est id de quo agimus.
Sed an sit possibile per se existere intentiones communes Jjlultitudini denudatas a multi-
tudine et a formationibus intelligibilibus, quiddarn est de quo postea loquemur. Cum ergo
dicimus quod natura universalis habet esse in his sensibilibus, non intelligimus quod ex hoc
quod est universalis, scilicet secundum hunc modum universalitatis, sed intelligimus quod
TRATIATO QUINTO- SEZIONE SECONDA 475

[211] Quando l'anima ha intellezione di qualcosa, infatti, non consegu~


necessariamente che insieme a questo [qualcosa] essa abbia in atto intellezion~
delle cose che ne conseguono immediatamente e che queste le siano presenti,
né tanto più [ciò è necessario per] quel che non ne dipende se non da lontano.
Vi sono infatti dei rapporti che riguardano le radici (gud.ilr) irrazionali 139 e l~
relazioni numeriche che sono tutti facilmente ottenibili dall'anima 140 , ma nml
ne consegue che l'anima, in uno stesso momento, abbia intellezione di tutt~
queste cose o sia [con esse] occupata in modo continuativo. È piuttosto alli!
sua potenza prossima che appartiene di averne intellezione, come è per ciò eh~
riguarda avere in mente i poligoni, che sono in numero infinito, abbinare nellil
mente un numero ad [altri numeri] ad esso simili, all'infinito, o anzi stabilire il
rapporto di un numero con uno simile per un [numero] infinito di volte nellil
moltiplicazione: questo è quanto di più simile vi sia a ciò che stiamo menzio-
nando. Se poi le intenzioni generali 141 della molteplicità possano sussister~
astratte dalla molteplicità e dalle rappresentazioni intellettuali, è ciò di cui par-
leremo fra poco.
Allora: quando abbiamo detto che la natura universale è esistente negli
individui concreti, non intendevamo dire che essa [lo è] in quanto è universale
secondo questo senso dell'universalità; al contrario, noi intendevamo dire che
la natura alla quale accade l'universalità è esistente negli individui [concreti]·
Essa, infatti, in quanto è una natura è una cosa e in quanto è possibile che il
partire da essa si abbia intellezione della forma universale è un'altra cosa; it1
quanto è intelletta in atto in questo modo è ancora un'altra cosa, e in quanto di
essa è vero [affermare] che se ad accompagnarla fossero non questa materia e
[questi] accidenti in sé, ma invece quell'altra materia e [quegli altri] accidenti,
allora sarebbe quell'altro individuo, essa è un'altra cosa ancora.
Questa natura esiste negli individui concreti in virtù della prima considera-
zione, mentre a questo riguardo in virtù della seconda considerazione 142 - e
della terza e della quarta- non vi è un'universalità che esista anche negli indi-
vidui concreti 143 • [212] Così, se questa considerazione è presa nel sensO

natura cui accidit universalitas habet esse in istis signatis. Ergo ex hoc quod est natura e$t
quiddam; et ex hoc quod ipsa est apta intelligi forma universalis est quiddam; et ex hoC
etiam quod intelligitur sic in actu est quiddam; et etiam ex hoc quod verum est de illa quod.
si coniungeretur non huic materiae nec istis accidentibus, sed illi materiae et illis accidenti-
bus, esset illud aliud individuum, est quiddam. Sed haec natura habet esse in his sensibilibuS
secundum primum respectum, et praeter hoc non habet esse universale nec ex respectt.i
secundo nec etiam ex quarto in signatis. Si autem accipitur hic respectus ex intentione uni-
476 [212]

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~JI.J';!' ~l .J! t.:i ,.iJ. .rj- l.;.,J

versalitatis, tunc haec natura cum universalitate erit in signatis; universalitas autem de qua
hic agimus non est nisi in anima.
His autem cognitis, facile est cognoscere dìfferentìam quae est totìus et partis ad univer-
sale et particulare. Totum enim, ex hoc quod est totum, [245] non est nìsi in his rebus; uni-
versale vero, ex hoc quod est universale, non est nisi in formatione. Item totum numeratur
partibus suis et unaquaeque partium est de essentia eius; universale vero non numeratur par-
tibus suis nec partes sunt de essentia eius. Item natura totìus non constìtuìt partes quae sunt
in ilio, sed ipsum constituitur ex illis; natura vero universalis constituit partes quae sunt in
ilio; et propter hoc natura totius non fiet pars suarum partium ullo modo; natura vero univer-
TRATTATO QUINTO - SEZIONE SECONDA 477

dell'universalità, questa natura, con tutta l'universalità, sarà negli individui


[concreti], ma l'universalità che noi stiamo menzionando non è se non
nell'anima.
Essendo già note queste cose, ci sarà facile [comprendere] la differenza tra
il tutto e la parte e tra l'universale e il particolare. Ecco perché: il tutto, in
quanto è tutto, esiste nelle cose, mentre l'universale in quanto universale non
esiste se non nella rappresentazione. Il tutto, inoltre, è contato dalle sue parti e
ogni parte entra a costituirlo 144; l'universale- invece- non è contato dalle sue
parti, né i particolari entrano a costituirlo. La natura del tutto, inoltre, non fa
sussistere le parti che sono in esso, ma è invece fatta sussistere da esse 145 ,
mentre la natura dell'universale fa sussistere i particolari che vi rientrano. E
così 146 , mentre la natura del tutto non viene mai ad essere una delle sue parti,
la natura dell'universale è una parte della natura dei particolari; essi, infatti, o
sono le specie, e allora sussistono a partire dalle nature dei due universali - e
cioè il genere e la differenza [specifica] - oppure sono gli individui, e allora
sussistono a partire dalla natura di tutti gli universali e degli accidenti che li
comprendono con la materia. E ancora: mentre il tutto non è tutto per ogni sin-
gola parte- fosse isolata -l'universale è un universale predicabile di ogni par-
ticolare. Inoltre, le parti di un tutto sono sempre finite, mentre le parti di un
universale non lo sono mai 147 ; il tutto ha bisogno che le sue parti gli si diano
tutte insieme presenti, mentre l'universale non ha bisogno che le sue parti gli
si diano tutte insieme presenti. Potrai trovare anche differenze diverse da que-
ste e sapere quindi che il tutto è diverso dall'universale.

salis pars est naturae partium, quoniam hae partes aut sunt species quae constituuntur a natu-
ra duorum universalium, scilicet generis et differentiae, aut sunt individua quae constituun-
tur ex natura omnium universalium et ex natura accidentium quae vestiunt ea cum materia.
Item totum non est totum unicuique parti per se; universale vero, etiamsi esset solum, prae-
dicaretur tamen de omni particulari. Item partes omnis universalis finitae sunt; partes vero
omnis totius infinitae sunt. Item totum eget ut omnes partes eius sint praesentes simul; uni-
versale autem non. Possunt autem inveniri aliae differentiae praeter has ex quibus cognosci-
tur totum aliud esse ab universali.
478 [213]

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III
CAPITULUM DE ASSJGNANDA DIFFERENTIA INTER GENUS ET MA TERIAM

[246] Conveni! nunc ostendere naturam generis et speciei. Genus autem olim apud
Graecos multas significabat intentiones, de quibus non agimus nunc in hoc nostro tempore.
Genus enim in hac arte non significa! nisi intentionem logicam iam cognitam et subiectum;
aliquando autem agimus per hoc nomen genus, dicentes: "hoc non est i!lius generis cuius
illud", cum intelligamus scilicet speciei illius aut collectionis in qua conveni t cum eo in
definitione sua. Species etiam in hoc nostro tempore et nostro usu non significa! apud nos in
479

[SEZIONE TERZA]

SULLA DIFFERENZA TRA IL GENERE E LA MATERIA 148

Quello di cui adesso dobbiamo preoccuparci è far conoscere la natura del


genere e della specie. Ora, per ciò che riguarda quante siano le cose che
"genere" indica, ebbene al tempo dei Greci esso aveva molti significati, l'uso
dei quali si è perso nel nostro tempo: nella nostra disciplina "genere" non indi-
ca se non l'intenzione logica che ci è già nota e il soggetto 149 . Può poi accade-
re che il termine "genere" si usi al posto della specie e che dunque si dica
"questo non è del genere di quello", cioè della sua specie o dell'insieme di ciò
che vi si associa nella definizione; e anche la specie ora per noi - nel nostro
tempo e secondo l'uso [che ne facciamo] abitualmente nei testi scientifici -
non indica se non la specie logica e le forme delle cose.
Ma lo scopo [che ci proponiamo] adesso riguarda l'uso che ne fanno i logi-
ci. L'intenzione che si indica con il termine "genere"- diremo- non è "gene-
re" se non per una sorta di rappresentazione, e se essa muta, foss'anche sotto
una minima considerazione, non è [più) "genere"; ed è così per ognuno degli
universali ben noti 150 • Passiamo allora a illustrare [che cosa sia) il genere e [a
considerare] un esempio riguardo al quale coloro che hanno una [capacità)
media nella speculazione trovano più difficoltà. E diciamo dunque: del corpo
si può dire che è genere dell'uomo e si può dire [anche] che è materia
dell'uomo 151 ; ora, se è materia dell'uomo, è senz'altro [solo] una parte del suo
essere ed è impossibile che tale parte si predichi [214] del tutto. Vediamo allo-

libris scientiarum nisi speciem logicam et formas rerum. Nostra autem intentio est de eo de
quo agunt logici.
Dicemus ergo quod intentio quam significat hoc nomen genus non est genus nisi quan-
tum ad formationem; si enim non fuerit informatum aliquo intellectu, non erit genus; simili-
ter unumquodque universalium [247] cognitorum. Assignemus autem nunc differentiam
inter genus et exempla multitudinis suarum figurarum secundum mediocres in speculando.
Dicemus ergo quod corpus dicitur genus hominis et dicitur materia hominis. Cum autem
fuerit materia hominis, sine dubio erit pars esse eius; impossibile est autem ipsam partem
praedicari de toto. Consideremus ergo quomodo est differentia inter corpus consideratum ut
480 [214]

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genus et ipsum consideratum ut materia, et bine erit nobis vi<l ad cognoscendum quod volu-
mus patefacere.
Cum ergo acceperimus corpus substantiam habentem Jongitudinem et latitudinem et
spissitudinem, ex hoc quod habet hoc et ex hoc quod < ... > accidit ei intentio alia praeter
hoc, sicut est tactus vel spatium ve! aliud huiusmodi quod est intentio praeter corporeitatem,
sed sustentata in corporeitate et addita illi, sic corpus est materia. Cum vero acceperimus
corpus substantiam habentem longitudinem, latitudinem et profunditatem, tali condicione ut
nihil aliud accidat ei ullo modo, quia <non> oportet ut eius corporeitas si t substantialitas for-
mata his [248] dimensionibus tantum, sed ut substantialitas, quocumque modo fuerit, licet
sit cum mille intentionibus, sit tamen consti tuta tantum proprietatibus ipsius substantialitatis
et forma eius, < ... > ita ut collectioni sint tres dimensiones sicut corpori, et omnino, quali-
cumque modo coniuncta fuerint, tantummodo eorum collectio sit substantia habens tres
TRATIATO QUINTO- SEZIONE TERZA 481

ra come si dia la differenza tra il corpo considerato "materia" e [il corpo] con-
siderato "genere": ecco che ci si aprirà una via per conoscere quel che voglia-
mo rendere evidente 152 • Se assumiamo il corpo [come] una sostanza dotata di
lunghezza, larghezza e profondità- nel senso che [tutto] ciò [è proprio del
corpo] e a condizione che non vi rientri altra intenzione diversa da questa 153 , e
in modo che, se gli si aggiungesse un'intenzione diversa da questa, come la
sensibilità o la nutrizione o altro, sì tratterebbe di un'intenzione esterna alla
corporeità, predicabile riguardo alla corporeità [ma] aggiunta ad essa- allora
il corpo è "materia". Invece, se assumiamo il corpo come una sostanza dotata
di lunghezza, larghezza e profondità, a condizione che esso non sia esposto ad
alcun' altra condizione e senza che sia necessario che la sua corporeità appar-
tenga a una sostanzialità (li-gawhariyya) rappresentata soltanto con queste
dimensioni (aqtiir) 154 , [ecco che] ciò che viene assunto è il corpo che è il
"genere" 155 • [In tal senso, la sua corporeità non appartiene a una sostanzìalità
rappresentata soltanto da queste dimensioni], ma invece a una sostanzialità
qualunque, foss'anche con mille [altre] intenzioni che vadano a costituirne la
proprietà e le forme 156 , purché con essa o in essa vi siano tali dimensioni; in
tal modo, all'insieme [così costituito] apparterranno tre dimensioni, come tali
da essere del· corpo. Insomma: qualunque raggruppamento [di intenzioni] sarà
successivo al fatto che tale insieme è una sostanza dotata di tre dimensioni, ma
-se vi saranno- questi [altri] raggruppamenti saranno interni all'essere stesso
(huwiyya) dì quella sostanza: quella sostanzialità [infatti] non sarà completa
[come tale] in virtù delle [sole] dimensioni, come se poi quelle [altre] inten-
zioni la accompagnassero [come] esterne alla cosa in sé già completa 157 •
Ora, poiché il corpo nel primo senso è parte di quella sostanza composta
dal corpo e dalla forma che è successiva a quella della corporeità presa nel
senso della materia, esso non è un predicato; quell'insieme [di materia e
forma], infatti, non è una semplice sostanza dotata di lunghezza e larghezza e
profondità soltanto 158 . Quanto a questo secondo [corpo, quello nell'altro
senso], esso è predicabile di ogni insieme [che sia costituito] da una materia e
da una forma- si tratti di una o di mille [forme]- fra cui vi siano le tre dimen-
sioni; esso, quindi, è predicabile [215] dell'insieme [costituito] da quella cor-

dimensiones, sed ipsa coniuncta, quae ibi fuerint, non sint de essentia ipsius substantiae, sed
ut ipsa substantialitas sit constituta ex dimensionibus et deinde consequantur eam ipslle
intentiones quae sunt extra rem iam constitutam, tunc ipsum corpus sic acceptum est genus.
Corpus ergo secundum intentionem primam, quia est collectio substantiae compositlle
ex corpore et ex formis quae sunt post corporeitatem quae fuerit secundum intentionem
materiae, non praedicatur, quoniam ipsa collectio non est abstractio substantiae habentis
longitudinem et latitudinem et profunditatem tantum. Hoc vero secundum praedicatur de
omni composito ex materia et forma, sive sit una sive mille, in quo tantum sint tres dimell-
siones. Ergo praedicatur de composito ex corporeitate quae est sicut materia et ex anima,
482 ,.,. [215]
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collectio enim horum substantia est, quarnvis sit coniunctio tJX [249] multis intentionibus;
ipsa enim collectio habet esse non in subiecto, et ipsa collectio corpus est, quoniarn substan-
tia est quae est habens longitudinem et latitudinem et profundiwtem.
Sirniliter de animali, si accipitur animai tali condicione ut non sit in sua animalitate nisi
corporeitas et vegetabilitas et sensibilitas et ut id quod est po$1 hoc sit praeter ipsum, tunc
non erit longe quin sit materia hornini et subiectum cuius foflllll est anima rationalis. Si vero
accipitur animai tali condicione ut sit corpus ex intentione qua corpus est genus, in intentio-
ne cuius corporis, secundum positionem, sensibilitas sit et ceterae formae, quarnvis sit de
il!is rationalitas vel differentia opposita rationalitati non apta removere aliquid ab eo nec
proprietatem eius, sed sit possibile esse quodlibet eorum per stl et sit necesse esse cum illis
TRATI ATO QUINTO- SEZIONE TERZA 483

poreità, che è come la materia, e dall'anima; perché un tale insieme, benché


sia costituito da molte [altre] intenzioni, è una sostanza: esso, infatti, è esisterl-
te non in un soggetto ed è un corpo perché è una sostanza, una sostanza cvi
appartengono lunghezza, larghezza e profondità 159 •
Analogamente, quando "animale" è assunto come animale, a condizione
che non (bi-sarti Iii) vi siano nella sua animalità se non corporeità, [facoltà di]
nutrizione e sensibilità, e [a condizione] che quel che è successivo ad esse gli
sia esterno, allora non sarà inverosimile che esso costituisca una "materia" o
un "soggetto" per l'uomo, la forma essendone l'anima razionale. Se invece
["animale"] è assunto a condizione che (bi-sarti an) sia un corpo nel senso in
cui il corpo è "genere", e tra le intenzioni di quel corpo possono legittimameit-
te rientrare la sensibilità e [anche] un'altra form~, da essa diversa 160 , allora
esso è "animale" nel senso del "genere" 161 • [In tal senso], anche se [tra le
intenzioni] vi fosse la razionalità- o una differenza [specifica] opposta ad essa
- non se ne dovrebbe rimuovere nulla né nulla dovrebbe essergli aggiunto;
anzi, nel suo stesso essere (huwiyya) rientra legittimamente una qualunque eli
quelle [intenzioni], purché assieme ad esse vi siano, d'obbligo, potenza nutrid-
va, sensibilità e moviménto, obbligatoriamente 162 ; che non vi sia - o vi sia -
qualcosa di diverso da queste, non è, invece, obbligatorio.
Analogamente, dunque, comprenderai come stiano [le cose] per quanto
riguarda "sensibile" e "razionale". Infatti, se "sensibile" viene assunto come
corpo o come qualcosa cui appartiene la sensibilità, a condizione che non vi
sia altra aggiunta, esso non sarà una differenza [specifica], pur essendo parte
dell'uomo; e così "animale" non ne sarà predicabile; invece, se è assunto
come corpo o come qualcosa per cui, in cui e con cui è ammissibile una qull-
lunque delle forme e delle condizioni [possibili] una volta [ammesso] che fra
di esse vi sia la sensibilità, allora è una differenza [specifica] e "animale" ne
sarà predicabile 163 •
Quindi, qualunque intenzione di queste assumerai - fra quelle la cui condj-
zione di "genericità" o "materialità" è difficile [da comprendere] - troverìli
che, se è possibile ammettere che essa contenga le differenze, nel senso in cvi
-qualunque esse siano- esse sono in essa e ne [fanno parte, l'intenzione] è

potentiam recipiendi nutrimentum et sensum et motum necessario, et non sit necessariujll


non esse praeter illa vel esse, tunc animal erit ex intentione generis.
Similiter intellige dispositionem sensibilis et rationalis. Si enim sensibile accipitur cor-
pus vel aliquid habens sensibilitatem tali condicione ut nihil addatur, tunc non erit differefl-
tia, quamvis sit pars hominis, et ideo animal non praedicatur de illo. Si vero illud accipitllf
corpus aut aliquid cui et in quo et cum quo possibilis sit quaelibet formarum aut quaelibet
condicionum, ita ut sit in ea sensibilitas, sic erit differentia, et animal praedicabitur de illo.
[250] Ergo qualemcumque illarum intentionum acceperis de cuius generalitate et mate-
rialitate dubitatur, et fuerit talis ut possit ei adiungi quaelibet differentiarum, ita ut sit in illa
et de illa, sic erit genus. Si vero acceperis intentionem secundum hoc quod iam habet ali-
484 [216]

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quam differentiarum qua constituta et perfecta est intentio, ita ut, si aliquid superveniret, iam
non sit de ipsa collectione aliquid sed adiunctum extrinsecus, sic non erit genus, sed materia.
Si autem habuerit perfectionem intentionis, ita ut iam habeat quicquid fuit possibile habere,
fiet species. Si vero consideraveris ipsam intentionem per se tantum non intelligens illud,
erit genus; igitur, ex hac condicione ut non sit aliquid additum, erit etiam materia; ex hac
vero condicione quod est aliquid additum, erit species. Cum autem non est dedita ad hoc,
sed est possibile habere unamquamque additionum ita ut sint ìntrantia in co!lectionem suae
intentionis, eri t genus. Sed hoc non est dubium nisi in re cuius essentia est composita; in eo
autem cuius essentia est simplex, fortassis intellectus ponet in seipso hos respectus, secun-
dum quod praediximus. In esse autem nihil est eius quod discernatur esse genus.
TRATTATO QUINTO- SEZIONE TERZA 485

"genere"; e se [216] invece assumi l'intenzione nel senso in cui essa è comple-
ta e conchiusa in virtù di alcune differenze - al punto tale che, se intervenisse
qualcos'altro, quest'ultimo non farebbe [parte] di questo insieme ma [gli]
sarebbe invece aggiunto dall'esterno- allora [l'intenzione] non è "genere",
ma "materia". Se poi per [tale insieme] poni [come condizione] necessaria la
completezza dell'intenzione, in modo che in essa rientri [tutto] quel che può
rientrarvi, allora essa viene ad essere "specie", mentre se nel designare tale
intenzione non facessi riferimento a questo, sarebbe "genere".
Dunque: a condizione che non vi sia un'aggiunta [una simile intenzione] è
"materia", mentre a condizione che vi sia un'aggiunta è "specie"; e nella
misura in cui a ciò non fai riferimento, ma è invece ammissibile ognuna delle
aggiunte nel senso che esse sono interne a [ciò che costituisce] l'insieme
dell'intenzione [della cosa], è "genere". E tutto questo è difficile [da compren-
dere] solo a proposito di ciò la cui essenza è composta, perché riguardo a ciò
la cui essenza è semplice, l'intelletto potrà svolgere queste considerazioni da
sé, nel modo che abbiamo menzionato prima di questa sezione 164 •
Di questa [intenzione], tuttavia, non vi è nell'esistenza qualcosa di distinto
che sia genere e qualcosa che sia materia. Diciamo: la corporeità esiste per
l'uomo prima dell'animalità solo per quanto riguarda alcuni aspetti della rap-
presentazione, quando la corporeità è assunta nel senso della materia e non nel
senso del genere. E analogamente, per [l'uomo] il corpÒ esiste prima dell'ani-
malità soltanto se il corpo è nel senso in cui non ne è predicabile, non nel
senso in cui ne è predicabile 165 • Quanto alla corporeità che si suppone possa
legittimamente essere posta come tale da contenere ogni intenzione cui si
accompagni la necessità 166 di contenere le tre dimensioni 167 , essa non esiste 168
per quella data cosa che è specie per "animale", se non in quanto contiene già
l'animalità 169 ; così, l'intenzione dell'animalità è una qualche parte dell'essere
di quel [dato] corpo, in atto, una volta che sia ammissibile che quella, in se
stessa, la contenga 170 : l'intenzione dell'animalità sarà allora una certa parte
dell'essere di quel [217] corpo, in modo inverso rispetto a ciò che accade con

Dicemus ergo quod in homine non invenitur corporeitas ante animalitatem nisi quodam
modo prioritatis, scilicet cum accipitur corporeitas ex intentione materiae, non generis.
Similiter non invenitur in eo corpus ante animalitatem, nisi cum corpus fuerit ex intentione
qua non [251] praedicatur de eo, non ex intentione qua praedicatur de eo. Sed corporeitas
quae ponitur cum animali ponitur apta omni intentioni quae adiungitur ei debito tres dimen-
siones sibi coniungendi; nihil enim quod sit species animalis habet esse, nisi habeat in se
animalitatem; < ... >in effectu quam possibile erat ei in se habere. Intentio ergo animalita~s
erit pars esse huius corporis per conversionem dispositionis corporis postquam iam fuent,
sicut corpus ex intentione materiae pars est esse animali s.
486 [217]

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Deinde corporis absoluti ex intentione materiae esse et coniunctio non est nisi ex esse
suarum specierum et eius quod sub ipso est, quia sunt causa esse ipsius, sed ipsum non est
causa esse eorum. Si vero corporeitas ex intel!ectu generis haberet esse per se ante esse spe-
cialitatis, tunc ipsum esset causa specialitatis, sicut corpus ex intellectu materiae, et si eius
prioritas non esset tempore, sed esse ipsius corporeitatis in bac specie esset esse illius spe-
ciei non ceterarum, < ... > similiter esset iudicium in [252] eo. Intellectu etenim non est pos-
sibile attribuere corporeitati ex intellectu generis esse tèrminatum in aliqua rerum, nisi
TRATTATO QUINTO- SEZIONE TERZA 487

il corpo una volta che esso sia dato, come poi il corpo che è nel senso della
materia è una parte 171 dell'essere dell'animale. Poi, il corpo in senso assolute>,
il quale non è nel senso della materia, esiste e sussiste in quanto è un insit:~­
me172 solo a partire dall'esistenza delle sue specie e delle [cose] collocate al eli
sotto di essa 173 , cosicché sono esse le cause della sua esistenza e non esso }a
causa della loro. Se per la corporeità che è nel senso del genere si desse
un'esistenza prima dell'esistenza della specie, pur essendo la sua anteriorità
un'anteriorità non temporale ma per essenza, allora [un tale genere] 174 sarebbe
una causa per l'esistenza della specie, come il corpo nel senso della materia, [e
ciò] pur essendo la sua anteriorità non temporale 175 • Invece, l'esistenza di tale
corporeità in questa specie è la [stessa] esistenza di quella specie, non altro.
E a questo riguardo lo statuto è analogo nell'intelletto. Affinché nell'intel-
letto si produca "l'animale specifico", infatti, l'intelletto non può porre, in una
delle cose della corporeità che appartiene alla natura del genere, un'esistenza
che si ottenga per prima 176 e a cui poi si aggiunga qualcosa d'altro. Se [l'intel-
letto] facesse [una simile operazione], quella data intenzione che, nell'intellet-
tQ, è del 'beRete RQR ~are"b"be \)tedka"bi.le della u.at.IJ..ta della ~\)e.c\e, ma- an.cb.e
nell'intelletto- ne sarebbe una parte. Invece, per quella cosa che è la specie, }a
natura della genericità si produce- nell'esistenza e al contempo (ma'ar~)
nell'intelletto- quando la specie si è prodotta nella sua completezza: la diffe-
renza [specifica] non è esterna all'intenzione di tale genere né le è aggiunta; lll
contrario, essa è contenuta 177 [nell'intenzione del genere] e ne è una parte, nel
modo cui abbiamo accennato. E questo non è lo statuto del solo genere in
quanto universale, ma è lo statuto di ogni universale in quanto universale.

adiungat ei aliquid aliud quousque animai fiat ipsa species in intellectu. Si enim hoc ageret,
profecto ipsa intentio quae est generis in intellectu non praedicaretur de natura speciei, sed
esset eius pars etiam in intellectu; ei enim quod est species non attribuitur natura generalitll-
tis in esse et in intellectu simul, nisi cum iam acceperis speciem in sua perfectione, et diffe-
rentia non erit extra intentionem huius generis nec adiuncta ei, sed contenta in eo et pars.
sicut praediximus; hoc autem iudicium non est generis solius, sed omnis universalis ex hOC
quod est universale.
488 [218]

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Manifestum est igitur ex hoc quod genus. cum accipitur secundum hoc quod est genus,
est adhuc quasi ignotum. Nondum enim scitur de qua forma praedicetur, et quot formas con-
linea!. Unde anima contendi! hoc acquirere: nondum enim stabilitum est in effectu aliquid
determinatum quod sit genus; unde, cum acceperimus colorem et consideraverimus eum in
intellectu animae, anima non erit contenta quasi iam aliquid habeat in effectu, sed quaeret
intentioni coloris addì aliquid, quousque remaneat in effectu color. De natura vero speciei
non quaeritur acquisitio intentionis suae, sed acquisitio designationis; de natura vero gene-
ris, quamvis quia [253] anima quaerat acquisitionern designationis, iarn fecit quod debet et
quod debet sufficere, anima tamen quaerit praeter hoc acquisitionem intentionis eius ante
TRATTATO QUINTO- SEZIONE TERZA 489

[218] Da tutto ciò è evidente, quindi, che il corpo, una volta che sia assun-
to nel senso in cui è genere, è come quel che ancora si ignora: non si sa quali e
quante forme comprenda, e l'anima cerca di ottenere tale [conoscenza] perché
non si è ancora stabilito in atto qualcosa che sia un corpo [determinato). Così,
se prendiamo in considerazione il colore e lo rendiamo presente all'anima,
l'anima non si accontenta del fatto che si è stabilito qualcosa non in atto, ma
ricerca nell'intenzione del colore qualcosa in più, in modo che si fissi in atto
un colore [determinato).
Della natura della specie non si cercherà di ottenere l'intenzione, ma la
designazione 178 , mentre della natura del genere - anche se una volta che
l'anima abbia cercato dì attenerne la designazione, avrà già fatto il necessario
e [avrà cioè già fatto) ciò di cui è necessario che si accontentì' 79 -l'anima può
cercare di ottenere anche l'intenzione, insieme alla [designazione) e prima di
ricercare [la designazione); [e ciò) in modo che a questa resti solo dì esser
maggiormente preparata 180 per questa ricerca e l'anima possa supporre qua-
lunque designabile voglia. All'anima, infatti, non è possibile considerare [que-
sta intenzione] tale da poter essere qualunque designabile voglia, se non dopo
avervi aggiunto altre intenzioni, [per esempio] dopo la "coloreità" e prima
della designazione. Non è possìbile 181 considerare il colore, essendo esso
ancora [soltanto] colore, senza aggiungervi qualcosa di designabile: esso è un
colore in questa [data] materia, mentre 182 tale cosa non sarebbe che colore sol-
tanto; esso può determinarsi [se] dall'esterno gli sopraggiungono delle deter-
minazioni accidentali, pur potendo in se stesso essere immaginato permanente,
con tutto che una per una queste [determinazioni] siano cessate, come è per le
[note] che determinano la natura della specie. E analogo è il caso dell'esten-
sione, della qualità o dì quel che è diverso da esse, e del corpo, del quale stia-
mo trattando: non è possibile che [219] la mente lo consideri qualcosa di desì-

hanc inquisìtionem, ita ut nihil remaneat nisi ut aptetur ad hanc inquisitionem; et tunc debet
anima ponere qualemcumque signatum volueòt. Ergo non eòt possibile animae ponere illud
esse aliquid ita ut possit concedi esse quodcumque signatum fuerit, nisi postquam adiunxeòt
ei alias intentiones post coloritatem, et ante designationem. Non enim est sibi possibile
ponere colorem cum ipse sit color, sine additione alicuius designati quod sit color in hac
materia, et quod ipse color non sit nisi color tantum: iam enim appropriatus est rebus acci-
dentalibus quae accidunt extònsecus. Unde potest concedi ipsum in putatione permanere
cum remotione uniuscuiusque eorum, sicut fit in propòatis natura specialitatis, sicut in men-
sura et qualitate et ceteris. Similiter corpus de quo agimus non est possibile poni in intellectu
490 [219]
----------
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designatum, ita ut sit substantia retinens quicquid contigerit, postquam fuerit compositio
longa et lata et profunda supra compositionem eius, nec definiri an retineat ea an non reti-
neat ad hoc ut fiat species.
[254] Si quis autem dixerit quod similiter possumus coniungere quaelibet secundum
huiusmodi coniunctionem, dicemus quod noster sermo est de quodam modo cuiusdam
coniunctionis, cuiusmodi est coniunctio aliquorum in aliquo secundum modum coniunctio-
nis quae est in natura generis ex hoc quod est genus. Ipse autem modus est ut ea quae
coniunguntur sint differentiae advenientes ei. Noster autem sermo non est hic de significan-
TRA TIATO QUINTO- SEZIONE TERZA 491

gnabile, limitandosi al fatto che esso è una sostanza che contiene qualunque
cosa capiti, una volta che l'insieme sia lungo, largo e profondo: nell'insieme
[del corpo in quanto genere] non vi è limite alle cose che esso può contenere e
non contenere in modo da venire ad essere una specie.
E se qualcuno dicesse che allora, come questo insieme, possiamo raggrup-
pare qualunque cosa vogliamo 18\ diremmo che il nostro discorso riguarda un
tipo specifico di raggruppamento, quello in cui le cose stanno insieme 184 nel
modo in cui vi stanno nella natura del genere in quanto genere. Questo tipo [di
raggruppamento] consiste nel fatto che le cose che [vi] vengono messe insie-
me sono differenze [specifiche che] vi sono contenute. Tuttavia, il discorso
che stiamo facendo ora non mira a indicare come la natura del genere com-
prenda le differenze specifiche e [le cose] che da esse sono diverse, ossia le
cose che vi risiedono l'una insieme all'altra al modo delle differenze: il discor-
so che stiamo facendo [a proposito della natura del genere] riguarda il metodo
che conduce a [stabilire] la differenza tra il genere e la materia. E quando
vogliamo stabilire la differenza tra due cose, non dobbiamo necessariamente
estendere la trattazione della differenza fino a spiegare altri casi. Lo scopo che
ci proponiamo è solo quello di far conoscere che la natura del genere che è
"corpo" è di essere una sostanza in cui si mettono insieme cose che di per sé vi
vanno fatte risiedere l'una insieme all'altra. L'insieme sarà così "lungo, largo
e profondo" ma sarà, pur non essendo costituito che da cose le cui condizioni
sono note, ancora ignoto. Ed è fino a questo punto che arriva ciò di cui trattia-
mo in questa sezione.

do qualiter natura generis comprehendat differentias et alia a differentiis quae sunt ea quae
coniunguntur in ea ad modum differentiarum, sed de his secundum hoc quod conducunt ad
cognoscendum differentiam inter genus et materiam. Non enim, cum voluerimus distinguere
inter aliqua duo, debemus deviare ab hoc ad ostendendum alias dispositiones. Nam nostra
intentio est ostendere quod natura generis quae est corpus est substantia in qua potest conce-
di coniunctio aliquorum quae solent in ea coniungi; fit ergo collectio longa, lata et profunda;
et si aliqua fuerint incognita, non erunt cognita nisi ex condicionibus; huc usque locuti
sumus de hoc.
492 ,.,.. [220]

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IV
CAPITULUM DE INTELLECTIBUS QUI SUNT EXTRA INTENTIONEM GENERIS QUOMODO RECIPIUNTUR
INTRA NATURAM GENERIS

[255] Loquamur nunc de his quorum coniunctio potest concedi in genere, et deinde
quiescemus postquam stabilierimus quod natura eius et esse in actu non provenit nisi ex
illis. Dicemus ergo quod haec inquisitio dividitur in duo, quorum unum est scire quae sunt
ea quae debet reti nere genus in se et complecti, ad hoc ut per illa ipsum genus fiat species, et "
aliud est scire quae sunt ea ex quibus retentis non fiat ita. Corpus enim cum retinet in se
albedinem, secundum modum quo praediximus, non ex hoc fit species. Animai quoque, cum
493

[SEZIONE QUARTA]

A PROPOSITO DELLA MODALITÀ CON CUI LE INTENZIONI ESTERNE AL GENERE


ENTRANO NELLA NATURA DEL GENERE

Parliamo adesso delle cose che è possibile riunire nel genere e soffermia-
moci perciò a stabilire la natura e la quiddità [del genere] che appunto si
danno in atto a causa di queste.
La questione- diciamo- si divide in due parti: la prima [concerne] quali
siano le cose che è necessario che il genere contenga in se stesso e che, riunite,
ne fanno una "specie"; la seconda [concerne] quali cose si trovino contenute
[nel genere] di quelle che non [lo rendono una "specie"]. In effetti, [per esem-
pio), quando il "bianco" è contenuto ne1 "corpo" ne1 modo ricordato, non \o
rende una specie, né "l'animale", quando si divide in "maschio" e "femmina",
in virtù di questa [divisione] si fa specie. Eppure, nonostante ciò, esso si fa
specie in virtù di altre cose; inoltre, è possibile che l'animale si applichi a un
individuo in cui vi siano molti accidenti e tutto quell'insieme [che comprende
gli accidenti] costituisce un animale designabile.
Ora, innanzitutto diciamo che non dobbiamo prenderei la pena di stabilire
per ogni specie quel che è proprio della differenza [specifica] di ogni genere
né [dobbiamo stabilire] le differenze delle specie di un [solo] genere; ciò,
infatti, non è in nostro potere. In nostro potere è piuttosto conoscere la legge
[che vige] a questo riguardo e come convenga che la cosa sia in se stessa.
Se consideriamo una delle intenzioni intelligibili che sottendono l' appro-
priazione del genere, [chiedendoci] se essa appartenga o meno al genere a
condizione di questa legge, ecco: potremmo ignorarlo riguardo a molte cose e
saperlo invece per altre. Diciamo, perciò, che se all'intenzione generica 185

dividitur in masculum et feminam, non specificatur propter hoc, cum ipsum specificetur ex
aliis; potest autem concedi quod, cum animai cadit super individuum in quo sunt accidentia
multa, fit ex illa collectione animai signatum.
Primo ergo dicemus quod non incumbit nobis ut studeamus stabilire proprietatem diffe-
rentiae uniuscuiusque generis secundum unamquamque speciem, nec etiam differentias spe-
cierum unius generis; hoc enim non est in nostro posse; quod autem est nobis possibile, hoc
est cognoscere regulam in hoc et quomodo res debet esse in se. Cum autem consideraveri-
mus de aliqua intentionum intellectarum convenientium ad specificandum genus an sit
genus secundum condicionem illius regulae [256] an non, fortassis ignotum eri t penes nos in
plerisque rebus et fortassis cognitum in aliquibus.
494 [221]

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Dicemus ergo quod intentioni communi curo coniungitur natura eius, primo necesse est
ut coniunctio eius ad illam fiat dividendo quousque restringawr in specialitatem et ut impos-
sibile sit permutari divisionem, ipso signato remanente substa(ltia, ita ut, verbi gratia, mobile
ex eis fiat immobile curo ipsum sit unum per individualitatem, et non mobile fiat mobile
curo sit unum individualitate, nec ut unum mobile et aliud mobile sint duae partes divisionis
substantialis, sed oportet ut divisio sit fixa, ad hoc ut intentio propria non separetur a sua
propria portione generis.
Et post hoc oportet etiam ut affirmativum ex utroque membrorum ve! utrumque non sint 9
ei accidentia propter hoc quod est prius illis; contingit autem quod ipsa intentio est naturae
generis prima, et aliquando secundaria potest esse. Curo autem fuerit secundaria, poteri t esse
ut non sit differentia ullo modo, sed sit aliquid comitans id qvod est differentia, sicut si ali-
quis erraret dividendo substantiam non in corpus et non corpus, sed in receptibile motus et
TRATTATO QUINTO- SEZIONE QUARTA 495

[221] si aggiunge una natura, è necessario innanzitutto che essa sia aggiunta
seguendo la divisione, fino a che sia ricondotta alla [natura] specifica; ed [è
inoltre necessario] che la divisione sia impossibile da rovesciare 186 , restando
questa [data cosa] che si sta designando la [stessa] sostanza; [altrimenti sareb-
be] come se, per esempio, quel che delle due [divisioni] è "mobile" venisse ad
essere 187 "immobile", trattandosi di qualcosa di uno individualmente, e quel
che è "immobile" venisse ad essere "mobile", pur essendo uno [stesso] indivi-
duo: "immobile" e "mobile" sono due parti distinte della divisione essenziale.
Anzi, è necessario che la divisione consegua [necessariamente dal genere]
in modo che l'intenzione propria non sia separata da quella sua parte che è pro-
pria del genere; e inoltre è necessario che, tra le due divisioni, quella affermati-
va, o [anzi] entrambe, non siano tali da accadere [al genere] in ragione di qual-
cosa di anteriore: la natura del genere implica che tale intenzione le appartenga
in modo primario 188 . Se tale intenzione fosse secondaria, infatti, essa potrebbe
non essere affatto una differenza [specifica] e sarebbe anzi qualcosa di conse-
guente a quella che [ne] sarebbe la differenza [specifica], come se vi fosse un
divisore che, avendo mutato il suo statuto, non avesse diviso la "sostanza" 189 in
"corpo" e "non-corpo", ma invece l'avesse divisa 190 in "tale da accettare il
movimento" e "tale da non accettare il movimento": "tale da accettare il movi-
mento", infatti, non è concomitante alla sostanza in modo primario e lo è [solo]
in quanto essa è suscettibile di determinazione locale ed è corporea; "tale da
accettare il movimento" consegue a "corpo" e a "corpo" conseguono molte
cose, ciascuna delle quali rimanda ad esso: esse, tuttavia, non sono differenze
[specifiche], ma determinazioni (umur) che conseguono alle differenze [speci-
fiche]. In effetti la sostanza, in virtù della mediazione della corporeità 191 , è
ciò 192 cui accadono tali intenzioni, mentre che [la sostanza] si divida in modo
da essere "dotata di corporeità" o "non dotata di corporeità" si deve al fatto che
è una sostanza e non alla mediazione di qualcosa d'altro.
Può però anche essere che alcune delle [cose] che non accadono [al gene-
re] in modo primario siano una differenza [specifica]; non saranno tuttavia una
differenza [specifica] prossima di quel dato genere, ma una differenza che è
successiva a un'altra differenza, come se si dicesse: "alcuni corpi sono razio-

non receptibile; receptibile etenim motus non sequitur substantiam propinque, sed postqmun
fit locale et corpus. Nam receptibile motus comitatur corpus et multa alia comitantur corpus.
sed [257] unumquodque eorum post nominationem corporis, quae non sunt differentiae, sed
quaedam comitantia differentias; substantiae etenim mediante corporeitate accidunt intentio-
nes istae; divisio autem eius quae fit per corpoream et incorpoream est inquantum est sub-
stantia, non mediante alio.
Potest autem concedi quod aliquid eorum quae non accidunt substantiae primum sit dif-
ferentia, sed non differentia propinqua huic generi, sed differentia post differentiam, verbi
gratia, sicut cum dicitur quod corpus aliud est rationale, aliud irrationale; corpus enim, ex
496 c;IJIJ...All- ~1,1.:\:ijW.I [222]

w.~ <J.f:... <.J"ii.A..:.-o.r.J...b.u r- _,.~r-.I., l (.)"i, ~t J!;, .C...J


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hoc quod est corpus. non est aptum esse rationale ve! irrationale. sed prius necesse est esse
habens animam ad hoc ut fiat rationale. Cum ergo invenitur corporis differentia, oportet ut
differentiae quae sunt post ipsum sint differentiae facientes notari appropriationem ipsarum;
habens enim rationalitatem et carens rationalitate faciunt notari dispositionem differentiae
eius ex hoc quod est habens animam. Ipsum enim est habens rationalitatem et carens ratio-
nalitate secundum hoc quod est habens animam, non secundum quod est album ve! nigrum
ve! aliquid aliud aliquo modo in effectu. Similiter hoc quod corpus est habens animam aut
non habens animam non habet ullo modo propter aliquid generum mediorum.
Cum igitur naturae generis etiam acciderint accidentia quibus differat, tunc non potest
esse quin ipsa aptitudo differendi sit ve! ex natura generis, [258] ve! ex natura communiori
TRATTATO QUINTO- SEZIONE QUARTA 497

nali [222] e alcuni (corpi] sono irrazionali". Il corpo, infatti, in quanto è sem-
plicemente corpo, non è preparato ad essere "razionale" o "irrazionale"; per
essere "razionale" ha bisogno, invece, di essere in primo luogo "dotato di
anima". E quando 193 il genere trova una differenza, è necessario che quelle
differenze che sono ad essa successive siano tali da far conoscere che quella
[prima] differenza è propria del (genere]; "dotato di ragione" e "privo di ragio-
ne", infatti, fanno conoscere 194 che si dà la differenza che consiste nell'essere
"dotato di anima" 195 : "dotato di ragione" 196 e "privo di ragione" si hanno,
infatti, in quanto [il corpo] è "dotato di anima", non certo in quanto è "bianco"
o "nero" o qualche altra cosa in atto. E così, il fatto che il corpo sia "dotato di
anima" o "non dotato di anima" non gli appartiene certo a causa di un qualche
genere intermedio 13 •
Così, se anche alla natura del genere accadono degli accidenti in virtù dei
quali esso si articola in differenze 198 , non si sfugge a una delle due possibilità:
o la preparazione a differenziarsi in virtù di [tali accidenti] è dovuta solo alla
natura del genere; oppure a una natura più generale di essa, come prima si trat-
tava di una natura più particolare 199 •
Ora, se (il genere è preparato a dividersi] a causa di una natura più genera-
le di quella [del genere] - come il fatto che "l'animale" sia "bianco" o "nero"
e "l'uomo" "maschio" o "femmina" - questa non è una delle sue differenze
[specifiche]; al contrario, l'animale viene ad essere "bianco" o "nero" solo per
il fatto che è un corpo naturale: tale corpo naturale è sussistente in atto ed è
quindi posto con questi accidenti2 00 che potrebbe ricevere anche se non fosse
un animale; e "l'uomo" è preparato a esser "maschio" o "femmina" solo per il
fatto che è animale, cosicché questa non è una differenza del genere [uomo].
Vi possono infatti essere cose, proprie del genere201 , che lo dividono -
come per l'animale "maschio" e "femmina" - e che non sono affatto differen-
ze [specifichef02 ; questo perché [le divisioni] sono differenze [specifiche]
solo se accadono all'animale a partire dalla sua forma, in modo tale che la sua
forma ne sia divisa in modo primario, e [223] [se] non conseguono a qualcosa

quam ipsa, sicut prius erat ex natura propriori quam ipsa. Si autem fuerit ex natura commu-
niori quam ipsa, sicut animai, aliud album aliud nigrum, et sicut homo, alius masculus alius
femina, non est hoc ex suis differentiis. Animai enim non fit album vel nigrum, nisi quia est
corpus naturale; iam enim ipsum est existens corpus naturale in effectu, et deinde supponitur
his accidenti bus quae recipit, quamvis non sit anima\; homo quoque non est aptus ad mascu-
lum et feminam, nisi quia est animai. Haec ergo non sunt differentiae generis. Sunt enim ali-
qua propria generi quae dividunt illud, sicut masculus et femina animai, nec tamen sunt dif-
ferentiae aliquo modo, videlicet quoniam non essent differentiae animalis, nisi acciderent
animali ex sua forma ita ut forma eius dividatur per illas divisione primitiva, et non sint
comitantes aliquid quod constituat differentiam primam.
498 [223]

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Cum autem non fuerit ita. sed non acciderint animali nisi quia eius materiae ex qua est
accidit aliquid propter quod fit alicuius dispositionis, quae non prohibet acquisitionem for-
mae generis et esse eius nec etiam prohibet quin accidat corpori alia divisio ex sua forma per
differentias, tunc duo membra divisionis non sunt de differentiis, sed de accidentibus comi-
tantibus illud, sicut masculus et femina. Spermati etenim quod est aptum formae animalis et
est assignatum [259] differentiae propriae animalis universalis, accidit passibilitas calefacti-
va et fit masculus; iam etiam posset concedi quod eidem accideret passibilitas infrigidativa
in complexione et fieret femina. Ipsa autem passibilitas tantum non prohibet, secundum hoc
quod ipsum idem est, recipere differentiam quae accidit animali ex sua forma, scilicet ex
hoc unde est habens animam apprehendentem, mobilem voluntate, ut ideo non concedatur
recipere rationalitatem et irrationabilitatem; ergo haec actio non est agens aliquid in sua spe-
cificatione. Quamvis putaremus etiam illud nec masculum nec feminam nec attenderemus
TRATIATO QUINTO- SEZIONE QUARTA 499

che una differenza fa sussistere in modo primario203 . Perciò, se [le divisioni]


non sono in questo modo, ma accadono all'animale semplicemente perché alla
sua materia, quella dalla quale esso è costituito204 , accade qualcosa di acciden-
tale ed essa si trova dunque in uno di quegli stati in cui non è impossibile che
in essa si attuino né la forma del genere e la sua quiddità, né i due estremi
della divisione, e in cui neppure è impossibile che per il genere si dia una dif-
ferenziazione ulteriore, in quanto la sua forma è costituita dalle differente
[specifiche] 20S, ecco - in tal caso - i due estremi della divisione non fanno
parte delle differenze [specifiche], ma degli accidenti che necessariamente
conseguono [al genere]; intendo dire come nel caso dell'essere maschio e
dell'essere femmina. ·
Al seme che ha una [costituzione] valida per la forma dell'animale e che
viene determinato da una differenza propria dell'animale universale accade,
infatti, di patire l'azione di quel che è caldo e di venire quindi ad essere
maschio; allo stesso identico [seme] può però anche accadere di patire l'azio-
ne di un elemento raffreddante per la complessione e di venire ad essere fem-
mina. Questa passione, da sola, non gli impedisce in quanto tale di ricevere
qualunque differenz.a [specifica] giunga all'animale a partire dalla sua forma,
e cioè a partire dal fatto "che è dotato di anima, che percepisce e che è mobile
in virtù della volontà"; e così è possibile che riceva la razionalità come l'irra-
zionalità, non avendo tale [divisione in sessi]206 influenza sul suo assumere
una specie. E persino se non lo immaginassimo né femmina né maschio e non
facessimo affatto [attenzione] a questa [determinazione], esso sussisterebbe
come una specie in virtù di ciò che lo rende specie. Se non si presta attenzione
a questa [determinazione], infatti, non si impedisce la specie e, del resto, nep-
pure prestare attenzione ad essa fa acquisire la specie. Invece non sarebbe così
se ci immaginassimo [l'animale come] assolutamente né razionale né privo di
ragione 207 , o se immaginassimo il colore né bianco né nero. Se vogliamo
distinguere le differenze [specifiche] dai caratteri propri "divisori", non basta
dire che quello che accade a partire dalla materia non è una differenza [speci-
fica]: essere "tale da nutrirsi" o essere altro [da ciò] accade, infatti, a partire
dalla materia; bisogna invece considerare le altre condizioni che abbiamo

ad hoc ullo modo, tamen constitueretur species ab eo quo specificatur: illud enim nec prohi-
bet specificari non consideratum nec acquirit specificationem consideratum.
Non est autem sic cum consideraverimus illud nec rationale nec irrationale, ve! cum
consideraverimus colorem nec album nec nigrum ullo modo. Cum ergo voluerimus distin-
guere inter differentias et proprietates divisivas non sufficiet dicere quod id quod accidit ex
materia non sit differentia. Ipsum enim esse nutribile ve! innutribile non accidit nisi ex
materia, sed oportet considerare condiciones alias quas praediximus, et ob hoc non inveni-
500 (224]

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mus aliquam specierum corporis cuius est pascibile contineri sub universitate eius cuius est
impascibile; invenimus autem [260] hominem, cum sit species animalis sine dubio, contineri
sub universitate masculi et feminae utriusque simul; similiter equus et cetera huiusmodi.
Masculus autem et femina iam continentur etiam sub homine, eo quod haec intentio comi-
tans est per quam cadit divisio in divisum, quamvis autem sit ex condicionibus differentiae,
iam tamen contingit in non differentia; aliquando enim id quod est non differentia comitatur
speciem aliquam inseparabiliter, hoc autem fit cum illud fuerit de comi tanti bus differentiam.
Repetimus autem dicentes te scire quod materia, cum movetur ad recipiendum veritatem
formae quae facit speciem, accidunt ei accidentia ex complexionibus et ceteris aliis quibus
variatur eius dispositio in actiones provenientes ex illa, non ex hoc quod recipit formam
TRATTATO QUINTO- SEZIONE QUARTA 501

descritto. [224] Per questo non troviamo niente [di quel che fa parte]
dell'insieme delle specie del "corpo che si nutre" che rientri nell'insieme di
"quel che non è tale da nutrirsi" 208 , mentre troviamo l'uomo- che senz'altro è
una specie del [genere] "animale"- rientrare al contempo nell'insieme di quel
che è maschio e di quel che è femmina; e analogamente il cavallo e altre [spe-
cie]. "Maschio" e "femmina" possono rientrare 209 nell'uomo e anche nel
cavallo, nel senso che questa [loro] intenzione- che è un certo conseguente in
virtù del quale si ha la divisione per quel che è diviso, benché sia fra le condi-
zioni della differenza, può risiedere in qualcosa di diverso dalla differenza
[specifica]. Infatti, quel che non è una differenza [specifica] potrebbe anche
conseguire a una specie senza estendersi al di là di essa; e ciò, quando è uno
dei conseguenti della differenza.
Ritorniamo [al punto di partenza] e diciamo: tu sai che alla materia, una
volta che si muova a ricevere la realtà di una forma perché così venga a costi-
tuirsi una specie, possono inerire 210 alcuni accidenti, - dalle complessioni e
[da cose] diverse- in virtù dei quali essa vedrà diversificarsi la propria dispo-
sizione alle azioni che ne provengono; [ciò tuttavia] non in quanto essa riceve
la forma del genere o la forma della specie: infatti, non tutte le disposizioni
che essa riceve e non [qualunque] cosa le accada fanno parte dell'insieme di
quel che rientra nel fine verso il quale [la materia] si muove nella generazio-
ne211. Inoltre, sai anche che le cose naturali si scontrano fra loro, che rappre-
sentano degli ostacoli le une per le altre e patiscono le une dalle altre, e [sai
che] le passioni contrastanti possono sviare dal fine intenzionato e possono far
accadere differenze, non riguardo allo stesso fine intenzionato, ma a cose che
in un certo modo vi si rapportano, e possono perfino risiedere in cose del tutto
esterne ad esso 212 • Ora, quel che accade in questo modo alla materia e assieme
al quale la materia permane continuando fino [all'ottenimento] della forma, è
esterno all'intenzione del fine: essere maschio ed essere femmina influenzano
solo la qualità dello stato degli organi in virtù dei quali si ha la procreazione e

generis aut formam differentiae, quia non quicquid recipit de dispositionibus et quod accidit
ei est de universitate eius quod continetur sub fine ad quem movetur in generando. Nosti
enim conflictus rerum naturalium, [scilicet quomodo haec unitio sit] et quomodo aliae prae-
veniunt alias et passiones quae contingunt in eas; aliquando enim passiones praecedunt
removentes a fine qui intenditur, et aliquando sunt inferentes diversitates, non in ipso fine
qui intenditur, sed in aliquibus habentibus se ad finem aliqua comparatione, et aliquando
sunt in aliquibus longe remotis a fine, et quod accidit materiae secundum hoc cum quo
remanet materia occurrens formae est praeter intentionem finis. Masculinitas enim et femi-
nitas non [261] agunt nisi secundum hoc quod est dispositio instrumentorum quibus fit
502 [225]

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generatio. Generatio autem sine dubio est quiddam quod accidìt post vitam, sed postquam
vita specificata est res terminata per se. Ergo haec et similia s!Jnt de universitate dispositio-
num consequentium post specificationem vitae in speciem, quamvis sit comparativa fini;
unde quicquid fuerit de passionibus et comitantibus secundum bune modum, scias non esse
de differentiis generum.
Iam ergo tibi naturam ostendimus universalis, et quomodo habet esse, et quomodo
genus differt a materia tali modo quod possunt derivaci alii modi de quibus postea loquemur,
ostendentes ea quae sunt debita generi per quae specificetur. Sed remanent duae inquisitio-
nes coniunctae ei de quo agimus, una scilicet de bis quae sunt debita generi nec specificant
illud, alia de hac intentione quomodo sit et quomodo, ex genere et differentia cum sint duo,
fiat unum quiddam definitum in effectu.
TRATIATO QUINTO- SEZIONE QUARTA 503

la procreazione [225] è senz'altro un fatto (amr) che accade in seguito alla vita
e al fatto che la vita si sia specificata in un qualcosa di in sé dato. Ecco dunque
che queste due [determinazioni], e quelle ad esse simili, fanno parte di
quell'insieme di stati che, pur essendo in rapporto con il fine, sono concomJ.-
tanti [alla vita solo] dopo che essa si sia determinata secondo una specie. Si
sappia, dunque, che le passioni e i conseguenti [necessari] di questo tipo non
fanno [parte] delle differenze [specifiche] dei generi.
Abbiamo già definito 213 la natura dell'universale, come essa214 esista e
come il genere, [che è] una delle [nature universali], si distingua dalla materi~t;
[lo abbiamo fatto] in un modo da cui, come ramificazioni, possono nascere
[altri] aspetti [della questione] che in seguito mostreremo. Abbiamo inoltre
definito quali cose contenga il genere tra quelle che sono tali da renderlo una
specie. Restano due indagini connesse a ciò di cui stiamo trattando: la prima
[concerne] quali cose contenga il genere di quelle che non sono tali da render-
lo una specie; la seconda [concerne] come si dia questa unificazione (ta'tzzd) e
come, a partire dal genere e dalla differenza [specifica]- [e cioè da] due cose
-si generi qualcosa di unò e di dato in atto215 .
Per quanto riguarda la prima indagine diciamo: poiché tali cose non sono
differenze specifiche, sono senz'altro accidenti. E gli accidenti sono- o non
sono - conseguenti necessari. Quelli che sono conseguenti necessari o conse-
guono ai generi del genere, se esso ha generi; o alle differenze [costitutive] dei
suoi generi; o allo stesso suo genere a partire dalla sua differenza [costitutiva];
o alle differenze che sono sotto di esso; oppure alla materia di una di queste.
Ora, quelli che provengono "da sopra" sono quelli che conseguono necessarig-
mente ai generi superiori, alle loro differenze e alla differenza costitutiva216
che appartiene allo stesso genere, mentre quelli che conseguono alle materie di
queste e ai loro acc\denti - dato che, infatti, agli accidenti possono conseguire
altri accidenti 217 - il loro insieme è un conseguente del genere e di quel che gli
sottostà. [226] Quanto a quelli che conseguono necessariamente alle differen-

De prima autem inquisitione dicemus quod, postquam illa non sunt differentiae, sine
dubio sunt accidentia; accidentia autem aut sunt comitantia, aut non comitantia. Comitantia
autem aut comitantur genera generis, si habuerit genera, aut differentias generum, aut ipsujll
genus aut differentiam ipsius, aut differentiam quae sub ipso est, aut materiam alicuitJS
eorum. Sed quoniam quaecumque comitantur id quod ex aliquibus fuerit superius, comitaJl-
tur etiam genera superiora et differentias quas habent, et differentiam constitutivam quae e~t
ipsius generis, et comitantur etiam materias istorum et accidentia eorum, quoniam accidentia
comitantur accidentia, tunc haec omnia comi-[262]tabuntur genus et quicquid est sub ipso.
504 [226]

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Nu!lum autem eorum quae comitantur differentias tantum quae sunt sub genere comitatur
genus, eo quod sequeretur ex hoc ipsum fieri minus; possibile est autem utrumque continge-
re in ilio.
Ponamus ergo aliquid signatum quod sit compositum et terminatum ex differentiis cor-
porum et ex accidentibus multis quod, cum dixerimus corpus, non intelligimus ex hoc
abstractionem a coniunctione formae corporeae cum materia cui haec omnia sint accidentia,
et sint praeter essentiam eius, sed intelligimus quiddam quod est non in subiecto habens lon-
gitudinem, latitudinem et profunditatem, sive hoc praedicetur de ilio principaliter sive non
principaliter. Haec ergo collectio est cuiusdam quod est collectio signata supra quam cadit
collectio corporis secundum hanc intentionem; non praedicatur autem de ea corpus secun-
TRATTATO QUINTO- SEZIONE QUARTA 505

ze che sono al di sotto del genere, nessuno di essi consegue al genere, perché
[altrimenti] gli conseguirebbero due contraddittori; entrambi, tuttavia, si pos-
sono collocare [nello stesso genere].
Invece, per quanto riguarda la seconda indagine 218 : supponiamo pure un
certo qualcosa di designabile che è poi l'insieme di quel che si ottiene a partire
dalle differenze dei corpi e da molteplici accidenti. Ecco, se di esso diciamo
che è "un corpo", con ciò non intendiamo semplicemente l'insieme della
forma corporea con la materia, alle quali tutte queste cose accadrebbero
dall'esterno; noi intendiamo, piuttosto, qualcosa che è non in un soggetto e
che ha lunghezza, larghezza, profondità; ed è lo stesso che ciò se ne predi-
chi219 in modo primario o non primario: è di questo insieme, in quanto è un
insieme determinato, che si predicherà il corpo in questo senso e non
nell'altro, e cioè in quello in cui è la sua materia220 . Così, se [di questo insie-
me] si dice che è "corpo", tale "corpo" non è che esso stesso, non una sua
parte e neppure qualcosa di esterno ad esso.
Qualcuno, però, potrebbe dire: avete fatto della natura del genere qualcosa
che non è diverso dalla natura dell'individuo, mentre i filosofi 221 concordano
nel dire che all'individuo appartengono accidenti e caratteri propri [che sono]
esterni alla natura del genere.
Diciamo allora che quel che essi intendono dicendo che all'individuo
appartengono accidenti e caratteri propri esterni alla natura del genere è che la
natura del genere che si dice dell'individuo non ha bisogno che quegli acci-
denti siano in atto perché le appartenga la natura del genere, la quale è tale da
esser comune [a più individui]; [essi cioè] non [intendono dire] che la natura
del genere non si dice di quell'insieme [determinato]. Infatti, se [il genere] non
si dicesse di quel [determinato] insieme, non sarebbe predicabile dell'indivi-
duo e ne sarebbe piuttosto una parte. Tuttavia, se non vi fossero questi acci-
denti e questi caratteri propri, questa natura, quella di cui abbiamo parlato,
sarebbe egualmente esistente nel senso che abbiamo menzionato; [227] essa

dum aliam intentionem qua est eius materia; cum ergo illud dicitur corpus, ipsum corpus
non est nisi ipsum, non pars eius nec aliquid praeter ipsum.
Potest autem aliquis dicere: "ergo iam posuisti naturam generis non nisi naturam indivi-
dui; sed probatum est iarn quod individuum habet [263] proprietates et accidentia quae sunt
praeter naturam generis",< ... > videlicet quoniam non est opus ut natura corporis praedicata
de individuo habeat naturam generis secundum hoc quod applicatur ipsis accidentibus in
effectu < ... >. Nam natura generis, si non praedicaretur de collectione, non praedicaretur de
individuo, sed esset pars individui; licet enim non essent haec accidentia et hae proprietates,
tamen haec natura quam dicimus haberet esse secundum intentionem praedictarn, hoc est
506 [227]

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quoniam natura substantiae, quocumque modo fuerit eius substantialitas, constituta est ex
hoc et ex hoc quod est necessarium ad esse corpus; haec ergo accidentia et hae proprietates
praeter ea sunt quibus eget corpus quod est unum ex generibus, ad essendum corpus sicut
praedictum est, nisi fuerit propriatum, et non in hoc; sed cum fuerint haec, non praedicabitur
de illis corpus. Interest igitur an dicatur quod natura eius non eget ad suam intentionem ali-
quo, an dicatur non praedicari de ilio. Iam enim praedicatur de aliquo quo non eget ad suam
ìntentìonem. Cum autem praedìcatur de alìquo, iam appropriatur per ìllud in effectu, post-
quam possibile erat etìam appropriari alìis ab hoc. Similiter est eius dispositio cum differen-
tiis. N isi autem esse t hic modus [264 J respectus in praedicatione speciei, natura generis esset
pars, non praedicata.
TRATIATO QUINTO- SEZIONE QUARTA 507

sarebbe cioè la natura di una sostanza - qualunque sia la sua sostanzialità -


che sussiste in questo o quel [modo] fra quelli che le sono necessari per essere
un corpo.
Questi accidenti e questi caratteri propri sono, dunque, ben lungi (biirìga)
dal far sì che, per esempio, il corpo - fra i generi -, ne abbia bisogno per esse-
re un corpo, come si è detto, altrimenti si tratterebbe di [un corpo] determinato
in modo particolare. Ma questo non [significa] che, se [tali accidenti e caratteri
propri] si danno, il corpo non si dica di essi; c'è infatti una differenza tra dire
che una natura nella propria intenzione non ha bisogno di una data cosa e dire
che non se ne dà predicazione222 : si può infatti dare predicazione di ciò della
cui intenzione non si ha bisogno. Quando si è data predicazione, [tuttavia, la
cosa] è determinata in atto, anche se sarebbe stato comunque possibile che
fosse determinata con una [predicazione] diversa. E lo stesso vale per [la cosa]
nei confronti delle differenze [specifiche]; e se non vi fosse questo modo di
considerare la predicazione del genere, la natura del genere sarebbe una parte
[della cosa], non un predicato.
508 [228]

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[264]*Species autem est natura terminata in esse et in intellectu utroque simul, videlicet
quoniam, cum terminatum fuerit esse generis per ili a quae terminant ipsum, eri t in effectu et
non erit opus postea nisi poni signatum tantum, nec requiretur aliquid ad determinationem
eius nisi designatio tantum, postquam natura determinata est species specialissima; et erit
tunc natura sic quod accident ei comitantia ex proprietatibus et accidenti bus, per quae natura
individuatur et fit designata.

*A quella che nel testo arabo (dell'edizione del Cairo)figura come «Sezione quinta» non cor-
risponde nel testo latino (nell'edizione Van Riet e nella tradizione manoscritta) un capitolo a
sé. La trattazione relativa alla specie conclude inve~e il precedente capitolo IV.
509

[SEZIONE QUINTA]

SULLA SPECIE 223

Quanto alla specie, essa è quella natura che si dà al contempo nell' esisten-
za e nell'intelletto; infatti, una volta che, in virtù di cose che lo determinano, si
sia data la quiddità del genere, all'intelletto spetta determinarne [la natura] con
la semplice designazione [della cosa]: per determinarla, esso non ricerca se
non la semplice designazione, [e questo] dopo che la natura [del genere] si sia
determinata secondo la specie infima 224 . È allora che [al genere] accadono
alcuni conseguenti - siano [accidenti] propri o accidenti [comuni] - in virtù
dei quali la natura si determina come qualcosa di designabile 225 . Tali accidenti
- propri e comuni - possono essere semplici relazioni, senza essere affatto
un'intenzione che riguardi l'essenza [della cosa]: sono allora quelle [relazioni]
che accadono alle singole cose semplici e ai singoli accidenti; [e questo] per-
ché si individuano in quanto sono predicabili delle [cose] da esse qualificate226
[e perché] il loro individuarsi in un dato soggetto è per accidente, come a'ifie-
ne per le forme naturali, come quella del fuoco. Oppure [tali accidenti p~so­
no] essere 227 degli stati aggiuntivi rispetto alle relazioni 228 ; tuttavia, alcuni di
essi sono tali che, se li si immaginasse rimossi da una [data cosa] designata,
necessariamente quest'ultima- che è diversa dalle altre- non sarebbe esisten-
te: essa, cioè, si sarebbe corrotta in quella sua diversità che le è conseguente;

Ipsae vero proprietates et accidentìa, aut erunt advenientia tantum, ita ut non sint de
essentia ullo modo, et haec sunt accidentia quae accidunt individuis rerum simplicium et
accidentium, < ... > aut erunt dispositiones superadditae; ex quibus quaedam sunt quibus
intellectis remotis ab hoc signato, necesse est ut non habeat esse hoc signatum quod est
praeter alia, quia continget destrui veritatem suae alietatis comitantis, et quaedam sunt
510 TT~
[229]

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quibus intellectis remotis non est necesse provenire destructionem sui esse postquam habuerit
esse, ve! corruptionem suae essentiae post eius appropriationem, sed destruetur alietas et eius
[265] diversitas ad alia secundum quod diversum est ab aliis absque destructione singularis.
Fortassis autem hoc obscurum est penes nos et non detenninatur; noster vero senno non
est de hoc secundum quod scitur, sed secundum quod res est in se.
TRATIATO QUINTO- SEZIONE QUINTA 511

[229] altri, invece, sono tali che se li si immaginasse rimossi [dalla cosa], ciò
non comporterebbe necessariamente né che la quiddità [della cosa] si vanifichi
dopo essere esistita né che la sua essenza si corrompa dopo essere stata deter-
minata229; svanirebbero, invece, la sua diversità e la sua differenza rispetto alle
altre [cose, ma] a favore di una diversità altra, senza corruzione.
Ora, forse questo ci sarà difficile [comprenderlo] e non lo si sarà colto; tut-
tavia il nostro discorso non verte su qualcosa che siamo noi a insegnare230 , ma
su come la cosa stia in se stessa.
512 [230]

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VI
CAPITULUM DE DIFFERENTIA ET EIUS CERT!TUDINE

[278] Nunc debemus loqui de differentia et estendere eius dispositionem. Dicemus ergo
quod differentia vere non est talis qualis est rationalitas et sensibilitas. Haec enim non prae-
dicantur de aliquo, nisi de eo cuius non [279] sunt differentiae; scilicet de sua specie sicut
sensus de tactu, sicut nosti alias, aut de suo singulari ut rationalitas de rationalitate Socratis:
de individuis enim hominis non praedicatur rationalitas nec sensus; nullum enim eorum dici-
513

SEZIONE SESTA

IN CUI SI FA CONOSCERE E SI DETERMINA


CHE COSA SIA LA DIFFERENZA [SPECIFICA]231

Anche della differenza è necessario parlare e conoscere quale ne sia lo


stato. E allora: diciamo che ciò che è realmente differenza non è come sono
"razionalità" e "sensibilità"; una di tali [cose] infatti, non si predica di nulla se
non di quel che non ne è la "differenza", ma invece o la "specie" - come il
tatto è della sensibilità232 secondo quel che hai appreso in un altro luogo - o
!"'individuo" - come la razionalità si predica della razionalità di Zayd e di
'Amr 233 . Infatti, degli individui del [genere] umano non si predicano né la
razionalità né la sensibilità: di nessuno di essi si dice che è "razionalità" o
"sensibilità", anche se dai nomi dì l"razionalità" o "sensìbilìtà"] se ne fa loro
derivare un nome.
Se queste 234 sono "differenze", esse lo sono, quindi, sotto un altro aspetto,
non sotto l'aspetto per cui esse sarebbero divisioni di quel che è dicibile di
molti in modo univoco. Perciò è più opportuno [dire] che queste sono i princi-
pi delle differenze e non le differenze [stesse]; esse si predicano con univocità
solo di qualcosa di diverso dagli individui della specie dei quali si dice che
esse sarebbero le differenze 235 : la razionalità si predica con univocità della
razionalità di Zayd e della razionalità di 'Amr e la sensibilità si predica con
univocità della vista e dell'udito. Così, la differenza che è come "razionalità" e
"sensibilità" non è tale da dirsi di qualcosa che sia del genere, né "sensibilità"
né "razionalità" sono "animale" - assolutamente - mentre il genere è in poten-
za la stessa differenza che consiste in "razionale" e "sensibile" e, quando
viene ad essere in atto, viene ad essere una specie 236 • Di come ciò accada

tur rationalitas ve! sensus, sed a nominibus eorum denominatur nomen. Si autem hae sunt
differentiae, sunt differentiae sed aliter, nec sunt eiusmodi ut sint aliqua ex his quae praedi-
cantur de pluribus uni voce. Convenientius est ergo ut haec sint principia differentiarum, non
differentiae; haec enim non praedicantur univoce nisi de non individuis speciei quae dicun-
tur eorum differentiae, scilicet quoniam rationalitas praedicatur de rationalitate Socratis et
Platonis uni voce, sensus quoque praedicatur de auditu et visu univoce. Differentia ergo quae
est sicut rationalitas et sensus non est eiusmodi ut praedicetur de aliquo animato: sensus
enim et rationalitas non est animai ullo modo. Differentia autem quae est rationale et sensi-
bile est genus in potentia; cum autem fuerit in effectu, fiet species.
514 ,.,., [231]

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~t.J"'.l.;:.~ ~ _,. , J.c.Jl..;~ 4} •'D.r d~ u1, rt

Quomodo autem fiat hoc, iam ostendimus, et ostendimus quomodo ipsum genus est dif-
ferentia et species in esse in actu, et quomodo haec differu11t inter se, et quod species vere
est quiddam quod est genus cum fuerit propriata in effectu, et quod haec discretio et diffe-
rentia est penes intellectum. Cum autem diligentius discemìtur in esse in compositis, [280]
genus fiet materia et differentia forma, et tunc nec genus nec differentia praedicabitur de
specie.
Deinde obiectiones quae fiunt contra hoc verbum de natura differentiae sunt hae quas
dicam. Constat scilicet quod omnis species discrepat ab aliis secum convenientibus in gene-
re per differentiam, et quod ipsa differentia est quaedam intentio quae est aut communior ex
praedicatis, aut contenta sub aliquo quod est communius ex praedicatis. Inconveniens est
autem dicere omnem differentiam communiorem esse ex praedicatis; rationale enim et alia
TRATIATO QUINTO- SEZIONE SESTA 515

[231] abbiamo già parlato, mettendo in evidenza come, nell'esistenza in atto, il


genere sia la differenza e la [stessa] specie e come, d'altra parte, queste [cose]
differiscano l'una dall'altra e la specie sia, in realtà, qualcosa cui il genere [si
riduce] una volta che sia qualificato in atto; inoltre [abbiamo mostrato come]
tali distinzioni e differenziazioni siano [solo] nell'intelletto così che, quando,
facendo uno sforzo, si operano differenze e distinzioni nell'esistenza riguardo
ai composti, il genere viene ad essere "materia" e la differenza "forma", mentre
né il genere né la differenza si dicono della specie 237 •
Inoltre: tra i dubbi che investono questo discorso, o anzi [tra quelli che
investono] l'esistenza della natura della specie, c'è quel che dico: [e cioè] che
è evidente che ogni specie è distinguibile da quelle che le sono associate nello
[stesso] genere in virtù di una differenza [specifica] e che questa differenza,
essendo poi anch'essa un'intenzione tra le molte, sarà o il più generale 238 dei
predicati oppure un'intenzione che sottostà al più generale dei predicati. Ma è
impossibile che si dica che ogni differenza è il più generale dei predicati:
"razionale", infatti, - e, come questa, molte altre determinazioni 239 simili -
non è una categoria né ha lo statuto di una categoria240 ; resta dunque che [la
differenza] sia al di sotto del più generale dei predicati; ma tutto quel che sot-
tostà a un'intenzione più generale di sé è distinguibile da ciò che gli si associa
[in quello stesso predicato più generale] in virtù di una differenza [specifica]
che gli è propria, e allora - [ed ecco il dubbio] - per ogni differenza vi sarà
una differenza e si andrà all'infinito!
Ora, quel che è necessario sapere per poi risolvere questo dubbio è che
nella predicazione il predicato può essere o un costituente della quiddità del
soggetto o qualcosa che [al soggetto] consegue necessariamente, senza costi-
tuirne la quiddità - come l'esistenza; inoltre [bisogna sapere] che non è neces-
sario che ogni intenzione che sia più particolare241 [di un'altra] e risieda sotto
un'intenzione più generale, si distingua da quelle che [in questa] le si associa-
no in virtù di una differenza che, nell'intelletto, sia un'intenzione che contrasti
con l'essenza e la quiddità [del soggetto]242 • [232] Ciò è necessario solo quan-

huiusmodi nec sunt praedicamenta nec sunt de iudicio praedicamentorum. Restat ergo ut
contineantur sub communiore ex praedicatis. Omne autem quod continetur sub intentione
communiore se, differt ab eo quod secum convenit in illa per differentiam sibi propriam.
Ergo unicuique differentiae est differentia, et hoc usque in infinitum.
Quae autem debes scire per quae solvitur haec quaestio, haec sunt scilicet quoniam
praedicabile, aliud est praedicabile constituens quidditatem subiecti, et aliud est praedicabile
comitans quidditatem eius, non constituens illud, et quia non est necesse ut omnis intentio
minus communis, quae continetur sub intentione communiore, differat a convenientibus
secum in illa per differentiam quae intelligitur esse intentio diversitatis suae essentiae et
suae quidditatis. Oportet enim ut id [281) quod praedicatur de aliquo, si fuerit constitutivum
516 [232]

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suae quidditatis, in intellectu et cogitatione sit sicut pars suae quidditatis. Unde quicquid
convenerit cum eo in ipsa intentione, in intellectu et cogitatione et definitione, conveniet
cum ilio in eo quod est pars suae quidditatis; quod autem dt:stiterit ab eo, necessario differet
ab eo per id in quo non conveni t cum eo, quod apud intellectum et cogitationem et definitio-
nem est alia pars suae quidditatis, < ... > scilicet apud intellectum et definitionem; pars vice
totius: differt igitur ab eo per id quod est aliud ab eo, scilitet per differentiam. Cum autem
convenerint in aliquo comi tanti, ita ut non conveniant in prutibus definitionis quidditatis ullo
modo, tunc per ipsam quidditatem erunt differentes, non pe1· partem eius, sicut color differt a
numero; quamvis enim conveniant in ens, ens autem, sicut !Jatet ex praemissis, comitans est,
TRATTATO QUINTO- SEZIONE SESTA 517

do quel che se ne predica è un costituente della sua quiddità così da essere -


nell'intelletto e nella mente - come parte della sua quiddità: di conseguenza,
quel che - nell'intelletto, nella mente e nella definizione - gli si associerà in
una data intenzione, gli si associerà in qualcosa che è parte della quiddità [del
soggetto], mentre poi, quando ne sarà differente, dovrà243 esserne differente
riguardo a qualcosa in cui le due [intenzioni di cui si sta discutendo] non sono
associabili; nell'intelletto, nella mente e nella definizione, (il predicato] sarà
allora un'altra parte della sua quiddità. Così, la sua differenziazione primaria
appartiene [al soggetto] in virtù di qualcosa che fa parte dell'insieme della sua
quiddità, non in virtù di tutto quel che rientra nella sua quiddità244 , intendo dire,
[tutto quel che vi rientra] nella mente e nella definizione. E poiché la parte è
diversa dal tutto, ecco che tale sua differenziazione gli appartiene in virtù di
qualcosa di diverso dal [tutto], e cioè, in virtù della differenza [specifica].
Quando però l'associazione riguarda qualcosa di conseguente, per cui non
vi è affatto un'associazione che riguardi le parti della definizione della quid-
dità, la quiddità245 è distinta per se stessa e non in virtù di una delle sue parti,
come il colore si distingue dal numero. Essi, infatti, sono distinti 246 , benché si
associno nell'esistenza; l'esistenza, come d'altra parte è divenuto chiaro in
tutti gli altri [argomenti] di filosofia che hai appreso, è un conseguente neces-
sario che non entra nella quiddità. Per distinguersi dal numero, nella definizio-
ne e nella mente, il colore non ha bisogno dunque di niente altro che della pro-
pria quiddità e della propria natura: se il numero gli si associasse in una qual-
che intenzione interna alla sua quiddità, esso avrebbe bisogno di distinguerse-
ne in virtù di un'altra intenzione, diversa dall'insieme della sua quiddità; ma
l'insieme della quiddità del colore non si associa affatto alla quiddità del
numero e vi si associa solo in qualcosa di esterno alla quiddità; il colore, quin-
di, non ha bisogno di una differenza in virtù della quale differenziarsi dal
numero.
E diciamo anche che il genere si predica della specie in quanto è una parte
della sua quiddità, mentre si predica della differenza in quanto ne è un conse-
guente necessario, non in quanto è una parte della sua quiddità. Un esempio di
ciò [che stiamo dicendo] è dato da "apimale" che si predica [233] di "uomo"

non aliquid de quidditate; tunc, ad hoc ut color differat a numero secundum definitionem et
intellectum, non est ei necesse aliquid nisi sua quidditas et sua natura, nec convenit cum eo
numerus in aliquo quod si t de quidditate eius < ... > . Tota enim quidditas coloris est non
conveniens ullo modo cum quidditate numeri; convenit autem cum eo in eo quod est extra
quidditatem eius; color igitur non eget differentia qua differat a numero.
Dicemus etiam quod genus praedicatur de specie, ita quod est pars quidditatis eius, et
praedicatur de differentia, ita quod comitans eam, non pars quidditatis eius: verbi gratia, ani-
mal praedicatur de homine quoniam est pars quidditatis eius, et praedicatur de rationali, quo-
518 [233]

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niam est [282] comitans ipsum < ... >. Non enim intelligimus rationale, nisi quod est habens
rationalitatem et quod est habens animam rationalem, ita quod hoc nomen rationale non
significat an illud sit substantia an non, sed comitatur ipsum non esse nisi substantiam et nisi
corpus et nisi sensibile; haec igitur praedicantur de ilio, sicut praedicatur comitans de suo
comitato: non enim continentur in intellectu rationalis, scilicet rei habentis rationalitatem.
Dicemus ergo nunc quod differentia non convenit in quidditate cum genere quod de se
praedicatur; differt igitur ab eo per seipsam; convenit autem cum specie in eo quod est pars
suae quidditatis; differt igitur ab ea per naturam generis quod est intra quidditatem speciei,
non intra quidditatem differentiae. Quomodo autem se habeat cum reliquis, hoc est quod, si
differentia convenerit cum illis in quidditate, necesse erit ut discrepet ab eis per differen·
tiam; si autem non convenerit cum eis in quidditate, tunc non erit necesse differre ab eis per
differentiam. Non est enim necesse ut omne quod convenit cum alio, conveniat cum eo in
'fRATIATO QUINTO- SEZIONE SESTA 519

in quanto è una parte della sua quiddità, mentre di "razionale" si predica in


quanto ne è un conseguente necessario, e non in quanto è una parte della sua
quiddità. Con "razionale", infatti, si intende solo247 "qualcosa cui appartiene la
razionalità" e "qualcosa cui appartiene un'anima razionale", senza che il fatto
stesso che diciamo "razionale" implichi che si sia messo in evidenza che tale
cosa è- o non è- una sostanza; [ne] consegue, tuttavia, necessariamente, che
tale cosa non possa essere se non una sostanza, un corpo o [un alcunché] di
sensibile: queste determinazioni (umilr), infatti, si dicono di "razionale" come
il conseguente necessario si dice di ciò cui esso consegue: esse non sono inter-
ne a quel che con esso va compreso, cioè a quella [data] cosa che è dotata di
razionalità.
Ora, diciamo che la differenza, mentre non si associa nella quiddità al
genere che di essa si predica - e perciò se ne distingue per la sua stessa essen-
za -, si associa alla specie in quanto ne è una parte; essa quindi si distingue
{dalla specie] a causa della natura del genere, la quale [si trova] nella quiddità
<;Iella specie e non invece nella quiddità della differenza. Quanto poi allo stato
della [differenza] nei riguardi delle altre cose ebbene, se la differenza si asso-
cia loro nella quiddità, deve distinguersene in virtù di un'[altra] differenza e
se, invece, non vi si associa, non è necessario che se ne distingua in virtù di
una differenza. Ma non è necessario che ogni differenza si associ a qualcosa
nella quiddità, e quindi non è affatto necessario che, quando la differenza sia
posta al di sotto di qualcosa che è più generale di essa, il suo esser collocata al
di sotto di esso sia il suo esser collocata al di sotto del genere: al contrario,
essa potrà sottostare a qualcosa che è più generale, essendo quel che è più
generale interno alla sua quiddità, ma può anche essere che essa non sottostia
a qualcosa che sia più generale, se non come l'intenzione sottostà al suo con-
seguente necessario e non a ciò che entra nella sua quiddità248 , come, per
esempio, "razionale". [L'intenzione "razionale") sottostà, infatti, a "percipien-
te" nel senso che "percipiente" ne è genere; ma "percipiente" sottostà a sua
volta a "sostanza" nel senso che essa - intendo [dire] la sostanza - ne è un
conseguente necessario, non ne è genere, [e questo] nel senso a cui abbiamo
accennato; ["percipiente"] sottostà poi anche a "relativo": non nel senso che la
relazione sia la sua sostanza o sia interna alla sua quiddità, ma invece nel

quidditate. Unde non est necesse ullo modo ut, cum differentia fuerit contenta sub aliquo
communiore quam sit ipsa, contineatur sub eo tamquam sub genere; potest enim contineri
sub aliquo communiore se, ita ut illud communius sit intra quidditatem ipsius, et potest non
contineri sub communiore nisi ad modum eius quod continetur sub comitanti quod non est
intra quidditatem eius; sicut rationale, quod continetur sub apprehendente quod est genus
eius, et apprehendens continetur sub substantia eo quod substantia est ei ut comitans illius,
non ut genus quemadmodum diximus, et continetur etiam sub ad aliquid, non quod [283]
relatio sit eius substantia ve! sit intra quidditatem eius, sed quia est comitans illius.
520 [234]

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Differentia ergo, ad hoc ut differat a specie, non eget alia differentia, et ad hoc ut differat ab
aliis secum convenientibus in esse vel comitantibus, non eget alia intentione nisi ipsa sua
quidditate; unde non debet ipsa contineri sub communiore se, quemadmodum specie& sub
genere, sed continetur ut comitatum minus commune sub comitanti quod non est intra quid-
ditatem eius. Si autem intellexeris differentiam, verbi gratia, ut rationalitatem, non invenie-
mus exemplum eius nisi in differentiis rerum compositarum. Si vero intellexeris rationalita-
tem ipsam esse habentem animam rationalem, tunc ipsa erit de intentionibus compositis ex
ad aliquid et substantia, sicut iam nosti alias. Si autem intellexeris ipsam animam, tunc erit
ipsa substantia et erit pars substantiae compositae, a qua differt per differentiam quae est
inter simplicem substantiam et compositam, quemadmodum saepe ostensum est.
TRATIATO QUINTO- SEZIONE SESTA 521

senso che ne è un conseguente. [234] Per distinguersi dalla specie, quindi, la


differenza non ha bisogno di un'altra differenza né per distinguersi dalle altre
cose che le sono associate nell'esistenza e negli altri conseguenti essa ha biso-
gno di un'intenzione diversa rispetto alla stessa quiddità; e neppure è necessa-
rio che essa sottostia senz'altro a qualcosa che ne sia più generale, come inve-
ce la specie sottostà al genere: essa può sottostare come ciò che ha un conse-
guente ed è più particolare 249 sottostà al conseguente, il quale non rientra nella
quiddità.
Se prendi in considerazione la differenza [specifica]- come per esempio la
"razionalità" - [troverai che cose] simili si hanno necessariamente solo nelle
differenze delle cose composte. Se con "razionalità" intendi il fatto che [qual-
cosa] sia dotato di un'anima razionale, essa è [una] delle intenzioni composte
da un rapporto e da una sostanza, e di tale suo statuto hai appreso in altri luo-
ghi; se intendi, invece, l'anima razionale stessa, essa è una sostanza ed è parte
di una sostanza composta, dalla quale si differenzia in virtù della differenza
che risiede tra quel che delle sostanze è "semplice" e quel che è "composto";
[e ciò] nel modo che ormai hai così spesso verificato.
Torniamo ora alle premesse che riguardavano il dubbio [che si è menziona-
to] e diciamo che la premessa che dice che la differenza, essendo un'intenzione
fra molte, è o il più generale dei predicati oppure è un'intenzione che sottostà al
più generale dei predicati, è ammissibile. Quanto ali' altra, ossia quella che dice
che il più generale dei predicati è sempre una categoria, è menzognera: la cate-
goria, infatti, è solo il più generale dei predicati generici2 50 che costituiscono la
quiddità, non di quelli che, pur essendo i più generali dei predicati, non sono un
costituente della quiddità di tutto ciò che è al di sotto di essi e sono, anzi, dei
conseguenti delle cose. E anche l'altra [premessa] -quella che dice che tutto
ciò che cade sotto un'intenzione più generale di sé si distingue da ciò che se ne
associa in virtù di una differenza [specifica] che gli è propria- è menzognera.
Infatti, se le cose che si associano si associano nel conseguente necessario e
non nell'intenzione che è interna alla quiddità, esse non si distinguono in virtù
di una differenza, ma in virtù della semplice quiddità.

Repetamus autem nunc propositiones in quibus videtur esse aliquid quaestionis, dicen-
tes quod propositio illa quae dicit quod differentia est intentio quae est aut communior ex
praedicatis aut contenta sub communiore ex praedicatis < ... >. et illa alia quae dicit quod
praedicamentum est id quod est communius ex praedicatis est dictio falsa, quia praedica-
mentum est id quod est communius praedicatis generalibus [284] constituentibus quiddita-
tem, non quod sit communius praedicatis quae non constituunt quidditatem omnium eorum
quae sunt sub eis, sed comitantur illa. Illa vero alia quae dicit quod quicquid continetur sub
intentione communiore se differt ab eo quod secum convenit in illa per differentiam sibi
propriam, falsa est: ea enim quae conveniunt in comitanti, non intentione quae est intra
quidditatem rei, non differunt per differentiam, sed sola quidditate.
522 ,.,.. [235]

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Manifestum est ergo ex hoc quod non oportet ut unicuique differentiae sit differentia.
Oportet etiam scire quod intellectus de hoc quod dicitur quod differentiae substantiae
sunt substantiae, et differentiae qualitatis sunt qualitates, hoc est scilicet quod differentias
substantiae comitatur esse substantias, et differentias qualitatis cornitatur esse qualitates, non
quod in quidditate differentiarum substantiae intelligatur definitio substantiae, ita ut sint
substantiae in se, et quod in quidditate differentiarum qualitatis intelligatur definitio qualita-
tis, ita ut sint qualitates, nec ut differentiam substantiae intelligamus, verbi gratia, differen-
tiam quae praedicatur de substantia univoce, sed differentiam quae praedicatur de ea deno-
minative, scilicet non rationale, sed rationalitatem; est enim, sicut iam nosti, differentia quae
denominative praedicatur, non univoce. Vera autem differentia est quae praedicatur univo-
TRATIATO QUINTO- SEZIONE SESTA 523

[235] Ed ecco che una volta [stabilito] questo, si determina [chiaramente]


che non è necessario che per ogni differenza vi sia una differenza. Ed è neces-
sario sapere che quando si dice che le differenze della sostanza sono "sostan-
za" e le differenze della qualità sono "qualità", si intende dire che alle diffe-
renze della sostanza consegue di essere sostanza, mentre alle differenze della
qualità consegue di essere qualità; non [si intende dire] che in ciò che si com-
prende (majhiim) della quiddità delle differenze della sostanza sta la definizio-
ne della sostanza, come se esse fossero in se stesse delle sostanze, e che nella
quiddità delle differenze della qualità sta la definizione della qualità, come se
esse fossero delle qualità. [Questo] a meno che non intendiamo251 con "diffe-
renze della sostanza" non, per esempio, la differenza che si dice della sostanza
in senso univoco, ma piuttosto la differenza che se ne dice in senso derivato;
intendo dire [per esempio]. non "razionale" ma "razionalità"; si avrebbe allora
quanto hai appreso e la differenza sarebbe tale in senso derivato e non per uni-
vocità. Ma la reale differenza è quella che si dice per univocità e non è che, se
esiste la differenza che si dice per univocità, debba esistere anche252 la diffe-
renza [che si dice] per derivazione. E così è non per qualunque cosa sia una
specie, ma solo per ciò che è una specie sostanziale e ad esclusione delle spe-
cie accidentali; inoltre [non è così] per ogni specie sostanziale, ma solo per ciò
che è composto e che non è una sostanza semplice.
La differenza che si dice per univocità significa una cosa che è in questo
dato modo, in senso assoluto; poi, successivamente a questo - e attraverso la
speculazione e la riflessione - si sa che è necessario che la cosa che è in que-
sto dato modo sia una sostanza oppure una qualità. Esempio di quel [che stia-
mo dicendo] è che "razionale" è una data cosa cui appartiene la razionalità, ma
nel suo essere una cosa cui appartiene la razionalità non è [implicato il fatto]
che sia una sostanza o un accidente; e tuttavia dali' esterno si sa che questa
data cosa non può essere che una sostanza o un corpo.

ce. Non est autem necesse ut, cum differentia univocationis fuerit, differentia quoque deno-
minationis [285] semper habeat esse sic, nisi in omni quod est species substantialis, non in
speciebus accidentalibus, nec in omni specie substantiali, sed in ea quae fuerit composita et
non fuerit substantia simplex. Differentiae autem quae praedicatur univoce intellectus hic
est quem sic summatim ostendimus, postea vero secundum diligentiorem considerationem
scies an haec res quam sic ostendimus debeat esse substantia ve! qualitas, verbi gratia, quo-
niam rationale quod est res habens rationalitatem, in hoc quod est habens rationalitatem,
nec est substantia nec accidens, sed quia scitur extrinsecus impossibile esse quin sit sub-
stantia ve! corpus.
524 rl"'l [236]

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J. ' ~o.·• L.;;\.>. ':'l r4:.:. l~ i.il.t __,..A; E ~JJ , ~~(\;-Il\ ~~

v
CAPITULUM DE ASSIGNANDA COMPARATIONE DEFINITIONIS ET DEFINITI

Potest hic aliquis dicere quod definitio, secundum hoc quod consentiunt auctores artis,
composita est ex genere et differentia, unumquodque quorum discretum est ab alio et utra-
que partes sunt definitionis. Definitio autem non est nisi quidditas definiti; ergo intentiones
quae significantur per genus et differentiam taliter se habent ad naturam speciei, qualiter
ipsa ad definitìonem. Sicut enim genus et differentia sunt partes definitionis, sic etiam inten-
tiones eorum duae sunt partes definiti; unde cum ita sit, non erit verum praedicari naturam
generis de natura speciei quoniam pars eius est.
Ad quod dicimus quia, cum nos definimus dicentes, verbi gratia: "homo est anima!
rationale", non volumus in hoc quod homo sit [266) coniunctio ex animali et rationali, sed
525

SEZIONE SETTIMA

lN CUI SI FA CONOSCERE IL RAPPORTO TRA DEFINIZIONE E DEFINIT0253

Qualcuno potrebbe dire: la definizione - come a questo riguardo sono


d'accordo coloro che si occupano della logica254 - è composta dal genere e
dalla differenza [specifica]; ognuno dei due è distinto dall'altro e il loro insie-
me costituisce le due parti 255 della definizione, la quale non è se non la quid-
dità del definito 256 ; ora, il rapporto che le intenzioni che si indicano con il
genere e la differenza [istituiscono] con la natura della specie è come il rap-
porto che nella definizione [si istituisce] con il definito, sicché allo stesso
modo, se il genere e la differenza sono le due parti della definizione, le loro
due intenzioni sono le due parti del definito. E se le cose stanno così - [potreb-
be dire qualcuno] - non è valido predicare la natura del genere della natura
della specie, poiché essa ne è [solo] una parte.
Ecco, noi diciamo che, quando nel dare una definizione diciamo, per esem-
pio, l'uomo è un animale razionale, quello che vogliamo dire con questo non è
che l'uomo sia l'insieme dell'animale e del razionale; quello che noi vogliamo
dire con ciò è piuttosto che esso è l'animale che è quel tale animale [e che l è
razionale; anzi, [che esso èl quel!' [animale l che nella propria identità è quel-
lo razionale 257 . È come se l'animale [considerato] in se stesso fosse qualcosa
la cui esistenza non si dà258 , secondo il modo di cui abbiamo trattato preceden-
temente259. Così, se tale animale è razionale, lo è nel senso che questo, quello
di cui noi diciamo che è dotato di un'anima percipiente, è tale da comprendere
quello di cui [ancora] non si dà [esistenza] e cioè quello che è dotato di
un'anima essendogli accaduto di ottenere, a partire dal suo stato, che la sua
anima sia sensibile e razionale; e infatti questo lo si ottiene per il fatto che
esso è dotato di un'anima percipiente. Non è quindi che il corpo dotato di
anima percipiente sia una cosa e il fatto che esso sia dotato di un'anima razio-
nale sia un'altra cosa che si aggiunga dall'esterno [alla prima]: piuttosto, [237]

volumus in hoc quod ipse est animai quod est rationale, quasi enim animai in se quiddam est
cuius esse non est terminatum, sicut praediximus, nisi cum ipsum animai fuerit rationale, ita
ut, cum hoc quod dicimus habens animam apprehendentem simpliciter quod est non termi-
natum fit habens hanc animam, iam sit terminatum, nam eiusmodi est quod eius anima est
sensibilis rationalis: haec igitur determinatio est eius quod est habens animam apprehenden-
tem. Corpus ergo habens animam apprehendentem non est aliquid, sed ipsum esse habens
animam rationalem est aliquid quod accidit ei extrinsecus, et hoc quod est animai non est
526 '('('V [237]

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nisi id quod est habens animam apprehendentem; esse vero id cuius est anima apprehendens
est quiddam interminatum, quorum nullum habet esse in actu IJ!lo modo, sicut iam scisti, sed
fit per illud terminatum; haec autem dubitatio non est nisi in \ntellectu, eo quod dubium est
ei de certitudine animae apprehendentis quousque possit designaci et dici quod est apprehen-
dens sensu et imaginatione et ratione.
Cum autem accipitur sensus in definitione animalis non e~t vere differentia, sed est con-
significans differentiam; differentia enim animalis haec est scilicet quod est habens animam
apprehendentem mobilem [267] voluntate. Non est autem e~se animae animalis hoc quod
imaginat et movet voluntate, sed est principium horum omnium < ... > non habens in se
nomen, quod consequuntur hoc; unde necesse est adinvenire ei nomen quantum in se et
quantum ad haec omnia, ita ut sensus et motus simul sint in eius definitione, sed sensus
ponatur ve! quasi ex intellectu utriusque sensus, interioris scilicet et exterioris, ve! erit con-
TRATIATO QUINTO- SEZIONE SETIIMA 527

questo [dato essere] che è un animale è il corpo dotato di anima percipiente,


Poi, il fatto che la sua anima sia percipiente è qualcosa di indeterminato che,
come sai, non può affatto essere in atto nel!' esistenza come un alcunché di
indeterminato e che anzi, vi si dà [in modo determinato]; questa [sua] indeter,
minazione si ha solo nella mente, perché la realtà dell'anima percipiente è dif,
ficile [da determinare] finché essa non si differenzia [con una differenza speci,
fica] e si dica quindi percipiente ma con la sensibilità, l'immaginazione e la
razionalità260 •
Inoltre: se nella definizione del!' animale viene assunta la sensibilità, que,
sta non è realmente la differenza [specifica], ma qualcosa che indica la diffe,
renza. La differenza [specifica] dell'animale è di essere dotato di anima perci,
piente e mobile in virtù della volontà; l'identità261 dell'anima dell'animale non
sta nell'avere sensazione, né la sua identità sta nell'avere immaginazione o nel
muoversi in virtù della volontà; [l'animale]262 , piuttosto, è il principio di tutto
ciò e tutte queste sono le sue potenze. Esso non si rapporta a una di esse più
opportunamente che ad un'altra, e tuttavia in se stesso [in quanto principio]
non ha nome 263 : queste sono [potenze] che gli sono conseguenti e così noi
siamo costretti a trovargli un nome in rapporto ad esse. Per questa [ragione],
nel definirlo, mettiamo insieme la sensibilità con l'essere mobile e consideria-
mo la sensibilità come se essa fosse un'intenzione che riassuma [in sé] i sensi
esterni e quelli intemi 264 ; oppure ci si limita alla sensibilità, ed essa è allora
qualcosa che indica tutto questo, non nel senso che [tutto questo] vi sia conte-
nuto, ma nel senso che [tutto questo ne] consegue necessariamente.
Ti è già stata data la prova di questa e di cose simili. In realtà, dunque, la
sensibilità non è la differenza [specifica] dell'animale, ma una delle ramifica-
zioni della sua differenza e uno dei suoi conseguenti. La sua differenza è
[data] solo dall'esistenza dell'anima che è il principio di tutto quello che per-
tiene [all'animale], e così è "razionale" per l'uomo. Tuttavia, il fatto che non
esistano nomi [propri] e la nostra scarsa sensibilità per le differenze [specifi-
che] ci costringono - in questo o quel!' altro caso - ad allontanarci dalla realtà
della differenza per [ripiegare] sul suo conseguente; ecco allora che possiamo
ricavare un nome [per la cosa] dal suo conseguente e intendere [per esempio]
con "sensibile" ciò cui appartiene il principio da cui derivano [238,] la sensi bi-

tentus sensu tantum ad hoc ut significet haec omnia, non significatione continentiae, sed
comitantiae. Iam autem ostensus est intellectus horum et consimilium. Sensus igitur non est
vere differentia animalis, sed est una de partibus differentiae et unum de comitantibus eam;
eius autem differentia est esse animae quae est principium omnium istorum illi. Similiter,
rationale homini. Sed defectus nominum et parvitas percipiendi differentias, aut hoc, aut
illud, facit necessario deviare a vera differentia ad comitans; aliquando autem denominatur
eius nomen a suo comitanti, sicut intelligimus sensibile id quod habet principium ex quo
emanat sensus et alia huiusmodi; aliquando vero differentia est ignota penes nos et non per-
528 '('('l; [238]

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cipitur nisi ex suo comitanti. Noster autem sermo non est nunc de his secundum quod intelli·
gimus et agimus de illis, sed secundum hoc quod est esse eorum in se. Deinde si animai non
haberet nisi sensum, tunc ipsum esset corpus habens sensum, non corpus ex intentione
abstractionis [268] naturae corporeae et sensibilis, tali condicione quod esset illud tantum,
sed totum eo modo quo diximus, quia uniti o< ... > materiae cum forma aut partis cum alia
parte in composito non est nisi coniunctio alicuius cum aliquo praeter illud, comitans aut
accidens. .
Unde ea in quibus est unitio sunt multis modis. Uno, ut coniunctio materiae et formae;
sed materia est quiddam quod non habet esse per se ullo modo, nec est in effectu nisi per
TRATTATO QUINTO- SEZIONE SETTIMA 529

lità e le altre [potenze l; oppure a essere da noi ignorata è la stessa differenza265


di cui non avvertiamo che il conseguente.
Il nostro discorso in queste cose non è in relazione a quel che noi [perso-
nalmente] intendiamo, facciamo e disponiamo riguardo ad esse, ma è tale in
relazione a come [le cose] stanno in se stesse. Inoltre, se l'animale non avesse
[altra] ànima che quella sensibile, il fatto di essere un corpo dotato di sensibi-
lità non sarebbe "genere", nel senso della pura natura corporea e sensibile e a
condizione di essere questo soltanto. E invece [la cosa] è nel modo che abbia-
mo indicato: l'unione della differenza [specifica] con il genere, infatti, non si
dà se non nel senso in cui [la differenza] è qualcosa che è contenuta nel genere
in potenza, non nel senso in cui essa consegue al genere in potenza266 ; invece,
l'unione della materia con la forma o di una parte con l'altra parte del compo-
sto è soltanto l'unione di una cosa con un'altra esterna ad essa, sia essa un
conseguente necessario o un accidente.
Le cose in cui si ha unione sono, infatti, di diversi tipi.
Il primo di essi è che siano come l'unione della materia e della forma; la
materia è allora qualcosa che non ha assolutamente esistenza se la sua essenza
è isolata, e che viene ad essere in atto solo in virtù della forma, nel senso che
la forma è 267 una cosa esterna ad essa, nessuna delle due [cose] è l'altra e
l'insieme [che ne risulta] non è né l'una né l'altra.
Il secondo è l'unione di cose ognuna delle quali nella sussistenza è in se
stessa indipendente dall'altra, e tuttavia dalla loro unione si ha una cosa una: o
per composizione, oppure per trasformazione e mescolanza268 • E di queste fa
parte l'unione di quelle cose, delle quali, alcune non sussistono in atto se non
in virtù di ciò cui si aggiungono, mentre alcune altre sussistono in atto: quelle
che non hanno sussistenza in atto sussistono in virtù di quelle che hanno in
atto sussistenza e da ciò si costituisce269 un insieme unificato, come l'unione
del corpo e del bianco.

formam; forma vero est quiddam aliud ab ea, quorum unum non est aliud; coniunctum
autem neutrum eorum est.
Ali o autem modo, fit coniunctio aliquorum quorum neutrum eget altero ad existendum,
sed ex unitione eorum provenit quiddam aliud, ve! compositione ve! permixtione ve! per-
mutatione. Ex istis est quaedam coniunctio aliquorum quorum unum non habet esse in
effectu nisi per hoc quod adiungitur alii, et quoddam habet esse in effectu, et tunc id quod
non habet esse in effectu existit per id quod habet esse in effectu, ex quorum unitione pro-
venit compositum, sicut compositum ex corpore et albedine. In his autem divisionibus neu-
530 [239]

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trum unitorum est aliud, nec ipsa utraque sunt partes uniti, nec praedicatur alterum de alte-
ro ullo modo uni voce.
Et ex his est unitio alicuius cum aliquo, cuius vis non est ipsa eadem nisi [269] ex
coniunctione sui cum ilio. Intellectus enim iam intelligit intentionem quam possibile est esse
multa, quorum unumquodque est ipsa intentio in esse, non <1uod intentioni adiungatur alia
quae designat eius esse, sed quia ipsa intentio continetur in e«J, nec est aliud nisi designatio-
ne ve! ignorantia, non in esse, sicut mensura quae est intentio quam possibile est esse Jineam
et superficiem et profunditatem, non quod aliquid adiungatt1r ei ex cuius adiunctione fiat
linea et superficies et profundìtas, sed quia ipsa linea est ipsa et ipsa superficies est ipsa,
ideo quoniam intentio mensurae est ut sit quiddam receptibile aequalitatis, non tali condicio-
tRATTATO QUINTO- SEZIONE SETTIMA 53}

In tutti questi modi 270 le cose che si unificano non sono le une [239] le
altre, né il loro insieme è le loro parti e nessuna di esse si predica affatto
dell'altra in modo univoco.
Di esse fa parte anche l'unione che una cosa ha con un'altra cosa, in quan-
to la potenza della [prima] delle due è di essere la [seconda] cosa, non nel
senso che essa le si aggiunga. La mente, infatti, può avere intellezione eli
un'intenzione laddove può essere che tale intenzione in se stessa sia molte
cose, ognuna delle quali, nell'esistenza, sia quella [stessa] intenzione; a questa
allora si congiunge un'altra intenzione271 a determinarne l'esistenza272 , [e ciò]
in quanto tale intenzione vi è inclusa273 : essa, cioè, è altra solo in relazione alla
determinazione e all'indeterminazione, non nell'esistenza. È come l'estensi()-
ne274: essa, infatti, è un'intenzione che può essere linea, superficie e profon-
dità, non nel senso che qualcosa le si accompagni e l'insieme delle due costi-
tuisca allora la linea, la superficie o la profondità, ma piuttosto nel senso che
la stessa linea è tale [estensione] oppure nel senso che lo è la stessa superficie.
Questo perché l'intenzione dell'estensione è qualcosa che può implicare- p~r
esempio- l'eguaglianza [nelle dimensioni), senza che in ciò, essa sia cond(~
zionata ad essere soltanto questa [data] intenzione; infatti, come hai apprescl,
una cosa simile non sarebbe "genere". Anzi, [l'intenzione in que'!>to caso è]
senza che vi sia una condizione diversa da questa e in modo tale che sia possi-
bile che questa [data] cosa suscettibile di eguaglianza [nelle dimensioni] sia in
se stessa qualunque cosa, una volta [accolto] il fatto che il suo essere per sé sia
quel dato essere275 , e cioè, [una volta accolto che] ne sia per sé predicabile che
essa è in questo dato modo, essendo indifferente che ciò sia in una, in due o in
tre dimensioni 276 . Nell'esistenza, infatti, questa intenzione non è che una Cii
queste [cose], anche se la mente, in quanto [ne] ha intellezione, le crea un'esi-
stenza isolata. Inoltre, quando la mente le aggiunge qualcosa in più, non lo fa
in quanto tale aggiunta è un'intenzione che, dall'esterno, accompagna la cosa
suscettibile di eguaglianza, come se tale [cosa] fosse in se stessa suscettibile cti
eguaglianza e quest'altra cosa ad essa aggiunta le fosse esterna. Tale [aggiun-
ta] consiste piuttosto nel far sì che il fatto che [la cosa] sia suscettibile di egu&-
glianza si determini in una sola dimensione o in più di una. [240] Quindi, ciò

ne ut sit haec intentio tantum (nam huiusmodi non est genus, sicut iam nosti), sed absqQe
ulla alia condicione, ita ut haec intentio quae est receptibilis aequalitatis, ipsa in se, quicquid
fuerit, postquam fuerit esse eius in se qualecumque fuerit illud esse, praedicetur de ea per ~e
quod ita est, et licet sit in una dimensione ve! duabus vel tribus, haec intentio in esse non el] t
nisi aliqua istarum. Intellectus autem, secundum hoc quod intelligit eam, attribuit ei esse Pt!r
se, et deinde si intellectus addiderit ei aliquid insuper, illud superadditum non erit quasi
intentio extrinseca quae consequatur id quod est receptibile aequalitatis ita ut ipsum Sit
receptibile aequalitatis per se in definitione sui et hoc aliud adiunctum ei extrinsecus, sed
hoc eri t determinatio suae receptionis aequalitatis secundum quod est in una dimensione tru1-
532 [240]

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tum ve! in pluribus; unde receptibile aequalitatis in una [270] dimensione in hac re erit
ipsum idem receptibile aequalitatis, ita ut possit dici quod hoc receptibile aequalitatis est hoc
quod est habens unam dimensionem et e converso. Hoc autem non fit in his quae praecesse-
runt; quamvis enim hic sit aliqua multitudo sine dubio, non tamen est multitudo quae est
partium, sed multitudo quae est rei, secundum quod est terminata et non terminata: res enim
terminata in se potest considerari secundum hoc quod est non terminata quantum ad intellec-
tum nostrum; erit ergo hic alietas; cum autem fit terminata, ipsa non fit alia, nisi secundum
respectum praedictum qui est secundum intellectum tantum; determinatio enim non alterat
sed certifica!. Sìc ergo intellige unitionem quae est ex genere et differentia.
TRATTATO QUINTO- SEZIONE SETTIMA 533

che è suscettibile di eguaglianza in una sola dimensione, in questa data cosa, è


lo stesso [quid] che è suscettibile di eguaglianza, al punto tale che ti è possibi-
le dire che questa [cosa] che è suscettibile di eguaglianza è quella che ha una
sola dimensione e viceversa, mentre questo non è [vero] delle cose di cui si è
[prima] trattato 277 . E se anche qui vi è una certa molteplicità, non vi è dubbio
che essa non è una molteplicità nel senso in cui essa è [costituita] dalle parti:
essa è piuttosto una molteplicità [costituita] a partire da qualcosa che non si dà
[in modo determinato] e da qualcosa che si dà [in modo determinato] 278 • È
possibile considerare la cosa che in se stessa è determinata come non determi-
nata nella mente e avere, quindi, diversità279 ; se, tuttavia, [la cosa] viene ad
essere un alcunché di determinato, essa non costituisce una cosa altra se non in
virtù della considerazione che si è ricordata e che appartiene al solo intelletto.
La determinazione, infatti, non la altera ma, anzi, la realizza280 •
E così è necessario intendere l'unità (taw}:zld) che si ha a partire dal genere
e dalla differenza [specifica], anche se può essere di diverso tipo: per alcune
specie vi è una composizione che riguarda le [stesse] nature; le loro differenze
derivano dalle loro forme, mentre i loro generi derivano dalle materie che
appartengono alle loro forme, anche se né i loro generi né le loro differenze
sono [rispettivamente] le loro materie e le loro forme in quanto materie e
forme. Per alcune [altre specie], invece, non vi è una composizione che riguar-
di le loro nature ma, anzi, se in esse vi è composizione, è nel modo che abbia-
mo detto 281 . Una delle due cose 282 , infatti, è sempre diversa dall'altra, in qua-
lunque specie, perché una volta è assunta, non in relazione al proprio stato di
determinazione 283 , ma in quanto è in potenza determinabile, mentre un'altra
volta [è assunta] in quanto è determinata in atto. E questa data potenza che
appartiene [a una delle due cose] non è in relazione all'esistenza, ma in rela-
zione alla mente: infatti, non è nell'esistenza che le appartiene la determina-
zione di una natura generica che sia ancora in potenza determinabile quale
specie, ed è lo stesso, che la specie abbia - o non abbia - in se stessa una com-
posizione che riguardi la natura.

Quamvis sint diversa et in natura alicuius specierum sit compositio quarum differentiae
fluant ab earum formis et genera earum a materiis suarum formarum (quamvis genera earum
et differentiae earum non sint materiae nec formae earum secundum quod sunt materiae et
formae), ex quibus sunt quaedam in quarum natura nulla est compositio, sed, si fuerit com-
positio, est quemadmodum diximus: nulla autem earum in unaquaque specierum est alia ab
alia, nisi quia aliquando accipitur non sicut terminata, sed quia in potentia est seme! termina-
ta, et accipitur aliquando terminata in effectu; hanc autem potentiam non habet secundum
esse, sed secundum intellectum. In esse enim non est terminatio [271) naturae generalis
praeter potentiam quae faciat eam speciem, si ve ipsa species habeat compositionem in natu-
ra, sive non habeat.
534 [241]

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Genus ergo et differentia in definitione etiam. secundum quod unumquodque eorum est
pars definitionis, ex hoc quod est definitio, non praedicantur de definitione nec definitio de
ipsis. Non enim dicitur definitio esse genus tantum, ve! differentia, ve! e converso. Non
enim dicitur definitio animalis esse corpus ve! habens sensum, nec e converso, sed secun-
dum hoc quod genera et differentiae sunt naturae consequentes naturam, sicut iam nosti,
praedicantur de definito.
Dicimus autem quod definitio vere determinat unam naturam, verbi gratia, cum dicitur
animai rationale; ex hoc enim iam determinata est intentio unius alicuius quod est animai,
quod animai est rationale. Cum enim consideratur haec una res, non est pluralitas in intellec-
tu; cum autem consideratur definitio et invenitur composita ex numero istarum intentionum
et considerantur istae intentiones secundum hoc quod unaquaeque earum considerata in se,
TRATTATO QUINTO- SEZIONE SETTIMA 535

[241] Il genere e la differenza sono, anche nella definizione, tali da essere


ognuno una parte della definizione in quanto definizione. Essi, infatti, non si
predicano della definizione né la definizione si predica di essi 284 : della defini-
zione non si dice che è genere 285 né che è differenza né il converso; della defi-
nizione dell'animale286 non si dice che è "corpo" né che è "dotata di sensibi-
lità" né il converso. In quanto però i generi e le differenze sono nature che -
come hai appreso- qualificano 287 una data natura, essi si predicano del defini-
to. Anzi, noi diciamo che la definizione fa realmente acquisire l'intenzione dì
una [data] natura. Per esempio288 , se tu dici: "animale razionale", da questa
[tua affermazione] si ricava l'intenzione di qualcosa di uno che, nella sua
identità, è l'animale, il quale animale, nella sua identità, è razionale. A guarda-
re a questo qualcosa di uno non vi è molteplicità nella mente, se invece guardi
alla [sua] definizione, la troverai composta di numerose di queste intenzioni;
potrai allora considerarla in quanto ognuna di esse, secondo la considerazione
già ricordata, è un'intenzione in se stessa diversa dall'altra e così nella mente
troverai una molteplicità. Se con la definizione intendi l'intenzione che sussi-
ste in sé secondo la prima considerazione - e cioè quel qualcosa di uno che è
quell'animale che è quello che è razionale- allora la definizione in se stessa
sarà quel che è definito e intelletto. Ma se con la definizione intendi l'intenzio-
ne che sussiste in sé in virtù della seconda considerazione che si è distinta,
allora l'intenzione della definizione non sarà in se stessa quella del definito,
ma qualcosa che conduce ad esso e che lo fa acquisire. Inoltre, la considera-
zione che fa sì che la definizione debba in se stessa essere il definito non rende
"razionale" e "animale" due parti della definizione, ma due predicati [della
definizione] in quanto tale, senza che i due [predicati] siano due cose di una
certa realtà, distinte e distinguibili dall'insieme. Tuttavia, nel nostro esempio
noi intendiamo con [questa considerazione] la cosa che è in se stessa l'anima-
le, che è quell'animale la cui animalità si perfeziona e si determina in virtù
della razionalità. La considerazione che fa sì che la definizione sia necessaria-

non est alia, invenitur hic pluralitas in intellectu. Sed cum intelligitur definitio intentio quae
existit in anima secundum primum respectum, scilicet unum quiddam quod est animai quod
est rationale, tunc definitio est ipsum definitum in intellectu. Si autem intelligitur definitio
intentio existens in anima secundum respectum secundum, scilicet discrete, tunc intentio
ipsius definitionis non est intentio definiti, sed quiddam deducens ad ipsum et demonstrans
ipsum.
[272] Item respectus qui facit debere ipsam definitionem esse definitum, non poni t ani-
mal et rationale duas partes definitionis, sed praedicata de ipso, scilicet quod jpsa sunt ipsa
definitio, non quod sint duo de veritate eius diversa a se et a toto, sicut intelligitur ex nostro
exemplo de eo quod est animai quod eius animalitas est perfecta et terminata per rationalita-
tem; respectus vero qui facit debere quod definitio non si t definitum prohibet genus et diffe-
536 [242]

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rentiam praedicari de definitione. sed sunt duae partes eius. Et propter hoc nullum horum
quod est genus et differentia est definitio, nec universitas intentionum animalis composita
cum rationalitate est intentio animalis non compositi nec intentio rationalis non coniuncti;
<nec> intelligitur de intentione coniunctionis ex animali et rationali [nec] quod intelligitur
de unoquoque illorum, nec aliquod eorum praedicatur de illa. Coniunctum igitur ex animali
et rationali non est animai et rationale: compositum enim ex aliquibus duobus aliud est ab
illis tertium cuius unumquodque eorum pars est; pars autem non est totum, nec totum est
ipsa pars.
TRATIATO QUINTO- SEZIONE SETTIMA 537

mente diversa dal definito impedisce, invece, che il genere e la differenza


siano due predicati della definizione e ne fa, anzi, due parti.
La definizione, perciò, non è genere, il genere non è definizione e la diffe-
renza289 non è nessuno dei due; e l'insieme dell'intenzione di "animale", in
quanto composto con "razionale", non è l'intenzione di "animale" che non è
composto e neppure l'intenzione di "razionale" che non è composto: a partire
dall'intenzione dell'insieme di "animale" e di "razionale" non si può compren-
dere quel che va compreso a partire da uno solo dei due, né uno solo dei due si
predica di esso. L'insieme "animale e razionale" non è, infatti, "animale" e
"razionale" perché l'insieme di due cose è diverso dalle due 290 ed è anzi una
terza [cosa]: ognuna delle due è una parte di esso; e la parte non è il tutto né il
tutto è la parte 291 .
538 [243]

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[272,15)* Quod autem debet ostendi, hoc est scilicet quomodo definiuntur res et quam
comparationem habet definitio ad itlas, et quae est differentia inter quidditatem rei et formam.
Dicemus ergo quod, sicut ens et unum sunt de his quae sunt communia praedicamentis,
sed secundum prius et posterius, similiter etiam hoc quod [273) res habent quidditatem et
definitionem non est in omnibus eis eodem ordine.
Substantia enim est cui primo datur sua definitio et vere; cetera vero, quoniam quidditas
eorum pendet ex substantia ve! ex substantiali forma, sicut iam definivimus. Formarum

*Anche in questo caso, a quella che nel testo arabo figura come «Sezione ottava» non corri-
sponde nel testo latino un capitolo a sé. Le pagine che seguono chiudono invece il capitolo V.
539

[SEZIONE OTTAVA)

SULLA DEFINIZIONE 292

Quel che ora ci conviene conoscere è come si definiscano le cose, come sia
il rapporto della definizione con esse e quale sia la differenza tra la quiddità
della cosa e la forma. Ora, - diremo - come l'essere e l'uno fanno parte di
quelle cose che sono comuni 293 alle categorie ma secondo anteriorità e poste-
riorità, così è anche il fatto che le cose abbiano una quiddità e una definizione;
queste infatti, non si hanno nelle cose sempre secondo uno stesso rango.
Ora, la sostanza è qualcosa che la definizione coglie in modo primario e
secondo realtà, mentre le altre cose, poiché la loro quiddità è vincolata alla
sostanza o alla forma sostanziale, sono nel modo che abbiamo definito; sai già
infatti come ciò sia per la forma naturale e lo sai anche per le estensioni e le
figure; tali cose, sotto un certo aspetto, non si definiscono, infatti, se non in
virtù della sostanza e a partire da questa accade che siano.
Nelle definizioni degli accidenti 294 c'è invece qualcosa in più rispetto alle
loro essenze perché, benché le loro essenze siano cose di cui la sostanza non
entra sotto nessun aspetto a far parte - e questo perché ciò la cui parte è una
sostanza è sostanza - è nelle loro definizioni che la sostanza rientra in quanto
parte: essi si definiscono, infatti, senz'altro in virtù della sostanza.
Nei composti poi si ha la ripetizione - per due volte - di una stessa cosa:
infatti, poiché in essi c'è una sostanza, si dovrà immancabilmente far rientrare
[la sostanza] [244] nella definizione, e poiché vi è un accidente che in virtù di

autem naturalium iam nosti dispositionem et figurarum et mensurarum; tunc quodam modo
non definiuntur nisi per substantiam. Ex quo contingit aut accidentibus ut in definitionibus
eorum sit aliquid supra id quod est in essentiis eorum: quamvis enim in essentiis eorum non
recipiatur substantia ita ut sit pars eorum ullo modo, quoniam, cuius pars est substantia,
ipsum etiam substantia est, tamen substantia recipitur in definitione eorum ita ut sit pars, eo
quod per substantiam definiuntur omnia. Aut compositis contingìt in eis idem bis repeti:
nam quoniam in eis est substantia, ideo necesse est illam poni in definitione eorum, et quo-
niam in eis est accidens quod definitur per substantiam, tunc necesse est eam iterum poni in
540 ,:,.-t:.ll j.....AII - ~U.:I ~Wl [244]

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definitione accidentis, ita ut tota definitio sit composita ex definitione substantiae et definì-
tione accidentis. Unde oportet idem repeti bis et multotiens; quod patet cum resolvitur defi-
nitio ipsius accidentis et redigitur in ea guae continet; ergo in clefinitione huius compositi bis
[274] invenitur substantia, sed in essentia compositi non est nisi semel, et ideo in hac definì-
tione aliquid est additum supra intentionem definiti in seipso. In veris autem definitionibus
non debet esse aliquid superadditum, verbi gratia, cum definitur nasus simus, omnino debet
accipi in ea nasus et depressio, et sic ponitur nasus in ipsa detìnitione simi. Simus enim est
nasus depressus, nec potest poni hic depressus tantum. Si enim depressus tantum esset
simus, tunc crus depressum esset etiam simum; debet autem omnino nasus accipi in definì-
tione simi. Cum ergo definitur nasus simus, iam accipitur in ea bis nasus; unde necesse est
TRATIATO QUINTO- SEZIONE OTIA VA 541

essa si definisce, si dovrà immancabilmente far entrare un'altra volta [la


sostanza] nella definizione dell'accidente, affinché l'insieme della definizione
sia composto senz' altro dalla definizione della sostanza e dalla definizione
dell'accidente e vi sia qualcosa che riconduca a una duplicità e a una moltepli-
cità; e [ciò] è evidente una volta che la definizione di questo accidente dato ~i
sciolga e si tomi a ciò che essa contiene: nella definizione di un dato composto
la sostanza si sarà trovata per due volte, mentre nell'essenza del composto
essa esiste una volta sola; in questa definizione vi è dunque qualcosa "in più"
rispetto a ciò che si intende con il definito in se stesso, mentre nelle vere defi-
nizioni295 non vi devono essere cose "in più".
Un esempio di ciò [che stiamo dicendo] sta nel fatto che quando definisci
il "naso camuso", [nel definirlo] devi senz'altro assumere "naso" e devi inoltre
assumere "camuso", così da avere assunto la definizione del camuso; ma "il
camuso" è un naso schiacciato 296 , e [del resto], non puoi assumere solo
"schiacciato". Infatti, se quel che è schiacciato fosse da solo "il camuso'',
anche il "piede piatto" 297 sarebbe "camuso": piuttosto è senz'altro necessario
che, nel definire "il camuso", tu assuma "il naso" cosicché, se definisci "H
naso camuso", vi avrai già assunto "il naso" per due volte. E allora non si
sfugge a una delle due possibilità: o [cose) simili a queste non sono definizio-
ni, e le definizioni si danno soltanto delle [cose] semplici, oppure queste sono
definizioni, ma in un altro senso 298 . Ma non conviene limitarsi a trattare della
definizione come se fosse la spiegazione del nome e fare quindi di [cose] simi-
li a queste delle vere definizioni, perché la definizione è quel che sta a indicare
la quiddità, e [questo] già lo sai. E se ogni espressione in luogo della quale si
può supporre un nome fosse una definizione, allora tutti i libri di al-Gahi:?-
sarebbero definizioni! 299 Così ecco che, se la cosa sta in questo modo, è evi-
dente che le definizioni di questi composti sono definizioni in un altro senso.
La quiddità di una [cosa] semplice è sempre la sua stessa essenza perché
non vi è niente che ne riceva la quiddità; [245] e anche se qualcosa ne riceves-

ut aut huiusmodi non sint definitiones et sic non habent definitiones nisi tantum simplicia,
aut ut hae sint definitiones, sed secundum alium modum.
Non debet autem sufficere sola expositio nominis, ad hoc ut si t definitio, quasi definitio-
nes huiusmodi ponantur definitiones verae, quoniam definitio est demonstrans quiddìtatem
rei, sicut iam nosti. Si enim omnis oratio cui potest parìficari nomen esset definitio, tunc
omnes orationes libri cuiusdam auctoris essent definitiones. Quandoquidem autem ita est,
tunc manìfestum est quod hae definitiones compositorum definitiones sunt secundum alium
modum.
Quiddìtas autem omnis sìmplìcis est ipsummet simplex: nihil enìm est ibi receptibile
suae quidditatis. Sì enìm ibì esset aliquid receptibile suae quiddìtatis, illud non esset quiddi-
542 [245]

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tas recepta quae habetur in eo, immo ipsum receptum esset forma eius; forma autem eius
non est idem quod [275] adaequatur definitioni, sed nec composita sunt ex forma tantum id
quod sunt. Definitio enim compositorum non est ex sola fom1a: definitio enim rei signìficat
omne id ex quo constituitur eius essentia; unde contingit ut contineat materiam aliquo modo,
et per hoc cognoscitur differentia inter quidditatem et formaJ11. Forma enim semper est pars
quiddìtatis in compositis; omnìs vero simplicis forma est ipsum simplex, quonìam non est
ibi complexio. Composìtorum vero forma non est ipsa composita, nec est eorum quidditas
ipsa composita; non est forma, ideo quia constat quod pars est eorum; quidditas vero est id
quod est quicquid est, forma existente coniuncta materiae, quod quidem amplius est quam
intentio formae; composito etiam non est haec intentio quia composita est ex forma et mate-
ria; haec enim est quidditas compositi et quidditas est haec compositio. Ergo forma est
TRATTATO QUINTO- SEZIONE OTTAVA 543

se la quiddità, la quiddità di questo qualcosa non sarebbe la quiddità di quel


che verrebbe ricevuto e che gli apparterrebbe. Ad esser ricevuta, infatti, sareb-
be la forma [della cosa] e la forma [della cosa] non è ciò cui corrisponde la
definizione [della cosa]. D'altra parte, neppure dei composti [si può dire che]
siano quello che sono in virtù della sola forma: la definizione dei composti,
infatti, non si fa solo a partire dalla forma. Anzi, la definizione di una cosa
indica l'insieme di ciò che fa sussistere la sua essenza e contiene quindi in
certo modo anche la materia e perciò così si conosce la differenza che c'è tra
la quiddità dei composti e la forma: mentre nei composti la forma è sempre
una parte della quiddità, in una [cosa] semplice la forma è sempre anche la sua
essenza, perché in [una cosa semplice] non c'è composizione. Nei composti,
invece, l'essenza non è né la loro forma né la loro quiddità: non è la formi!,
perché essa ne è manifestamente una parte, e non è la quiddità perché essa è
ciò in virtù di cui essi sono quel che sono, ed essi sono quel che sono solo in
virtù del fatto che la forma si accompagna alla materia, e questo è qualcosa in
più rispetto all'intenzione della forma. Il composto non è neppure questa [stes-
sa] intenzione: è l'insieme [costituito] dalla forma e dalla materia; questo
infatti è ciò che è il composto, e la quiddità è questa [stessa] composizione; la
forma è una [delle cose] cui si relaziona la composizione300, mentre la quiddità
è questa stessa composizione che in sè riassume la forma, la materia e l'unità
che, a partire dalle due, viene a prodursi per questa [cosa] una.
Così, il genere in quanto genere ha una quiddità e la specie in quanto spe-
cie ha una quiddità e anche il singolo particolare, in quanto singolo particolare
- e a partire da quegli accidenti conseguenti in virtù dei quali sussiste - ha una
quiddità; ed è come se la quiddità, detta delle cose che sono nel genere e nella
specie e delle cose che appartengono al singolo individuo, fosse secondo omo-
nimia. Questa quiddità non è distinta da ciò che in virtù di essa si costituisce
come quel che è, altrimenti non sarebbe una quiddità301 .
Tuttavia, benché per il composto vi sia una certa definizione, per il singolo
non c'è alcuna definizione, sotto nessun aspetto 302 . Questo [246] perché la

unom eorum qoae conveniont in hac compositione, qoidditas vero est ipsa compositio coJ1l-
plectens formam et materiam, onitas aotem qoae fit ex illis doobos est ad hoc onom. Et
generi qoidem ex hoc qood est genos est qoidditas, et speciei ex hoc qood est species est
qoidditas, et singolari et particolari ex hoc qood est singolare et particolare est qoidditas,
eum accìdentibos et comitantibos ex qoibos constitoitor. Com igitor qoidditas praedicator de
eo qood est genos, et de [276] eo qood est species, et de eo qood est singolare individooJ1l,
fit hoc sola communione nominis, qooniam haec quidditas non est discreta ab eo quod per
ipsam est qoicquid est, alioqoin, non esset eios qoidditas.
Singolare aotem non habet definitionem olio modo, qoamvis compositum habeat ali-
qoam definitionem, qooniam definitio est omnino composita ex nominibos determinantibus,
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[246]

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in quibus tamen non est determinatio alicuius rei designatae. Si enim determinatio esset
designatio certa, iam esset nominatio tantum aut aliquod signum motus aut similium. Non
autem fit in illis cognitio ignoti propter determinationem. Unde postquam omne nomen
quod continetur in definitione singularis significat determinationem quam possibile est mul-
tis convenire, tunc ordo compositionis suae non excipit illud ab hac possibilitate: cum enim
a fuerit intentio universalis et ei adiungitur b, alia scilicet simi!iter intentio universalis, pote-
rìt tunc hic esse restrictio aliqua. Sed quia est restrictio unius universalìs per aliud universa-
le, remanet postea propinquius universale in quo potest esse communio. Verbi gratia, cum
definitur hic Socrates et dicitur esse philosophus, in hoc etiam communìo est; cum vero dìci-
tur philosophus castus, adhuc etiam communio est; si vero dicitur philosophus castus qui
TRATTATO QUINTO- SEZIONE OTTAVA 545

definizione è composta da nomi qualificanti 303 nei quali però non è [contenu-
ta] la designazione di qualcosa di determinato. Se si dà una tale designazione,
è semplicemente perché si ha una denominazione o una qualche altra indica-
zione [che consista in] un gesto 304 o una [vera e propria] designazione o qual-
cosa di simile; ma in [queste operazioni] non si ha305 qualcosa [con cui] si fac-
cia conoscere, in virtù di un attributo, ciò che si ignora.
E poiché ogni nome che possa esser compreso nella definizione del singolo
indica un attributo, e l'attributo può stare per numerosi [individui], e il fatto
che [gli attributi] si compongano gli uni con gli altri non li pone fuori da que-
sta possibilità, ecco che se A è un'intenzione universale cui si aggiunga B -
che è anch'essa un'intenzione universale- sarà possibile che in ciò vi sia una
qualche determinazione, ma tuttavia, se dopo la determinazione di un univer-
sale con un altro universale la cosa che è "A e B" resta ancora universale, in
essa può esservi una comunanza [di molti individui] 306 • Un esempio di ciò
[che stiamo dicendo] è: "questo è Socrate"; se lo definisci e dici: "è il filo-
sofo", si ha comunanza [con altro], come anche se dici: "il filosofo pio" si ha
comunanza [con altro]; analogamente vi è comunanza [con altro] se dici "il
filosofo pio, ucciso ingiustamente" e infine, anche se dici "il figlio di Tizio"
può esserci comunanza [con altro]; Tizio, inoltre, è un individuo che si
dovrebbe definire come si deve definire [Socrate]. Infatti, se questo dato indi-
viduo lo si fa conoscere con una designazione o con l'appellativo (laqab) 307 , la
questione si ripropone per la designazione e per l'appellativo, e si rivela dun-
que falso che si fosse data una definizione. Se poi si aggiunge qualcosa [a
quanto detto] e si dice che "egli è colui che è stato ucciso nella tale città, il tal
giorno", ecco che anche questa descrizione (al-war{), pur essendo per artificio
individuale, è un universale che, a meno che non rimandi a un solo individuo,
si può dire di molti [individui].
Infatti, se ciò cui si rimanda [con una definizione o con una designazione1
fa parte dell'insieme degli individui di una data specie, per [coglierlo] non v'è
altra via che quella dell'osservazione e l'intelletto non può averne conoscenza
se non per mezzo dei sensi; se, invece, ciò cui si rimanda è di quegli individui

occisus fui t iniuste, adhuc etiam hoc commune est. Si vero dicitur filius illius, adhuc [277]
hoc potest esse commune, quoniam notitia illius est sicut notitia istius. Si vero notatur ipsum
individuum designatione aut cognomine, fiet demonstratio illius designatione ve! cognomine
et non descriptione. Si vero additur quem occiderunt in civitate illa et in die ilio, haec etiam
tota enumeratio cum sua individualitate omnino universalis est: possibile est enim illam
praedicari de multis, nisi restrinxeris circa individuum.
Si vero illud circa quod restrinxeris fuerit aliquod individuum de universalitate indivi-
duorum alicuius specierum, tunc non poterit hac demonstratione cognosci nec intellectu
deprehendi nisi sensu. Si autem id circa quod restringitur fuerit de individuis, in quorum
unoquoque est perfecta veritas speciei, et non supervenit ei aliud novum individuum, iute!-
546 rtv •.:..t~)'l [247]

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lectus iam intellexit ipsam speciem et eius individuum. Sed cum assignatur eius descriptio,
intellectus poterit illud comprehendere, certus illud posse permutari a sua dispositione in
destructionem: huiusmodi enim res <non> destruitur; de descripto vero non est certum an
semper sit ve! descriptionem de eo semper praedicari, aliquando autem in [278] intellectu
scitur quamdiu durabit hoc: haec ergo etiam non erit vera definitio.
Manifestum est igitur quod singolare non habet veram definitionem; non enim potest
ostendi in se nisi cognomine, aut designatione, aut compl!ratione ad aliquid notum per
TRATIA TO QUINTO- SEZIONE OTIA VA 547

[247] il cui singolo individuo esaurisce sempre la realtà della [propria] specie,
esso non avrà un individuo che gli sia eguale e l'intelletto avrà intellezione di
quella data [sua] specie nella sua individualità. In tal caso, se si rende la
descrizione (al-rasm) 308 tale da rimandare [all'individuo], l'intelletto ne ha
una conoscenza e non teme di mutare stato per la possibile corruzione della
cosa, perché una cosa simile non si corrompe309 • Tuttavia, dell'esistenza di ciò
che viene descritto e della durata della sua descrizione non si può esser certi;
l'intelletto potrà forse conoscere per quanto tempo permanga [ciò che viene
descritto], ma neanche questa sarà una vera definizione.
È quindi evidente che non si dà una vera definizione del singolo: lo si può
far conoscere solo in virtù di un appellativo o di una designazione o del rap-
porto con qualcosa che è già stato conosciuto in virtù di un appellativo o di
una qualche designazion,e.
Ogni definizione è uha rappresentazione intellettuale che è veridico attri-
buire al definito, ma il particolare è corruttibile e, una volta corrotto, non è più
definito dalla propria definizione, cosicché predicarne la definizione sarà veri-
dico in un certo momento ma menzognero in un altro. Perciò, la definizione la
si predica [del particolare] sempre [solo] in modo opinativo, a meno che non
vi sia qualcosa di diverso dalla definizione intellettuale, ossia l'aggiunta di una
designazione e di un'osservazione [personale, e ciò] in modo che, con una tale
designazione, [il particolare] venga ad esser definito con una sua definizione.
Se [tale designazione] non c'è, si può pure ritenere 310 che per [il particolare] vi
sia una sua definizione, [ma non è così]. Quanto a ciò che è veramente defini-
bile, la definizione che gli appartiene è certa, mentre chi voglia definire le
cose corruttibili si espone al [rischio di] renderle permanenti e a commettere
un grave errore.

cognomen ve! designationem, quoniam omnis definitio est imaginatio intelligibilis quam
verum est praedicari de definito. Singulare quod, cum destruitur, sua definitione non defini-
tur < ... >. Unde definitio illius semper erit putatione, nisi fuerit ibi praeter definitionem in
intellectu additio designationis et visionis; fiet ergo, propter designationem, definitum sua
definitione; cum autem non fuerit hoc, putabitur habere definitionem; vere autem definito
est vera definitio. ·unde quisquis vult definire corruptibilia iam praesumit ponere ea esse
permanentia.
548 [248]

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VII
CAPITULUM DE COMPARA TIONE DEFINITIONIS CUM PARTIBUS SUIS

Dicemus quod plerumque in definitione sunt partes definiti. Curo autem dicimus quod
genus et differentia non sunt duae partes speciei in quidditate, non est hoc quasi dicamus
quod species non habet partes. Species enim partes habet, curo fuerit ex aliquo modorum
rerum, scilicet ve! ex accidentibus secundum quantitates, ve! ex substantiis secundum com-
posita. Unde, secundum quod videtur, partes [286] definitionis sunt priores definito.
Contingit autem alicubi fieri e converso; cum enim voluerimus definire portionem circuii,
549

(SEZIONE NONA]

SULLA RAPPORTABILITÀ TRA LA DEFINIZIONE E LE SUE PARTI 311

Diciamo che, nelle definizioni, a costituire delle parti sono, per lo più, le
parti di quel che è definito, e quando diciamo che il genere e la differenza
[specifica] non costituisc~o due parti della specie nell'esistenza non è come
se dicessimo che la specie non ha parti. La specie, infatti, può avere delle
parti; può averne quando è di uno di questi due tipi di cose, [e cioè quando],
per ciò che riguarda gli accidenti, è delle qualità e, per ciò che riguarda le
sostanze, è dei composti. E anche se l'apparenza delle cose312 suggerisce che
le parti della definizione siano anteriori al definito, può capitare che per alcuni
soggetti sia il contrario. Quando, infatti, vogliamo definire la sezione di un
cerchio, la definiamo in virtù del cerchio e quando vogliamo definire il dito
dell'uomo, lo definiamo in virtù dell'uomo; quando poi vogliamo definire
l'angolo acuto, che è una parte di quello retto, lo definiamo in virtù dell'ango-
lo retto: non definiremo affatto l'angolo retto in virtù di quello acuto né la cir-
conferenza in virtù della sua sezione313 né l'uomo in virtù del suo dito 314 .
Ora, di ciò è necessario conoscere la causa. Diciamo perciò che nessuna di
queste cose è parte della specie 315 nel senso della sua quiddità e della sua
forma; inoltre, certo non è condizione del cerchio che in esso si dia in atto una
sezione in modo che la forma del cerchio ne sia composta316 , mentre è condi-
zione [del cerchio] avere una circonferenza; non è poi condizione dell'uomo
in quanto uomo avere un dito in atto, e neppure è condizione dell'angolo retto
che vi sia un angolo acuto che ne sia parte: tutte queste cose non sono parte
della cosa nel senso della sua quiddità, ma nel senso della sua materia e del
suo soggetto. Ossia, accade [249] che nell'angolo retto ve ne sia uno acuto

definiemus eam per circulum, et cum voluerimus definire digitum hominis, definiemus per
hominem, et cum voluerimus definire angulum acutum qui est pars recti, definiemus per
rectum. Numquam autem definiemus rectum per acutum, nec circulum per portionem eius,
nec hominem per digitum; oportet autem assignare causam huius.
Dicimus ergo quod nullum horum est pars speciei secundum quidditatem eius et for-
mam eius. Non enim est in condicione circuii ut portio in actu sit in eo ita ut ex ea compona-
tur forma circuii, sicut est in intellectu circuii habere circumferentiam, nec est in intellectu
hominis, ex hoc quod est homo, habere digitum in actu, nec est in intellectu recti ut sit ìbi
acutus pars eius. Haec igitur omnia non sunt partes rei secundum quidditatem eius, sed
secundum materiam et subiectum eius. Non enim accidit recto ut sit ibi acutus, nec circulo
550 [249]

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ut sit ibi portio, nisi ex passione quae accidit materiae eorum, nec ex hoc pendet perfectio
suae materiae cum forma eorum nec perfectio formae eorum in seipsa. Scias autem quoniam
superficies est materia intelligibiiis formae circuii propter quam accidit ei divisio. Unde, si
ex hoc penderet perfectio materiae eius, esset de comitantibus inseparabiiibus, non de con-
stituentibus, sicut iam expositum est in praemissis. Haec autem de quibus agimus non sunt
ita; nam potest res separari ab eis; et ab hoc etiam quod est ut digitus: homo enim, ad hoc ut
sit animai rationale, non eget digito, sed est hoc de partibus suae materiae quibus decoratur
dispositio suae materiae. Unde quaecumque fuerint de partibus quae non sunt nisi causa
materiae et [287) quibus non eget forma, ipsa non sunt partes definitionis ullo modo; cum
TRATTATO QUINTO- SEZIONE NONA 551

[come d'altra parte accade] che nel cerchio vi sia una sezione, a causa del fatto
che accidentalmente la loro materia patisce [qualcosa]3 17; ma ciò non fa parte
di quelle [condizioni] cui è vincolato il fatto che loro materia sì perfezioni in
virtù della loro forma o il fatto che sì perfezioni la loro stessa forma: la mate-
ria intellettuale della forma del cerchio è la superficie - sappìlo - ed è in
ragione di essa che il [cerchio] è divisibile 318 • Se, d'altronde, il perfeziona-
mento della sua materia fosse vincolato [a una di queste cose], si tratterebbe di
uno dei conseguenti necessari dei quali la cosa non può liberarsi - e non, come
ti è già stato spiegato, di costituenti. Ma ciò cui noi stiamo [alludendo] non è
in questo modo: di questi [costituenti] la cosa si può liberare come, egualmen-
te, di ciò che è corìre...il dito: per essere un animale razionale, l'uomo non ha
bisogno del dito; questo è, piuttosto, tra quelle partì che appartengono alla
materia [dell'uomo] affinché, in virtù dì esse, lo stato della materia sia
buono 319• E quelle, tra le parti, che sono solo in ragione della materia e delle
quali la forma non ha bisogno 320 , non sono affatto parti della definizione. Se
però esse sono parti della materia, non in modo assoluto 321 , ma in quanto parti
che appartengono a una data materia in ragione di una data forma, allora è
necessario che nella loro definizione sia assunta la forma e così, anche la spe-
cie sarà con la materia 322 • È come quel che accade per il dito: esso non è una
parte che si rapporti al corpo, in modo indeterminato, ma è piuttosto [una parte
che va rapportata] a quel dato corpo che è venuto ad essere animale o uomo; e
così è per l'angolo acuto e per la sezione [di cerchio]: essi non sono parti della
superficie in senso assoluto, ma di quella superficie che è venuta ad essere un
angolo retto o un cerchio. E perciò nel dare le definizioni di queste parti va
assunta la forma di questi "interi".
Tuttavia, al di là di ciò, in questi tre esempi vi sono delle differenze. Per
l'uomo le dita sono una parte in atto e così, quando l'uomo viene definito o
descritto [250] in quanto individuo umano perfettamente formato, è necessario

autem fuerint partes materiae, et non fuerint partes materiae absolutae, sed partes materiae
causa ipsius formae, tunc in eorum definitione debet accipi ipsa forma et ipsa species. Erit
ergo etiam cum materia, sicut digitus qui non est pars debita corpori absolute, sed corpori
quod fit animai ve! homo. Similiter acutus et portio non sunt partes superficiei absolute, sed
superficiei quae fit rectus angulus ve! circulus, et ideo forma suorum totorum accipitur in
definitione harum partium.
Differunt autem haec tria exempla. Nam digitus est pars hominis in actu: cum enim
homo definitur aut describitur, secundum hoc quod est individuum integrum humanum, con-
552 l'•· [250]
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venit accìpere dìgitum in eius descriptione, eo quod ipse est ei pars substantialìs quantum ad
hoc quod est individuum integrum ex accidentibus, nec tamen est constituens naturam spe-
ciei eius, eo quod iam saepe diximus quia id quo constituitur et discernitur individuum in
sua individualitate aliud est ab eo quo constituitur natura speciei, et haec pars est de numero
eorum, in quibus pars est pars in actu. In reliquis autem duobus, pars non est pars in actu:
manifeste enim videtur quod, sì circuius dividatur in partes, destruetur unitas suae superfi-
ciei et destruetur in eo essentia circuii, eo quod circumferentia ìam non est una linea in actu,
nisi cum accipiuntur partes eius in aestimatione aut positione, non incisione. Similìter est
iudicium de recto anguio.
[288] Item cìrcuius et anguius rectus differunt in hoc uno sciiicet quod portio circuii non
est nisi circuii in actu, acuto vero non est necesse ad esse ut sit pars alterius anguii. Non
tRATTATO QUINTO- SEZIONE NONA 553

che nella sua descrizione vi siano323 le dita; tali [dita], infatti, pur non essendo
un costituente della natura della sua specie, sono una parte essenziale affinché
[l'uomo] sia un individuo perfetto nei [suoi] accidenti. Lo abbiamo detto più
volte: ciò da cui l'individuo è costituito e compiuto nella propria individualità
è diverso da ciò di cui è costituita la natura della specie. Questo caso 324 fa
parte di quel gruppo [dì cose] in cui la parte è una parte in atto, mentre negli
altri due [casi] la parte non è una parte in atto: sembra infatti che una volta che
il cerchio sia diviso in atto in sezioni, l'unità della sua superficie venga a sva-
nire e gli venga meno il fatto stesso di essere 325 un cerchio; la circonferenza,
difatti, non è più una linea una in atto, ma molte, a meno che le divisioni 326
non si facciano se non nell'immaginazione [estimativa] e per supposizione, e
non in atto o in virtù di un [reale] sezionamento. E analogo è lo statuto per
l'angolo retto anche se, a parte ciò, anche il cerchio e l'angolo retto differisco-
no in qualcosa; [essi differiscono] cioè nel fatto che, mentre la sezione del cer-
chio non si ha se non a partire da un cerchio in atto, l'angolo acuto non ha
quale sua condizione per esistere di essere parte di un altro angolo. Esso non è
neppure acuto in relazione all'angolo ottuso o327 a quello retto: esso è acuto in
sé, in ragione del fatto che uno dei suoi lati è posto presso l'altro [in un dato
modo]. Tuttavia, poiché in tale posizione, in quanto è una posizione, si dà [una
data] relazione - perché nelle linee l'inclinazione e la prossimità l'una verso
l'altra, o la distanza fra di esse, sono qualcosa cui è [sempre] vincolata una
certa relazione- accade che la dimostrazione dell'[angolo] acuto sia vincolata
a una relazione [con gli altri angoli]3 28 ; e anche se questa relazione, per via
della sua difficoltà, non si indica in atto, la si indica in potenza, perché [nel
dimostrare l'angolo acuto] si introduce in atto una certa relazione329 .
Inoltre, poiché l'angolo su di una superficie si produce solo in quanto una
linea si erge su di un'altra linea, anche l'inclinazione che si produce è un'incli-
nazione [251] che deriva da un certa dirittura e da una certa direzione. [E que-

enim est acutus comparatione ampli et recti, sed in se est acutus ex posi tione scilicet suorum
laterum unius contra alterum. Sed quoniam acuto ex modo ipsius positionis, scilicet secun-
dum quod est positio, contingit relatio, quoniam ex similitudine et propinquitate et remotio-
ne linearum inter se pendet semper aliqua relatio, ideo accidit ut cognitio acuti pendeat ex
relatione. Sed quamvis haec relatio non significetur in actu propter suam difficultatem, iam
tamen significatur ipsa in potentia cum ponitur in actu.
ltem angulus superficialis non fit nisi existente linea super lineam; inclinatio vero quae
fit est inclinatio ab aliqua aequalitate et ad partem aliquam. Cum autem accipitur propinqui-
554 [251]

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tas alicuius linearum ad aliam absolute, et accipitur eius inclinatio ab ea absolute sine assi-
gnatione inclinationis ab ea, tunc non est nisi inclinatio absolute quae invenitur in acuto et
recto et ampio, in quorum omnium lineis inclinatio est ab una ad aliarn. Cum vero conside-
ratur coniunctio duarum linearum inter se in directe, invenitur amplus et in eo inclinatio
unius suarum linearum ab alia; haec autem inclìnatio absoluta est quae provenit ex curvitate
duarum linearum cuiuslibet anguli; unde necesse est ut haec inclinatio determinetur per ali-
quid, quod necesse est esse longitudinem linearem. Impossibile est enim cogitati lineam a
qua inclinetur haec linea, nisi a linea quae in directe coniungitur cum secunda, quae facit
angulum ve! [289) rectum ve! acutum ve! amplum. Per Iinearn autem quae non coniungitur
cum hac, non determinatur aliquid; consideratio vero inclinationis a linea recta absolute non
est certa in hoc capitulo; alioquin, arnplus et rectus essent acuti. Similiter etiam consideratio
inclinationis a linea quae facit amplum: inclinatio enim amplitudinis iam serva! amplitudi-
nem suam, quoniam unus arnplus minor est alio. Similiter est de acuto, quarnvis si t impossi-
bile acutum notificati per acutum; hoc enim esset notificare ignotum per ignotum. Restat
'TRATTATO QUINTO- SEZIONE NONA 555

sto] perché, se prendessimo in considerazione la prossimità di una delle due


linee rispetto all'altra in modo indeterminato, e prendessimo in considerazione
l'inclinazione dell'una verso l'altra in modo indeterminato, senza specificarne
l'inclinazione, non avremmo se non un'inclinazione indeterminata, la quale si
trova sia nell'angolo acuto, sia in quello retto, sia in quello ottuso. Infatti,
anche le linee [di questi angoli] inclinano l'una verso l'altra: se prendi [in con-
siderazione] la congiunzione di due linee su di una [linea] retta, trovi un dato
angolo330 , [un angolo] nel quale una delle due linee ha una certa inclinazione
verso l'altra. Ma questa è un'inclinazione indeterminata, [un'inclinazione] che
l'apertura331 delle due linee di un angolo esige sempre; perciò è obbligatoria-
mente necessario che questa inclinazione sia definita da qualcosa. E poiché
questo qualcosa deve essere una dimensione lineare, non è possibile332 conce-
pire nessuna linea a partire dalla quale si abbia un'inclinazione di questo
[genere], se non la linea333 che si congiunge sulla retta con una seconda linea e
che è quella che produce un angolo ottuso, oppure quella che produce un
angolo retto, oppure quella che produce un angolo acuto; mentre la linea che
non si congiunge con una data altra linea non definisce nulla. Ora, considerare
l'inclinazione che si ha a partire dalla linea retta in modo indeterminato non è
qualcosa di valido in questo contesto - altrimenti anche [l'angolo] ottuso e
quello retto sarebbero egualmente "acuto"; e così è se si considera l'inclina-
zione [prodotta] dalla linea che fa [l'angolo] ottuso, perché l'inclinazione
dell'ampiezza [dell'angolo ottuso] può conservare l'ampiezza [dell'angolo
ottuso] -un [angolo] ottuso può infatti essere più piccolo di un altro angolo
ottuso; e così è egualmente lo statuto dell'[angolo] acuto, con tutto che
l'[angolo] acuto non può essere definito 334 con l'[angolo] acuto, perché così si
farebbe conoscere qualcosa di ignoto con qualcos'altro di ignoto! Resta, per-
ciò, che esso vada definito obbligatoriamente in virtù dell'[angolo] retto, la cui
rettitudine non può conservarsi con una [diversa] inclinazione.
È come [se si] dicesse: "[l'angolo] acuto è quello che si ha a partire da due
linee, una delle quali sta sull'altra e inclina più vicina alla linea [che sarebbe]
di un angolo retto, se fosse retto; [e ciò] in modo che- se vi fosse [un angolo
retto] - [l'angolo acuto] sarebbe più piccolo di quello retto". Con [angolo
acuto] non intendiamo dire che esso esista in atto in rapporto a un [angolo]
retto che gli si aggiunga, perché in tal caso la [nostra] definizione sarebbe
menzognera. [Intendiamo dire], invece, che l'[angolo acuto è in rapporto con

ergo ut eius notificatio necessario fiat per rectum qui non remanet incorruptus, facta inclina-
tione aliqua ab eo, et dicetur quod acutus est qui est ex duabus Iineis quarum altera contingit
alteram, inclinata ad eam amplius quam linea recti, si erigatur, sic quod fiat minor recto, si
rectus esset. Ex hoc autem non intelligitur quod in actu sit rectus maior cui comparatur, tunc
enim esset definitio falsa, sed comparatur recto qui est huiusmodi: huiusmodi enim rectus,
ex hoc quod est in potentia quae est in effectu, est potentia existens in potentia. Potentia
556 [252]

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enim, ex hoc quod est [in] potentia, est in effectu. Aliquando enim potentia est in potentia,
sed potentia propinqua effectui, cum postea fit in effectu potentia propinqua. Potentia enim
propinqua ferendi cibaria [290] est in potentia. Cum autem iam ferent, ipsa potentia propin-
qua fit in effectu, sed eius actio non est. Acutus ergo definitur per rectum, non qui est in
effectu absolute, sed in potentia. Non autem definitur per alium consimìlem acutum, nec per
aliquid quod non est. Id enim per quod aliquid definitur habet esse in potentia, et hoc est
definito secundum quod similiter est in effectu.
TRATIA TO QUINTO - SEZIONE NONA 557

quello] retto [252] in questo modo, e che !'[angolo] retto è in questo modo in
quanto in potenza è esistente in atto, nel senso che esiste in virtù di una poten-
za per cui è retto in potenza. La potenza, infatti, in quanto è potenza è un esse-
re in atto 335 ; essa può essere anche esistente in potenza ed è allora la potenza
che è lontana dall'atto e che poi può venire ad essere potenza prossima; [per
esempio], la potenza prossima della generazione dell'uomo è in potenza nella
nutrizione, ma poi, quando si forma lo sperma336 , questa data potenza prossi-
ma viene ad essere esistente in atto e a non esistere è solo il suo atto.
Quindi: [l'angolo l acuto si definisce in virtù di quello retto, preso però non
in atto in modo assoluto, ma in potenza; [l'angolo acuto] non si definisce
(cioè] né in virtù di qualcosa che gli sia eguale337 né in virtù di qualcosa che
non abbia alcuna realizzazione. Infatti, ciò in virtù di cui esso viene definito
sussiste in potenza e gli appartiene in quanto in tal modo esso è realizzato in
atto. Conviene poi che sia [l'angolo] acuto sia quello ottuso siano definiti in
virtù di quello retto: quello retto ha realtà a partire dall'equivalenza, dalla
somiglianza e dall'unità, mentre gli altri due hanno realtà in quanto sono fuori
dall'equivalenza. Quello retto ha realtà per sé. Perciò è possibile affermare:
"[l'angolo] acuto è il più piccolo di due angoli diversi che si producono a par-
tire dal fatto che una linea stia su un'altra linea, mentre quello ottuso è il mag-
giore dei due"; così, quando si indaga attentamente, [ci si avvede che] si fa
riferimento a quello retto, perché il più grande è quello che è come [il retto] e
più ancora, mentre il più piccolo è quello che, rispetto a quello che è come [il
retto], è mancante. Così, con quello che è come [il retto] si realizza sia la
conoscenza del piccolo sia quella del grande 338 e in virtù dell'uno e del simile
si realizzano il molteplice, il dissimile e il diverso. È in questo modo, dunque,
che è necessario rappresentarsi lo stato delle parti delle cose definite; e inoltre
è necessario ricordare anche quel che abbiamo già sostenuto in precedenza a
proposito delle parti della materia e dei vincoli con essa.

Fortassis enim scietur acutus et amplus per rectum; rectus enim certificatur per aequali-
tatem et similitudinem et unitatem, illi vero duo certificantur per discessionem ab aequalita-
te; rectus igitur certificatur per seipsum. Potest enim dici quod angulus minor ex duobus
angulis inaequalibus qui fiunt in una linea stante super aliam est acutus, et maior ex illis est
amplus. Si ergo diligenter consideretur in hoc, iam ostenditur rectus: maior enim est qui est
tantus et aliquid plus, minor vero est cui de tanto aliquid deest; per tantum ergo certificatur
cognitio maioritatis et minoritatis; igitur per unum consimile certificatur multiplex, dissimile
et diversum.
Sic ergo debes intelligere dispositionem partium definitorum, debes etiam reminisci
eorum quae praedicta sunt de disposi tione partium materiae et pendentium ex materia.
TRATTATO SESTO

TRACTATUS VI
INTRODUZIONE

Sezione prima

Nel sesto trattato Avicenna presenta gli elementi essenziali della dottrina
della causalità. [257,4-258] In questa sezione sono distinti in primo luogo i
quattro modi della causa (materia, forma, agente e fine) cui Avicenna attribui-
sce una partizione originale che, come ha mostrato J. Jolivet (La répartition
des causes chez Aristate et Avicenne, cfr. la bibliografia conclusiva), si dimo-
stra funzionale alla tesi emanatista. Le cause si dividono in cause interne alla
struttura o sussistenza (qiwiim) della cosa (e sono allora la materia e la forma)
e in cause esterne ad essa (l'agente e il fine). Esterno alla sussistenza della
cosa, l'agente è ciò che fa acquisire un'esistenza (o essere) distinta dalla pro-
pria essenza. In tal senso, esso non è inteso in metafisica, come in fisica, in
quanto principio del moto (e più precisamente della mozione), ossia quale
semplice causa motrice, ma piuttosto in quanto causa d'esistenza, nello stesso
senso in cui - afferma esplicitamente Avicenna - il Creatore è tale per il
mondo. [258,1-259] Le quattro cause della tradizione aristotelica (riviste però
àlla luce del nuovo senso attribuito alla causa agente) esauriscono ogni possi-
bile divisione; la materia, tuttavia, può essere considerata da un duplice punto
di vista: essa è cioè o parte del sinolo che è costituito da materia e forma o
ricettore (materia-soggetto).
[259,1-10] Un'attenzione particolare è dedicata alla causa formale che
adombra quella modalità della causalità per flusso o emanazione che sarà poi
chiaramente esposta nei trattati successivi (soprattutto VIII-IX). La forma è
causa sia della materia sia del sinolo, ma lo è in maniera diversa: la forma non
fa acquisire l'esistenza alla materia, è "qualcos'altro" che le fa acquisire l'esi-
stenza e che al contempo fa acquisire alla forma l'esistenza nella materia (cfr.
llah. Il e soprattutto II, 4). In questo "qualcos'altro" è evocato il "datore delle
forme" il cui ruolo è centrale nella stessa esistenza del sinolo: la forma è solo
in parte causa dell'esistenza del sinolo o del composto (murakkab) di materia
e forma, perché essa è causa assieme alla materia e al principio separato.
[259,11-261,4] Il tema precipuo di questa sezione è comunque quello della
causa agente: Avicenna giunge infatti a formularne una definizione rivoluzio-
naria che è essenziale alla propria dottrina dell'emanazione. In primo luogo, è
affrontato il tema della causalità nel tempo che offre l'occasione per una prima
562 TRATTATO SESTO

critica al normale concetto di causa agente: alcune cause si trovano a essere in


atto cause agenti solo in un determinato tempo ad esclusione di un altro; il loro
effetto viene dunque ad essere dopo non essere stato. Ora, che la cosa sia dopo
non essere stata non si deve all'agente: dall'agente- sottolinea Avicenna-
viene solo l'esistenza. È solo l'esistenza della cosa a doversi imputare alla
causa (o eventualmente è la sua inesistenza a dipendere dall'assenza della
causa), ma l'esistenza della cosa dopo non essere stata, e cioè il fatto che la
cosa se è, è solo dopo non essere stata, non può dipendere dalla causa. È infatti
necessario che quando una cosa che ora non c'è viene poi ad essere, essa
venga ad essere dopo non essere stata: la posteriorità rispetto all'inesistenza è
un conseguente necessario di ciò che è avventizio e, come tale, non dipende da
alcuna causa. In altre parole, il carattere di non-obbligatorietà della cosa, e
quindi la sua necessaria dipendenza dalla causa, riguarda solo l'esistenza, non
ciò che la connota; non quindi il fatto che essa sia dopo non essere stata.
[261,5-263,2] In secondo luogo, Avicenna affronta direttamente la questio-
ne della definizione della causa agente. Si potrebbe infatti ritenere che la cosa
abbia bisogno della causa solo nel momento del suo venire ad essere e che,
una volta venuta ad essere, essa sia indipendente dalla propria causa (sullo
sfondo c'è, in polemica con i teologi del Kaliim, la stessa questione dell'eter-
nità del mondo: se la cosa ha sempre bisogno della causa, il mondo che dipen-
de da una causa eterna, è eterno). Avicenna mostra - ancora una volta attra-
verso il metodo diairetico - che la cosa ha bisogno come tale della causa e non
solo in quanto "viene ad essere". Il rapporto tra la causa e il causato non si
riduce al momento del venire ad essere (/:ludul) della cosa. Infatti, se - una
volta venuta ad essere - la cosa fosse necessaria, essa lo potrebbe essere o l)
per la sua stessa quiddità (ma ciò contraddice il fatto stesso che sia "venuta ad
essere", perché si tratterebbe di una cosa in sé necessaria), oppure 2) per via di
una condizione o di una causa; questa condizione potrebbe allora essere legata
o a) al venire ad essere della cosa; o b) a un attributo della cosa stessa, oppure
c) a una causa esterna. Sia la prima che la seconda ipotesi appaiono insosteni-
bili: da una parte, infatti, non è pensabile che il venire ali' essere della cosa,
che è in sé possibile e tale da cessare di esistere, sia causa della necessità di
essa; dali' altra, rinviare la necessità della cosa a un suo attributo significa
ritornare alla sua stessa quiddità e, quindi, al caso precedente. Se poi ci si rife-
risse a quegli attributi che la cosa acquista con la propria esistenza, si dovreb-
be comunque giungere, infine, a qualcosa di necessario e ad essi esterno. È
quindi solo l'ultima ipotesi a rivelarsi sostenibile, quella per cui la cosa che è
dopo non essere stata diviene necessaria in virtù di una causa esterna ad essa.
Lo statuto del possibile come "necessario per altro" viene così ulteriormente
confermato.
[263,3-fine] Avicenna si chiede infine se ciò che la "gente comune"- ma
in essa vanno compresi gli stessi teologi - chiama "agente" in quanto causa
dopo non avere causato, sia veramente tale. Per i filosofi questo causare
INTRODUZIONE 563

·~dopo non aver causato" non è un vero causare; in filosofia la causa è sempre
1Ble, altrimenti si giungerebbe a considerare la causa una causa sia in quanto
causa, sia in quanto non causa e se ne farebbe derivare sia ciò che si acquisi-
sce (l'esistenza), sia ciò che non si acquisisce (l'inesistenza che precede l'esi-
stenza, ossia il fatto che la cosa esista "dopo non essere esistita"). In tal modo,
cioè, si farebbe rientrare nella causa non solo il suo causare in atto, ma anche
il suo causare in potenza (o il suo non causare affatto). Come si è accennato, è
questo un tema capitale della dottrina della causalità (Avicenna lo affronta
estesamente anche nelle altre sue opere filosofiche) e tornerà in modo molto
più articolato nel trattato VIII (Iliih., VIII, 3).

Sezione seconda

[264,5-265,1] Avicenna riprende qui la questione già toccata nella I sezio-


ne: se la causa agente sia sempre con il causato o lo accompagni invece solo al
momento del suo venire ad essere (i/:tdiil). Ciò che si chiama comunemente
''causa agente" (come il costruttore di una casa) non è "agente" in senso pro-
prio (non lo è cioè nel senso metafisica di "datore d'esistenza"): la vera causa
della casa sta nello stare insieme delle sue parti. Ogni causa vera è, infatti, con
il causato. [265,1-266,8] Le cause che precedono i causati (e che sono cioè
anteriori ad essi nel tempo) sono dunque o cause per accidente o cause adiutri-
~ cioè cause che coadiuvano l'azione della causa agente ma che non possono
dirsi agenti allo stesso titolo. Sia le cause per accidente, sia quelle adiutrici,
)llrocedono all'infinito (la loro infinità non è contraddittoria perché dipende
d:alla continuità dell'eterno moto celeste), e le sole cause la cui processione da
causato a causa permetta di giungere a un termine ultimo sono le cause agenti
essenziali. Queste ultime, infatti, sono sì anteriori al causato, ma solo in senso
essenziale, non in senso temporale. [266,9-15] E diviene così evidente che la
simultaneità tra vera causa e causato, data la continuità del rapporto causale
che essa implica, porta ad affermare l'eternità del mondo che dipende dalla
Causa prima: Avicenna nota che una causa che è sempre è tale da conferire
sempre l'essere alla cosa; in tal senso, tra tutte le cause, la più degna della
causalità è quella eterna, e tale è la causa della "instaurazione" del mondo.
Con il concetto di "instaurazione" (ibdii') Avicenna indica così (v. anche
lltih., VIII, 3) quella "creazione assoluta" con cui la cosa è completamente
tolta al non essere; essa coincide non con una creazione temporalmente deter-
minata (come è quella dei teologi), ma con una sempre esistente emanazione.
Tale instaurazione, infatti, non lasciando spazio al non-essere, non causa qual-
cosa che sia dopo non essere stato, ma qualcosa che è sempre (o che è in asso-
luto). Affermare invece che la cosa - ossia il mondo - è "dopo non essere
stata" significa porre la cosa inesistente in un "prima" metafisica in cui si fini-
sce contraddittoriamente per porre in essere il non essere stesso. In altri tenni-
564 TRA ITA TO SESTO

ni, l' instaurazione è far essere la cosa dopo un non essere o un'inesistenza
( 'adam) che, essendo tale in senso assoluto, non è, laddove è chiaro che un
non essere che non è non può durare nel tempo.
Tutto ciò non toglie, tuttavia, contingenza al causato: la cosa è in sé "inesi-
stente" ed è "esistente" solo in virtù di altro da sé. L'anteriorità del non essere
della cosa e la posteriorità della sua esistenza si devono cioè trasporre dal
piano temporale a quello antologico della quiddità della cosa (che in sé è pos-
sibile e solo per altro è necessaria). [266, 16-267 ,9) Avicenna riprende quindi il
discorso che riguarda ciò che è dopo non essere stato e che viene da un non-
essere che dura nel tempo: se tale non-essere dura nel tempo è perché esso "si
dà" in qualcosa; il causato che è tale per "advenzione" o per "generazione" è
perciò sempre in una materia, ossia in un sostrato che dura nel tempo. [267, lO-
fine] L'intento della trattazione è dunque quello di legittimare sul piano filoso-
fico l'idea dell'emanazione necessaria come forma più alta della causalità: la
causalità per mediazione (e quindi l'emanazione) è un'instaurazione (ossia
una causalità in senso assoluto); al di là di ciò non si ha che una diatriba che
verte su meri "nomi" (creazione vs. emanazione o generazione) 1•

Sezione terza

[268, 11-269, 14) In questa sezione è tematizzato il rapporto tra la causa


agente e il causato. In primo luogo, la causa agente può produrre (af:tdata) (o
"far acquisire": afiida) sia la sua stessa natura (il fuoco infiamma), sia qualco-
sa di altro da sé (il fuoco annerisce). Il causato (quando si tratti di una natura
che accetta il più e il meno, come nel caso del calore) è per lo più inferiore alla
causa e comunque non è mai maggiore o superiore ad essa; tuttavia, quando la
natura della causa e quella del causato coincidono, esso può esserle equivalen-
te (il fuoco trasforma in fuoco). [269,15-270,10] Alla causa va comunque
sempre l'anteriorità essenziale: anche laddove le loro quiddità coincidano,
causa e causato differiscono, infatti, nel "diritto all'esistenza": la causa- che
esiste in sé - è "più degna di esistere" del causato che ne dipende.
[270, 11-272, 15] È possibile poi dividere le cause anche sotto un altro
rispetto: le cause sono tali l) in relazione alla specie del causato; 2) oppure in
relazione all'individuo. Le prime sono cause per sé della forma o natura, le
seconde lo sono solo per accidente (l'uomo che genera un altro uomo genera

1
Cfr. a questo proposito quanto J. JOLIVET scrive in margine a ciò che Sahrastani riporta
della filosofia avicenniana (Livre des religions et des sectes ... , II, p. 407, nota 47): «[ ... ]si la
contingence de I'etre était un inexistant elle ne l'aurait pas précédé- formule où éclate le
réalisme foncier de cette ontologie modale qui, assimilant contingence et matière, en vient
aussi bien à se renverser en son contraire en faisant de la matière un mode».
INTRODUZIONE 565

l'umanità solo per accidente); le seconde poi, a differenza delle prime, sono
sempre della stessa natura del causato. Il causato può inoltre avere in comune
con la causa la propria materia (come fuoco e fuoco) o invece non averla
(come quando causa e causato dipendono da una diversa preparazione mate-
riale: la luce del sole, che è causa, non ha la stessa materia di quella del corpo
da esso illuminato). È infine possibile operare delle distinzioni anche in base
alla preparazione, la quale può essere I) o completa o 2) manchevole; nel cau-
sato può esservi inoltre o l) una potenza adiutrice permanente (come è
nell'acqua rispetto al raffreddamento); 2) o una potenza contraria ma tale da
svanire (come nei capelli neri che incanutiscono); 3) oppure una mera priva-
zione della cosa e una preparazione a riceverla (come ciò che è insipido può
acquistar sapore o ciò che è inodore può acquisire odore). Le cose che non
hanno materia non sono poi mai identiche nella specie. Non vi sono perciò che
le cinque divisioni ricordate.
[272,16-273,12] Viene quindi ripreso il nodo della causalità: quando causa
e causato non hanno in comune la preparazione della materia, il causato può
essere o equivalente alla causa o inferiore ad essa, mentre quando vi è una pre-
parazione comune e completa, il causato è equivalente alla causa. È poi solo
apparentemente che il causato si rivela superiore a ciò che lo causa; l'acqua
congelata, per esempio, appare più fredda dell'aria che ne avrebbe prodotto il
congelamento, ma a un esame più preciso emerge come l'acqua congelata non
abbia la propria causa soltanto nell'aria, ma nèll'aria e nella sua stessa poten-
za a raffreddarsi; e in tal senso, è chiaro, essa non supera le cause che la deter-
minano. [273,13-276,2] Infine, quando la preparazione del causato è manche-
vole, il causato non può che essere inferiore alla causa, anche se un caso -
quello dei metalli fusi - sembrerebbe contraddire questa posizione: la mano,
infatti, resta indenne se è fatta passare attraverso il fuoco, mentre si brucia a
contatto dei metalli fusi che sembrano perciò "più caldi" del fuoco. Avicenna
indica in tre proprietà le ragioni cui imputare questa disparità: l) la viscosità
del metallo (e la sua conseguente aderenza alla mano); 2) l'impurità del fuoco
quale di fatto si trova nella realtà sensibile che, a differenza del fuoco quale
elemento puro, è costituito da particelle di fuoco mescolate a particelle di terra
e, infine, 3) la velocità con cui la mano può passare attraverso il corpo sottile
del fuoco. In ultima analisi, quella che sembrava una disparità d'intensità va
ricondotta a una disparità di tempo: il tempo in cui si ha l'azione del fuoco
sulla superficie della mano è, per i tre motivi ricordati, inferiore al tempo in
cui si ha l'azione del metallo. [276,3-276,11] In un difficile passo, Avicenna
ribadisce poi che causa e causato non possono comunque mai eguagliarsi nel
loro diritto all'esistenza. [276, 12-fine] E all'esistenza come tale è dedicato un
altro importante passaggio: l'esistenza, che non accetta gradazioni (non riceve
il "meno" e il "più mancante" secondo la lettura del testo), è qualificabile (e
gerarchizzabile) solo in base a tre "statuti": l'anteriorità o la posteriorità, la
ricchezza o l'indigenza (ossia la possibilità di fare a meno di una causa o inve-
566 TRA TIATO SESTO

ce la dipendenza da essa) e la necessità o la possibilità. Queste determinazioni


sono essenziali nella dottrina della causalità avicenniana; in parte ispirate al
neoplatonismo (se l'anteriorità è il concetto basilare della gerarchia, ai concet-
ti di ricchezza e indigenza ricorre anche il Libro o Discorso sul bene puro 2 ),
esse definiscono in modo assoluto, da una parte, la Causa prima - che è ante-
riore, "ricca" (cioè tale da fare a meno di qualunque altra cosa) e per sé neces-
saria e, dali' altra, il causato, che è come tale posteriore, indigente (''ha bisogno
della" e cioè "dipende dalla" causa) e possibile. L'ultima parte della sezione è
occupata dalla trattazione della prima Causa "reale", cui si giunge attraverso la
definizione del rapporto tra causato e causa: questa, pur potendo essere una
causa possibile, non dipende mai dal causato.

Sezione quarta

[278,12-279,17] L'esame è ora dedicato alle cause diverse dalla causa


agente e in primo luogo alla materia che è causa in potenza. Nove sono i modi
dell'essere in potenza e si distinguono in relazione a ciò che comporta la loro
attuazione: l) quando l'attuazione non comporta né mutamento né cessazione
di una forma, si ha una potenza pura (è il caso della lavagna rispetto alla scrit-
tura); 2) vi è poi il caso in cui l'auo è ricevuto in quanto la materia muta solo
uno dei suoi stati (è il fanciullo che diviene uomo; la cera che si fa statua); 3)
una potenza può inoltre passare all'atto con una diminuzione della sostanza (il
legno diviene un letto); 4) oppure, l'attuazione della potenza può comportare
un mutamento della qualità (una cosa da nera si fa bianca); 5) o può consistere
nella corruzione della sostanza (l'acqua che diviene aria); 6) vi sono poi
potenze che si attuano se la cosa si spoglia di una forma (lo sperma si fa
uomo; l'uva vino); 7) e vi è una potenza che sussiste in virtù di ciò che riceve
(è la materia che ha sussistenza in virtù della forma); 8) una potenza può inol-
tre passare all'atto perché ciò che la contiene sì unisce a qualcos'altro (il frutto
diviene un medicinale se è mescolato a un'altra sostanza); 9) infine, vi sono
potenze che si hanno in virtù della composizione degli elementi (legno e pietra
formano una casa; diverse unità danno luogo a un numero).
[280, 1-281,4] La potenza si dice, dunque, sia della cosa presa in sé, sia
della cosa presa con altro; se nel primo caso essa è un "soggetto" dotato di una
propria sostanzìalità ed esige semplicemente dì passare all'atto, nel secondo

2
Cfr. O. BARDENHEWER, Dìe pseudo-aristotelìsche Schrift Ober das reìne Gute bekannt
unter dem Namen Liber de Causis, Freiburg i.Br. 1882 (rist. Minerva, Frankfurt a. M. 1961),
pp. 98-99; trad. lat. pp. 182-183; P. MAGNARD l 0. BOULNOIS l B. PlNCHARD l J.-L. SOLÈRE,
La demeure de l'erre. Autour d'un anonyme. Étude et traduction du Liber de Causis, Vrin,
Paris 1990, pp. 70-71.
INTRODUZIONE 567

caso essa è "elemento" e passa all'atto solo per la riunione di due o più elementi
oppure per la trasformazione di qualità. A questo discorso Avicenna fa seguire
una critica dei Platonici, che dei vari generi hanno fatto "sostanze", per poi
affrontare [281,5-15] la questione della diversa denominazione del "provenire
da". Solo in alcuni casi, infatti, si può dire che una cosa "proviene" dalla propria
materia: si dice, per esempio, che dal legno proviene una porta, ma non che
dall'uomo si fa uno scrittore. La ragione di questa disparità va cercata proprio
nei diversi sensi di potenza: la "potenza" a divenire "porta" non si ha solo nel
legno, perché anche ad altre materie conviene una simile forma e proprio per
questo si dirà che è dal legno che proviene questa porta. Inoltre, quando il sog-
getto non si muove naturalmente alla realizzazione della cosa, si dice che la cosa
viene dalla sua privazione (lo scrittore dal non scrittore). [281,16-282,5) Ciò che
comunque il discorso di Avicenna conferma è che ogni materia o soggetto è
pura ricezione senza essere in alcun modo causa della forma. [282,6-fme] Sono
infine passati in rassegna i diversi significati di "forma": essa è l) ogni cosa in
atto in grado di avere intellezione (o, secondo un'altra lettura possibile, "ogni
cosa che è attiva"; Avicenna indica comunque le forme nel senso delle sostanze
separate); 2) ogni cosa in atto che è "in qualcosa" (il movimento che è forma
manchevole; gli accidenti); 3) ogni cosa in virtù della quale la materia sussiste in
atto; 4) ogni cosa in virtù della quale la materia giunge a perfezione; 5) vi sono
poi figure e forme che si producono per arte; e infine "forma" si dice 6) della
specie; 7) del genere; 8) della differenza specifica; 9) del tutto rispetto alla parte.
Dopo avere dedicato qualche riga alle forme che possono essere naturali o artifi-
ciali, Avicenna introduce quindi gli elementi essenziali alla causa finale, la
causa "in vista di cui" sono le cose, cui è dedicata la sezione successiva.

Sezione quinta

[283-284,7) Una volta stabilito che tutte le cose che "vengono ad essere"
hanno un principio, una materia e una forma, Avicenna esamina qui la causa
finale, la cui esistenza non appare in modo evidente per tutte le cose (non è
evidente, per esempio, né in ciò che è futile né in ciò che è casuale, ma non lo
è neppure per ciò che si ripete incessantemente, come l'eterno moto celeste o
lo stesso ciclo di generazione e corruzione). Oltre a queste Avicenna presenta
le altre questioni legate alla nozione di fine: in primo luogo, si potrebbe crede-
re che la processione all'infinito, dimostratasi impossibile per la causa agente
(e Avicenna vi tornerà nel trattato VIII), possa darsi per la causa finale; in
secondo luogo, ci si chiede come si possa dimostrare che il fine, apparente-
mente causato dall'azione (il fine si realizza ogni volta solo con il compiersi di
una determinata azione), sia causa di essa e, anzi, come si possa affermare che
il fine ultimo sia causa di tutte le cose. Infine, ci si chiede se bene e fine coin-
cidano e quale sia la differenza tra bontà (ljayriyya) e generosità (giid).
568 TRATTATO SESTO

[284,8-285,11] Primo e secondo dubbio: se un fine si dia per tutte le cose e


dell'infinità dei fini. Se per quel che riguarda il caso, il rimando è essenzial-
mente alla Fisica dove (cfr. Liber primus naturalium, I, 13-14), sulla falsariga
di Aristotele, Avicenna conduce un esame approfondito del problema del caso,
il tema del futile e di ciò che appare senza un fine è qui ampiamente sviluppa-
to. Il futile ('abal), che va inteso nel suo senso etimologico di cosa che accade
facilmente, senza la mediazione della riflessione razionale, è ciò che si realizza
apparentemente senza ragione: anch'esso, tuttavia, è riconducibile a un fine,
come lo è ogni azione volontaria. Ogni azione volontaria, infatti, (e dunque
anche tutto ciò che è fatto per gioco) si deve a tre principi: un principio prossi-
mo, un principio remoto e un principio ancora più remoto. A spiegare il movi-
mento del corpo sono, per esempio: il principio prossimo che è la potenza
motrice del muscolo, quello remoto che risiede nel consenso al movimento che
viene dalla desiderativa e quello ancora più remoto che coincide con la potenza
immaginativa (oppure con quella cogitativa). Ora, può accadere che la forma
disegnata nell'immaginazione (o data nella cogitativa) non coincida con il ter-
mine del movimento: se, per esempio, si cambia posto per trovare una maggio-
re comodità, il fine del proprio movimento (cambiare posto) coincide con il
suo termine (il posto in cui effettivamente ci si andrà a sedere), mentre quando
si desidera incontrare un amico, il fine del proprio movimento (l'incontro) non
coincide con il suo termine (il luogo in cui si pensa possa avvenire l'incontro
con l'amico). In tal senso, se la fine del movimento coincide sempre con il fine
della potenza motrice, non è vero che esso sempre coincida con il fine delle
altre potenze. [285,12-286,17] Così, se il principio ultimo (il più remoto) di un
movimento non risiede nella cogitativa, il movimento è "futile": non "si
pensa" di giocare con la barba, si "desidera" una distrazione.
[286, 18-287, 10] Vi sono però ulteriori distinzioni: il moto può essere
dovuto: l) alla sola immaginazione (è ciò che si chiama propriamente "capric-
cio"); 2) all'immaginazione e a una natura o complessione- come il respiro o
il moto del malato (si ha allora propriamente qualcosa di necessario, "obbliga-
torio", o naturale); 3) all'immaginazione cui si accompagna un costume (e si
ha allora un'abitudine). Quando poi il fine della potenza motrice si dà senza
che si realizzi quello del desiderio, l'azione è vana (è stato vano, per esempio,
recarsi in piazza perché non si è incontrato l'amico che si pensava di incontra-
re); l'azione, tuttavia, è vana in relazione alla potenza desiderativa, ma non a
quella motrice (e va ricordato che tale distinzione, con la componente psicolo-
gica che vi è implicata, compare anche nella Fisica avicenniana a proposito
del caso). [287,11-288,16] Avicenna risponde quindi a due possibili obiezioni:
in primo luogo, contesta che si possa affermare che "futile" sia ciò che non ha
fine e, prendendo ad esempio il giocherellare con la barba, ripete che "futile" è
invece ciò che non ha un fine "cogitativo"; in secondo luogo, chiarisce che
non si può neppure sostenere che il fine di ciò che è futile non sia un bene:
esso è il bene sensibile o immaginativo (come l'abitudine o la conquista di un
INTRODUZIONE 569

piccolo piacere); e il bene sensibile, per l'uomo, è pur sempre un bene, anche
se non è quello reale o autentico dell'intelletto.
[288,17-289,9] L'esame passa quindi alla seconda delle questioni (o
"dubbi") sollevate all'inizio della sezione e cioè se i fini possano procedere
all'infinito. Per comprenderlo è necessario distinguere, tra i fini, quello che è
essenziale o per sé (e questo si dà sempre alla fine della serie) e ciò che è
necessario ("obbligatorio") e si accompagna al fine, senza essere un fine in sé.
Ciò che è obbligatorio per la causa finale è di tre tipi (Avicenna prende qui
spunto da Aristotele, cfr. Phys., II, 9): l) o è una sorta di causa del fine (come
la durezza della lama si accompagna sempre al ferro tagliente); 2) o è un con-
seguente necessario del fine (come la lama è sempre nera, perché è di ferro);
3) oppure è qualcosa che consegue alla causa finale stessa (l'amore per il
figlio consegue alla generazione che è causa finale dell'accoppiamento).
[289,10-291,3] Come emerge dall'esame del male e del fine essenziale della
natura (per cui cfr. anche llah., IX), queste distinzioni sono di grande impor-
tanza. Da una parte, infatti, l'esistenza del male in natura è spiegata da
Avicenna proprio come un conseguente necessario della natura: così come la
lama è nera perché è di metallo, il fuoco, la cui azione è per sé un bene, ha tra
i suoi conseguenti necessari la possibilità di bruciare un uomo giusto e distrug-
gere le cose buone). Dall'altra, l'idea del conseguente necessario che è una
sorta di causa del fine dà corpo alla distinzione tra fini essenziali (finiti) e fini
inessenziali (infiniti). Il fine essenziale (per sé) della natura è, per esempio, la
persistenza delle sostanze, e cioè la loro esistenza durevole e continua nel
tempo. L'esistenza duratura si dà come tale per alcune sostanze (quelle cele-
sti), ma per quelle sublunari non è raggiungibile che in virtù della continuità
degli individui: la specie perdura, laddove gli individui si generano e si cor-
rompono all'infinito. L'infinità degli individui è quindi un conseguente neces-
sario del fine della natura ma ne è al tempo stesso una sorta di causa (proprio
come accade con la durezza per la lama di ferro): l'infinità degli individui
"serve" infatti a che la loro specie duri in eterno. Inoltre, anche ad ammettere
che il fine della natura sia la stessa infinità degli individui, la finitezza dei fini
si troverebbe comunque dimostrata: a procedere all'infinito sono infatti i sin-
goli individui, non la loro infinità.
Di grande interesse è la distinzione qui adombrata tra "natura particolare"
(il cui fine riguarda il singolo individuo) e "natura universale", la quale ha il
proprio fine nella permanenza della specie o più esattamente in quell'indivi-
duo generico (letteralmente "diffuso") che la rappresenta. A costituire lo sfon-
do di tale distinzione è la stessa dottrina emanatista: la natura universale è
infatti quella che governa l'universo delle cose sublunari e cioè quella che
fluisce nelle cose, ossia quello stesso flusso (jaycf) che spiega il mondo a parti-
re dal Principio. [291,4-292] In tal senso, è possibile rispondere anche a un
altro degli interrogativi sollevati all'inizio del testo: se il moto celeste abbia o
non abbia un fine. Il moto celeste ha come scopo proprio l'eterna durata delle
570 TRATIATO SESTO

cose, che è vincolata a una serie infinita di movimenti; l'infinità dei movimen-
ti celesti è allora per il moto ciò che la durezza della lama è per il coltello.
Inoltre, la possibile infinità dei fini non è in sé problematica: ogni azione ha
un fine che le è proprio, se poi l'azione viene ripetuta all'infinito (e si diano
allora infiniti fini), ciò non cambia il carattere chiuso del rapporto tra azione e
fine (come accade per quello tra premesse e conclusione in un sillogismo).
[292,J -294,5] Terzo dubbio: il fine è causa o causato? Avicenna riprende
la questione dedicata allo statuto del fine e la risolve ricorrendo alla distinzio-
ne tra essenza ed esistenza: il fine è causato nella sua esistenza, ma è causa
nella sua quiddità o "cosalità". In quanto tale, e cioè in quanto fine, il fine è
causa delle altre cause; in quanto si dà come esistente - laddove esso non sia
qualcosa di già in sé esistente (la questione del fine ultimo è appena sfiorata),
esso dipende invece dal darsi delle altre cause. Così il fine, in quanto fine, è
causa di ciò che lo causa in quanto esistente: in quanto cosa è causa, in quanto
esistente è causato. La formula cui Avicenna consegna questa soluzione è
complicata dall'uso dei termini astratti ma è in fondo chiara nel distinguere il
piano della cosalità (o dell'essenza) da quello dell'esistenza (v. p. 292): «La
causa finale, nella sua cosalità, è causa (sabab) affinché le altre cause siano
esistenti in atto come cause mentre, nella sua esistenza, è causata (musabbaba)
per il fatto che tutte le altre cause esistono come cause in atto. È quindi come
se la cosalità della causa finale fosse causa ('illa) della causa della sua esisten-
za, mentre la sua esistenza fosse un causato (ma 'lUI) del causato della sua
cosalità».
[294,6-298,18] Quarto e quinto dubbio: l'identità tra fine e bene e la defi-
nizione della generosità come distinta dalla bontà. Per rispondere al primo
interrogativo - se il fine coincida o non coincida con il bene - è necessario
operare una prima distinzione: in alcune cose il fine è in quel che subisce
l'azione (la forma dell'umanità nella materia è il fine di ciò che dà la forma, il
dator formarum), in altre è nell'agente (il fine di chi fa costruire una casa è
l'abitazione - cioè il progetto che è nel costruttore - e non la casa esterna ad
esso). Nel primo caso il fine ha diversi rapporti con le diverse cause della
cosa: è un bene per il ric:ettore che è in potenza, perché è grazie ad esso che
questo trova compimento; è una forma per il ricettore che è in atto; è un termi-
ne per il movimento; è un fine per l'agente. Nel secondo caso, il fine è tale in
relazione ali.' agente ed è un bene in quanto è in virtù di esso che l'agente passa
all'atto.
Ora, la relativa identità tra fine e bene che così viene dichiarata trascina
con sé la problematica questione dell'identità tra bene e generosità; se il bene
è definito in relazione al rapporto con l'agente, la differenza tra il bene e la
generosità è data dalla diversa relazione considerata: la stessa cosa è un bene
in rapporto a ciò che è diverso dall'agente (ossia in rapporto a ciò che subisce
l'azione) ed è generosità in rapporto all'agente, quando l'azione dell'agente
non è provocata né da un bisogno naturale né dal fatto di ricevere in cambio
INTRODUZIONE 571

una ricompensa. Avicenna mostra allora come, a dispetto dell'uso comune del
termine, chi agisca ricavandone una lode o un sentimento di gratitudine non
possa dirsi "generoso": la generosità si dà solo laddove l'agente, agendo, resta
nella stessa situazione in cui si trovava prima dell'azione (o nella stessa situa-
zione in cui sarebbe stato se non avesse agito); la vera generosità si dà, cioè,
solo laddove l'agente, agendo o non agendo, non sia manchevole di nulla e
agisca quindi "senza uno scopo". Tuttavia, una volta data, questa definizione
rivela una difficoltà: se l'agente che agisce senza scopo o motivo è più degno,
perché generoso, di uno che agisca per un motivo, ecco che l'azione di chi agi-
sce per generosità si trova comunque a rimandare all'essenza o agli interessi
dell'essenza della causa agente: agire senza uno scopo si rivela, infatti, ciò che
più è degno per l'agente. Alla stessa conclusione si giunge questionando intor-
no all'agire di un agente: la domanda sul "perché" si sia agito in un determina-
to modo si arresta solo di fronte a una risposta che chiami in causa l'essenza
stessa dell'agente. Se ne trae allora una conclusione fondamentale per la dot-
trina emanatista, e per il rapporto tra la prima Causa agente e il mondo: il fine
connota come tale l'azione di un agente manchevole (ossia di un agente che
cerca o ricerca qualcosa per sé); un agente assolutamente perfetto non può,
quindi, avere un fine in senso proprio. In tal senso, generosità e bontà non
coincidono, anche se la stessa cosa è bene in relazione a ciò che riceve ed è
"generosità" o necessità in relazione a chi agisce.
[298, 19-fine] In ultimo, sono esaminate le varie cause di cui trattano le
varie scienze e si conclude che la filosofia prima, mentre guarda ad esse in
modo generale, guarda alla causa finale in modo eminente: la scienza che stu-
dia la causa finale in quanto tale è, infatti, la "sapienza" o "filosofia" (è qui
ripresa la discussione della prima delle apatie che Aristotele presenta in
Metaph., III: se l'indagine sulle cause spetti a una sola scienza o a più di una;
cfr. ARIST., Metaph., III [8], 2, 996 a 17- 996 b 25).
572 [257]

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CAPITULUM DE DIVISIONIBUS CAUSARUM ET DE EARUM DISPOSITIONIBUS

[291] Postquam tractavimus de substantiis et accidentibus, et de respectu prioritatis et


posterioritatis inter se, et de convenientia definitionum cum definitis, et de universalibus et
particularibus, oportet nunc ut loquamur de causa et causato: haec enim sunt etiam de conse-
quentibus esse inquantum est esse. Causae autem, sicut iam nosti, sunt forma et materia et
agens et finis.
Dico igitur quod nos non intelligimus esse causam formalern, nisi causam quae est pars
essentiae rei per quam est res id quod est in effectu. Materiam vero intelligimus esse causam
quae est pars essentiae rei in qua est id per quod res est in effectu et in qua requiescit poten-
tia esse eius. Agens vero est causa quae acquirit rei esse discretum a [292] seipso_;JCilicet ut
essentia agentis secundum primam intentionem non sit subiectum illius esse quotl acquiritur
ab eo nec informetur per illud, sed ita ut in seipso sit potentia i!lius esse non accidentaliter.
573

SEZIONE PRIMA

Su COME SI DIVIDANO LE CAUSE E QUALI NE SIANO GLI STATI 1

Abbiamo già parlato della questione delle sostanze e degli accidenti, di


[come] a loro riguardo si considerino l'anteriorità e la posteriorità e di [come]
conoscere se le definizioni corrispondano con le [cose] che vanno definite,
siano esse universali o particolari. Conviene ora parlare della causa e del cau-
sato: anch'essi infatti sono tra i concomitanti che si accompagnano all'esisten-
te in quanto esistente.
Le cause, come hai sentito dire, sono forma, "materia", agente e fine 2.
Diciamo allora che noi con "causa formale" intendiamo la causa che è parte
della sussistenza della cosa e in virtù della quale la cosa è quel che è in atto,
mentre con (causa] "materiale" (ìntendìamo] la causa che è parte della sussisten-
za della cosa, in virtù della quale la cosa è quel che è in potenza e nella quale
risiede la potenza dell'esistenza [della cosa]. Con "agente" [intendiamo] poi la
causa che fa acquisire un essere distinto dalla propria essenza; la sua essenza,
cioè, non è primariamente3 un luogo di inerenza per quel che da essa acquisisce
l'esistenza ricevendo la forma, [come è invece per la causa materiale] e, in tal
senso, nella sua essenza la potenza dell'esistenza [della cosa] non è se non per
accidente\ assieme a ciò è inoltre necessario che una data esistenza derivi da
[tale causa] non in quanto essa è agente [nel senso comune del termine], ma in
virtù di un'altra considerazione5. Con "agente", infatti, i filosofi [che si occupa-
no] della scienza divina non intendono soltanto il principio della mozione 6 ,
come invece fanno i filosofi della natura, ma piuttosto il principio dell'esistenza
e quel che fa acquisire [l'esistenza], come il Creatore è per il mondo. La causa
agente naturale, invece, non fa acquisire niente di diverso dal mettere in moto7 ,
in uno dei vari modi in cui si può mettere in moto [qualcosa], cosicché "quel che
fa acquisire l'esistenza" nelle [cose] della natura è un principio di movimento.
Intendiamo, poi, con il "fine" la causa in vista della quale si dà l'esistenza
di qualcosa di distinto da essa.

Et cum hoc etiam oportet ut illud esse non sit ab ipso inquantum ipse est agens, sed, si fue-
rit, fit secundum alìum respectum, scilicet quoniam divini philosophi non intelligunt per
agentem principium motionis tantum, sicut intelligunt naturales, sed principium essendi et
datorem eius, sicut creator mundi; causa vero agens naturalis non acquirit esse rei nisi
motionem aliquam ex modis motionum; igitur acquirens esse naturalibus est principium
motus. Finem vero intelligimus causam propter quam acquiritur esse rei discretum ab ea. Et
potest ostendi quod non est causa alia praeter has.
574 [258]

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Dico enim quod causa rei necessario ve! est intra essentiam rei et pars esse eius ve! non.
Si autem fuerit intra essentiam rei et pars esse eius, vel eri t pars cuius esse solum non facit
rem debere ess~ in effectu, sed ut sit tantum in potentia, et haec vocatur hyle, ve! erit pars
cuius esse est facere eam esse in effectu, et haec est forma. Si autem non fuerit pars esse rei,
tunc ve! erit causa propter quam res est, ve! non. Si autem fuerit causa propter quam, illa est
finis. Si vero non fuerit causa propter quam, tunc necesse est ut ve! esse eius non sit in ea
nisi per accidens, et est agens eius, ve! esse eius si t ab eo et sit in ea, et hoc est ;Yam ele-
mentum eius ve! subiectum eius.
Igitur principia uno modo sunt quinque et alio modo quattuor. Si enim elementum quod
est recipiens et non est pars rei acceperis praeter [293) elementum quod est pars, erunt quin-
que. Si autem acceperis utrumque pro uno, eo quod communicant in intentione potentiae et
praeparationis, erunt quattuor. Oportet autem ut non accipias elementum ex sensu agentis
qui est pars principii formae, sed composito, et tunc recipiens erit principium intentioni.
Ipsum enim primo non constituitur nisi per formam, sed eius essentia respectu sui ipsius tan-
tum est in potentia. Res autem quae est in potentia, eo modo quo est in potentia, non est
TRATIATO SESTO- SEZIONE PRIMA 575

[258) E che non vi siano cause al di fuori di queste può apparire chiara-
mente. Infatti - diremo - non si sfugge a una delle due possibilità: o la causa
(sabab) di una cosa è interna alla sussistenza di essa ed è una parte del suo
essere, o non lo è 8 •
Se è interna alla sussistenza di essa ed è una parte del suo essere, allora o è
la parte in virtù della cui sola esistenza non è necessario che [la cosa] sia in
atto, ma anzi soltanto in potenza, e si chiama materia (hayiilii), oppure è la
parte la cui esistenza è ciò che fa essere in atto [la cosa], ed è la forma.
E se non è parte dell'essere [della cosa], allora o è ciò in vista di cui [è la
cosa), oppure no. Se è ciò in vista di cui è [la cosa], è il fine; se invece non è
ciò in vista di cui è [la cosa], non si sfugge a una delle due possibilità: o l'esi-
stenza della cosa ne proviene, senza però essere in essa, se non per accidente -
e allora è l'agente; oppure l'esistenza [della cosa) ne proviene proprio in quan-
to si trova in essa9 , e allora essa è ancora la sua "materia" 10 o il suo soggetto 11 •
Nella loro totalità, quindi, i principi da un certo punto di vista sono cinque,
mentre da un altro punto di vista sono quattro. Infatti, se tu assumi la "mate-
ria" che è un ricettore e che non è parte della cosa come diversa da quella che
[ne] è parte, [i principi] sono cinque; e se invece assumi entrambi [i significati
di materia] come una sola cosa, a causa del fatto che essi hanno in comune ciò
che è significato dalla potenza e dalla preparazione 12 , sono quattro.
[Comunque] non devi considerare la "materia" nel senso di quel che riceve e
che è parte [della cosa) come un principio della forma, ma [come un principio)
del composto, solo che quel che riceve è principio per accidente; [quel che
riceve], infatti, sussiste innanzi tutto per la forma in atto, mentre la sua essenza,
considerata soltanto in sé, è in potenza e la cosa che è in potenza, in quanto è
in potenza, non è affatto un principio. [Quel che riceve] è principio, ma soltan-
to per l'accidente il quale, infatti, ha bisogno che il soggetto gli sia dato in atto
e venga quindi ad essere causa della sua sussistenza; ed è lo stesso, sia che
l'accidente sia un conseguente necessario - e la primarietà [del soggetto] sia
quindi per essenza- sia che sia [un accidente] destinato a cessare, essendo la
primarietà [del soggetto) per essenza e nel tempo 13 .
Queste, dunque, sono le varie specie di cause. Perciò, se il soggetto è causa
di un accidente [perchè] lo fa sussistere, esso non lo è in quanto rientra nella
stessa specie (naw') in cui rientra il soggetto [che è) causa del composto, ma
in un'altra.

principium, quia non est nisi principium intentioni. Intentio vero eget ut acquiratur sibi
subiectum in effectu, et deinde fit causa existentiae rei, licet sit intentio inseparabilis - igitur
primitiva erit [vel] essentialiter -, vel remota, sed primitiva erit essentia non tempore: hae
igitur sunt species causarum.
Cum autem subiectum fuerit causa intentioni quam sustinet, non est hoc secundum
modum quo subiectum est causa compositi, sed alio modo. Cum vero forma fuerit causa ipsi
materiae, non erit eo modo [294] quo forma est causa compositi, quamvis conveniunt eo
576 [259]

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modo quo unumquodque eorum est causa alicuius a quo neutn1m eorum est discretum. Ipsa
enim, quamvis conveniant in hoc, tamen, uno duorum modorum, unum eorum non acquirit
alteri suum esse inquantum est causa, sed acquirit esse alius rei et est in ea; alio, qlteà causa
eius est principium propinquum ad acquirendum causato suum esse in effectu, sed non
solum, nisi cum participe et occasione quae facit esse hanc causam, scilicet formam; igitur
illud aliud constituitur per illud; et ideo eri t medium cum participe ad acquirendum illi suum
esse in effectu. Igitur forma erit materiae quasi principium activum si esse eius in effectu
esset ex ea solummodo, ve! videretur quod forma esset pars causae activae sicut unus ex
duobus moventibus navem, sicut in sequentibus declarabitur. Forma autem non est nisi
causa formalis composito ex ea et ex materia; igitur forma n<Jn est nisi forma materiae et
non est causa formalis materiae.
Agens vero acquirit alii rei esse quod non habebat illa res in seipsa, adventus cuius esse
est ab hoc qui est agens inquantum essentia huius agentis non est recipiens formam illius
esse nec est adiunctum illi, ita ut sit intra i!lud, sed unaqua.;:que duarum essentiarum est
extra alteram et neutri eorum est virtus recipiendi alterum in ~e. Non est autem longe quin
TRATTATO SESTO- SEZIONE PRIMA 577

[259] Inoltre, se la forma è una causa della materia [perché] la fa sussiste-


re, essa non lo è nel modo (giha) in cui è [causa] del composto, anche se i due
[modi della causalità della forma] coincidono in quanto ognuno dei due è
causa di qualcosa da cui l'essenza non si dà distinta 14 ; infatti, anche se i due
coincidono in questo, nel primo dei due casi 15 non è la causa [cioè la forma] a
far acquisire l'esistenza all'altra [cosa]: a farle acquisire l'esistenza è qual-
cos'altro, che tuttavia [fa esistere la forma] nella (materia] 16; nel secondo
[caso], la causa [cioè la forma] è il principio prossimo affinché al causato sia
fatta acquisire l'esistenza in atto 17 , ma non lo è da sola 1R; lo è infatti soltanto
insieme a qualcosa che le si associa e a una ragione (sabab) che fa esistere
questa causa- voglio dire la forma- così che essa faccia sussistere [l'altra]
cosa e sia, assieme a [quel che le] si associa, un medio nel far acquisire a un
dato [causato] l'esistenza in atto. La forma sarebbe per la materia come un
principio agente se l'esistenza in atto [della materia] provenisse soltanto da
essa 19 ; ma sembra invece 20 - come ti si chiarirà in seguito- che la forma sia
una parte delia causa agente, come fosse uno dei due motori di una nave. La
forma è causa formale soltanto per quel che è composto, da essa e dalla mate-
ria, mentre per la materia [la forma] è soltanto forma, non causa formale 21 •
L'agente, invece, fa acquisire a qualcosa di altro (rispetto a sé] un'esistenza
che a [questo] altro non appartiene a partire da se stesso; e il fatto che tale esi-
stenza provenga da ciò che è agente è nel senso in cui l'essenza dell'agente non
riceve la forma di tale esistenza22 né la accompagna in modo da essere interna
ad essa. Piuttosto, ognuna delle due essenze è esterna all'altra e in nessuna delle
due vi è una potenza a ricevere l'altra. Non è però inverosimile che l'agente fac-
cia esistere l'effetto (al-maf'iil) laddove esso è ed essendo in contatto con la sua
essenza: la natura che è nel legno è [per esempio] un principio attivo23 per il
movimento, che si produce solo in quella materia in cui [tale] natura si trova e là
dove è la sua essenza; il fatto che i due si accompagnino non si ha però in quan-
to uno dei due è parte dell'essere dell'altro o materia di esso: le due essenze
sono distinte nelle [loro] realtà, pur avendo un comune luogo di inerenza.
Ora, tra gli agenti ve ne è qualcuno cui accade in un [certo] momento di
non essere agente in quanto il suo effetto non viene prodotto 24 • Anzi: il suo
effetto è inesistente ed è in un secondo momento (tumma) che a un tale agente
accadono quelle occasioni (asbab) in virtù delle quali esso viene ad essere

sit agens qui attribuit esse acto actione quantum in se est. Natura enim quae est in ligno
abscisso est activum principium motus. qui non fit in materia nisi per motum qui est in natu-
ra per quem debuit esse [2951 essentia eius. Coniunctio vero eorum non est quod unum
eorum sit pars esse alterius ve! materia eius, sed quod duae essentiae sunt certissime discre-
tae et habent commune id in quo sunt. Ex agentibus autem est qui aliquando non est agens
nec eius patiens est patiens. Sed, cum suum patiens non est patiens, contingunt agenti occa-
siones propter quas fit agens < ... > et tu ne ab eo est esse rei postquam non fui t. Ergo illi rei
578 [260]

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et est esse et est quod ei fuit non esse; sed ab agente non est ei hoc quod non fuerat nec hoc
quod est postquam non fuerat, sed ab agente habet tantum quod est. Postquam autem res ex
seipsa habet non esse, sequitur tunc ut esse eius sit post non esse et fiat postquam non fuerat;
igitur quod illi est essentialiter ab agente, hoc est scilicet esse; hoc vero esse non est eì nisi
quia concurrerunt illi alii rei omnia ex quorum concursu debet ut praeter esse quod habet
essentialiter habeat aliud esse; sed hoc quod non habuerit esse non est eì ex causa agente.
Hoc autem quod non habuerit esse, ìam referunt quidam ad aliquam causam quae est
privatio suae causae; suum enim esse post non esse est quiddam quod non est factum per
causam: non est autem possibile ullo modo ut sit ei esse nisi post non esse; quod autem non
est possibile, non habet causam. Verum est autem quod suum esse potest esse et non esse;
igitur sui esse causa est; sed suum non esse aliquando [296] erit, aliquando non erit; igitur
potest esse ut et sui non esse sit causa; et sui esse postquam non fuit ei esse< ... >.
Si quis autem dixerit quod suum esse postquam non fuit potuit esse et potuit non esse,
dicam si tu intelligis suum esse inquantum iam est ipsum suum esse, tunc privatio nihil agit
hic. Ipsum enim suum esse est non necessarium; non est autem non necessarium inquantum
TRATTATO SESTO- SEZIONE PRIMA 579

agente in atto; [260] e di ciò abbiamo già parlato nella [nostra trattazione] pre-
cedente25. È allora che [un tale agente] viene ad essere agente e che a partire
da esso la cosa esiste dopo non essere stata. A questa data cosa apparterrà
dunque un'esistenza e le apparterrà di non essere stata; ma non è a partire
dall'agente che essa non è stata, né [dipende dall'agente] il fatto che essa sia
dopo non essere stata: dall'agente le viene solo la sua esistenza. Perciò, se 26
da se stessa le appartiene la non-esistenza (al-lii-wugiid), consegue necessaria-
mente che la sua esistenza venga ad essere dopo non essere stata e che [la
cosa] sia, dunque, dopo non essere stata.
Dunque, quel che [la cosa] ha per sé dall'agente consiste nell'esistenza e
nel fatto che l'esistenza che le appartiene è soltanto perché l'altra cosa [e cioè
l'agente] si trova in una situazione [tale] per cui è necessario che a partire
dalla sua esistenza, che le appartiene per essenza, provenga un'esistenza per
l'altro da sé 27 • Il fatto invece che [la cosa] non fosse esistente non si ha a parti-
re da una causa che lo produca; il fatto che [la cosa] fosse non esistente si può
rapportare a una certa causa - e cioè all'inesistenza della sua causa ('adam
'illati-hi) - ma la sua esistenza dopo l 'inesistenza ( wugiidu-hu ba 'da al-
'adam) è qualcosa (amr) che non si deve a nessuna causa. Infatti, la sua esi-
stenza non può affatto essere se non dopo l'inesistenza e quel che non è possi-
bile non ha causa. Certo, la sua esistenza è possibile che sia e che non sia, e vi
è quindi una causa per la sua esistenza; e anche la sua inesistenza può essere e
non essere, e perciò può darsi che vi sia una causa [anche] per la sua inesisten-
za. Ma quanto al fatto che la sua esistenza sia dopo non essere stata, per que-
sto non c'è causa28 •
Perciò, se qualcuno dicesse che così l'esistenza della [cosa] che è successi-
va alla sua inesistenza può essere e non essere, noi diremmo: se intendi l'esi-
stenza della cosa in quanto è la sua esistenza 29 , l'inesistenza non vi rientra
affatto. Infatti, è la stessa esistenza [della cosa] ad essere non-obbligatoria, e
cioè possibile, ed essa non è non-obbligatoria in quanto è successiva a un'ine-
sistenza30: quel che è non-obbligatorio è questa sua esistenza che è capitata
adesso e che era inesistente. Quando invece si prende in considerazione l'esi-
stenza [della cosa in quanto] esistenza dopo un'inesistenza, si osserva il fatto
che essa è dopo un'inesistenza e non soltanto il fatto che essa è esistente; ma
che sia dopo un'inesistenza e sia capitata dopo un'inesistenza, non ha causa
(sabab )31 . Infatti, che la sua esistenza sia dopo l'inesistenza non ha causa
(sabab), [261] benché l'esistenza di quel che è dopo un'inesistenza, in relazio-

adhuc est privatio, sed ex hoc quod casu accidit modo quod erat privatum. Inquantum vero
acceperis suum esse esse post non esse, considerabis suum esse post non esse, non suum
esse tantum quod fuit post non esse, et postea contigit ei quasi non per causam, deinde non
esset causa essendi suum esse post non esse. Si autem fuerit causa sui esse quod fuit post
580 '1''\\ [261]
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non esse inquantum est suum esse, tunc certum est posse concedi quod suum esse potest
esse et non esse post non esse quod erat ei, nec dat ei certum suum esse post non esse,
inquantum est esse post non esse, ut possit esse post non esse, ve! possit non esse, nisi non
fuisset esse ullo modo, et tunc esset in respectu ad esse.
Et fortasse putabit aliquis quod agente et causa non est opus nisi ut res habeat esse post
non esse. Sed postquam res habuerit esse, si [297] destruatur causa, eri t tamen res sufficiens
in se, putavit igitur quod res non indiget causa nisi ad incipiendum esse; sed postquam ince-
perit et habuerit esse, iam non indigebit causa. Causae igitur apud euro erunt causae fiendi
tantum et priores eo quod fit, non simul curo eo.
Iam igitur putavit falsum, sicut tu nosti; esse enim rei postquam res facta est, necesse est
ut sit ve! necesse esse ve! non necesse esse. Si autem fuerit esse quod est necesse, tunc ve!
sua necessitas erit illi quidditati essentia ipsius quidditatis, ita ut iudicium illius quidditatis
sit necesse esse, et tunc impossibile est ut incipiat esse, ve! erit necesse condicionaliter, et
tunc illa condicio ve! erit inceptio, ve! proprietas aliqua ex proprietatibus illius quidditatis,
ve! aliquid aliud ab ea. Sed necessitas sui esse non potest esse propter inceptionem: ipsius
TRATTATO SESTO- SEZIONE PRIMA 581

ne alla sua esistenza, abbia una causa (sabab) 32 . È vero, infatti, che la sua esi-
stenza successiva all'inesistenza attuale (al- 'adam al-/:zii~il) può essere o non
essere, ma non è vero che la sua esistenza dopo l'inesistenza- in quanto è esi-
stenza dopo l'inesistenza33 - sia tale da poter essere esistenza dopo l'inesisten-
za e non essere esistenza dopo l'inesistenza; a meno che non vi sia affatto esi-
stenza, la considerazione riguarda quindi l' esistenza34 •
Ora, qualcuno potrebbe ritenere che si abbia bisogno dell'agente e della
causa solo affinché alla cosa appartenga un'esistenza dopo non essere stata e
che, quindi, una volta che la cosa sia venuta all'esistenza, se la causa venisse a
mancare, la cosa continuerebbe ad esistere, essendo in sé autosufficiente. Così,
per chi avesse una tale opinione, la cosa avrebbe bisogno della causa soltanto per
venire ad essere: una volta venuta ad essere, [ossia] una volta venuta all'esisten-
za, essa farebbe a meno della causa; per costui le cause sarebbero soltanto cause
del venire all'essere e sarebbero anteriori, non contemporanee [al causato]35 .
Ma si tratta di un'opinione vana36 , perché non si sfugge a una delle due
possibilità: o l'esistenza dopo il venire all'essere è un'esistenza necessaria o è
un'esistenza non-necessaria.
Se è un'esistenza necessaria: o la sua necessità appartiene a questa data
quiddità a causa della sua stessa quiddità, al punto che sia la [stessa] quiddità a
esigere la necessità dell'esistenza - ma allora sarebbe impossibile che essa
venga ad essere [cioè sia dopo non essere stata]; oppure [la necessità] le
appartiene a una condizione e questa condizione è allora: o il venire ad essere,
o uno degli attributi di tale quiddità, oppure una cosa distinta.
Ora, che la necessità della sua esistenza sia in virtù del venire ad essere non
si può ammettere; infatti, l'esistenza dello stesso venire ad essere non è per sé
necessaria e allora come potrebbe, in virtù di una [tale esistenza], essere necessa-
rio qualcosa di diverso da essa? Inoltre, una volta che il fatto di venire ad essere
sia venuto meno, come potrebbe questo, essendo inesistente, essere una causa
della necessità di qualcosa di diverso da sé? A meno che non si dica che ad esser
causa non è il venire ad essere, ma il fatto che alla cosa si sia dato di venire ad
essere; ma questo sarebbe allora uno degli attributi che appartengono alla cosa
che viene ad essere e si rientrerebbe, quindi, nella seconda delle altre due ipotesi.
Ma allora, non si sfuggirebbe- diremo- all'alternativa: o questi attributi
appartengono alla quiddità in quanto tale - non in quanto è venuta ad esistere

enim inceptionis non est suum esse necessarium per se. Quomodo igitur erit necesse per
illam id quod est aliud ab ea? Inceptio autem iam destructa est. Cum igitur ipsa non est, quo-
modo erit causa necessitatis alii rei? Nisi forte dixerit quod causa non est ipsamet inceptio,
sed ipsa est res cui acquisita est inceptio; igitur esset hoc de proprietatibus quae sunt eius
quod coepit; igitur hoc contineretur in seconda parte divisionis.
Dico igitur quod necessario tunc aut< ... > id quod comitaretur has proprietates comita-
retur quidditatem et tunc quidditatem comitaretur necessitas essendi, aut hae proprietates
582 Y'IY [262]

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inciperent cum esse; igitur dictio de necessitate sui esse esset sicut dictio de primo. Si autem
fuerint proprietates infinitae et omnes huiusmodi, tunc omnes erunt [298] possibiles esse,
non necessariae per se, vel perveniant ad proprietatem quae necessario est propter aliud a se.
Divisionis autem pars prima ponit omnes proprietates esse possibiles in seipsas. Iam autem
constitit quod sua necessitas possibilis est per aliud a se; igitur omnes proprietates erunt
debitae ex necessitate propter aliquid aliud extra se.
Divisionis vero pars secunda facit debere quod esse inceptum non facit permanere nisi
esse necessitatis extrinsecae, et hoc est causa. Tu autem iam nosti quod intentio inceptionis
non est nisi esse postquam non fuit: hic igitur est esse, et hic est esse postquam non fuit.
Causa autem quae facit incipere non egit aliquid in non esse eius, sed agit inquantum est ab
ea esse, et postea accidit ut sit hoc in illa hora esse postquam non fuit; accidens autem quod
casu accidit non est intrans in constitutionem rei. Igitur non esse quod praecessit non est
causa eius esse quod incepit. Sed haec maneria huius esse inquantum est illi maneriae quid-
ditatum oportet ut habeat causam, quamvis duret et permaneat, et ideo non erit possibile
TRATIATO SESTO- SEZIONE PRIMA 583

- e allora è necessario che quel che ne consegue consegua dalla quiddità, sic-
ché alla quiddità conseguirebbe la necessità dell'esistenza; oppure questi attri-
buti si producono con l'esistenza; ma allora ciò che si dovrebbe dire della
necessità della loro esistenza sarebbe [262] la stessa cosa che si doveva dire a
proposito della [questione] precedente: infatti, o si hanno infiniti attributi, tutti
nello stesso modo, ma allora sarebbero tutti possibilmente esistenti, non neces-
sari per essenza; oppure [si hanno attributi] che hanno termine in un attributo
che è necessario in virtù di qualcosa di esterno. Nel primo caso, tutti gli attri-
buti devono essere in se stessi possibilmente esistenti, ed è evidente che il pos-
sibilmente esistente in sé è esistente in virtù di qualcosa di diverso da sé 37 ,
così che tutti gli attributi sarebbero necessari in virtù di qualcosa di diverso e
di esterno ad essi. Il secondo caso, poi, rende necessario che l'esistenza che
viene ad essere38 permanga esistente soltanto in virtù di una ragione (sabab)
[che si deve] a qualcosa di esterno, e questa è la causa. Sennonché, tu sai che
"venire ali' essere" non significa niente altro che "esistere dopo non essere
stato". Si ha quindi un'esistenza o un essere dopo non essere stato e la causa
che fa venire ad essere non ha influsso né capacità39 sul fatto che [la cosa] non
è stata. Al contrario, il suo influsso e la sua capacità riguardano solo il fatto
che da essa proviene l'esistenza. Poi accade che tale [cosa], in tale momento,
sia dopo non essere stata: ma quel che accade per caso non interviene nella
costituzione della cosa e perciò l'inesistenza che precede non interviene nel
fatto che vi sia una causa per l'esistenza che viene ad essere. Anzi, una tale
specie d'esistenza, in quanto appartiene a una tale specie di quiddità, merite-
rebbe di avere una causa anche se esistesse continuamente e fosse
permanente40 . Per questo non ti è possibile dire: qualcosa rende l'esistenza
della cosa tale da essere dopo non essere stata; su questo, infatti, non si ha
potere. Piuttosto, alcune delle [cose] che sono esistenti devono obbligatoria-
mente essere non dopo un'inesistenza41 , mentre alcune di esse devono obbli-
gatoriamente essere dopo un'inesistenza.
L'esistenza, in quanto è l'esistenza di tale quiddità, può provenire da una
causa; ma l'attributo di tale esistenza- e cioè il fatto che essa sia dopo non
essere stata - non può provenire da alcuna causa. La cosa, infatti, in quanto la
sua esistenza viene ad essere, cioè in quanto l'esistenza che le spetta è qualifi-
cata come tale da essere dopo l'inesistenza, [263] non ha causa in realtà; la
causa, piuttosto, le appartiene in quanto la sua quiddità42 ha un'esistenza.

dicere quod aliqua res ponat esse rei esse postquam non fuit. Hoc enim non esset possibile:
aliquid enim est quod non debet necessario esse post non esse, et aliquid est quod necessario
debet esse post non esse. Esse autem, inquantum est esse huius quidditatis, potest esse ex
causa, sed proprietas huius esse, scilicet quod est esse post non esse, non potest esse per
causam. Igitur res, [299] inquantum est, esse suum coepit, scilicet inquantum esse quod
<habet> est appropriatum secundum quod est post non esse, non habet causam certissime,
sed causa est illi inquantum quidditas eius habet esse; igitur aliter est res quam ipsi putant.
584 [263]

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. b.J"':'yib\..1-M..r-

Causa enim non est nisi de esse tantum. Si autem evenerit quod praecessit illud non esse,
eri t incipiens, sed si non evenerit, incipiens non eri t.
Agens vero, secundum quod vulgus appellat agentem, non est certa causa inquantum
ponunt eum agentem: ipsi enim ponunt eum agentem inquantum considerant eum prius non
fuisse agentem. Unde non est agens inquantum est causa, sed inquantum est causa et aliquid
aliud est adiunctum cum ea, quoniam est agens uno respectu, scilicet quod non est adhuc
impressio in ilio, et alio respectu sui, scilicet quod adhuc non est impressio ab eo in ilio,
sicut sì considerares ipsum secundum hoc quod provenit ab ipso coniunctum cum eo quod
non provenit ab ipso, et sic vocant agentem. Et ob hoc, quicquid ipsi vocant agentem, de
condicione eius est quod aliquando fuit non agens, et postea voluit ve! accidit ei aliqua
dispositio quae non erat, et post adiunctionem, essentia eius cum ilio adiuncto fit causa in
effectu. Iam autem prius erat absque hoc. Igitur agens est apud eos inquantum est causa in
effectu post suum esse causam in potentia, non inquantum est causa tantum in effectu. Et
omne ìd quod vocant agentem comìtatur ut sit etiam id quod ipsì vocant patìens. Ipsì enìm
non faciunt eum alienum a dìspositione quae sibi adiungitur propter quam, cum sibi advenit,
provenit ab eo esse postquam non fui t.
TRATTATO SESTO- SEZIONE PRIMA 585

La questione, dunque, è all'inverso di quel che essi ritengono43 . Anzi, la


causa è soltanto [causa] dell'esistenza, e se capita che un'inesistenza preceda
[l'esistenza], la [cosa] è un alcunché che viene ad essere, mentre se non capita,
non è un alcunché che viene ad essere.
E l'agente- cioè ciò che i più chiamano "agente"- nel senso in cui è da
essi considerato un "agente" non è realmente una causa; infatti, [i più] ne
fanno un agente in quanto ritengono necessario considerare di esso che non
era "agente": ma così esso non è "agente" in quanto è causa, ma in quanto è
causa e in quanto, insieme a ciò, vi è qualcosa di conseguente: esso, infatti, è
"agente" in quanto si considera che ha influenza e in quanto a ciò si accompa-
gna [un'altra] considerazione, secondo la quale esso non ha alcuna influenza.
E come se si chiamasse "agente" poiché della causa si considera ciò che da
essa si acquisisce insieme a ciò che da essa non si acquisisce44 • Perciò, ogni
cosa che [i più] chiamano "agente" ha come sua condizione di essere obbliga-
toriamente stata una volta ''non agente"; poi essa o ha voluto [agire] o vi è
stata costretta o le è accaduto uno degli stati che [prima] non era. Ma allora,
una volta che le si fosse accompagnato un tale [elemento], ad essere causa in
atto sarebbero la sua essenza e con essa questo qualcosa che le si accompagna
e da cui essa era stata libera; perciò, secondo [le persone comuni la causa] è
agente in quanto è causa in atto dopo essere stata causa in potenza e non in
quanto è soltanto causa in atto; e così ne consegue necessariamente che tutto
quel che chiamano "agente" è allo stesso tempo quel che chiamano "paziente".
Infatti, essi non risparmiano [ali' agente] il fatto che lo accompagni uno stato
che viene ad essere e a causa del quale l'esistenza di quel che proviene
dall'agente è dopo non essere stata.
Si è45 rivelato manifesto che l'esistenza della quiddità [causata] dipende da
altro in quanto essa è l'esistenza di tale quiddità, non in quanto è dopo non
essere stata e tale esistenza, quindi, da questo punto di vista, è un causato fin-
ché è esistente; e così è un causato che dipende da altro. Perciò, si è reso evi-
dente che il causato ha bisogno di qualcosa che gli faccia acquisire la sua esi-
stenza per via del suo stesso essere per sé, mentre il venire ad essere e ciò che
è simile sono qualcosa che gli accade; e che il causato ha bisogno di qualcosa
che gli faccia acquisire l'esistenza continuativamente, sempiternamente, fin-
ché è esistente.

Postquam autem patuit quod esse quidditatis pendet ab alio [300) inquantum est esse illi
quidditati, non inquantum ipsum est esse post non esse, tunc illud esse secundum hunc
modum causatum est. et interim dum duraverit, sic erit causatum pendens ab alio. lam igitur
manifestum est quod causatum eget aliquo quod det sibi ipsum esse per se tantum, sed
inceptio et alia huiusmodi sunt res quae accidunt ei, et quod causatum eget datore sui esse
semper et incessanter quamdiu habuerit esse.
586 nt . [264]

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II
CAPITULUM DE SOLUTIONE QUAESTIONIS AN OMNIS CAUSA SIT SIMUL CUM SUO CAUSATO ET DE
CERTITUDINE CAUSAE AGENTIS

De hoc quod putatur filius remanere post patrem, et fabrica post fabricatorem, et cale-
factio post ignem, occasio fuit ignorantia quae sit vera causa: fabricator enim et pater et
ignìs non sunt verae causae existentiae secundì quod dicìtur oppositum eì nec etiam sunt
causae sui esse.
[301] Fabricatoris namque motus causa est motus alicuius, sed postea quies et eius ces-
satio a motu ve! privatio suae motionis et sua ponderositas post illam motionem causa est
completionis illius motionis. Illa enim ponderositas et adventus illius motionis sunt causa
alicuius coniunctionis, et illa coniunctio causa est alicuius figurae; unaquaeque igitur causa
est simul cum suo causato.
Pater etiam causa est motus spermatis et motus spermatis, postquam pervenit ad modum
praedictum, causa est essendi sperma in loco suo, et deinde ipsum quiescere in loco suo
causa est rei. Sed eius formatio in animai et suum permanere animai habet aliam causam;
postquam autem hoc ita est, tunc omnis causa est cum suo causato.
587

SEZIONE SECONDA

IN CUI SI RISOLVE UN DUBBIO RIGUARDO ALLA DOTTRINA DEI PARTIGIANI DEL


VERO SECONDO LA QUALE OGNI CAUSA È CON IL PROPRIO CAUSATO
E SI VERIFICA CIÒ CHE VA DETTO DELLA CAUSA AGENTE

Quel che [normalmente] si ritiene- e cioè che il figlio permanga dopo il


padre, la costruzione dopo il costruttore, il calore dopo il fuoco - si deve a una
confusione che ha luogo in quanto si ignora [che cosa sia] realmente la
causa46 . Il costruttore, il padre e il fuoco, infatti, non sono realmente cause del
sussistere di questi causati.
Il costruttore che lavora [alla costruzione] e che si è [appena] citato non è
causa del sussistere della costruzione47 , né [lo è] della sua esistenza. Il movi-
mento del costruttore è causa di un certo movimento e poi il suo stare in quiete
e il suo abbandonare il movimento o l'assenza del suo movimento e del suo
spostamento, che sono successivi al [suo primo] spostamento, sono causa del
fatto che quel dato movimento abbia termine; e proprio quello spostamento e
il fatto che quel dato movimento abbia termine sono causa di un certo mettersi
insieme [delle parti] che poi è causa dì un certo configurarsi; e ognuno [degli
elementi] che costituisce una causa è insieme al suo causato48 .
Quanto al padre, egli è causa del movimento dello sperma e il movimento
dello sperma, quando ha termine nel modo menzionato, è causa del fatto che
lo sperma si stabilisca nel [proprio] luogo; poi il fatto che esso si stabilisca nel
luogo preposto è causa di una [certa] cosa, ma il fatto che essa si conformi poi
come animale e permanga come animale ha un'altra causa49 • E dunque, se le
cose stanno così, ogni causa è insieme al proprio causato.
Analogamente, il fuoco è causa del fatto che si riscaldi la "materia"
dell'acqua50, e che essa si riscaldi è causa del fatto che si vanifichi la prepara-
zione in atto dell'acqua a ricevere la forma dell'acqua o a conservarla. E que-
sto perché un'altra cosa51 è causa del fatto che in un simile stato sia fatta veni-
re ad essere la preparazione completa a ricevere il contrario [di tale forma], e
cioè la forma ignea, mentre a causare la forma ignea sono le cause che rivesto-
no gli elementi delle loro forme, le quali sono [cause] separate.

Sirniliter etiam ignis est causa calefactionis aquae. Calefactio vero causa est destruendi apti-
tudinem in effectu perfectam recipiendi formam aqueitatis ve! permanendi, et illa ve! alia causa
est causa adveniendi aptitudinem perfectam ad huiusmodi dispositionem ut recipiat contrarium
eius, scilicet formam igneitatis, causa autem formae igneitatis sunt causae quae investiunt ele-
menta suis formis, et hae causae sunt separatae; igitur verae causae simul sunt cum suis causatis.
588 [265]

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l• lr.i-.;1 ...,.,~-.;1 J 1)1:SJI w;::,..J , w1AJI -.!ll.i J ,.,... L.;...J 'r.'~~ '-:-"':")!
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~_,..~ ~11..::..1~ .;_p , JL,..i'.l\ j.> ..!11,:0' J. , ~~t.-'..,.;~ .;T""-'. :;T J

Sed praecedentes sunt causae vel per accidens ve! adiutrices, et ideo oportet ut teneamus
quod causa fabricae est coniunctio et causa huius sunt naturae coniunctorum et sua colloca-
tio secundum quod ordi-[302]naverunt ea, et causa huius est occasio separata efficiens natu-
ras. Causa quoque filii est coniunctio suae formae cum sua materia ab occasione attributae
formae. Causa vero ignis est occasio donatrix formarum et remotio aptitudinis perfectae ad
contrarium illius formae simul. Igitur iam invenimus causas cum suis causatis.
Cum autem ostenderimus in his quae sequuntur quod causae sunt finitae, non assignabi-
mus nisi has causas. Nec tamen negamus esse causas adiutrices et praeparatrices sine fine,
alias ante alias, immo oportet ita esse necessario: omne enim quod incipit iam debet esse
tunc, postquam non debuit, propter necessitatem suae causae, sicut ostendimus. quia, post-
quam eius causa debet esse, debet tunc et ipsum esse. Unde oportet ut in rebus particularibus
res praecedentes, propter quas debent esse causae quae sunt in effectu ad hoc ut sint causae
illarum in effectu, sint res sine fine, et ideo non cessat interrogatio facta de illis per quare
ullo modo. Sed quaestio est hic, an unumquodque eorum quae sunt sine fine necessario
faciat esse instans, et sequuntur tunc instantia multa continua inter quae non erit tempus,
TRATIATO SESTO- SEZIONE SECONDA 589

[265] Perciò, le cause [che sono] realmente tali sono esistenti insieme ai
causati. Quanto a quelle che [li] precedono, esse o sono cause per accidente
oppure sono [cause] adiutricP 2 . Per questo è necessario convincersi che la causa
della configurazione della costruzione è il fatto che [le sue parti] stiano [l'una]
insieme [all'altra], mentre la causa del [fatto che le parti stiano l'una insieme
all'altra] consiste nelle nature delle [varie cose] messe insieme e nel fatto che
esse permangono stabili così come sono state composte, e causa ('illa) di ciò è
la causa (sabab) separata che è l'agente delle nature. La causa del figlio è il
fatto che la sua forma stia insieme alla sua materia [e questo] in virtù della
causa che fa acquisire le forme (bi-1-sababi 1-mufidi li-l-$uwwar) 53 • La causa del
fuoco consiste, infine, in quel che fa acquisire le forme e, al contempo, nel fatto
che sia cessata la preparazione completa [a ricevere] il contrario della forma
[del fuoco ]54 . Troviamo55 dunque ancora che le cause sono insieme ai causati.
Ora, se in relazione a quel che stiamo dicendo stabiliamo che le cause sono
finite, ci riferiamo soltanto a queste cause, senza considerare impossibile che
vi siano, l'una anteriore all'altra, infinite cause adiutrici e preparatrici. Anzi, è
obbligatoriamente necessario che ve ne siano. Infatti, tutto ciò che viene ad
essere è necessario dopo non essere stato necessario [e questo], come abbiamo
reso evidente, a causa della necessità della sua causa, [datasi] in quel determi-
nato momento, ed essendo anche la sua causa qualcosa di necessario 56 . Di
conseguenza, per quanto riguarda le cose particolari è necessario che le cose
anteriori - in virtù delle quali è necessario che le cause esistenti in atto diven-
gano cause in atto [delle cose particolari]- siano cose infinite, cosicché a pro-
posito di esse la domanda sul "perché" non può affatto arrestarsi (Iii yaqij) 57 •
Tuttavia, vi è una difficoltà riguardo a una cosa e cioè che queste [cause]
che sono infinite non sfuggono a tale alternativa: o ognuna di esse esiste in un
[determinato] istante, cosicché vi sarà un susseguirsi di istanti, l'uno accanto
all'altro, senza che vi sia un tempo fra di essi - ma questo è impossibile -
oppure, [ognuna di queste cause] permane per un [certo] tempo; in tal caso
quell'azione di necessitare [che è propria delle cause] si avrà necessariamente
in tutto quel tempo e non [solo] in una sua parte (taraj) e [ciò in modo tale]
che il principio (ma 'nii) che la rende necessaria sia anch'esso assieme ad esse
in quel dato tempo. [In tal modo], però, il discorso [da farsi] a proposito del
fatto che risulti necessaria l'azione [delle cause, che è] il render necessario,
sarebbe come quello fatto finora a questo proposito: contemporaneamente,
cioè, si darebbero infinite cause, che è quel che noi riteniamo impossibile.

quod est absurdum, an remaneat tempus: oportebit igitur ut sua necessitas essendi sit in toto
ilio tempore, non in extremo eius, et intentio eius quod facit debere esse necessitatem eorum
sit etiam cum illis in ilio tempore, et tunc verbum de necessitate faciente necessitatem essen-
di illa erit sicut verbum de illis, et proveniet quod causae infinitae erunt simul, et hoc est
quod nos negamus.
590 [266]

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[303] Dico igitur quod, si motus non esset, deberet esse dubitati o; motus enim facit non
permanere rem unam in una dispositione. Et hoc quod nova disposi ti o succedi t post disposi-
tionem non est instans post instans, sic ut tangat illud, sed hoc fit secundum continuationem;
igitur causa non est faciens necessitatem essendi causatum secundum essentiam, sed secun-
dum comparationem aliquam, cuius comparationis causa ve! particeps suae causae motus
est: id enim per quod causa est causa in effectu motus est. Cum enim res non habeat stabile
esse secundum unam dispositionem nec tamen fraudatur ab esse cum incipit in uno instanti,
tunc necessarium est ut causa custodiens ve! quae est particeps in ordinatione istarum causa-
rum, per quas solvitur dubitati o, si t motus; et hoc etiam adhuc amplius declarabitur alias.
Iam igitur ostensum est quod causae essentiales rei, propter quas est esse rei in effectu,
necesse est ut sint cum ea nec praecedant in esse sic ut possint removeri, remanente causato;
hoc enim non potest concedi nisi in causis non essentialibus ve! non propinquis. Causas enim
non essentiales ve! non propinquas non nego procedere in infinitum, immo facio debere hoc.
Postquam autem hoc ita est, tunc cum aliqua ex rebus per essentiam fuerit causa esse
alterius rei semper, profecto semper eri t ei causa quamdiu illa habuerit esse, et si fuerit sem-
per esse huius, semper erit [304] esse illius. Res igitur huiusmodi omnibus causis est dignior
in causalitate, eo quod absolute prohibet rem non esse; haec igitur est causa quae dat rei esse
perfectum; et haec est intentio quae apud sapientes vocatur creatio, quod est dare rei esse
TRATIATO SESTO- SEZIONE SECONDA 591

Ora, - diremo - se non vi fosse il movimento, questa difficoltà si avrebbe


necessariamente, sennonché il movimento non fa permanere la cosa che è [in
sé] una in uno stato identico, e quel che si rinnova, stato dopo stato, non è in
un istante e poi in un [altro] istante che gli sia accanto e sia in contatto con
esso, ma è anzi secondo continuità. In tal modo l'essenza della causa non
rende necessaria l'esistenza del causato, ma piuttosto il fatto che essa sia in un
certo rapporto58 ; [266] rapporto la cui causa - o ciò che si associa ad essa - è
il movimento. E [anzi] è il movimento ciò in virtù di cui la causa è causa in
atto 59 . La causa dunque in quel dato tempo non è stabile nell'esistenza secon-
do uno stesso stato né è inesistente [in un dato istante], venendo poi ad essere
in un [altro] istante: così la causa che conserva o si associa all'ordine di queste
cause, e in ragione della quale si risolvono le difficoltà, è senz'altro il movi-
mento. E ciò lo chiariremo a suo tempo in un modo più chiaro di questo60 .
È dunque apparso chiaro ed evidente che è necessario che le cause essen-
ziali della cosa, quelle in virtù delle quali l'esistenza della cosa è in atto, siano
con [la cosa], senza precederla nell'esistenza, come se la cessazione della loro
precedenza coincidesse con il fatto che viene ad essere il causato61 ; [ed è chia-
ro] che ciò è possibile, invece, soltanto per quanto riguarda le cause non
essenziali o non prossime; non è [infatti] impossibile che le cause non essen-
ziali o non prossime62 procedano all'infinito e anzi è perfino necessario.
E una volta stabilito questo, ecco che quando una cosa è per sé causa
dell'esistenza di un'altra cosa, continuativamente, essa ne è causa continuati-
vamente, finché la sua essenza è esistente. E quindi, se essa è continuativa-
mente esistente, continuativamente esistente è il suo causato. E una causa
simile è [la] più degna in causalità, perché impedisce assolutamente il non
essere (muf[aqa al- 'adam) della cosa ed è quindi ciò che dà l'esistenza com-
pleta alla cosa63 • Questo è il significato di ciò che dai filosofi 64 è chiamato
"instaurazione" e che consiste nel far essere la cosa (ta '!fs al-say ') dopo un
non essere assoluto (ba 'da laysa mutlaq). Infatti, al causato in sé spetta di
essere "non-essere" (laysa), mentre a partire dalla sua causa gli spetta di esse-
re "essere" (aysa). E quel che alla cosa appartiene in sé è anteriore nella mente
- per essenza, non per quanto riguarda il tempo - rispetto a quel che è a partire
da altro da sé. Ecco allora che ogni causato "è" (aysa) dopo che "non è"
(laysa), secondo una posteriorità per essenza65 •
Così, se il nome di "fatto venire ad essere" (mul:zdal) si applica a qualun-
que cosa a cui "essere" [appartiene] dopo "non-essere", anche se non si ha una

post non esse absolute. Causatum enim quantum est in se, est ut sit non, quantum vero ad
causam suam est ei ut sit. Quod autem est rei ex seipsa apud intellectum prius est per essen-
tiam, non tempore, eo quod est ei ex alio a se; igitur omne causatum est ens post non ens,
posterioritate essentiae.
Si autem Iaxaverint nomen inceptionis circa omne quod habet esse post non esse, quam-
vis non sit haec posterioritas tempore, tunc omne causatum erit incipiens. Si vero non laxa-
592 [267]

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verint, sed fuerit condicio incipientis ut habeat esse quo tempus sit prius, tunc destruitur
illud prius propter adventum suum post illud, eo quod posterioritas eius est talis posterioritas
quod non est simul cum prioritate, immo est discreta ab ea in esse, quia temporalis est, et sic
omne causatum est incipiens, quia est causatum cuius esse praecedit tempus, et praecedit
eius esse sine dubio motus et permutatio, sicut nosti. Nos autem non curamus de nominibus.
[305] Item incipiens secundum intentionem qua non praecedit tetnpus, necessario vel
esse eius est post non absolute, ve! esse eius est post non non absolute, sed secundum priva-
tionem privationis oppositae propriae in materia essente, sicut iam nosti. Si autem fuerit esse
eius post non absolute, tunc adventus eius a causa erit creatio. et hic est dignior omnibus
modis dandi esse, quia privatio iam remota est omnino et inducitur esse. Sed si ponatur pri-
vatio taliter quod esse praecedat eam, tunc generatio causati eri t impossibilis nisi ex materia,
et inductio esse, scilicet esse rei ex re quod est, breve et debile et futurum.
Aliqui autem homines sunt qui omne quod est huiusmodi non ponunt esse creatum.
Dico igitur quod, cum nos aestimaverimus rem quae est ex prima causa, mediante alia causa
agente, quamvis illa res non sit ex materia, sed post non esse eius successerit esse eius,
TRATI ATO SESTO ~ SEZIONE SECONDA 593

posteriorità temporale, ogni causato è "fatto venire ad essere". Se, invece, [tale
nome] non si applica [a ogni cosa], ma la condizione per quel che è fatto veni-
re ad essere è che esista un tempo (zamiin) e che prima di esso si sia avuto un
momento (waqt), [267] che sia poi svanito con il successivo sopravvenire del
[causato], allora la posteriorità [del causato] è una posteriorità che non è esi-
stente insieme all'anteriorità ed è, anzi, distinta da essa nell'esistenza, perché è
[una posteriorità] temporale. E allora non ogni causato sarà "fatto venire ad
essere", ma [lo sarà solo] quel causato la cui esistenza è preceduta da un
tempo e quindi - come hai appreso- senz'altro da un movimento 66 o da un
mutamento. Ma noi non discutiamo dei nomi.
Inoltre, non si sfugge a una delle due possibilità: o l'esistenza di quel che è
fatto venire ad essere nel senso in cui non si richiede necessariamente il tempo
è dopo un "non-essere" (laysa) assoluto, oppure è dopo un "non-essere" (laysa)
non assoluto, ma dopo l'inesistenza ('adam) di qualcosa di opposto, di partico-
lare, in una materia esistente, secondo quanto hai potuto conoscere. Ora, se la
sua esistenza è dopo un "non essere" assoluto, il suo provenire dalla causa in
tal modo è un'instaurazione (ibdii') ed è il più nobile modo di donare l'esisten-
za, perché l'inesistenza [in tal caso] è impedita del tutto e su di essa è imposto
il dominio dell'esistenza. Se invece fosse dato un potere (tamkfn) all'inesisten-
za che precedesse l'esistenza67 , il venire all'essere [della cosa] sarebbe possibi-
le solo a partire da una materia; e il dominio del far esistere- voglio dire l'esi-
stenza della cosa da altro - sarebbe debole, breve, intermittente.
Alcuni, tuttavia, non considerano tutto ciò che è in questo modo come un
instaurato (mubda') e dicono anzi che, quando ci immaginiamo una cosa che
esiste a partire da una "Causa prima" in virtù della mediazione di una causa
agente mediana, il farla esistere non è a partire da un "non essere" (laysa)
assoluto, ma a partire da un certo essere (aysa) che non è, tuttavia, "materia-
le". [E questo] anche se essa non proviene da una materia e la sua inesistenza
non ha alcun dominio; anzi, la sua esistenza a partire dalla Causa prima, reale,
è successiva all'esistenza di un'altra [cosa] che a essa è diretta 68 .
Alcuni altri, invece, attribuiscono l"'instaurazione" (ibdii') ad ogni esisten-
za formale6 9 , comunque sia; e quanto a quella materiale, anche se la materia
non precede, assegnano alla relazione [della cosa ] con la causa il nome di
"generazione".
Noi non [ci metteremo] affatto a discutere questi nomi dopo che si siano
distinti i loro significati. Troviamo, infatti, che alcune cose hanno esistenza a

immo eius esse fuerit ex prima causa vera post esse alterius quod adiungitur ei, tu ne non est
suum sit ex non absolute, sed ex sit, quamvis non sit materiale. Aliqui etiam sunt qui attri-
buunt creationem omni esse [306] formali, quocumque modo fuerit. Sed esse materiale,
quamvis materia non praecessit, appropriatur !amen comparatio eius ad causam nomine
geniturae. Nos autem non curamus de nominibus, postquam intentiones eorum habemus
discretas. Invenimus igitur quod ex his est quoddam esse quod est ex causa semper sine
594 '1''\11 [268, 1-7]

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materia, et quoddam quod est ex materia, et quoddam quod est ex aliquo mediante, et quod-
dam sine medio. Conveni t autem ut omne quod non est ex materia praeiacente vocemus non
generatum, sed creatum, ét ut ex omnibus creatis id vocemus nobilius quod est ex sua prima
causa, nulla mediante, si ve illud si t materiale, si ve activum, si ve si t aliquid aliud.
Redeo autem ad id in quo eram, et dico quod omnis agens cui accidit esse agens indiget
materia in quam agat. Omne enim quod coepit, sicut iam nosti, indiget materia, et fortassis
aget subito, et fortassis erit actio per motionem, erit igitur principium motus. Cum autem
naturales vocant agentem principium motus, intelligunt motus quattuor, et sustinent in hoc
loco ponere generationem et corruptionem esse motus. Iam autem agens erit agens per sei-
psum, et iam erit agens per virtutem: sed qui est per seipsum agens est sicut calor si esset
existens exspoliatus et ageret, et tunc id quod proveniret ex eo, provenire! ob hoc quod est
calor tantum, agens vero per virtutem est sicut ignis qui est agens per calorem suum; nos
autem iam enumeravimus alias modos virtutum.
TRATTATO SESTO- SEZIONE SECONDA 595

partire da una causa continuativamente senza materia, alcune con una materia,
alcune con una mediazione e alcune senza una mediazione; e qualunque cosa
non esista a partire da una materia precedente è meglio che si chiami "instau-
rato" (mubda'), piuttosto che "generato" (mutakawwan), [così come è meglio
che] noi consideriamo il più degno di esser chiamato "instaurato" quel che non
proviene dalla propria Causa prima in virtù di una mediazione, sia essa la
[mediazione di una causa] materiale o agente o altro 70 •
[268] Ma torniamo a dove eravamo: l'agente al quale accade di essere
agente - diremo - avrà immancabilmente bisogno di una materia in cui agire,
perché qualunque cosa venga ad essere - come hai appreso - ha bisogno di
una materia; può essere che agisca d'un colpo e può invece essere che agisca
in quanto mette in moto, così da essere principio del movimento.
Quando i [filosofi] della natura dicono dell'agente che è principio del
movimento, intendono parlare con ciò dei quattro movimenti e, estendendo [il
loro discorso] a questo riguardo, fanno della generazione e della corruzione un
movimento71 • Può poi essere che l'agente sia agente per sé e può essere che
esso sia in virtù di una potenza; quel che è [agente] per sé 72 è come il caldo: se
esso fosse esistente come puro, agirebbe e qualcosa ne proverrebbe soltanto
perché esso è caldo73 ; quanto all'agente in virtù di una potenza, è come il
fuoco con il proprio calore; e abbiamo già enumerato in altri luoghi i [vari] tipi
di potenze 74 •
596 [268,8-18]

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III
CAPITULUM DE COMPARATIONE QUAE EST INTER CAUSAS AGENTES ET SUA CAUSATA

[307] Non est agens tantum omnis qui attribuit esse quale est suum esse, sed fortasse et
qui attribuit esse non quale est suum, sicut ignis qui facit nigrescere et sicut motus qui cale-
facit. Agens autem qui attribui t esse quale est suum, notum est quod ipse est dignior et for-
tìor in natura< ... > quam si t ille agens qui attribui t esse non quale est suum. Sed hoc notum
non est manifestum nec verum ex omni parte, nisi forte id quod attribuitur si t ipsummet esse
et certitudo, et tunc attributor dignìor est ad hoc quam id cui attribuìtur.
597

SEZIONE TERZA

Su COME SI RAPPORTINO LE CAUSE AGENTI E I LORO CAUSATI

[268,11] L'agente- diremo- non è sempre qualcosa che faccia acquisire


un essere che gli è simile: esso può far acquisire un essere simile a sé e può far
acquisire un essere che non è simile a sé, come il fuoco annerisce e il movi-
mento riscalda75 . Comunemente si ritiene che l'agente che produce76 un essere
simile a sé sia più degno e più forte, per quanto riguarda la natura che fa
acquisire, di quel che è diverso da sé [e cioè del causato], ma questo [dato]
comunemente accettato non è né evidente né vero sotto ogni aspetto, se non
[nel caso] in cui quel che [l'agente] fa acquisire siano la stessa esistenza e la
realtà, perché in tal caso quel che fa acquisire è più degno di ciò che fa acqui-
sire di quanto non lo sia quel che acquisisce.
Ma torniamo da capo [sull'argomento] e diciamo che non si sfugge a una
delle due possibilità: o le cause sono cause dei causati per quanto riguarda il
loro stesso essere, oppure sono cause dei causati per quanto riguarda un altro
essere. Esempio del primo [caso] è il fatto che il fuoco riscaldi; l'esempio del
secondo è il fatto che il movimento riscaldi o che dal caldo si produca la dila-
tazione, e molte altre cose simili a questa.

Redeo igitur ad caput et dico quod causae sunt causae causatorum necessario ve! ad
instar sui esse, ve! ali o modo; exemplum primi est calefactio ab igne, exemplum vero secun-
di est calefactio ex motu et adventus raritatis ex motu, et multa alia his similia.
598 [269]

~J.i Jll il...i\11 .l.>_,:J.J. J.J\11 ~)1...,.....1:: JI..:..~)J.I.JJ! ..II ~ f:JJ


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Loquamur igitur de causis et causatis quae comparantur modo primo, et inducamus divi-
siones quae putantur esse divisiones eorum. Dico igitur quod in modo primo iam putatur
quod in plerisque causatum minus est in esse quam causa in eadem intentione, si ipsa [308]
ìntentio fuerit talis ut recipiat magis et minus, sicut aqua, cum calescit ab igne, est quasi
similis ei cum receperit hoc < ... >, et sicut ignis de quo tenent verisimile quod converti t
aliud a se in consimilem sibi ignem, et tunc illud fit sibi aequale in forma igneitatis quae non
recipit magis et minus, et fit aequale sibi in accidente inseparabili, scilicet calefactione sen-
sibili, cum fuerit adventus illius actionis a forma aequali suae formae et fuerit ab illa etiam,
cum materia fuerit aequalis in aptitudine.
Sed quod causatum sit maius in intentione quam causa, hoc videtur non esse possibile
ullo modo nec invenitur hoc in rebus quae putantur causae et causata. lllud enim augmen-
tum non potest ad venire si bi ex seipso, nec potest esse ut augmentum eius proveniat ex aug-
mento aptitudinis materiae, sic ut per se faciat necessario exire ad effectum; aptitudo enim
TRATIATO SESTO- SEZIONE TERZA 599

[269~ Parliamo quindi delle cause e dei causati che si rapportano al primo
senso e presentiamo quei casi che sembrano in apparenza rientrarvi.
In primo luogo - diremo - in molti [casi] si può ritenere che il causato
possa essere minore nell'essere di quanto non sia la causa, (e ciò] riguardo alla
stessa natura (ma 'm'i), se si tratta di una natura (ma 'm'i) che è suscettibile del
più e del meno, come quando l'acqua è riscaldata dal fuoco. A un esame este-
riore può anche apparire che [il causato] sia come [la causa] - sia o non sia
tale [sua natura] suscettibile [del più e del meno]- come il fuoco: apparente-
mente, infatti, si può credere che [il fuoco] trasformi quel che è diverso da sé
in qualcosa di simile a sé, che pare essere fuoco ed essere equivalente al fuoco
nella forma ignea77 -la quale non accoglie il più (al-azyad) e il meno (al-
aqall)18 - e che sia ad esso 79 equivalente anche per quanto riguarda l'accidente
che ne consegue, [e cioè] il calore sensibile: l'azione [di riscaldare] emana
infatti dalla forma equivalente alla forma [del fuoco] e anche dalla [stessa cosa
che il fuoco trasforma] 80 , mentre la materia è equivalente nella disposizione.
Che invece il causato sia di più nella natura (ma 'nii) che gli proviene dalla
causa, questo è quel che appare del tutto impossibile e non si trova in [alcuna
di] quelle cose ritenute cause e causati: non può essere che tale "in più" si pro-
duca da sé, né può essere che si produca a causa di un "in più" nella prepara-
zione della materia 81 , in modo da render necessario il passare della cosa82
all'atto per sé; la preparazione, infatti, non è una causa che faccia esistere. E
se poi la ragione di tale "in più" si attribuisse al contempo alla causa e
all'influenza che a partire da questa si produce, esso sarebbe il causato di due
cose, non di una cosa sola, e le due [cose di per sé] sarebbero, insieme, mag-
giori e di più del causato che dovrebbe essere "in più".
Ora, se ammettiamo queste opinioni per chiarire83 in che cosa esse consi-
stano, ci è consentito affermare che, [anche] quando la natura del causato e
[quella] della causa si equivalgono per intensità e per remissione, alla causa in
quanto causa spetta senz'altro, riguardo a tale natura, l'anteriorità essenziale.
L'anteriorità essenziale che spetta alla [prima cosa cioè alla causa] 84 riguardo
a questa natura (ma 'nii) è poi essa [stessa] una natura che a questo [270]

non est causa essendi. Si autem causam et impressionem quae venit ex causa utrumque
posuerint occasionem augmenti, tunc illud augmentum eri t causatum a duabus rebus non ab
una tantum. Sed illae duae res simul iunctae sunt maius et plus quam causatum quod est
augmentum.
Cum autem nos concesserimus omnes istas opiniones et quicquid adhuc amplius oppo-
nere voluerint, poterimus dicere quod, quamvis intentio fuerit in causato et causa aequalis in
magis et minus, tamen causae inquantum est causa erit prioritas essentialis sine dubio in illa
[309] intentione, et prioritas essentialis quae est ei in illa intentione erit intentio dispositionis
illius intentionis, non inventa secundo. Igitur illa prima intentio, cum accepta fuerit secun-
600 rv. [270]

O.lY;.J ..,...J; ~t \~1 J.J )\!~,L.... ._g..l.\ ..!.1.1~ ù~ 'JL:.Il .l.J";y.J'j> ' ._g.ll.
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dum suum esse et secundum suas dispositiones quas habet qu11ntum ad suum esse, sequetur
tunc suum esse ut alterum sit prius eo, et tunc removebitur ab~;o\uta aequalitas, sed aequali-
tas remanebit in definitione, et illa utraque, inquantum habent illam definitionem, essent
aequalia, et neutrum eorum erit causa alterius ve! causatum. Sed, secundum hoc quod unum
eorum est causa et alterum causatum, manifestum est quod attribuere uni eorum definitio-
nem illam dignius est, eo quod est ei primum non a secundo nec fuit secundo nisi ab ipsa
prima. Constat igitur ex hoc quod haec intentio, cum fuerit ipsum esse, impossibile erit illa
aequari in eo ullo modo, eo quod non est possibile illa aequari in eo nisi in respectu defini-
tionis, et est potior quantum ad meritum ipsius esse, et tunc meritum ipsius esse non est de
genere ipsius definitionis eo quod haec intentio non accipitur pro ipso esse. Manifestum est
igitur non esse possibile ut adaequetur illi, cum intentio non accipitur ipsum esse; igitur
attribuens rei esse, inquantum est esse, dignior est quantum ad esse quam ipsa res.
Sed hic est quiddam aliud discernendum et certificandum quod non [310] debemus
praeterire, scilicet quod causae et causata in prima speculatione dividuntur apud intel\ectum
in duas partes, quarum una est quod in natura causati et eius specialitate et eius quidditate
TRATTATO SESTO- SEZIONE TERZA 601

riguardo (ma 'nii) non esiste per la seconda [cosa, e cioè per il causato J; così,
tale natura (ma 'nii) è equivalente8 5 alla prima, ma lo è poiché è presa in rela-
zione ali' esistenza e agli stati che le appartengono in quanto la sua esistenza è
anteriore rispetto a quanto non lo sia per l'altra86 , cosicché l'assoluta equiva-
lenza [tra le due cose] cessa [di esistere]. Infatti, [se da una parte] l'equivalen-
za permane nella definizione e le due [cose], in quanto appartiene loro tale
definizione, sono equivalenti, non essendo nessuna delle due né causa né cau-
sato, d'altra parte, in quanto una delle due è una causa e l'altra è un causato, è
chiaro che la considerazione deli' esistenza di [ciò che esprime] la definizione
è più adeguata per la prima delle due, poiché le appartiene in modo primario,
senza venirle dalla seconda, mentre alla seconda non appartiene se non a parti-
re [dalla prima] 87 • Da ciò, quindi 88 , appare manifesto che quando ad essere
considerata89 è la stessa esistenza, non è affatto possibile che le due [cose]
siano equivalenti. Infatti, è possibile che [le due cose] si equivalgano solo in
quanto se ne considera la definizione, mentre se se ne considera il diritto
ali' esistenza, [una delle due] eccelle rispetto ali' altra. In tal caso, infatti, il
diritto all'esistenza fa parte del genere stesso del diritto alla definizione, per-
ché questa natura (ma 'nii) riassume la stessa esistenza. È dunque evidente che
non è possibile che [il causato] sia equivalente alla [causa] quando la natura
(ma 'nii) è la stessa esistenza: quel che fa acquisire alla cosa l'esistenza in
quanto esistenza è più degno dell'esistenza di quanto lo sia la cosa.
Ma c'è un altra distinzione che funge come una sorta90 di verifica che non
dobbiamo trascurare e cioè che, a un primo esame nella riflessione, le cause e i
causati91 si dividono in due tipi. Un tipo è quello in cui la natura, la specificità
e la quiddità essenziale del causato comportano necessariamente che, per
quanto riguarda la sua esistenza, esso sia il causato di una natura o di più natu-
re; le cause saranno così senz'altro differenti rispetto alla sua natura specifica,
poiché saranno cause (del causato] per quanto riguarda la sua specie, non per
quanto riguarda la sua individualità92 • E se è così, le due specie- [quella della
causa e quella del causato] -non saranno una stessa [specie], poiché quel che
va ricercato è la causa di tale specie: i causati saranno anzi resi necessari a
partire da una specie diversa dalla loro, dalle cause proverrà necessariamente
una specie diversa dalla loro, ed esse saranno93 cause essenziali della cosa
causata in relazione alla specie del causato, in assoluto. [271] L'altro tipo è

essentiali est quod faciet debere esse causatum in suo esse a natura una ve! pluribus, et tunc
causae erunt diversae a specialitate eius sine dubio, cum fuerint causae rei in sua specie non
in suo individuo. Cum autem ita fuerit, tunc duae species non erunt una; quod enim hic
inquiritur est causa illius speciei. Sed causata erunt sic quod debebunt esse speciei alius a
specie ipsorum causatorum, et causarum debebit esse species alia ab earum specie, et erunt
causae rei causatae essentiales respectu ad speciem causati absolute.
602 rv\ [271]

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Alia est quod causatum non erit causatum a causa, nec causa erit causa causati in sua spe-
cie, sed in suo individuo. Sed accipiamus hoc secundum quod videtur intellectui huiusmodi
divisio, et tu sustineas quousque perveniamus ad veritatem dispositionis quae debet esse in ea,
secundum nostram speculationem de causa dante formam omni habenti formam ex corporibus.
Sed exemplum primi est anima inquantum est causa motus electionis; exemplum vero
secundi est ignis iste inquantum est causa illius ignis; differentia autem inter haec duo nota
est; hic enim ignis non est causa illius ignis ob hoc quod sit causa specialitatis ignis, sed ob
hoc quod est causa alicuius ignis. Cum autem consideraverimus hoc secundum modum spe-
cialitatis, erit haec causa specialitati per accidens, similiter pater filio non inquantum hic est
pater et ille filius quantum ad esse humanitatis.
[311] Sed haec pars inte11igitur duobus modis, uno, ut causa et causatum sint communi-
cantes in aptitudine materiae, sicut ignis et ignis, alio, ut non sint in ea communicantes, sicut
lumen solis quod est in substantia agentis lumen hic vel in luna. Cum autem aptitudo mate-
TRATTATO SESTO- SEZIONE TERZA 603

che il causato non sia causato della causa - e la causa causa del causato - per
quanto riguarda la specie, ma per quanto riguarda l'individuo. Prendiamo in
esame questo [tema], secondo quella divisione che chiaramente esige la rifles-
sione e secondo quegli esempi che chiaramente lo riguardano e in senso
ampio; e ciò per mostrare come debba stare realmente la cosa a questo riguar-
do a partire dall'esame che facciamo della causa che dona la forma a tutti i
corpi che sono dotati di forma.
Esempio del primo [caso] è il fatto che l'anima sia causa del movimento
volontario 94 ; esempio del secondo è il fatto che un dato fuoco sia causa di un
dato altro fuoco. La differenza fra le due cose è nota. Infatti, questo fuoco non
è causa di quel fuoco in quanto è causa della [forma] specifica del fuoco, ma
in quanto è causa di un certo fuoco. Così, quando si considera la [forma] spe-
cifica95, questa causa è [causa] per accidente della [forma] specifica; e così
accade [quando] il padre [è considerato la causa] del figlio, non nel senso che
egli è padre e costui figlio, ma nel senso [in cui si considera] l'esistenza
dell'umanità96 •
Questo [secondo] caso si può rappresentare secondo due aspetti:
{a] uno dei due è che la causa e il causato abbiano in comune la prepara-
zione della materia, come fuoco e fuoco;
[b]l'altro è che i due non l'abbiano in comune, come la luce del sole che
nella sua sostanza è l'agente della luce che si ha qui oppure sulla luna: la pre-
parazione delle due materie nelle due [cose] non è, infatti, equivalente né le
due materie sono di una stessa specie; conviene dunque che i due individui -e
cioè questa luce che è nel sole e quest'altra luce che a partire da essa si produ-
ce- non siano equivalenti a questo riguardo. È per questo che le due luci diffi-
cilmente saranno della stessa specie per chi - come hai appreso nel luogo
[appropriato]- ponga come condizione, affinché la specificità delle qualità sia
considerata equivalente, che riguardo allo stesso attributo una delle due [cose]
non sia di meno e l'altra di più; esse saranno, invece, di una [stessa] specie per
chi considera la differenza dovuta al più e al meno una differenza dovuta
[solo] ai caratteri accidentali e ai caratteri individualizzanti [delle cose] 97 .
Ora, il primo [di questi due] casi - e cioè che le due cose abbiano in comu-
ne la preparazione della materia- è anch'esso divisibile in due. Infatti, in ciò
che patisce l'azione la preparazione è o completa o manchevole. La prepara-

riarum non fuerit aequalis in illis, nec materiae fuerint unius speciei, tunc multo minus
aequabuntur individua in hoc, scilicet hoc lumen quod est in sole et hoc lumen quod prove-
nit ab ipso; fortassis ob hoc quod duo lumina non sunt unius speciei apud eum qui ponit
condiciones in aequalitate specialitatis qualitatum quod una earum non sit magis vel minus
quam alia, sicut tu nosti in suo loco, sed sunt una species apud eos qui tenent diversitatem
inter eas secundum magis et minus esse diversitatem propter accidentia et propter individua.
Pars autem prima, scilicet quod sint duae res communicantes in aptitudine materiae,
dividitur etiam in duo. Nam illa aptitudo vel erìt aptitudo perfecta in patiente vel imperfecta.
604 .!,.li:IIJ.dll-l......>l.JI':Ulill [272]

·'~ 'f' _ ~ •.J .w;~ .J'.l.)~ .;....J-1 .u1 .)\J..:.,~ , ~ ·~~


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Aptitudo vero perfecta est ut non sit in natura rei impediens id quod est in potentia in ea,
sicut aptitudo aquae calefactae ad infrigidandum. In ipsa eniJJl est potentia naturalis, sicut
ostendimus in naturalibus, quae ve! adiuvat virtutem quae est cxtrinsecus ad infrigidandum
ve! non adiuvat. Sed aptitudo imperfecta est sicut aptitudo aquae ad calefaciendum. In ea
enim est potentia adiuvans calefactionem quae fit in ea ab extrinsecus, et habet esse cum
calefactione remanens in ea nec destruitur. Pars autem prima dividitur in tria, quia in adapta-
to, ve! eri t virtus adiuvans quae remanet et adiuvat, sicut in aqùa cum infrigidatur post cale-
factionem, ve! in adaptato erit virtus impediens rem, sed destnJitur cum esse rei, sicut cum
albescunt capilli post nigredinem, ve! <non> erit in adaptato [312] aliqua duarum virtutum,
scilicet nec adiuvans nec impediens, sed privatio rei et adaptatiO ad eam tantum, sicut dispo-
sitio insipidi ad recipiendum saporem et sicut privatum odore acl recipiendum odorem.
Si quis autem nos interrogaverit de aptitudine aquae ad es5endum ignem, sub qua illa-
rum quinque partium est, non erit dubium nobis illam contineri sub communicante in aptitu-
dine perfecta materiae, sed in qua materia est contrarium eius.
, TRATTATO SESTO- SEZIONE TERZA 605

zione completa sta nel fatto che nei caratteri naturali della cosa non vi siano rlé
un ostacolo né qualcosa di contrastante rispetto a quel che [272] in essa è in
potenza; tale è [per esempio] la preparazione che l'acqua riscaldata ha a raffred-
darsi: infatti, come abbiamo appreso98 nella Fisica, nell'[acqua] stessa c'è urla
potenza naturale che aiuta99 la potenza esterna a raffreddare o non fa cla
ostacolo 100 • La preparazione manchevole, invece, è come la preparazione elle
l'acqua ha a riscaldarsi; [nell'acqua], infatti, vi è una potenza che fa da ostacolo
al riscaldamento che vi si produce a partire dall'esterno; [una potenza] che esiste
[nell'acqua] nonostante il riscaldamento e che permane in essa senza svanire.
Ma il primo [di questi due ultimi casi comporta a sua volta] tre divisioni:
infatti, o {a] in quel che è preparato vi è una potenza adiutrice che permane e
aiuta, come è quando l'acqua viene raffreddata dal suo [stato] di calore; oppure
{b] in quel che è preparato vi è una potenza contraria alla cosa (amr) e che però
svanisce con la sua esistenza, come è nei capelli quando da neri divengono
bianchi; oppure {c] in quel che è preparato non vi è nessuna delle due cose, rlé
un contrario né un [principio] adiutore, ma soltanto l'assenza della cosa e la prt:-
parazione ad essa, come quel che è insipido si trova ad essere rispetto alla rict:-
zione del sapore e quel che è privo di odore rispetto ~tlla ricezione dell'odore.
E se ci venisse chiesto, a proposito della preparazione dell'acqua a divenire
fuoco, in quale delle cinque divisioni essa rientri, non ci sarebbe difficile [dire]
che essa rientra nella divisione in cui si ha comunanza nella preparazione col1l-
pleta della materia, ma per cui nella materia vi è il contrario [della cosa]l 01 •
Ma qualcuno potrebbe dire: voi avete tralasciato di considerare una divi-
sione, e cioè [quella per cui nelle cose] non vi è assolutamente comunanza 102
nella materia, non avendo esse una materia. A ciò si deve rispondere che jn
questo caso non è affatto possibile che vi sia identità nella specie; si è reso
evidente, infatti, che l'essere delle cose che sono identiche nella specie e elle
sono assolutamente libere da materia è di uno [stesso] tipo e che non può esse-
re che la natura (ma'nii) di una di esse si dica di molti [individui] 103 •
E ora che abbiamo indicato queste divisioni - nel numero di cinque - pre-
sentiamo lo statuto [di ciascuna] di esse, una per una.
E diremo: nella divisione di questo tipo - [cioè] quella in cui non vi è
comunanza nella preparazione della materia, né in quella prossima né in quella
remota - non è necessario che gli effetti (atiir) che l'agente produce e elle

Potest etiam aliquis dicere nos iam praetermisisse considerationem unius divisionis, scili-
cet cum non est communicatio in materia omnino, eo quod non est illi materia. Contra quod
responsio haec est, scilicet quia hic non potest esse convenientia in specie ullo modo. lafll
enim ostensum est quod eorum quae conveniunt in specie et sunt separata a materia omni!lO
esse est unius modi omnino, nec potest esse ut intentio unius eorum praedicetur de multis.
Postquam autem assignavimus has divisiones, quae sunt quinque, tunc assignabimus
iudicium uniuscuiusque earum. Dico igitur de hac parte divisionis scilicet in qua non est
communicatio in aptitudine materiae, nec in propinqua nec in remota, quia id quod facit
606 YV'f' (27jf.

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agens de impressionibus quae recipiunt magis et minus, non debet esse aequale sibi.
Possibile est enim ut, secundum quod differunt in substantia materiae, differant etiarn in
aptitudine recipiendi aliquid, et tunc non recipiunt aequaliter. Nec etiam debent esse non
aequalia; nam potest esse dispositio huius sicut est dispositio superficìei aetheris consequen-
tis superficiem circuii lunae in motu qui est per accidens, scilicet quia, ubi non potest esse
aliquid prohibens receptionem impressionis, ibi est aequale quod imprimit agens, et in hoc
loco, id quod fit contingit esse consimile si bi.
Sed in alia parte divisionis, scilicet in qua est aptitudo perfecta, [313] quocumque modo
fuerit res, manifesta est, quia patiens iam assimilatur agenti assimilatione perfecta, sicut
ignis qui convertit aquam in ignem, et sicut sal qui convertit mel in sal et similia. Iarn autem
potest esse ut patiens addat super agens, sicut videtur sed non est certum, sicut aqua quam
congelat aer, quia frigiditas aeris non infrigidavit illam congelationem. Sed, cum tu bene
consideraveris, non est agens solummodo frigiditas quae est in aere, sed et eius virtus infri-
gidans formalis quae est in substantia aquae, quam iam assignavimus in naturalibus, sive
adiuvet eam, si ve non adiuvet frigiditas aeris.
TRATIATO SESTO- SEZIONE TERZA 607

ricevono il più e il meno, [273] gli siano equivalenti. È infatti possibile che, in
quanto [causa e causato] differiscono nella sostanza della materia, essi differi-
scano per quanto riguarda la preparazione a ricevere la cosa e che non la riceva-
no, quindi, in modo equivalente; ma neppure è necessario che i due non siano
equivalenti a questo riguardo. Al contrario! A questo riguardo può aversi ciò
che si ha nel caso in cui la superficie (saf/:l) dell'etere 104 segue la superficie della
sfera della luna nel movimento per accidente; e questo in quanto è possibile che
a questo riguardo [il causato] non trovi impedimento a ricevere l'influsso come
equivalente a quello che produce l'agente; [e come è chiaro] in un simile luogo
ciò [significa che l'agente] produce (il;uliit) qualcosa di simile a sé.
Quanto alla divisione di quell'altro tipo, quella in cui vi è- comunque sia-
una preparazione completa, è manifesto come stiano le cose: ciò che subisce
[l'azione) può essere completamente simile all'agente, come il fuoco che tra-
sforma l'acqua in fuoco e il sale che trasforma il miele in sale e cose simili. E
può anche essere che ciò che subisce [l'azione] sia di più rispetto all'agente, ma
[solo] in apparenza, non in senso reale, come l'acqua che l'aria congela senza
che il freddo di quell'aria sia tanto quanto è il freddo di quel che si è congelato;
sennonché, quando vai a verificare [il fenomeno], l'agente non è solo 105 il fred-
do che si trova nell'aria, ma è anche la potenza raffreddante che viene da una
forma che si trova nella sostanza dell'acqua- ne abbiamo dato indicazione in
Fisica; [e ciò] quando il freddo dell'aria la aiuta e non la ostacola.
Quanto alla divisione di quell'altro tipo, poi, quella in cui la preparazione
di ciò che subisce l'azione è manchevole, ebbene non è affatto possibileHl6 che
ciò che subisce l'azione si assimili e sia equivalente ali' agente, che è dalla
potenza completa. Non è affatto possibile, [cioè], che siano equivalenti ciò che
si dà a partire da una potenza che è nella cosa 107 e che non ha [nulla di] contra-
stante e ciò che si dà a partire da un'altra potenza 108 , in cui vi sono invece
qualcosa di contrastante e un impedimento. Oppure, [perché siano equivalen-
ti], dovrà svanire l'impedimento. Perciò, non è possibile che vi sia qualcosa di
diverso dal fuoco che sia riscaldato dal fuoco e il cui calore sia come il calore
del fuoco 109 , o che vi sia qualcosa di diverso dall'acqua che sia raffreddato
dall'acqua e il cui freddo sia maggiore del freddo [274] dell'acqua 110. [Questo]

In alia autem parte divisionis, scilicet in qua est aptitudo patientis imperfecta, non potest
patiens assimilari agenti perfecto in virtute nec aequari ei. Non est enim possibile ut id quod
est iam in virtute cui non est contrarium, et id quod est in alia virtute cui est contrarium
quod prohibeat, sint aequalia ullo modo, nisi removeatur prohibens. Et ob hoc non est possi-
bile esse aliquid praeter ignem a quo calefiat aliquid, cuius calefactio sit qualis est calefactio
illius ignis, nec ut sit aliquid praeter aquam a qua infrigidetur aliquid et sit eius frigiditas
maior frigiditate aquae; aptitudo enim ignis ad calefaciendum et aquae ad infrigidandum est
608 YVt [214]

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dispositio non contraria in sua substantia, et virtus agens est de substantia eius, non extranea
ab ea. Sed in patiente ab illis duobus est prohibens et adversans, quia id quod agit principaJi-
ter [314] passionem est extra substantiam eius et agit in illud per tactum et mediante alio,
sicut calefactio sensibilis in igne calefaciente et frigiditas sensibilis in aqua infrigidante.
Non est igitur possibile illud adaequari ei.
Si quis autem dixerit quod ignis iam liquefacit substantias et facit eas calidiores se: nos
enim possumus mittere manus nostras in ignem et pertransire per illum subito nec adurit tam
graviter sicut Jiquefacta si sic moveremus manus nostras per illa, et ob hoc certe cognosci-
mus quod liquefacta calidiora sunt ipso igne, dicimus quod, quamvis hoc ita sit, non sit
tamen hoc ideo quod liquefactum sit calidius igne, sed fit hoc tribus de causis, ex quibus
tamen una est evidentior, sed illarum trium una est in liquefacto, alia in igne, tertia in tan-
gente. Omnes autem istae sunt adiuvantes se et.propinquae sibi.
Liquefactum enim, eo quod spissum est et est in eo cohaerentia et viscositas et tarditas
separationis, cum tangitur, calefactio comitatur tangentem et non potest separari, nisi in tem-
pore habente mensuram in se comparatione temporis quo separatur calefactio ignis, quamvis
sensus non perpendat illam diversitatem, sed intellectus et ratio faciunt debere. esse diversi-
TRATTATO SESTO- SEZIONE TERZA 609

perché la preparazione del fuoco a riscaldare e quella dell'acqua a raffreddare


sono una disposizione (/:tiil) non contrastante nella sostanza [della cosa] e la
potenza agente è interna alla sostanza di essa e non estranea ad essa, mentre in
ciò che dei due patisce [l'azione] c'è qualcosa che impedisce [l'azione], qual-
cosa di contrastante. Il primo agente del patire è esterno alla sostanza di [ciò
che patisce l'azione] e agisce in essa in virtù del contatto con essa o (wa) in
virtù della mediazione di qualcosa - come il calore sensibile che è nel fuoco
che riscalda, e il freddo sensibile che è nell'acqua che raffredda- e non è pos-
sibile che [il causato] sia equivalente a un tale [agente].
Ora, il fuoco - potrebbe obiettare qualcuno - può liquefare le sostanze e ren-
derle più calde di sé: infatti, introducendo le nostre mani nel fuoco e facendoce-
le passare in fretta, esse non si bruciano come si bruciano sui [metalli] fusi, se
con essi si fa la stessa cosa; in tal modo si saprebbe, cioè, con certezza che [i
metalli] fusi sono più caldi del fuoco, pur essendo stati solo riscaldati dal fuoco.
Ebbene, a questo risponderemo dicendo 111 che ciò non avviene in ragione
del fatto che i [metalli] fusi sono più caldi, ma piuttosto per tre motivi, fra i
quali ve ne è uno che si manifesta più facilmente: un [motivo] risiede in ciò
che si fonde, l'altro nel fuoco, il terzo in colui che tocca; e tutti sono [tali da]
coadiuvarsi e da susseguirsi l'un l'altro.
Quanto a ciò che riguarda quel che si fonde, è perché esso è un fluido e
aderisce, è viscoso, è lento a distaccarsi; così, quando viene toccato, aderisce a
quel che [lo] tocca e non se [ne] può separare se non in un tempo che, se para-
gonato al tempo in cui quel che tocca si separa dal fuocoll2, ha in sé una pro-
pria estensione; e benché i sensi non stabiliscano con esattezza questa diffe-
renza, l'intelletto e la mente si avvedono della sua necessità. E se all'agente
naturale appartiene di produrre nel paziente in un periodo più lungo un'azione
più decisa e più stabile, [all'agente] debole appartiene di fare in un periodo più
lungo qualcosa che [l'agente] potente non [riesce] a fare in un periodo breve.
Quanto a quel che riguarda il fuoco, è perché il fuoco sensibile [consiste]
solo in parti di vero fuoco [mescolate] con parti di terra che salgono e si muovo-
no; stanno insieme perché sono adiacenti l'una all'altra, non per continuità;
anzi, esse sono in se stesse separate e l'aria vi si frappone ogni volta nuovamen-
te e rompe, dunque, quel puro calore che vi è all'interno perché è più fredda
delle [parti del fuoco] e perché, in tale [sua] rapidità, non arriva a subire l'azio-

tatem. De natura autem agentis naturalis est ut agat in suum patiens tempore longiore actio-
nem firmiorem, et ut debilis, tempore longo, agat quod non aget fortis, tempore brevi.
Sed quod est in igne fit ob hoc quod ignis sensibilis non est nisi partes veri ignis cum
partibus terrae, elevando et movendo se, quarum coniunctio est secundum vicinitatem sive
tactum non secundum continuationem, immo sunt inter se divisae et rarificat eas aer qui
[315] subintrat, et ideo id quod de eo intrat in illas diminuit puritatem caloris earum, eo
quod est frigidius ilio, et quia non patiuntur in tanta festinatione passionem per quam fiant
purus ignis, et cum hoc, quia ipse est velocis motus in se, non remanet pars eius tangens par-
610 '(V o [275]

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tem corporis manus tempore quo imprimatur in ea impressio sensibilis; et quia ignis non est
constrictus, sed rarus, ideo facit impressiones multas non sensibiles, nec inducentes mensu-
ram sensibilem nec cum tempore habente mensuram. Quia vero substantia liquefacti est
constricta stabilis et constans per continuationem, ideo id quod de eo obviat superficiei
manus fit quasi una superficies coaequalis illi toti. Sed quia quod de igne sensibili obviat illi
est superficies parvae commixtae, respectu quarum est infrigidans, ideo impressio ignis dif-
fert ab illa, nisi duraverit manus in igne tanto tempore quo coniungi possint tangentia et
multiplicari, et agat unaquaeque superficies in tangentem se actionem quae postea domine-
tur quemadmodum fit in conversionibus naturalibus in infrigidando. Ignis vero qui includi-
tur in calamis fabrorum est magis imprimens in id a quo tangitur quam liquefactum ve! alia
huiusmodi et est velocioris temporis propter suam constrictionem et suam puritatem.
Sed de hoc quod fit in manu, causa est hoc quia manus est potens ad [316] secandum
aerem et ignem in corporibus subtilibus veloci motu, sed non est potens sic ad secandum
liquefactum in spissis tam veloci motu; unde conatus ad secandum et irrumpendum subtilia
est parvus, ad spissa vero est magnus, et potest esse ut non vocetur illud rarum et hoc spis-
sum, nisi ob diversitatem quam habent in hac intentione; quamvis enim liquefactum non
esset viscosum nec magis adhaerens ei quod tangit, nec esset maioris constrictionis et unitio-
nis, tamen, si duret eius secatio tempore longiore in sustinendo illum, et sit stabile et comi-
('fRATTATO SESTO- SEZIONE TERZA 611

ne e a farsi quindi puro fuoco. [275] Con ciò, [tali parti] sì muovono da se stesse
velocemente e quasi nessuna parte resta in contatto con una parte della mano
per un tempo tale da operare un influsso sensibile. Al contrario, vi è un [conti-
nuo) rinnovarsi; e qualcosa che, in un periodo che sia misurabile, non può riuni-
re assieme molti influssi non sensibili, non arriva a una misura sensibile.
La sostanza di quel che fonde, invece, è un insieme del tutto unito, stabile,
che sussiste in virtù della continuità [delle sue parti], ed essendo così 113 , la
superficie della mano incontra - di ciò che fonde - una superficie una, che si
applica uniformemente, mentre del fuoco sensibile incontra piccole superfici
mescolate a qualcosa che, in relazione ad esse, è freddo 114 • E per questo l'influs-
so sarà diverso. A meno che [la superficie della mano]'non resti [in contatto con
il fuoco] per un periodo tale che i contatti possano succedersi l'un l'altro e quin-
di moltiplicarsi così che ogni superficie possa esercitare un'azione su ciò che la
tocca e l'azione sia quindi più potente, come accade nelle trasformazioni natura-
Ji115. Il fuoco trattenuto nelle fornaci simili a quelle dei fabbri ha invece su ciò
che tocca un influsso maggiore di quanto non abbiano i metalli che si fondono e
altre cose e impiega un periodo minore [ad agire] perché è concentrato e puro116•
Quanto poi a ciò che riguarda la mano, ebbene essa è capace di tagliare
l'aria, il fuoco e i corpi sottili con un movimento velocissimo, ma non è capace
di tagliare con un movimento velocissimo il [corpo] denso che si fonde: la resi-
stenza alla spinta e alla lacerazione è, infatti, poca (cosa] in quel che è sottile, ma
è gran [cosa] in quel che è denso; ed è quasi in ragione della differenza che c'è
fra di essi a questo proposito che essi si chiamano l'uno denso e l'altro sottile.
E anche se quel che fonde non fosse più viscoso [del fuoco] e più aderente
a quel che lo tocca e non fosse anche più concentrato e più unito, ma poi fosse
- a causa della sua resistenza - tale da esser tagliato in un periodo più lungo
[del fuoco] e fosse stabile e adiacente e non tale da fuggire al contatto, ciò gli
sarebbe già sufficiente a permettergli di avere un influsso più forte dell'influs-
so [che il corpo] sottile [ha sulle cose], per via dei rapporti temporali. Infatti,
esso eserciterebbe un influsso 117 in un tempo pari a quello in cui lo esercite-
rebbe - essendo in contatto [con la cosa] - il [corpo] sottile; quindi, se il
tempo raddoppiasse, in un certo raddoppiamento [il corpo denso] potrebbe
essere equivalente [a quello sottile] e se raddoppiasse ulteriormente, lo potreb-
be anche superare; e [anche] raddoppiato, il suo tempo potrà non avere, mal-
grado la grandezza del suo rapporto, una misura apprezzabile, come sai.

tans, non refugiens tactum, profecto sufficiet ei hoc ut in secando magis imprimat quam sub-
tile secundum comparationem temporum, quìa, cum ìmpresserit in tanto tempore in quanto
imprimit subtile aliquam impressionem, profecto cum duplicatum fuerit tempus, poterit sibi
adaequari in aliqua duplicationum. Cum vero addiderint in duplicationibus, poterit et hoc
addere super illud, et ideo tempus ignis duplum non erit mensurae sensibilis in actione, com-
paratione magnitudinis adhaerentiae illius Jiquefacti, sicut tu scies.
612 (276]

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Convenit autem ut in hoc loco declaremus hoc amplius, quamvis hoc plus conveniat
magisterio naturali; oportet enim ut hic dicamus quantum sufficit ad solvendam dubitatio-
nem et per quod appareat veritas eius. Deinde, si aliquis voluerit hoc perfectius inquirere,
inquirat illud ex his quae dieta sunt in scientia naturali, et praecipue inveniet illud in bis
quae ex nostra parte sunt.
[317] Ex his igitur omnibus praedictis manifestum est ìam id in quo putant esse conce-
dendum quod agens potest aequari cum patiente, et id in quo putant quod patiens potest
addere super agentem, et id in quo putant hoc non posse concedi, sed mìnus esse eo. Et inte-
rim patuìt quod, quamvìs res ìta esset, tamen ìn intentìone essendì, ìnquantum est ìpsum
esse, non aequantur agens et patiens eo quod non est agens, ìn ìntentìone inquantum est esse,
intentionis per accidens ve! per positionem, sicut ìam ostendimus. Deinde in principio agen-
te cuìus patiens non communicat ei in specie nec in materia, sed communicat ei aliquo modo
in intentìone essendi, non potest considerari dispositio ìntentionis quae est esse, quia ipsa
non communìcant in ea intentione. Remansit igitur dispositio considerandi in eo ipsum esse.
In ceteris autem ab hoc iam erat patiens aequale ve! addens super prìncipium agens.
Sed cum converterìmus nos ad consìderandum illa quantum ad intentionem essendi,
prìncipium agens erit non aequale patienti, eo quod illius esse est per se, et esse patientis
quantum ad illam passionem est acquisìtum ab illo.
TRATfATO SESTO- SEZIONE TERZA 613

Questo tema meriterebbe di essere svolto più di quanto lo abbiamo svolto,


tuttavia esso [276] conviene maggiormente alla disciplina della fisica. Qui è
necessario citarlo solo nella misura in cui in virtù di esso si risolve l'obiezione
[sollevata] e se ne manifesta la portata; poi, se qualcuno intende esaminare in
profondità tale [questione, guardi] alle dottrine approfondite nella scienza natu-
rale e particolarmente a quel che [vi] potrà trovare dì ciò che abbiamo sostenuto.
Ora, da tutte queste dettagliate distinzioni, è manifesto quale sia il caso nel
quale riteniamo che 118 l'agente e il paziente possano equivalersi, quale quello
in cui va ritenuto che 119 [l'agente] sia più [del paziente] e quale quello in cui
non è possibile altro che il fatto che [il paziente] sia meno [dell'agente]. E nel
corso [dell'argomentazione] è divenuto manifesto che, comunque, per quanto
riguarda l'esistenza della natura [e] dal punto di vista della stessa esistenza,
l'agente e il paziente non si equivalgono; [e questo perché] -come abbiamo
reso evidente - l'agente non è tale nei confronti della natura, in quanto quella
[che ne è causata] è [solo] per accidente l'esistenza della natura 120 •
Poi, riguardo a quell'agente o (wa) a quel principio il cui paziente non ha
in comune con esso né la specie né la materia ma, da un certo punto dì vista,
soltanto l'intenzione dell'esistenza, non è possìbile 121 considerare lo stato
dell'intenzione cui appartiene l'esistenza, perché i due non hanno alcuna
comunanza a questo riguardo. In tale caso [non] resta [che] considerare l'esi-
stenza stessa, mentre in tutti gli altri i casi si avranno equivalenza 122 o superio-
rità del principio agente 123 • E quando [dunque] si torna alla considerazione
dell'esistenza, il principio agente 124 non è equivalente [al paziente] perché la
sua esistenza è per sé, mentre l'esistenza del paziente, in quanto [questo] subi-
sce l'azione, è acquisita dali' [agente].
Inoltre, I' esistenza in quanto è esistenza non differisce per quanto riguarda
l'intensità e la debolezza e non riceve il meno e il più mancante; essa differi-
sce solo riguardo a tre 125 statuti che sono: l'anteriorità e la posteriorità, la ric-
chezza e l'indigenza 126, la necessità e la possibilità. Quanto all'anteriorità e
alla posteriorità 127 , ebbene - come hai appreso - l'esistenza appartiene in
primo luogo alla causa e, secondariamente, al causato; quanto alla ricchezza e
all'indigenza, hai appreso che la causa non ha bisogno del causato per esistere.
Anzi, essa è esistente 128 in virtù di se stessa, oppure in virtù di un'altra causa;
e questo senso 129 è vicino al primo, anche se è considerato diversamente. [277]

Deinde esse, inquantum est esse, non variatur in fortitudine et debilitate nec recipit
magis et minus, quia non variatur nisi tribus modis, scilicet secundum prioritatem et poste-
rioritatem, et secundum [318] quod est indigens et non indigens, et secundum quod est
necesse et possibile. Si autem consideraveris prioritatem et posterioritatem, profecto, sicut tu
nosti, esse prius erit causae, et deìnde causato. De indigenti autem et non indigenti, iam
nosti quod causa ad esse non indiget causato, quia habet esse per se ve! per aliam causam.
Sed haec intentio paene est quasi prima, quamvis differat ab ea aliquo respectu. De necessi-
614 YVV [277]

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tate quoque et possibilitate, iam nosti quod, si fuerit causa quae est causa omni causato, illa
erit necesse esse respectu universitatis causatorum et esse absolute. Si vero fuerit causa ali-
cuius causati, ipsa erit necesse esse respectu illius causati, et illud causatum, qualecumque
fuerit, est possibile esse in se. Summa autem horum haec est, quod causatum quantum in se
est id cui non est necesse esse, alioquin esset necessarium absque sua causa cum positum
fuerit esse necesse per se, et inquantum non prohibetur ei esse; sin autem, haberet esse per
causam. Ipsum igitur per seipsum sine condicione essendi sibi causam vel non essendi sibi
causam est possibile esse, nec est necesse sine dubio nisi propter causam. Deinde causa,
sicut ostensum est, non conceditur necessario esse propter illud, sed erit vel necesse per se,
ve! necesse propter aliud a se, et cum acquisitum fuerit sibi esse per illud, tunc potest esse ut
ab ea sit esse aliud a se. lgitur causatum respectu sui est possibile, et causa respectu sui vel
est necesse vel possibile. Sed si fuerit necesse esse, tunc esse eius dignius est quam esse
possibilis. Si vero fuerit possibile, nec fuerit necesse propter causatum, sed causatum est
necesse propter illam post necessitatem illius, tunc essentia causae consideranda est inquan-
tum est necesse propter illud, non attendentes essentiam causati, sed hoc erit propter illud
necesse, nulla consideratione adhuc habita de causato, cum essentia causati [cum] non [319]
TRATIATO SESTO- SEZIONE TERZA 615

Quanto alla necessità e alla possibilità, noi sappiamo 130 che se c'è una causa
che è causa di tutto quel che è causato, essa è necessaria nell'esistenza in rela-
zione al tutto di tutti i causati e in assoluto, mentre se è causa 131 di un certo
causato, essa lo è in relazione a quel causato, mentre questo causato, comun-
que sia, è possibilmente esistente in sé.
Per riassumere, diremo: il causato in sé è tale che 132 per esso l'esistenza
non è necessaria; altrimenti, se si supponesse necessario per sé e tale che per
esso l'esistenza non sia impossibile, sarebbe necessario indipendentemente
dalla propria causa; sennonché, l'essenza di quel che esiste in virtù della
causa, è per sé - non a condizione di avere o di non avere una causa- possi-
bilmente esistente e senz'altro è necessaria soltanto in virtù della causa.
Inoltre - come si è mostrato evidente - non può essere che la causa sia
necessaria in virtù [dell'essenza del causato] 133 . Piuttosto [una cosa) 134 è o
necessaria per sé o necessaria in virtù di una cosa diversa da sé; così, quando 135
in virtù di [quel che è diverso], per essa si attua la necessità, può essere 136 che
ne provenga la necessità di qualcosa di diverso da sé. Ecco allora che il causa-
to, in considerazione della sua essenza, è possibile, mentre la causa, in conside-
razione di se stessa, è o qualcosa di necessario o qualcosa di possibile; se è
qualcosa di necessario, la sua esistenza 137 sarà più reale dell'esistenza di quel
che è possibile; e se è qualcosa di possibile, non essendo necessaria in virtù del
causato ed essendo, invece, il causato necessario in virtù di essa 138 e posteriore
alla necessità di essa, allora l'essenza della causa verrà ad essere necessaria non
in relazione al causato, mentre l'essenza del causato non verrà ad essere neces-
saria, se non in relazione ad essa. Si può, quindi, guardare all'essenza della
causa in quanto essa è qualcosa di necessario 139 senza prendere in considerazio-
ne l'essenza del causato; anzi [si può guardare ad essa] in quanto essa è qualco-
sa di necessario, laddove il causato non viene ancora considerato; l'essenza del
causato, invece, non è se non possibile e non è necessaria se non in quanto si
considera la [sua] relazione con la causa. Così alla causa appartiene che le sia
propria la necessità mentre, per quanto riguarda questa [stessa] appropriazione,
al causato appartiene soltanto la possibilità 140 . E se al causato appartiene la
necessità, questa appartiene in primo luogo alla causa; altrimenti, la causa
sarebbe ancora possibile e la sua esistenza non sarebbe necessaria, mentre
sarebbe necessaria l'esistenza del causato ed esso sarebbe, dunque, necessario
non a partire dall'essenza della causa, il che è impossibile.

sit nisi possibilis, nec curantés considerare illud respectu causae. Igitur causae erit appro-
priatio necessitatis, et causato non erit nisi possibilitas tantum apud illam appropriationem.
Sed, cum causato fuerit necessitas, causae quoque erit necessìtas; alioquin, causa adhuc
esset possibilis, nec esset necesse suum esse, et sic necesse esse esset causatum. Eveniret
igitur quod esset necesse, et non propter ipsam causam, quod est absurdum. Igitur causae
616 rvA [278, I-8J

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erit necessìtas respectu sui inquantum ìpsa comparatur causato, eo quod causa non est neces-
se propter illud, sed propter se, vel propter respectum sui ad aliud, non ad se. lnquantum
autem causa nondum refertur ad causatum, causatum esse non est necesse, quia non est
necesse suum esse nisi inquantum causa refertur ad illud et tunc fit.
Propter has igitur tres intentiones causa est dignior esse causati; igitur causa dignior est
causato. Sed quia esse absolute, cum positum fuerit esse alìcuius, fiet certitudo eius, manife-
stum est tunc quod principium, quod est attribuens certitudinem in qua ipsum communicat,
dignius est habenda ipsa certitudìne. Cum igitur certum fuerit hic esse principium primurn
quod est attribuens aliis certitudinem, profecto certum erit quia ipsurn est certitudo per sei-
psurn, et etiam certum erit quod scientìa de eo est scìentìa de verìtate absolute, secundum
quod scìentìa dìcìtur verìtas, scìlicet guae est in respectu sci ti.
.TRATIATO SESTO- SEZIONE TERZA 617

Dunque alla causa appartiene una necessità che le spetta in considerazione


della sua essenza e in quanto [278] essa non è relazionata al causato, mentre il
causato permane ancora in quel che esige la sua possibilità. La causa, infatti, è
necessaria non a partire da esso 141 , ma o per sé o perchè è relazionata a qual-
cosa di diverso [dal causato] e non è ancora relazionata al causato; l'esistenza
del causato, invece, non è necessaria: la sua esistenza è necessaria soltanto in
quanto le è relazionata la causa; e la causa quindi per queste tre intenzioni
viene ad essere più degna dell'esistenza di quanto non lo sia il causato. La
causa, dunque, è più reale del causato. E poiché quando dell'essere assoluto si
fa l'essere di una [data] cosa, esso diviene qualcosa di reale 142 , è evidente che
il principio che dà la [stessa] realtà 143 di cui esso partecipa è più degno in
realtà 144 • E dunque, se è valido affermare che vi è un "Principio primo" che sia
quello che dà ad altro da sé la realtà 145 , è valido affermare che esso è il Reale
per sé e che la scienza che lo riguarda è la scienza del reale, in assoluto 146 ; e
quando se ne raggiunge la scienza, la scienza reale è assoluta, nel modo in cui
si dice della scienza che è vera 147 , e cioè nel senso in cui [lo] è in relazione al
proprio oggetto.
618 [278,9-16]

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IV
CAPITULUM DE ALIIS CAUSIS SCILICET MATERIALIBUS FORMALIBUS ET FINALIBUS

[320] Sed postquam tractavimus de principio efficiente, loquamur nunc de aliis princi-
piis. Sed principium materiale est id in quo est potentia essendi rem. Dico igitur quod illi est
haec dispositio cum alio multis modi s. Alicubi enim est sicut tabula scripturae, quae apta est
ad recipiendum aliquid quod accidit ei sine aliqua sui permutatione ve! remotione alicuius
ab ea quod erat ei.
619

SEZIONE QUARTA

SULLE ALTRE CAUSE: MATERIALI, FORMALI E FINALI

Questo è dunque quanto sosteniamo riguardo al principio agente; passiamo


ora a spiegare 148 ciò che si [deve] sostenere degli altri principi. La "materia" 149
è ciò in cui risiede la potenza dell'esistenza della cosa. E- diremo- alla cosa
tale stato, insieme a un'altra cosa, appartiene in vari modi:
- a volte, infatti, è come la lavagna rispetto alla scrittura: essa, cioè, è pre-
parata a ricevere qualcosa che le accade senza che in essa vi sia un mutamento
e senza che debba cessare qualcosa che le apparteneva;
620 [279]

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Alicubi vero est sicut cera imagini et sicut puer viro, quorum unumquodque aptum est
ad recipiendum aliquid sine permutatione aliqua suarum dispositionum, excepta motione
secundum ubi et secundum quantum et cetera huiusmodi. Alicubi vero est sicut lignum lecto
quod, cum dolatur, minuitur aliquid de substantia eius. Alicubi vero est sicut album nigro:
hoc enim alteratur et amittit qualitatem quam habebat sine corruptione suae substantiae.
Alicubi vero est sicut aqua aeri, ex qua non fit aer nisi quia ipsa corrumpitur. Alicubi vero
est sicut sperma animali quod eget spoliari a sua forma saepe quousque adaptetur formae
animalis. Similiter uvae acres vino. Et alicubi est sicut materia prima formae, quae adaptata
est ad recipiendum eam et per eam constituitur in [321] effectu. Et alicubi est sicut species
TRATTATO SESTO- SEZIONE QUARTA 621

[279) - a volte è come la cera rispetto alla statua o il fanciullo rispetto


all'uomo: essa cioè è preparata a ricevere qualcosa che le accade senza mutare
nessuno dei suoi stati, se non un movimento che riguarda il "dove" o il "quan-
to" o altro;
- a volte è come il legno rispetto alletto che, infatti, con la tomitura, viene
un po' diminuito nella sua sostanza;
- a volte è come il nero rispetto al bianco: si trasforma e perde la propria
qualità, senza che la sua sostanza si corrompa;
-a volte è come l'acqua rispetto all'aria: l'aria ne proviene solo in quanto
essa si corrompe;
-a volte è come lo sperma rispetto all'essere vivente: ha bisogno di spo-
gliarsi di forme che gli appartengono in modo da prepararsi a ricevere la
forma dell'essere vivente; e così è l'uva rispetto al vino 150 ;
- a volte è come la materia prima (al-miidda al-ula) rispetto alla forma: è
preparata a riceverla, sussistendo in atto in virtù di essa;
- a volte è come il mirabolano rispetto ali' elettuario 151 : l'elettuario non
proviene solo dal [mirabolano], ma da esso e da qualcosa di diverso da esso;
così, prima di [essere impastato, il mirabolano) è in potenza una delle parti
[dell'elettuario);
- a volte [infine] è come il legno e le pietre rispetto alla casa; questo è
come [il caso) precedente, se non per il fatto che nel primo [caso] l'elettuario
proviene dal mirabolano per una sorta di trasformazione, mentre in questo
[caso) si ha solo la composizione [degli elementi]; e di questo [stesso] genere
sono anche le unità rispetto al numero. E alcuni ritengono che anche le pre-
messe siano tali rispetto alla conclusione, ma questo è un errore. Le premesse,
piuttosto, sono tali per la figura del sillogismo: la conclusione non è una forma
nelle premesse, ma qualcosa che ne consegue necessariamente: è come se le
premesse la producessero nell'anima.

bellirici electuario, ex quibus solis non est electuarium, sed ex eis et alia; ante hoc autem
erat una ex suis partibus electuarii in potentia. Et alicubi est sicut ligna et lateres domui. Hoc
autem videtur esse simile praecedenti, sed differt quia ex praecedenti non fit electuarium
nisi secundum alterationem; in hoc vero non est nisi compositio; et huius maneriae sunt
etiam unitates numero. Iam autem posuerunt quidam propositiones similiter materiam con-
clusioni; et est error, immo propositiones sunt materia figurae syllogismi. Conclusio vero
non est forma propositionum, sed quiddam quod consequitur ex illis, quasi propositiones
efficiant eam in anima.
622 •o.• [280]

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. ;J_,.....II: ~ 'l.J .:..\.ili~~ _,-J t;.JI --A;·~ ù--J ~ <.>.ili ~~ ~ oU.J

Secundum hos ergo modos invenies res quae sustinent potentiam. Illae enim res, ve)
sustinent potentiam per seipsas, vel per consortium alterius.
Si autem per seipsas, tunc ad hoc ut sit ex eis aliquid in effectu, vel non egebunt aliquo
alio, sicut tabula. Et hoc est quod debet vocari subiectum respectu eius quod est in eo, et
oportet ut huiusmodi res habeat per se in effectu existentiam. Nisi enim habuerit existentiam
[322] non erit adaptata ad habendum id quod fit in ea. Si vero non fuerit existens nisi per id
quod advenìt in eam, tunc iam fuit in ea aliquid receptum quod requievit in ea cuius adventu
constituitur; aut secundum erit tale quod non constituit illud sed adiungitur ei, vel erit quod
adventus eius destruet id quod erat constitutum ante adventum eius: eveniet igitur ut altere-
tur; nos autem posuimus illud non alterari, et hoc est prima pars divisionis. Vel egebit ut ali-
quid sibi addatur: et hoc erit vel motus localis tantum vel motus secundum qualitatem vel
motus secundum quantitatem, ve! motus secundum situm vel motus substantialis, vel remo-
ti o alicuius de substantia eius, si ve si t quantitas si ve qualitas eius si ve aliquid aliud.
Quod autem fuerit per consortium alterius rei sine dubio erit ei coniunctio et composi-
tio. Vel compositio erit ex coniunctione tantum, vel cum hoc erit alteratio secundum quali-
TRATTATO SESTO- SEZIONE QUARTA 623

[280] È in questi modi che troviamo le cose di cui si predica la potenza. Di


esse, infatti, la potenza si predica o in quanto esse sono uniche, oppure in
quanto sono associate a qualcosa di diverso da esse.
Se [la potenza si predica di esse] in quanto sono uniche, allora perché ne
provenga qualcosa bisogna soltanto che questa [potenza] passi all'atto; questo
è quel che conviene chiamare "soggetto" in relazione a ciò che vi si trova, ed è
necessario che qualcosa di simile abbia in atto per sé una [propria] sussistenza.
Infatti, se [il soggetto] non avesse sussistenza, non potrebbe essere disposto a
ricevere quel che vi si attua; al contrario, è necessario che sia sussistente in
atto. Se, infatti, [il soggetto] fosse tale da divenire sussistente solo in virtù di
quel che vi inerisce, vi dovrebbe inerire qualcosa prima di quel che vi inerire-
rebbe in un secondo [momento] e in virtù del quale esso avrebbe sussistenza.
Ma allora, o 152 questo secondo [elemento] non sarebbe quel che lo fa sussiste-
re - ma solo qualcosa di relazionato ad esso - oppure il suo comparire farebbe
svanire quel che lo faceva sussistere prima; così però esso si sarebbe trasfor-
mato, mentre lo avevamo ipotizzato tale da non trasformarsi; e questo è un
[primo] caso.
Altrimenti, se [il soggetto] ha bisogno di qualcosa in più, ha bisogno o sol-
tanto di un movimento- sia esso locale, qualitativo, quantitativo, posiziona-
le153 o sostanziale- oppure del fatto che svanisca qualcosa d'altro rispetto alla
sua sostanza, o una quantità o una qualità o altro.
Quanto a quel che è [in potenza] in associazione con altro da sé, per ciò
che lo riguarda vi è senz'altro una [sorta] di riunione e di composizione; e sarà
o una composizione che si ha soltanto a partire da una riunione [di elementi],
oppure [una composizione] che insieme ad essa [dà luogo] a una trasformazio-
ne della qualità. E tutto ciò in cui c'è mutamento perviene al proprio termi-
ne154 o in virtù di un solo mutamento o in virtù di molti mutamenti.
Ora, corre l'abitudine di chiamare "elemento" (ustuqus) ciò a partire da
cui, all'interno della cosa, si ha generazione per composizione: esso è ciò in
cui in ultima analisi [la cosa] si risolve. Se [si tratta di una cosa] corporea,
[l'elemento] è la quantità minima cui giunge, nel dividerla, colui che divide [la
cosa] secondo le differenti forme in essa esistenti; [l'elemento], che è [nella
cosa] per essenza e non è divisibile nella forma, è stato infatti definito in quan-
to la cosa si compone di esso e di qualcosa di diverso da esso.

tatem. Sed in quocumque fuerit alteratio, ve! pervenit ad finem una alteratione, ve! multis
alterationibus.
Iam autem fuit usus ut id ex quo fit generatio per compositionem et est in re, vocetur
elementum, et hoc est id ad quod resolvitur res ad ultimum. Si autem fuerit corporale, tunc
ipsum est minimum ad quod pervenit dividens in dividendo in formas diversas quae sunt in
eo. Et iam definierunt illud esse id ex quo et ex alio a se componitur res, et est in ea per
essentiam et non dividitur per formam. Qui autem tenent quod res non fiunt nisi ex generi-
624 YA\
[281]

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bus et differentiis, ponunt ea prima elementa, et praecipue unum et identitatem. Haec enim
ponunt [323] digniora principiis quantum ad dandam inceptionem, eo quod sunt maioris uni-
versalitatis et generalitatis. Sed si ipsi vellent recte iudicarc, scirent quod existentia per
essentiam non est nisi in individuis. Quae ergo sequuntur ea, sunt digniora ut sint substan-
tiae et existentes per se, et sunt etiam digniora unitate.
Redeamus igitur nunc ad materiam et dicamus quod iam fuit usus ut aliquando dicatur
res esse ex materia et aliquando non: dicunt enim quod porta est ex ligno et non dicunt quod
ex homine est scriptor. Et aliquando id quod fit comparatur subiecto, et aliquando non:
dicunt enim quod porta est !ignea, et non dicunt quod hic est scriptor humanus. Primum
autem, cum fuerit hoc quod subiectum non movetur ullo modo nec alteratur in recipiendo
aliquid, tunc non dicitur quod sit ex ilio, sed semper dicitur quod est ex privatione, sicut
dicitur ex non scriptore. Cum vero alteratur et praecipue cum non invenitur privatio in nomi-
TRATfATO SESTO- SEZIONE QUARTA 62.5

[281] Coloro poi che ritengono che le cose si generino soltanto a partire
dai generi e dalle differenze [specifiche] hanno fatto proprio di questi i primi
elementi e hanno fatto specialmente dell'uno e dell'essere (al-huwiyya) 155 i
principi più degni di essere principio (bi-l-mabda 'iyya), perché sono i più uni-·
versali e i più generali. Tuttavia, se costoro avessero ben giudicato, avrebbero
saputo che la sussistenza appartiene per essenza soltanto agli individui e che
dunque ciò che li segue è più degno di essere sostanza e di essere sussistente
per sé, essendo [le sostanze] più degne anche dell'unìtà 156 •
Torniamo alla questione della "materia" 157 e diciamo: in [alcuni] casi corre
l'abitudine di dire che la cosa proviene dalla "materia" 158 , mentre in [altri] casi
[tale abitudine] non si è affermata. Si dice, infatti, che dal legno proviene umt
porta, ma non si dice che dall'uomo proviene uno scrittore. In alcuni casi,
cioè, si [ha l'abitudine] di mettere ciò che si genera in rapporto con [ciò che
funge da] soggetto, e in altri casi no; così, a volte si dice che questa è umt
porta di legno, mentre non si dice che questo è uno scrittore "umano".
Quanto al primo [caso], ebbene quando trovano che il soggetto non si (:
mosso affatto verso Ua cosa1 e che non è mutato per ri.ceverla, allora non dico-·
no che essa "proviene da" quello, ma dicono sempre soltanto che essa provie-
ne "dalla privazione" 159 , come dicono [che lo scrittore proviene] dal "non
scrittore". Se invece [il soggetto] muta - e ciò riguarda specialmente quello
per la cui inesistenza non trovano un nome 160 - allora dicono che [la cosa]
proviene dal soggetto 161 .
Quanto al rapporto con il soggetto, esso si usa nella maggior parte [dei
casi] solo quando qualcosa di diverso da esso può convenire alla [stessa]
forma 162 • Quanto alla forma, con essa non c'è rapporto e non si dice che [l<l
cosa] ne proviene, ma soltanto se ne deriva il nome. Il soggetto poi può essere
comune al tutto e può essere comune a molte cose, come il succo [è comune]
all'aceto, al vino, al mosto e allo sciroppo 163 •
Ad ogni "materia" in quanto tale appartiene soltanto di ricevere: il fatto
che giunga la forma, le viene da qualcosa di diverso da essa 164 •
Di quelle "materie" o di quei ricettori che sono principio del movimento
che porta all'effetto e sono esistenti in sé [282] si ritiene che siano tali d<l
muoversi per sé, ma non è così; in altri passaggi ci è, infatti, apparso in modo

ne, dicitur quod est ex subiecto. Comparatione vero quae est in subiecto non utimur plerum-
que nisi cum fuerit subiectum sic ut aliud praeter illud adaptetur formae. Sed forma, nor!
comparatur ei, nec dicitur quod sit ex ea, sed derivatur ab ea nomen. Subiectum vero ali-
quando est communicans toti, et aliquando est non communicans [324] toti, sicut uvae com-
pressae sunt origo aceto et vino et arob et aliis huiusmodi. Omnis autem origo, inquanturrl
est origo, non habet nisi receptionem tantum, sed acquisitio formae est sibi ab alio a se, et
quaecumque origo ve! recipiens ve! initium motus ad impressionem fuerit ens in se, putatuf
esse mobile ad eam per se, sed non est ita. Iam enim manifestum est nobis ex aliis lociG
626 t_IJI J..ùll - l.....lU\ '4!W.I YAY [282]

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quod non potest esse una res agens et recipiens eandem rem sine partitione suae essentiae.
Curo autem in origine fuerit principium sui motus per seipsam, tunc erit mobilis per naturam
et id quod fit ex ea erit naturale. Curo vero fuerit principium motus in illa aliquid extrinse-
cum et non fuerit ei moveri per se ad illam perfectionem, tunc id quod fit ex ea erit artificia-
le ve! consimile. Et hoc est totum quod diximus de materia.
Forma autem aliquando dicitur omnis intentio quae in effectu est adaptata ut agat, ita ut
substantiae separatae etiam sint formae. Et secundum hanc intentionem dicitur forma omnis
dispositio et actio quae est in recipiente unito ve! composito, ita quod motus et accidentia
sunt formae. Dicitur etiam forma id per quod constituitur materia in effectu, et tunc substan-
tiae intelligibiles et accidentia non erunt formae. Et dicitur forma id per quod perficitur
materia, quamvis non constituatur per illud in effectu, sicut sanitas et quicquid est ad quod
moventur res naturaliter. Et dicitur forma proprie figura et quicquid aliud fit in materiis per
TRATIATO SESTO- SEZIONE QUARTA 627

evidente che non può essere che una stessa cosa sia agente e ricevente di una
stessa cosa, senza che la sua essenza si divida [in parti]. Tuttavia, se nella
"materia" il principio del movimento [della cosa] è per sé, essa è tale da muo-
versi per natura, essendo qualcosa di naturale quel che da essa si produce; se
invece il principio del movimento viene in essa dall'esterno e ad essa non
appartiene per sé 165 di muoversi verso una [data] perfezione, quel che da essa
si produce è qualcosa di artificiale o di simile; e questo è nel complesso quel
che sosteniamo della "materia".
Quanto alla forma, -diciamo che si può dire "forma":
- di ogni cosa (ma 'nii) in atto di cui è vero affermare che abbia intellezio-
ne166; in tal modo le sostanze separate sono, in questo senso, "forme";
- di ogni struttura e di ogni atto che siano in qualcosa che riceve, sia esso
unico o in composizione; e in tal modo i movimenti e gli accidenti sono
forme;
- di ciò in virtù di cui la materia sussiste in atto, e in questo senso le
sostanze intellettuali e gli accidenti non saranno forme;
- di ciò in virtù di cui la materia si perfeziona, anche se non si tratta della
[forma] in virtù della quale la materia sussiste in atto, come la salute e quel
che si muove verso di essa per natura 167 .
"Forma" si dice poi propriamente di quelle figure o quelle altre [configura-
zioni] che si producono nelle materie in virtù dell'arte e, infine, della specie
della cosa, del suo genere e della sua [differenza] specifica e di tutto questo
insieme; e anche la totalità del tutto 168 è una forma per le parti.
La forma poi può essere manchevole, come è il movimento, e può essere
completa, come l'essere quadrato e l'essere circolare.
E hai appreso che la stessa cosa una può essere forma, fine e principio
agente, sotto diversi aspetti; e [questo] anche nell'arte. L'arte, infatti,
nell'anima è la forma di ciò che è prodotto [artificialmente]. Il costruttore
nella sua anima 169 ha la forma del movimento che porta alla forma della casa;
questo è il principio da cui proviene il fatto che nella materia della casa si attui
la forma. E così la salute è la forma della guarigione, mentre la conoscenza del
trattamento medico è la forma dell'operare la guarigione. L'agente manchevo-
le ha bisogno di movimento e di strumenti affinché quel che ha nell'anima si

artificium. Et dicitur forma species rei et genus eius et differentia eius et hoc totum, quia
totalitas totius forma est etiam partibus.
[325] Forma etiam aliquando est imperfecta, sicut motus, et aliquando perfecta, sicut
quadratura et rotunditas. Iam autem nosti quod una res aliquando est forma et finis et princi-
pium efficiens diversis modis, quod in artificio contingit: nam ipsum artificium forma est
artificiati in anima, eo quod in anima fabri est forma motus ad formam domus; illa enim
principium est per quod venit acquisitio formae in materia domus. Similiter sanitas forma
est curationis, et cognitio medendi forma est sanandi. Agens vero imperfecrus eget motu et
628 [283, 1-9]

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instrumentis ad hoc ut id quod est in anima eius habeat esse in materia; perfectus vero est
cum ex forma quae est in eius essentia provenit esse formae in suam materiam. Videtur
autem quod formae rerum naturalium sint apud causas praecedentes naturam aliquo modo;
apud naturam vero sunt secundum solitum cursum suum aliquo modo, et tu scies hoc postea.
Finis vero est ille propter quem res est, et hoc iam nosti in praecedentibus. Finis autem
aliquando est in aliquibus rebus in ipso agente tantum, sicut gaudium ex victoria, et aliquan-
do est in alio ab agente, qui aliquando est in subiecto, sicut perfectio motuum qui proveniunt
ex cogitatione ve! ex natura; aliquando est in aliquo tertio, sicut cum quis facit aliquid ut per
illud placeat alii; igitur piacere alii finis est extra agentem et extra recipiens, quamvis gau-
dium placendi alii habeat etiam alium finem. Ex finibus etiam est assimilari alii rei, quae res
inquantum desideratur finis est, et ipsa etiam assimilatio finis est.
TRATTATO SESTO- SEZIONE QUARTA 629

dia nella materia; [283] invece, [nel caso dell'agente] perfetto, alla forma che
è nella sua essenza segue l'esistenza della forma nella sua materia. E sembra
che le forme delle cose naturali siano, nelle cause anteriori alla natura, in un
certo modo e, nella natura, in un altro modo, come asservite; e questo lo verrai
a sapere in seguito 170 •
Il fine è ciò in vista di cui è la cosa; questo lo hai appreso nella [trattazio-
ne] precedente. In alcune cose il fine può essere solo nello stesso agente, come
la gioia per la vittoria, mentre in altre cose può essere in una cosa diversa
dall'agente; e questo è a volte nel soggetto, come i fini dei movimenti che pro-
vengono da una riflessione o da una natura, e a volte in una terza cosa, come
chi faccia qualcosa perché così un tale trovi soddisfazione: la soddisfazione
del tale sarà un fine esterno rispetto all'agente e al [soggetto] ricevente, ben-
ché anche la gioia per questa soddifazione sia un altro fine. Fra i fini vi è poi
l'assimilazione di una cosa ad un'altra, e ciò cui ci si assimila, in quanto è
quel che si desidera, è un fine, e la stessa assimilazione è un fine 171 •
630 [283, 10-16]

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v
CAPITULUM DE STABILIENDO FINE
ET SOLUTIONE QUAESTIONUM ILLORUM QUI DESTRUXERUNT FINEM
ET DE DIFFERENTIA INTER FINEM ET NECESSARIUM
ET DE NOTIFICANDO MODO SECUNDUM QUEM FINIS EST PRIOR CETERIS CAUSIS
ET MODO SECUNDUM QUEM EST POSTERIOR CETERIS CAUSIS

[326] Dico igitur iam patuisse ex praedictis quod omne causatum habet principium, et
quod omne incipiens habet materiam et etiam formam. Sed nondum patuit quod omnis
motio fiat propter finem; hic enim est aliquid quod est incuria, et hic est quod est casus, et
etiam hic est sicut motus caeli, qui videtur esse non propter finem; et quod generatio et cor-
ruptio non videntur fieri propter aliquem finem secundum quod putatur.
631

SEZIONE QUINTA

IN CUI SI STABILISCE L'ESISTENZA DEL FINE,


SI RISOLVONO I DUBBI CHE SI SOLLEVANO PER CONFUTARLA,
SI STABILISCE LA DIFFERENZA TRA IL FINE E QUEL CHE È OBBLIGATORIO,
E SI DEFINISCE SOTTO QUALE ASPETTO
IL FINE È ANTERIORE A TUTTE LE ALTRE CAUSE
E SOTTO QUALE ASPETTO È AD ESSE POSTERIORE

Ora diciamo che a partire da quel che precede si è reso evidente che ogni
causato ha un principio e che ogni [cosa] che viene ad essere ha una materia e
una forma, ma non si è ancora mostrato che per ogni mozione (ta/:lrfk) vi è un
fine dato. Infatti, vi è quel che è futile 172 (mii huwa 'abal.), quel che è per caso
(mii huwa ittifiiq), e ancora vi è [ciò che è] come il movimento della sfera:
essi apparentemente non hanno un fine 173 [284] e, [stando a quel che] si può
apparentemente ritenere, neanche la generazione e la corruzione hanno un
fine.
Inoltre, qualcuno potrebbe dire che può esservi un fine per ogni fine, come
per ogni punto d'inizio un inizio e che così, in realtà, non vi è né fine né com-
632 [284]

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Potest etiam aliquis dicere quod unicuique fini sit finis, sicut unicuique principio est
principium, et ita non est verus finis nec perfectio: finis enim verus non est nisi apud quem
est quies. Iam autem invenimus res quae sunt fines, et habent fines usque in infinitum: hic
enim sunt res quae putantur esse fines quae sunt infinitae, sicut conclusiones, quae prove-
niunt ex syllogismis consequenter et non finiuntur. Et potest etiam aliquis dicere: "ponamus
quod omni actioni [327} sit finis; quare ergo posuerunt illum causam priorem ceteris causis,
cum ille sit certe causatum omnium causarum?". Quod autem oportet quaeri de fine post
solutionem huius quaestionis, hoc est scilicet an finis et bonum sint idem an diversa, et
etiam quae differentia sit inter largitatem et probitatem.
Primam igitur quaestionem quae est de casu et incuria, solvo sic, et dico de disposi tione
casus quia quod ipse si t finis aliquis iam ostendimus in naturalibus. Sed de incuria, oportet ut
scias quod omnis motus voluntarius habet principium propinquum et principium longinquum.
Principium autem propinquum est virtus movens quae est in musculis membri, et principium
quod hoc praecedit est concursus virtutis desiderativae; principium vero longinquum est ima-
TRATTATO SESTO- SEZIONE QUINTA 633

pimento; il fine reale - [direbbe] infatti - è qualcosa presso di cui si ha quie-


tel74, mentre noi troviamo delle cose che sono dei fini e che hanno [a loro
volta] altri fini, all'infinito; vi sono, infatti, delle cose delle quali si ritiene che
siano dei fini ma che non hanno fine, come [le] conclusioni che seguono ai sil-
logismi e [che] non hanno fine.
Inoltre, qualcuno potrebbe [anche] dire: lasciamo [da parte la questione]l 75
se il fine sia esistente per ogni azione [e chiediamoci]: perché è stato conside-
rato una causa anteriore, se in realtà esso viene causato da tutte le cause? 176
E ancora, fra quel che sarà opportuno trattare dopo aver risolto queste diffi-
coltà177, vi è [la questione] se il fine e il bene (lJayr) siano una [stessa] cosa o siano
cose diverse. E ancora: qual è la differenza tra la generosità e la bontà (lJayriyya)?
Ora, diciamo che il primo dubbio - quello che è in rapporto con il caso e con
ciò che è futile -lo risolviamo dicendo [da una parte] che di come sia il caso e
del suo essere un certo fine si è trattato esaurientemente nella Fisica 178 e,
dall'altra, che per chiarire come sia la questione di ciò che è futile, è necessario
sapere che ogni movimento volontario ha un principio prossimo, un principio
remoto e un principio [ancora] più remoto: il principio prossimo è la potenza
motrice che sta nel muscolo del membro 179, il principio che gli è successivo è il
consenso della potenza desiderativa, e il principio che è ancora più remoto di
questo è l'immaginativa oppure la cogitativa; infatti, quando nell'immaginativa-
o nel pensiero razionale - si disegna una certa forma, la potenza desiderativa è
mossa al consenso, e al suo servizio 180 sta la potenza motrice che è nelle membra.
Ora, può essere che la forma disegnata nell'immaginazione o nel pensiero
sia lo stesso fine nel quale il movimento ha il proprio termine ultimo, ma può
invece anche essere che sia una cosa diversa da questo; e tuttavia non si giun-
gerà [al fine] che muovendosi verso ciò in cui il movimento trova termine,
oppure [per ciò] per cui il movimento è continuo 181 .
L'esempio del primo [casoJ sta nel fatto che un uomo può essere insoddi-
sfatto della posizione [che occupa] in un certo posto e immaginare fra sé e sé
la forma di un altro posto; egli desidererà allora risiedere in quel posto, si
muoverà verso di esso e il suo movimento avrà termine in esso 182 ; così, ciò
che [l'uomo] avrà desiderato è la stessa cosa in cui avrà trovato termine il
moto originato (ta/:trfk) dalla potenza motrice del muscolo.

ginatio ve! cogitatio. Cum enim in imaginatione ve! in cogitatione rationali fuerit impressa
forma aliqua, et mota fuerit virtus desiderativa ad concurrendum, statim serviet ei virtus
movens quae est in membris; aliquando vero ipsa forma impressa in imaginatione ve! in cogi-
tatione erit ipsemet finis ad quero pervenit motus, et aliquando erit aliud ab hoc, sed non per-
venitur ad illud, nisi per motum apud quod ve! cessabit motus ve! durabit motus.
Exemplum autem primi est hoc scilicet quod hominem aliquando taedet esse in Ioco ali-
quo et imaginatur in anima eius forma alterius [328] Ioci et, quia desidera! esse ibi, movetur
tunc ad illum Iocum et pervenit motus eius ad illum; igitur desideratum eius eri t id ad quod
pervenit motus virium moventium musculos. Exemplum vero secundi est hoc scilicet quod
634 [285]

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aliquando imaginatur in anima hominis forma videndi aliquenl amicum suum et desiderat
videre illum; unde movetur ad Jocum in quo putat se invenire eom. et motus eius pervenit ad
locum illum; id autem ad quod pervenit motus eius non est ipsum suum primum desidera-
tum quod intendebat, sed aliud. Suum enim desideratum consequitur illud et acquiritur post
illud, quod est inventio amici.
Iam igitur nosti has duas divisiones, et ex hoc clarescet tibi aliquantulum quod finis ad
quem pervenit motus in omni disposi tione, inquantum est finis motus, est finis primus verus
virtuti efficienti motum quae est in membris, et virtuti moventi quae est in membris non est
alius finis praeter hunc. Sed aliquando virtuti quae est prior hac est finis alius praeter hunc.
Unde non oportet semper ut illa res sit finis primus virtuti desiderativae, sive virtus sit ima-
ginativa sive cogitativa; nec oportet semper non esse, quia aliquando erit, et aliquando non
TRATIATO SESTO- SEZIONE QUINTA 635

[285) L'esempio del secondo [caso) è che un uomo può avere una rappre-
sentazione interiore del suo incontro con un amico, desiderare di [incontrarlc>)
e quindi muoversi verso il luogo nel quale potrebbe capitargli di incontrarlo; il
suo movimento avrà termine in quel luogo, ma ciò in cui ha termine il suo
movimento non sarà la stessa cosa desiderata per prima e alla quale tendeva,
bensì un'altra cosa (ma'nii); e tuttavia quel che è desiderato- che è l'incontro
con l'amico - la segue e si ottiene dopo di essa.
Ora, questi due casi li conosci e così ti diviene evidente alla minima rifles-
sione che, in quanto è fine di un movimento, il fine in cui in ogni caso ha termi-
ne il movimento è un fine primo autentico per la potenza agente motrice che è
nelle membra, non essendoci per tale potenza 183 un fine diverso da questo, [e
ciò] anche se può accadere che un fine diverso da esso appartenga alla potenza
che è ad essa anteriore. Infatti, non è sempre necessario che tale cosa sia un fine
primo per la potenza desiderativa - sia essa immaginativa o cogitativa - e nep-
pure è sempre necessario che non [lo] sia; può accadere che [lo] sia e può acc~t­
dere che non [lo] sia, come ti si è già rivelato nei due esempi: nel primo dei due
[casi], il fine delle due [potenze] è uno e stesso; nel secondo è differente.
La potenza motrice che è nelle membra è un principio di movimento -
senz'altro - ma anche la potenza desiderativa è un principio primo per un
movimento dato. Infatti, non è affatto possibile che un moto dell'anima non
provenga da un desiderio; [e ciò] perché la cosa verso la quale la potenza,
[prima] non inclina e poi inclina, con un'inclinazione psichica, si produce
senz'altro in virtù di un'attività desiderativa psichica, la quale viene ad essere
dopo non essere stata. In ogni movimento psichico, dunque, il principio più
prossimo è una potenza motrice nei muscoli delle membra, mentre il principio
che gli sta dietro è un desiderio e il desiderio - come si è appreso nella scienza
del Libro dell'anima- segue senz'altro a un'attività immaginativa oppure a un
pensiero, così che il principio più remoto è [o) un'attività immaginativa o un
pensiero 184 •
Ecco, quindi, che vi sono principi per i movimenti psichici: alcuni di essi
sono in se stessi obbligatoriamente necessari, [286] altri non lo sono.

erit, sicut patuit ex duobus exemplis. In quorum primo fuit finis unus; in secondo vero foe-
runt diversi: virtus enim movens quae est in membris est principium motus sine dubio, sed
virtus desiderativa est primum principium illius motus. Non enim potest esse ut motus ani-
malis sit non per desiderium ullo modo: nam id ad quod < ... >tendi t virtus secundum intell-
tionem animalis est per desiderium animalis sine dubio quod fit postquam non fuerat. lgitllr
propinquum [329] principium omnis motus animalis est virtus movens musculos in merll-
bris, et huius principium quod praecedit eam est desiderium. Desiderium vero, sicut tu nosti
in libro De Anima, sequitur imaginationem ve! cogitationem, sine dubio. Igitur primum prill-
cipium eri t imagìnatio ve! cogitatìo.
Haec autem sunt principia motus animali s. ex qui bus quaedam sunt debita per se neces-
sario, et quaedam sunt non debita necessario per se. Debita vero necessario sunt virtutcs
636 [286]

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moventes quae sunt in membris et virtutes desiderativae. Non debita vero necessario sunt
imaginatio et cogitatio: non enim potest esse imaginatio et non memoria, nec cogitatio et
non imaginatio. Sed omni principio motus finis est sine dubio; principium enim quod est
necessarium motui voluntario habet finem necessario, sed cuill principium est necessario,
motus erit vacuus a suo fine.
Et, si contigerit ut concurrant principium propinquum, quod est virtus movens, et duo
principia quae sunt post illam, scilicet desiderativum cum imaginativo ve! desiderativum
cum cogitativo, tunc terminus motus erit finis omnibus principiìs, et hoc non erit sicut est
incuria ullo modo. Si autem contigerit ut differant, scilicet ut virtus movens non sit finis
essentialis virtuti desiderativae, oportebit tunc necessario ut virtuti desiderativae sit finis
alius post finem qui est in [330] virtute movente quae est in membro. Nos enim iam
TRATTATO SESTO- SEZIONE QUINTA 637

Quelli obbligatoriamente necessari sono le potenze motrici che sono nelle


membra e la potenza desiderativa; quelli non necessari sono l'attività immagi-
nativa e il pensiero: infatti, non è necessario in assoluto che vi sia l'attività
immaginativa e non il pensiero o il pensiero e non l'attività immaginativa 185 ,
ma per ogni principio di movimento vi è senz'altro un fine.
Il principio del quale si ha immancabilmente bisogno nel movimento
volontario ha senz'altro un fine, mentre a partire da un [principio] del quale
non si ha bisogno immancabilmente, il movimento può esistere privo del fine
[che riguarda il principio]. Così, se capita che coincidano il principio più pros-
simo - e cioè la potenza motrice - e i due principi che sono dopo di esso 186 -
intendo [dire] quello desiderativo con l'immaginazione e quello desiderativo
con la [facoltà] del cogitare- il termine del movimento sarà il fine proprio di
tutti i principi, e [il moto] non sarà certo futile; se invece capita che siano
diversi- intendo dire [se capita] che quel che è il fine essenziale della potenza
motrice non sia un fine essenziale per la potenza desiderativa - allora per la
potenza desiderativa vi dovrà obbligatoriamente essere un altro fine, che sarà
al di là del fine che è nella potenza motrice che è nelle membra. Questo perché
abbiamo già chiarito che il movimento volontario non è senza desiderio e che
tutto ciò che è desiderio, è desiderio di qualcosa: quando non è [desiderio] di
ciò in cui ha termine il movimento, è senz'altro [desiderio] di qualcosa d'altro,
qualcosa di diverso; e quando il movimento è voluto in vista di una data cosa,
è necessario che questa si dia dopo che il movimento abbia avuto termine.
Ed è evidente che ogni termine 187 in cui finisca il movimento o che si dia
dopo la fine del movimento e riguardo al quale il desiderio immaginativo e
quello cogitativo coincidano è un fine volontario e non è affatto futile; mentre
ha nome di futile ogni termine in cui il movimento finisca, essendo nella sua
identità il fine desiderato e immaginato, ma non essendo il [fine] desiderato in
relazione al pensiero. Invece, ogni volta che il fine non sia termine del movi-
mento e il principio di esso sia un'attività desiderativa immmaginativa e non
cogitativa, allora il principio del movimento del desiderio è senz' altro o
l'immaginazione sola [287] o l'immaginazione insieme con una natura o una

ostendimus quod motus voluntarius non est sine desiderio; omne autem quod est deside-
rium, est desiderium alicuius rei. Quod si non fuerit causa finalis ad finem motus, tunc eri t
ad aliquid aliud sine dubio. Sed cum iam fuerit illud aliud, propter quod quaeritur motus,
profecto debebit esse post perventionem motus; et erit illud quasi id ad quod intenditur
motus vel quod acquiritur post finem motus, et erit quod desiderium imaginativum et cogi-
tativum concurrerunt ad illud: manifestum est igitur quia illud est finis voluntarius et non
est incuria ullo modo.
Omnis autem finis ad quero pervenit motus, si fuerit finis desideratus imaginatione, non
cogitatione, ille est qui vocatur incuria. Cum autem finis non fuerit terminus motus, sed eius
principium fuerit desiderium imaginationis non cogitationis, tunc necesse est, ut vel imagi-
natio sola sit principium motus desiderii, vel imaginatio cum natura vel cum complexione,
638 YAV [287]

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4:* ~..UI, '~ J Jl i _,Al\_,. ~.r<JI ~J"' i-1.:*' L:o\l~ ..,_U\ ..._:..r

sicut suspiratio et motus pulsus, ve! imaginatio cum more et habitu animali qui concurrit ad
illam actionem sine meditatione. Si autem sola imaginatio fuerit principium desiderii, tunc
illa actio vocabitur fortuita et non erit incuria. Si vero imaginatio fuerit cum natura, sicut
suspiratio, vocabitur illa actio consuetudo; mores enim non roborantur nisi frequentatione
passionis. Quod igitur fuerit post mores erit consuetudo sine dubio. Cum autem finis qui est
virtuti [331] moventi qui est terrninus motus iam fuerit, et non fuerit finis alius qui est post
illum quem intendit desiderium et qui est finis desiderii, tunc illa actio vocabitur frustra,
sicut ille qui pervenit ad locum in quo putat invenire amicum et, cum non invenerit eum ibi,
eius actio vocatur frustra comparatione virtutis desiderativae, 11on virtutis moventis, et com-
paratione finis primi et non finis secundi.
TRATTATO SESTO- SEZIONE QUINTA 639

complessione- come [accade nella] respirazione o nel movimento del malato;


oppure l'immaginazione con un costume e un abito psichico che invita a quel-
la data azione, senza che vi sia riflessione.
Se è l'immaginazione sola ad essere il principio del desiderio, quella data
azione prende il nome di capriccio e non di futile;
se è un'iroroaginazione con una natura- come [nella] respirazione- quella
data azione prende il nome di intenzione (qa:jd) obbligatoria o naturale 188 ;
se è un'immaginazione con un costume e un abito psichico, quella data
azione prende il nome di abitudine, perché il costume diviene stabile soltanto
con l'operare le azioni, e quel che è in conseguenza del costume è senz'altro
un'abitudine.
Quando invece il fine che appartiene alla potenza motrice e che è il termi-
ne del movimento è esistente, mentre non esiste l'altro fine, che sarebbe dopo
di esso 189 - e che dovrebbe dirigere il desiderio ed essere il fine del desiderio -
quella data azione prende il nome di vana: come chi giunga nel luogo in cui
potrebbe capitargli di incontrare l'amico e non lo incontra: la sua azione ha
nome di vana in relazione alla potenza desiderativa, non in relazione alla
potenza motrice, e in relazione al fine primo, non al fine secondo 190 .
Ora, una volta fissate queste premesse, diremo che colui che dice che ciò
che è futile è l'azione di chi non ha affatto un fine parla da menzognero; e
,anche chi dice che ciò che è futile è l'azione di chi non ha affatto·un fine che
sia un bene o che sia opinato un bene 191 , parla da menzognero.
Quanto alla prima [obiezione]' 92 , ebbene l'azione è senza fine soltanto
quando non ha un fine in relazione a quel che è il principio del suo movimen-
to, non [quando non ha fine] in relazione a quel che non è il principio del suo
movimento e a qualunque altra cosa capiti.
Quanto poi a ciò al cui proposito si presenta un dubbio a questo simile - [e
cioè il fatto di] giocherellare con la [propria] barba - ebbene, il principio del
movimento prossimo è la potenza che è nei muscoli, e quello che è prima di
esso 193 [288] è un desiderio immaginativo, senza pensiero. Il suo principio

Postquam autem constant hae omnes propositiones, tunc dictio illius qui dixit quod
incuria est actio sine finali causa, falsa est. Qui enim dixit quod incuria est actio sine finali
causa fuit praesumptuosus, et putatur falsus qui est praesumptuosus.
Primo, quod actio non fit sine finali causa, nisi cum non habuerit finalem causam com-
paratione eius quod est principium sui motus, non comparatione eius quod non est princi-
pium sui motus, nec cuiuslibet rei quae contigerit, nec eius quod induxerunt in quaestione
pro exemplo de comendo barbam. Nam principium propinquum motus huius est virtus quae
est in musculo; quod vero praecedit hanc est desiderium imaginabile sine cogitatione; prin-
640 'rM [288]

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cipium enim eius non est cogitatio ullo modo. lgitur non est ei finis cogitativus, sed est ei
finis qui est desiderio imaginativo et virtuti moventi. Manifestum est igitur quod haec actio
secundum principium eius quod est virtus movens pervenit ad finem; hoc autem quod non
movetur ad finem non est nisi quia videtur quod principium eius non sit virtus movens. Non
oportet autem putari hoc provenire non ex desiderio imaginabili ullo modo. [332] Omnis
enim actio animalis fit postquam non fuit, hic igitur est desiderium aliquod sine dubio et
inquisitio animalis. Hoc autem est cum imaginatione aliqua, sed imaginatio aliquando non
erit stabilis sed facile destructibilis, ve! erit stabilis sed non animadvertit eam: non enim
omnis qui imaginat aliquid animadvertit illud nec iudicat se iam imaginasse aliquid; imagina-
re enim aliud est quam animadvertere se imaginasse, et hoc manifestum est; si enim omnem
ìmaginationem comitaretur animadversio illius imaginationis, procederet hoc in infinitum.
Secundo, quod de adventu huius desiderii aliqua causa est sine dubio, vel quae est con-
suetudo, vel taedium dispositionis et voluntas movendi se ad aliam dìspositionem, vel con-
TRATTATO SESTO- SEZIONE QUINTA 641

[cioè] non è affatto un pensiero e così, per quanto riguarda [questo movimento],
non vi è 194 un fine cogitativo, [pur] essendovi il fine che appartiene al desiderio
i.Jnmaginativo e alla potenza motrice. È dunque evidente che, in relazione al pro-
prio principio motore, quest'azione ha termine in un fine ed è soltanto in relazio-
ne a quel che non è il suo principio motore che essa non si muove verso un
fme 195 • Non si deve ritenere che questa [azione] non provenga da un desiderio
i.Jnmaginativo 196 ; ogni azione psichica 197 è, infatti, dopo non essere stata e perciò
vi è senz'altro un certo desiderio e una ricerca psichica. Una tale [ricerca] si
accompagna a una certa immaginazione, solo che quell'immaginazione potrà non
essere stabile; anzi, [essa potrà essere tale] da vanificarsi rapidamente oppure
potrà essere stabile ma senza essere avvertita, perché chi immagina una cosa non
ha sempre insieme a questa una coscienza di essa, giudicando di averla immagi-
nata; e questo perché avere immaginazione è una [cosa] diversa dall'avere
coscienza di avere un'immaginazione; ciò è manifesto, e se ad ogni immagina-
zione seguisse la coscienza dell'immaginazione, la cosa procederebbe all'infinito.
Quanto alla seconda [obiezione, ad essa si rispondejl 98 , in quanto vi è
senz'altro una qualche causa perché sorga questo desiderio: o un'abitudine o
un'insoddisfazione per una [certa} disposizione e una volontà di passare a
un'altra disposizione, oppure l'aspirazione, da parte delle potenze motrici sensibi-
li, a far sì che per esse si rinnovino il movimento e la sensazione 199• Ora, l'abitu-
dine è piacevole, il passare da qualcosa di noioso [a qualcosa di interessante] è
piacevole, l'aspirazione a una nuova azione è piacevole, intendo [dire] in relazio-
ne alla potenza animale e immaginativa; e il piacere è il vero bene sensibile e
immaginativo e animale; esso è ciò che è ritenuto "bene" in relazione al bene
umano. Così, quando il principio [dell'azione] è un'immaginazione animale 200 , il
suo bene è senz' altro un bene immaginativo animale 201 , e dunque tale azione,
anche se non si tratta di un bene reale e cioè [di un bene che sia tale] in relazione
all'intelletto, non è priva di un bene che le sia relativo; poi, oltre a ciò, vi sono
alcune cause -tra i movimenti particolari, non determinabili [precisamente] - che
riguardano l'appropriazione di una disposizione e non di un'altra.
Il dubbio successivo a questo [appena discussoj2°2 si risolve invece se fac-
ciamo conoscere la differenza tra il fine per essenza e ciò che è obbligatorio,

cupiscentia virium moventium et sensibilium renovandi in se actionem motionis ve! sensibi-


litatis. Consuetudo autem est delectabile et moveri ab eo cuius taedet est delectabile, et velle
facere aliquid novum delectat, scilicet secundum virtutem animalem ve! imaginativam;
delectatio vero est utilitas sensibilis et imaginabilis, sed delectatio animalis quae certe puta-
tur utilitas est secundum partem humanam. Cum autem fuerit principium imaginatio anima-
lis, sine dubio eius utilitas erit animalis imaginabilis; igitur haec actio non eri t vacua ab utili-
tate sui generis, quamvis eius utilitas non sit vera secundum intellectum. Deinde praeter has
sunt aliae causae quae appropriantur aliquibus tantum dispositionibus motuum particula-
rium, qui non comprehenduntur.
Dubitati o vero quae consequitur illud manifestabitur per hoc scilicet [333) ut scias diffe-
rentiam inter finem per essentiam et finem necessarium, qui est unus ex fini bus qui sunt per
642 [289]

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accidens. Differentia autem inter haec est quod finis per ess~ntiam est causa quae quaeritur
propter seipsam, necessarium vero est unumquodlibet ex tribus, quia vel est aliquid quod
necesse est esse ad hoc ut sit finis, inquantum ipsum est causa finis aliquo modo, sicut duri-
ties ferri ad hoc ut perficiatur incidere; ve] est aliquid quod necesse est esse ad hoc ut sit
finis, non quod ipsum sit causa, sed quia est comitans causam, sicut hoc quod necesse est
esse corpus fuscum, ad hoc ut sit incidere, non fuit autem corpus fuscum necessarium ad
incidendum cum eo propter suam obscuritatem, sed quia C()mitatur ferrum, quod necessa-
rium est ad incidendum cum eo; ve! est aliquid cuius esse necessario comitatur ipsam cau-
sam fmalem, sicut causa finalis coniugii est generatio filiofllm, deinde generationem sequi-
tur amor filiorum et comitatur eum, non quod coniugium fuerit propter amorem filiorum. Hi
omnes sunt fines per accidens necessarium non per accidens casuale. Iam autem tu nosti
alias fines accidentales casuales. Scias autem quod esse principiorum desiderii naturalis est
divisio secunda ex his divisionibus. Verbi gratia, nam quia debuit in fine divino esse largita-
TRATTATO SESTO- SEZIONE QUINTA 643

che è uno dei fini che sono per accidente: la differenza fra i due è che il fine
per essenza è il fine che si ricerca per sé, mentre quel che è obbligatorio è una
delle [seguenti] tre cose:
[289] - o è una cosa della cui esistenza si ha immancabilmente bisogno
affinché esista il fine, nel senso che, da un certo punto di vista, è causa del
fine, come la durezza della lama [di ferro è obbligatoria] affinché con esso si
porti a compimento l'azione di tagliare 203 ;
- oppure è una cosa della cui esistenza si ha immancabilmente bisogno
affinché esista il fine, non nel senso in cui da un certo punto di vista sia causa
del fine, ma invece nel senso in cui è un conseguente [necessario] della causa;
come [per esempio] non si ha immancabilmente bisogno che vi sia un corpo
nerastro affinché con [il ferro] si porti a compimento l'azione di tagliare, e tut-
tavia si ha immancabilmente bisogno di un corpo nerastro, non per la sua
nerezza, ma soltanto perché [questa] è un conseguente necessario del ferro, del
quale si ha immancabilmente bisogno;
- oppure è una cosa della cui esistenza si ha immancabilmente bisogno
come un conseguente necessario della causa finale stessa; come, per esempio,
nell'accoppiamento, la causa finale è la generazione, poi alla generazione
segue e consegue l'amore per il figlio, ma non204 perché l'accoppiamento sia
in vista di esso. Tutte queste [cose] sono fini in virtù dell'accidente obbligato-
rio, non dell'accidente casuale. Quali siano i fini accidentali e casuali lo hai
appreso in un altro luogo 205 •
Ora, il fatto che nella natura esistano [alcuni] principi del male- sappilo-
[riguarda] il secondo di questi casi. Infatti, per esempio, una volta che sia
necessario- per quanto riguarda il fine divino, che è la generosità- che a ogni
possibilmente esistente 206 sia donata la sua esistenza buona, ecco che - essen-
do in essa [compresa]2°7 l'esistenza dei composti a partire dagli elementi, non
potendo i composti essere se non a partire dagli elementi, non potendo gli ele-
menti [a loro volta] essere per essi che terra, acqua, fuoco e aria, e non poten-
do il fuoco essere tale da condurre a quel fine buono che con esso si intenzio-
na se non in quanto esso è [anche] tale da bruciare e distruggere- questo con-
segue necessariamente, [e cioè] che [il fuoco] sia tale da danneggiare i giusti e
da corrompere molti dei composti.

tem dantem omni quod possibile est esse bonum in suo esse, idcirco unum ex hoc fuit esse
quod est in compositis tantummodo ex elementis, nec fuit possibile elementa esse in illis
nisi terram et aquam et aerem et ignem, sed quia non fuit possibile ut ignis esset eiusmodì
quo induceret ad finem utilem qui intenditur per ignem nisi esset adurens et dissolvens,
[334] ideo comitatur hoc necessario ut noceat iustis et destruat multa ex compositis.
Sed quia iam sumus quasi extra propositum, tunc redeamus ad illud et respondeamus ad
quaestionem inductam, dicentes quod individua generata quae sunt infinita, non sunt fines
essentiales naturae. Nam finis essentialis naturae, verbi gratia, est ut sit substantia quae est
644 [290]

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homo vel equus vel palma, et ut illud esse sit stabile esse; hoc autem fuit impossibile in uno
individuo designato; omne enim quod generatur comitatur necessario corruptio, scilicet
generatum ex hyle corporali. Postquam autem hoc prohibitum fuit in individuo, remansit in
specie. Prima igitur intentio naturae est ut permaneat natura humana et alia huiusmodi ve!
individuum perpetuum non designatum, et illa intentio est causa perfectiva actionis naturae
universalis. Ad hoc autem ut hoc unum permaneat in esse, necesse est ut sint individua post
individua sine fine. Igitur infinitas individuorum numero erit accidentalis secundum inten-
tionem necessarii in parte divisionis prima et secundum quod est accidens per se. Si enim
'fRATIATO SESTO- SEZIONE QUINTA 645

Ma è come se ci fossimo allontanati dallo scopo [che ci eravamo propo-


sto]; torniamo dunque ad esso e rispondiamo al dubbio che si è presentato. Gli
infiniti enti 208 individuali- diremo- non sono fini essenziali nella natura; tut-
tavia, i fini [290] essenziali consistono nel fatto che esista, per esempio, la
sostanza che è l'uomo o il cavallo o la palma e che questa [sua] esistenza sia
un'esistenza duratura e stabile, [cosa] questa impossibile per l'individuo sin-
golo designabile [ostensivamente]; ogni ente- intendo 209 gli enti [costituiti] a
partire dalla materia corporea - è infatti obbligatoriamente accompagnato
dalla corruzione; e quando è impossibile all'individuo, la permanenza passa
per la specie.
Lo scopo primo [che è perseguito] è, infatti, la permanenza, per esempio,
della natura umana- o di un'altra diversa- o di un individuo generico 210, non
di uno determinato. È questa la causa perfettiva211 dell'azione della natura uni-
versale, ed è una. Questa [causa] una, tuttavia, ha immancabilmente bisogno
per attuarsi [in modo] permanente che vi siano individui dopo individui,
all'infinito; così l'infinità numerica degli individui è uno scopo212 nel senso di
quel che è obbligatorio nella prima divisione 213 ; non che sia uno scopo in
sé 214 , perché se all'uomo fosse possibile permanere durevolmente, come per-
mangono il sole e la luna, non vi sarebbe bisogno della generazione e neppure
della moltiplicazione [che si realizza] con la riproduzione.
Tuttavia, anche se ammettiamo che lo scopo sia l'infinità degli individui,
l'infinità degli individui significa una cosa diversa da "ogni individuo":
all'infinito si va soltanto [nel senso che vi è] individuo dopo individuo, non
infinità dopo infinità. In questo caso, quindi, il fine reale esisterebbe 215 e
sarebbe l'esistenza di un individuo generico o l'infinità degli individui; poi,
l'individuo che conduce all'altro individuo e poi a un terzo e a un quarto -
[ciascuno] nella sua identità- non sarebbe un fine per la natura universale, ma
solo per la natura particolare; infatti, poiché [questo finef 16 è un fine per la
natura particolare, quel che è diverso da esso e viene al di là di esso 217 non è
uno scopo o un fine per quella tal natura particolare di cui [questo fine] è fine.
[291] E con "natura particolare" intendo la potenza cui è proprio il governo di

possibile esset hominem permanere semper, sicut permanet sol et caelum, profecto non esset
opus generatione et multiplicatione per generationem; quamvis enim concesserimus quod
intentio naturae non est infinitas individuorum, [335} tamen infinitas individuorum est inten-
tio alia ab intentione cuiuslibet individui; hoc enim quod individua veniunt sine fine post
individua non fit ad hoc ut sit infinitas. Item individuum quod inducit ad aliud individuum et
deinde ad tertium et quartum, non est ipsum finis naturae universalis, sed naturae particula-
ris. Postquam autem haec sunt finis naturae particulari, tunc post illum nihil aliud praeter
illum erit intentio et finis illi naturae particulari quae sunt eius finis. Intelligo autem per
646 [291]
-------------

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naturam particularem virtutem propriam regiminis unius individui, et intelligo per naturam
universalem virtutem infusam in substantias caelorum, quasi unam rem et gubemantem uni-
versitatem generationum; tu autem postea scies haec omnia. Motus autem qui tendit in infi-
nitum est unus per continuationem, sicut nosti in naturalibus, et etiam intentio naturae quae
est in ilio motu non est ìpsemet motus, inquantum est iste motus, sed intentio est ibì durabi-
Jitas, et haec durabilitas est una intentio cuius esse pendet ex rebus quarum numerus conce-
ditur esse sine fine.
Sed modus propositionum et conclusionis est hic. Oportet enim ut scias quod sensus
nostrae dictionis qua dicimus quod causa finalis terminatur et cessat, hic est scilicet quod
causa finalìs, quae est secundum unum agentem et unam actionem, termìnatur. Non potest
enim esse ut agens naturalis vel voluntarius agat actionem per-[336]manentem propter
'fRATIATO SESTO- SEZIONE QUINTA 647

un [solo] individuo 218 , mentre con "natura universale" intendo la potenza che
fluisce nelle sostanze celesti come una cosa una: essa è quella che governa la
totalità di quel che è nel [mondo della] generazione 219 • E tutte queste cose le
saprai dopo.
Quanto al movimento che procede all'infinito 220 , esso è uno per continuità,
come hai appreso nella Fisica 221 • Inoltre, lo scopo di tale movimento non è lo
stesso movimento in quanto esso è questo dato movimento; lo scopo è piutto-
sto l'[etema] durata che descriveremo in seguito. Questa durata è una realtà
(ma'nii) una, vincolata però nell'esistenza ad alcune cose il cui numero possia-
mo ammettere che sia infinito 222 •
Quanto a ciò che si dice delle premesse e della conclusione223 , è necessario
sapere che quel che intendiamo dicendo che "la causa finale ha termine e si
arresta" è che la causa finale che è in relazione a un [solo] agente e a una sola
azione ha termine, e che non può essere che un agente naturale o [un agente
che agisca] per scelta faccia una cosa con la quale tenda in sé a un fine e poi a
un [altro] fine al di là di esso, senza arrestarsi a un termine [ultimo].
E se dallo [stesso] principio uno può emanare un'azione e poi un'[altra]
azione ed esso, in relazione ad ogni azione, viene ad essere un agente diverso
da quello che era in relazione all'altra azione [precedente]- benché per essen-
za e per soggetto non sia diverso da sé- ecco che i fini [di un principio] pos-
sono essere molteplici e [può accadere] che all'agente - in relazione a ogni
suo essere agente - appartenga un altro fine; e se è possibile che di esso si
consideri il suo essere agente e poi l'altro suo 224 essere agente e così all'infini-
to, i suoi fini saranno infiniti.
Inoltre, la conclusione è una causa perfettiva225 per il sillogismo che mira a
qualcosa di determinato; ogni composizione di sillogismo è un'azione che ini-
zia, mentre per l'anima, in relazione a ogni sillogismo, c'è un'azione che rico-
mincia: di conseguenza per diritto si dice che per [l'azione] c'è un nuovo
agente e ogni volta che c'è un agente, c'è un fine in sé determinato che non
può andare all'infinito; infatti, per ogni singolo sillogismo c'è senz'altro una
conclusione.

finem post finem, ita ut non cesset apud aliquem finem. Si enim ex uno principio provenire!
actio post actionem, profecto ipse secundum unamquamque actionem esset agens alius ab
agente qui erat secundum aliam actionem, quamvis nec per essentiam nec per subiectum
esset alius a se; unde possent multiplicari eius fines, et, secundum unumquodque quod fieret
ab eo, esset agens propter alium finem. Si autem conceditur quod ipsum esse agentem, con-
sideratum post suum esse agentem, fit esse alium a se, usque in infinitum, tunc eius fines
erunt usque in infinitum. Item conclusio est causa finalis syllogismo qui fit propter quaesi-
tum terminatum: omnis enim compositio syllogismi fit propter hoc; anima vero, secundum
unumquemque syllogismum succedentem qui proveniet ab eo, meretur dici agens alius et
alius, et, in unaquaque vice qua est agens, est ei finis designatus qui non potest ire in infini-
tum, eo quod unicuique syllogismo est una conclusio sine dubio.
648 [292]

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Sed dubitatio quae sequitur hic solvitur hoc modo: scilket, iam scis quod finis ponitur
res et ponìtur ens, et differentia est inter rem et entem, quamvìs res non si t nisi ens, sicut dif-
ferentia quae est inter aliquid et eius comitans; sed hoc tibi iam verif1catum est. Omnis
autem [337] causa, inquantum est ipsa causa, habet certitudir1em et causalitatem; causa vero
finalis, inquantum ipsa est causa, causa est ut ceterae causae sint causae in effectu. Igitur
causalitas causae finalis est causa esse aliarum. lgitur esse aliarum causatum est a causalitate
illius; eius autem causalitas non est causa esse earum, nisi prius si t imaginata in anima vel in
TRATIATO SESTO- SEZIONE QUINTA 649

[292] Quanto al dubbio successivo226 , esso si risolve sapendo che il fine lo


si suppone sia come cosa (say'), sia come esistente. E, anche se la "cosa" non
[può] essere altro che "esistente", vi è una differenza tra "la cosa" e "l' esisten-
te" che è come la differenza che c'è tra una data cosa (al-amr) e il suo conse-
guente necessario. Ora, questo lo hai già appreso e verificato 227 • Riprendi a
riflettervi a proposito dell'uomo: esso, infatti, ha una realtà, che è la sua defi-
nizione e la sua quiddità, e [ciò] non a condizione di un'esistenza particolare o
generale negli individui [concreti] o nell'anima, esista qualcosa di esso in
potenza o in atto.
Ebbene ogni causa, in quanto è una data causa, ha una realtà e una cosalità; la
causa finale, nella sua cosalità, è causa (sabab) affinché le altre cause siano esi-
stenti in atto come cause mentre, nella sua esistenza, è causata (musabbaba) 2 2.s
per il fatto che tutte le altre cause esistono come cause in atto 229 • È quindi
come se la cosalità della causa finale fosse causa ('illa) della causa della sua
esistenza, mentre la sua esistenza fosse un causato (ma 'Iii!) del causato della
sua cosalità230 . Tuttavia, la cosalità [della causa finale] non è una causa finché
non sia rappresentata nell'anima o in qualcosa di simile 231 e la causa finale
non [può] avere una causa nella sua cosalità, a meno che non si tratti di
un'altra causa, diversa dalla causa che muove verso di essa o che verso di essa
è messa in moto232 •
Una cosa 233 - sappilo- [può] essere causata nella sua cosalità e nella sua
esistenza. Quel che è causato nella sua cosalità è come la dualità, che infatti
nel suo essere dualità è un causato dell'unità; [che cosa sia] quel che è causato
nella sua esistenza, invece, è manifesto e non si cela. E analogamente la cosa
può avere qualcosa che si dà [o come] esistente nella sua cosalità- come la
numerabilità rispetto alla dualità - [293] o [invece come] qualcosa che si

alio consimili. Non est autem causa causae finali in sua causalitate, nisi causa alia praeter
causam quae movetur ad eam vel ad quam ipsa per se movetur. Scias etiam quod aliquando
res est causata in sua causalitate, et aliquando est causata in suo esse. Causata autem in sua
causalitate est sicut dualitas quae in suo esse dualitatis causata est unitatis. Quod vero sit
causata in suo esse manifestum est nec late!. Similiter est aliquando rei aliquid acquisiturn
ad hoc ut si t sua causalitas, < ... > sicut ad existendum quadraturam in ligno vel lapide; cor--
650 [293]

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pora enim naturalia sunt causa causalitatis multarum ex formis et accidentibus quae non ter-
minantur nisi per illa, et sunt causae esse aliquarum ex illis et non suae causalitatis, sicut
putatur iudicium similiter esse in disciplinalibus.
Iam igitur facile est intelligere quod causa finalis in causalitate praecedit causas agentes
< et> recipientes; similiter et formam secun-[338]dum modum quo causa formalis habet
causam quae ducit eam ad illam. Similiter etiam causa finalis in suo esse in anima prior est
ceteris causis: in anima enim agente, prior est quia anima adinvenit eam prius et postea ima-
ginat apud se actionem et inquisitionem recipientis et qualitatem formae < ... >. Respectu igi-
tur causalitatis et respectu essendi in intellectu non est aliqua causa prior causa finali; immo,
ipsa est causa essendi causas ceteras causas; esse vero aliarurn causarum in effectu causa est
tRATIATO SESTO- SEZIONE QUINTA 651

aggiunge, per via di qualcosa che è "in più" rispetto alla sua cosalità 234 , come il
fatto di esser quadrato per quanto riguarda il legno e la pietra235 • E i corpi naturali
sono una causa per \a cosahtà di molte forme e ~di mo\ti1 accidenti~ intendo ~dire
perf36 quelle [forme] che non si definiscono237 se non in virtù di essi; essi sono
poi una causa per l'esistenza- e non per la cosalità- di alcune altre [forme], e
tale si ritiene che sia lo statuto per quanto riguarda gli [enti] matematici.
Ti è facile quindi comprendere che la causa finale, nella cosalità, è anterio-
re alle cause agenti e [a quelle] ricettive e che analogamente essa è anteriore
alla forma, in quanto la forma è una causa formale che conduce ad essa. E allo
stesso modo la causa finale è anteriore alle altre cause anche per quanto
riguarda la sua esistenza nell'anima: nell'anima di colui che agisce, è [anterio-
re] perché in primo luogo esiste [la causa finale] e [solo], poi, in seno
[all'agente] si ha rappresentazione della [causa] agente, della ricerca del ricet-
tore e di come si dia la forma 238 ; nell'anima di colui che non è l'agente 239 , non
vi è invece per nessuna [delle cause] un ordinamento [gerarchico che ponga]
obbligatoriamente [l'una causa anteriore] rispetto all'altra.
Perciò, ljler a,uanto rig,uarda la considerazione della cos.ali.tà e la considera-
zione dell'esistenza nell'intelletto non vi è nessuna causa che sia anteriore a
quella finale: anzi, essa è causa del fatto che tutte le altre cause vengano ad
essere cause; tuttavia, l'esistenza delle altre cause in atto come cause è la causa
della sua esistenza240 • La causa finale non è causa in quanto è "esistente", ma in
quanto è "cosa"; così, dal punto di vista per il quale essa è una causa, è la causa
delle cause, ma dall'altro punto di vista, è il causato delle cause 241 .
Questo quando la causa finale riguarda 242 l'essere che si genera (al-
kawn)243; ma quando la causa finale non riguarda l'essere che si genera e anzi
la sua esistenza è - come ti sarà chiaro nel luogo [opportuno] - più elevata
dell'essere che si genera, allora nessuna delle altre cause sarà causa di essa,
neppure per quell'unica [cosa] che è a un tempo l'attuarsi e l'esistere 244 .
La causa finale, perciò, non è causata dalle altre cause, [cioè] non [lo è ]245
in quanto è causa finale, mentre [lo è] in quanto le appartiene un essere che si
genera (d_iit kawn;n); e se non avesse un essere che si genera, non sarebbe affat-

essendi illam in effectu. Sed causa finalis non est causa inquantum est inventa, sed inquan-
tum est aliquid. Unde, secundum modum quo est causa. causa est aliarum causarum, sed
secundum modum alium est causata causarum, scilicet cum causa finalis iam habuerit esse.
Si enim non habuerit esse in effectu, sed suum esse fuerit prius suo esse in effectu, sicut
postea suo loco monstrabitur. tunc nulla aliarum causarum erit sibi causa nec etiam agens
qui facit haberi esse. Igitur causa finalis non est causata ceterarum causarum secundum quod
est causa finalis, sed secundum quod iam est aliquid in effectu; cum enim non habet esse in
effectu, non est causata ullo modo. Sed, cum consideratur inquantum est causa finalis, est
causa ceterarum [339) causarum, scilicet ad ipsas essendum causas ita ut sit causa agens et
causa recipiens et causa formalis, non ut sint in effectu et habeant esse in seipsis. Quod igi-
652 [294]

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tur per essentiam est causae finali inquantum est causa finalis, hoc est scilicet ut sit causa
ceterarum causarum, sed, ex modo quo eius intentio iam habet esse in effectu, accidit ei ut
sit causata ex hoc modo. Iam igitur notum est per se quomodo aliquid est causa et causatum,
inquantum ipsum est agens et finis, et hoc est unum de principiis naturalium.
Sed quod inquiritur post hoc, declarabitur per hoc quod dicam, scilicet quod finis qui
acquiritur ex actione agentis dividitur in duo, scilicet in finem qui est forma ve! intentio in
patiente receptibili actionis, et in finem qui non est forma nec intentio in patiente receptibili
ullo modo; est igitur in agente. Si enim non fuerit in agente nec in patiente, tunc, cum non
possit esse in illa substantia quae per se stat, quae non est ex materia nec in materia, profec-
to non habebit esse ullo modo.
TRATTATO SESTO- SEZIONE QUINTA 653

to causata246 • Quando consideri il suo essere causa finale, trovi che essa è
causa di tutte le altre cause in quanto sono cause - come il fatto che siano
[rispettivamente] causa agente, causa ricettiva e causa formale- non in quanto
esse sono enti [294] e sono in se stesse esistenti. Perciò, quel che appartiene
per sé alla causa finale in quanto causa finale è che è causa 247 di tutte le altre
cause, mentre- in quanto ciò che con essa va inteso può realizzarsi nell'essere
della generazione (kawn)- le accade di essere causata per quanto riguarda la
generazione 248 •
Ti è quindi chiaro come la [stessa] cosa sia causa e causato, nel senso che è
agente e fine; e questo fa parte dei principi propri dei [filosofi] della natura249 •
Quanto all'indagine [che va condotta] dopo di questa250 , essa si rivela
dicendo che il fine che si attua nell'azione dell'agente è divisibile in due: un
fine che è forma o accidente in qualcosa che subisce e che riceve l'azione; e
un fine che non è affatto né una forma né un accidente in quel che subisce e
che riceve [l'azione] e che perciò è senz'altro nell'agente; se, infatti, non
fosse nell'agente e neppure in quel che subisce l'azione - non potendo essere
qualcosa che sussiste in virtù di se stesso, come [sarebbe invece] una sostan-
za che non si produca da una materia o in una materia - esso non avrebbe
affatto esistenza251 •
L'esempio del primo [caso] è la forma dell'umanità che è nella materia
dell'umanità; essa, infatti, è un fine per la potenza agente che dà la forma nella
materia dell'uomo e ad essa sono indirizzate l'azione [della potenza agente] e
l'atto con cui essa mette in movimento.
L'esempio del secondo [caso] è l'abitazione; essa, infatti, è un fine per
colui che fa costruire la casa e che è il principio del movimento del suo essere,
ma non è affatto una forma nella casa.
E sembra che il fine dell'agente prossimo, quello relativo al fatto che vien
fatta muovere la materia, sia una forma nella materia, mentre ciò il cui fine
non è dato da una forma nella materia non è, in quanto tale, un principio pros-
simo per il movimento. Così, se accade, invero, che ciò il cui fine è una forma
nella materia obbediente e ciò il cui fine è un'intenzione (ma 'nii) che non è
una forma in quella materia siano una stessa cosa, è solo per accidente, come
[295] l'uomo che costruisca una casa per abitarvi: egli, infatti, in quanto è

Exemplum autem primi est forma humana in materia humana, quae est finis virtuti
agenti formationem in materia hominis, et ad hunc finem pervenit eius actio et eius motus.
Exemplum vero secundi est habitatio, quae est finis fabricatori domus quae est principium
motus [340] ad essendum domum; et ipsa nullo modo est forma domus. Videtur autem quod
finis agentis propinquus et contingens motionem materiae sit forma in materia, et ut id cuius
non est finis forma in materia, non sit principium propinquum motui inquantum est sic. Si
autem acciderit quod illud cuius finis est forma in materia data, et [quod] illud cuius finis est
huius intentionis quod non est sua forma in illa materia, sunt unum aliquid, tunc si fuerit hoc
654 [295]

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erit per accidens, sicut cum aliquis fabricat domum ut habitet in ea, ipsa enim inquisitio
habitationis induci t eum ad fabricandum et est ei prima causa fabricandi, inquantum ipse est
fabricator, et est causatum inquantum est habitator. Cum autem ita evenerit ut unus homo
simul sit habitator et fabricator, tunc suus finis, inquantum e~t habitator, alius erit a suo fine
inquantum ipse est fabricator.
Postquam autem manifestum est hoc, dico quod, in parte divisionis prima, finis habet
comparationem ad multa quae praecedebant illum in acquisitione eius in effectu et in esse.
Ipse enim habet comparationem ad agentem et comparationem ad recipiens cum ipsum est
in potentia, et comparationem ad recipiens, cum ipsum iam in effectu est recipiens, et com-
parationem ad motum. Consideratus enim respectu agentis est finis, et respectu motus est
terminus et non finis; fine enim essente propter quem est res et quem intendit res, non
destruitur res, sed per eum perficitur res; motus vero destruitur perventione eius. Con-
'J'RATIATO SESTO- SEZIONE QUINTA 655

colui che ricerca il riparo, motiva la costruzione 252 ed è causa prima della
costruzione ma, in quanto è un costruttore, è un causato di colui che abita, per-
ché il fine di chi abita è diverso dal fine di chi costruisce. E se è così, allora
nello [stesso] uomo che abita e che costruisce, il fine in quanto egli è colui che
abita sarà diverso dal fine che egli ha in quanto è colui che costruisce.
E poiché ciò si è stabilito, diciamo allora che nel primo caso il fine ha rap-
porto con molteplici cose che lo precedono nel darsi in atto e nell'esistenza:
esso, infatti, ha un rapporto con l'agente, un rapporto con il ricettore, quando
questo 253 è in potenza, un rapporto con il ricettore, quando questo 254 è in atto,
e un rapporto con il movimento. E perciò: in virtù della sua relazione con
l'agente, esso è un fine, mentre in virtù della sua relazione con il movimento è
un termine, non un fine; infatti, mentre con l'esistenza del fine- che è ciò in
vista di cui è la cosa e con cui la cosa è in accordo - la cosa non svanisce, ché
anzi essa in virtù [del fine]2 55 si perfeziona, il movimento svanisce quando
arriva al proprio termine. Poi, in relazione al ricettore che, essendo in potenza,
trova in esso perfezione256 , [il fine] è un bene che lo migliora: [per il ricettore
in potenza], infatti, il male consiste nella privazione 257 àella propria perfezio-
ne, mentre il bene, che è opposto al male, è l'esistenza [di essa] e il suo darsi
in atto 258 ; invece, in relazione al ricettore che è in atto, [il fine] è una forma.
Quanto al fine che riguarda il secondo caso, è evidente che esso non è un<1
forma per la materia che patisce [l'azione] né è lo stesso termine del movi·-
mento. Si è già mostrato evidente che esso è una forma o un accident~
nell'agente ed è senz'altro in virtù di esso che l'agente passa da ciò che era ir1
potenza a ciò che è in atto; quel che è in potenza è un male a causa della priva-
zione che lo accompagna, mentre quel che è in atto è il bene che a [queste)
male] si oppone. Questo fine è quindi un bene in relazione all'essenz<l
dell'agente, non in relazione all'essenza del ricettore e così, se è rapportate)
all'agente in quanto esso è principio del movimento ed è un agente, è un fine,
mentre se gli è rapportato in quanto in virtù di esso [l'agente] passa dall<1
potenza [296] all'atto e si perfeziona, è un bene; [e ciò solo] se questo passar~

[341]sideratus vero respectu recipientis quod perficitur per illum, cum ipsum erat in poten-
tia, est bonum quod adaptat ipsum, malum vero privatio est suae perfectionis, sed bonurr1
quod est ei oppositum est esse et acquisitio in effectu. Consideratus vero respectu recipien-
tis, cum ipsum iam est in effectu, est forma.
Finis vero secundum divisionis partem secundam, notum est quod non est forma mate-
riae patientis nec est ipsemet terminus motus. Iam autem claruit quod ipse est forma ve!
intentio in agente, et quod per illum sine dubio exit agens de potentia ad effectum; qum!
autem est in potentia est propter privationem cui coniunctum est malum; quod vero est i11
effectu est bonum illi oppositum. lgitur hic finis bonum est respectu essentiae agentis; se<!
<respectu> agentis, secundum quod est principium motus et agens, est finis; respectu ver<>
agentis, secundum quod per illum exit de potentia ad effectum et perficitur, est bonum, sj
656 [296]

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ille exitus de potentia ad effectum fuerit intentio utilis ad esse ve! ad permanendum in esse,
et ut motus sit naturalis et voluntarius et electionis intelligibilis, sed, si fuerit imaginabilis,
non debet esse bonum, sed putatur. Igitur omnis finis est finis uno respectu, et alio respectu
est verum bonum ve! putatur. Haec igitur est dispositio bonitatis et causae perfectivae.
Ad cognoscendam autem dispositionem boni et liberalitatis, oportet ut scias quod una et
eadem res habet respectum ad recipiens quod per ipsam perficitur, et respectum ad agentem
a quo provenit; cum autem fuerit respectus eius ad agentem a quo provenit, sic ut non faciat
[342] debere agentem esse patientem per illam ve! per aliquid aliud quod sequatur eam, tunc
respectu sui ad agentem eri t liberalitas, et respectu sui ad patiens erit bonum.
Verbum autem liberalitas et consimilis ex sua prima impositione apud omnes linguas
est donator tribuens alii extra se donum non propter retributionem. Si enim intendit propter
illud retributionem, dicitur venditor ve! accommodator ve! foenerator; adulatio vero et col-
laudatio et fama et omnes dispositiones quae appetuntur, non reputantur a vulgo esse retri-
butiones, nisi sint substantìae ve! retributiones, quae intelliguntur in subiectis. Putant enim
TRATIATO SESTO- SEZIONE QUINTA 657

dalla potenza all'atto riguarda qualcosa di utile per l'esistenza o per la perma-
nenza dell'esistenza e se il movimento è naturale o elettivo e intellettuale; se
invece è immaginativo 259 , [il fine] non sarà necessariamente un bene reale, ma
potrà anche essere [solo] un bene opinato [tale].
Quindi, ogni fine sotto una certa considerazione è un fine e sotto un'altra
considerazione è un bene, o [un bene] opinato tale o [un bene] reale. Questo è
quanto riguarda il bene e la causa perfetti va.
Quanto a come siano la generosità e il bene 260 , è necessario conoscere che
una stessa cosa ha una relazione con quel che riceve e che in virtù di essa si per-
feziona, e una relazione con l'agente da cui proviene. Quando la sua relazione
con l'agente da cui proviene è tale che l'agente non viene necessitato a patire -
[si tratti] di questa [cosa] o di un'altra cosa che ad essa segua- allora la sua rela-
zione con l'agente è "generosità" e [la sua relazione] con il paziente è "bene"261 .
Il termine "generosità" e quelli che hanno la loro stessa funzione sono stati
posti nelle lingue [a indicare] in primo luogo "il fatto, da parte di colui che fa
acquisire un beneficio, di farlo acquisire a qualcosa di diverso da sé senza
chiedere nulla in cambio"; infatti, se [colui che fa acquisire un beneficio] chie-
de qualcosa in cambio, di esso si dice che è "un venditore" o "uno che fa uno
scambio" e, insomma, "uno che fa una transazione".
Ora, poiché la gratitudine, l'elogio, la buona reputazione e tutti gli altri
stati che sono apprezzati come buoni non vengono presi in conto dalla gente
come retribuzioni ma, o come [cose] sostanziali o come [cose] accidentali che
si stabiliscono da sé nei soggetti 262 , si ritiene che anche colui che fa acquisire
un beneficio a qualcuno di diverso da sé, ricavandone della gratitudine, sia
"generoso" e non sia né un venditore né uno che fa uno scambio. In realtà, tut-
tavia, esso è uno che fa uno scambio perché fa acquisire e acquisisce; ed è lo
stesso, sia che acquisisca in cambio averi - dello stesso genere [di ciò che
dona] o di un genere diverso- oppure della gratitudine o un elogio di cui gioi-
re, o anche che acquisisca di divenire virtuoso e lodato avendo fatto quel che è
più degno e più meritevole, e [in quanto] non si sarebbe trovato in una così
buona condizione riguardo alla sua virtù, se non l'avesse fatto.
Ma poiché la massa della gente non mette in conto queste cose tra le
ricompense, [i più] non considerano impossibile chiamare "generoso" chi fac-
cia del bene a qualcun'altro per via di uno di questi beni opinativi o reali e che

quod is qui dat alii extra se donum per quod acquiratur si bi laus si t liberali s. et non venditor
nec accommodator, cum tamen ipse sit vere venditor, quia ex hoc quod ipse bene facit alii,
ipse lucratur si ve retributionem substantialem sui generis vel alterius, vellaudem, vel adula-
tionem per quam gaudeat, sive lucretur quod fiat nobilìs et laudabilis. Si enim non fecisset
id quod dignius et melius est facere quam non facere, ipse non esset tam pulchrae dispositio-
nis in sua nobilitate; vulgus vero non computat has intentiones inter retributiones. Unde eum
qui bene facit alii propter aliquod horum bonorum putativorum vel verorum quae proveniunt
ei per illud, non cessat vocare liberalem. Sed si bene attenderet hanc intentionem, non voca-
658 rw [297]

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ret eum liberalem; aliquis enim ex vulgo beneficium recipiens ab aliquo propter retributio-
nem, quamvis illa sit praeter substantiam, cum perceperit hoe, despicit illud [343] benefi-
cium et negat esse bonum, nec vult illum sibi benefacientem vocare liberalem, eo quod id
quod agit, agit propter causam.
Si autem diligenter inquiratur quis vere sit sensus liberalis, invenietur quod liberalis est
qui dat alii perfectionem in substantia eius ve! in partibus eiu$, sic ut non fiat sibi retributio
ullo modo. Igitur omnis qui agit aliquid ex intentione tali ut proveniat sibi consimilis retri-
butio non est liberalis; unde omnis dans recipienti formam ve! aliquid utile, et habet finem
proveniendi si bi aliquid ex bono quod fecit alii, non est liberaHs .
Sed dico quod retributio et voluntas in eo quod intenditur non advenit nisi rei imperfec-
tae in essentia. Retributio enim ve! est secundum se in sua essentia, ve! secundum aliquid
aliud in sua essentia, ve! in suis commoditatibus . Notum est avtem quod, si sua intentio fue-
rit de retributione suae essentiae, ve! de commoditate suae essentiae, ve! omnino de aliquo
quod afferat sibi aliquam utilitatem, eius essentia imperfecta est in suo esse ve! in suis per-
fectionibus. Si autem non fuerit [344] propter aliquid, tunc necesse est ut advenire illam
intentionem ab ilio in aliud a se, ve! non advenire, sibi aequale est, ita videlicet ut, et si non
TRATIATOSESTO- SEZIONE QUINTA 659

per ciò gli fanno ottenere un elogio. [297] Se però si avvedessero di tale signi-
ficato, non chiamerebbero [uno simile] "generoso". Infatti, [ognuno] di essi, se
gli vien fatto del bene in vista di una ricompensa263 - benché non pecuniaria --
e se ne avvede, sminuisce nella propria considerazione il beneficio ricevuto o
l'ha in odio e ricusa [l'idea] che colui che gli ha fatto del bene sia "generoso'',
poiché la sua azione era dovuta a una causa. Quindi, se individua e coglie ciò
che significa la generosità, [e cioè] far acquisire all'altro una perfezione che
riguarda la sua sostanza o le sue condizioni senza che a fronte [di ciò] vi sia
una ricompensa, da nessun punto di vista, ecco che [si avvede del fatto che]
ogni agente che faccia qualcosa per uno scopo che conduca a una sorta di
ricompensa non è "generoso" e che ogni [agente] che faccia acquisire a ciò
che riceve una forma o un accidente, avendo un altro fine che si ottiene264 in
virtù del bene che gli fa acquisire, non è "generoso".
Anzi - diremo - lo scopo e ciò che è voluto nell'intenzionare qualcosa non
appartengono se non a quel che è manchevole nell'essenza. E questo perché lo
scopo è o in relazione alla [cosa] stessa per ciò che riguarda la sua essenza o in
relazione a un interesse della sua essenza; OQQUre è in relazione a un'altra cosa,
o riguardo all'essenza di essa o riguardo ai suoi interessi 265 • Ed è noto che, se [lo
scopo]266 è in relazione all'essenza [della cosa] o in relazione agli interessi della
sua essenza o in relazione a qualcos'altro che riguarda i suoi interessi 267 - se
insomma è in relazione a qualcosa che in un qualche modo si riconduce alla sua
essenza - allora la sua essenza è manchevole o nella sua esistenza oppure nella
sua perfezione. Se invece è in relazione a qualcos'altro, allora non si sfugge a
una delle due possibilità: o il fatto che questa data cosa (ma 'm'i) provenga268
[dall'agente] a qualcosa di diverso da esso è tale che il suo provenire e il suo non
provenirne siano [per l'agente] su di uno [stesso] piano, [o no].
[Se sono sullo stesso piano, allora la cosa è] tale che se [dall'agente] non
fosse provenuto quel bene - che è un bene in relazione a quel che è diverso da
esso269 - la sua situazione sarebbe stata, da tutti i punti di vista, come quella
[che esso avrebbe avuto] se ne fosse provenuto; in virtù di questa [azione]
quindi [l'agente] non sarà né più bello né più buono né più degno di lode270 o
di un altra cosa [cui mirare ]271 proprio per la sua essenza, e perciò neppure il
suo contrario sarà non-più bello o non-degno di lode o di altra cosa [cui mira-
re ]272 degna di menzione e utile (nafi '). In tal modo [cioè], se non avesse
agito, [l'agente] non avrebbe tralasciato quel che per esso sarebbe stato più

provenire! a se illud quod bonum est alii, eius tamen dispositio ornnino esset eadem quam $i
provenire!. Igitur hoc non est ei melius ve! pulchrius vellaudabilius, si ve sit aliquid aliud de
accidentibus propriis suae essentiae, quam eius contrarium quod non est pulchrum nec lao-
dabile nec aliquid aliud de accidentibus quae sunt amabilia ve! utilia, ita videlicet quod, $i
hoc non faceret, non tamen desistere! esse id quod est ei dignius et pulchrius. Non est igitor
adducens illum ad hoc, quia non est ei potius provenire illuda se in aliud quam eius opposi-
tum; hoc enim modo, si non fuerit res proveniens ex natura ve! ex voluntate, quae non e$t
660 [298]

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secundum viam inducendi necessitatem, sed alio modo, sicut tu scies postea, profecto non
proveniet bonum ad aliquam rerum ex aliqua causarum, nisi secundum hoc quod agenti
secundum intentionem suam potior est intentio praedicta, scilicet ut fluat ab eo bonum in
aliud a se, eo quod hoc dignius est ei et eius [345] contrariun1 indignius. Et tunc finis rei est
intentio retributionis quae coniungitur suae essentiae ve! supervenit suae essentiae ve!
reflectitur ad suam essentiam; et tunc esse illam intentionem et non esse non est ei aequale
respectu suae essentiae et perfectionum suae essentiae et suartlm commoditatum. Sed adven-
tus illius ab essentia eius est sicut adventus retributionum quìle appropriantur suae essentiae
et reducuntur ad essentiam eius, quibus acquirat perfectionem et dignitatem propriam.
Et ob hoc quaestio de quare non cessa! iterari quousque perveniatur ad hoc ut reducatur
ad essentiam. Verbi gratia, si dicatur alicui agenti aliquid: "quare fecisti hoc", respondebit
"ut prosit iIli"; et dei nde si interrogetur: "quare voluisti prodesse ili i", respondebit "quia
bene facere bonum est"; et sic non cessabit quaestio quousque dicatur ei: "quare quaeris
quod est bonum", et respondeat hoc esse aut ut bonum adveniat ei, aut ut malum removeatur
ab eo, et tunc cessat quaestio; acquisitio enim boni in omni re. et remotio mali ab ea, hoc est
quod acquiritur si bi absolute.
11tATfATO SESTO- SEZIONE QUINTA
1
661

degno e migliore: esso non avrebbe, quindi, un motivo [che lo spinga ad


agire], né qualcosa che [lo] faccia propendere affinché tale bene, invece che il
suo opposto 273 , ne provenga per qualcosa di diverso da sé 274 •
[298} E si avrà qualcosa di simile se [l'agente] non è qualcosa che faccia
emanare per natura o 275 [che faccia emanare] da una volontà che non cede alla
necessità di un invito, ma è invece in un altro modo - [un modo] su cui poi ci §i
soffermerà - per cui esso non fa emanare qualcosa a partire da una certa causa.
Anzi, quel che è più degno per l'agente che intenziona secondo l'intenzio-
ne che si è ricordata è necessariamente far fluire un bene su quel che è diverso
da sé solo perché ciò è, per [tale agente, cosa] più degna, mentre il suo contra-
rio non lo è: in ultima analisi, la cosa rimanda a uno scopo che è congiunto
con l'essenza [dell'agente], ritorna alla sua essenza e rimanda ad essa. Ma
allora l'esistenza di un tale scopo e la sua inesistenza non saranno su di uno
[stesso] piano in relazione all'essenza dell'agente, alle perfezioni della sua
essenza e agli interessi di essa. Anzi, il fatto che ciò provenga dall'essenza
[dell'agente] sarà come sono le cose cui mira 276 propriamente l'essenza
[dell'agente], così da ritornare perciò al fatto che l'essenza [dell'agente} ottie-
ne, in virtù [dell'azione], una perfezione e un favore che le sono propri.
Così277 , la domanda sul perché non cessa di ripetersi fino a che non si rag-
giunge il culmine, il quale ritorna all'essenza [dell'agente}. Se ne ha l'esempio
quando si chiede a un agente: "Perché hai fatto questo?" "Perché il tale- egli
risponderà - raggiungesse un certo scopo". "E perché hai cercato che il tale
raggiungesse un certo scopo?" "Perché- risponderà- il far bene è un bene".
La domanda non si arresta qui; anzi si dirà: "E perché ricerchi quel che è
bene?" Allora, se [l'agente] risponde [che lo ricerca] per un bene che ricondu-
~e alla sua essenza o per un male da evitare, la domanda si arresta. Per ogni
cosa, infatti, quel che è ricercato per essenza278 , è ottenere il bene ed evitare H
male, in assoluto.
La compassione 279 , la misericordia e la benevolenza verso l'altro, la gioia
per quel che fa bene all'altro e l'afflizione per qualche mancanza che [lo] col-
pisca e altre [cose ancora] sono scopi 280 propri dell'agente e stimoli che svili-
scono chi agisca per essi 281 o che degradano il livello della sua perfezione.
Infatti, la generosità282 è il far acquisire una perfezione da parte di colui che fa
a meno, sotto tutti gli aspetti, dell'acquisizione, la qual cosa in relazione a quel

Misericordia vero et largitas et clementia circa alium et gaudium de bono quod fit alii et
tristitia quae provenit ex defectu, et cetera huiusmodi, sunt accidentia propria agenti propter
quae vituperatur si ea non fecerit vel minuitur aliquid de eius perfectione. lgitur liberaJitaS
est largitio absque intentione alicuius modi, ita ut propter largitionem non sit perfectiO·
Igitur haec intentio respectu recipientis est bonum, et respectu agentis est liberalitas; omnls
enim adeptio perfectionis [346] respectu recipientis est bonum, sive fiat propter retributio-
nem, sive non; respectu vero agentis non est liberalitas, nisi cum non fuerit propter retribv-
tionem. Haec igitur est manifestatio certitudinis beneficii et liberalitatis.
662 [299]

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Quia igitur iam locuti sumus de causis et earum dispositionibus, restat ut colligamus
breviter quae dieta sunt de eis. Dico igitur quod hae quattuor causae putantur non coniungi
omnes in plerisque rebus, quoniam res quae non moventur et disciplinales non putantur
habere agentem, scilicet principium motus, nec etiam putantur habere finem (putatur enim
quod finis non est nisi motus) nec etiam materiam, quia non inquiritur nisi de formis earum.
Unde risit ille qui dixit quod haec non significant causam perfectivam et quod considerare
hoc ad hanc scientiam spectat: una enim scientia <non> tractat de eis sicut de oppositis, haec
autem non sunt opposita; una vero scientia, eo modo quo scientia haec est una, manifesta!
dispositionem earum. Nos autem licet concedamus quod hae causae non coniunguntur in
omnibus rebus de quibus agitur in scientiis, ita quod sunt de rebus communibus quae inci-
dunt in subiecta scientiarum diversarum, ipsae tamen iam inveniuntur in scientiis discretis
diversis, et ideo auctor alicuius unius [347] scientiae, verbi gratia naturalis, cuius magiste-
rium est ostendere haec omnia principia, non sufficit ostendere quicquid accidit eis. Non
autem ita se habet res: non enim omnis agens est principium motus, sicut dicitur.
Res etiam disciplinales in naturis suis non sunt nisi per aliud a se, quarum naturae non
separantur a matelia, quamvis spolientur in aestimatione; iam enim comitatur eas in aesti-
TRATTATO SESTO- SEZIONE QUINTA 663

che riceve è "bene", mentre in relazione all'agente è "generosità". L'acquisi-


zione di una perfezione in relazione a quel che riceve è sempre un bene, ed è
lo stesso - sia o non sia essa per una ricompensa - mentre in relazione
all'agente essa non è "generosità" se non in quanto non è per una ricompensa.
Questa è l'autentica spiegazione del bene e della generosità.
Delle cause e dei loro modi abbiamo già trattato; resta però da perfeziona-
re283 il discorso a questo proposito. E diciamo allora che, sebbene si ritenga che
queste quattro cause si diano [tutte] insieme in molte delle cose di cui ci si
occupa nelle [varie] scienze28 4, per quelle [299] che non 285 sono soggette a
movimento e per gli [enti] matematici non si ritiene che vi sia un agente, cioè
un principio di movimento, e neppure si ritiene che vi sia un fine - infatti si
ritiene che il fine [riguardi] il movimento- o una materia; anzi, [per tali cose]
si indagano solo le forme. Perciò a tali [enti] alcuni hanno dato poco peso,
dicendo che essi non [possono portare] a dare indicazione di una causa perfetti-
va286. Lo studio [delle cause apparterrebbe] quindi a questa scienza non in
quanto è una stessa scienza a comprenderle, come [avviene] per gli opposti-
perché infatti non si tratta di opposti - ma invece perché a una stessa scienza,
nel senso in cui questa scienza è una, [compete di] spiegarne le questioni. E
questo perché, anche ammettendo che queste cause non si diano insieme in
tutte le scienze in modo da far parte delle cose generali (' àmma) che cadono
nelle diverse [cose che fungono da] soggetto nelle [varie] scienze, esse possono
comunque esistere in scienze distinte e diverse 287 ; e anche se fossero [tutte] in
una stessa scienza, non potrebbe darne dimostrazione 288 colui che possiede una
singola scienza289 -come, per esempio, non lo può il [filosofo] della natura,
nella cui disciplina si trovano tutti questi principi; esse sono, infatti, dei principi
per la scienza naturale ed egli può discutere [solo] di quel che a questi accade.
Sennonché, la cosa non sta così: come si è detto, non ogni agente è un
principio di movimento e l'esistenza degli enti matematici, per quanto riguar-
da le loro nature, è necessaria solo in virtù di qualcosa di diverso da essi;
[inoltre], le loro nature non sono separate dalla materia e, benché nell'estima-
tiva esse siano astratte dalla materia, proprio nell'estimativa esse possono
dover sottostare a quella divisione e a quella configurazione che si hanno in
ragione della materia: le estensioni sono, infatti, quasi delle materie290 prossi-
me per le figure misurabili ed egualmente le unità lo sono per il numero e il
numero lo è per le proprietà del numero. [In tal senso] questi [enti] hanno un

matione divisio et figuratio quae sunt eis ex occasione materiae; et quod verius est, dico
quod mensurae sunt hyles propinquae figuris mensurabilibus, et unitates etiarn numero, et
numerus proprietatibus numeri. Et ideo istis est principium agens et principium recipiens, et
ubi haec duo fuerint, est perfectio, et perfectio est integritas, sed terminatio et ordinatio
propter quas sunt eis proprietates quas habent, non sunt eis ob hoc quod, secundum hoc
quod sunt, sint illius ordinationis et integritatis et terminationis. Si autem negaverit quod
non est perfectio, scilicet finis motus, non tamen negabit esse bonum: erit igitur causa eo
664 't"• • [300]

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.lz!·::>~ ..;t;.ll Jl.ll j_)d\;.)1 ~Il if\ , ~'II.:U.

quod est bonum. Sed nec hoc etiam fuit illic causa, nisi quia fui t bonum, et postea accidit illi
bono ut esset perfectio motus, eo quod via fuit ad illarn per motum. Sed si hoc non esset
quod proprietates quae consequuntur ea essent fines ad quos reducuntur dispositiones
eorum, [348] inquisitor itaque non inquireret eas in materiis illorum finium; artifex enim
movet materiam ad hoc ut sit rotunda, non tamen est finis ip:>a rotunditas, sed aliquid aliud
de proprietatibus eius: inquirit enim circulum per eam.
TRATTATO SESTO- SEZIONE QUINTA 665

principio attivo e un principio ricettivo e, in quanto vi sono tali due [principi],


(in essi] si ha compiutezza291 ; la compiutezza consiste, infatti, nell'equilibrio,
nell'avere definizione e nell'essere secondo un ordinamento che sono quelle
[cose] in virtù delle quali [a tali enti] vanno attribuite quelle proprietà che loro
spettano; ed essi sono solo in quanto sono come devono essere riguardo iil
[loro] ordinamento, all'equilibrio e alla definizione. E se è impossibile cbe
questa sia una compiutezza, cioè che lo sia nel senso del fine di un movimerl-
to, non è impossibile che essa sia un bene e che, in quanto bene, sia una
causa292 . Del resto, anche nel caso [del moto] vi è una causa solo in quanto
essa è un bene 293 ; poi, a tale bene - poiché la via per arrivarvi è quella del
movimento - capita di compiersi per un movimento. [300] Se le proprietà e i
caratteri concomitanti di questi [enti matematici] non fossero fini cui conduco-
no le loro disposizioni [materialif94 , colui che li ricerca non li ricercherebbe
nelle materie di questi fini: l'artigiano, infatti, muove la materia affinché essa
sia circolare non perché il [suo] fine sia la stessa circolarità, ma in quanto [il
suo fine] è una delle proprietà e dei concomitanti di questa, perché è in ragio-
ne di essi che si ricerca la circolarità295 •
E così anche queste cause vengono ad essere [cose] comuni, così che è
necessario che a studiarle sia colui che possiede questa scienza 296 , [il quale]
non esaminerà soltanto quel che è comune 297 , ma [anche] quel che è proprio
[di ogni scienza], scienza per scienza, e che però di una tale scienza è princi-
pio, mentre di quel che è comune è accidente. Questa scienza può studiare,
infatti, gli accidenti propri delle [cose] particolari, se sono per sé e in primo
luogo 298 e non sono ancora portati ad essere accidenti essenziali [di ciò che
funge da] soggetto 299 nelle varie scienze particolari. E se queste [ricerche] fos-
sero scienze prese singolarmente, la più nobile di esse sarebbe la scienza del
fine, la quale poi è la sapienza. Ora, questa è anche la più nobile delle parti di
questa scienza, intendo [dire] quella che studia le cause finali delle cose 300•

Unde hae causae iam fiunt etiam communes; quapropter oportet ut auctor huius sciell-
tiae speculetur in e is. Ipse enim non tantum considerat communia, sed etiam id quod est pro-
prium unicuique scientiae, sed quod est principium illius scientiae; non considerat commv-
nia tantum, quoniam haec scientia iam considerat accidentalia appropriantia ipsa particulìl-
ria, cum fuerint essentialia et primo, et nondum fuerint accidentia essentialia subiectis sciell-
tiarum particularium. Si autem de unaquaque istarum causarum esset scìentia per se, utiqtle
nobilior inter eas esset scientia de finali; et ipsa esset sapientia; et haec etiam ipsa nobilior
est reliquis partibus huius scientiae, quia est scientia considerans finales causas rerum.
~Wl
. ~Liti

TRATTATO SETTIMO

TRACTATUS VII
INTRODUZIONE

Sezione prima

Sebbene rispetto all'economia generale del testo le questioni sollevate nel


settimo trattato possano apparire marginali, esse rivestono un ruolo di grande
importanza per la metafisica avicenniana: attraverso la critica della concezione
platonica, Avicenna dimensiona, infatti, il modo in cui va concepita la separa-
tezza degli enti e il senso che va attribuito alla distinzione di essenza ed esi-
stenza. Il trattato è composto di tre sezioni. Nella prima, lo say(J. (così come
Avicenna veniva chiamato) si sofferma sulla definizione della contrapposizio-
ne (per Aristotele, cfr. essenzialmente, Metafisica, V e Categorie, 10); nelle
altre due, egli presenta e confuta le idee dei Pitagorici e dei Platonici, secondo
le quali i principi delle cose andrebbero individuati nei numeri (a 'diid) e nelle
idee (mutui).
[303,5-303,14] Dopo avere richiamato il tema del rapporto tra l'uno e
l'essere, già ampiamente discusso nel III trattato (pur potendo coincidere nel
soggetto, l'uno e l'essere non sono identicamente la stessa cosa: ognuno dei
due ha il proprio majhflm e cioè il «significato che va con essi compreso»),
Avicenna introduce il tema dei conseguenti dell'unità e dei loro opposti, e
attorno a questo fa poi ruotare tutta la trattazione. [303,15-304,5] In primo
luogo, è esaminata l'identità, ossia ciò che definisce la molteplicità quando
questa abbia acquisito il "modo" o "l'aspetto" (wagh) dell'unità. In base al
"tipo" di unità acquisita, l'identico è allora per accidente (quando due cose
sono dette identiche in virtù di un elemento accidentale) ed è quindi simile
(sabfh) (è l'identico nella qualità); eguale (musliwin; è l'identico nella quan-
tità); comparabile o analogo (munlisib; è l'identico per relazione). Ciò che è
identico per essenza riguarda invece le cose essenziali ed è nel genere (omoge-
neo; muglinis), nella specie (assimilabile: mumlitil) e nei caratteri propri
(conforme: muslikil). [304,6-304, 17] Così, da una parte si possono enumerare
gli opposti dell'identico- il diverso (al-gayr: che è o per sé -nel genere e
nella specie - o per accidente); l'altro (al-ii!Jar) che in senso tecnic(') è ciò che
è numericamente differente (al-mu!Jiilif bi-l- 'adad) e il differente vero e pro-
prio (al-mu!Jiilif) che è tale in virtù di una o più determinazioni- e, dall'altra,
si deve definire l'opposto come tale. Lo statuto dell'opposto dipende dallo
stato che definisce reciprocamente le cose tra loro diverse: alcune, pur essendo
670 TRATTATO SETTIMO

diverse, possono sussistere nella stessa materia o soggetto (differiscono nel


genere), altre invece non possono sussistere nello stesso soggetto; queste
sono in senso proprio gli opposti, i quali fanno capo alla contraddizione.
[304,18-305,9] Si passa poi all'esame della privazione ('adam) che "si dice
in molti modi": l) della mancanza di qualcosa che deve trovarsi in un deter-
minato ente, anche se non in questo determinato (la vista deve trovarsi
nell'occhio, non nel muro che pure è "privo" di vista); 2) della mancanza di
qualcosa che deve appartenere al suo genere (potrebbe essere il caso di ciò
che, pur appartenendo al genere animale, non appartiene a una delle sue spe-
cie); 3) della mancanza di qualcosa che deve appartenere alla specie della
cosa ma non a tutti i suoi individui (come, per es., la femminilità); 4) della
mancanza di qualcosa che deve appartenere alla cosa stessa e che può non
averla: a) in assoluto (come chi è cieco non ha la vista che dovrebbe apparte-
nergli); b) in relazione a un determinato tempo che è poi b1) futuro (come per
l'imberbe); bz) passato (come per lo sdentato); 5) della perdita di qualcosa
per violenza; 6) di una perdita non completa (come chi non veda più da un
occhio). [305,10-306,5] La negazione si predica della privazione ma senza
che vi sia reciprocità: la privazione non si predica dei contrari, dei quali si
predìca invece la negazione. L 'uno rispetto all'altro, infatti, i contrari, che
pure sono reciprocamente la loro negazione (ognuno non è l'altro) stanno
sotto uno stesso genere e differiscono in virtù di differenze (come bianco e
nero o dolce e amaro); in tal senso, essi non sono "privazione" ma "qualcosa"
che si accompagna alla privazione.
[306,5-307, 10] Infine, dopo aver brevemente richiamato il rapporto tra
bene e male (nei quali sono sempre rappresentate rispettivamente l'esistenza e
l'inesistenza di una perfezione), Avicenna passa a esaminare da vicino la con-
trarietà. Alcuni (e sono i Pitagorici di cui Avicenna ha già discusso in III, 6),
non comprendendo che la contrarietà non può esistere al di fuori della relazio-
ne (il bianco è il contrario del nero), hanno fatto delle varie contrarietà i generi
delle cose. La contrarietà e la convenienza o coincidenza, che ne è l'opposto,
sono invece come dei generi per le cose, ma non ne sono i generi; esse rientra-
no nelle diverse categorie (della quantità, dell'azione o della passione, ecc.) a
seconda della considerazione ogni volta adottata. [307, Il-fine] Vi è poi chi
vorrebbe far risiedere i due contrari in due generi contrari; ma ancora una volta
è chiaro che i contrari sono qualità e che, come tali, ciascuno di essi appartiene
a un genere. I contrari sono anzi, necessariamente, sempre nello stesso genere
e nello stesso soggetto; alcuni possono appartenere al soggetto senza altra con-
dizione (la stessa cosa può essere o calda o fredda), altri esigono invece una
trasfonnazione nel soggetto (per passare dal dolce all'amaro il soggetto deve
mutare la propria complessione); alcuni accettano quindi un termine medio
(caldo-tiepido-freddo), altri non lo accettano (dolce-amaro). La contrarietà,
comunque, è la massima differenza degli opposti che coincidono nel genere e
nella materia (qui Aristotele- Categorie, 6, 6 a 17 -è ripreso quasi alla lette-
INTRODUZIONE 671

ra) e i contrari non possono mai essere più di due: il medio è in un certo modo
qualcosa che differisce e al tempo stesso somiglia al termine di paragone.

Sezione seconda

[310,5-310,9] Quanto già chiarito fornisce strumenti sufficienti per poter


confutare le dottrine dì coloro che hanno errato a proposito dei "principi" e
tuttavia - afferma Avicenna - conviene che esse vengano discusse una per una
con argomenti specifici. [310,10-311, 5] Ogni scienza progredisce lentamente
e anche la filosofia, agli inizi ancora acerba, si è gradualmente perfezionata.
Così, nell'idea di una perfezione cui si può arrivare solo per gradi (laddove è
evidente la fiducia nel progresso della filosofia), risiede anche una sorta di
legittimazione degli errori degli Antichi che, appena approdati alla "scienza
divina", sono caduti in confusione a proposito dei principi delle cose.
In primo luogo, essi hanno pensato che in tutte le cose andassero distinti
un elemento o principio incorruttibile, intelligibile e separato e una realtà cor-
ruttibile, sensibile, mescolata alla materia; in tal modo gli antichi pensatori, e
Socrate e Platone in particolare, hanno individuato due tipi di esistenza,
affiancando a quella sensibile e reale, quella esemplare o ideale. Altri (proba-
bilmente alcuni pensatori dell'antica Accademia come Speusippo e Senocrate)
hanno invece fatto solo dei principi matematici qualcosa di separato, conside-
rando separato nell'esistenza ciò che lo è nella definizione (e non separato
nell'esistenza ciò che non lo è nella definizione). [311,6-312,5] Le opinioni
degli Antichi sui principi matematici sono state dunque divergenti: se per
alcuni l'origine delle cose si deve al congiungimento di un principio matema-
tico con la materia, per Platone i principi matematici sono entità intermedie tra
le forme- separate- e la materia. [312,6-314,7] Le dottrine dei Platonici e dei
Pitagorici sono elencate, senza che ne siano però nominati i vari sostenitori:
alcuni considerarono la realtà composta a partire da figure, numeri, misure
(ciò che resta dell'astrazione dalla materia); altri (tra i Pitagorici) interpretaro-
no la realtà come costituita da principi numerici non separati dalla materia:
tutto verrebbe dall'unità (che è limite e bene) e dalla dualità o diade (che è illi-
mite e male). Altri ancora individuarono i principi nel "più", nel "meno" e
nell"'eguale", attribuendo all' "eguale" chi il ruolo della materia, chi quello
della forma; le divergenze coinvolsero quindi lo statuto da attribuire ai prin-
cipi e la modalità della formazione o composizione delle cose. Infine, alcuni
autori, -ancora "un gruppo di Pitagorici" -ritennero lo stesso numero compo-
sto da unità e sostanza.
Al di là delle singole opinioni presentate, la paternità delle quali è spesso
difficile da individuare con certezza, è importante comprendere in quali "radi-
ci" (u.rul) o "ragioni" (asbiib) Avicenna faccia consistere la fonte degli errori
dei primi pensatori. Come ha notato de Libera (Il problema degli universali... ,
672 TRATTATO SETTIMO

pp. 197-198), gli argomenti di Avicenna presuppongono tutti la concezione


avicenniana dell'indifferenza dell'essenza.
[314,8-316,14] Il primo errore degli antichi filosofi è stato quello di ritene-
re che ciò che è separabile nella mente sia necessariamente separato nel!' esse-
re: ciò che è mescolato alla materia, quando viene considerato in sé (per esem-
pio l'uomo) è "non-accompagnato" o "non-congiunto" alla materia al modo in
cui lo sostiene una proposizione negativa nel senso in cui l'uomo "non è con-
giunto alla materia"; tale statuto negativo non può essere confuso con quello
che viene espresso, in logica, secondo "equivalenza" e per il quale l'uomo
sarebbe come tale "non-congiunto" alla materia; in questo caso, infatti, l'uomo
sarebbe un ente separato.
La seconda radice di errore sta nell'aver considerato la stessa intenzione
specifica qualcosa di numericamente uno di cui parteciperebbero tutti gli indi-
vidui. L'unità dell'intenzione ha invece un altro significato: qualunque cosa
giunga per prima alla mente, ciò che ne proviene è questa intenzione una nella
mente: l'idea di cavallo è insomma ricavata la prima volta che si ha percezio-
ne di un cavallo ed è impressa nella mente di tutti gli individui che la concepi-
scono; in tal senso essa è una ma anche molteplice (come "i diversi padri di
diversi figli") e differisce dall'intenzione della cosa che non è né universale né
particolare (cfr. V, 1).
La terza sta nella confusione riguardo alla natura delle cose: si è ritenuto
che la "natura" o quiddità delle cose, alla quale si è attribuita l'unità, avesse un
proprio statuto numerico, e se ne è fatto così qualcosa di diverso da quello che
è; il richiamo implicito è alla celebre posizione del trattato V (cfr. V, l, p.
196) secondo la quale la "cavallinità è soltanto cavallinità" (equinitas est equi-
nitas tantum).
La quarta "radice" consegue alla terza: una volta considerata "una", la
natura delle cose è stata concepita come tale da "permanere" rispetto agli indi-
vidui così da essere creduta eterna.
La quinta consiste nell'aver ritenuto che la causa di ciò che non è separato
dalla materia dovesse necessariamente risiedere in ciò che è separato, e quindi
nelle forme o nei principì matematici. Alla confutazione di tali errori è dedica-
ta l'intera terza e ultima sezione del trattato.

Sezione terza

Avicenna affronta qui direttamente e serratamente le varie assurdità che


scaturiscono dalle dottrine che ha appena presentato; del resto, la stessa varietà
delle dottrine, riferite per lo più in modo anonimo, ha già il valore di una con-
futazione.
[317,4-318,12] In primo luogo è discussa l'ipotesi della separatezza degli
enti matematici (il tema essenziale è qui costituito dali' assurdità della separa-
IN'fRODUZIONE 673

tezza degli elementi costitutivi della realtà, così che si ha qui una vera con-
futazione del platonìsmo). Se sì pongono enti matematici separati, ci si trova
di fronte al problema della "matematicità" di quelli sensibili: in questi ultimi
sarà - o non sarà - reperibile un principio matematico. Ora, se negli enti
sensibili mancasse un principio matematico, nella realtà non sì potrebbero
avere figure geometriche (la cui concepibilità passa per la materia); d'altra
parte, se la natura degli enti matematici (separati) esistesse anche in quelli
sensibili, si porrebbe il problema dell'identità di tale natura: se negli enti
sensibili si avesse una natura diversa da quella degli enti separati, resterebbe
infatti il problema di spiegare l'identità del triangolo concreto con quello
separato; gli enti matematici separati sarebbero, cioè, qualcosa di diverso da
ciò che noi concepiamo come "ente matematico". Se, invece, si trattasse nei
due casi della stessa natura, si darebbe il problema di giustificare il rapporto
di questa con la materia. La natura degli enti matematici separati finirebbe,
cioè, per avere un rapporto con la materia per sé o invece in ragione di qual-
cosa di esterno? Sia nel primo che nel secondo caso si giunge a togliere ogni
fondamento agli enti matematici separati, i quali finiscono con l'essere
materiali: nel primo caso, per sé; nel secondo, per una causa esterna. La stes-
sa materia, d'altra parte, sarebbe o tale da avere bisogno degli enti separati,
oppure tale da farne a meno. Se la stessa materia degli enti sensibili fosse
tale da avere bisogno di quelli separati, si tratterebbe di enti separati altri
rispetto a quelli che si conoscono come tali; se poi la materia avesse bisogno
degli enti separati solo a causa dell'intervento di qualcosa di accidentale, si
avrebbe l'assurdo di un elemento che, accidentale e posteriore nell'esisten-
za, è in grado di causare qualcosa di essenziale. Non si può neppure attribui-
re la causa della coesistenza degli enti matematici con la materia agli stessi
enti matematici separati; in tal caso, infatti, si tornerebbe al punto di parten-
za: perché cioè gli enti separati non esisterebbero essi stessi nella materia?
Infine, se la materia non avesse bisogno degli enti separati, questi non sareb-
bero principi e finirebbero per essere manchevoli rispetto agli stessi enti sen-
sibili, ai quali andrebbero ascritte delle proprietà in essi assenti. [318, 13-
318, 17] Se poi gli enti matematici fossero separati, essi sarebbero anche in
sé sussistenti e l'uno dall'altro indipendenti: la linea dovrebbe essere indi-
pendente dalla superficie, il punto dalla linea e così via e per spiegarne la
coesistenza e interdipendenza nella realtà sensibile, si dovrebbe ricorrere a
una causa superiore. È chiaro, invece, che la linea è termine del corpo, che
ne è il principio.
[318, 18-319,3] Avice nna passa poi all'esame delle assurdità che discen-
dono dal porre a principio lo stesso numero. In primo luogo, le differenze
qualitative e sostanziali si troverebbero ridotte a mere differenze quantitative
(le cose sarebbero "di più" o "di meno" le une rispetto alle altre) e si arrive-
rebbe all'assurdo di specie contenute l'una nell'altra (il "cavallo", per esem-
pio, dovrebbe esser nell'"uomo" come il cinque è nel dieci). [319,4-320,7]
674 TRATTATO SETTIMO

Se poi ogni unità venisse considerata eguale all'altra, aggiungendo o sot-


traendo l'identico si darebbe luogo a realtà fra loro diverse. E se le varie
unità fossero nelle cose in potenza, le cose finirebbero per avere lo stesso
statuto dell'estensione mentre, se vi fossero in atto, non vi sarebbe altro che
molteplicità. D'altronde, se le unità non fossero l'una eguale all'altra, cia-
scuna potrebbe dirsi unità solo per omonimia. E poi, facendo del numero un
principio, o a un ente "separato" si dovrebbe dare, assurdamente, un limite e
una posizione, oppure si dovrebbe porre un'infinità di specie, come vi è
un'infinità di numeri. Ma poiché le specie sono fra loro diverse, diverse
dovrebbero essere le realtà numeriche separate: l'unità della "unità" sarebbe
altra rispetto a quella della "dualità" e così via, il che porterebbe all'assurda
conseguenza di dover considerare come una differenza sostanziale la diffe-
renza contingente che deriva dall'"essere accompagnato da" (il due accom-
pagnato o congiunto all'uno è tre, e così via). Solo la corruzione spieghereb-
be una differenza essenziale (l'uno, corrompendosi. darebbe luogo al due,
etc.); ma se si corrompe, una cosa è "inesistente" e non può essere "accom-
pagnata" da alcunché: le unità sono quindi necessariamente l'una eguale
all'altra e, accompagnandosi l'una all'altra, danno luogo ai numeri. [320,8-
321,15] Altrimenti, le varie unità dovrebbero essere considerate come
sostanzialmente diverse le une rispetto alle altre, ma si avrebbe allora, assur-
damente, la "cinquina" del numero cinque diversa da quella del numero
dieci e del numero quindici e così via; e se poi le si volesse indistinte, si tor-
nerebbe ad avere la difficoltà già accennata: nella forma (numerica)
dell'uomo sarebbe contenuta quella del cavallo e non si riuscirebbe a dar
conto delle differenze antologiche tra le cose. I numeri si formano, invece,
per reiterazione e cioè per reiterazione dell'identico. [321,16-322,9] Vi sono
poi coloro che del numero fanno la materia delle cose e coloro che, invece,
ve ne individuano la forma; altri (atomisti) arrivano all'assurdità di conside-
rare le estensioni, infinitamente divisibili, composte da unità indivisibili;
altri ancora fanno derivare le cose dall'incontro del numero con la materia,
ma devono allora risolvere il problema dello statuto della materia, trovando-
si egualmente avvolti nelle difficoltà. In realtà, il punto è nella linea, la
quale è nella superficie che a sua volta è nel corpo, il quale si dà solo nella
materia.
(322, 10-323,6] È assurdo, inoltre, ricondurre le differenze essenziali a
quelle quantitative dell'aggiunta e della mancanza di qualcosa ed è impossi-
bile considerare unità e molteplicità come dei contrari (v. il trattato III) che
finirebbero per generarsi l'uno dall'altro (inoltre, se l'unità è bene, la molte-
plicità è male e si avrebbe allora il bene che genera il male). [323,7-324,5]
Né la materia può esser considerata male, perché - se è causata - essa deve
esserlo o da un'altra materia (che in quanto principio finirebbe per essere
"bene") o da una forma (e allora nuovamente il bene genererebbe il male).
D'altronde, anche se la materia fosse considerata incausata, si dovrebbe deci-
JNfRODUZIONE 675

dere o della sua divisibilità o della sua ìndìvìsìbilità (se è divisibile, è compo-
sta di unità, cioè dì bene; se è indivìsibile è una ed è per ciò stesso "bene").
Così, il numero non può essere considerato un principio neppure se unito a
qualcos'altro. Esso comunque è "bene" sotto un certo aspetto perché gli
appartengono l'ordine e l'equilibrio che sono il bene di ogni cosa.
676 [303]

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..~.>\} l..f'i.J t.f _,..._, Joor'~ 1.. ..!.Il-l u-f ,_,.:T~-' v- ;..~.>_, ~-' ;;;s::.u J,u:

CAPITULUM DE CONSEQUENTIBUS UNITATEM SC!LICET IDENTITATE ET E!US D!V!SION!BUS


ET DE CONSEQUENTIBUS MULT!TUD!NEM SC!L!CET AL!ETATE ET DlVERSITATE
ET DE MOD!S OPPOS!TIONIS COGNITIS

[349] Videtur autem, secundum hanc nostram intentionem, ut iam compleamus verbum
de his quae propria sunt identitati secundum quod est identitas et de consequentibus eam.
Scias autem quod unum et ens iam parificantur in praedicatione sui de rebus, ita quod, de quo-
cumque dixeris quod est ens uno respeètu, illud potest esse unum alio respectu. Nam quicquid
est, unum est, et ideo fortasse putatur quia id quod intelligitur de utroque sit unum et idem,
sed non est ita; sunt autem unum subiecto, scilicet quia, in quocumque est hoc, est et illud. Si
enim id quod intelligitur de uno omnino esset id quod intelligitur per ens, tunc multum, secun-
dum quod est multum, non esset ens sicut non est unum, quamvis accidat ei etiam esse unum;
dicitur enim quod multitudo est una, sed non inquantum est multitudo. Unde oportet ut loqua-
mur nunc de his quae appropriantur unitati et [350] de eius apposito, scilicet multitudine.
677

SEZIONE PRIMA

SUI CONCOMITANTI DELL'UNITÀ: L'IDENTITÀ E LE SUE DIVISIONI;


SUI CONCOMITANTI DELLA MOLTEPLICITÀ: LA DIVERSITÀ E LA DIFFERENZA
E SUI VARI TIPI DI OPPOSIZIONE CHE SI CONOSCONO

Abbiamo trattato in modo esauriente - [come] sembra - di quel che andava


detto in relazione allo scopo [che ci eravamo proposti, e cioè] delle cose che
propriamente si [riferiscono] all'essere (al-huwiyya) in quanto essere
(huwiyya) o che gli sono concomitanti 1• Inoltre- [si è detto]- "l'uno" e "l'esi-
stente" si predicano in egual modo delle cose, al punto tale che di qualunque
cosa di cui, in virtù di una [certa] considerazione, si dica che è un "esistente",
in virtù di un'altra considerazione è legittimo dire che è "uno", e ogni cosa ha
"un'esistenza una" 2 e così per questo si ritiene talvolta che con i due [termini}
vada compreso3 uno stesso [significato], anche se non è così. I due sono piut-
tosto una [stessa cosa} riguardo al soggetto: cioè, qualunque cosa venga quali-
ficata con uno [dei due termini] è qualificabile con l'altro, mentre se quel che
deve esser compreso con "uno" fosse sotto ogni aspetto [lo stesso di] quel che
deve esser compreso con "esistente", il molteplice in quanto molteplice non
sarebbe "esistente" [esattamente] come non è "uno"; e questo benché anche ad
esso accada di essere "uno": della molteplicità si dice infatti che è "una molte-
plicità", ma non in quanto è molteplicità.
Conviene allora discutere anche delle cose che riguardano propriamente
l'unità e di quelle che le sono opposte, e cioè della molteplicità; [ossia convie-
ne discutere di cose] come l'identità (al-huwiyya)\ l'omogeneità, la coinci-
denza, l'eguaglianza, la somiglianza, e delle cose ad esse opposte5 . Anzi, il
discorso che riguarda il lato delle cose opposte [all'unità] sarà più [articolato].
L'unità, infatti, è [sempre] simile a se stessa, mentre quel che le è contrario è
articolato, mutevole e variamente suddivisibilé.
Così, l'identità 7 nella molteplicità sta nel fatto che si dia il modo
dell'unità8 , ma da un altro punto di vista. Di un tale modo fa parte ciò che è
per accidente, essendo in relazione all'uno [304} per accidente; come, infatti,

Quae autem propria sunt unitati sunt identitas, homogenia, convenientia et aequalitas et simili-
tudo. Propria vero multitudinis sunt opposita istorum; tractare autem de oppositis unitati
maius est; unitas enim consimilis est, sed quod est ei contrarium est multis modis.
Idem autem est cum multa uno modo ponuntur unum uno modo, et hoc per accidens; et
hoc est secundum respectum unius per accidens: sicut enim illic dicitur unum, sic et hic dici-
678 [304]

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tur idem. Sed quae dicuntur idem in qualitate sunt consimilia, et quae in quantitate dicuntur
aequalia, et quae sunt idem in relatione dicuntur comparativa. Sed vires per essentiam sunt in
rebus quae constituunt essentiam; unde quae fuerint idem genere dicentur homogenea, et
quae fuerint idem in specie dicentur talia, et quae fuerint idem proprio dicentur convenienti a.
Opposita vero istorum noscuntur ex cognitione istorum. Nam oppositum ad idem abso-
lute est a!iud; aliud vero quoddam est genere, et quoddam est specie et hoc etiam est aliud
differentia, et quoddam est aliud accidente; potest autem esse ut id quod est aliud accidente
sit una res quae est aliud a seipsa duobus modis. Quorum unius nomen proprium secundum
alicuius placitum est, scìlicet quod est diversum [351] numero. Aliud vero differt a diverso
in hoc quod diversum est id quod differt a quolibet, aliud vero est id quod aliatur essentiali-
ter; diversum ergo est magis commune quam aliud, similiter et alia. Ea vero quae aliantur
genere generalissimo, si fuerint existentia in materiis, ipsa sua alietas in genere generalissi-
mo non facit debere ea non posse coniungi in una materia, sed quae aliantur specie sub pro-
pinquis generibus quae sunt sub uno generalissimo, impossibile est ea coniungi in uno
subiecto. Quaecumque autem non conveniunt in uno subiecto eodem modo et eodem tempo-
TRATI'ATO SETTIMO- SEZIONE PRIMA 679

in quel caso si dice "uno", in questo si dice "identico"; ciò che è identico nella
qualità è "simile", ciò che è identico nella quantità è "eguale"9 , ciò che è iden-
tico nella relazione si dice "comparabile" [o "analogo"] 10 • Ciò che, invece, è
per essenza riguarda le cose che fanno sussistere l'essenza; così ciò che è
identico nel genere è detto "omogeneo", ciò che è identico nella specie è detto
"assimilabile" 11 e ancora ciò che è identico nei caratteri propri si dice "confor-
me"12. E una volta conosciuti questi [modi], sono conoscibili i loro opposti.
L'opposto dell'identico in [senso] assoluto è il diverso; fra ciò che è diver-
so vi è però un diverso nel genere, un diverso nella specie - che è propriamen-
te quel che è diverso per la differenza [specifica] -e un diverso per accidente,
che può anche essere una [medesima] cosa che sia diversa rispetto a se stessa
[perché considerata] sotto due [diversi] aspetti.
"L'altro" è invece un nome che nella terminologia tecnica è proprio di quel
che è numericamente differente e il "diverso" si distingue dal "differente" in
quanto quel che è differente è differente in qualcosa 13 , mentre il diverso può
esser diverso per essenza; il differente è più particolare del "diverso" e così è
"l'altro". ·
Quanto alle cose che fra loro sono diverse per il genere sommo, ebbene:
quando esse sono cose che ineriscono alle materie, il fatto stesso che esse
siano diverse per il genere sommo non comporta necessariamente che esse
non si trovino riunite in una [stessa] materia; è invece assolutamente impossi-
bile che si trovino riunite in uno [stesso] soggetto le cose fra loro diverse che
differiscono nelle specie subordinate ai generi prossimi, i quali [a loro volta]
sono inferiori a quello sommo. E tutte le cose che non possono trovarsi riunite
in uno [stesso] soggetto da uno [stesso] punto di vista e in uno [stesso] tempo
si chiamano "opposte" 14 ; ne hai appreso il numero e le proprietà nella
Logica 15 • II possesso 16 e la privazione, che sono fra [gli opposti], rientrano
sotto un certo aspetto sotto la contraddizione, mentre i contrari rientrano sotto
un [altro] aspetto sotto la privazione e il possesso; ma l'aspetto per cui la pri-
vazione rientra sotto la negazione è diverso da quello per cui il contrario rien-
tra sotto la privazione 17 •
Tuttavia devi sapere che la privazione si dice in più modi 18 • Essa si dice,
infatti, di quel che di per sé deve appartenere a un certo esistente ma che non
appartiene a un [altro determinato ente] (la-hu) perché, pur essendo di per sé
tale da appartenere a qualcosa (li-amnn ma), non è tale da appartenere a questo

re dicuntur opposita. Tu autem iam nosti in logica numerum et proprietates eorum, ex qui-
bus habitus et privatio uno modo continentur sub contradictoriis; contraria vero uno modo
continentur sub privatione et habitu. Modus vero quo continetur privatio sub negatione alius
est a modo quo continentur contraria sub privatione.
Oportet autem ut scias quod privatio dicitur multis modis. Dicitur enim privatio id quod
debet esse in aliquo nec est in eo, quod non sit illius modi ut sit in eo, quamvis sit illius
680 [305]

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naturae ut sit in aliquo. Et dicitur privatio id cuius natura est esse in genere alicuius rei, nec
est in ipsa re quia non est illius modi ut sit in ea, sive illud sit genus proximum sive longin-
quum. Et dicitur privatio id cuius natura est esse [352] rei non absolute, sed in sua hora
< ... > vel sua hora quae praeteriit, sicut senex edentulus. Prior vero modus nimium conve-
ni t negativae; alii modi differunt ab ea. Et dicitur privatio amissio per violentiam, et dici-
tur privatio id per quod amisit res integritatem suam; monoculus enim non dicitur caecus,
nec etiam videns absolute: hoc enim non est nisi respectu subiecti longinqui, scilicet
hominis, non oculi. Deinde de privatione praedicatur negatio sed non convertitur; privatio
1'RATIATO SETIIMO- SEZIONE PRIMA 681

[dato altro ente]i 9 ; [305] è come la vista: di per sé, infatti, essa appartiene a
una certa cosa, ma non è che [per esempio] al muro appartenga di per sé di
avere la vista20 •
[La privazione] si dice poi di qualcosa che, pur appartenendo di per sé al
genere della cosa, non appartiene alla cosa e non è tale da appartenergli, si
tratti del genere prossimo o remoto 21 • Essa si dice poi di qualcosa che deve di
per sé appartenere alla specie della cosa senza dovere di per sé appartenere
al'individuo, come la femminilità.
Essa si dice poi di qualcosa che deve di per sé appartenere alla cosa, ma
che non le appartiene o in assoluto o in un suo tempo (fi waqti-hi); [e ciò] o
perché il suo tempo non è [ancora] arrivato- come [per] l'imberbe- oppure
perché è passato, come [per] lo sdentato. Il primo caso corrisponde per molti
aspetti alla negazione; gli altri modi, invece, ne differiscono.
Si dice poi "privazione" di ogni perdita che sia per violenza e di ciò che la
cosa ha perduto non completamente; di chi ha un solo occhio, infatti, non si
dice che è "cieco" ma neppure che è "vedente" in senso assoluto22 , anche se
ciò è [vero] solo in relazione al soggetto remoto, ossia all'uomo, non
all' occhio23 .
Inoltre, della privazione si predica - senza conversione - la negazione; la
privazione, invece, non si predica del contrario perché l'amarezza non è "pri-
vazione della dolcezza" ma è, piuttosto, qualcos'altro insieme con la privazio-
ne della dolcezza24 • La privazione da sola può, infatti, essere nella materia o
può invece accompagnarsi a una data essenza la quale poi o comporta necessa-
riamente che nella materia si abbia la privazione di un'altra essenza o non si
dà senza tale privazione. E tali sono i contrari: la ragione della loro opposizio-
ne non è- lo abbiamo già chiarito- la diversità dei generi; la ragione [della
loro opposizione] sta invece nel fatto che le loro essenze, in se stesse e per le
loro differenze [specifiche], sono reciprocamente impedite a coesistere e si
corrompono reciprocamente25 . [306] E poiché nessuno dei generi supremi 26 è

vero non praedicatur de contrario: amaritudo enim non est privatio dulcedinis, sed est
aliud cum privatione dulcedinis. Privatio autem aliquando est in materia, aliquando est
comes essentiae quae facit de bere esse privationem alterius essentiae in materia, et non est
simul cum privatione.
Et haec sunt contraria quorum oppositionis causa non est alietas generum (iam enim
ostendimus hoc), sed causa huius est quod essentiae eorum ipsa definitione sui et definitione
suarum differentiarum repugnant coniungi et destruunt se. Postquam autem nulla generum
682 [306]

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generalissimorum sunt contraria, < ... > oportet tunc ut cotltraria sint distantia differentiis.
Unde inter omnia quae sunt aliud, contraria sunt aliud per formas, sicut nigredo et albedo
sub colore, et dulcedo et amaritudo sub gustu. Bonitas vero et malitia non sunt certe genera
superiora, nec bonitas significat intentionem univoce in illis, nec [353] malitia. Praeter hoc
autem malitia significat in omni re, aliquo modo, privationem perfectionis quae debet esse
ei, bonitas vero est esse eius. Inter illa igitur est diversitas quae est inter privationem et esse.
Quies vero et Jabor conveniunt in genere alio quam sit bonitas et malitia; conveniunt enim in
sensato ve! imaginato et in similibus. Non sunt igitur species bonitatis et malitiae.
'TRATIATO SETIIMO- SEZIONE PRIMA 683

contrario [a un altro], è necessario che i veri contrari 27 cadano in un genere,


che il loro genere sia uno28 , e che perciò si differenzino in virtù delle differen-
ze [specifiche] e facciano parte dell'insieme [di ciò] che è diverso nella forma,
come il nero e il bianco stanno sotto il colore e la dolcezza e l'amarezza sotto
il gusto.
Il bene e il male in realtà non sono generi supremi e né il bene né il male
indicano un concetto (ma'nii) univoco29 • Tuttavia, da un certo punto di vista,
in ogni cosa il male indica la privazione della perfezione che appartiene [alla
cosa], mentre il bene ne [indica] l'esistenza, cosicché fra i due vi è la [stessa]
opposizione che c'è tra l'inesistenza e l'esistenza30• Il riposo, il dolore e [cose]
simili sono associabili invece in qualcosa di diverso dal genere del bene e del
male: essi si associano nel sensibile o nell'immaginabile e altro; non sono spe-
cie del bene e del male.
Ora, sembra che coloro che nell'esaminare [le questioni] si fermano al
senso apparente [delle cose] si siano basati sulle cose che, essendo contrarie,
hanno generi prossimi in cui rientrare; dì esse una categoria conviene al senso o
all'inte\letto, mentre un'altra categoria ne è differente31 ; una categoria conviene
all'affermazione, un'altra alla separazione32 e un'altra categoria è differente da
entrambe; comunque: ecco, da tali [cose] essi hanno preso l'idea (ma'nii) di
quel che è conveniente e l'idea di quel che è differente e hanno fatto di una
delle due un genere per una categoria e dell'altra un genere per l'altra [catego-
ria]33. Ma non è questo che si deve [fare]: a indicare che [le cose] convengono
o differiscono sono i conseguenti [delle cose], perché [convenienza e differen-
za] non appartengono alle cose in se stesse, ma per relazione.
Inoltre, se delle cose [fra loro] convenienti e di quelle [fra loro] differenti
si facessero due nature, per le quali esistessero delle cose che, in relazione alle
diverse considerazioni [possibili], potessero essere loro legittimamente attri-
buite come loro generi, ecco che esse, da un certo punto di vista, rientrerebbe-
ro nell'insieme delle azioni e delle passioni, da un altro punto di vista in quel-
lo delle qualità, e da altri punti di vista ancora [in quello] delle cose relative.
Infatti, in quanto (307] esse provengono dalle cose, sono azioni; in quanto si

Videtur autem quod qui non bene consideraverunt hoc, intellexerunt quod eorum quae
sunt contraria et habent genera propinqua sub quibus continentur, quaedam conveniunt in
sensu ve! intellectu <... >, et quaedam differunt. Et collegerunt ex eis intentionem convè-
nientiae et intentionem diversitatis, et posuerunt unam ex eis genus quorundam, et alterrun
posuerunt genus aliorum. Sed non debet ita esse. Nam sensus convenientiae et diversitatis
est < ... > ut, cum posita fuerint quasi duae naturae, invenientur eis aliqua quae diversis
respectibus apta sint poni quasi genera eorum. Ipsa enim continentur sub universitate poteil-
tiarum agendi et patiendi quodam modo, et sub qualitatibus alio modo, et sub relationibus
alio modo. Ipsa enim, secundum hoc quod proveniunt ex rebus quae sunt potentiae agendi,
684 [307]

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et secundum hoc quod acquiruntur in aliquo ex aliquibus quae sunt [354) potentiae patiendi,
et secundum hoc quod de illis quiescunt dispositiones in suis sustinentibus, sunt de qualitati-
bus, sed, secundum hoc quod conveniens est conveniens suo convenienti, sunt de relativis.
Cum autem nomen rei quae est de convenientia ve! diversitate fuerit reductum ad aliquam
istarum intentìonum, continebitur sub genere quod est ei proprium. Non dico autem quod
una res contineatur sub diversis generibus (hoc enim est quod ego refugio), sed quia diversis
respectìbus una res est alìud et alìud et contìnetur in alia parte, nec sunt haec certa genera,
sed sunt quasi genera, quia sunt res compositae ex intentione et actione ve! passione vel
relatione et aliis, et videtur quod in seipsis sunt qualitates, et ceteri respectus comitantur ea.
Item, quamvis nos studeamus ponere convenientiam et diversitatem contineri sub gene-
ribus altioribus, tamen naturae contrariae quae ponuntur duae naturae habent certa genera
ftRAITATO SETTIMO- SEZIONE PRIMA 685

danno nelle cose a partire da [altre] cose, sono passioni; e in quanto a partire
da esse si determinano alcune disposizioni fisse 34 nelle cose di cui esse si pre-
dicano, sono qualità. [Inoltre], in quanto quel che è conveniente conviene a
qualcosa che a sua volta gli conviene35 , esse [andrebbero annoverate] tra quel
che è relativo. Così, se il nome della convenienza e della differenza è riferito
precisamente a una di queste cose, esso rientra nel genere che le è proprio.
Non sto dicendo che una stessa cosa rientra in generi differenti - perché que-
sta è una cosa che escludiamo - ma che ogni considerazione costituisce
un'altra cosa e rientra in un altro genere e che queste [cose] non sono realmen-
te generi, ma sono come dei generi: esse sono, infatti, cose composte da una
,certa intenzione e da un'azione oppure [da una certa intenzione e] da una pas-
sione o una relazione o altro. Sembra che in se stesse esse siano qualità e che
tutte le altre considerazioni ne conseguano.
Inoltre, per quanto si faccia tutto lo sforzo di interpretazione [possibile] per
ricondurre la convenienza e la differenza ai generi supremi36 , quei caratteri
naturali contrari di cui si sono fatte due nature avranno autentici generi, diver-
si dalla convenienza e dalla differenza, nei quali rientrare; e questo lo hai già
appreso nel luogo [a ciò deputato].
Quanto [all'affermazione] per cui due contrari esistono in due generi con-
trari- come il coraggio e la temerarietà- anche di una [simile] asserzione [si
potrebbe] discutere ampiamente; in se stesso, infatti, il coraggio è una qualità,
pm in virtù di una determinata considerazione è una virtù; e così la temera-
rietà: in se stessa è una qualità, ma in virtù di una determinata considerazione
'.~.un vizio, e la virtù e il vizio non sono i generi di queste qualità, come "sapi-
~o" e "insipido" non sono generi degli odori e dei sapori, ma ne sono, piutto-
~to, dei conseguenti necessari che dipendono da alcune considerazioni che li
~compagnano. Il coraggio, dunque, in se stesso non è contrario alla temera-
rietà come non lo è alla codardia; i due contrari sono la temerarietà e la codar-
dia, che rientrano nella categoria del possesso della qualità 37 ; il coraggio si
oppone al non-coraggio, come abbiamo sostenuto a proposito dell'eguale

praeter convenientiam et diversitatem sub quibus continentur; et tu iam nosti hoc alias. Sed
hoc quod contraria sint sub duobus generibus contrariis, sicut audacia et temeritas, longum
est disserere. Audacia enim in se qualitas est, et quodam respectu est strenuitas. Similiter
etiam temeritas in se qualitas est, et quodam respectu est stolìditas. Sed strenuitas et stolidi-
tas non sunt de generibus istarum qualitatum, quemadmodum sapidum et insipidum non
sunt genera olfactorum et gustatorum, immo comitantur ea diversis respectibus qui conse-
quuntur ea. Audacia enim in se non est contraria temeritati nec formidolositati; immo stre-
nuitas et formidolositas sunt contraria contenta sub habitu quae est una [355] species quali-
tatis. Audacia vero est opposita non-audaciae, quae est quasi genus temeritatis et formidolo-
686 [308]

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sitatis. Si enim audacia esset contraria temeritati, non tamen esset contraria ex natura sui
ipsius, sed ex aliquo quod accidit ei, scilicet ex hoc quod ille est laudabilis et strenuus et uti-
lis, hic vero vituperabilis et stolidus et nocivus.
Contraria igitur vere sunt ea quae conveniunt in genere et in subiecto; quorum quaedam
sunt talia quod unum subiectum recipit utrumque duorum contrariorum, tamen sine conver-
sione sui in aliud ab illis duobus, et quaedarn sunt quorum subiectum prius convertitur in
aliud ab eis quousque accidat ei unum ex eis. Aliqua enim est complexio qua indulcoratur
aliquid, sed ad arnaricandum eget alia complexione; non est autem haec dispositio in con-
versione calidi in frigidum. Cum enim fuerit contrarietas in genere, necesse erit tunc ut pri-
vatio cuiuslibet eorum in sua natura quantum ad illud genus comitetur alterum tantum, et
tunc non erit medium inter illa; vel erit medium, sed unum vel plura, et tunc necesse erit ut
illa multa distent ab unoquoque illorum vel eodem modo, ita ut ab uno eorum non distent
magis vel minus quarn ab alio, vel non eodem modo. Si autem fuerit hoc non eodem modo,
tunc quoddam eorum erit propinquius similitudini alicuius extremi eo quod in se est aliquid
:'l"RATIATO SETTIMO- SEZIONE PRIMA 687

[308] e di ciò che gli si oppone38 . Inoltre, il non-coraggio è, per la temerarietà


e la codardia, come il genere; quindi, se il coraggio fosse contrario alla teme-
rarietà, ciò non si dovrebbe alla natura della sua propria essenza, ma solo a un
accidente che lo riguarda, e cioè che, mentre questo è lodevole, è una virtù ed
è utile, quella è deplorevole, è un vizio ed è dannosa.
I veri contrari39 sono dunque quelli che coincidono nel genere e nello stes-
so soggetto uno. E fra di essi ve ne sono alcuni per cui lo stesso identico sog-
getto riceve tutti e due i contrari - senza trasformarsi in qualcosa di diverso
dai due - e ve ne sono altri per cui il soggetto, affinché gli possa accadere uno
dei due [contrari], deve prima di tutto trasformarsi in qualcosa di diverso da
essi: infatti, se una certa complessione rende la cosa dolce, quando [la cosa] è
amara si ha bisogno di un'altra complessione; non è così, invece, nel caso in
cui quel che è caldo si trasforma in quel che è freddo 40 •
E poiché i due contrari rientrano nello [stesso] genere, allora non si sfugge
a una delle due possibilità: o nella natura del genere, per ognuno dei due,
àll'inesistenza dell'uno consegue soltanto l'altro, senza che fra i due vi sia un
rnedio, oppure non è così.
E poi, ancora, non si sfugge a una delle due possibilità: o tale molteplicità
tdi diversi] differisce da uno dei due in uno [stesso] modo- senza che la diffe-
renza di uno di essi41 sia minore o maggiore- oppure è in modo differente42 .
Se è [in modo] differente, allora uno [dei diversi] sarà più prossimo a somi-
gliargli e il più prossimo a somigliargli43 avrà in sé qualcosa della sua forma,
mentre un altro sarà al massimo della differenza nei suoi riguardi e ne sarà,
quindi, il contrario44 • La contrarietà è la massima differenza degli opposti che
coincidono nel genere e nella materia45 ; e questo perché è vero affermare la
massima differenza, sia quando c'è un medio sia quando non c'è; infatti,
anche se vi sono [solo] due [diversi], ognuno dei due sarà al massimo della
distanza dall'altro e la contrarietà sarà completa differenza. Perciò il contrario
di una cosa è sempre uno.
Se poi qualcuno consideri che il massimo della differenza e della distanza
possa occorrere tra una e altre due [cose] tra loro differenti, ciò è impossibile46 .
Infatti, o la differenza tra una e altre due cose consiste in una sola nota (ma 'nii)

formae illius, et quoddam erit in ultimo distantiae ab eo, et hoc est contrarium, quia contra-
rietas est ultimum distantiae inter opposita quae conveniunt in [356] genere et in materia.
Verum est autem dicere ultimum distantiae esse ubi est medium et ubi non est medium, quia
unumquodque eorum est in ultimo distantiae ab alio; igitur contrarietas est distantia perfec-
ta, quia definitio earum est eadem.
Quod autem quis ponat ultimam diversitatem et distantiam inter unum et duo alia
distantia, hoc impossibile est. Distantia enim unius a duobus vel erit secundum unam inten-
tionem unius modi, et tunc duo distantia ab uno, eodem modo, erunt convenientia in forma
688 ,.. ~ [309]

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distantiae, quae est una species, non multae; ve! erit multis modis, et tunc illi erunt diversi
modi contrarietatis, non unus modus. lgitur non erit hoc per differentiam quae consequitur
genus ut faciat illam speciem sine exspectatione alicuius, et praecipue in simplicibus (iam
enim nosti hoc), sed erit de modo sequentium et de dispositione eorum quae comitantur spe-
ciem. Noster autem sermo est de uno modo contrarietatis, scilicet quae est per essentiam.
Manifestum est igitur quod contrarium unius non est nisi unum. Medium vero vere est id
quod, quamvis sit diversum, est tamen consimile, et ideo oportet ut conversio primum fiat
ad illud dum aliquid movetur ad contrarium: nigrum enim prius fit citrinum vel viride vel
rubeum et deinde fit album. lam autem ponunt contrariis media per negationem duorum
TRATTATO SETTIMO- SEZIONE PRIMA 689

[309] sotto uno stesso rispetto - e allora le [cose] che sono da essa differenti
sotto uno [stesso] rispetto coincideranno nella forma della differenza e daran-
no luogo a una sola specie e non a specie molteplici; oppure [la differenza è
costituita] da più aspetti e consisterà allora in più modi di contrarietà, non in
uno solo: essa allora non sarà in ragione della differenza [specifica], la quale
quando si accompagna al genere produce questa data specie senza aver biso-
gno di nient'altro; e (ciò] soprattutto negli [enti] semplici; questo lo hai già
appreso. [Una simile differenza] si dovrà piuttosto ad alcuni concomitanti e ad
alcuni stati che conseguono alla specie.
Il nostro discorso, però riguarda una [sola] categoria della contrarietà, la
contrarietà che è per essenza; e dicendo "per essenza", non intendiamo47 la
sostanza e il soggetto, ma invece ciò per cui si ha la contrarietà, foss'anche
una qualità; ed è quindi evidente che uno [solo] è il contrario di una [data
cosa]. Il medio, in realtà, è ciò che, pur essendone differente, somiglia [alla
cosa] e per cui è necessario che, nel mutare verso il contrario, [la cosa] prima
di tutto si trasformi in esso: per ciò il nero diviene prima scuro e48 verdastro e
rossastro 49 e poi bianco. Ai contrari i medi possono accadere anche per nega-
zione dei due estremi, e questo quando manca un nome per il medio 50, ma il
medio è un medio, e con ciò noi intendiamo un autentico 51 medio, come ciò
che non è né caldo né freddo. E se anche non vi fosse un nome per il tiepido,
qualcosa di simile apparterrebbe allo [stesso] genere [del caldo e del freddo].
Se, invece, [lo] si fa uscire dal genere, come nel dire "né leggero né pesante",
non si avrà un autentico medio, ma solo un medio a parole52 .
Il possesso e la privazione non hanno, invece, un medio nel soggetto per-
ché sono in se stessi l'affermazione e la negazione proprie di un genere o di un
soggetto, anche in un certo tempo e stato. Il rapporto del possesso e della pri-
vazione con una certa cosa e quel tale stato è il rapporto di due contraddittori
con l'esistenza intera; e poiché non vi è mediazione tra due contraddittori, non
vi è mediazione tra la privazione e il possesso.

extremorum, sed hoc aliquando fit ex defectu nominis medii, scilicet medii veri, sicut si
[357] diceretur nec-calidum nec-frigidum si tepidum careret nomine; et huiusmodi res ve!
erit in uno genere ve! in diversis, sicut si dixeris nec leve nec grave; hoc autem non est
verum medium, sed est medium verbo tenus. Habitus autem et privatio non habent medium
in subiecto: ipsa enim sunt ipsa affirmatio et negatio restricta circa genus ve! subiectum, et
in tempore etiam et dispositione. Comparatio igitur habitus et privationis ad illam rem et
dispositionem erit sicut comparatio contradictoriarum ad omne quod est. Sicut enim non est
medium inter contradictorias, sic non est medium inter privationem et habitum.
690 .jl!fl J.,..oiJI - ~ 1_11 ~W. l [310]

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II
CAPITULUM DE ASSIGNANDIS lNTENTIONIBUS ANTIQUISSIMORUM DE IDEIS
ET SECUNDA MATHESI ET DE CAUSA QUAE EOS DUXIT AD HOC
ET DE OSTENDENDA ORIGINE IGNORANTIAE PROPTER QUAM DECEPTI SUNT

Tempus est nobis ut accingamur ad refellendum sententias dictas de ideis et disciplinali-


bus et de principiis separatis et de universalibus quae [358] differunt a nostris radicibus quas
iarn stabilivimus. Quae quamvis iam probatae sint certis regulis, in quo est aliqua innuitio
sufficiens speculatori ad dissolvendum et destruendum omnes verisimilitudines eorum et ad
opponendum sententiis eorum, tamen conabimur ad hoc totis viribus nostris; confidimus
enim quod, per ea quae dicemus interim dum adversamur eis, utilia multa provenient quae
praetermissa sunt in eis quae diximus et ostendimus.
Dico igitur quod omnis ars in exordio suo est cruda et immatura, sed maturatur postea et
deinde paulatim decoratur et perficitur. Talis fuit philosophia antiquitus apud Graecos: pri-
691

(SEZIONE SECONDA}

IN CUI SI RIFERISCONO LE DOTIRINE DEI PIÙ ANTICHI FILOSOFI


SULLE IDEE E SUI PRINCIPI MATEMATICI;
SI SPIEGA LA RAGIONE CHE CONDUSSE A TALI DOTIRINE
E SI METTE IN EVIDENZA LA RADICE DELL'IGNORANZA IN CUI SONO CADUTI
COSÌ DA ERRARE A CAUSA DI ESSA

È giunto [il momento] di dedicarci a contraddire le opinioni che sono state


sostenute riguardo alle forme, agli [enti] matematici, ai principi separati e agli
universali; [opinioni] che contrastano con i principi che abbiamo fissato. E
benché in quel che abbiamo sostenuto, nella [sua] correttezza e nelle leggi che
abbiamo dato, vi sia [già la possibilità] di risvegliare J'attenzione 53 di chi è
perspicace perché risolva e distrugga tutte le aporie di coloro [che hanno tali
opinioni] e [trovi] argomenti per contraddire le loro dottrine, preferiamo tratta-
re noi stessi54 tale [questione], sperando che ciò facendo se ne traggano degli
argomenti utili che menzioneremo nel corso dell'esposizione delle nostre
obiezioni a costoro e che forse ci sono sfuggiti in quel che abbiamo introdotto
e spiegato [precedentemente].
Ogni disciplina - diremo - al suo sorgere55 è ancora acerba, non matura;
dopo un certo periodo, tuttavia, essa matura, quindi cresce e dopo un periodo
ulteriore si perfeziona. Perciò, quando i Greci si diedero alla filosofia
nell'Antichità, essa era retorica e vi si mescolavano inoltre errore e [controver-
sia] dialettica56 . Quella che, fra le parti in cui essa si divide, arrivò per prima al
pubblico è la [scienza] naturale; poi si incominciò a prestare attenzione alla
matematica e, infine, alla [scienza] divina. [I pensatori] passavano dall'una
all'altra senza precisione e appena passarono dal sensibile all'intelligibile cad-
dero in confusione. Così, alcuni ritennero che la divisione rendesse sempre
necessaria [la presenza] di due elementi in [311] una data cosa, come se vi

mum quidem persuasibilis, scilicet rhetorica; deinde, quia incidit deceptio in eam, fuit dia-
lectica in una ex partibus eius, scilicet naturali, quae apud plures eorum prius fuit usitata;
postea vero coeperunt animadvertere disciplinalem et deinde divinam. Sed in hoc, dum tran-
sirent de aliis ad alias, nimium fatigati sunt.
Primum autem in transeundo de sensibili ad intelligibile divisi sunt. Nam quidam ex eis
putaverunt quod divisio facit debere esse duo [359] aliqua in unaquaque re, sicut duos homi-
nes in intentione humanitatis, scilicet hominem sensibilem corruptibilem, et hominem intel-
692 1"\\ [311]

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ligibilem, separatum, perpetuum, invariabilem, et unicuique istorum attribuerunt esse. Sed


esse separatum vocaverunt esse exemplare, et unicuique rerum naturalium attribuerunt for-
mam separatam, quae est ipsum intellectum et cui obviat intellectus, eo quod intellectum est
res quae non destruitur, sed quicquid est sensibile ex his est corruptibile. Scientias vero et
demonstrationes posuerunt secundum huiusmodi cursum, et secundum hoc tractaverunt de
eis. Ex quibus Plato famosissimus et magister eius Socrates nìmium adhaeserunt huic sen-
tentiae, dicentes quod humanitas est una intentio ens in qua cowmunicant individua et rema-
net, destructis illis. Non est autem haec illa intentio quae est sensibilis multiplex corruptìbi-
lis; est igitur illa quae est intentio intelligibilis separata.
Quidam vero alii non dederunt huic formae separationenl, sed principiis eius, et res
disciplinales quae sunt separatae definitionibus posuerunt digoiores separatione in esse. Id
TRATIATO SETIIMO- SEZIONE SECONDA 693

fossero due uomini in quel che è significato (ma'nii) dall'umanità: vi sarebbe


un uomo corruttibile e sensibile e un uomo intelligibile e separato, eterno e
immutevole; costoro attribuirono un'esistenza a ognuno dei due [uomini!,
chiamando l'esistenza separata "esistenza esemplare"57 , e attribuirono a ognu-
na delle cose naturali una forma separata, cioè intelligibile, che - [dissero] -
l'intelletto riceve perché, mentre l'intelligibile è qualcosa di incorruttibile,
tutto ciò che è sensibile fra le [cose] è corruttibile; essi ritennero inoltre che te
scienze e le dimostrazioni conducessero a questa [forma separata], arrivando a
coglierla.
Furono colui che è noto come Platone e il suo maestro Socrate58 a eccedere
in questa opinione; essi sostenevano che all'umanità appartenesse una [stessa]
realtà (ma 'nii) esistente, della quale avrebbero partecipato in comune gli indi-
vidui e cui sarebbe appartenuto di permanere una volta che essi fossero svani-
ti; questa, non essendo la cosa (ma 'nii) sensibile, molteplice e corruttibile-,
sarebbe stata la realtà intelligibile separata.
Altri ritennero che non fosse questa forma ad avere una [sua] separatezzél,
ma i suoi principi, e considerarono gli enti matematici, che nelle [loro] defini-
zioni sono separati, meritevoli della separatezza nell'esistenza; di quelle forme
naturali che per definizione non sono separate fecero, invece, [cose] che per
essenza non sono separate. Essi ritenevano che le forme naturali si generassero
solo in quanto tali forme matematiche si accompagnano alla materia, come Ia
concavità: essa è una realtà (ma 'nii) matematica e, una volta che si accompa-
gni alla materia, viene ad essere camusità, divenendo una realtà (ma 'na) natu-
rale; la concavità, in quanto è matematica, è separabile anche se, in quanto è
naturale, non le appartiene di separarsi 59 •
Quanto a Platone, la sua tendenza era per lo più (di considerare] che fosse-
ro le forme a essere separate; nella sua [opinione] gli (enti] matematici erano
realtà (ma 'anl) [intermedie] tra le forme e gli [enti] materiali; infatti, benché
fossero separati nella definizione, essi non potevano, secondo lui, costituire
una dimensione sussistente al di fuori della materia. [Una tale dimensione]
sarebbe, infatti, o finita o infinita ma, se fosse infinita - e questa [infinità]

vero de formis naturalibus quod non sint separatae definitione dixerunt non separari per
essentiarn, et dixerunt quod formae naturales non generantur nisi ex coniunctione illarmn
formarum disciplinalium cum materia, sicut planities quae est intentio disciplinalis; curn
adiungitur materiae, scilicet naso, fit simus et fit intentio naturalis; planities autem, [360]
secundum quod est disciplinalis, est separabilis, sed, secundum quod est naturalis, non est ei
ut separetur.
Plato vero plus inclinabat se ad hoc ut formae sint separatae; et disciplinales, apud eunt,
erant mediae inter formas et inter materiales, quamvis enim hae sint separatae definitione,
non tarnen concedebat eas existere non in materia. Forma enim ve! est finita ve! infinita. Si
autem fuerit infinita, sed hoc habet ex hoc quod est exspoliata natura, tunc omne spatiurn
694 JWI J.....AII- ~Ln A)lùl [312]

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.~I~.J.rJI~ j 4_;1:.~1 ~-' ,__,....J..I.J~I~ j u..-}1 ~.J''-J~I.J

erit infinitum; si vero hoc acciderit ei ex hoc quod est exspoliata a materia, tunc materia est
acquirens restrictionem et formam; sed utrumque istorum est absurdum: nam spatium esse
infinitum impossibile est. Si autem fuerit finita, tunc restrictio eius est in termino terminato
et figura mensurata, quia hoc non est ei nisi ex passione accidente sibi extrinsecus, non ex
ipsa natura eius. Non patitur autem forma nisi a sua materia, igitur simul esset separata et
non separata, et hoc est impossibile; oportet igitur ut sit medium.
Alii vero principia rerum naturalium posuerunt ideas et posuerunt eas certa intellecta et
certa separata, dicentes quod, cum ipsi exspoliant dispositiones corporales a materia, scilicet
naturales, non remanet nisi magnitudo et figura et numerus, quoniam ex novem praedica-
mentis ea [361] quae sunt qualitates passibiles et passiones et habitus et potentia et impoten-
tia sunt res habentium passiones et habitus et potentias; relatio vero est de his quae pendent
ad similitudinem istorum, igitur est materialis; resta! igitur ubi, et est quantitas, et quando, et
est quantitas, et situs, et est quantitas; agere vero et patì sunt materiales. Acquiritur igitur ex
hoc ut, quicquid non est quantum, sit etiam pendens ex materia; pendentis vero ex materia
principium est id quod non pendet ex materia. Igitur disciplinalia, scilicet ideae, sunt princi-
pia naturalium, et ipsa sunt certa intellecta; alia vero ab eis sunt non intellecta, et idcirco
tRATTATO SETTIMO- SEZIONE SECONDA 695

[312] ne conseguisse in relazione alla sua pura natura, allora ogni dimensione
sarebbe infinita; e se invece la accompagnasse60 in quanto astratta dalla mate-
ria, allora sarebbe la materia a far acquisire la limitazione e la forma, ed
entrambi i modi danno luogo a un'impossibilità. Anzi, è impossibile che esista
una dimensione infinita e poi, se fosse finita, il suo essere delimitata in un dato
limite e in una figura misurabile si dovrebbe senz'altro a un certo patire acca-
duto dall'esterno e non alla sua stessa natura. E poiché la forma non può patire
se non per la sua materia, essa sarebbe separata e [insieme] non separata, il che
è impossibile. Perciò- [secondo Platone] -era necessario che [gli enti mate-
matici] fossero qualcosa di intermedio [tra le forme separate e la materia] 61 .
Gli altri 62 , invece, fecero degli enti matematici i principi degli enti naturali
e ritennero che fossero gli [enti] realmente intelligibili e realmente separati;
menzionarono il fatto che, se gli stati corporei si astraggono dalla materia, non
restano che dimensioni 63 , figure e numeri; e questo perché, delle nove catego-
rie, le qualità passive, le loro passioni, gli abiti, la potenza e l'impotenza sono
cose che appartengono a [enti] dotati di passioni, di abiti e di potenze, mentre
la relazione, essendo qualcosa di vincolato a [cose] simili, è anch'essa mate-
riale; restano quindi il luogo, che è quantitativo; il tempo, che è quantitativo, e
la posizione, anch'essa quantitativa; quanto all'azione e alla passione, sono
materiali. Da questo risulterebbe allora che tutto ciò che non è quantitativo è
vincolato alla materia e poiché il principio di quel che è vincolato alla materia
non è a sua volta vincolato alla materia, ecco che gli [enti] matematici si rive-
lerebbero principi: essi sarebbero gli [enti] realmente intelligibili, mentre tutto
il resto sarebbe altro che intelligibile. Per questo, nessuno può definire [per
esempio] il colore, il gusto e altro con una definizione che valga la pena di
considerare; tali cose consistono solo in un [determinato] rapporto con una
potenza percettiva di cui, secondo loro, l'intelletto non ha intellezione, ma che
è solo l'immaginazione a immaginare, seguendo i sensi. I numeri, le estensioni
e i loro stati - dissero - sono invece intelligibili per sé e perciò sono i [prin-
cipi] separati.
Alcuni, tuttavia, ne fecero dei principi, senza considerarli separati: sono i
seguaci di Pitagora. Essi considerarono ogni cosa composta dalla monade e
dalla diade 64 ; collocarono la monade nell'ambito del bene e del limite e la
diade nell'ambito del male e dell'illimite65 .

nullus potest definire colorem ve! saporem ve! alia huiusmodi definitione quae sit recta, sed
quae est comparatio aliqua ad virtutem apprehendentem, quia intellectus non intelligit eas
apud eos, sed imaginat eas imaginatio sequens sensum. Dixerunt etiam quod numeri et men-
surae et dispositiones earum intelliguntur per seipsa, igitur ipsa sunt separata.
Quidam vero posuerunt ea principia et non posuerunt ea separata, et haec fuit secta
Pythagorae; et composita omnia assimilaverunt unitati et dualitati, et posuerunt unitatem in
termino bonitatis et restrictionis, dualitatem vero posuerunt in malitia et in non restrictione.
696 [313]

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Quidam vero alii posuerunt principia augmentum et diminutionem et aequale, ponentes


aequale ipsam hylem, eo quod ab ipso fit conversio ad utrumque extremorum. Quidam vero
alii posuerunt [362] aequale formam, eo quod ipsa est restricta et terminata, augmentum
vero et diminutio non habent terminum.
Postea vero divisi sunt in compositione universitatis ex ideis disciplinalibus. Quidam
enim posuerunt numerum principium mensurae; unde linea apud eos componitur ex duabus
unitatibus, et superficies ex quattuor unitatibus. Quidam vero unamquamque istarum dua-
rum posuerunt partem per se, et plures ex eis tenuerunt quod numerus est ipsum principium,
sed unitas est primum principium, et quod unitas et identitas sunt comitantia ve! consequen-
tia, et procreaverunt numerum ex unitate, et ordinaverunt eum secundum tres modos, quo-
fRATIATO SETTIMO- SEZIONE SECONDA 697

[313] Alcuni altri fecero del "più", del "meno" e dell'"eguale" i principi e
considerarono l'eguale in luogo della materia perché a partire da esso si avreb-
be la trasformazione nei due estremi. Altri, invece, lo considerarono in luogo
della forma, perché essa è limitata e determinata, mentre al "più" e al "meno"
non c'e limite.
Inoltre [questi pensatori] si divisero riguardo alla composizione del tutto a
partire dagli [enti] matematici: alcuni considerarono il numero principio
dell'estensione, facendo la linea composta da due unità e la superficie da quat-
tro unità; altri attribuirono a ognuno dei due un ambito a parte; la maggior
parte di essi [ritenne] che il numero fosse il principio, che l'unità fosse il
primo Principio e che l'unità e l'essere (huwiyya) fossero tali da conseguire
l'una all'altro o da sovrapporsi66.
Essi stabilirono l'ordinamento del numero e della sua formazione a partire
dall'unità in tre modi: nel primo, secondo il numero numerico; nel secondo,
secondo il numero matematico; nel terzo, secondo la reiterazione. Per quanto
riguarda il numero numerico, fecero dell'unità il primo [elemento] dell'ordina-
mento, [collocando] in seguito la dualità e poi ancora la triplicità. Per quanto
riguarda il numero matematico, fecero dell'unità un principio, poi del due, poi
del tre, e diedero quindi un ordinamento al numero secondo il susseguirsi di
unità a unità. Per quanto riguarda il terzo [tipo], attribuirono la formazione del
numero alla reiterazione della stessa unità, non ali' aggiunta ad essa di un'altra
[unità] 67 .
Ma ciò che è stupefacente riguarda un gruppo di Pitagorici che ritiene che
il numero si componga di unità e di sostanza; l'unità, infatti, non sussisterebbe
da sola, perché è l'unità di qualcosa e il [suo] luogo di inerenza sarebbe la
sostanza; vi sarebbe, così, composizione e, perciò, molteplicità. Fra costoro vi
è poi chi fa di ogni ordine matematico del numero una forma che corrisponde
a una forma [314] esistente, così che neli' astrazione vi è l'ordine di un numero

rum unus est modus numeralis, alter est modus numeri disciplinalis, tertius est modus itera-
tionis. Modus vero numeri numeralis est quo posuerunt unitatem in principio ordinis, et
deinde dualitatem, et deinde temarietatem, et sic deinceps. Numerus vero disciplinalis est
quo posuerunt unum principium, deinde secundum et deinde tertium, et ordinaverunt nume-
rum per successionem unius post unum. Tertius vero modus est quo posuerunt numerum
procreari per iterationem ipsius unitatis, non per additionem alterius unitatis ad ipsam.
Miror autem de sententia Pythagorae qui tenuit numerum componi ex unitate et substan-
tia, eo quod unitas non constat per se quia unitas est alicuius, et id in quo est substantia est,
et ideo est compositio, et sic est multitudo. Et ex his fuit qui unicuique ordini disciplinalis
numeri [363] attribuit convenientiam alicuius formae, ita ut, cum est exspoliatus, sit ordo
698 JWl J.,.AJI - ~ Ul ~Ul.l [314]

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numeri, cum vero commiscetur materiae, sit forma hominis ve! equi, et hoc est de sententia
quam assignavimus in praedictis. Quidam vero alii dixerunt quod inter hanc formam nume-
ralem et inter exemplarem est differentia. Ex quibus fuerunt qui posuerunt eam medium,
secundum quod praedictum est.
Plures vero ex Pythagoricis tenuerunt quod numerus disciplinalis est ipsum principium, et
ipsum est non separatum. Ex quibus fuit ille qui concessi! compositionem formarum geometri-
carum fieri ex unitatibus; hic ergo negavit mensuras dimidiari. Et ex his fuit quem non piguit
ponere disciplinales compositas esse ex numeris et post compositionem accidere eis dividi in
infinitum. Et ex his fuit qui formas numerales posuit incommunicantes formis geometricis.
Tu autem, cum diligenter consideraveris hoc, invenies quod radices occasionis omnis
erroris in quem inciderunt isti viri sunt quinque.
Una est opinio eorum quod, cum res est exspoliata ab aliquo nec est adiunctus ei respec-
tus alius, profecto exspoliata est in esse ab eo, quemadmodum si id cui aliquid adiunctum
est consideraveris per se sine consideratione eius quod sibi adiunctum est, iam enim consi-
TRATTATO SETTIMO- SEZIONE SECONDA 699

mentre, nella mescolanza con la materia, una forma di "uomo" o di "cavallo".


E questo, per quella realtà68 di cui abbiamo dato indicazione in precedenza.
Alcuni ritengono invece che tra queste forme numeriche e le idee vi sia una
differenza, e fra di essi c'è chi- come abbiamo prima spiegato- delle [forme
numeriche] ha fatto [enti] intermedi 69 •
La maggior parte dei Pitagorici70 ritiene che il numero matematico sia il
principio, ma che non sia separato; fra di essi vi è poi chi ammette che le
forme geometriche si compongano a partire dalle unità, ritenendo impossibi-
lè71 che le estensioni siano divisibili in due metà; fra di essi vi è poi chi non
vede alcun male nel fatto che gli [enti] matematici siano composti a partire da
numeri cui accada, dopo la composizione, dì dividersi all'ìnfinito72 ; infine, fra
di essi vi è chi considera le forme numeriche distinte da quelle geometriche.
E, se rifletti, trovi che le radici che hanno causato l'errore in cui costoro
sono caduti riguardo a tutto questo sono cinque.
La prima sta nel fatto che essi hanno ritenuto che, quando una cosa è
astratta perché la considerazione di ciò che è diverso da essa non l'accompa-
gna, essa ne è astratta [anche] nell'esistenza; è come se, una volta prestata
attenzione a una [data] cosa da sola- senza fare attenzione a ciò che la accom-
pagna - pur essendovi con essa un qualcosa che la accompagna, si concludes-
tre che essa non è vicina a quel che l'accompagna. È, insomma, [come se],
guardando ad essa non a condizione di essere accompagnata, si ritenesse di
guardare ad essa a condizione del non essere accompagnata, al punto di [con-
siderare] corretto guardare ad essa solo in quanto essa non è accompagnata,
anzi in quanto essa è separata. Ed è per questo - poiché l'intelletto Ii coglie
senza prestare attenzione a ciò che li accompagna - che essi ritennero che,
degli intelligibili esistenti nel mondo, l'intelletto non coglie che quelli separa-
ti. Invece non è così. Piuttosto, ogni cosa, quanto alla sua essenza, è considera-
ta in un modo, e quanto alla sua relazione con qualcosa che la accompagna, è
considerata in un altro modo. Quando noi, per esempio, abbiamo intellezione
della forma dell'uomo in quanto essa è soltanto forma dell'uomo, abbiamo
intellezione di un esistente solo in relazione alla sua essenza; ma non è neces-
sario che, poiché ne abbiamo intellezione, esso sia da solo e separato. [315]

derasti illud non adiunctum illi; et omnino, cum consideraveris illud sine condicione
coniunctionis, iam putabis te considerasse illud cum [364] condicione non coniunctionis, ita
ut non oporteat considerare illud nisi non coniunctum, quamvis sit coniunctum. Sed, quia
intellectus apprehendit intellecta quae sunt in mundo sine consideratione eius cui adiungun-
tur, ideo putaverunt quod intellectus non apprehendit nisi separata ab eis. Non est autem ita;
immo omnis res, secundum quod in seipsa est, habet unum respectum, et, secundum quod
coniuncta est alii, habet alium respectum. Nos enim cum intelligimus, verbi gratia, formam
hominis inquantum est forma hominis solummodo, iam intelligimus aliquid quod solummo-
do est secundum quod est in se, sed ex hoc quod intelligimus, non oportet ut sit solum et
700 [315]

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separatum. Coniunctum enim, ex hoc quod est ipsum, est non separatum secundum modum
negationis, non secundum modum privationis qua intelligitur separatio existentiae. Non est
autem nobis difficile intelligere per apprehensionem ve! per reliquas dispositiones unum ex
duobus quorum unum est scilicet quod non est de natura eius separari a sibi coniuncto in
existentia, quamvis separetur ab eo in definitione et intentione et certitudine, cum fuerit eius
certitudo non contenta intra certitudinem alterius, quoniam esse cum ilio facit debere esse
coniunctionem non contineri in intentionibus.
Secunda est error eorum de uno. Per hoc enim quod dicimus quod humanitas est intentio
una, non intelligimus intentionem quae sit una numero, et sit in multis, et multiplicetur
respectibus sicut unus est pater [365] multorum, immo sicut uni patri sunt filii discreti; iam
autem scripsimus de hoc alias. Ipsi autem nescierunt quod, per hoc quod dicimus multorum
tfU\TIATO SETTIMO- SEZIONE SECONDA 701

Infatti, quel che è mescolato [alla materia], in quanto tale, è non accompagna-
t073 nel senso della negazione, non nel senso dell'equivalenza, dalla quale si
evincerebbe invece la separatezza della sussistenza74 . D'altronde, fra due
(cose], non ci è difficile individuarne, con la percezione o in qualunque altro
modo, una cui non appartiene di separarsi da quel che le si accompagna nella
sussistenza, benché se ne separi nella definizione, nell'intenzione e nella
realtà. La realtà [di una data cosa], infatti, non può esser fatta entrare75 nella
realtà dell'altra, perché "essere con" comporta che sia necessario l'accompa-
gnarsi ad altro, non la compenetrazione delle intenzioni [costitutiveF 6 .
La seconda ragione è data dal loro errore a proposito dell'uno. Quando
diciamo che l'umanità è un'intenzione "una", infatti, non intendiamo dire che
è un'unica intenzione77 che in se stessa esiste in molti [individui] così da mol-
tiplicarsi per relazione, come uno stesso padre è di molti [figli]. [La relazione]
è piuttosto quella che c'è tra i padri [diversi] di :figli diversF8 . E abbiamo già
discusso con precisione a questo proposito in altri luoghi 79 • Costoro, dunque,
non sanno che noi diciamo di molte cose che la loro intenzione è una80 , inten-
dendo con ciò che, qualunque di esse si immagini giungere per prima in una
materia- essendo questa nello stesso stato in cui è per le altre [cose] 81 -si ha
questo dato individuo uno; così, qualunque di esse giunga per prima nella
mente, imprimendovisi, da essa proviene questa stessa intenzioné 2, [e questo]
anche se, quando una precede, l'altra si vanifica e non fa nulla. Non è come il
calore83 che, se sopravviene a una materia in cui vi sia dell'umidità, vi produ-
ce un'altra cosa o, arrivando a una mente cui siano prima giunti84 l'intenzione
e l'intelligibile dell'umidità, produce un'altra intenzione. E se avessero com-
preso come va inteso l'uno a questo riguardo, si sarebbero salvati [dall'errore].
La terza [ragione di errore] è la loro ignoranza del fatto che noi sosteniamo
che un simile discorso - quello per cui la [cosa] in quanto tale sarebbe una
cosa altra e distinta nella definizione che le appartiene -è un discorso contrad-
dittorio; è come quello di chi, richiesto [di rispondere] alla domanda se
l'uomo, in quanto uomo, sia uno o molteplice85 , sbagliando, [316] rispondesse

esse intentionem unam, intelligamus quod, quamcumque prius intellexerimus venire ad


materiam, eandem habet dispositionem quam alia nec provenit ex ea nisi hoc unum indivi-
duum; et similiter qualecumque prius occurrerit intellectui et impressum fuerit in eo, acqui-
retur ex eo haec eadem ìntentio una, quamvis cum una advenit, deletur alia et non agitali-
quid, non sicut calor qui, cum venit in materiam in qua est humiditas, imprimit aliquam
intentionem, et, cum praesentatum fuerit intellectui quod venit ad eum intentio humiditatis,
agit aliam intentionem. Isti vero, si intelligerent ìntentionem de uno in hoc, removerentur ab
errore suo.
Tertia est ignorantia eorum quod hoc, inquantum est hoc, aliquid aliud est incommuni-
cans ei in definitione, quae est dictio contradictionis, sicut si aliquis sophistice interrogatus
an homo, inquantum est homo, sit unus vel multi, respondeat quod est unus ve! multi. Nam
702 JI!IIJ......i!I-~U-;V\.al.\ f\'\ [316]

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homo, inquantum est homo, est homo tantum, et, inquantum est homo, non est aliquid aliud
ab homine; sed unitas et multitudo sunt aliud ab homine; iam al)tem discussimus de his.
[366) Quarta est opinio eorum de hoc quod, cum nos diciwus quod humanitas est sem-
per manens, est quasi diceremus quod humanitas est una vel ]llultae. Hoc autem non esset
sic nisi diceremus quod humanitas, et humanitas una vel multt~e, esset una intentio, et ideo
non oportet putare ut, cum concesserunt sibi ipsis quod humattitas est manens, consequi ut
una et eadem humanitas sit manens, ita ut ponatur humanitas aeterna.
TRATIATO SETIIMO- SEZIONE SECONDA 703

"uno" o "molti". L'uomo in quanto uomo è, infatti, soltanto uomo e "in quan-
to uomo" non è nient'altro che "uomo", mentre l'unità e la molteplicità sono
[cose] diverse dall'uomo. E anche nel far comprendere questo ci siamo già
lungamente soffermati 86 •
La quarta sta nel fatto che essi hanno ritenuto che dire che l'umanità esiste
sempre, essendo permanente, significhi dire che l'umanità è una o molteplice.,
quando ciò sarebbe [vero] solo se il nostro dire "l'umanità" e [il nostro dire]
"un'umanità una" oppure "molteplice" avessero uno stesso significato
(ma 'nii). E così87, non si deve dare importanza al fatto che essi, una volta che
abbiano ammesso da sé che l'umanità è permanente, si trovino di conseguenza
ad affermare che l'umanità una sia in se stessa permanente fino al punto di
porre un'umanità eterna.
La quinta è il fatto che essi hanno ritenuto che, se le cose materiali sono
causate, è necessario che le loro cause consistano in qualunque cosa possa
separarsi. Infatti, non è che, poiché le cose materiali sono causate e gli [enti]
matematici sono separabili, è necessario che gli [enti] matematici siano
senz'altro le cause delle [cose materiali]. Potrebbe trattarsi, invece, di altre
sostanze che non rientrano nelle nove categorie. E costoro non hanno verifica-
to in profondità, come avrebbero dovuto, che le definizioni degli [enti] geome-
trici, tra quelli matematici, non fanno a meno della materia in assoluto, benché
facciano a meno di una certa specie di materia; ma per verificare cose [come]
queste dovrebbero essere sufficienti i principi che abbiamo ricordato. Ora
dedichiamoci invece a coloro che sostengono [l'esistenza separata] degli [enti]
matematici.

Quinta est opinio eorum de hoc quod, si res materiales fuerint causatae, oporteat causas
earum esse res quas possibile est separari. Non enim, si res materiales fuerint intellectae et
disciplinales separatae, oportebit ideo ut disciplinales omnino sint causae earum, quia fortas-
se aliae substantiae erunt causae, quae non sunt substantiae quae sustinent novem praedica-
menta. Nec certificaverunt certissime quod geometricae, quae sunt de disciplinabilibus, non
possunt carere materiis in suis definitionibus absolute, quamvis careant specie materiarum;
et hae sunt res ad certitudinem quarum videntur sufficere radices quas praemisimus. lgitur
accingamur contra eos qui tenent sententiam de disciplinalibus.
704 'l" \V [317]

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III
CAPITULUM DE DESTRUENDO SENTENTIAM DE DISCIPLINALIBUS ET DE IDEIS

Dico igitur quod, si in disciplinalibus fuerit disciplinale separatum a disciplinali sensibi-


li, tunc ve! erit in sensibili disciplinale, ve! non erit. Si autem in sensibili non fuerit discipli-
nale, oportebit tunc ut nec quadratum nec rotundum nec numeratum sit sensibile. Si autem
[367] nullum istorum fuerit sensibile, tunc quomodo erit via ad stabiliendum suum esse et
quanto minus ad imaginandum ea? Initium enim naturae imaginationis de hoc sumitur ab
esse sensibili, ita ut, si aestimaremus aliquem hominem nullum horum sensisse, procul
dubio iudicaremus eum non posse imaginare aliquod eorum, nedum etiam intelligere, quam-
vis nos iam stabilierimus plura ex eis esse in sensibili bus.
Si vero fuerit natura disciplinalium haec ut habeat esse in sensibilibus, tunc illis natura-
libus erit in sua essentia respectus propter quem essentiae eorum vel erunt convenientes in
definitione et intentione cum separato, ve! non convenientes. Si autem fuerint non conve-
705

[SEZIONE TERZA]

SEZIONE IN CUI SI CONFUTA LA DOTTRINA DEGLI [ENTI] MATEMATICI E DELLE IDEE

Ora, diremo: se degli [entij matematici alcuni fossero [enti] matematici


separati dali' [ente j matematico sensibile, allora: o in quello sensibile non vi
sarebbe affatto [qualcosa di] matematico, oppure vi sarebbe.
Se in quello sensibile non vi fosse alcunché di matematico, non dovrebbe-
ro esservi né quadrato, né circolo, né alcunché di numerabile sensibile; ma se
nessuna di queste [cose] fosse sensibile, come potrebbe esservi modo per sta-
bilire la loro esistenza, anzi, per immaginarsele? Il principio per cui noi imma-
giniamo tali [enti] 88 , infatti, muove dall'esistenza sensibile al punto tale che,
se immaginassimo qualcuno che non abbia avuto sensazione di nessuno di
essi, giudicheremmo che egli non immagina e che, anzi, non ha intellezione di
nessuno di essi, mentre noi avremmo stabilito l'esistenza di molti di questi
{enti] nel [mondo] sensibile.
Se poi la natura degli [enti] matematici potesse esistere anche in quelli sen-
sibili, vi sarebbe [modo] di considerare tale natura in sé; la sua essenza sareb-
be allora o tale da corrispondere nella definizione e nell'intenzione a quel che
èseparato, o tale da distinguersene. Se ne fosse distinta 89 , gli [enti] matematici
intelligibili sarebbero cose diverse da quelle che immaginiamo e di cui abbia-
mo intellezione, e allora avremmo bisogno continuamente di una nuova prova
per stabilime [l'esistenza], per poi doverci occupare di esaminare lo stato della
loro separatezza; quel che costoro hanno fatto, insistendo sulla non necessità
di stabilime [l'esistenza] e occupandosi in primo luogo di mostrare la loro
separatezza, non è, infatti, opera di cui accontentarsi.
Se invece [la loro natura] fosse corrispondente [a quel che è separato] e gli
si associasse nella definizione, allora non si sfuggirebbe a una delle due possi-
bilità: o queste [realtà intelligibili] che sono negli [enti] sensibili verrebbero ad
essere in essi per via della loro sola natura- ma allora come90 potrebbe esser
separato quel che dovrebbe avere la [stessa] definizione [degli enti sensibili]?

nientes cum ilio, tunc disciplinalia intellecta erunt alia ab eis guae imaginamus et intelligi-
mus, et ad stabiliendum illa erit opus probatione alia, et sic postea considerabimus de disposi-
tione separationis eorum; guod enim ipsi praetermiserunt stabilire ea et praeposuerunt tractare
de separatione eorum, nihil est. Si autem fuerint convenientia et communicantia illi in defini-
tione, tunc haec guae de illis sunt in sensibilibus necesse est ut, vel non fuerint in eis nisi
naturis et definitione eorum (sed guomodo separabuntur ab eo guod est eorum [368] defini-
tio?), vel ut si t hoc propter aliguid quod ace idi t eis ex aliqua occasione, et tunc illa erunt prae-
706 fiA
[318]

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parata ad hoc, quia definitiones eorum non prohibebunt hoc sequi ad illa; igitur de modo ilio-
rum separatorum erit ut fiant materiales, et de modo istorum materialium erit ut separentur, et
hoc est contrarium ei quod tenent et super quod constituunt radicem suae sententiae.
Haec autem quae fiunt propter aliquid quod accidit ve! egebunt separatis ad esse suum,
ve! non egebunt. Sì autem eguerint separatis, sed non egebunt aliìs separatis a se nisi propter
naturas suas, tunc separata egebunt alììs separatis. Si autern haec non eguerint separatis nisi
propter aliquid quod accidit eis, ita quod nisi illud accidisset, illa non egerent separatis ullo
modo nec separata deberent habere esse ullo modo, tunc accidens rei est quod facit debere
esse rei quod est prius ea et ita non eget ea, et ponìt separata egentia illis ad hoc ut possint
habere esse. Si autem non fuerit sic, sed fuerit quod esse separatorum facit debere esse sepa-
ratorum cum ilio accidente, tunc accidens non facit debere ea esse in aliis nec in suis, sed
natura separatorum est conveniens; si autem fuerint non egentia separatis, tunc separata non
erunt causae illorum ullo modo nec principia; et sequetur quod haec separata sunt insuffi-
cientia. Coniunctum enim materiae consequuntur vires et actiones quae non sunt in separato.
Quanta enim differentia est inter figuram humanam simplicem et inter figuram humanam
vivam agentem!
'tRATTATO SETTIMO- SEZIONE TERZA 707

Oppure questo (d/ilika) [e cioè il fatto di risiedere nei sensibili] accadrebbe loro
per una certa ragione; [queste realtà] sarebbero affette da questo dato acciden-
te9t e date le loro definizioni non sarebbe impossibile che un tale [accidente] sia
toro concomitante. Ma allora, a quegli [enti] separati apparterrebbe di venire ad
essere materiali, mentre a questi [enti] materiali apparterrebbe di separarsi, che
è [cosa] in contrasto con quel che [costoro] hanno creduto92 e su cui hanno
costruito il fondamento della loro opinione. [318] Inoltre, questa materia93 , che,
èsistendo, si darebbe insieme agli accidenti, sarebbe o tale da aver bisogno
degli [enti] separati, oppure tale da non averne bisogno. Se avesse bisogno di
[enti] separati, non potrebbe però aver bisogno che di [enti] separati diversi da
quelli per natura, così che quegli [enti] separati avrebbero [a loro volta] bisogno
di altri [enti separati]. Se poi questa [materia] avesse bisogno degli [enti] sepa,
rati solo a causa di qualcosa di accidentale 94 - al punto tale che, se non ci fosse
questo qualcosa di accidentale, essa non avrebbe affatto bisogno degli [enti]
separati e per essi non si darebbe necessariamente alcuna esistenza - ecco che
quel che accade a una data cosa sarebbe tale da rendere necessaria l'esistenza
ili qualcosa di anteriore a sé e indipendente da sé e gli fentiJ separati sarebbero
resi tali da aver bisogno [della materia] perché ne fosse necessaria l'esistenza!
Se poi la cosa non stesse così, ma anzi fosse l'esistenza degli [enti] separa-
ti a rendere necessario che [la materia] esista insieme a quel dato accidente,
allora perché essi renderebbero necessario 95 l'accidente negli [enti] diversi da
èssi e non in loro stessi, essendone identica la natura?
Se, invece, [la materia] fosse [tale da] non aver bisogno degli [enti] separa-
ti, gli [enti] separati non ne sarebbero cause, sotto nessun aspetto, né sarebbero
principi primi; e questi [enti] separati sarebbero di conseguenza manchevoli: a
quel che è congiunto96 alla materia sarebbero, infatti, concomitanti quelle
potenze e quelle azioni che non appartengono a quel che è separato. E quanto
sarebbe [grande] la differenza tra una figura umana esemplare e una figura
umana viva e attiva! 97
Ma è stupefacente [quel che fecero] costoro: essi considerarono la linea
astratta, nella sua sussistenza, dalla superficie, e il punto [astratto] dalla linea.
~a allora che cosa li riunirebbe nel corpo naturale? Sarebbe forse una stessa
natura ad esse [comune] 98 a rendere necessaria [la loro coesistenza]? Ma così,
se fossero separati, a riunirli insieme sarebbe necessaria 99 un'altra potenza,
un~ anima oppure un'intelligenza o un creatore. Inoltre, come potrebbe la linea
essere anteriore al corpo completo, come lo sono le cause, non essendone la

[369) Miror etiam de eis qui posuerunt lineam in sua existentia exspoliatam a superficie,
et punctum a linea. Quid est ergo quod coniungit ea in corpore naturali? An natura uniu-
scuiusque eorum facit debere hoc (sed similiter deberet ea coniungere si essent separata), an
alia virtus, anima an intelligentia, an creator? Deinde linea quomodo est prior corpore per-
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[319]

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fecto, prioritate causae, cum non sit forma eius? Linea enim non est forma corporeitatis,
quia nec est agens eius nec finis eius, sed saltem corpus perfectum et integrum dimensioni-
bus fit finis lineae et aliorum, nec etiam est hyle eius, immo est quiddam quod consequitur
illud secundum hoc quod finitur et inciditur.
Illum etiam qui tenet sententiam de numeris comitatvr ut distinctiones rerum ponat
varietatem secundum augmentum et diminutionem eorum. _f:t tunc diversitas inter hominem
et equum erit quod unus eorum est plus et alter minus; minus autem semper est in eo quod
est plus; igitur unus eorum erit in alio; < ... >.
Et ex his est etiam qui poni t unitates aequales, et ita id in quo differt plus ab eo quod est
minus erit pars eius quod est minus. Ex his est etiam qui ponit unitates inaequales; sed si
ipsae differunt definitione, tunc non sunt unitates nisi communione nominis; si vero non dif-
ferunt definitione, sed postquam conveniunt in definitione augentur et minuuntur, tunc aug-
mentum incrementi earum est < ... > propter (370] aliquid quod est in eis in effectu, sicut
numerus, et sic unitas est multitudo.
[fRA'ITATO SETTIMO- SEZIONE TERZA 709

forma? La linea, infatti, non è la forma della corporeità né è l'agente [del


corpo] né ne è il fine. Anzi, senz' altro è il corpo completo e perfetto nelle
dimensioni ad essere il fine della lineaHJO e di quel che è diverso da essa; esso
non ne è la materia ed è, anzi, un qualcosa che la accompagna in quanto essa
finisce e [a un certo punto] si interrompe.
E ancora: colui che sostiene [319] che i numeri [siano principì] è costretto
ad attribuire la disparità tra le cose all'aggiunta di una molteplicità o alla sua
mancanza. Ecco allora che la differenza tra l'uomo e il cavallo starebbe nel
fatto che uno dei due è "di più'' e l'altro "di meno" 101 • Ma quel che è "meno" è
sempre esistente in quel che è "più", cosicché in uno dei due vi sarebbe l'altro.
Ne conseguirebbe che alcune delle cose che sono tra loro distinte rientrebbero
sotto altre, e questo è assurdo e falso 102 .
Fra costoro vi è poi chi considera le unità l'una eguale all'altra; così, ciò in
virtù di cui il molto differisce dal poco sarebbe una parte del poco; però tra
costoro vi è [anche] chi considera le unità non eguali tra loro: in tal modo, dif-
ferenziandosi nella definizione, esse non sono unità se non per omonimia.
Invece, se non si differenziano nella definizione, ma [si differenziano solo] in
quanto, una volta dato il loro coincidere nella definizione, sono tali da accre-
scersi o diminuire, allora o il "più" di quel che di esse è "di più" è qualcosa
che in esse si trova in potenza 103 , come accade per le estensioni- ma allora
l'unità sarebbe un'estensione, non il principio di un'estensione; [oppure], se
l'"in più" di quel che è "in più" fosse qualcosa [che si trova] in esse in atto-
come per i numeri- allora l'unità sarebbe molteplicità.
Coloro che sostengono il numero numerico e che considerano le forme
degli [enti] naturali composte a partire da [entità numeriche]l 04 devono conse-
guentemente fare una di queste due cose: o attribuiscono una fine al numero
esistente separato, e allora la sua fine sarà a un determinato [punto] limite e non
ad un altro- [cosa, questa] che rientra nelle elucubrazioni prive di contenuto-
oppure, considerano [il numero separato] infinito e considerano, quindi, infinite
le forme degli [enti] naturali. Ma costoro farebbero allora dell'"unità prima"
qualcosa di diverso da ognuna delle due unità che sono nella dualità, poi della
"dualità prima" farebbero qualcosa di diverso dalla dualità che è nella triplicità
e di anteriore ad essa, e così via per ciò che riguarda quel che è successivo alla
triplicità. Ma questo è impossibile! Tra la "dualità prima" e la dualità che è
nella triplicità non c'è, infatti, una differenza che riguarda l'essenza, ma [una

Eos autem qui tenent sententiam de numero numerali et eos qui componunt ex eo for-
mas naturalium sequitur ut faciant unum de duobus, videlicet ut vel numerum qui est separa-
tus ponant finitum, et tunc finitio eius eri t apud unum ex suis terminis designatum tantum et
non apud alium, et haec adinventio est stulta; vel ponant infinitum, et tunc formas natura-
lium ponant infinitas. Et isti etiam ponunt unitatem primam praeter unamquamque duarum
unitatum quae sunt < ... > in temario et priorem illis, et similiter in his quae sequuntur tema-
rium. Sed hoc est absurdum, quoniam inter primam dualitatem et dualitatem quae est in ter-
710 ..:...!Wl J,..All - ~ Ul "-~!W. l .,.,.. [320]

lt=..~....i\.h ~o-bo .,u ;;..~,_,.o-bo} IJ§.; ._A[_,' l+ l-bo l., \.bo\_, '•.)'....i~ ')Il
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nario non est differentia in essentia, sed accidit ei adiungi sibi aliquid; adiunctio vero ali-
cuius sibi non destruit essentiam eius. Si enim destrueret essentiam eius, non esset coniunc-
tum; coniunctum enim coniunctum est essenti, sed destruens non est coniunctum. Unitas
autem, quomodo erit destructrix duarum unitatum nisi per hoc quod destruit unamquamque
illarum? Sed unitas quomodo erit destructrix unitatis? Nam si destrueret illam, non esset
dualitas. Dualitas enim quae fit ex coniunctione duarum unitatum inter se non est discreta in
essentia a dualitate existente non coniuncta unitati: unitas enim propter coniunctionem non
variat dispositionem, sed facit totum maius et dimittit partem secundum dispositionem
suam; et omnino cum [371] fuerint unitates convenientes et compositio fuerit una, tunc erunt
duae naturae convenientes, nisi forte acciderit aliquid quod variet et destruat. Igitur non
potest esse ut unitates sint nisi convenientes, quia numerus fit ex unitatibus convenientibus,
non aliis, quamvis quidam ex illis dicant quod dualitatem, inquantum est dualitas, sequitur
unitas alia praeter unitatem temarii; igitur similiter unitas dualitatis erit praeter unitatem ter-
narii. Sequitur ergo ut denarietas sit composita non ex cluabus quinarietatibus, secundum
quod duae quinarietates sunt duae quinarietates: denarii enim unitates sunt praeter unitates
quinariorum; igitur denarietas non est composita ex duabus quinarietatibus. Sequitur ergo ut
'fRA'ITATO SETTIMO- SEZIONE TERZA 711

differenza] che riguarda qualcosa di accidentale, e cioè il fatto che le si accom-


pagni qualcos'altro. E non si può ammettere che il fatto che una cosa ne
, accompagni un'altra vanifichi l'essenza [della cosa]: in tal caso l'essenza, non
sarebbe "qualcosa che accompagna", perché quel che accompagna accompagna
}'esistente, mentre quel che corrompe non è un "compagno". D'altronde, come
potrebbe l'unità essere corruttrice delle due unità, [320] se non corrompendole
. una ad una? Ma come potrebbe l'unità corrompere l'unità? E se poi la corrom-
pesse, non vi sarebbe dualità. Anzi, la dualità, che è tale in virtù del fatto che
l'unità le si accompagna, non viene a distinguersi, nell'essenza, dalla dualità
·che nella sua esistenza non accompagna l'unità; l'unità, infatti, non muta stato
in quanto è accompagnata 105 , piuttosto essa rende maggiore il tutto, mentre
lascia la parte nello stesso stato in cui si trovava.
Insomma, se le unità sono fra loro simili e la composizione è una, le due
;nature sono identiche, a meno che non accada loro qualcosa che muta e cor-
. rompe. Ma non può essere che le unità non siano simili, perché il numero si
produce a partire da unità fra loro simili, non altrimenti.
E tuttavia, alcuni di loro sostengono che alla dualità in quanto dualità si
'·accompagna un'unità che è diversa dall'unità della triplicità, cosicché l'unità
'della dualità viene ad essere diversa dall'unità della triplicità. Ne consegue
!necessariamente che la decina non sia composta da due cinquine che siano
;;come sono due cinquine 106 : le unità della decina, infatti, sarebbero diverse
rdalle unità della cinquina e la decina non sarebbe, quindi, composta da due
:cinquine. Ne consegue inoltre che le unità della cinquina, quando fossero parte
·della decina, sarebbero diverse da quelle che le spetterebbero se [la cinquina]
l'fosse parte del [numero] quindici. Ma forse costoro dicono che la cinquina che
, è nel quindici - poiché è cinquina di una decina che è parte del quindici - è
: diversa dalla cinquina che è nella decina semplice; ma così ne conseguirebbe
che, aggiungendo la cinquina alla decina, non si avrebbe il quindici; oppure
dovrebbero essersene trasformate le unità, ma tutto questo è assurdo. Inoltre,
se la cinquina del dieci non è eguale alla cinquina presa in senso assoluto, non
è cinquina se non per omonimia e il significato della cinquina che è nel [dieci]
sarebbe da comprendere al di là del fatto che il termine [che designa questa e
l'altra] è comune. Se, invece, è eguale, [321] allora le unità nel loro insieme

unitates quinarietatis, cum fuerint pars denarii, sint diversae ab unitatibus suis cum fuerint
partes quindenarii. Sed fortasse dicent quod quinarietas quae est in quindecim, scilicet pars
quindenarii, est praeter quinarietatem quae est in denarietate simplici, quia est quinarietas
denarii. Sequitur ergo quod denarietas cum adiungitur ei quinarietas non sit quindenarietas,
nisi prius destruantur unitates eius, et hoc totum absurdum est.
Deinde, si quinarietas denarii non fuerit aequalis quinarietati absolutae, tunc non etit
quinarietas nisi communione nominis, et sic oportebit ut intentionem quinarietatis intelliga-
mus in illa post communionem nominis; si autem fuerit aequalis, tunc unitates in omnibus
712 [321]

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illis erunt aequales, et dualitates et temarietates similiter. Forma igitur temarietatis erit in
quatemarietate; sed temarietas est forma speciei naturalis, et quatemarietas similiter. Igitur
in speciebus naturalibus erunt species aliarum rerum diversarum ab illis; verbi [372] gratia,
cum aliquis numerus fuerit forma hominis, et item numerus alius equi, maior vel minor eo,
tunc, si fuerit mai or eo species hominis eri t in equo; si vero fuerit minor eo, species equi eri t
in homine. Sequetur igitur ut sit forma speciei quae recipiat species < ... >, cum fuerint maio-
ris compositionis quam illae, et ut compositio specierum ex speciebus fiat in infinitum.
Deinde quomodo potest aliquis numerus habens ordinem essentialem ex unitate et dualitate
provenire in infinitum in effectu? Sed iam patuit falsitas eius.
Qui autem faciunt numerum generari per iterationem unius eiusdem unitatis, non intelli-
gunt iterationem in ilio nisi inventionem rei alterius numero praeter primum. Si autem
numerum facit iteratio, sed in primo et secundo non est unitas, tunc unitas non est princi-
pium ordinationis numeri. Si vero primus, inquantum est primus, fuerit unitas, et secundus,
'J'RATfATO SETTIMO- SEZIONE TERZA 713

sono eguali e [così] le dualità e le triplicità, e allora egualmente la forma della


triplicità sarà esistente nella quadruplicità. Solo che [secondo costoro] la tripli-
cità è forma di una data specie naturale, e allo stesso modo [lo è] la quadrupli-
cità, e nelle specie naturali sarebbero allora esistenti specie di cose altre e
diverse; per esempio, se un certo numero 107 fosse forma per l'uomo e poi un
altro numero - maggiore o minore di esso - fosse forma per il cavallo, allora:
se ne fosse maggiore, la specie dell'uomo sarebbe esistente nel cavallo mentre,
se ne fosse minore, sarebbe la specie del cavallo ad esistere nell'uomo. Ne con-
seguirebbe così che la forma di alcune specie sarebbe anteriore ad altre specie,
mentre la forma di ralcune altre] specie, maggiori nella [loro] composizione,
sarebbe posteriore; e ne conseguirebbe inoltre che si dovrebbe assumere 108 la
composizione delle specie a partire da [altre] specie come infinita.
E poi, come potrebbe esistere un numero esistente con un ordinamento
essenziale che si abbia a partire dall'unità e dalla dualità e che vada in atto
all'infinito, se se ne è già portata all'evidenza l'impossibilità?
Quanto a coloro che, invece, considerano il numero generato per reitera-
zione [pur ritenendo] che l'unità una permanga stabilmente 109 , ebbene, la rei-
terazione non ha altro significato che quello di far esistere un'altra cosa, diver-
sa dalla prima nel numero. Ora, se è la reiterazione a fare il numero e in nessu-
no del primo e del secondo [numero] esiste un'unità, allora l'unità non è prin-
cipio della composizione di un numero. Infatti, se il primo [numero], in quanto
primo, è un'unità, e il secondo in quanto è secondo è un'unità, ecco che vi
sono due unità, perché l'unità una 110 non si reitera se non in quanto si ha "una
volta dopo l'altra" e questa "volta" o è temporale o è essenziale; se è tempora-
le e nel [punto] mediano non è inesistente, essa è [ora] come era [prima], tran-
ne il fatto che è stata reiterata; se invece era inesistente e poi è stata fatta esi-
stere, ecco che [quell'unità] che è stata fatta esistere è un altro individuo. Se
poi [questa "volta"] è essenziale, ecco che ciò sarà ancora più evidente.
Alcuni, poi, hanno considerato l'unità come la materia per il numero, men-
tre altri l'hanno considerata come la forma perché si dice del tutto. Ma ciò che
fa meraviglia nei Pitagorici è il fatto che abbiano considerato le unità indivisi-
bili principi delle estensioni, sapendo che le estensioni sono infinitamente
divisibili!

inquantum est secundus, fuerit unitas, tunc hae sunt duae unitates. Sed una unitas non itera-
tur nisi per vicem unam post aliam, et has vices, vel eri t temporalis ve! essentialis; si autem
fuerit temporalis nec defecerit interi m, tunc ipsa est sicut erat, nam iterata est; sed si defece-
rit, tunc unitas erit aliud individuum; si autem fuerit essentialis, hoc etiam erit manifestius.
Quidam vero posuerunt unitatem numero quasi hyle, et quidam posuerunt quasi formam,
quia dicitur de omni.
[373] Miror autem de Pythagoricis qui unitates indivisibiles ponunt principia mensura-
rum, cum ipsi sciant mensuras dividi in infinitum. Quidam etiam dixerunt quod, cum unitas
714 ..:...1\:JI J,.Uil- ~1.-11 ~W.\ 'l"'!' 'l' [322]

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adiungitur materiae, fit punctus secundum considerationem illorum, et cum dualitas adiungi-
tur ei, facit lineam, et temarietas superficiem, et quatemarietas corpus. Unde necesse est ut
aut materia sit eis communis, aut ut unaquaeque habeat suam materiam per se. Si autem fue-
rit il!is una materia, tunc materia aliquando fit punctus, et aliquando corpus, et aliquando
revertetur in punctum. Et quamvis hoc inconveniens sit, adhuc tamen hoc etiam facit debere
ut punctus non si t dignior ad essendum principium corporis quam corpus principium puncti,
sed erunt de his quae sunt vicissim in eodem subiecto. Si autem materiae eorum fuerint
diversae, tunc in materia dualitatis non erit nisi dualitas, et sequetur quod hae nullo modo
erunt simul. Secundum autem sententiam veritatis punctus non est nisi in linea quae est in
superficie quae est in forma corporis quae est in materia. Punctus vero non est principium
nisi ex intellectu extremitatis. Sed revera corpus est principium ex intellectu quo accidit ei
finiri per ipsum.
tRA TI ATO SETTIMO- SEZIONE TERZA 715

[322] Altri poi hanno sostenuto che, quando all'unità si accompagna la


materia, essa viene ad essere un punto e che, secondo questo stesso rapporto,
quando alla dualità si accompagna 111 [la materia], essa si fa linea, mentre la
triplicità si fa superficie e la quadruplicità corpo. Ma non si sfugge a queste
possibilità 112 : o la materia è comune a tutte queste, oppure ad ognuna di esse
spetta una materia diversa. Se ad esse appartiene una stessa materia, ecco che
la materia viene ad essere una volta punto, poi passa ad essere corpo, poi si
trasforma di nuovo in punto; e ciò pur essendo impossibile, renderebbe neces-
sario che il fatto che il punto sia principio del corpo non sia [cosa] più degna
del fatto che il corpo sia principio del punto. Anzi, i due potrebbero essere 113
cose che si succedono l'una all'altra nello [stesso] soggetto! Se, invece, le loro
materie fossero diverse, allora nella materia della dualità non esisterebbe
unità, così che nella materia della dualità non esisterebbe neppure dualità 114 e,
di conseguenza, queste cose non si darebbero affatto [l'una] con [l'altra].
Secondo la dottrina che stabilisce la realtà [delle cose], il punto non esiste,
invece, se non nella linea, la quale a sua volta è nella superficie, che è nel
corpo, che è nella materia. Il punto non è principio, se non nel senso in cui è
l'estremità [di qualcosa]; in realtà, ad essere principio è il corpo, nel senso in
cui, con (l'estremità], gli inerisce la finitezza.
Fa meraviglia [poi anche] chi ha considerato principio l'aggiunta e la man-
canza; così, infatti, ha fatto di quel che è relativo un principio, mentre il relati-
vo è qualcosa che accade a uno degli esistenti diverso da sé ed è posteriore a
ogni cosa. Inoltre, come riuscirebbe possibile a costoro concepire una molte-
plicità nell'esistenza? La seconda unità che esiste nella molteplicità, infatti, è
aggiunta alla prima, se esiste per essenza. E allora in virtù di che cosa si
distinguerebbero unità e unità? Quel che è per sé necessariamente esistente
non si moltiplica e non si distingue da qualcosa se non in virtù della sostanza,
non nel numero; se [la molteplicità] giunge per divisione di un'unità, l'unità
non è altro che un'estensione, mentre se giunge per un'altra ragione, allora
l'unità ha un'altra causa che [la] fa esistere 115 nella propria natura e non è una
di quelle cose che sono per sé, né è uno dei principì che esistono e per i quali
non c'è causa.

Miror autem de ilio qui posuit principium augmentum et diminutionem et aequale; unde
relationem posuit principium. Relatio autem est quiddam accidens alicui alii ex his quae
sunt, et est posterius omnibus rebus. Deinde quomodo est eis possibile ponere in esse multi-
tudinem? Unitas enim secunda quae est in multitudine refertur ad primam, si habuerit esse
per seipsam. In quo igitur differret unitas ab unitate? Sed necesse esse per se non multiplica-
tur nec differt ab aliquo [374) nisi per substantiam, non per numerum. Si vero contigerit hoc
propter divisionem unitatis, tunc unitas non eri t nisi mensura; sed. si contigerit propter aliam
occasionem, tunc unitas habet causam quae est in natura sua, nec est de his quae sunt per se,
nec de principiis quae sunt sed non habent causam.
716 [323]

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Deinde quomodo posuerunt unitatem et multitudinem esse de contrariis assignantes


unam bonitati et alteram malitiae? Ex istis enim fuit qui tenuit quod numerus est ex parte
bonitatis propter id ordinationis et compositionis et dispositionis quod est in eo. Quidam
vero tenuit quod unitas est ex parte bonitatis; sed, si unitas fuerit ex parte bonitatis, tunc
quomodo ex bonitate generatur malitia? Ve! quomodo ex additione bonitatis fit malitia? Si
vero multitudo fuerit bonitas et unitas malitia, tunc quomodo ex additione malitiae provenit
bonitas? Ve! quomodo principium et initium fiet malitia, ita 11t maius sit causatum et minus
causa? Quidam vero ex eis posuit numerum et unitatem de maneria bonitatis, et posuit mali-
tiam hyle. Sed hyle, si fuerit causata, tunc habebit causam ex qua pendeat, quae erit hyle ve!
forma; si autem pende! ab hyle, tu scies quod intelligimus et hoc; si vero ex forma pendet,
tunc quomodo bonitas generabit malitiam? Si autem non fuerit causata, tunc est necesse esse
per se, et ve! erit receptibilis divisionis, ve! erit exspoliata. Si vero fuerit receptibilis divisio-
nis in se, tunc est mensura composita ex unitatibus secundtlm sententiam illorum, et tunc
etiam est de bonitate. Sed si non fuerit divisibilis in seipsa. tunc essentia eius est unitas.
Unitas autem, inquantum est unitas, bonitas est, quia apud eos non intelligitur [375] bonitas
'[RATIATO SETTIMO- SEZIONE TERZA 717

[323] E ancora: costoro come possono fare dell'unità e della molteplicità


dei contrari, dividendoli tra bene e male? Fra costoro, infatti, qualcuno tende
ad attribuire al numero - in quanto in esso vi sono ordinamento gerarchico,
composizione e ordine - il bene; e qualcun altro ha invece preferito considera-
re l'unità [come] il bene. Ma se 116 l'unità è bene, come [può] dal bene generar-
si il male? E come [potrebbe] l'aumento del bene essere male? E se invece la
molteplicità fosse bene e l'unità fosse male, come [potrebbe] dall'aumento di
male derivare il bene? E come potrebbe il Primo e il principio essere male in
modo tale che il migliore sarebbe un causato 117 e il più mancante sarebbe
causa?
Vi è poi chi ha attribuito sia il numero sia l'unità alla categoria del bene e
ha invece fatto della materia (hayiilii) il male. Ma, se la materia è causata, essa
ha una causa che si fonda 118 o su di una materia o su di una forma; se si fonda
su di una materia, ci si arresta con quel che si intendeva [mostrare] con il
[nostro] discorso; se si fonda su di una forma, allora come [accettare] che il
bene generi il male? 119 Se poi [la materia] non è causata, è per sé necessaria e
allora o è tale da ricevere divisione, oppure è astratta. Se è tale da ricevere la
divisione in sé, secondo la loro opinione deve essere un'estensione composta
di unità e quindi è anch'essa "bene"; se è indivisibile in sé, allora la sua essen-
za è unità e l'unità- in quanto è unità- è "bene"; per costoro, infatti, il bene
non ha significato se non [nel senso] in cui è unità e ordine del numero; ed è
l'unità che- secondo loro- è ciò che più è degno di [essere] tale.
Se poi considerano che il fatto che l'unità sia unità sia diverso dal fatto che
sia bene, tutti i loro fondamenti cadono in contraddizione. Se fanno dell'unità
una "bontà", ne consegue 120 che la materia (hayiilii) -in quanto è unità- sia
"bontà"; ma se poi l'unità che è in essa è "bontà" e tuttavia le è concomitante
qualcosa di estraneo 121 , ecco: astraiamo ciò di cui è concomitante, a suo
riguardo sarà necessario fare proprio questa stessa indagine! 122 Inoltre, come
potrebbero generarsi dai numeri il caldo e il freddo, il peso e la leggerezza, in
modo tale che un numero comporti necessariamente che una data cosa si
muova verso l'alto e un altro numero comporti necessariamente che una [data]
cosa si muova verso il basso? Ebbene, la vanità di tali [opinioni] è cosa che
non ha bisogno di esser dimostrata.

nisi secundum hoc quod est unitas ve! ordo numeri. Unitas vero apud eos dignior est ad hoc.
Si autem posuerint quod unitatem esse unitatem non est ipsam esse bonitatem, destruentur
tunc omnes eorum radices; sed, si posuerint quod unitatem esse unitatem est ipsam esse
bonitatem, sequetur tunc ex hoc ipsam esse hyle, eo quod ipsa est unitas guae est bonitas.
Item si fuerit unitas quod in ipsa est bonitas consequens eam et extranea ab ea, tunc, si
removerimus ab ea hoc consequens, sequetur eadem inquisitio.
Item quomodo poteri! generari ex numeris calor ve! frigiditas, levitas ve! gravitas, ita ut
numerus faciat debere aliquid moveri sursum et deorsum? Sed ad destruendum hoc non est
718 .:,J\:JI J~l- ~1_11-..)W.I [324]

j~ ' l...- ~ -"- J '-:.òf J·.lb~ J~ j .l)~;; .~~\1\ 1)..':' r~ L._,; .J\ Jc
. {'.4 Jl.=. li..J \ <S_r\ \Jy\J ~t:;fJ , IJI~\ J. , IJI..>.c\ -:.,.~ :,-J1~1

d.J.i !~\ j lr\1 ..!.\I~.J , ~~J.:I J}ò; ':l..;:.,WA;ll 0Ì ~·li.~~ ~I.J


, .) w_f._ .J\ ._;-!-..l~ Jc l~ .lS~ .'ft-j , Jl~:c.':li.J ilkJI.J ...,_ç;ll 0~ )\.J .1,..
• .i,S~ ,y; ~ li..J o

nobis nimis laborandum, quamvis quidam eorum posuerint res generari ex numero qui
comitatur qualitatem et habet esse cum illa. Unde principia non erunt numeri tantum sed
numeri et qualitates aliarum rerum, et hoc est absurdum apud eos.
TRATIATO SETIIMO- SEZIONE TERZA 719

[324] Altri, fra di loro, hanno poi preteso che le cose si generassero da un
numero che corrisponde a una [determinata] qualità ed esiste insieme ad essa;
ma allora i principi non sarebbero numeri, ma numeri e qualità e altre cose
ancora, quando questo secondo loro è impossibile. E, dopo tutto ciò, sappi che
gli [enti] matematici non si separano dalla "bontà", perché in se stessi hanno
una gran parte di ordinamento, ordine ed equilibrio; e ognuno di essi è come
conviene che sia, ed è in ciò che risiede il bene di ogni cosa.
~Wl AJWI

TRATTATO 0TTAVO

TRACTATUS VIII
INTRODUZIONE

Sezione prima

Con il trattato VIII si entra nel centro di quella seconda parte della
Metafisica, in cui Avicenna espone il proprio sistema emanatista. [327] La
prima domanda alla quale va data risposta riguarda - come asserisce lo stesso
incipit del trattato - l'esistenza di un "primo principio" di tutto l'essere. Le basi
!Je1 ragionamento che verrà seguito sono subito indicate: per arrivare all'esi-
~tenza di un Principio primo è necessario dimostrare la finitezza di "ogni ordì-
~, di cause. In conformità all'insegnamento aristotelico, Avicenna distingue le
cause in formali, materiali, efficienti e finali (v. già il VI trattato): stabilire la
finitezza di ogni ordine causale significa perciò stabilire che ognuno di questi
quattro diversi ordini rimanda a un "principio primo" (ossia a un principio oltre
al quale non c'è più alcun principio). Il percorso che Avicenna presceglie in
questo trattato VIII per mostrare la finitezza delle cause agenti è, tuttavia, più
generale; egli non dimostra che in ogni ordine di cause c'è un principio primo,
ma piuttosto che qualunque serie causale è come tale, finita: dalla finitezza di
una serie causale qualsiasi si potrà dedurre la finitezza di tutte le serie.
Se il primo passo necessario è quello di ricordare che la causa di una cosa
esiste insieme ad essa (v. per es. VI, 2), il fondamento dell'argomentazione avi-
cenniana risiede propriamente nella definizione della serie causale, che risulta
composta da tre elementi: la causa, il causato e il medio (nella terminologia ori-
ginale: 'illa, ma 'liil e mutawassif). Ognuno dei tre elementi della serie ha una
sua proprietà (IJa~~iyya) ed è in virtù della proprietà di ognuno che viene dedotta
l'impossibilità di una catena infinita di cause e, cioè, l'inconcepibilità di una
serie causale che non rimandi a una Causa prima, cioè a dire una causa nei con-
fronti della quale ogni elemento della serie ha un "rapporto che consiste
nell'esser causato" (nisba ma' liilyya; in latino: comparatio causationis ).
[327,12-328,3] Si assuma, infatti, una serie composta da un effetto, la
causa di questo effetto, e la causa della sua causa. Il primo elemento della
serie, la causa della causa, che ha la proprietà di essere causa di tutto ciò che è
altro da sé, è causa "prima" in senso assoluto; il secondo termine, il medio, è
causa da una parte della serie e causato dali' altra; il causato, infine, ossia
l'ultimo termine della serie, ha, a sua volta, la proprietà di non essere causa di
nulla. Si noterà poi come le proprietà qui individuate, più che il carattere di
724 TRATTATO OTTAVO

ciascun elemento della serie, indichino quello della serie stessa. Ciò è partico-
larmente evidente nel caso del termine medio: esso istituisce nei confronti
della causa lo stesso rapporto di causalità che connette l'effetto, ultimo causa-
to, alla causa, e può quindi esso stesso essere definito un causato; vi è però fra
il causato e il termine medio una differenza fondamentale, la cui importanza si
rivelerà pienamente a partire dalla terza sezione di questo trattato VIII: il cau-
sato è causato in virtù di una mediazione, mentre il termine medio è causato
senza alcuna mediazione. Come si è già sottolineato, Avicenna sta qui consi-
derando la relazione causale in generale, senza definirla - come farà invece in
seguito - quale efficiente, finale, formale o materiale. Ciò che gli interessa è
stabilire un principio assoluto che sia come tale applicabile a ogni relazione
causale e in virtù del quale sia possibile dare ragione di una distinzione tra ciò
che è causato nullo mediante (bi-gayr mutawassit) e ciò che lo è mediante ali-
qua (bi-mutawassit). Una volta stabilita la relazione causale ideale che per-
mette di arrivare alla Causa prima assoluta (causa di tutto ciò che è diverso da
sé) e di porre, al tempo stesso, due diversi tipi di effetti (quelli causati "senza
mediazione" e quelli causati "con" o "in virtù di una mediazione"), il compito
del filosofo è quindi quello di dimostrare come questo rapporto di causalità sia
sempre applicabile, qualunque sia la relazione causale considerata. La prima
preoccupazione di Avicenna sta dunque nel dimostrare che tale rapporto di
causalità è valido anche in una serie costituita da molteplici termini medi.
[328,4-329,4] È opportuno sottolineare questo punto. La possibilità di
applicare il rapporto causale appena considerato a ogni serie coincide con la
dimostrazione della finitezza di ogni serie causale e la finitezza permette, a
sua volta, di stabilire la necessaria esistenza di un Principio primo. È chiaro,
insomma, che una volta che si sia identificata la relazione causale, invece che
nel semplice nesso causa-effetto, nel complesso che vincola l'uno all'altro la
causa, il medio e il causato, e una volta che si sia quindi aggiunto un terzo ele-
mento - il medio - si sono già implicitamente assunte la possibilità di una
molteplicità di cause e la loro finitezza. Se, è vero, infatti, che l'idea di una
molteplicità di cause contiene al proprio interno la possibilità della loro infi-
nità, è vero anche che l'idea del medio che comprende a sua volta la moltepli-
cità, ma rimanda in sé alla "causa di tutto ciò che è altro da sé", importa l'esi-
stenza di una Causa prima assoluta. Una volta ammessa la serie causale, è
impossibile (laysa yumkin) concepire una serie infinita di cause; è impossibile,
cioè, pensare a una serie in cui, dopo la prima causa, vi sia ancora un'altra
causa, così da avere sempre una causa ulteriore rispetto alla prima. Il punto
cruciale dell'argomentazione avicenniana risiede dunque ne li' assunzione del
termine medio che, essendo causato e al contempo causa, include al proprio
interno una relazione causale che può a sua volta reiterare, senza che la pro-
pria funzione mediatrice (tawassuf) ne risulti inficiata: la universa numerosi-
tasche costituisce l'ambito dei causati tra il Primo e il mondo può essere con-
siderata, infatti, quasi unum medium. Così, una serie causale senza un primum
JNTRODUZIONE 725

risulta impossibile, e se si afferma l'esistenza di una serie in cui contempora-


neamente si diano i due estremi e infiniti medi, ciò accade "solo con la lingua"
(lingua tantum; bi-1-lisiin). Le cause vere che sono per sé sono sempre finite:
il dato che quelle individuali e accidentali possano procedere all'infinito non
contraddice l'argomento di Avicenna che è teso a stabilire la necessità della
finitezza delle cause vere.
[329,5-331,12] Per determinare una serie causale necessariamente finita e
conseguentemente sempre in atto, Avicenna riprende e puntualizza la trattazione
aristotelica delle cause materiali (cfr. Metaph. II [a], 2, 994 a 8-10 e 994 b 9-16);
pur costituendo oggetto precipuo di discussione solo nella sezione successiva,
esse vengono infatti definite in questa prima sezione: le cause materiali o "ele-
mentari" ('un~uriyya da 'un~ur "elemento"; v. il lessico) sono un elemento
costituivo del causato, una sua parte essenziale. Se a proposito di una causa
materiale si dice che "da essa proviene" la cosa, con questo "da" non si indica
quindi una mera posteriorità temporale, ma una posteriorità essenziale: la prepo-
sizione da (in arabo, la particella min) indica che la materia costituisce una parte
essenziale della cosa. Vi sono però due modi in cui "da una cosa" ne viene
un'altra. Il primo è quello con cui si indica il divenire della stessa sostanza: "dal
fanciullo" proviene l'uomo; il secondo è quello con cui si esprime l'alterazione
o trasformazione (isti/:ziila): "dall'acqua" proviene l'aria, così come "dall'aria"
l'acqua. In ragione della differenza che intercorre tra i due modi di "provenire
da", e in particolare, quindi, in ragione della convertibilità che caratterizza il
secondo rispetto al primo, la serie delle cause essenziali, finite, va distinta da
quella delle cause che determinano i mutamenti accidentali e che possono anche
procedere all'infinito. Ma questo è tema della sezione successiva.

Sezione seconda

La sezione è composta di due parti: la prima è dedicata alla semplice pre-


sentazione delle difficoltà o dubbi (sukuk) che si presentano una volta presa in
considerazione la sistemazione aristotelica delle cause materiali; la seconda
parte è dedicata alla loro soluzione. Tutta la sezione è però piuttosto difficile;
la presentazione delle aporie e la loro soluzione si affollano l'una dopo l'altra
e la difficoltà è accresciuta dal linguaggio: Avicenna utilizza tre termini per
indicare tre aspetti che interessano la generazione e la trasformazione naturali:
mawqa' che vale letteralmente "soggetto" e che va inteso anche nel senso di
"sostrato"; miidda che è termine arabo per "materia" e 'un~ur "elemento" che
sta qui a indicare sia la materia in genere dei corpi sublunari, sia in senso spe-
cifico gli elementi ( 'anii#r) che costituiscono le complessioni dei corpi.
[332,6-335,2] La prima e più generale questione riguarda il significato da
assegnare alla formula "provenire da". Qualcuno potrebbe osservare che nella
divisione aristotelica (il riferimento, come si è osservato, è a Metaph., a, 2)
726 TRATTATO OTTAVO

vengono presi in considerazione solo due sensi di "provenire", quello della


trasformazione o alterazione (istif:tiila), cioè del mutamento a partire dai con-
trari, e quello della generazione (kawn), che è moto verso il perfezionamento.
Ora, questi due significati non sembrano esaurire i diversi modi in cui è possi-
bile parlare di come una cosa "proviene" da un'altra. In base alle obiezioni che
Avicenna mette in bocca a un generico "qualcuno'' (li-qii'il an yaqula), la
divisione dovrebbe piuttosto essere questa: l) in un senso da A proviene B
senza che nulla si corrompa in A, eccettuata la sua "preparazione" (isti 'diid);
2) in un senso da A proviene B, essendosi corrotto qualcosa in A. Il primo
caso in cui si dice che una cosa "proviene" da un'altra andrebbe poi nuova-
mente distinto in la) ciò che proviene "d'un colpo" (come dallo sperma l'esse-
re umano) o invece lb) ciò che proviene secondo un movimento graduale e
continuo, durante il quale la cosa si trova tra la pura preparazione (che è il suo
stato iniziale) e la pura attualizzazione di tale preparazione (come dal fanciullo
viene l'uomo). In tal senso, Aristotele avrebbe tralasciato di considerare nella
sua divisione quel modo del "provenire da" che non implica alcun movimento
verso il perfezionamento, e non si sarebbe occupato di quei mutamenti che
comportano un'imperfezione, come accade, per esempio, quando l'anima si
convince di qualcosa di errato e passa senz'altro dalla potenza all'atto, ma
certo non si perfeziona.
Inoltre: la generazione degli enti a partire dagli elementi non sembra rien-
trare in nessuna delle divisioni aristoteliche, né in quella della trasformazione
dall'acqua all'aria (gli elementi non si corrompono, infatti, ma semplicemente
mutano complessione), né in quella del fanciullo-uomo (in questo caso non c'è
convertibilità, e invece dagli elementi si passa alle sostanze che a loro volta
possono poi tornare agli elementi).
Ancora: Aristotele tratta del soggetto o sostrato (mawqu ') solo in quanto
esso viene indicato dali' espressione "provenire da"; ma questa espressione - si
potrebbe obiettare- non abbraccia tutte le relazioni che ciò che si genera isti-
tuisce nei confronti del proprio soggetto. Essa è usata solo a proposito di quel
che manca di qualcosa o, più precisamente, di ciò in cui qualcosa cessa a favo-
re di altro. In tal senso, ciò in cui non si nomina il rapporto che quel che pro-
viene ha con il proprio soggetto sembra non poter rientrare in questa divisione;
l'esempio cui ricorre Avicenna è quello del passaggio dal fanciullo all'uomo:
nello stesso nome di "fanciullo" è implicato il significato del passaggio, diver-
samente da quanto accade per "essere umano"; eppure, il fanciullo è un essere
umano ma, mentre è corretto affermare che "dal fanciullo proviene un uomo"
non lo è dire che "dall'essere umano proviene un uomo".
Infine, l'analisi che Aristotele fa delle trasformazioni acqua-aria riguarda il
soggetto che è tale per accidente; ma non è di questo che ci sì deve occupare;
le cause accidentali, infatti, possono procedere per infinite trasformazioni e
possono quindi servire solo a dimostrare la possibilità della finitezza della
serie, non la sua necessità.
INTRODUZIONE 727

(335,3-fine] Per risolvere queste difficoltà- afferma Avicenna - è suffi-


ciente considerare come il discorso di Aristotele verta sui principi che costitui-
scono la sostanza in quanto tale e affronti perciò solo le sue trasformazioni
essenziali e naturali. È una volta assicurata tale premessa che lo say!J passa a
presentare in dettaglio le soluzioni alle obiezioni appena ricordate.
Per quanto riguarda il mutamento della sostanza, è chiaro che la materia -
che è "ciò da cui proviene la sostanza" e che qui Avicenna chiama sempre
'un~ur - è in senso essenziale una parte del composto. E questo, avverte
Avicenna, non solo in relazione al composto, ma anche in relazione alla stessa
materia: questa, infatti, non può sussistere separata dalla forma e non può
quindi, sussistere che in un composto. In tal senso, il soggetto - o sostrato -
non sfugge a una delle due condizioni possibili: o è fatto sussistere da una
forma che con esso non costituisce un insieme in senso proprio ma, per così
dire, un insieme temporaneo, pronto a corrompersi al sopraggiungere di
un'altra forma; oppure, il sostrato è fatto sussistere da una forma ancora
imperfetta: in tal caso la cosa si muoverà per natura verso la propria perfezio-
ne e si avrà qualcosa che è preparato al proprio perfezionamento. A tale distin-
zione non serve replicare che se vi è un ostacolo o la mancanza di un determi-
nato elemento, non si avrà movimento. Il discorso di Aristotele riguarda
appunto quelle trasformazioni, cioè quei movimenti, che si hanno quando non
vi sono ostacoli. Se poi si guarda non alla generazione della sostanza, ma alle
trasformazioni accidentali, si vede chiaramente come si possa andare all'infi-
nito: il legno può ricevere infinite preparazioni ad accogliere le forme delle
figure che con esso si vogliono costruire; e così fa l'anima quando coglie gli
intelligibili, ogni volta con una preparazione diversa. Ma Aristotele si occupa
solo delle trasformazioni essenziali.
Per quanto riguarda la generazione a partire dagli elementi e il fatto che
essa sembri sfuggire alla sistemazione aristotelica (gli elementi mutano com-
plessione, non si corrompono e le loro combinazioni sono sempre nuovamente
convertibili), va poi osservato che non è in se stesso che l'elemento è prepara-
to alla trasformazione: la preparazione gli proviene solo in forza della sua
combinazione o complessione con gli altri; in tal senso, il rapporto che la com-
plessione istituisce con la forma, che ne rappresenta la perfezione, rientra nel
caso della trasformazione o alterazione (istilp'ila); la forma è una perfezione
della complessione e riproduce esattamente lo stesso rapporto che è riconosci-
bile nel mutamento dal fanciullo all'uomo.
Vi è poi il riferimento a due questioni che concernono ancora il significato
dell'espressione "provenire da". La prima riguarda il nome che si dà a certe
cose e in cui è chiaramente indicata la trasformazione cui esse rimandano (per
esempio il fanciullo contiene in sé l'idea del divenire dell'uomo). A tal propo-
sito, va tenuto fermo il fatto che il nome non è che un aspetto secondario della
cosa; ciò che bisogna intenzionare per comprendere la trasformazione o la
generazione è il significato, cioè l'intenzione (ma 'nii) della potenzialità del
728 TRA TIATO OTTAVO

mutamento, indipendentemente dal fatto che questa venga o meno espressa nel
nome.
La seconda concerne il significato della posteriorità. In ogni generazione
un elemento viene dopo un altro, senza però che la generazione indichi solo
tale posteriorità. Ciò che differenzia la mera posteriorità dalla generazione è
che nella generazione di una cosa da un'altra c'è sempre qualcosa della prima
che permane nella seconda. Infine, per rispondere alle obiezioni sollevate,
bisogna anche ben distinguere tra ciò che è una materia o un elemento costitu-
tivo della cosa, e riguarda quindi la sua costituzione o sussistenza (qiwiim), e
ciò che Io è della generazione: il fanciullo, per esempio, è materia della gene-
razione dell'uomo, non della sua costituzione o sussistenza come tale.
Infine, Avicenna ribadisce che il filosofo deve cercare un argomento che
gli permetta di affermare la necessità della finitezza delle cause, non la possi-
bilità di essa. Non ci si può quindi rivolgere né alla serie dei mutamenti acci-
dentali, né alle cause secondo natura: i primi perché possono essere infiniti, i
secondi perché, per il filosofo, non danno luogo a nessuna difficoltà.

Sezione terza

Questa sezione costituisce uno dei luoghi centrali della Metafisica avicen-
niana. Sulla base della relazione causale o "rapporto che consiste nell'esser
causato" (nisba ma 'lilliyya), che rappresenta il fulcro degli argomenti del trat-
tato VIII, Avicenna vi stabilisce la finitezza delle cause finali (ga'iyya)- qui
chiamate anche "perfettive" o "completive" (tamamiyya)- e di quelle "forma-
li" (~ilriyya) che, insieme a quelle materiali, già considerate nelle prime due
sezioni, costituiscono il mondo sublunare. La finitezza della serie causale
comporta la necessità di una Causa prima: essa consente così di stabilire l'esi-
stenza del Primo, necessariamente esistente, e di dedurre al tempo stesso quale
tipo di causalità gli vada attribuita. In forza di questa deduzione Avicenna dis-
solve qui l'idea teologica della "creazione dal nulla", intesa come creazione
nel tempo, e opera la distinzione tra l'idea filosofica dell'instaurazione (ibdii')
e quella che esprime il semplice far avvenire le cose nel tempo (i}:tdiil).
In primo luogo, [340,14-341,14] Avicenna dimostra la finitezza delle
cause finali: se la causa finale o perfettiva è quella in vista della quale sono
tutte le altre cose, è chiaro che essa non può a sua volta essere subordinata a
una causa: se lo fosse, essa sarebbe, infatti, "in vista di altro" e non corrispon-
derebbe alla definizione che se ne è data. Si noti allora come a essere richia-
mata non sia tanto l'impossibilità di un ricorso all'infinito, quanto la necessità
di porre la finitezza della serie una volta che si sia posta la causa finale; que-
sta, in tal senso, si rivela Causa prima. Un elemento di particolare interesse è
poi costituito dalla corrispondenza tra bene e causa finale: definito come "ciò
che viene ricercato per sé", il bene finisce infatti per coincidere chiaramente
INTRODUZIONE 729

con il fine e in virtù di questa definizione, l'oggetto del discorso avicenniano


diviene immediatamente lo stesso Principio primo, necessariamente esistente e
bene puro. Il riferimento al Primo appare del resto come corroborato
dall'introduzione della nozione di intelligenza. Se agire intelligentemente
significa agire in vista di un fine e rimandare al bene, chi agisce senza un fine,
a differenza di chi è dotato di intelligenza, agisce sconsideratamente, come un
animale; e si noti che a fornire lo sfondo di questa distinzione non è solo la
ragionevolezza dell'agire umano, ma anche l'agire intellettuale ('aqlf) delle
intelligenze celesti che, in quanto perseguono un fine (l'assimilazione al bene,
appunto), "agiscono" e danno luogo al procedere del flusso divino.
[341,14 -342] Alla finitezza delle cause formali è dedicato un passaggio molto
più scarno. Avicenna rimanda ai luoghi in cui ha mostrato la necessità della forma
per la materia, deducendo il passaggio dal generale al particolare: la finitezza è già
contenuta nell'idea di ordinamento naturale. Le due cause considerate, quella fina-
le e quella formale, rivelano allora una fondamentale differenza: mentre la prima
(insieme a quella agente) comporta l'unicità del principio e serve, quindi, a fonda-
re l'idea di una causa assoluta, la seconda- come del resto la causa materiale-
non può servire a tale scopo; le cause formali, come le cause materiali, rimandano
a loro volta a una causa agente e non possono essere quindi "causa prima".
Il resto della sezione ripropone la distinzione tra necessario e possibile, !adda-
ve i caratteri del possibile sono dedotti a partire da quelli del necessario. L'esi-
stenza di quest'ultimo è stata stabilita, infatti, con l'argomento che ha riconosciu-
to la necessità di un termine ultimo per le cause finali. Ecco quindi che, se esiste
il principio necessario, che non può che essere uno, tutto ciò che è diverso da esso
è possibile nell'essenza ed è quindi causato in quanto riceve o "ottiene" (na'il)
l'esistenza. In queste poche righe vengono posti così alcuni dei motivi fondanti
dell'intero sistema avicenniano: l'idea che la causalità del Primo consista nel dare
l'esistenza e che in ciò risieda il suo carattere di creatore o "instauratore"
(mubdì') del mondo; l'ineludibile composizione del causato, che in sé non è
(laysa) ed è (aysa) in virtù del principio; la tanto fondamentale quanto problema-
tica corrispondenza che Avicenna pone tra la possibilità che appartiene in sé al
causato e l'inesistenza che la cosa in sé merita o cui "ha diritto".
[342-fine] Ed è proprio sull'identificazione tra possibile e inesistenza
('adam) che Avicenna fonda la propria idea di flusso divino contro l'idea teo-
logica della creazione nel tempo. Tale identificazione gli permette, infatti, di
affermare che l'anteriorità dell'inesistenza rispetto all'atto instaurativo del
Primo è essenziale e non temporale. Se si ammettesse un tempo prima della
creazione, un tempo in cui non esiste nulla, si finirebbe infatti per ammettere
un tempo in cui "esiste il nulla": un'inesistenza che preceda nel tempo l'atto
divino della creazione nega cioè l'assolutezza della creazione perché suppone,
contraddittoriamente, che al nulla siano dati un'esistenza e un potere sulla
sostanza delle cose. In questa sezione, che tra i suoi referenti dottrinali ha cer-
tamente le discussioni dei teologi sulla creazione e sullo statuto della cosa (al-
730 TRAITATO OITAVO

say') e dell'inesistente (al-ma'diim), sembra venire riecheggiata l'aporia della


negazione dell'essere del Sofista platonico. Per Avicenna, supporre un'inesisten-
za precedente alla creazione significa negare il "far essere" in senso assoluto
(tii'fis muf{aq) e affermare solo un "certo far essere" (tii'iisan mii): e una creazio-
ne in senso relativo non è più una "creazione". Se in forza di questo argomento
il concetto teologico di creazione dal nulla si trova confutato, il risultato di que-
sta operazione è duplice: da una parte Avicenna fonda la propria idea di flusso
divino (che implicitamente afferma l'eternità del mondo), dall'altra, egli al con-
tempo dà ragione del tratto che, sul piano antologico, distingue la prima intelli-
genza causata - e in senso lato tutto il mondo sovralunare - dagli enti del mondo
sublunare: mentre le intelligenze sono enti instaurati (mubda'iit), gli enti com-
posti di materia e forma, sono enti fatti avvenire nel tempo (muf:ulatiit).
Si può infine notare l'interesse che questa sezione riveste anche sul piano
prettamente terminologico. Tutti i termini tecnici qui usati da Avicenna sono
fondamentali ma rendono al tempo stesso ardua la traduzione degli argomenti.
Avicenna distingue qui tra lgiid (il ma~dar della IV forma awgada), che si è
reso con "far esistere" (e per il quale Anawati sceglieva "existentialisation") e
ibdii', "instaurazione", distinta poi da il:zdiil che è "advenzione" di una cosa
cioè "produzione di una cosa che prima non era". Se questo "prima" è inteso
in senso temporale, i/;ldiil finisce con l'indicare la produzione o la creazione
nel tempo; se è inteso invece in senso essenziale, esso indica solo il carattere
della produzione di qualcosa che in sé non è. "Far esistere" (lgad o i/;ldiil) è
quindi un termine generale nel quale Avicenna include gli altri due termini che
ne specificano i modi: lo fgiid può essere assoluto, ed è allora l'instaurazione
(ibdii'), o relativo, ed è la produzione (if:ulal).

Sezione quarta

[343] Oggetto di discussione sono gli attributi del Necessariamente Esistente.


L'assunto iniziale è costituito dall'esistenza dell'essere necessario, quell' esisten-
za che gli argomenti delle prime tre sezioni sulla finitezza delle cause permettono
ormai di affermare. Gli attributi del Primo vengono quindi dedotti a partire dal
suo stesso essere e legittimati, poi, uno ad uno. Avicenna si inserisce così in una
delle discussioni più importanti della teologia islamica, quella sugli attributi
(~ifiit) di Dio; le rigorose argomentazioni di questa sezione rivelano, tuttavia,
come per il filosofo la domanda intorno alla natura del Principio non sia una que-
stione meramente teologica e rappresenti invece una vera e propria questione
filosofica: in tal senso, il risultato dell'operazione avicenniana non è più nel Dio
unico dell'Isla.m, ma nel Principio "necessariamente esistente".
In quanto tale, e cioè in quanto l'esistenza delle cose ne proviene, il princi-
pio è primo (awwal): affermare la primarietà del Necessariamente Esistente
non significa però in nulla moltiplicare il suo essere; con "primo" si indica
INTRODUZIONE 731

semplicemente la relazione che lega il Principio a ciò che è diverso da Esso, e


cioè, al mondo. Nella deduzione di questo primo attributo è contenuta la sola
legittimazione che Avicenna ammetta per dedurre tutti gli attributi divini:
ossia la definizione delle relazioni, positive o negative, dell'essere necessario.
[343-344] Il fatto che si dica che il Necessariamente Esistente è uno e reale
non significa, infatti, che di Esso non si neghino o non si affermino alcune
relazioni. Di ogni ente che entri, per così dire, a far parte del nostro universo
linguistico è possibile negare molti modi di esistenza e affermare alcune rela-
zioni, ed è chiaro che ciò sarà massimamente vero per quell'ente da cui ogni
altro ente deriva. Ciò che rende unico il nostro modo di conoscere il
Necessariamente Esistente, e di parlarne, è però proprio il fatto che, a differen-
za di quanto accade con tutte le altre cose, esso si basa esclusivamente sulle
relazioni. Paradossalmente Avicenna rintraccia proprio nelle relazioni, posi ti-
ve o negative, una garanzia alla trascendenza del Principio. È questa una delle
note più spiccatamente neoplatoniche del pensiero avicenniano: in quanto con-
seguenti (lawiizim) dell'essenza e causati (ma'liila) dell'essenza, le relazioni
esistono dopo (ba 'da) di essa e permettono di parlare del Necessariamente
Esistente senza introdurvi, in alcun modo, la molteplicità.
[344] L'unità del Necessariamente Esistente si traduce nell'identità di esse-
re e quiddità: anniyya e miihiyya sono nel Principio una stessa cosa e chiedersi
se esso esista e che cosa esso sia significa, in ultima analisi, porsi la stessa
domanda (i termini compaiono già nel I trattato, v. I, 5). [344,16-346] Alcuni
argomenti sono quindi dedicati alla confutazione di ogni possibile obiezione a
questo assunto. In primo luogo, se essere e quiddità del Necessariamente
Esistente si ponessero come due entità distinte, allora, o al dire "necessità" non
corrisponderebbe alcuna realtà (si avrebbe cioè una quiddità senza essere o un
essere senza necessità), ma questo è palesemente assurdo, oppure vi sarebbe
una "realtà" necessaria. In questo caso, tuttavia, il Necessariamente Esistente
sarebbe necessario ancor prima di legarsi alla propria necessità oppure prima di
essere; e anche in questo caso si avrebbe un'assurdità. In secondo luogo, se la
quiddità e l'essere del Necessariamente Esistente fossero distinti, l'essere del
Primo finirebbe per essere necessario solo in virtù della quiddità da esso distin-
ta, e non sarebbe necessario per sé. Oppure, se si considerasse l'essere insieme
alla quiddità che lo accompagna, si avrebbe sì la sua necessità, ma non in senso
assoluto: essa sarebbe, infatti, limitata a un determinato momento, quello in cui
l'esistenza necessaria sarebbe accompagnata dalla quìddità. Quel che ne risulta
è perciò l'impossibilità di pensare qualunque composizione nel
Necessariamente Esistente. [345-346] Queste assurdità non si producono, però,
se a essere considerata è I' esistenza di qualunque altra cosa: mentre, infatti, una
qualunque esistenza può essere causata (e quindi composta), solo quella neces-
saria non può esserlo. La distinzione di essenza ed esistenza, in base alla quale
Avicenna definisce lo statuto di ogni ente altro rispetto al Primo, si rivela anche
qui il tratto distintivo di tutto ciò che è causato.
732 TRATTATO OTTAVO

L'impossibilità di una composizione nel Necessariamente Esistente è tal-


mente radicale che anche l'ipotesi che la quiddità (cioè la necessità) gli accada
dall'esterno deve essere esclusa. Anche in questo caso, infatti, il Necessaria-
mente Esistente dovrebbe esser necessario prima di ricevere la propria quid-
dità, e questa, quindi, non potrebbe essere considerata la quiddità del
Necessariamente Esistente. Se poi il Primo non fosse necessario e conseguisse
alla quiddità, ciò dovrebbe essere o per sé o per altro. Se fosse per sé, poiché
ciò che segue segue sempre qualcosa di esistente, la quiddità dovrebbe esistere
prima di congiungersi all'essere, il che è assurdo. Se, invece, seguisse per
altro, cioè in virtù di una causa data, si avrebbero ancora due possibilità: la
causa, infatti, potrebbe essere la stessa quiddità, oppure qualcosa d'altro. Se
nel primo caso si torna fondamentalmente alle stesse obiezioni incontrate
nell'ipotesi precedente (la quiddità dovrebbe già esistere per poter essere
causa della necessità dell'essere), nel secondo caso ci si trova davanti alla
definizione di un ente possibile, non di un ente necessario. È, infatti, solo in
ciò che Avicenna definisce come "possibilmente esistente" che l'unione tra
quiddità ed esistenza è garantita da una causa esterna che "dona" o "fa acqui-
sire" l'esistenza.
[347-348] Fin qui giunge la deduzione degli attributi fondamentali del
Necessariamente Esistente. In forza della "pura esistenza" del Primo, Avicenna
deve ora distinguere l'esssere necessario dall'essere che si dice in generale di
tutti gli enti: mentre il Necessariamente Esistente è essere "a condizione che si
neghino le aggiunte", l'essere è tale "non a condizione delle aggiunte". Del
primo non si può che negare qualcosa (o affermarne le relazioni che tuttavia non
lo costituiscono), del secondo si può affermare qualsiasi cosa: del primo si nega-
no le determinazioni, del secondo si afferma la fondamentale indeterminatezza.
Avicenna elenca, poi, le altre negazioni del Necessariamente Esistente:
non ha genere (gins) (ciò che ha genere è infatti sempre un composto); non ha
definizione (f:tadd) (quel che non ha né genere né differenza non è definibile);
non ha perché (limayya). Come si potrebbe, infatti, sovraordinare una ragione
all'ente che è la ragione di tutte le cose? La prima conseguenza di tale affer-
mazione - qui appena accennata - sta nel fatto che neppure l'azione del
Necessariamente Esistente ha un "perché"; essa è cioè senza motivo o, più
propriamente, è senza un motivo che sia esterno all'azione stessa. Nel Libro
delle annotazioni (Kitiib al-Ta'lfqiit) si legge: «non c'è un perché (limaya) per
l'azione del Creatore; la sua azione è per sé, non per un motivo che lo inviti a
[compierla]. Egli è il Primo e l'ultimo perché è l'agente e il fine; il Suo fine,
infatti, è la Sua essenza perché Egli è colui che fa emanare ogni cosa da sé ed
è colui cui ritorna ogni cosa [... ]» 1•

1 Cfr. K. al-Ta'lfqat, edizione BADA W!, p. 80; si legga la limayyata li- fi'li l- bari' in

luogo di la kammyata li-fi'li 1- bari'. Per limaya, cfr. GmcHON, Lexique ... , p. 374.
INTRODUZIONE 733

Infine, Avicenna spiega in quale senso il Necessariamente Esistente, pur


essendo un esistente (mawgiid), non è una sostanza (gawhar): quando si parla
del Necessariamente Esistente si parla della sua assoluta esistenza, quando si
parla della sostanza si parla invece sempre di un'esistenza condizionata: si può
dire che la sostanza è ciò che è non in un soggetto ma non che essa adesso è
non in un soggetto. In altri termini, a differenza di ciò che accade per il
Necessariamente Esistente, il valore di verità della proposizione che la riguar-
da è sottoposto a una condizione esterna alla sua definizione.

Sezione quinta

[349,11-350,8] Vengono qui ripresi i temi della quarta sezione: al centro


della discussione è ancora la questione della dicibilità degli attributi del
Necessariamente Esistente, a cominciare da quello di "uno" (wa/:lid). In primo
luogo, Avicenna ribadisce quello che può essere considerato il nucleo concet-
tuale della deduzione degli attributi del Necessariamente Esistente: l'intenzio-
ne (ma 'na) che definisce la sua "realtà" gli appartiene in modo esclusivo. La
predicazione delle proprietà del Primo assume, infatti, un significato ben
distinto da quello che essa in genere riveste per le cose del mondo. Se normal-
mente essa consiste nell'ascrivere a un determinato individuo alcune delle pro-
prietà che appartengono o conseguono al suo genere o alla sua specie - di ogni
uomo si dice "razionale", per esempio, di alcuni si dice "canuto", ma entram-
be le predicazioni sono legittimate in quanto spettano alla specie dell'uomo-
nel caso del Necessariamente Esistente essa non è fondata sull'unità di genere
o di specie: le proprietà che si ascrivono al Primo non appartengono a un
genere prima di appartenergli. Non solo, quindi, la realtà del Necessariamente
Esistente appartiene soltanto al Necessariamente Esistente, ma inoltre le ragio-
ni di questa esclusiva appartenenza sono del tutto interne al Necessariamente
Esistente stesso (si cadrebbe, altrimenti, nella contraddizione di aver posto un
ente necessario come "condizionato" da qualcosa di diverso da sé). Seguendo
poi un metodo consueto per la Metafisica del Kitab al-Sifii', Avicenna formula
tutte le argomentazioni necessarie a confutare le più diverse obiezioni al pro-
prio discorso.
In primo luogo, se la realtà venisse al Necessariamente Esistente in virtù di
qualcosa d'altro, essa sarebbe acquisita (mustafàda) e il Necessariamente
Esistente non potrebbe definirsi tale. Va notato, a questo riguardo, che la ter-
minologia qui adottata è la stessa cui Avicenna affida la propria dottrina ema-
nativa: ad "acquisire" l'esistenza sono, infatti, gli enti causati, i possibili, che
la acquisiscono dal principio che, oltre che mufiq, "tale da far fluire", è mufid,
cioè "donatore", "dispensatore", "tale da far acquisire". In secondo luogo,
come potrebbero distinguersi due o più enti "necessariamente esistenti"? Due
cose si distinguono o per l'intenzione (ma'na), cioè per l'essenza, oppure in
734 TRATIATOOTIAVO

virtù di una serie di determinazioni accidentali, come il luogo, la posizione, il


tempo, etc. che, nel caso dì un ente immateriale come il Necessariamente
Esistente, non possono essere prese in considerazione.
[350,9-350,121 Ha inizio, quindi, l'esposizione di una serie di argomenti
per assurdo in cui Avicenna discute alternativamente dell'impossibilità di una
duplicità di enti necessari e dell'impossibilità di una molteplicità di enti neces-
sari (il costante passaggio dall'uso del plurale a quello del duale rende piutto-
sto arduo seguire il già complesso corpo di argomenti).
In primo luogo, come del resto hanno già dimostrato le argomentazioni
della sezione precedente (VIII, 4) la quiddità del Necessarìamente Esistente
non può essere accompagnata da nulla (non può esservi, quindi, alcuna diffe-
renza che accompagni l'intenzione della necessità).
[350,13-351,11] In secondo luogo, se due o più enti necessari si devono
distinguere l'uno dall'altro, non potendo farlo in virtù dell'intenzione (sono
tutti "necessarìamente esistenti"), devono farlo in virtù di alcune determina-
zioni che si aggiungano all'intenzione delta necessità d'esistenza. Ma tali
determinazioni possono: a) o essere esistenti in ognuno degli enti necessarì; b)
o non esistere in nessuno di essi; c) o esistere in alcuni e non in altrì. Se la
seconda ipotesi va immediatamente scartata perché ci riporta al caso di enti
identici nella quiddità, neppure la terza può essere accolta: l'assenza di una
determinazione (se si considera il caso di quegli enti necessari che non avreb-
bero alcuna determinazione aggiuntiva) non può fungere da criterìo distintivo,
altrimenti, in ogni cosa vi sarebbero infinite intenzioni, proprio perché di ogni
cosa si negano infinite determinazioni. Sembra allora restare la sola ipotesi
iniziale, quella per cui i diversi enti necessari si distinguerebbero a causa di
una determinazione aggiunta alla loro intenzione di "necessità d'esistenza", da
tutti condivisa. Ma anche questa va chiaramente ricacciata. Si danno, infatti,
solo due casi: o la necessità si pone come tale da realizzarsi solo insieme alla
sua aggiunta, oppure si deve pensare alla necessità come a qualcosa di conclu-
so e realizzato cui l'aggiunta non arrechi nulla. Ecco allora che, nel primo
caso, essa dovrebbe riguardare tutti gli enti necessari, costringendo a cercare
altrove un tratto distintivo per i diversi enti mentre, nel secondo caso,
l'aggiunta sarebbe qualcosa di superfluo e darebbe origine a un composto lad-
dove, come è ormai chiaro, ciò che è necessariamente esistente non può essere
un composto. Lo stesso risultato, d'altronde, si avrebbe nella prima ipotesi (si
dovrebbe infatti demandare ad altro la differenza tra due o più enti necessari).
[351,12-fine] In tal modo la possibilità di una molteplicità di enti si trova
già contraddetta. Avicenna insiste, tuttavia, ed esamina ulteriormente la terza
ipotesi: ì due (o più) enti necessari verrebbero descritti dalla quiddità e, cia-
scuno, da un'aggiunta. La necessità d'esistenza, dunque, potrebbe trovare o
non trovare nell'aggiunta una condizione per compiersi. Ora, se l'aggiunta non
rappresentasse alcuna condizione, la differenza tra i due (o più) supposti enti
necessari non potrebbe risiedere che negli accidenti, ma questo è assurdo (la
JlllTRODUZIONE 735

quiddità necessaria non può avere accidenti); se, invece, l'aggiunta rappresen-
taSse una qualche condizione per la necessità, si avrebbero ancora due possibi-
lità: o tale aggiunta definisce la stessa quiddità del Necessariamente Esistente,
oppure essa è solo una condizione perché la necessità acquisti l'esistenza. In
questo caso, la condizione del necessario sarebbe assimilabile a quella della
materia prima o di un accidente come il colore; entrambi, infatti, esistono come
tali solo se determinati rispettivamente da una forma o da un colore particolare.
Ma è chiaro che, se la prima ipotesi va scartata perché il necessario verrebbe ad
essere condizionato nella sua stessa quiddità, neppure la seconda può essere
presa in considerazione, perché il necessario vi si rivela condizionato nell'esi-
stenza. La necessità è invece "affermazione d'esistenza" e non può quindi, esse-
re sottoposta a nessuna condizione. Anzi, la necessità è la stessa esistenza presa
insieme all'inesistenza dell'inesistenza o all'impossibilità di una negazione. La
necessità è, quindi, un'esistenza che non può essere negata e che proprio in tal
senso è un'esistenza necessaria e una (il Necessariamente Esistente).
Si noterà allora come queste argomentazioni finiscano per dire molto, non
solo dell'ente necessario, ma anche dell'ente possibile; esse rappresentano,
oltre che un discorso intorno a Dio, anche un discorso sul mondo. In questa
sezione, infatti, emerge il significato ultimo della fondamentale proprietà del
causato, quella della composizione: ogni causato è composto (in primo luogo di
essenza ed esistenza) e ogni composto è causato (cfr. llah., I, 7, p. 47). La
materia prima o il colore in quanto tali sono, per esempio, diversi dalla materia
che esiste in qualcosa di determinato e dal colore che esiste in qualcosa di
determinato. L'esistenza del colore si aggiunge, infatti, al suo esser colore, per-
ché l'intenzione del colore è distinta dall'esistenza. Parlare di una composizio-
ne significa quindi parlare di qualcosa di possibile, non di ciò che è necessario.
In tal senso, il discorso finisce per toccare il tema del genere e della differenza.
La determinazione della differenza specifica - come "razionale" - non è una
condizione perché l'animale sia tale, ma solo perché esso esista come qualcosa
di determinato; non può esistere, infatti, un animale che non sia o razionale o
non razionale. Al Necessariamente Esistente, tuttavia, non possono essere attri-
buite determinazioni che ne condizionino l'esistenza; esso quindi non ha gene-
re, non ha socio e non ha né contrario, né quantità, né dove, né quando, etc. E
ancora il Primo non ha dimostrazione (v. VIII, 4: il Primo non ha "perché"):
come si è già osservato, il Necessariamente Esistente non può essere descritto
che negandone le determinazioni e affermandone le relazioni.
L'assunto che aveva costituito il punto di partenza della sezione preceden-
te, per cui ogni ente istituisce relazioni con gli altri enti e massimamente il
Necessariamente Esistente da cui "fluisce" ogni esistente, trova qui una chiara
legittimazione (v. soprattutto, p. 354,12-14).
736 TRATTATO OTTAVO

Sezione sesta

[355-6-356,6] Viene in primo luogo tematizzata la questione della completez-


za (tamiim) o anzi della sovra-completezza lfawqa al-tamiim) del Necessariamente
Esistente che rappresentano l'origine di ogni possibile relazione del Primo con
ciò che è altro da Sé e sono, perciò, l'elemento a partire da cui è dedotta la
stessa emanazione. La ragione ultima di quell'"uscire da sé" che è il flusso
emanativo è infatti la sovra-completezza o sovrabbondanza del Primo2 • Il tema
del flusso emerge tuttavia anche dagli altri argomenti trattati in questa sesta
sezione. L'analisi di Avicenna prosegue, infatti, con la determinazione del
Necessariamente Esistente quale "bene puro", una determinazione che
Avicenna ricava dal neoplatonismo arabo e che gli permette di attribuire una
dimensione etica al flusso divino. All'idea del Principio necessario quale
"bene puro" (bayr mal:uf) Avicenna giunge attraverso un percorso puntuale,
quasi sillogistico: una volta che il bene sia definito come "ciò che ogni cosa
desidera", poiché ogni cosa desidera l'esistenza, è infatti immediato stabilire
non solo l'identità tra bene ed essere, ma anche quella tra bene puro e princi-
pio Necessariamente Esistente: il Necessariamente Esistente è "affermazione
d'esistenza" ed è essere o esistenza cui si aggiunge l'impossibilità della nega-
zione dell'esistenza (cfr. VIII, 5).
È notevole poi come tale operazione abbia un preciso risvolto anche per il
mondo dei causati. Se, infatti, l'esistenza o essere è bene, l'inesistenza o non-
essere è male, e se il Necessariamente Esistente è esistenza e bene puro, tutto
ciò che è diverso dal Necessariamente Esistente, ed è quindi possibile, è com-
misto alla mancanza e alla privazione, ossia al male. II mondo dei possibili
finisce, così, per essere "sotto un certo aspetto male". Anche se, come si avrà
modo di osservare, il modo con cui Avicenna dà ragione del male nel IX trat-
tato non può essere ridotto all'equazione "male=non-essere", è innegabile
come qui appaia conservata una nota centrale della dottrina neoplatonica e
cioè l'identificazione del male con il non-essere relativo (incompletezza, man-
chevolezza, imperfezione).
[356,6-356, 14] La dimensione etica dell'emanazione scaturisce inoltre da
una constatazione meramente linguistica: "bene" si dice, oltre che dell'esisten-
za, anche di ciò che fa acquisire le perfezioni. li Necessariamente Esistente,

2 Va tuttavia notato l'aspetto paradossale di tale premessa: la sovrabbondanza è a un

tempo sia la premessa del fluire, sia la ragione dell'indifferenza che il Primo, proprio in
ragione della sua assoluta perfezione, "avverte" nei confronti del mondo. Lo stesso principio
è rintracciabile, per esempio, nella pseudo-Theologia (X, p. 135 B): «Quel che indica che
(al-dalfl 'ala anna) runo puro è completo (tilmm) al di sopra della completezza è che Esso
non ha bisogno di nessuna cosa e non ricerca di far acquisire nulla (Iii vatlubu ifàdata
.faJ' 'in)».
INTRODUZIONE 737

che è bene, è quindi anche tale da donare o far acquisire le perfezioni a ciò che
è diverso da Sé. E si è già notato come il termine "donare" o "far acquisire"
(aftida) sia intimamente legato alla definizione del flusso (jayq). Esso è
d'altronde, lo stesso con cui Avicenna definisce la creazione (al-!Jalq) nel suo
Libro delle definizioni 3•
La legittimazione del Necessariamente Esistente come "primo principio"
non si esaurisce comunque nell'idea del Necessariamente Esistente quale puro
bene. Avicenna passa a considerare l'idea del flusso emanativo nelle diverse
dimensioni che vi sono implicate e, oltre a quella etica, esamina quella reale o
ontologica e quella noetica, la quale sembra costituire, almeno alla luce di
alcuni passaggi, la stessa premessa dell'atto emanativo.
La dimensione reale o ontologica ha un duplice volto: è la semplice ascri-
zione della realtà al Necessariamente Esistente, che è reale al massimo
grado, ed è affermazione della sua verità: a nulla, infatti, appartiene la pro-
pria realtà come al Necessariamente Esistente che anzi si identifica con la
propria realtà. Il Necessariamente Esistente è reale e vero perché della sua
esistenza veridica si è sempre convinti e perché è vero continuativamente.
Emerge qui un'ulteriore determinazione del causato: il tema della realtà con-
duce, infatti, a quello del "diritto a" che gli è connesso, anche su di un piano
meramente linguistico (istil:zqaq o l:zaqq- "merito" o "diritto a"- rimandano
alla stessa radice di /:laqfqa, "realtà"): le cose diverse dal Necessariamente
Esistente, infatti, non hanno "diritto" all'esistenza nella stessa misura del
Necessariamente Esistente, perché in se stesse, anzi, esse hanno diritto
all'inesistenza. Ritorna, qui, il problematico accostamento tra il possibile e il
nulla (cfr. lltih., VII, 3, pp. 342-343).
[356,15-357,12] La dimensione noetica trae origine essenzialmente dal
tema aristotelico dell'intellezione divina (cfr. il Primo aristotelico, pensiero di
pensiero in Metafisica XII [A], 9, 1075 a 1-10). Il Necessariamente Esistente è
pura intelligenza, in quanto è separato dalla materia. Poiché, però, a impedire
che si abbia intellezione di una cosa sono la materia e "le cose ad essa vincola-
te", il Necessariamente Esistente è anche intelligibile. Inoltre, come ente sepa-
rato dalla materia, Esso non ha che un'esistenzaformale e cioè, un'esistenza
intellettuale. In quanto tale, quindi, il Necessariamente Esistente è per sé intel-
letto, così da essere in se stesso intelligente, intelletto e intelligenza.

3 Questa la definizione di Avicenna (cfr. Tis' rasa'il fi-l-lfikma wa l-Tabf'iyyat,

Ma!ba'a hindiyya bi-Mi~r. 1326h/1908 [1st ed.], p. IO! e GorCHON, K. al-Hudiid... , p. 43 del
testo arabo e p. 60 della traduzione francese): «è un nome comune; infatti si dice 'creazione'
del far acquisire un'esistenza (ifadat wugiidin), comunque sia, e anche del far acquisire l'esi-
stenza di qualcosa che si ottiene a partire da una materia e da una forma, comunque sia>>;
GARDET, s.v. ibda' in E./., III, n. éd., 1971, p. 686 così traduce: «khalq sìgnifie d'abord faire
acquérir l'etre quel qu'il soit>>.
738 TRAITATO OITAVO

Tale identificazione non comporta alcuna molteplicità nell'essenza del


Primo che è sempre se stesso e quindi uno; ciò che muta - nel dirlo intelligen-
te, intelligenza o intelletto - è, piuttosto, la considerazione che di Esso se ne
può avere. Esso infatti è intelligenza, in quanto è una quiddità astratta; è intel-
letto in quanto la sua quiddità astratta è di sé; ed è intelligente perché è per sé
una quiddità astratta. Tale determinazione del Primo sul piano intellettuale è
importante sotto più di un aspetto. Essa offre, in primo luogo, una descrizione
del Necessariamente Esistente che consente di affermare la consapevolezza
del Principio e di introdurre così l'idea di una provvidenza nell'atto emanati-
va; in secondo luogo, fornendo la possibilità di dedurre il mondo a partire
dall'attività noetica del Primo, essa assicura una modalità di derivazione degli
enti che pone il Primo al riparo da qualunque introduzione di molteplicità.
Nella definizione di "intelligente" - 'iiqil - non è, infatti, contenuta la neces-
sità di un'intellezione che coinvolga qualcosa di diverso da sé: non è cioè
necessario che il soggetto intelligente e l'oggetto intelletto siano due realtà
distinte. [357, 13-358,13] Avicenna rileva come vi siano alcune relazioni,
come quella tra intelligente e intelletto, motore e mosso o la stessa dualità di
un qualunque rapporto di relazione, che non si colgono in se stesse, ma solo
con il ricorso ad altre argomentazioni. Lo stesso accade, per esempio, per
quanto riguarda l'intellezione che abbiamo di noi stessi. Noi sappiamo, infatti,
di possedere una facoltà con la quale abbiamo intellezione di noi stessi, ma
non sappiamo se sia questa stessa facoltà o un'altra a permetterei di saperlo.
Per questo, dobbiamo ricorrere a una dimostrazione (questa dimostrazione non
è poi che il cosiddetto argomento dell'uomo "velato" con cui, nella sesta parte
della Fisica, ossia in De anima, II e V, Avicenna dimostra l'autoappercezione
del sé dell'uomo, deducendo la separatezza e l'immaterialità dell'anima).
[358,14-362,11] Il Necessariamente Esistente d'altronde, non può avere
intellezione delle cose a partire dalle cose stesse; ciò comporterebbe, da una
parte, un'influenza (ta'{ir) delle cose esterne sul Necessariamente Esistente e
quindi la sua mutevolezza (come potrebbe intendere le cose mutevoli nel loro
mutare senza mutare esso stesso?) e, dall'altra, una paradossale limitazione
della sua scienza. Se, infatti, il Necessariamente Esistente conoscesse le cose a
partire dalle cose stesse, si troverebbe a conoscere solo le cose esistenti, non
quelle non ancora esistenti; Esso si troverebbe inoltre a intenderle prima inesi-
stenti e poi esistenti e finirebbe con il mutare stato, avendo un'intellezione
delle cose "temporalmente determinata" (zamiinf). Se poi il Necessariamente
Esistente avesse intellezione delle cose in se stesse, dovrebbe avere uno stru-
mento particolare, ossia corporeo e, comunque, gli si dovrebbe attribuire una
molteplicità di intellezioni.
La conoscenza che il Primo ha del mondo è invece una conoscenza univer-
sale: il Primo conosce le cose in quanto ne è la causa ed essendo causa di tutte
le cose, il Primo conosce tutte le cose. Se, da una parte, è chiaro come in tal
modo Avicenna tenti una conciliazione con la posizione coranica dì un Dio
JNTRODUZIONE 739

onnisciente, dall'altra resta difficile affermare con decisione quanto la posizio-


ne avicenniana salvi la conoscenza divina dei particolari. Non rimane che rife-
rirsi a quello che afferma lo stesso Avicenna, e cioè che la conoscenza di Dio
è accostabile, per analogia, a due esempi: quello fornito dalla conoscenza che
l'uomo ha dell'eclissi (che è conoscenza universale, cioè per causas di un
evento particolare), e quello rappresentato dalla conoscenza della forma che
}'uomo inventa, per esempio, quando crea un'opera d'arte: tale forma è indi-
pendente dali' esistenza concreta della cosa nel mondo esterno, ma dipende
dall'intelletto che la pensa (e questo è tema della sezione successiva, VIII, 7).
Un'ultima notazione va dedicata al carattere paradossale che rivela la prio-
rità della dimensione noetica del flusso. Il Primo ha intellezione di Sé e quindi
del Suo essere principio e degli enti che ne provengono e che sono in tal senso
~essari (e si noti come qui venga ribadita l'identità tra necessità ed esistenza),
ma al contempo tale priorità è controvertibile: è perché il principio causa ed è
appunto un principio che Esso può avere intellezione di Sé come tale. Nella set-
tima sezione Avicenna affronta questo tema e vi offre una soluzione fondata
sull'idea della fondamentale coalescenza delle sfere noetica e antologica.

Sezione settima

[362-363,13] Il tema dell'intellezione del Necessariamente Esistente, uni-


versale e "d'un sol colpo", è centrale in questa sezione. Alla tascendenza del
Primo e alla sua necessità, la dimensione noetica aggiunge, come si è osserva-
to, l'idea della comunicazione tra il Principio e il mondo, permettendo così di
allontanare l'immagine di un Primo assolutamente indifferente al mondo e al
contempo di non introdurvi alcuna molteplicità. Le forme "fluiscono"
dall'intellettualità ('aqliyya) del Necessariamente Esistente senza però che tale
fluire sia assimilabile a un processo naturale: Avicenna ricaccia esplicitamente
l'immagine della luce. Diversamente da quel che avviene in Plotino (e nel
"Plotino arabo" della Teologia dello pseudo-Aristotele, il Kitiib Utiilugiya),
l'emanazione dal Primo non è assimilabile a quella della luce dalla fonte lumi-
nosa o a quella del calore dal fuoco 4 : all'immagine della natura, che finirebbe

4
Per l'immagine in Plotino, cfr. per es. Enn., I, 8, 14; VI, 4, 9; per il Primo come
"prima luce" (al-niir al-awwal) o anzi "luce delle luci" (niir al-anwar) nella Teologia pseu-
do-aristotelica, cfr. Utiilii.giya in A. BADA W!, Afliltfn 'inda al-'Arab, Wikalat al-matbii'at, al-
Kuwayt 1977 [3 ed.], p. 119. II nesso tra causalità naturale e immagine della luce è ben pre-
sente, per esempio, in Yal)yii ibn 'Adi, "aristotelico" di Bagdad alla scuola di al-Fiiràbi;
nella sua Risaia ft-1-Taw/.lfd (ed. SAMIR, P.I.O, Roma 1980, pp. 249-250, par. 331), nel
discutere di come quel che è altro dal causato- e ne è quindi la causa- determini l'esistenza
del causato, Yai)yà scrive: <<Se ciò che rende necessaria l'esistenza del causato fosse la sua
essenza, allora la sua azione sarebbe per essenza; intendo [dire] che emanerebbe dalla sua
740 TRA TI ATO OTTAVO

per sottomettere anche il Principio alla legge dell'emanazione, Avicenna pre-


ferisce l'immagine dell'artista, in cui sembrano conservate l'idea di libera
volontà e di consapevolezza proprie dell'atto creativo. Il fluire delle forme dal
Principio è quindi rappresentato come quello della forma artistica, che precede
l'esistenza dell'opera d'arte ed emana dalla mente dell'artefice; si concretizza
qui quanto Avicenna ha già argomentato a proposito della conoscenza univer-
sale del Primo "causa delle cose" (cfr. VIII, 6, pp. 359-360).
[363,14-364,15] La consapevolezza del Necessariamente Esistente, che è
una sorta di partecipazione, sia pure relativa, alle cose del mondo, si traduce
nell'attributo dell'amore. Il Primo ama se stesso e, per accidente, ciò che altro
da sé; l'amore del Principio è però un amore senza desiderio: il Primo non può
né volere né ricercare niente e non ha per il causato che un amore accidentale
e secondario. Va sottolineato allora come qui, al di là della pur ricercata corri-
spondenza tra gli attributi del Principio e quelli della tradizione coranica,
venga data ragione della stessa dinamica noetica: il Necessariamente Esistente
conosce e ama se stesso e, solo conseguentemente a tale conoscenza di sé e a
tale amore di sé, conosce e ama le cose di cui è la causa, le quali sono - e non
possono che essere - posteriori alla sua essenza, conseguenti alla sua essenza
e causate rispetto alla sua essenza. La posteriorità e secondarietà delle cose
rispetto al Primo è immancabilmente anche il segno dell'universalità della sua
conoscenza: il primo Principio conosce le cose in quanto ne è la causa e poi-
ché è causa di tutte le cose, conosce tutte le cose. Tuttavia, se qui la preminen-
za sembra venire assegnata, più che alla dimensione noetica, a quella antologi-
ca, una riflessione ulteriore mostra invece come le due dimensioni si vogliano
inestricabilmente legate fra loro in una contemporaneità il più possibile asso-
luta: più che dell'anteriorità dell'una sull'altra si deve parlare dell'assoluta
coalescenza dell'una e dell'altra. Il Principio conosce tutte le cose perché è
"ciò da cui" esse provengono (e non "ciò in cui" esse sono). Esso conosce
quindi tutte le cose, sia quelle la cui esistenza è realizzata o attuata (o è già
stata realizzata o attuata), sia quelle la cui esistenza è solo possibile (e non è
ancora realizzata o attuata; cfr. VIII, 6). Il Principio conosce le cose in quanto
intellette, cioè in quanto fluiscono da sé, ma non in quanto esistenti in concre-
to; diversamente, Esso dovrebbe percepirsi mutevole in relazione al mutare

essenza come l'azione del fuoco è di riscaldare, l'azione del ghiaccio è di raffreddare, e
l'azione del sole è di illuminare. E per questo la sua azione e la sua essenza sarebbero
entrambe esistenti insieme: l'una non precederebbe l'altra e l'una non permarrebbe dopo la
rimozione deli' altra. Infatti, quando esiste l'essenza del fuoco, esiste il riscaldare, e quando
esiste il riscaldare, esiste l'essenza [del fuoco]. E così per il raffreddare e il ghiaccio, e per
l'illuminare e il sole>>. Avicenna, che pure ricorre talvolta alle immagini del fuoco e del sole
per rappresentare la provvidenza e l'emanazione (cfr. per esempio, /lah,. IX, 4, p. 398) rifiu-
ta qui l'idea di una necessità naturale, perché in questo caso anche il principio dovrebbe
obbedirvi.
jNTRODUZIONE 741

dello stato delle cose che passano dall'esistenza all'inesistenza (e dall'inesi-


stenza all'esistenza; cfr. VIII, 6) 5.
La vera anteriorità - e la sola che si possa riconoscere - non si ha quindi
tra la dimensione antologica e quella noetica, ma tra il Principio e i principiati:
è in primo luogo a se stesso che il Principio è rivolto, e solo secondariamente
ed accidentalmente, a ciò che deriva da Sé. [364,16-366,7] Il problema è tutta-
via ora quello di comprendere in quale senso si dia una relazione tra le forme
intelligibili e il Necessariamente Esistente: sono esse conseguenti (lawiizim),
esistenze separate (mufariqa) oppure intelligibili (ma'qilliit)? Non potendo
essere né dei conseguenti (il possibile conseguirebbe al necessario, con
un'evidente contraddizione), né degli enti separati (si tornerebbe alle forme
platoniche, la cui esistenza è stata confutata nel VII trattato), bisogna che esse
siano degli intelligibili. Si deve allora comprendere se esse siano come gli
intelligibili che sono in un'anima o in un'intelligenza. Certo, esse non possono
essere parti dell'intelligenza del Primo, che altrimenti si moltiplicherebbe. La
soluzione di Avicenna risiede nell'attribuire alla processione degli intelligibili
quella stessa delle intelligenze: gli intelligibili sono, quindi, non nel Primo, ma
nelle intelligenze e nelle anime che lo seguono e ne sono causate. In senso
stretto è qui che il flusso emanativo acquisisce il proprio carattere di proces-
sione: vi è qualcosa che fluisce dal Primo immediatamente (è la prima intelli-
genza), e qualcosa che fluisce con la mediazione della prima e poi della secon-
da e della terza intelligenza e così via, intelligenza dopo intelligenza, anima
dopo anima (in una breve epistola, l'Epistola sui corpi celesti, Avicenna deli-
nea infatti una vera e propria cosmologia del flusso, ilfay4)6 . La processione è
mediazione, e tutto ciò che fluisce dal Primo in virtù di una mediazione fluisce
in modo secondario; in questo procedere consiste quindi l'ordine della causa e
del causato cui Avicenna dedica tutto il trattato VIII.
[366,8-367 ,6] In tal modo, dunque, è garantito lo statuto del Primo come
intelligenza e al contempo quello del flusso che fluisce, diviene, esiste ed è
"bene". Ma, avverte Avicenna, il flusso non è bene in sé; esso, piuttosto, in
primo luogo è intelletto ed esiste e, conseguentemente, è bene. In altri termini,
il Principio non ha intellezione di un bene che sia tale al di fuori dì sé, perché
altrimenti troverebbe fuori dì sé la ragione della propria intellezione e, in ulti-

5 Avicenna chiama qui (364,13; 366, 3) il Primo al- 'Alim al-rubiibf: il "divino sapiente"

o "Colui che ha scienza ed è Signore". Il testo latino ha sciens divinum (425) per la prima
occorrenza, ma mundus divinus per la seconda (427; laddove la lettura adottata è allora al-
'Alam al-rubilbr: "il mondo della Signoria"). Per 'Alim quale nome divino, v. GIMARET, Les
noms divins ... , pp. 253-258. Nel Plotino arabo è negata invece ogni conoscenza al Principio;
cfr. P. ADAMSON, The Arabic Plotinus ... , in part. pp. 100-109 e 101 e soprattutto C.
D'ANCONA, Il tema della docta ignorantia nel neoplatonismo arabo. Un contributo all'ana-
lisi delle fonti di Teologia di Aristotele, mfmar l/, in Concordia discors. Studi offerti a
Giovanni Santinello, Antenore, Padova 1993 («Medioevo e Umanesimo», 84), pp. 3-22.
6 Cfr. R. ft 1-agrèim al- 'ulwiyya (Epistola sui corpi celesti), in Tìs' rasii'il..., pp. 39-59.
742 TRATTATO OTTAVO

ma analisi, della propria causalità (il Principio avrebbe, cioè, intellezione di un


bene indipendente da sé e dalla propria causalità). La forma intelletta deriva,
invece, dal Primo "senza aggiunta": è solo dopo, in guanto intelletta, che essa
esiste e assume la determinazione della sua "bontà". E in questo senso, quindi,
che "ogni cosa che viene dal principio è bene". La stessa autonomia del Primo
regola l'introduzione del concetto di volontà del Necessariamente Esistente che
risulta fondata su di un piano completamente altro rispetto a quello sul quale si
fonda la volontà umana: non c'è più scelta, ma un unico atto di volizione che è
tutt'uno con l'Amore di sé, con la Vita, con la Scienza e con l'Intelligenza del
Necessariamente Esistente. Di grande interesse è poi la deduzione dell'attributo
del potere (qudra) del Primo. È anch'esso uno dei nomi che la teologia assegna
a Dio7, ma è di importanza centrale per il sistema avicenniano perché immedia-
tamente connesso alla distinzione tra "possibile" e "necessario". Avicenna spie-
ga che, se in noi il potere ha bisogno di essere accostato a una volontà sempre
rinnovantesi, non la stessa cosa può dirsi per Dio: nella nozione di potere si rin-
salda ulteriormente la fondamentale identità del Primo.
[367,7-fine] La sezione si chiude con un'ulteriore deduzione degli attributi
divini: non vi sono che esistenza e negazione o esistenza e relazione e il
Necessariamente Esistente è quindi intelletto, intelligenza e intelligente;
primo; potente; vivo; volente; generoso; bene; e dunque splendore, bellezza e
ancora superiore allo splendore e alla bellezza.
Infine, la superiorità del Primo sulle cose del mondo, e quindi sull'univer-
so delle cose che rientrano nelle possibilità espressive dell'uomo, si fa pretesto
per affrontare un tema fondamentale per l'escatologia e per la psicologia avi-
cenniane: la superiorità della sfera intellettuale su quella fisica. Il piacere (e si
noti come Avicenna parli qui propriamente di "piacere" -ladda- non di feli-
cità) è sempre ciò che costituisce la perfezione della cosa; ogni facoltà ha così
il piacere che le è proprio e che consiste nel raggiungimento della propria per-
fezione. Ma il piacere intellettuale è il più intenso di tutti i piaceri ed è il pia-
cere che l'intelligenza prova quando ha intellezione di qualcosa di vero o le si
svela un mistero. La nostra intelligenza, vincolata com'è al nostro corpo, rie-
sce solo a fatica a comprendere che è questo il suo piacere e a conseguirlo, ma
il fatto che, a causa di un qualche ostacolo, il piacere non venga conseguito
non significa affatto che esso non sia quello che ci è naturale (cfr. anche infra,
IX, 7). Con questo argomento vengono ricordate l' intellettualità e la separatez-
za dell'anima rispetto al corpo (l'anima è forma e perfezione del corpo ma è al
tempo stesso sostanza separata) che fondano a loro volta l'escatologia intellet-
tualista di Avicenna: una volta separatasi dal corpo, l'anima del sapiente avrà
intellezione dei principi. E anche qui Avicenna stabilisce una gerarchia al ver-
tice della quale pone il mondo intellettuale.

7 Cfr. GIMARET, Les noms divins ... , pp. 235-237.


744 l" l" V [327J

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CAPITULUM DE COGNOSCENDO PRIMO PRINCIPIO UNIVERSI ESSE


ET DE COGNOSCENDIS PROPR!ETATIBUS E!US

[376] Postquam autem pervenimus ad id in hoc libro nostro, oportet ut perficiamus eum
per cognitionem primi principii universi esse, inquirentes an si t et a.n si t unum nec habens com-
par nec sinùle, et ut ostendamus ordinem eius in esse, et ordinationem eorum quae sunt praeter
ipsum et ordinem eorum et dispositionem reductionis eorum ad ipsum, adiuti auxilìo eius.
Primum vero quod de hoc incumbit nobis est hoc scilicet tH ostendamus quod causae
omnibus modis finitae sunt, et quod in unoquoque ordine earum est principium primum, et
745

SEZIONE PRIMA

SULLA FINITEZZA DELLE CAUSE AGENTI E DELLE CAUSE RICETTIVE

Avendo raggiunto questo punto del nostro libro, conviene concludere con
la conoscenza del Principio primo di tutto l'essere [e chiedersi quindi]: esiste?
È uno, non avendo né socio né pari nel Suo rango?' Chiedendo il Suo aiuto,
[si dovrà poi] indicare quale sia il Suo rango nell'essere e quale l'ordinamento
degli enti al di sotto di Esso, quali i loro ranghi e come sia il ritorno ad Esso.
La prima [cosa da fare] a questo riguardo è mostrare che le cause, sotto
tutti gli aspetti, sono finite, che per ogni loro ordine c'è un principio primo e
che il principio di tutte è uno; che esso è distinto da tutti gli enti - esso solo
necessariamente esistente - e che ogni ente ne trae l'inizio della propria esi-
stenza.
Ora, - diremo - che la causa dell'esistenza di una cosa sia esistente insie-
me ad essa, ti è già stato [detto] ed è accertato2. Dunque, se supponiamo un
causato e supponiamo per esso una causa e per la sua causa, una causa, non è
possibile che vi sia per ogni causa una causa, all'infinito. Infatti, se si conside-
ra l'insieme da essi costituito nel rapporto che lega l'uno all'altro- e cioè il
causato, la sua causa e la causa della sua causa- [si vede che] la causa della
causa è una causa prima assoluta per gli altri due, mentre gli altri due, pur
essendo differenti, in quanto uno dei due è causato in virtù di un medio e
l'altro è causato non in virtù di un medio, hanno nei suoi confronti un rapporto
che consiste nell'esser causato3 . Non sono [causa assoluta] 4 , invece, né l'ulti-
mo5 né il medio; il medio - che è la causa contigua6 del causato - perché è
causa [328] soltanto di una cosa, e il causato perché non è causa di nulla.

quod principium omnium illorum est unum, et quod est discretum ab omnibus quae sunt,
ipsum solum ens necesse esse, et quod ab ipso est principium sui esse omnis quod est.
Dico igitur quia, quod causa esse rei habeat esse cum ea, iam hoc certissime ostensum
est tibi. Unde dico quod, si posuerimus causatum et posuerimus eius causam et suae causae
causam, non tamen eri t possibile unicuique causae esse causam in infinitum. Causatum enim
et [377] eius causa et causa suae causae, si considerentur singula secundum comparationem
sui ad invicem, profecto causa causae eri t prima causa absolute duorum aliorum, et duo alia
habebunt comparationem causationis ad illarn, quamvis differant in hoc quod unum eorum
est causatum mediante aliquo et alterum est causatum nullo mediante, quod non fuit sic in
primo nec in medio; medium enim quod est causa proxima causati est causa unius rei tan-
tum; causatum vero ultimum nullius rei est causa. Unumquodque igitur horum trium habet
746 J/~1 J,.....ill - 4:...l~\ ~l.oJ.\ ,.YA [328]
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proprietatem, sed proprietas ultimi causati est haec quod ipsum non est causa alicui rei; et
proprietas alterius ultimi est haec quod ipsum est causa omni alii a se; proprietas vero medii
est quod ipsum est causa unius extremi et est causatum alterius ex tremi.
Et idem est an sit unum medium an plura, et, si fuerint plura, idem est an ordinantur
finita an infinita. Si enim ordinatur multitudo finita, tunc uni versa numerositas quae est inter
duo extrema erit quasi unum medium, quia communicat in proprietate medii secundum
comparationem sui ad duo extrema; unicuique autem duorum extremorum est proprietas.
Similiter etiam fiet si ordinetur multitudo infinita cuius non inveniatur extremum, quia
totum illud infinitum erit secundum proprietatem medii de quo, si quantamcumque collec-
tionem acceperis, illa erit causa esse causati alterius quod sequitur, et erit causata primae, eo
quod, quicquid est de illa collectione, causatum est [378] eius a quo pendet esse totius col-
TRATTATO OTTAVO- SEZIONE PRIMA 747

Ognuno dei tre ha poi una proprietà: la proprietà dell'estremo causato è di non
essere causa di nulla; la proprietà dell'altro estremo è di essere causa di tutto
quel che è diverso da sé7 ; la proprietà del medio è di essere, di un estremo,
causa e, di un estremo, causato.
Ed è lo stesso che il medio sia uno o più di uno. E se [i medi] sono più di
uno, è lo stesso che siano ordinati in modo 8 finito o in modo 9 infinito: se si
ordinano in una molteplicità finita, l'insieme numerico di ciò che è tra i due
estremi sarà, infatti, come un solo medio che parteciperà della proprietà del
medio in rapporto ai due estremi, e per ognuno dei due estremi vi sarà una
proprietà. Allo stesso modo, se si ordinano in una molteplicità infinita, senza
che si pervenga a un estremo, tutto quanto l'infinito sarà partecipe 10 della pro-
prietà del medio: qualunque insieme tu prenda in considerazione, esso infatti
sarà [al contempo] causa dell'esistenza dell'ultimo causato e causato a sua
volta. Ognuno [degli elementi dell'insieme del medio], infatti, è causato,
l'insieme dipende dagli [elementi] per quanto riguarda l'esistenza e ciò che,
per quanto riguarda l'esistenza, dipende da un causato è un causato; sennon-
ché, tale insieme è una condizione per l'esistenza dell'ultimo causato e ne è
una causa e per quanto grande tu possa considerarlo, il [suo] statuto rispetto
all'infinito permane [immutato]l 1• Non può essere, quindi, che un insieme di
cause sia esistente senza che in esso vi sia una causa non causata e una causa
prima: tutto quanto l'infinito sarebbe, infatti, un medio senza estremo e questo
è impossibile.
[Così] il discorso di colui che dice che esse - cioè le cause anteriori alle
cause- sono infinite e [al contempo] ammette l'esistenza dei due estremi, nel
senso che [afferma] l'esistenza di due estremi e, fra questi, di medi senza fine,
non ci impedisce di [arrivare a] quel che ci proponiamo e cioè di stabilire
l'esistenza della Causa prima. [E ciò] nel senso che il discorso di colui che
dice che vi sono due estremi e infiniti medi 12 è un discorso fatto solo con la
lingua, senza convinzione. A vendo un estremo, infatti, [l'insieme] è in se stes-
so finito; se poi chi conta [329] non giunge al termine nel suo estremo, questa

lectionis. Cuius autem esse pendet a causato, causatum est. Illa igitur collectio est condicio
essendi causatum alterum, et est causa ei, et quanto maiorem collectionem acceperis, tamen
iudicium infinitionis remanebit. Unde non potest esse collectio causarum aliquarum in qua
non sit causa non causata et causa prima. Nam totum infinitum esset medium sine extremo,
quod est absurdum.
Si quis autem dixerit quod causae praecedunt causas sine fine, removendo utrumque
extremum, ve! ita ut sint duo extrema, sed inter ea <media> sint infinita, hoc non tollit
nostram intentionem in qua sumus, scilicet in stabiliendo primam causam. Quamvis enim
dicat hic esse duo extrema et inter ea media sine fine, hoc tamen dicit lingua tantum, non ex
sententia quam teneat. Nam si extremum habet, finitum est in se, quamvis considerans non
perveniat ad extremum eius; hoc enim in considerante est, non in re ipsa. Alterum vero esse
748 [329]

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finitum in se, hoc utique est ipsum habere extremum: quomodo ergo universitas quae est
inter duo extrema erit infinita, essente extremo? lllud igitur extremum erit prius eo quod est
infinitum, et erit causa non causata. Et hoc modo ostendi potest quod in omnibus ordinibus
[379] causarum finitio est, quamvis per hoc non inquiramus nisi causas agentes.
Tu autem iam nosti in na.turalibus quod, quicquid habet ordinem in natura, finitum est,
quamvis hoc non pertineat ad illos. Accedamus ergo nunc ad ostendendam finitionem causa-
rum quae sunt partes essentiae rei et sunt priores ea in tempore, et hae sunt causae quae pro-
prio nomine dicuntur materiales, et hae sunt de quibus est res cuitJs ipsae sunt pars essentialis.
Per hoc autem quod dicimus rem esse de re, omnino intelligas intrasse in esse secundi
aliquid quod erat rei primae. scilicet vel substantia et essentill quae est rei primae, sicut
homo in puero cum dicitur quod vir factus est de eo, vel pars substantiae et essentiae quae
TRATI ATO OTTAVO - SEZIONE PRIMA 749

è una questione che riguarda chi conta e non la cosa stessa: che qualcosa sia in
se stesso finito [significa] che ha un estremo, e tutto ciò che è fra due estremi è
obbligatoriamente delimitato dai due.
Ecco allora che a partire da tutte queste affermazioni si è portato all'evi-
denza che vi è una Causa prima. Infatti, foss' anche infinito ciò che è fra i due
estremi, se l'estremo esiste, è primo rispetto a ciò che non ha fine, ed è una
causa incausata.
Ora, questa prova è valida per mostrare la finitezza di tutti gli ordini dei
vari tipi di cause, anche se noi ce ne serviamo 13 [solo] per quanto riguarda le
cause agenti. Anzi, hai già appreso che tutto ciò che ha un ordinamento nella
natura è finito; questo [l'hai appreso] nella Fisica, benché in essa [questo
argomento] vi rientrasse come qualcosa di estraneo 14 .
Veniamo adesso alla prova della finitezza delle cause che sono parti
dell'essere della cosa e che sono anteriori [ad essa] nel tempo 15 : sono le cause
cui spetta propriamente il nome di [cause] "materiali" 16 : sono ciò a partire da
cui la cosa si costituisce in quanto esse ne rappresentano una parte essenziale.
Insomma, considera che quando diciamo che "una cosa proviene da
un'altra cosa" [intendiamo] che qualcosa che appartiene alla prima si è intro-
dotto nell'essere della seconda: o la sostanza e l'essenza della prima cosa,
come l'essere umano è nel fanciullo, quando si dice che dal [fanciullo provie-
ne] un uomo; o una parte della sostanza e dell'essenza della prima cosa, come
la materia è nell'acqua 17 , quando si dice che dall'[acqua proviene] aria 18 • E
non considerare quel che ha in mente chi dice "questo proviene da
quest'altro", quando [questo] è "dopo" quest'altro e l'espressione "da" non
sta, quindi, a indicare qualcosa che appartiene all'essenza della prima [cosa],
ma soltanto la posteriorità 19 •
Infatti- diciamo- il fatto che da una cosa ne provenga [un'altra], non nel
senso che è dopo di essa, ma piuttosto nel senso che nella sostanza della
seconda entra qualcosa della prima, si dice in due modi: il primo dei due è nel
senso che la prima [cosa] è ciò che è soltanto in quanto per natura si muove a
perfezionarsi nella seconda; è come il fanciullo: è un fanciullo soltanto perché,
per esempio, è sulla via che conduce alla virilità e così, quando diventa
"uomo", egli non si è [330] "corrotto" ma, piuttosto, si è "perfezionato". In

est rei primae, sìcut aer in aqua cum dicitur quod de ea fit aer. Sed per dictionem illam qua
dicitur hoc est de hoc, cum fuerit posterius eo ita ut hoc verbum de non significet aliquid de
essentia primi, non intelligas nisi posterioritatem tantum. Unde dico quod rem esse de re,
non ex intentione essendi post rem, sed ex intentione scilicet quod in secundo est aliquid de
primo et intra eius substantiam, dicitur duobus modis. Quorum unius sensus est ut primum
non sit id quod est, nisi quia natura eius movetur perfici per secundum, verbi gratia, sicut
puer non est puer nisi quia est in via perveniendi ad virilitatem; cum vero fit vir, non cor-
rumpitur sed perficitur: non enim removetur ab eo aliquid substantiale ve! etiam accidentale,
750 J_,)i\ J-ill - ~I!J\ :ijW.\ [330]

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nisi hoc quod pende! de im-[380]perfectione et de esse eius adhuc in potentia, cum conside-
ratus fuerit secundum aliam perfectionem. Alterius vero sensus est ut primum sit tale cuius
natura sit non moveri ad secundum, quamvis comitetur illud quies ad recipiendum formam
eius, non ex modo suae quidditatis, sed ex modo sustentantis sulilll quidditatem; ex quo cum
fuerit secundum, non erit de substantia eius quae est in effectu, nisi secundum intentionem
de post, sed est de substantia eius, scilicet parte quae adiungitur potentiae, sicut in aqua cum
fit aer: spoliatur enim a sua hyle forma aqueitatis et acquiritur in ea forma aerietatis.
Prima igitur pars divisionis, sicut notum est tibi, est ut acquiratur secundo tota substan-
tia quae est in ipso primo; seconda est ut < ... > pars eius et destruatur substantia illa. Quia
igitur secunda pars divisionis est quod substantia prioris fit in eo quod est posterius quasi
TRATI ATO OTIAVO- SEZIONE PRIMA 751

lui, infatti, non è cessato qualcosa di sostanziale e neppure qualcosa di acci-


dentale, ma solo qualcosa che dipendeva dalla mancanza e dal fatto che, se
rapportato alla perfezione ultima, era ancora in potenza20 . Il secondo [modo] è
in quanto 21 alla natura della prima [cosa] non appartiene muovere verso la
seconda, anche se la preparazione a riceveme la forma la accompagna neces-
sariamente, non dal lato della sua quiddità, ma dal lato di ciò che sostiene la
sua quiddità: quando ne proviene la seconda cosa, ciò non avviene quindi a
partire dalla sua sostanza che è in atto, se non nel senso del "dopo", ma avvie-
ne invece a partire da una parte di essa e cioè dalla seconda parte 22 , [quella]
che accompagna la potenza; è come l'acqua che diviene aria soltanto in quanto
alla sua materia (hayìilii), spogliatasi della forma dell' "essere acqua", soprag-
giunge la forma dell' "essere aria".
Nel primo caso23 - e [certo ciò] non ti risulta oscuro- è la [stessa] sostanza
che nella sua identità apparteneva alla prima [cosa] a risultare nella seconda,
mentre nel secondo caso non è la sostanza che nella sua identità apparteneva
alla prima a risultare nella seconda, ma solo una parte di essa, mentre quella
[prima] sostanza si corrompe.
E poiché nel primo dei due casi24 la sostanza di ciò che è anteriore25 esiste
in ciò che è posteriore, essendo essa stessa26 o una sua parte, la seconda [cosa]
è27 l'insieme [costituito] dalla sostanza della prima e da una perfezione che le
si aggiunge. E poiché da quel che si è precedentemente affermato hai appreso
che ciò che è finito ed esistente in atto non ha parti in atto che abbiano ordina-
menti infiniti - siano esse parti misurabili o ideali - ecco che possiamo fare a
meno di occuparci di mostrare se sia possibile o impossibile che vi sia un sog-
getto di questo tipo anteriormente a un [tale] soggetto, [e così] all'infinito 28 •
Ma anche nel secondo dei due casi è manifesto che la finitezza [della serie]
è necessaria. Infatti, la prima [cosa] è in potenza la seconda soltanto a causa
dell'opposizione esistente tra la sua forma e la forma della seconda. Tale
opposizione si limita alla trasformazione tra i due estremi, in quanto ciascuna
delle due cose è soggetto dell'altra; così [la prima] si corrompe [331] in favore

ipsum idem ve! pars eius, et prima est quod totalitas substantiae primi et perfectio adiunga-
tur illi, et fuit etiam, sicut iam nosti ex praedictis, ut id quod est finitum in effectu, non
habens partes infinitas in effectu, sive sint partes mensurabiles sive intelligibiles ita ut
habeant ordinem, tunc hoc sufficit nobis ne opus sit ostendere an sit possibile esse subiec-
tum huiusmodi ante subiectum usque infinitum, an non sit possibile.
[381] Sed de secunda parte divisionis, manifestum est quod in ca etiam debet esse fini-
tio. In primo enim non est nisi potentia secundi propter oppositionem quae est inter formam
eius et formam secundi, sed et ipsa oppositio servatur in conversione utrarumque rerum, sci-
licet quoniam unaquaeque earum sit subiectum alterius, quia hoc corrumpitur in illam et illa
752 [331]

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in istam, et sic certe nulla earum per essentiam est prior altera, sed est prioritas eius per acci·
dens, scilicet respectu individualitatis, non specialitatis. Sed ob hoc, non est natura aquae
dignior esse principium aeris quam aer aquae, sed sunt quasi vicissitudinaria in esse: illa
enim singularis aqua potest esse prior ilio singolari aere; non nego autem contingere illis
singularibus non esse finem ve! initium, sed non est noster sermo hic quod singularibus eius
sit initium, sed specialitati eius, nec quod per accidens sit initium, sed per essentiam.
Possunt enim hic accidere causae ante causas in infinitum tam in praeterito quam in futuro,
TRATfATO OTTAVO- SEZIONE PRIMA 753

della seconda e la seconda in favore della prima. Ma allora, in realtà, nessuna


delle due è per essenza anteriore all'altra: al contrario, il fatto che l'una sia
anteriore all'altra è per accidente ed è cioè, in considerazione dell'individua-
lità e non della specificità29 • Per questo, la natura dell'acqua non è più degna
di essere principio dell'aria di quanto l'aria non lo sia [d'essere principio]
dell'acqua; anzi, per quanto riguarda l'esistenza, ambedue sono come due
equivalenti 30 . E può essere che quest'acqua individuale sia [da ricondurre] a
quest'aria individuale, senza che ciò impedisca che, per tali individui, accada
che non vi siano né fine né principio31 ; il discorso che noi qui [stiamo facen-
do] non riguarda però ciò che è principio in virtù della propria individualità e
non della propria specificità, né riguarda ciò che è principio per accidente e
non per essenza. Noi, infatti, ammettiamo possibile che in tali casi vi siano32
cause anteriormente alle cause, all'infinito, nel passato e nel futuro, mentre ciò
che dobbiamo portare all'evidenza è soltanto la finitezza che riguarda le cose
che sono cause per sé.
E se dunque, una volta che ci si sia affidati anche a ciò che è stato detto
nella Fisica, questo è ciò che si ha (al-f:tiil) nel secondo33 dei due casi, il primo
caso è invece quel che per sé è causa nel senso del soggetto34 , senza che vi sia
la convertibilità che fa sì che la seconda [cosa possa] divenire causa della
prima. Infatti, poiché la seconda è in uno stato di perfezione, mentre la prima è
in movimento verso il perfezionamento, dopo che sia stato raggiunto il perfe-
zionamento, non è possibile che vi sia un movimento verso di esso; mentre è
possibile che vi sia il perfezionamento dopo il movimento che ad esso condu-
ce: è possibile infatti che l'uomo venga dal fanciullo, ma non è possibile che il
fanciullo venga dall'uomo 35 •

nec est opus nobis ostendere nisi finitionem in rebus quae per essentiam sunt causae, et haec
est dispositio secundi membri divisionis, postquam adiuverimus nos per id quod dictum est
in naturalibus. Primum enim membrum est quod per essentiam suam est causa sui subiecti,
sed non convertitur ut secundum fiat causa primi; quia enim secundum fit causa in perfectio-
ne, sed primum fit causa in motu ad perfectionem, ideo non potest esse motus ad perfectio-
nem post acquisitionem perfectionis, sicut potest esse perfectio post motum ad perfectio-
nem; potest igitur esse vir de puero, et non puer de viro.
754 Jl:ll J~l - ~1:11 ~IJl.l '~""",. [332]

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II
CAPITULUM DE QUAESTION!BUS CONSEQUENTIBUS ID QUOD DICTUM EST ET DE SOLUTIONE EARUM

[382] lam autem innuimus in manifestatione huius nos sequi id quod dictum est de hoc
in doctrina prima, in tractatu descripto per eliph minorem. Sed in hoc loco sunt quaestiones
quas debemus inducere, et deinde accingemus nos ad solvendum eas.
Potest enim quis dicere quod primus doctor non complevit divisionem eius quod est
esse aliquid de alio. Ipse enim hoc dixit duobus modis tantum, uno scilicet, ut aliquid unum
755

SEZIONE SECONDA

SUI DUBBI LEGATI A CIÒ CHE SI È DETTO E SULLA LORO SOLUZIONE

Nel corso di questa esposizione abbiamo preferito seguire quel che è men-
zionato nel "primo insegnamento" 36 , nel trattato denominato "alif minore". A
proposito di questo tema vi sono però ancora alcuni dubbi 37 che dobbiamo
presentare per poi dedicarci alla loro soluzione.
Fra questi, vi è che qualcuno potrebbe dire che "il primo maestro" 38 non
ha diviso in modo esauriente il fatto che una cosa provenga da un'altra, per-
ché ha menzionato la divisione [solo] secondo due punti di vista: il primo è
che una cosa proviene da un'altra che le è contraria ed è, insomma, quel "pro-
venire [da]" che è per trasformazione; il secondo è che la cosa che si è perfe-
zionata proviene da ciò che si muove verso di essa e che è in via di genera-
zione39. [Si potrebbe dire, cioè, che] questa non è una divisione esauriente:
sembra infatti in primo luogo che tutto quel che proviene da una cosa sia
immancabilmente in due modi 40 , e cioè: o il primo, da cui proviene [il secon-
do], esiste come era senza che nulla di esso si sia vanificato o corrotto, ad
eccezione di ciò che è significato dalla preparazione e di ciò che ad essa è
legato 41 ; oppure il secondo può provenire dal primo42 soltanto perché è cessa-
to qualcosa nel primo. Quanto al primo corno dell'alternativa poi, necessaria-
mente43: o la [seconda] cosa proviene dalla [prima], che era semplicemente
preparata, così da passare all'atto d'un colpo, senza un processo [graduale];
oppure questa è solo preparata, così che [la seconda] passa all'atto in virtù di
un movimento continuo, nel corso del quale essa sì trova tra la pura prepara-
zione e il puro perfezionamento.

sit de alio si bi contrario et omnino quicquid de ali o est secundum viam conversionis; alio, ut
id quod perficitur sit de eo ad quod movetur ipsum et quicquid est in via fiendi aliquid. Sed
hoc non est integra divisio. Omne enim quod est de aliquo primum est tribus modis. Necesse
est enim ut aut primum de quo fit aliud maneat secundum essentiam suam, ita ut nihil eius
destruatur ve! corrumpatur nisi intenti o aptitudinis et quod pendeat ex [383] ea, aut< ... > ut
aliquid sit de alio quod erat aptum tantum et subito exivit ad effectum, non paulatim, aut ut
sit aptum tantum et exeat ad effectum motu continuo, in quo est inter aptitudinem puram et
perfectionem puram. Igitur id quod fit de alio secundum praedictam divisionem, aliquando
756 [333]

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dicitur esse unius dispositionis, sicut cum dicitur quod de ignorante hoc ve! hoc fit sciens, et
aliquando est dispositionis euntis paulatim, sicut cum dicitur quod de puero fit vir, et ali-
quando est dispositionis aptae tantum, sicut cum dicitur quod de spermate fit vir: nomen
enim pueri notat aptitudinem ad perficiendum virum paulatim; (lornen vero spermatis, apti-
tudinem ad essendum hominem non condicione procedendi paullltim. Igitur magister primus
de partibus divisionis unam praetermisit, eam scilicet quae est perfectio et esse de aliquo
non comparatione motionis ad perfectionem.
Tum quia omnis exitus ab aptitudine pura ad effectum non est perfectio. Anima enim
sentit quandoque falsum et exit ad effectum in eo de potentia. nec fit hoc secundum viam
perfectionìs, nec etiam secundum viam conversionis.
Tum quia ex elementis generantur generata et convertuntur iJI commixtione, non corrup-
ta in suis formis essentialibus. sicut iam nosti; [384] unde in eo quod fit, non fit complexio
per remotionem contrarii complexionis, sed per privationem complexionis.
TRATI ATO OTI AVO - SEZIONE SECONDA 757

[333] Nel primo caso, quindi, a quel che proviene si attribuisce il fatto 44 di
essere in uno stesso stato, come quando diciamo che da colui che ignorava m1a
certa cosa proviene uno che [la] sa45 ; nel secondo caso, invece, a quel che pro-
viene si attribuisce a volte il fatto di provenire procedendo [gradualmente] da
un [certo] stato, come quando diciamo che dal fanciullo proviene un uomo, e a
volte [il fatto di procedere] da un certo stato, essendo soltanto preparato, con1e
quando diciamo che dallo sperma proviene un uomo46 . Infatti, il nome del fan-
ciullo appartiene a quel che è preparato a perfezionarsi come uomo e con tlll
processo [graduale], mentre il nome dello sperma appartiene a quel che è pre-
parato a divenire un essere umano, non a condizione che [ciò] accada con tlll
processo [graduale ]47 .
In tal senso, il Primo Maestro avrebbe tralasciato di [trattare] quel che è tm
perfezionan1ento ma il cui provenire non va messo in rapporto con il movimento
verso la perfezione48 • Inoltre, non ogni passaggio da una pura preparazione a tm
atto costituisce un perfezionamento. L'anima [talvolta] si convince, infatti, di
un'opinione erronea e dunque a proposito di tale [opinione] passa dalla potent:a
alt' atto, ma s.euz.a che ciò s.ia per \)erfez.iouameuto, e ue\)\)Ure 9er trasformazione,
E ancora: dagli elementi si generano gli enti 49 ; [gli elementi], dunque, si tra-
sformano al momento di mescolarsi 50 , senza corrompersi nelle loro forme essen-
ziali, come sai. La complessione, infatti, non è dovuta in essi al fatto che sia ces-
sata la complessione contraria, ma soltanto alla mancanza di essa51 • Questo caso
allora non appartiene né a quello che [Aristotele] 52 illustra con l'esempio della
generazione dell'aria dall'acqua: quando danno luogo a una complessione, infat-
ti, gli elementi non si corrompono nelle loro specie, ma si trasformano; né alla
divisione che egli ha esemplificato con la generazione dell'uomo dal fanciullo,
perché [in tal caso] non si ha conversione reciproca: il fanciullo, infatti, non si
genera per via della corruzione dell'uomo, mentre qui si ha conversione recipro-
ca, perché da quel che è in commmistione proviene una cosa e da questa, dopo
che si sia corrotta la complessione, si ha una nuova commistione53 •
Inoltre, [il Primo Maestro] parla non del soggetto in quanto tale, ma solo
[del soggetto] in quanto questo viene indicato dall'espressione "provenire da
una cosa". È noto, però, che questo non si dice di ogni rapporto che ciò che si
genera ha con il proprio soggetto. Infatti, [334] di quel che non ha nome in

Haec igitur pars divisionis non est de divisione quam exemplificavit per generationem
aeris ex aqua: elementa enim non corrumpuntur in suis speciebus in complexione, sed con-
vertuntur. Nec est de divisione quam exemplificavit per esse virum de puero: hoc enim non
convertitur, quia puer non est propter destructionem viri. Sed illud convertitur. Igitur ex vis
quae commiscentur est quiddam quod commiscetur post destructionem complexionis.
Et quia, cum ipse loquitur hoc, non Joquitur de subiecto inquantum est subiectum, nisi
inquantum significat de hoc verbum essendi aliquid de aliquo. Notum est enim quod hoc
non dicitur de omni comparatione generati ad suum subiectum. Si enim fuerit de aptatis ex
758 [334]

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quibus fit aliquid secundum perfectionem et non habet nomen secundum modum quo est
aptatum, et non sequitur illud permutatio dispositionis suae quae est ei ante exitum ad effec-
tum, tunc non dicetur aliquid esse de eo. Non enim dicitur de homine esse vir, sed de puero:
puer enim nomen est rei ex hoc quod est imperfectus nec perfkitur nisi conversionibus et
etiam secundum viam procedendi paulatim, et est impositum ei ad hoc ut intentio quam
significat nomen de ilio removeatur in exitu eius ad effectum. Nisi enim aestimetur in eo
[385] remotio alicuius rei quae erat ei propter quam merebatur nomen, non dicetur aliquid
esse de eo. Accidit igitur ex hoc ut, cum comparatio fuerit generati ad subiectum in eo quod
non habet nomen, non sit intra hanc divisionem, et accidit etiam ex hoc ut comparatio ad
subiectum sit per accidens non per essentiam. Puer enim, inqvantum est puer, non potest
esse vir ita ut sit ille puer et vir, sed destruitur id quod intelligitur per nomen pueri ad hoc ut
TRATIATO OTIAVO- SEZIONE SECONDA 759

quanto è preparato né è accompagnato dal mutamento dello stato che gli


apparteneva prima di passare all'atto non si dice che la cosa ne "proviene", [e
ciò anche se esso] è fra quegli [enti] preparati e dai quali la cosa proviene per
perfezionamento: non è dali' essere umano che si dice provenire un uomo, ma
dal fanciullo 54 . "Fanciullo" è infatti un nome che [al fanciullo] appartiene in
quanto egli manca [di qualcosa] e non si completa se non per via di trasforma-
zioni che sono anche secondo un procedimento [graduale]. È, infatti, come se,
quando gli è stato dato un nome, egli avesse avuto una natura che il nome
indicava55 ma che in lui cessa al momento di passare all'atto: è come se non si
dicesse che ne proviene qualcosa, finché non si immagina che in lui sia cessa-
to un certo qualcosa a causa del quale egli aveva diritto al proprio nome. Ne
segue, dunque, che ciò in cui non si nomina il rapporto che quel che proviene
ha con il proprio soggetto non rientra in questa divisione e ne segue, inoltre,
che il rapporto con il soggetto è quello che è p,er accidente e non quello che è
per sé. Non è possibile, infatti, che il fanciullo in quanto fanciullo diventi un
uomo, di modo che egli stesso sia fanciullo e uomo: al contrario, quella natura
che è ciò che si comprende con il nome di "fanciullo" si corrompe in modo
che egli diventi un uomo e in tal modo il fatto che infine [l'uomo] provenga
dal fanciullo è nel senso del "dopo".
E ancora, [il Primo Maestro] parla soltanto dei soggetti che sono per acci-
dente; ancora [in questo caso si è di fronte] a due possibilità: o l'acqua, quan-
do ne proviene l'aria, è sotto un certo aspetto una "materia"56 [per l'aria], o
non lo è.
Se non lo è, preoccuparsi di menzionarla è vano. Se lo è, se l'aria si tra-
sforma riguardo alla sua qualità attiva in "acqueità", così da divenire una
"materia" per [l'acqua], è anche possibile che si trasformi riguardo a un'altra
qualità57 , così da divenire "materia" per qualcos' altro: per esempio, [potrebbe
trasformarsi] nella sua umidità e divenire "materia" per il fuoco, senza tornare
acqua; poi, allo stesso modo, il fuoco [potrebbe trasformarsi] riguardo a
un'altra qualità, non opposta a quella riguardo alla quale si sarebbe trasforma-
ta l'aria, e le cause materiali procederebbero all'infinito, senza tornare [al
punto di partenza]. Quindi [335] ponendo [simili cause] non si porterebbe

sit vir. Igitur esse de puero ad ultimum est intentio de post, item quia non loquìtur nisì de
subiectìs quae sunt per accidens.
Item quia necesse est ut aqua ex qua fit aer, ve! sit elementum ei aliquo modo, vel non
sìt. Si autem non fuerit, tunc nihil valet tractare de eo; sed si fuerit, tamen non oportet ut,
cum aer convertitur a sua qualitate activa in aqueitatem, fiat elementum ei, scilicet quoniam
ipse non convertitur a sua alia qualitate ad hoc ut fiat elementum alterius rei, verbi gratia, a
sua humiditate, ut fiat elementum ignis sine conversione sui in aquam; deinde similiter igois
est in alia qualitate non opposìta ei in quam convertitur aer. Igitur causae materiales [non]
ibunt in infinitum sine reversione. Ex posi tione enim eius non patuit ea debere revertì om!1i-
760 [335]

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no, sed possibile esse ea reverti, ex quo innuitur possibilitas finitionis; non est autem haec
inquisitio eius; immo eius inquisitio est esse finitionem.
Ostendamus igitur solutionem istarum quaestionum dicentes con-[386]venientius esse ut
verbum magistri primi non sit nisi de principiis substantiae, inquantum est substantia, non
inquantum est substantia cui accidit quod non constituit eius substantiam nec perficit eam.
Unde verbum eius fuit de esse substantiam de suo elemento vel de subiecto illi, vel de esse
secundum viam speciei substantiae absolute, ve! secundum viant essendi perfectionem spe-
ciei substantiae.
Et convenientius est etiam ut verbum eius sit de esse naturali, non artificiali. Quod cum
ita sit, tunc elementum est pars essentialis in esse generati, et etiam in esse eius quod gene-
ratur ex eo. Non intelligo autem per essentiale ut si t necessariunt ad esse compositi ex se et
ex alia, quia hoc etiarn inest elemento in generationibus non essentialibus, sicut elemento ad
esse corpus album, sed intelligo per essentiale, hoc scilicet ut elementum esse partem si t ali-
quid essentiale ei, et tunc non constituetur illud elementum in effectu nisi fuerit pars ili i, ve!
TRATTATO OTTAVO- SEZIONE SECONDA 761

all'evidenza che deve necessariamente esserci ritorno, ma che il ritorno è pos-


sibile e ne dipenderebbe perciò la possibilità della finitezza. Ma non è questo
quel che va ricercato dal [filosofo]: quel che si deve ricercare è la necessità
della finitezza.
Passiamo ora a risolvere questi dubbi e diciamo che ciò che più conviene
[dire] è che il discorso del Primo Maestro verte soltanto sui principi della
sostanza in quanto tale e non in quanto sostanza cui accada qualcosa che non
costituisce la sua sostanzialità né la perfeziona; ciò che egli dice riguardo al
generarsi della sostanza dalla propria "materia" o da un soggetto che le è pro-
prio è quindi o nel senso della generazione della specie della sostanza, in asso-
luto, o58 nel senso della generazione della perfezione della specie della sostanza.
Inoltre, ciò che più conviene è che il suo discorso riguardi la generazione
naturale, e non quella artificiale. Se è così, la "materia" è una parte essenziale
nell'essere di ciò che si genera e anche nell'essere di ciò a partire da cui si ha la
generazione59 . Non intendo con "essenziale" che sia obbligatorio all'essere di
quel che è composto [dalla materia] e da qualcosa di diverso [dalla materia],
perché ciò è vero per la "materia" anche nel caso degli enti non essenziali,
come la "materia" è nel corpo bianco. Con [parte] "essenziale"60 intendo, inve-
ce, che il fatto di essere una parte costituisca qualcosa di essenziale per la
"materia" stessa: tale "materia" non sussisterà in atto se non essendo parte di
quella cosa o di ciò che ne è la perfezione naturale 61 ; essa, infatti, sarà parte di
una sostanza, o di un'altra, il cui statuto sia lo stesso statuto di questa. Non è
che la "materia" sussista senza una [tale sostanza] e che in seguito le accada di
essere parte di un composto di [materia] e di un accidente che le inerirebbe
senza essere né qualcosa che la faccia sussistere né qualcosa che perfezioni ciò
che la farebbe sussistere; in tal modo essere una parte sarebbe essenziale per [la
materia] in relazione al composto, ma non in relazione alla stessa [materia]: e
invece è necessario che essa non si spogli [mai] del fatto di essere una parté2.
Se è così, quindi, il soggetto non sfugge a una di queste due condizioni:
o è fatto sussistere da questa data cosa [di cui è soggetto] o da altro che ne
prenda il posto; in tal caso, prima di ottenere la forma avventizia, in esso vi
sarà stata un'altra forma (say') che ne aveva il posto e che lo faceva sussistere,

fuerit id quod est rei sua perfectio naturalis, eo quod illud iam potest esse pars substantiae
<... > illius vero iudicium est sicut iudicìum huius, nisi fuerit elementum quod constituitur
absque ilio, et deinde accidat ei fieri partem compositi ab ipso et accidente quod est in eo,
quod non est constituens ipsum nec perficiens id quod constituit Igitur ipsum esse partern
est essentiale respectu compositi et non essentiale respectu sui ipsius, sed oportet ut non
auferamus ei suum esse partem.
Cum autem fuerit sic, tunc subiectum non erit Jiberum ab uno [387] istorum duorum,
scilicet quia ve! erit constitutum ab hac re, ve! ab alio aequivalenti; erit igitur quod iam fuit
in eo; igitur ante acquisitionem formae habitae, iam erat in eo aliud quod aequivalet ei in
constitutione eius, sed non adiungitur cum hoc. Igitur erit quod iam acquisitio ex materia et
762 Jl:ll J...UII - 4:..\:l\ ~W.\ ,.,., [336]

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illa re erat substantia quae destruitur cum advenit secundum; et hoc est una pars divisionis.
Aut erit quod elementum iam constituitur non per hanc remquae provenit, sed per formam
non perfectam quae est ei per naturam, quam habebat inquaotum constituit materiam tan-
tum, sed nondum acquiritur id quod est causa finalis huic formae per naturam; erit igitur
quod acquiritur substantia, sed non acquiritur perfecta naturaliter. Cum autem illa perfectio
fuerit perfectio eius per naturam, quamvis virtus naturalis si t principium motus ad perfectio-
nem quae est per naturam, sequitur tamen necessario quod aliquod tempus erit in quo hoc
non erit secundum suam integritatem naturalem <non> propter aliquid impediens ipsum
quod est in ipso, cum illud non movetur naturaliter ad illam perfectionem. Sequitur igitur
necessario in hac parte divisionis ut quod est aptum moveatur ad perfectionem. Iam igitur
TRATIATO OTI AVO- SEZIONE SECONDA 763

solo che, non costituendo tale [forma] un insieme con [il soggetto], [336] da
essa (say ') e da quella "materia" si sarà costituita una sostanza, mentre al
momento in cui si ha la seconda, tale sostanza composta si sarà corrotta. E
questo è uno dei due casi 63 . Oppure la "materia" è fatta sussistere non da que-
sta forma (say') che è avvenuta, ma da una forma (~ura) che, pur essendo
imperfetta riguardo a quel che le appartiene per natura, si attua soltanto in
quanto fa sussistere la materia, senza che si attui ciò che per questa forma è
per natura una causa finale; in tal senso, la sostanza si attua senza tuttavia
attuarsi nella sua perfezione naturale64 • Ora, poiché tale perfezione è per [tale
sostanza] una perfezione per natura, e la potenza naturale è il principio del
movimento verso la perfezione che è per natura, ne segue obbligatoriamente
che questa cosa, per un certo tempo, non esisterà nella sua integrità naturale;
durante [questo tempo] essa non avrà alcun ostacolo ma non si muoverà per
natura verso quella perfezione [che le è propria]. In questo caso, ciò che è pre-
parato sarà obbligatoriamente in moto verso la perfezioné5 .
Ed è quindi manifesto che in entrambi i casi, e cioè in tutti i tipi di genera-
zione della sostanza che da questo punto di vista rientrano obbligatoriamente
in uno di questi due casi, e analogamente in tutti i tipi di generazione di una
cosa da un'altra66 , quel ricettore è una parte essenziale, sia in quanto conside-
rato in se stesso, sia in quanto considerato in rapporto al composto67 •
Nessuno poi può obiettare che a causa della mancanza di qualcosa che
dall'esterno aiuti [il mutamento], o a causa di un ostacolo che [lo] impedisca,
la potenza naturale potrebbe non muovere verso la propria perfezione: esem-
pio del primo [caso] è l'assenza della luce del sole per le messi e le semenze,
mentre esempio del secondo sono le malattie consuntive. Il discorso del Primo
Maestro infatti - e qui sta la risposta a questa [obiezione] - non riguarda ciò
che si muove senz'altro in atto, ma invece ciò che, se non vi è ostacolo alla
propria natura, e se sono esistenti le cause naturali che per natura lo assistono,
si muove alla perfezione, e cioè con un processo [graduale] 68 .

manifestum est quod omnes modi essendi substantiam secundum hanc considerationem con-
tinentur sub aliqua istarum duarum partium divisionis necessario. Similiter in omnibus
modis essendi aliquid ex aliquo, illud quod est receptibile in utrisque [388] parti bus erit pars
essentialis secundum respectum sui in se et secundum respectum sui etiam ad compositum.
Potest autem aliquis dicere posse esse ut virtus naturalis non moveat ad suam perfectio-
nem propter defectum alicuius extrinseci ve! propter impediens et prohibens; exemplum
primi est defectus luminis solìs in granis et seminibus; secundi vero exemplum est languores
extenuantes corpora. Sed responsio ad hoc haec est quod verbum primi doctoris de hoc non
est quod omnino moveatur in effectu, sed quod, si non fuerit aliquid impediens naturam et
occasiones naturales fuerint naturaliter adiuvantes eius naturam, moveatur ad perfectionem
et hoc secundum viam procedendi. Iam ergo manifestum est quod ceterae partes divisionis
764 't'Y'V [337]
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non intenduntur in hac inquisitione, sed pars praedicta. Hoc enim iudicium non est certum
de reliquis partibus divisionis. Potest enim hoc esse in non essendo substantias, videlicet
cum posuerimus subiectum quod incipit et non cessat acquirere aptitudinem post aptitudi-
nem ad res accidentales sine fine, sicut lignum quod, cum figuratur aliqua figura, aptatur per
hoc ad aliquid et, cum eius aptitudo exit ad effectum, iterum aptatur ad aliud; similiter et
anima in apprehensione intelligibilium; et videtur quod in conversionibus naturalibus non
prohibeatur haec intentio.
Sed solutio quaestionis de hoc quod res fiunt ex elementis et de hoc quod est secundum
unam duarum partium divisionis, patebit ex his quae praedicta sunt, quoniam elementum per
se solum non est aptum recipere formam vegetationis et animalitatis, sed acquiritur sibi apti-
[389]tudo illa propter qualitatem quae venit in illud ex commixtione, et complexioni contin-
git in eo sine dubio aliqua conversio in aliud sibi naturale, quamvis non constituat illud.
TRATI ATO OTTAVO- SEZIONE SECONDA 765

[337] È quindi manifesto che gli altri casi, eccetto quello che si è ricordato,
non rientrano in ciò che si intende seguire in questa indagine; anzi, questo sta-
tuto [di finitezza] non è valido in tutti gli altri casi69 . Infatti, per ciò che riguar-
da quel che è diverso dalla generazione della sostanza70 , se supponiamo un
sostrato che funga da principio, è possibile che questo non cessi di acquisire
una preparazione dopo l'altra, all'infinito, in vista di determinazioni acciden-
tali. È come il legno: infatti, tutte le volte che gli dai una figura, [il legno] è
preparato a divenire una data cosa, e una volta che la sua preparazione passi
all'atto, si prepara per un'altra cosa ancora71 . Analogamente fa l'anima riguar-
do alla percezione degli intelligibili e questo stesso modo sembra che non sia
impossibile neppure nelle trasformazioni naturali 72 .
Anche la soluzione dell'aporia menzionata a proposito della generazione
delle cose dagli elementi - e cioè che essa non sarebbe secondo nessuna delle
due divisioni [ricordate]- diviene chiara in base a ciò che si è detto: la "mate-
ria"73 da sola non è, infatti, preparata a ricevere le forme animali e vegetali; la
preparazione a riceverle le giunge piuttosto con quella modalità che vi si pro-
duce con la complessione, la quale vi produce senz'altro una qualche trasfor-
mazione che riguarda qualcosa che, pur non essendo un costituente [della
materia], ne è un qualcosa di naturale. In tal senso, il rapporto [della "mate-
ria") con la forma della complessione rientra nel caso della trasformazione.
Infatti, quando in essa si attua la complessione, ricevere la forma animale che
le è propria è un perfezionamento di tale complessione e per ciò la natura è
mossa verso di essa. Così, il suo rapporto con la forma animale è come il rap-
porto del fanciullo con l'uomo; e per questo la forma animale non si corrompe
fino a divenire una pura complessione, proprio come il fanciullo non viene
dall'uomo. La complessione si corrompe, invece, in quel che rende necessaria
la forma semplice, come l'acqua si trasforma nell'aria; l'animale non è 74 una
"materia" per la sostanza degli elementi 75 e si trasforma invece in essi in quan-
to essi sono semplici. E perciò commistione e semplicità si succedono nel sog-
getto: la semplicità non costituisce la sostanza degli elementi, ma perfeziona la
natura di ciascuno di essi in quanto [ciascuno di essi] è semplice76 e così il
fuoco è fuoco puro per la qualità che è in esso e che consegue necessariamente

lgitur comparatio eius ad formam complexionis est de illa parte divisionis quae est de con-
versione; quae, cum acquisita fuerit in complexione, tunc receptio formae animationis ab
ilio fiet perfectio illius acquisiti in complexione, et propter eam natura movebitur ad illam.
lgitur comparatio eius ad formam animationis est sicut comparatio pueri ad virum. Et prop-
ter hoc non corrumpetur forma animationis ad hoc ut fiat complexio tantum, sicut puer non
est de viro, sed corrumpitur complexio ad hoc ut fiat forma simplex, quemadmodum aqua
convertitur in aerem. Animai enim non est elementum substantiae elementorum, sed conver-
titur in illa, eo quod illa sunt simplicia; igitur complexatio et simplicitas vicissitudinantur in
subiecto. Simplicitas vero non constituit substantiam elementorum, sed perficit naturam
cuiusque eorum inquantum est simplex; et ob hoc ignis est purus ignis propter qualitatem
766 Jl~l J.,.z.All - ~~~~ -~W.I [338]

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quae est in eo, comitans suam formam, et similiter unumquodque elementorum. Generatio
igitur animalis pendet ex duabus generationibus uniuscuiusque quarum est iudicium pro-
prium debito finitionis, et ideo continetur in unaquaque partium divisionis praedictarum.
Sed contra quaestionem quae accidit de hoc quod ipse non accepit [390] de elementis nisi
secundum quod usus erat dicere aliquid esse de aliquo, non secundum acceptionem quae non
erat in usu, responsio est haec scilicet quod iudicium rerum non variatur propter nomina, sed
nos debemus attendere sensum eorum; igitur intelligamus et sciamus intentionem eorum.
Dico igitur de intentione elementi quod subiectum ex quo est res, cum fuerit prius tempo-
re, secundum hoc quod est prius, habet proprietatem quae non est ei cum iam acquisitum fue-
rit illud, et haec est aptitudo omnimoda, nec generatur substantia ex eo nisi propter aptitudi-
nem suam ad recipiendum formam eius; cum vero removetur aptitùdo propter exitum ad
effectum, est substantia, et in hoc <non> potest dici quod si t generata ex eo. Sed si non fuerit
ei nomen ex modo aptitudinis, sed suum nomen fuerit sumptum ex seipso secundum quod erat
quando non concedebatur ex eo generati aliquid, tunc illud nomen non erit ei nomen ex quo
pendeat intentio generationis. Cum autem non fuerit ei nomen secundum aptitudinem, tunc
TRATIATO OTIAVO- SEZIONE SECONDA 767

alla sua forma, e così l'acqua e, analogamente, ciascuno degli elementi. La


generazione dell'animale, quindi, è vincolata a due generazioni e ciascuna
delle due ha uno statuto che la caratterizza propriamente nella necessità della
finitezza; e così anch'essa rientra nelle due divisioni menzionate.
[338] Quanto poi all'obiezione che si presenta a proposito del fatto che [il
Primo Maestro], delle "materie", prenderebbe in considerazione solo quelle di
cui si dice abitualmente che la cosa ne proviene, e non quelle di cui questo non
[si dice] abitualmente 77 , ecco che a tale obiezione si deve rispondere che gli
statuti delle cose non cambiano a seconda dei nomi: si deve, invece, guardare
al significato. Guardiamo dunque [al significato] e [cerchiamo] di conoscere78
come stiano le cose. Diremo allora che, quando la "materia" - o il "soggetto"
da cui la cosa proviene - precede nel tempo, proprio perché è precedente, essa
ha una proprietà che non ha, invece, una volta attuatasi, e cioè la preparazione
potente: la sostanza si genera [dal soggetto] soltanto in ragione della prepara-
zione di questo a riceverne la forma; quando, invece, per via del passare
all'atto, la preparazione cessa, la sostanza esiste ed è impossibile dire che se
ne generi qualcosa. Ora, se [il soggetto] non ha un nome [che gli venga] dalla
preparazione, ma al contrario gli si è dato il nome che appartiene alla sua
essenza e che gli appartiene anche allorché non può generarsene nulla, questo
non sarà il nome al cui significato (al-ma 'na) è legata la generazione. Ecco
dunque che, se [il soggetto] non ha un nome [che gli venga] dalla preparazio-
ne, non è possibile che [questa] sia indicata verbalmente, anche se ciò che ne è
significato si dà nell'esistenza. E quando 79 il significato che spetta a ciò che
prende nome [dalla preparazione] si dà [anche] in qualcosa di diverso da ciò
che ne prende il nome, lo statuto di questo per ciò che riguarda il significato è
lo [stesso statuto] dell'altro, [ossia di ciò che ne prende il nome], anche se
l'assenza di [uno stesso] nome impedisce che il [loro] statuto sia lo stesso
riguardo all'espressione verbale. Se prendessimo in considerazione la parola
che spetta a tale nome, se esso fosse posto, allora di ogni cosa potremmo dire
che proviene dalla "materia" che le è propria80 : potremmo dire, per esempio,
che l'anima che ha scienza81 proviene da un'anima ignorante preparata a [rice-
vere] la scienza. Tuttavia, noi non possiamo utilizzare l'espressione "provie-
ne" al di fuori della generazione che riguarda la sostanza e così, non è possibi-
le dire a proposito dell'anima che possiede la scienza82 che essa "proviene" da

non poterit verbo exprimi, quamvis intentio eius acquisita sìt in esse. Si autem intentio quae
est nominato fuerit acquisita non nominato, tunc suum iudicium in intentione erit iudicium
illius, quamvis penuria nominis prohibeat iudicium de eo et de nomine esse unum iudìcium.
Si igitur acceperimus [391] descriptionem pro ilio nomine, si esset positum, tunc poterimus
loqui de omni re quae generatur de eo quod est ei materia. Verbi gratia, possumus enim
dicere quod anima sciens fit de anima inscia, apta tamen ad scientiam, nisi prohibeat quod
verbum accipitur in eo quod est praeter intentionem generationis quae est in substantia.
Unde non possumus concedere dici quod anima sciens generetur de anima apta ad scien-
768 [339]

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tiam, sed hoc sine dubio conceditur in substantiis. Nam iudiciutn nostrae locutionis de illis
non variatur in ipsis substantiis nec in substantiis cum suis dispositionibus.
Quod autem dicit ille homo quod aliquid generari ex aliqu<) est secundum intentionem
de post, quamvis sit qualicumque modo intentio de post, non tamen erit praeter generari
quod nos intelligimus. In omni enim generatione alicuius de aliquo, necesse est generatum
esse post illud ex quo generatur. Non autem ob aliud praetermisit et refugit loqui de post
magister primus, nisi ut non putaretur esse ibi intentio tantum posterioritatis, sicut in exem-
plo quod induxit et exposuit. Cum enim fit aliquid de aliquo ex hac intentione quod est post
illud, sic ut remaneat ei aliquid de sua substantia quae erat ei prius et est etiam in substantia
secundi: tunc non erit tantum ex intentione de post, sed erit id de quo erat noster sermo.
Ei autem qui dicit magistrum primum dixisse de elemento quod est [392] per accidens,
non de elemento quod est pet essentiam, iam accidit deceptio ob hoc quod esse elementum
generationi non est id quod esse elementum existentiae uno respectu, quamvis idem sit per
essentiam. Elementum enim per essentiam generationi est essentia coniuncta potentiae; et
TRATIATO OTI AVO- SEZIONE SECONDA 769

un'anima "preparata alla scienza", mentre è senz'altro legittimo dirlo delle


sostanze, ed è di esse che noi parliamo. Comunque, per quanto io ritengo, lo
statuto - nelle sostanze considerate in se stesse83 e in quelle considerate con i
loro vari stati - non varia.
[339] Quanto a ciò che potrebbe dire qualcun'altro, e cioè che questa è la
generazione dalla cosa nel senso del "dopo", non è che essendo nel senso del
"dopo" non si tratti - comunque sia - della generazione di cui intendiamo
occuparci: infatti, in ogni generazione da una cosa, ciò che "proviene" sarà
immancabilmente "dopo" ciò da cui proviene. Quello che il Primo Maestro
rigetta [come falso] e di cui non si occupa è solo che in ciò non risieda altro
significato che quello della posteriorità, come [chiarisce] l'esempio da lui por-
tato e di cui ha dato spiegazione 84 : se da una cosa ne "proviene" un'altra, nel
senso che è dopo di essa e che, della sostanza che essa era primariamente, è
rimasto qualcosa che fa parte anche della seconda sostanza, ciò non è soltanto
nel senso del "dopo", ed è questo ciò di cui tratta il nostro discorso.
Ora, nelle parole di chi dice che [Aristotele] tratta di quel che è "materia"
per accidente e non della "materia" che è per essenza, si trova un sofisma85 ,
perché in tale considerazione la "materia" della generazione non è identica alla
"materia" della sussistenza, anche se nell'essenza si tratta della stessa cosa. Ciò
che è per essenza "materia" della generazione è, infatti, un'entità (diit) che si
accompagna alla potenza, mentre ciò che è per essenza "materia" della sussi-
stenza è un'entità che si accompagna all'atto e ognuno dei due è "materia" per
accidente di ciò di cui non è "materia" per essenza. Ora, la trattazione del
[Primo Maestro] riguarda la "materia" della generazione, non la "materia" della
sussistenza; egli, quindi, prenderebbe [in considerazione] la "materia" per acci-
dente soltanto se assumesse quale principio della sussistenza quel che è "mate-
ria" nella generazione; il fanciullo, infatti, non è "materia" nella sussistenza
deJJ'uomo né questa ne dipende; esso però è una "materia" nelJa generazione
dell'uomo e a partire da esso si ha la generazione dell'uomo.
E se poi qualcuno, dicendo che il Primo Maestro tratta soltanto dei principi
della sostanza in assoluto, [chiedesse] perché, dunque, egli non abbia conside-
rato la "materia" della sussistenza della sostanza - come il soggetto del cielo -
e si sia limitato alla "materia" della generazione della sostanza, a ciò si deve

elementum per essentiam existentiae est essentia coniuncta effectui; et unumquodque isto-
rum est elementum per accidens ei cui <non> est elementum per essentiam. Sed verbum
eius est de elemento quod est generationi, non quod est existentiae; igitur non accepit ele-
mentum nisi secundum quod est per accidens uni elementorum quod est generationi initium
existentiae, quoniam puer non est elementum existentiae viri nec fit de eo existentia viri, sed
est elementum ad fiendum virum et de eo fit vir.
Si quis autem dixerit quod, cum primus magister non fuit locutus nisi de principiis sub-
stantiae absolute, tunc quare praetermisit elementum quod est substantiae in existentia eius,
sicut subiectum caeli, et adhaesit tantum elemento quod est substantiae secundum quod
770 .!,.1\:l\ J..o.1l! - ~\:l\ ':11\.tl.\ [340]

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generatur, respondebimus ad hoc quod elementum existentiae caeli est pars eius quae est
cum eo in effectu; nec dubitamus finita esse in effectu ea quae sunt in eo quod est finitum
existens in effectu. Sed ei qui iam ad hoc pervenit ut novetit hanc scientiam et cognoverit
cetera quae praedicta sunt, non dubitabit an causae sint finitae ve! infinitae, sed dubitabit an
similiter sit in elementis quae sunt in potentia unum post alit1d, et sunt diversa propinquitate
ve! elongatione.
TRATIATO OTTAVO - SEZIONE SECONDA 771

rispondere che la "materia" della sussistenza è una parte [della sostanza] ed è


in atto insieme ad essa e che la finitezza delle cose esistenti in atto in una cosa
finita, esistente in atto, non fa alcuna difficoltà. Colui che è arrivato fino al
punto di apprendere questa scienza [340] e ha presente tutto ciò che precede
ba difficoltà soltanto86 a proposito della finitezza e della non finitezza delle
cause: è possibile cioè che tale [finitezza] vi sia nelle "materie" che sono in
potenza una dopo l'altra, differendo per prossimità e distanza?
Quanto all'altro dubbio 87 che riguarda il prodursi dell'acqua e dell'aria,
risolverlo 88 è facile a chi conosca la nostra trattazione degli elementi89 , in cui
abbiamo parlato90 della generazione e della corruzione91 ; solo che il discorso
che facciamo qui riguarda la generazione di una cosa da un'altra cosa per
essenza, e ogni mutamento di ciò che è per essenza riguarda una sola contra-
rietà e si limita ad essa; così ciò che ne proviene per essenza si corrompe
obbligatoriamente in essa, e analogamente accade per l'altro [contrario]: ecco
allora che l'insieme dei mutamenti è conchiuso e ogni loro ordine è limitato a
due estremi in modo che l'uno tomi all'altro. E così si sono risolte tutte le apo-
rie menzionate.

[393] Sed contra quaestionem ultimam de hoc quod dicitur de aqua et aere respondere
facilius erit ei qui cognovit ea quae diximus de elementis in libro de generatione et corrup-
tione, quamvis sermo noster hic est de generatione rei ex re per essentiam, et omnis alteratio
quae est per essentiam est secundum unam contrarietatem tantum; igitur id quod est de ali-
quo per essentiam corrumpitur in illud necessario; et illud aliud similiter. Universitas igitur
alterationum comprehensa est, quarum omnis ordo deditus est duobus extremis ab uno quo-
rum fit reversio in alterum. lgitur iam solutae sunt omnes praedictae quaestiones.
772 [340,9-17]

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III
CAPITULUM DE OSTENDENDO FINITAS ESSE CAUSAS FINALES ET FORMALES
ET DE STASILIENDO PRIMUM PRINCIPIUM ASSOLUTE
ET DE CAUSIS PRIMIS ASSOLUTE ET DE CAUSA PRIMA PROPRIE
ET DE OSTENDENDO QUID SIT CAUSA PRIMA ASSOLUTE QUAE EST CAUSA OMNIUM CAUSARUM

Quod finitae sint causae finales, iam patuit ti bi ex eo loco in quo ostendimus eas esse et
solvimus quaestiones factas de illis. Causa enim [394] finalis, cum stabilitur suum esse, sta-
bilitur et ipsam finitam esse. Causa enim perfectiva est propter quam ceterae res sunt, et ipsa
non est propter aliquid aliud. Si enim post unam causam perfectivam esset alia causa perfec-
tiva, tunc prima esset propter secundam, et ita prima non esset causa perfectiva; posita
autem fuerat causa perfectiva. Cum igitur fuerit sic, tunc qui concedit causas perfectivas
773

SEZIONE TERZA

IN CUI SI MOSTRA IN MODO EVIDENTE LA FINITEZZA DELLE CAUSE FINALI E


FORMALI E SI STABILISCE [L'ESISTENZA] DEL PRINCIPIO PRIMO IN ASSOLUTO.
AFFERMAZIONE DECISIVA INTORNO ALLA CAUSA CHE È PRIMA IN SENSO ASSOLUTO
E INTORNO ALLA CAUSA CHE È PRIMA IN SENSO CONDIZIONAT092 ;
SI DÀ PROVA EVIDENTE CHE QUEL CHE È CAUSA PRIMA ASSOLUTA
È CAUSA DI TUTTE LE ALTRE CAUSE

Che le cause finali siano finite è per te ormai manifesto a partire dal pas-
saggio in cui abbiamo cercato di stabilirne l'esistenza, risolvendo i dubbi che
si sollevavano al riguardo 93 • Una volta che si sia stabilita l'esistenza della
causa finale, se ne è infatti stabilita anche la finitezza: ciò perché la causa per-
fettiva94 è quella in vista della quale sono tutte le cose, mentre essa non è in
vista di nient'altro. Se, infatti, al di là della causa perfettiva vi fosse un'altra
causa perfettiva, la prima sarebbe in vista della seconda e non sarebbe perciò
una causa perfettiva, [341] mentre si era supposto che lo fosse. Ed ecco, dun-
774 [341]

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sequi se unam post aliam, iam negat eas esse causas perfectivas, et destruit naturam bonitatis
quae est causa perfectiva, eo quod bonitas est quae propter seipsam quaeritur et propter
quam ceterae causae quaeruntur; cum autem fuerit res quae quaeritur propter aliam, tunc illa
erit utile, non bonum verum. Unde manifestum est quod, ex hoc quod causae perfectivae
debent esse non finitae, removetur esse causas perfectivas. Qui enim concedit quod post
unamquamque perfectionem est perfectio, hic iam destruit actionem intellectus. Per se enim
notum est quod discretus quisque non facit id quod facit per intellectum, nisi quia intendi!
aliquem finem, adeo quod, si aliquis ex nobis egerit aliquid in quo non habet aliquem finem
propositum, dicetur stultus et dicetur agere non secundum quod est habens intellectum, sed
quasi sit brutum animai. Postquam autem hoc ita est, necesse est tunc ut ea quae facit discre-
tus, secundum quod est discretus, sint terminata acquirentia sibi per seipsa fines propositos.
Quod autem actio intelligibilis non est nisi terminata per finem, hoc non est actioni intelligi-
bili ex modo quo est actio intelligibilis, sed ex modo quo est actio in qua agens intendit
TRATIATO OTIAVO- SEZIONE TERZA 775

que, che se è così, chi ritiene possibile che le cause perfettive si ripetano una
dopo l'altra, le ha già in se stesse rimosse, vanificando la natura del bene che è
[appunto] la causa perfettiva: il bene, infatti, è ciò che è ricercato per sé, men-
tre tutte le altre cose si ricercano in vista di esso e se una cosa si ricerca a
causa di un'altra, è perché è qualcosa di utile, non un bene reale 95 . È chiaro,
perciò, che nell'affermare la non finitezza delle cause perfettive risiede la loro
stessa rimozione, e che chi ritiene possibile che dietro a ogni perfezione
(tamiim) vi sia un'altra perfezione, vanifica l'azione dell'intelletto. È per sé
evidente, infatti, che l'intelligente agisce come agisce con l'intelligenza, sol-
tanto perché si accorda a uno scopo96 e a un fine di modo che, quando uno di
noi agisce in un certo modo senza avere un fine intelligente, si dice che fa
sciocchezze, che agisce sconsideratamente e che agisce non in quanto è dotato
di intelligenza ma, invece, in quanto è un animale. E se è così, è inoltre neces-
sario che le cose che fa un [essere] intelligente in quanto tale siano determina-
te97 e conseguano a fini intenzionati per se stessi: se poi l'agire intelligente
non è altro che [un agire] secondo un fine determinato- la qual cosa non gli
appartiene in quanto tale, ma piuttosto in quanto è un agire in cui colui che
agisce ha un fine cui accordarsi -l'agire è [intelligente] in quanto è dotato di
un fine; e il fatto che sia dotato di un fine rende impossibile che vi sia per ogni
fine, un fine; cosicché è chiaro che non è valida l'asserzione (qawl) di chi dice
che al di là di ogni fine vi è un fine. E quanto alle azioni naturali e animali,
anche da altri passaggi si sa che esse sono dovute a fini.
Quanto poi alla finitezza della causa formale della cosa, essa si evince
facilmente da quel che si è detto nella Logica e da quel che si conosce della
finitezza delle parti esistenti della cosa che è in atto e secondo l'ordinamento
naturale; [essa si evince anche dal fatto che] la foJ:ma completa (al-~iira al-
tiimma) della cosa è una e che per ciò che la riguarda 98 il molteplice si realizza
secondo generalità e particolarità: la generalità e la particolarità esigono
l'ordinamento naturale e la finitezza di ciò che ha un ordinamento naturale è
nota. E per questo argomento la nostra riflessione è sufficiente ed è tale da
dispensarci dal dilungarci a riguardo.

[395] finem; igitur est sic ex hoc quod ipse est intendens finem. Sed hoc quod ipse est inten-
dens finem prohibet unicuique fini esse finem; igitur manifestum est non esse verum dicere
quod post unumquemque finem sit finis. Actiones enim naturales et animales notum est ex
aliis locis esse propter fines.
Causa etiam quae est rei formalis facile sciri potest esse finita ex his quae dieta sunt in
logica, et fortassis scietur ex definitione partium quae sunt rei in effectu secundum ordinem
eius aliquem naturalem, et ex hoc quod forma rei integra una est et quod multitudo cadit in
eam propter communitatem et proprietatem et quod communitas et proprietas continent
ordinem naturalem; quicquid autem habet ordinem naturalem iam scitur esse finitum.
Considerare igitur hoc tantummodo sufficit ne si t opus prolixitate.
776 [342]

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Incipiam ergo et dicam quod, cum dicitur principium primum agens, ve! primum princi-
pium absolute, necesse est esse unum. Cum autem dicitur causa prima materialis et causa
prima formalis et cetera huiusmodi, non est necesse esse unam quemadmodum hoc debet in
necesse esse. Nulla enim earum est causa prima absolute, sed necesse esse est principium
etiam illarum primarum. Ex hoc igitur et ex eo quod praediximus, manifestum est quod
necesse esse unum numero est, et patuit quod, quicquid aliud est ab ilio, cum consideratur per
se, est possibile in suo esse, et ideo est causatum et paene innotuit quod in [396) causalitate
sine dubio pervenitur ad ipsum. Unde quicquid est, excepto uno quod est sibi ipsi unum et
ente quod est sibi ipsi ens, est acquirens esse ab alio a se, per quod est sibi esse, non per se.
Et haec est intentio de hoc quod res est creata, scilicet quod est recipiens esse ab alio a
se et habet privationem quae certificatur ei in sua essentia absolute, non quod certificetur ei
privatio propter suam formam absque sua materia, ve! propter suam materiam absque sua
forma, sed per suam totalitatem. Igitur si sua totalitas non fuerit simul cum debito essendi
datorem esse, tunc, si posueris ipsum remotum ab ea, debebit esse privatio eius cum sua
totalitate; quod est oppositum ad ipsam esse a datore essendi ipsam cum sua totalitate. lgitur
TRATIATO OTIAVO- SEZIONE TERZA 777

[342] Cominciamo, allora, col dire che quando diciamo "un principio primo
agente" anzi, "un principio primo assoluto", è necessario che esso sia uno,
mentre quando diciamo "una causa prima materiale" 99 e "una causa prima for-
male" o altro, non è necessario che essa sia una come lo è ciò che è necessaria-
mente esistente, perché nessuna di queste [cause] sarà una causa prima in senso
assoluto, mentre il necessariamente esistente è uno e appartiene all'ordine del
principio agente; dunque l'Uno, necessariamente esistente, è principio e causa
anche di quelle prime [cause]. A partire da questo [argomento] e da quanto da
noi spiegato in precedenza, è quindi evidente che il Necessariamente Esistente
è numericamente uno e che tutto ciò che è al di fuori di Esso, se è considerata
la sua essenza, è possibile per ciò che riguarda l'esistenza- ed è un causato; ed
è chiaro inoltre che, nel [rapporto che consiste] nell'esser causato 100 , [il possibi-
le] ha senz'altro termine nel [Necessariamente Esistente].
Ad esclusione di quell'uno che per sé è uno e di quell'esistente che per sé è
esistente, ogni cosa acquisisce quindi l'esistenza da qualcosa di diverso da sé:
è (a'ysa) in virtù di ciò [che è diverso da sé] e in sé non è 101 • Questo è il signi-
ficato del fatto che una cosa è instaurata (mubda') e cioè che ottiene l'esisten-
za da altro da sé: la sua essenza ha un'inesistenza che le spetta di diritto, asso-
luta, e questa non le spetta di diritto solo per la sua forma ma non per la sua
materia, oppure per la sua materia ma non per la sua forma: l'inesistenza le
spetta, piuttosto, per la sua totalità 102 . Quindi, se la sua totalità non è accompa-
gnata dalla necessarietà Cfgiib) di ciò che la fa esistere - e che si stima che ne
sia separato- la sua inesistenza è necessaria nella sua totalità 103 . Il fatto che
[la cosa] sia fatta esistere, quindi, è a partire da ciò che la fa esistere nella sua
totalità: in rapporto a quest'idea (ma'nii), non c'è una parte di essa che prece-
da la sua esistenza, né la sua materia, né la sua forma, se [la cosa] è dotata di
materia e di forma.
Il Tutto, dunque, in rapporto alla Causa prima è un instaurato (mubda ') e
l'atto con cui è fatto esistere quel che esiste a partire dalla [Causa prima] non è
certo tale da permettere all'inesistenza di avere potere sulle sostanze delle
cose. Esso è invece un far esistere che, in ciò di cui si predica l'eternità, rende
impossibile l'inesistenza in assoluto: questa è l'instaurazione (ibdii') assoluta
e il far essere (ta'ffs) assoluto e non un certo far essere 104 • E ogni cosa avviene
a partire da quell'Uno e quell'Uno fa avvenire (mu/:ldil) [ogni cosa]. Ora, quel

non erit aliqua pars eius cuius esse praecedat alteram secundum considerationem huius sen-
tentiae, sed quia nec materia eius nec forma eius, si fuerit habens materiam et formam,
totum igitur respectu primae causae creatum est. Sed dare esse ei quod est ab ipso non est
tale dare esse quod omnino prohibeat privationem a substantiis rerum, sed est tale esse quod
prohibet privationem absolute [et est] in eo quod potest sustinere aetemitatem, et haec est
creatio absoluta et esse absolutum, non esse aliquid. Omne enim quod coepit ab ilio uno est,
et illud unum est dans ei inceptionem, eo quod id quod incipit est id quod est post ~on esse.
778 [343,1-6]

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Sed si istud post fuerit temporale, tunc praecedet [397] illud ante, sed removetur hoc ante
cum illud incipit esse; erit igitur res appropriata sic quod eam praecessit ante, et non est
nunc; igitur non proveniet esse aliquid, nisi ante illud fuerit aliquid aliud quod destruatur,
ipso iam essente. Igitur inceptio de non absolute quae est creatio erit cassa, non habens intel-
lectum. Igitur post quod est hic est post quod est per essentiam, quia id quod est rei ex seipsa
prius est eo quod est ei ex alio a se; postquam autem est ei ex alio esse et debitum essendi,
tunc habet ex se privationem et possibilitatem, et fuit eius privatio ante esse eius <et esse
eius> post privationem eius prioritate et posterioritate per essentiam. Igitur omnis res,
excepto primo, est postquam non fuit ens, quantum in se est.
TRATIATO OTIAVO- SEZIONE TERZA 779

che è fatto avvenire (muf:tdal) 105 è ciò che è dopo non essere stato; se però que-
sto "dopo" fosse temporale, il "prima" lo avrebbe preceduto e, in concomitan-
za del suo venire all'essere, sarebbe svanito. Vi sarebbe dunque una data cosa
qualificabile in quanto era "prima" e che ora non è [più]. [343] Così, tuttavia,
il venire ad essere di una cosa potrebbe darsi solo se prima di essa ve ne fosse
stata un'altra che, con la sua esistenza, non esiste [più]; in tal modo, però, il
venire ad essere dal non essere assoluto- che è l'instaurazione (ibdti') -
sarebbe vano e non avrebbe senso. Il "dopo" di cui si tratta qui è quindi piutto-
sto il "dopo" che è per essenza; infatti, quel che appartiene alla cosa sponta-
neamente è prima di ciò che le appartiene a partire da quel che è diverso da
essa. Ed ecco quindi che, se a partire da quel che è diverso da sé, [la cosa] ha
l'esistenza e la necessità, da se stessa essa ha l'inesistenza e il possibile. La
sua inesistenza, allora, è "prima" della sua esistenza - e la sua esistenza è
"dopo" la sua inesistenza 106 - secondo un'anteriorità e una posteriorità per
essenza.
Ogni cosa diversa dal Primo, che è l'uno, esiste quindi dopo che, per ciò
che la riguarda in sé 101, non è stata 108•
780 [343]

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IV
CAPITULUM DE PROPRIETATIBUS PRIMI PRJNCIPII QUOD EST NECESSE ESSE

Iam stabilitum est esse aliquid quod est necesse esse; sed stabilimentum eius fuit per
hoc quod necesse esse unum est; igitur ei quod est necesse esse non communicat aliquid in
suo ordine; igitur nihil est praeter ipsum quod sit necesse esse. Postquam autem nihil [398]
praeter ipsum est necesse esse, tunc ipsum est principium debendi esse omne quod est, quod
facit debere ipsum esse, debito primario ve! mediante alio; sed, postquam esse omnis quod
781

SEZIONE QUARTA

INTORNO Al PRIMI ATTRIBUTI DEL PRINCIPIO NECESSARIAMENTE ESISTENTE

[Che vi sia] qualcosa che è necessariamente esistente è ora per te stabilito,


come è stabilito che il Necessariamente Esistente è uno. Il Necessariamente
Esistente è uno, niente Gli si associa nel Suo rango e niente all'infuori di Esso
è necessariamente esistente. E poiché niente all'infuori di Esso è necessaria-
mente esistente, Esso è principio della necessità dell'esistenza di ogni cosa e
rende necessaria [ogni cosa o] di una necessità primaria oppure per mediazio-
ne; poiché poi l'esistenza di ogni cosa che ne è diversa proviene dalla Sua esi-
stenza, Esso è primo e con "primo" non intendiamo un'intenzione che si
aggiunga alla necessità della sua esistenza, in modo tale che in virtù di questa
la necessità della sua esistenza si moltiplichi: con "primo" intendiamo al con-
trario la considerazione della sua relazione con quel che è diverso da sé.
Sappi però che quando diciamo- anzi, quando portiamo all'evidenza- che
il Necessariamente Esistente non si moltiplica sotto nessun aspetto e che la sua
essenza è di essere puramente uno e puramente reale, con ciò noi non inten-
diamo che di Esso non si neghino anche [alcuni modi di] esistenza e che per
Esso non vi sia [344] una relazione con alcune esistenze; questo, infatti, non

est praeter eum est ab eius esse, tunc ipsum est primum. Non intelligitur autem per primum
intentio quae addatur ad debitum sui esse, ita ut per hoc multiplicetur debitum sui esse, sed
intelligitur per hoc respectus relationis suae ad id quod est extra se. Scias autem quod, cum
nos dixerimus et probaverimus quod necesse esse nullo modo multiplicatur et quod essentia
eius est pure una, purissima vera, non intelligimus per hoc quod ab ipso removeantur omnia
quae sunt et quod non habeat relationes ad ea quae sunt; hoc enim impossibile est; ab omni
782 [344]

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enim quod est, negantur multi et diversi modi essendi, quia quicquid est ad alia quae sunt,
habet aliquem modum relationis et comparationis, et praecipue id a quo fluit omne esse; sed,
per hoc quod dicimus ipsum esse unius essentiae quae non multiplicatur, intelligimus quod
ipsum est sic in sua essentia, et deinde consequuntur ipsum ve! relationes affirmativae ve!
negativae multae, et ipsae sunt comitantes essentiam et sunt causatae essentiae et sunt post
esse essentiae, nec sunt constituentes essentiam nec sunt pars eius.
Si quis autem dixerit quod, si illae fuerint causatae, tunc illis erit etiam alia relatio et
procedet hoc usque in infinitum, nos iniungemus ei ut consideret id quod certificavimus de
huiusmodi in capitulo relationum, ubi voluimus ostendere quod relatio pervenit ad finem, et
ibi solvetur eius quaestio.
TRATIATO OTIAVO- SEZIONE QUARTA 783

sarebbe possibile. Di ogni esistente si negano molti modi diversi dell'esistenza


e ogni esistente ha una specie di relazione e di rapporto con gli esistenti, e spe-
cialmente quello da cui fluisce ogni esistenza. Noi, invece, quando diciamo
che è unico nell'essenza e che non si moltiplica, intendiamo dire che Esso è
tale nella sua essenza; poi, se lo seguono molte relazioni positive e negative,
esse sono conseguenti necessari dell'essenza, sono causati dell'essenza, esisto-
no dopo l'esistenza dell'essenza, non sono costituenti dell'essenza né sono
parti di essa. E se qualcuno dicesse: "se quelle sono causate, allora anch'esse
hanno un'altra relazione, e si va all'infinito", noi gli chiederemmo di riflettere
su quel che abbiamo accertato nella parte (biib) di questo libro (jann) dedicata
al "relativo", dove abbiamo voluto mettere in evidenza che la relazione ha un
termine; in tale [passaggio] sta la soluzione del dubbio di costui 109 •
Torniamo [sull'argomento] e diciamo che il Primo non ha una quiddità che
sia diversa dal suo proprio essere 110 ; sei già venuto a conoscenza, all'inizio di
questa nostra esposizione, di quel che significa "quiddità" e del perché essa si
differenzi dall'essere, laddove se ne differenzia'"· Ora, non è possibile- dire-
mo - che il necessariamente esistente abbia una quiddità cui consegua la
necessità dell'esistenza. Anzi, diciamo da capo: il necessariamente esistente
può essere inteso o come lo stesso necessariamente esistente, come l'uno può
essere inteso come lo stesso uno, oppure, a partire da ciò, si può intendere che
la sua quiddità sia, per esempio, un uomo o un'altra qualunque delle sostanze:
quell'uomo sarebbe allora ciò che è necessariamente esistente, così come
dell'uno si può intendere che è acqua o aria o uomo, pur essendo uno 112 •
Potresti rifletterei e tutto questo lo verresti a conoscere 113 [considerando]
ciò su cui vi è stata controversia e cioè se il principio nelle [cose] naturali sia
uno o molteplice 114 . Alcuni, infatti, hanno voluto che il principio fosse uno,
altri, invece, che fosse molteplice.

Redibo igitur et dicam quod primum non habet quidditatem nisi [399) anitatem quae sit
discreta ab ipsa. Dico enim quod necesse esse non potest habere quidditatem quam comite-
tur necessitas essendi; et, incipiens a capite, dico quod necesse esse iam intelligit ipsum
necesse esse, ut unum etiam intelligit ipsum unum, et iam intelligit per hoc quod eius quid-
ditas est, verbi gratia, homo vel aliqua aliarum substantiarum quasi ille homo sit necesse
esse, sicut iam intelligitur unum quod est aqua vel aer vel homo, et est unum.
Iam autem poteris considerare et scire hoc ex eo loco in quo accidit diversitas sententia-
rum in naturalibus, scilicet quod principium vel est unum vel multa. Quidam enim ex eis
posuerunt principium unum et quidam multa. Qui autem posuerunt unum, quidam posuerunt
784 f'to [345]

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primum principium non essentiam unius, sed id quod est unum, sicut aqua ve! aer ve! ignis
vel alia huiusmodi, et quidam posuerunt principium essentiam unius inquantum ipsum est
unum, non aliquid cui accidit unum. Unde differentia est inter quidditatem cui accidit unum
ve! ens, et inter ipsum unum ve] ens, inquantum est unum.
Dico igitur quod necesse esse non potest esse eiusmodi ut sit in eo compositio, ita ut sit
hic quidditas aliqua quae sit necesse esse et illi quidditati sit intentio aliqua praeter certitudi-
nem eius, quae intentio sit necessitas essendi; verbi gratia, si illa quidditas esset homo, tunc
hominem esse aliud esset quam ipsum esse necesse esse, et tunc non [400] posset esse quin
TRATTATO OTTAVO- SEZIONE QUARTA 785

[345] Fra chi poi lo ha voluto uno, vi è chi ha voluto che il principio primo
non fosse lo stesso uno, ma al contrario qualcosa di uno, come acqua o aria o
fuoco o altro, e chi, invece, ha fatto dello stesso uno in quanto è uno - e non in
quanto è una cosa cui sarebbe accaduto l'uno- il principio, e ha quindi posto
una differenza tra una quiddità, cui accadono l'uno e l'esistente, e l'uno e
l'esistente in quanto tali.
Ora, - diremo - non è possibile che il Necessariamente Esistente sia tale
da contenere una composizione, così che in Esso vi sia una certa quiddità che
sia "necessariamente esistente": in questo modo a tale quiddità apparterrebbe
un 'intenzione (ma 'nii) diversa dalla propria realtà e tale intenzione sarebbe la
necessità d'esistenza; per esempio: se tale quiddità fosse "uomo", il fatto di
essere "uomo" sarebbe diverso dal fatto di essere "necessariamente esistente",
e in tal caso non si sfuggirebbe a una delle due possibilità: al nostro dire
"necessità d'esistenza" corrisponderebbe - o non corrisponderebbe -urta
realtà. Ma è impossibile che per tale intenzione [di necessità], che è il princi-
pio di ogni realtà e anzi afferma e convalida la realtà, non vi sia una realtà. Se
poi essa avesse una realtà diversa da tale quiddità e alla necessità dell' esisten-
za conseguisse di dipendere da tale quiddità, non essendo necessaria senza di
essa, ecco che l'intenzione del necessariamente esistente, in quanto tale, esi-
sterebbe in virtù di qualcosa che non sarebbe [il necessariamente esistente] e
quindi il necessariamente esistente sarebbe, in quanto "necessariamente esi-
stente" e in virtù di quello sguardo alla sua essenza che lo considera in quanto
necessariamente esistente, non necessariamente esistente 115 ; vi sarebbe, infatti,
qualcosa in virtù di cui esso sarebbe necessario; ma questo è impossibile: [lo
è] se [la necessità] è presa in considerazione assolutamente, non vincolata alla
pura esistenza che dovrebbe accompagnarne la quiddità, e [lo è egualmente] se
la si prende in quanto concomitante della quiddità; pur potendo accompagnarsi
a tale cosa, infatti, tale quiddità non sarebbe 116 affatto [346] necessariamente

hoc quod dicimus necessitas essendi, ve! esset haec certitudo, ve! non esset. Absurdum est
autem ut huic intenti ani non si t certitudo < ... > quae si t praeter ipsam quidditatem, si autem
illi necessitati essendi fuerit hoc ut pendeat ab illa quidditate et non est necesse esse siile
illa, tunc intentio de necesse esse, inquantum est necesse esse. est necesse esse propter alit!d
quod non est ipsum. Igitur non eri t necesse esse inquantum est necesse esse. Ipsum enim in
se, inquantum est necesse esse, considerare esse necesse esse propter aliquid quod est ei
propter quod est necesse esse, est absurdum, < ... > si autem fuerit ut discrepet ab illa re, tuilC
illa quidditas non erit necesse esse ullo modo absolute nec accidet ei necessitas essendi
786 [346]

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~ y.t. ..)~.,P .Jl J;'iJ . J~ i.:U..J d ... JY."_, ~ .l.J':'J ~ U 0..;~ .J! i)1 lo

absolute: ipsa enim non sit necesse esse aliquando, sed neccsse esse absolute semper est
necesse esse. Non est autem sic dispositio entis cum accipitur ìlbsolute sequens quidditatem,
non ligatum cum necessitate pura.
Nec obest si quis dixerit quod ìJlud ens causatum est quidditati hoc [401] modo vel alìi
rei; possibile est enim ut ens sit causatum et necessitas absoluta quae est per essentiam non
sit causata; restat ergo ut necesse esse per essentiam absolute certificatum, inquantum est
necesse esse per se, sit necesse esse sine illa quidditate. Ad quod respondeo quod tunc ìlla
quidditas esset accidentalis ad necesse esse quod est certificacae existentiae per se, si ìllud
esset possibile; igitur necesse esse esset designatum in intellectu in hoc, et esset certificatum
'fRATfATO OTTAVO- SEZIONE QUARTA 787

esistente in assoluto, né la necessità d'esistenza le accadrebbe in assoluto, per-


ché non sarebbe necessaria in ogni momento, mentre quel che è necessaria-
mente esistente in assoluto è necessario in ogni momento 117 •
Diverso, invece, è il caso dell'esistenza 118 se essa viene presa in considera-
zione in modo assoluto, non vincolata alla necessità pura che si accompagna
alla quiddità. [In tal caso], se qualcuno dicesse che una certa esistenza- sotto
quest'aspetto- è un causato della quiddità o di un'altra cosa, non vi sarebbe
alcuna sconvenienza: mentre, infatti, è ammissibile che l'esistenza sia causata.,
la necessità assoluta, che è per sé, non è causata. Rimane, dunque, che il
Necessariamente Esistente per essenza sia in assoluto realizzato in quanto
necessariamente esistente in se stesso, "necessariamente esistente" al di là di
tale quiddità. Sia, infatti, tale quiddità - se possibile - accidentale per il neces-
sariamente esistente, in sé realizzato nella propria sussistenza: ecco che il
necessariamente esistente sarebbe in se stesso qualcosa di designabile
dall'intelletto, qualcosa che si realizzerebbe come necessariamente esistente:,
pur non accadendogli tale quiddità 119 . Ma allora tale quiddità non sarebbe la
qui..ddi..tà di. quella certa cosa che con l'intelletto si. designa come "necessaria-
mente esistente"; essa, al contrario, dovrebbe essere la quiddità di un'altra
cosa, che le sarebbe concomitante. Si era supposto, però, che fosse quiddità di
quella stessa cosa, non di un'altra 120 , e questo è contraddittorio. Dunque per il
Necessariamente Esistente non c'è una quiddità diversa dal fatto che è neces-
sariamente esistente, e questa è il suo stesso essere (al-anniyya).
E diremo che 121 , se l'essere (al-anniyya) o l'esistenza fossero entrambi tali
da accadere alla quiddità, non si sfuggirebbe a una delle due possibilità: essi le
conseguirebbero o per sé oppure per una cosa esterna. Ma è impossibile che
[conseguano] per la stessa quiddità; infatti, quel che segue non segue che qual-
cosa di esistente, cosicché la quiddità dovrebbe avere un'esistenza prima della
sua esistenza, e questo è impossibile 122 • E perciò- diremo- tutto quel che ha
una quiddità diversa (347] dal proprio essere è un causato. Hai appreso, infatti,
che l'esser proprio e l'esistenza non hanno per la quiddità- che è esterna

necesse esse, quamvis non esset quidditas illa accidentalis. llla igitur non est quidditas rei
designatae in intellectu quae est necesse esse, sed est quidditas alterius rei sequentis eam;
iam autem posita fuerat quidditas sua non alterius rei, et hoc est inconveniens. lgitur necesse
esse non habet quidditatem nisi quod est necesse esse, et haec est anitas.
Item dico quod, quicquid habet quidditatem praeter anitatem, causatum est. Tu autern
iam nosti quod ex anitate et esse non constat quidditas quae est praeter anitatem ad modurn
788 [347]
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quo aliquid constat ex constituente; erunt igitur de comitantibus; et tunc non potest esse quin
ve! comitentur quidditatem ex hoc quod est ipsa quidditas, ve! comitentur eam propter ali-
quid aliud. Intenti o autem de hoc quod dicimus comitantur est sequi esse et quod esse sequi-
tur non esse. Si autem fuerit hoc quod anitas sequatur quidditatem et comitetur eam [402]
per se, tunc erit hoc quod anitas in suo esse sequetur esse; quicquid autem in suo esse sequi-
tur esse, id post quod sequitur, habet esse per essentiam prius eo; igitur quidditas per essen-
tiam erit prior suo esse, quod est inconveniens. Restat igitur ut esse sit ei ex causa. Igitur
orune habens quidditatem causatum est; et cetera alia, excepto necesse esse, habent quiddi-
tates quae sunt per se possibiles esse, qui bus non accidit esse nisi extrinsecus.
Primus igitur non habet quidditatem, sed super habentia quidditates fluit esse ab eo; ipse
igitur est esse exspoliatum, condicione negandi privationes et ceteras proprietates ab eo.
Deinde cetera alia quae habent quidditates sunt possibilia, quia habent esse per ipsum.
Intentio autem de hoc quod dicimus quod ipse est esse exspoliatum condicione negandi
TRATIATO OTIAVO- SEZIONE QUARTA 789

all'essere - il ruolo che ha ciò che è un costituente e fanno quindi parte dei
conseguenti necessari 123 •
Ma allora, ancora, si avranno due possibilità: o essi conseguono necessa-
riamente alla quiddità, perché essa è tale quiddità, oppure il fatto che essi ne
siano conseguenti necessari è in ragione di qualcos'altro. E quando diciamo
"esser conseguente necessario" intendiamo "seguire l'esistenza". Ora, un esi-
stente non segue che qualcosa di esistente e così, se l'essere segue la quiddità
e consegue necessariamente alla stessa [quiddità], segue certo, essendo esi-
stente 124 , un'esistenza. Ora, ciò che è seguito da ciò che, essendo esistente,
segue un'esistenza, è sempre esistente per sé prima di esso, e allora la quiddità
sarebbe esistente per sé prima della sua esistenza, il che è assurdo.
Resta, perciò, che l'esistenza le venga da una causa; ogni [cosa] dotata di
quiddità è un causato 125 . Ma tutte le cose, eccettuato il Necessariamente
Esistente, hanno quiddità e tali quiddità sono quelle che in se stesse sono "pos-
sibilmente esistenti" e ad esse accade un'esistenza soltanto dall'esterno.
Il Primo dunque non ha quiddità, mentre sulle [cose] dotate di quiddità
1'esistenza fluisce a partire da Esso. Esso è, infatti, puramente esistente a con-
dizione che se ne neghino l'inesistenza e tutte le altre descrizioni 126 • Inoltre,
tutte le cose che hanno quiddità sono possibili ed esistono in virtù di Esso.
E quando dico "Esso è puramente esistente a condizione che se ne neghino
tutte le aggiunte", ciò non significa che Esso è l'essere assoluto di cui parteci-
perebbero [le cose], se mai un essere fosse in questo modo. Un tale essere,
infatti, non sarebbe l'essere puro a condizione della negazione, ma piuttosto,
l'essere non a condizione dell'affermazione. Voglio dire, per ciò che riguarda
il Primo, che Esso è l'essere con la condizione di non [avere] un'aggiunta di
composizione, mentre quest'altro è l'essere non a condizione dell'aggiunta;
per questo, quel che è l'universale si predica di ogni cosa, mentre questo non
si predica di niente che abbia un'aggiunta, e ogni cosa altra da Esso ha
un'aggiunta.
Il Primo non ha neanche genere, e questo perché il Primo non ha quiddità, e
qualcosa che non ha quiddità, non ha genere; infatti, il genere si dice nel rispon-
dere [alla domanda] "che cosa è?", essendo il genere, sotto un certo aspetto, una
parte della cosa, mentre si è accertato che il Primo non è composto.

ceteras additiones ab eo, non est quod ipse sit esse exspoliatum in quo communicet aliquid
aliud esse, si fuerit esse cuius haec sit proprietas: ipse enim non est illud ens exspoliatum
condicione negandi, sed est ens non condicione affirmandi, scilicet de primo, quod est ens
cum condicione non addendi compositionem, sed hoc aliud est ens non condicione additio-
nis, et, quia illud fuit universale quod praedicatur de omni re, istud vero non praedicatur de
eo in quo est additio, ideo in omni quod est praeter illud est additio.
Primus etiam non habet genus; primus enim non habet quidditatem, sed quod non habet
quidditatem, non habet genus; genus enim respondetur ad interrogationem per quid est; genus
etiam aliquo modo pars est rei; certificatum est autem quod primus non est compositus.
790 tv. [348]

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[403] Item intentio generis non potest esse quin ve! sit necesse esse, et tunc non cessabit
quousque sit ibi differentia, ve! non sit necesse esse, sed sit constituens ipsum necesse esse,
et tunc necesse esse erit constitutum ab eo quod non est necesse esse, quod est inconveniens;
primus igitur non habet genus. Et ideo non habet differentiam; quia enim non habet genus,
nec habet differentiam, ideo non habet definitionem. Nec fit demonstratio de eo quia ipse
non habet causam. Similiter non quaeritur de eo quare: tu enim scies postea quod eius actio
non habet quare.
Potest autem aliquis dicere quod, licet refugiamus dicere de primo nomen substantiae,
non tamen possumus refugere quin dicamus de eo intentionem substantiae, quoniam est, et
non in subiecto, quae est intentio substantiae quam posuimus genus. Contra quod dico quod
haec non est intentio substantiae quam posuimus genus, immo intentio eius est quod est res
habens quidditatem stabilem, cuius esse est esse quod non est in subiecto, corpore ve!
anima. Cuius rei probatio haec est quoniam, nisi hoc fuerit intellectum de substantia, ipsa
nullo modo erit genus; quod enim significatur per hoc nomen ens non iudicatur esse genus.
Negatio vero quae sequitur non addit ei aliquid super esse nisi occasionem discretionis; hac
TRATIATO OTIAVO- SEZIONE QUARTA 791

[348] Inoltre, se l'intenzione del genere fosse "necessariamente esistente",


non ci si arresterebbe fino a che non vi fosse una differenza [specifica].
[Oppure], se non fosse "necessariamente esistente" e fosse un costituente del
necessariamente esistente 127 , il necessariamente esistente sarebbe costituito in
virtù di qualcosa che non sarebbe necessariamente esistente, il che è assurdo.
Dunque il Primo non ha genere.
E per questo il Primo non ha differenza, e poiché non ha né genere né dif-
ferenza, non ha neppure definizione; né per Esso c'è una dimostrazione, giac-
ché non ha causa; e per questo non ha "perché" e apprenderai che non vi è un
perché neppure per il suo agire 128 •
Qualcuno, però, potrebbe dire: "Voi avete escluso [la possibilità] di appli-
care al Primo il nome della sostanza, e (ora] invece non state escludendo di
applicargliene il significato (ma 'nii). Infatti, (il Primo] è un esistente che non è
in un soggetto e con ciò si intende la sostanza, della quale, dunque, avete fatto
un genere per [il Primo)". Ma non è questo- diremo- ciò che si intende con
la sostanza di cui avremmo quindi fatto un genere per il Primo; piuttosto il
significato di ciò [che affermiamo] è che [il Primo] è quella cosa dotata di
quiddità stabile, la cui esistenza non è in un soggetto come [potrebbero essere]
un corpo o un'anima 129 •
Infatti, se a "sostanza" non si dà il significato [che gli darebbe questo qual-
cuno], essa non è assolutamente un genere: ne è prova che quel che si indica
con il termine "esistente" non comporta che esso sia genere e la negazione che
lo accompagna non aggiunge all'esistenza che un rapporto di distinzione. Con
questo significato non si stabilisce qualcosa che si darebbe al di là dell'esisten-
za, né questo è il significato della cosa per sé, bensì solo in virtù di un rappor-
to. Infatti, ciò che si intende stabilire nel dire "l'esistente che non è in un sog-
getto" e che può convenire a un'essenza data è solo l'essere, dopo di che vi è
qualcosa di negativo e qualcosa di relativo, ma esterno rispetto allo stesso
essere (huwiyya) della cosa. Così, se questa [affermazione] è presa sotto que-
sto aspetto, con essa non si intende un genere, e ciò lo hai già appreso nella
Logica in modo certo.
Nella Logica hai anche appreso che quando, per esempio, diciamo "ogni
A", intendiamo "ogni cosa descritta in quanto è A", [e questo] anche se essa
avesse una realtà diversa dalla "Aeità". Quando, nel definire la sostanza,

vero intentione non affirmatur aliquid quod iam sit acquisitum in esse, nec est intentio ali-
cuius rei per se, sed est in respectu tantum. Esse igitur non in subiecto non est intentio affir-
mativa, nisi quod essentiae eius hoc potest esse ut sit ens, [404) et deinde ipsum sit aliquid
negative et relative, quod est extra identitatem quae est rei. Haec igitur intentio, si accipitur
hoc modo, non erit genus. Tu autem iam piene nosti hoc in logica, et nosti etiam in logica
quod, cum dicimus omnis anitas [non est], intelligimus omne appropriatum, quia non habet
certitudinem aliam nisi anitatem, tunc de hoc quod dicimus de definitione substantiae quia
792 [349,1-6]

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ipsa est ens non in subiecto, intentio est quod est res de qua dicitur quod est non in subiecto
ita ut ens non in subiecto praedicetur de ea et habeat in seipsa quidditatem, sicut homo, lapis
et arbor. Sic igitur oportet imaginare substantiam ad hoc ut sit genus. Probatio autem quod
inter haec duo sit differentia et quod unum eorum sit genus et non alterum, est haec scilicet
quod, de individuo alicuius hominis cuius esse ignoratur, potest dici quod ipsum sine dubio
< ... > modo est non in subiecto; sed videtur sufficere quod assignavimus de hoc cum loque-
bamur de logica.
TRATTATO OTTAVO~ SEZIONE QUARTA 793

diciamo che essa è "ciò che esiste non in un soggetto", [349] quello che
intendiamo è che essa è la cosa di cui si dice che è un esistente non in un sog-
getto, nel senso che "ciò che esiste non in un soggetto" è di essa predicabile,
pur avendo essa in se stessa una quiddità, come l'uomo, la pietra o l'albero,
che è poi il modo in cui è necessario rappresentarsi la sostanza affinché sia
genere. Ciò che sta a indicare che tra le due cose vi è una differenza, e che il
genere è una delle due e non l'altra, è che di un certo individuo uomo, di cui
si ignora l'esistenza, puoi senz'altro dire che esso è "ciò la cui esistenza non
è in un soggetto" ma non puoi dire che senz'altro esso "adesso è esistente non
in un soggetto".
È quindi come se avessimo esagerato nel far conoscere tutto questo, perché
ne abbiamo trattato nella Logica 130•
794 [349,7-18]

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CAPITULUM IN QUO QUASI AFFIRMATUR ET REPETITUR QUOD PRAETERIIT
AD OSTENDENDAM UNIT ATEM DE NECESSE ESSE ET OMNES PROPRIETATES EIUS NEGATIV AS
SECUNDUM VIAM CONCLUDENDI

[405) Opus est ut repetamus verbum de hoc quod certitudo primi est ipsi tantum et nulli
alii. Unus enim inquantum est necesse esse est id per quod est ipse, et eius essentia, et haec
intentio est attributa illi, ve\ propter essentiam illius intentionis, ve\ propter aliam causam,
795

SEZIONE QUINTA

IN CUI SI CONFERMA E SI RIPETE CIÒ CHE SI È DETTO PRECEDENTEMENTE


A PROPOSITO DELL'UNICITÀ DEL NECESSARIAMENTE ESISTENTE
E, A TITOLO DI CONCLUSIONE, SI PARLA DELL'INSIEME
DEI SUOI ATTRIBUTI NEGATIVI

Conviene ritornare su quanto detto: che la realtà del Primo esiste esclusiva-
mente per il Primo e non per quel che è diverso dal [Primo]. E questo perché
l'uno, in quanto è necessariamente esistente, è ciò in virtù di cui esso è se stes-
so- e cioè la sua stessa essenza- essendone limitata l'intenzione ad esso solo
o per via di questa stessa sua intenzione o per via di una causa. Se, per esem-
pio, ad essere la cosa necessariamente esistente fosse quest'uomo, allora si
avrebbero due possibilità: [quest'uomo cioè] o sarebbe tale a causa dell'uma-
nità e perché è uomo, oppure no. Se fosse tale perché è uomo, allora l'umanità
esigerebbe che a esserci fosse questo soltanto; e se invece l'umanità si trovas-
se in qualcosa di diverso [da quest'uomo], allora essa non potrebbe esigere
che a esserci fosse questo soltanto e, anzi, questo si avrebbe solo in virtù di
qualcosa di diverso dall'umanità. Analogo è lo stato [di cose] per ciò che
riguarda la realtà del Necessariamente Esistente. Infatti, se tale realtà è di per
se stessa questo determinato [ente necessario], è impossibile che essa appar-
tenga a qualcosa che ne sia diverso e tale realtà non è che questo [dato ente
necessario]. Se, invece, [350] tale intenzione si realizzasse per [questo] deter-
minato (ente necessario] non a partire da se stessa, ma a partire da qualcosa di
diverso da essa, e [questo ente] fosse se stesso soltanto perché è questo [ente]

veluti si id quod est necesse esse sit aliquid, verbi gratia, bic homo, tunc necesse est ut ve!
ille sit hoc propter humanitatem et quia est homo, vel non sit. Si autem propter hoc quod est
homo esset hic homo, tunc humanitas iudicaret esse bune tantum, sed, si humanitas est alii
praeter hunc, tunc non iudicat humanitas esse hunc. Hìc autem non est factus hic nisi propter
aliam causam praeter humanitatem. Similiter est dispositio certitudinis de necesse esse. Si
enim ipsa per seipsam fuerit hoc signatum, tunc impossibile est ut illa certitudo sit alii nisi
illi, alioquin ipsa certitudo non esset hoc. Si vero certitudo huius intentionis fuerit huic
signato non ex seipso, sed ex alio a se, nec ipsum est ipsum nisi [406] quia ipsum est haec
796 [350]

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~..~.>ot i.>§..(.>\":):... ~ ~~ j Ò:..Y;y.J \~ J i:..Y;_,.~ ~\) 4Jl.J' ~

intentio. tunc proprium esse eius erit acquisitum ab alio a se, et sic non erit necesse esse,
quod est impossibile. Igitur certitudo de necesse esse est uni tantum quod est necesse esse.
Quomodo enim quidditas exspoliata a materia erit duabus essentiis? Duo enim non sunt duo
nisi vel propter intentionem vel propter sustinens intemionem, vel propter id in quo sunt et
locum, vel propter horam et tempus, et omnino propter aliquam causarum; quaecumque
autem duo differunt non per intentionem, differunt per aliquid quod accidit intentioni et est
adiunctum ei; quicquid autem non habet esse nisi esse intentionis nec pendet ex causa
extrinseca nec ex dispositione extrinseca, in quo differret ab alio sibi consimili? Illud igitur
non est ei communicans in sua intentione; ìgitur primo nihìl est aequale.
Item dico quod necessitas essendi non potest esse intentio in qua communicet aliquid
aliud a se ullo modo, ita ut sint convenientia in certitudinibus et speciebus nec sint diversa
certitudinibus. Primum autem est quod necessitas essendi non habet quidditatem sibi adiunc-
tam nisi ipsam necessitatem essendi; unde in certitudine necessitatis essendi non potest esse
diversitas, postquam est necessitas essendi.
TRATI ATO OTTAVO - SEZIONE QUINTA 797

determinato, ecco che la sua esistenza, quella che gli è propria, sarebbe acqui-
sita a partire da altro da sé ed Esso non sarebbe necessariamente esistente, il
che è assurdo 131 • E perciò la realtà del Necessario è l'esistenza una, soltanto 132 •
D'altronde, come potrebbe la quiddità astratta dalla materia appartenere a
due essenze, se due cose possono essere appunto due soltanto o in ragione
dell'intenzione, o in ragione di ciò di cui si predica l'intenzione, o in ragione
della posizione o del luogo o in ragione del momento e del tempo e, insomma,
per via di una certa causa? Infatti, ogni volta che due [cose] non differiscono
per l'intenzione, differiscono soltanto in virtù di qualcosa che accade all'inten-
zione e che la accompagna; ma tutto ciò che non ha altra esistenza che quella
dell'intenzione e che non dipende da una causa esterna o da una condizione
esterna, in virtù di che cosa potrebbe differire da quel che gli sarebbe simile?
Non c'è, dunque, qualcosa di associabile [al Primo] nell'intenzione e il Primo,
quindi, non ha pari.
E ancora- diremo- la necessità d'esistenza non può avere un'intenzione
compartecipata da numerosi [individui], sotto nessun aspetto: né [da individui]
che coincidano nelle loro realtà e nelle [loro] specie, né [da individui] che si
differenzino nelle loro realtà e nelle [loro] specie.
In primo luogo, la necessità d'esistenza non ha una quiddità che la accom-
pagni che sia diversa dalla necessità d'esistenza, e dunque non è possibile che
vi sia per la realtà della necessità d'esistenza una differenza successiva alla
stessa necessità d'esistenza. In secondo luogo 133 , ciò per cui le unità del neces-
sariamente esistente [in tale ipotesi] differirebbero, una volta stabilita [la loro]
coincidenza nella necessità d'esistenza, potrebbe consistere solo o in determi-
nazioni (asyii') esistenti in ognuno degli enti coincidenti, in virtù delle quali
l'uno si differenzierebbe dall'altro, oppure [in determinazioni] non esistenti
per nessuno di essi, o ancora [in determinazioni] esistenti soltanto per alcuni
di essi, non essendovi negli altri che la loro assenza.
Ora, se fossero [determinazioni] non esistenti e non vi fosse niente in cui
far risiedere la differenza, successiva alla coincidenza, allora fra due [enti
necessari], nelle loro realtà, non vi sarebbe differenza ed essi sarebbero nelle
loro realtà coincidenti; ma avevamo sostenuto che le loro realtà sarebbero
state differenti, al di là del fatto di avere in comune qualcosa. Se fossero
[determinazioni] non esistenti in alcuni ed esistenti in altri, [si avrebbe egual-

Item necesse est ut id in quo differunt singula quae sunt necesse esse post convenien-
tiam in necessitate essendi, sit aliquid quod est ve! unicuique convenientium in ea per quod
differat unumquodque ab alio, vel non sit alicui, vel sit aliquibus ex illis et non sit aliquibus
nisi eius privatio. Si autem non fuerit alicui nec fuerit hic aliquid propter [407] quod accidit
diversitas post convenientiam, cum in certitudinibus non sit inter ea diversitas, tunc sunt
convenientium certitudinum; iam autem dixeramus diversas esse certitudines earum, post-
quam communicaverant in ea. Si autem fuerit aliquibus et aliquibus non, verbi gratia ita
798 [351]

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quod unum eorum discretum si t ab alio, tunc habet certitudinem necessitatis essendi et insu-
per aliquid aliud quod est condicio discretionis, et similiter est alii certitudo necessitatis
essendi, sed cum privatione condicionis quae est illi, quod non fit discretum ab hoc nisi
propter huiusmodi privationem, quia non est hic aliquid aliud nisi privatio propter quod
discematur ab alio; igitur, ex modo necessitatis essendi et certitudinis quam habet, est hoc
quod stabilitur existens cum privatione condicionis quae sequitur illud; privatio vero non
habet intentionem acquisitam in rebus, alioquin, essent in aliquo intentiones infinitae; ea
enim quae ab aliquo removentur infinita sunt comparatione eorum quae de ipso affirmantur,
de quibus fierent negationes infinitae.
Non potest autem esse quin aut necessitas essendi sit certificata secundo sine additione
quae est ei, aut non. Si autem non fuerit, tunc erit quod sine illa non habebit necessitatem
essendi, et condicio in necessitate essendi erit in altero. Si vero fuerit, tunc additio erit etiam
superflua et non erit de necessitate essendi, et cum hoc erit compositum; sed necesse esse est
non compositum. Si autem fuerit [408] unicuique eorum aliquid per quod discernatur ab
altero, tunc hoc iudicat compositionem in unoquoque eorum.
TRATIATO OTI AVO- SEZIONE QUINTA 799

mente un'assurdità]: per esempio, uno dei due [351] si differenzierebbe


dall'altro perché gli apparterrebbe la realtà della necessità d'esistenza e una
certa cosa che sarebbe la condizione della differenza, e all'altro apparterrebbe,
invece, la realtà della necessità d'esistenza e l'assenza della condizione appar-
tenente al primo: esso si differenzierebbe dal primo soltanto a causa di tale
assenza, non avendo niente, a parte tale assenza, in virtù di cui potersene diffe-
renziare. Ma allora la necessità d'esistenza sarebbe di per sé tale da stabilirsi
sussistente in virtù della realtà che le appartiene, in assenza della condizione
che la accompagnerebbe: l'assenza 134 non ha alcuna intenzione che si attui
nelle cose, altrimenti in una sola cosa vi sarebbero infinite intenzioni, dato che
[ogni cosa] differisce da infinite cose 135 •
Perciò non si sfugge a una delle due [possibilità]: o la necessità d'esistenza
si realizza nel secondo [ente necessario] senza l'aggiunta che [nell'ipotesi] le
apparterrebbe, oppure no. Se no, allora la necessità d'esistenza non appartiene
[al secondo ente necessario] senza [tale aggiunta]l 36 , ed essa deve essere una
condizione per la necessità d'esistenza anche nell'altro. Se sì, allora l'aggiunta
sarebbe persino qualcosa di superfluo 137 , senza essere una condizione per la
necessità d'esistenza che, in tal [modo], sarebbe un composto, mentre il neces-
sariamente esistente non è un composto. E poi se a ciascuno dei due [enti
necessari] appartenesse qualcosa che lo differenziasse dall'altro, ciò compor-
terebbe in ognuno dei due la composizione.
Si avrebbero, inoltre, altre due possibilità: o la necessità d'esistenza è [in
sé] compiuta, indipendentemente da ognuno dei due [tipi] di aggiunta, oppure
essi sono una condizione perché essa si compia.
Se è compiuta, allora nella necessità d'esistenza non vi è una differenza
essenziale e la differenza è soltanto negli accidenti che la accompagnano,
mentre l'esistenza sussiste come necessaria, senza aver bisogno di tali conco-
mitanti per sussistere. Se non è compiuta, allora si avrebbero due ulteriori pos-
sibilità: o [la necessità d'esistenza] senza tali [aggiunte] 138 non è compiuta nel
senso in cui [non] le appartiene la realtà della necessità d'esistenza, oppure la
necessità d'esistenza è in se stessa un'intenzione con una propria realtà:
entrambe [le aggiunte] o anche una sola delle due non entrano nella sua iden-
tità di [o: nel suo essere] "necessariamente esistente" e tuttavia essa viene

Item non potest esse etiam quin aut necessitas essendi sit perfecta absque unaquaque
duarum additionum, ve! sit hoc ei condicio per quam perficiatur. Si autem fuerit perfecta
absque additionibus, tunc in necessitate essendi non est diversitas per essentiam, sed per
accidentalia quae consequuntur. Id autem quod est necesse esse, iam exstiterat non egens ad
suam existentiam illis consequentibus. Si autem non perficitur sine illis, tunc necessario aut
non perficietur sine illis ad habendam certitudinem necessitatis essendi, aut necessitas essen-
di erit intentio certificata in seipsa, ita ut nec illa duo nec alterum sit intra identitatem eius
secundum quod est necesse esse, sed est necessarium ut sit ei acquisitum esse curo aliquo
eorum; verbi gratia, sicut hyle cuius substantialitas, quamvis sit in definitione suae hyleita-
800 [352]

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tis, tamen suum esse in effectu non est nisi per hanc formam vel per aliam; colorem quoque,
quamvìs differentìa nigredìnis non constituit inquantum est color nec differentia albedinis,
tamen unaquaeque earum est ei quasi causa ad essendum in effectu et ad habendum esse,
nec una earum tantum est causa eius, sed quaecumque evenerit, quamvis illa sit in una
dispositione, et haec in alia. Si autem fuerit res secundum iudicium primi modi, tunc unum-
quodque eorum erit intrans in constitutionem necessitatis essendi et erit condicio in ilio; igi-
tur, ubi fuerit necessitas [409] essendi, oportebit ut illa sit cum eo. Si autem fuerit secundum
iudicium intentionis secundae, tunc necessitas essendi egebit aliquo per quod habeat esse;
esset igitur necesse esse quod, postquam affirmaretur ei intentio quod ipsum est necesse
esse, egeret alio per quod haberet esse, quod est inconveniens.
TRATTATO OTTAVO- SEZIONE QUINTA 801

immancabilmente a conseguire l'esistenza [352] in virtù di una delle due. Così


è [per esempio] la materia prima (al-hayulii); infatti, benché la sua sostanzia-
lità le appartenga già nel suo esser materia 139 , la sua esistenza in atto si ha in
virtù di questa data forma, oppure di un'altra; e così è il colore: infatti, benché
la differenza [specifica] del nero - o quella del bianco - non lo costituiscano
in quanto colore, ognuna delle due, per ciò che riguarda il fatto che esso esista
in atto e si dia come tale, è come la sua causa; non è una delle due [differenze]
in particolare ad essere una sua causa: lo è una qualunque delle due, solo che
l'una in un caso e l'altra in un altro 140 •
Ora, se [per quanto riguarda la necessità] la cosa fosse come esige il primo
modo, ognuna delle due [aggiunte] entrerebbe a costituire la necessità d'esi-
stenza e ne sarebbe una condizione; così, dove vi fosse la necessità d'esisten-
za, sarebbe necessario che con essa vi fosse [ognuna delle due aggiunte]. Se,
invece, [la cosa] fosse secondo quel che esige il secondo senso, il necessaria-
mente esistente 141 avrebbe bisogno di una cosa in virtù della quale esistere; ma
allora, dopo che per il necessariamente esistente si fosse stabilita un'intenzio-
ne in virtù della quale essere tale, esso avrebbe bisogno di un'altra cosa in
virtù della quale esistere: e questo è impossibile.
E poi, quanto al [caso] del colore e della materia (al-hayillli) le cose non
stanno in questo [stesso] modo. La materia, infatti, in quanto materia è una
cosa, e il colore, in quanto è colore, è una cosa ma, in quanto esistente, è
un'altra cosa. Il corrispondente di quel che lì è il colore, qui è il "necessaria-
mente esistente" e il corrispondente di quel che lì è dato dalle due differenze
del nero e del bianco, qui è quel qualcosa che sarebbe proprio di ognuno dei
due supposti (enti necessari]. Ma, come nessuna delle due differenze del nero
e del bianco entra nel fatto che "l'esser colore" sia stabilito come tale 142 , così è
necessario che la proprietà di ognuno dei due supposti (enti necessari] non
entri nel fatto che la necessità d'esistenza sia stabilita come tale 143 • (353] In

Sed in colore et hyle non evenit secundum hanc formam; hyle enim, inquantum est hyle,
et color, inquantum est color, est aliquid, et inquantum est ens, est aliquid. Ponamus igitur
quasi colorem hic necesse esse, et differentiam nigredinis et albedinis ibi ponamus hic id
quo appropriatur unumquodque positorum [hic], et sicut unaquaeque differentiarum albedi-
nis et nigredinis non recipitur ad faciendum coloritatem esse coloritatem, sic oportet ut pro-
prietas uniuscuiusque istorum duorum positorum non sit aliquid ad stabiliendam necessita-
tem essendi. Sed ibi duae differentiae recipiuntur ad faciendum colorem habere esse, scilicet
802 [353]

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ad hoc ut color sit aliquid et supra hoc quod est color insuper aliquid aliud, hic autem hoc
non est possibile quoniam necesse esse est stabilitum esse, immo ipsum est stabilimentum
essendi. Sed esse est condicio in stabilienda quidditate de necesse esse, ve! ipsum est ipsum
idem cum privatione privationis ve! prohibitione destructionis. ln colore autem esse est con-
sequens quod sequitur quidditatem quae est color. Igitur quidditas quae per seipsam est
color invenitur signata in effectu inventa per esse. Si autem [410] esset proprietas non causa
quantum ad stabiliendum quidditatem necessitatis essendi, sed inquantum acquiritur sibi
esse, et esse esset aliquid praeter iUam quidditatem veluti id quod est praeter quidditatem
TRATTATO OTTAVO- SEZIONE QUINTA 803

quel caso l'introduzione delle due differenze si ha affinché il colore venga ad


essere qualcosa di esistente, cioè affinché il colore venga ad essere qualcosa di
diverso dal colore e che si aggiunge al fatto che è colore; ma in questo caso,
ciò non è possibile perché la necessità d'esistenza è stabilita nell'esistenza, ed
è anzi lo stesso stabilirsi dell'esistenza. Anzi, l'esistenza è una condizione
affinché si stabilisca la quiddità del necessariamente esistente o è quella stessà
[cui si accompagnano] l'inesistenza della non-esistenza o l'impossibilità di
una negazione. Nel caso del colore, invece, l'esistenza è un concomitante che
accompagna una quiddità, che è lo stesso colore, in modo tale che la quiddità
che è in se stessa un colore esista come qualcosa di determinato, esistendo
nell' esistenza 144 •
Ora, se la proprietà non fosse una causa del fatto che si stabilisca 145 l<t
quiddità della necessità d'esistenza, ma del fatto che la necessità acquisisc<t
l'esistenza e l'esistenza fosse qualcosa di esterno a tale quiddità - come è
esterna 146 alla quiddità del colore- la cosa reitererebbe la relazione di tutte le
altre cose comuni 147 che sono distinguibili 148 in virtù di differenze e che,
insomma, sono divisibili in virtù di diverse intenzioni. Ma perché la necessità
{dell'esistenza] sìa, bisogna che resistenza sì dia come tale e allora è come se
si avesse bisogno della proprietà 149 proprio per ciò in cui se ne era fatto à
meno 150 : e questo è assurdo e impossibile. Al contrario, l'esistenza non appar-
tiene alla necessità come una seconda cosa di cui essa avrebbe bisogno, come
invece alla "coloreità" appartiene un'altra esistenza.
Insomma, come potrebbe una cosa esterna alla necessità d'esistenza esser-
ne una condizione? E inoltre, come potrebbe la realtà della necessità d'esisten-
za dipendere da qualcosa che la renderebbe necessaria? 151 Così, infatti, là
necessità d'esistenza in sé sarebbe "possibilità d'esistenza".

coloris, tunc procederet hoc secundum considerationem ceterarum rerum communium,


dìscretarum suis differentiis, et omnino diversarum intentionibus diversis, sed oporteret ut
esse esset acquisitum ad hoc ut esset eius necessitas. lgitur proprietas esset sic quod in ali·
quo indigeret ea in quo non indiget ea, quod est absurdum, inconveniens, et quod esse esset
illi quiddam. Sed certitudo esse illius quod est necesse non eget aliquo secundo esse quoò
sequatur, sicut certitudo coloris eget esse quod sit ei causa essendi, et, cum hoc, certitudo
necessitatis essendi quomodo pendebit ex aliquo dante sibi necessitatem? Tunc enim neces-
sitas essendi in se esset possibilitas essendi.
804 [354]

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. ·~ .~\ll.:r ~

Incipiam ergo a capite et dicam omnino quod per differentias et alia similia non certifi-
catur certitudo intentionis generalis quantum ad intentionem eius, sed fortasse sunt causa ad
constituendum certitudinem habendi esse. Rationale enim non est condicio ut ex ea pendeat
animai quantum ad intentionem animalis et certitudinem eius, sed ad hoc ut habeat esse
signatum. Si autem ipsum necesse esse esset [411] intentio communis et esset differentia
qua egeret ad hoc ut necesse esse haberet esse, tunc id quod esset ei quasi differentia esset
intra quidditatem eius quod est quasi genus. Dispositio autem in qua cadit diversitas non dif-
ferentialis in omnibus his manifestior est; probatum est igitur quod in necessitate essendi
non est communicatio. Igitur primo nihil communicat; postquam autem liberum est amate-
ria et ab eius appendiciis et ab omni corruptione, sed utraque haec sunt condicio eius quod
cadit sub contrarietate, tunc primus non habet contrarium.
TRATTATO OTTAVO- SEZIONE QUINTA 805

[354] Ricominciamo da capo e diciamo che, insomma, non è in virtù delle


differenze o di cose simili che si realizza la realtà dell'intenzione del genere in
quanto tale: esse sono soltanto una causa del fatto che la realtà sia costituita
come esistente; "razionale" non è, infatti, una condizione da cui l'animale
dipende in quanto gli appartengono l'intenzione e la realtà dell'animale ed è
invece [una condizione] perché [l'animale] sia un determinato esistente. Ma se
l'intenzione comune [o generale] fosse lo stesso necessariamente esistente e si
avesse bisogno della differenza perché il necessariamente esistente fosse esi-
stente, ecco che in una certa quiddità, che è come il genere, si sarebbe intro-
dotto qualcosa che è come la differenza, [e questo è assurdo]. Nel caso, poi, in
cui si abbia una differenza non specifica, è ancor più manifesto 152 come stiano
le cose 153 •
È evidente, dunque, che la necessità d'esistenza non è compartecipata in
questo senso e che il Primo, quindi, non ha socio. Esso, infatti, è libero di
ogni materia e dei vincoli [materiali] ed è libero da corruzione. E poiché
[queste determinazioni] sono entrambe una condizione che si accompagna a
quel che cade sotto la contrarietà, il Primo non ha contrario. Ed è chiaro,
allora, che il Primo - altissimo e grande - non ha genere, né quiddità, né qua-
lità, né quantità, né "dove", né "quando", né pari, né socio, né contrario, [ed è
chiaro che] non ha definizione e che per esso non c'è dimostrazione e che,
anzi, Esso è la dimostrazione per ogni cosa mentre di Esso non si danno che
chiare indicazioni.
[È chiaro poi che], se stabilisci la sua [esistenza, il Primo] sarà descritto,
successivamente al fatto che è, soltanto negandone le similitudini e afferman-
done tutte le relazioni. Ogni cosa, infatti, proviene dal [Primo] che non è asso-
ciato a nulla di ciò che ne proviene; è principio di ogni cosa, non essendo nes-
suna delle cose che sono dopo di Esso 154 •

Iam igitur manifestum est quod primus non habet genus nec quidditatem nec qualitatem
nec quantitatem nec quando nec ubi nec simile sibi nec contrarium, qui est altissimus et glo-
riosus, et quod non habet definitionem, et quod non potest fieri demonstratio de eo, sed ipse
est demonstratio de omni quod est, immo sunt de eo signa manifesta. Cum autem designatur
eius certitudo, non designatur nisi post anitatem, per negationem consimilium ab ipso et per
affirmationem relationum ad ipsum, quoniam omne quod est ab ipso est, et non est commu-
nicans ei quod est ab ipso; ipse vero est omne quod est, et tamen non est aliquod ex his.
806 '!'OO
[355]

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VI
CAPITULUM DE OSTENDENDO QUOD IPSUM EST PERFECTUM ET PLUS QUAM PERFECTUM
ET BONITAS ATIRIBUENS QUICQUID EST< ... > ET QUOMODO EST HOC
ET QUOMODO SCIT SEIPSUM ET QUOMODO SCIT UNIVERSALIA ET QUOMODO SCIT PARTICULARIA
ET QUALITER NON CONCED!TUR DICI QUOD IPSE EA APPREHENDAT

[412] Necesse esse est perfectum esse. Nam nihil deest sibi de suo esse et de perfectio-
nibus sui esse, nec aliquid generis sui esse egreditur ab esse eius ad aliud a se, sicut egredi-
tur ab alio a se, verbi gratia ab homine: multa etiam de perfectionibus sui esse desunt unicui-
que homini et etiam sua humanitas invenitur in alio a se. Sed necesse esse est plus quam
perfectum, quia ipsum esse quod est ei non est ei tantum, immo etiam orune esse est exube-
rans ab eius esse et est eius et flui t ab ilio.
807

SEZIONE SESTA

CHE [IL PRIMO] È COMPLETO, ANZI PIÙ CHE COMPLET0 155 ,


CHE È BENE E CHE DONA A OGNI COSA CHE È DOPO DI SÉ;
CHE È REALE, CHE È UN'INTELLIGENZA PURA,
CHE HA INTELLEZIONE DI OGNI COSA E COME CIÒ AVVENGA;
COME CONOSCA SE STESSO E GLI UNIVERSALI 156 E I PARTICOLARI
E SOTTO QUALE ASPETTO NON È POSSIBILE DIRE CHE NE ABBIA APPRENSIONE 157

Il Necessariamente Esistente è completo nell'esistenza perché non Gli


manca nulla del suo essere né [Gli manca una] delle perfezioni del suo essere
e nulla dello stesso genere del suo essere è esterno al suo essere, esistendo per
qualcosa di diverso da Esso, come accade, invece, a quel che è diverso da
Esso, come l'uomo 158 . [A un individuo umano] mancano, infatti, molte delle
perfezioni dell'essere "uomo" e inoltre il suo "essere uomo" esiste in altro da
lui. Anzi, il Necessariamente Esistente è al di sopra della completezza, perché
sua non è solo l'esistenza che semplicemente Gli appartiene, ma anche ogni
esistenza: [ogni esistenza] ne è come un eccesso, a Esso appartiene e da Esso
fluisce 159 .
Il Necessariamente Esistente per sé è bene puro. Ora, in generale il bene è
ciò che ogni cosa desidera e ciò che ogni cosa desidera è l'esistenza o la perfe-
zione dell'esistenza riguardo all'esistenza stessa 160 . L'inesistenza, invece, non
è desiderata in quanto è inesistenza, ma in quanto ad essa seguono o un'esi-
stenza o una perfezione dell'esistenza; e così, quel che è realmente desiderato
è l'esistenza che è bene (lJayr) puro e perfezione pura.
Il bene in generale è quindi ciò che ogni cosa, ognuna nel proprio dominio,
desidera e in virtù di cui perfeziona la propria esistenza, mentre il male non ha
essenza; esso anzi o è mancanza di sostanza oppure è la mancanza di integrità
dello stato della sostanza. Perciò: l'esistenza è bontà (!Jayriyya) e la perfezione
d'esistenza è [356] la bontà dell'esistenza, e quell'essere cui non si accompa-

Necesse esse per se est bonitas pura, et bonitatem desiderat omnino quicquid est; id
autem quod desiderat ornnis res est esse et perfectio esse, inquantum est esse; privatio vero,
inquantum est privatio, non desideratur nisi inquantum eam sequitur esse et perfectio. Id igi-
tur quod vere desideratur est esse, et ideo esse est bonitas pura et perfectio pura. Et ornnino
bonitas est id quod desiderat omnis res iuxta modulum suum, quoniam per eam perficitur
eius esse; malitia vero non habet essentiam, sed est ve! privatio substantiae ve! privatio utili-
tatis dispositionis substantiae. Igitur esse est bonitas et perfectio [413] essendi est bonitas
808 [356]

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essendi; esse vero cui non coniungitur privatio nec privatio substantiae nec privatio alicuius
quod sit substantiae, sed semper est in effectu, ipsum est bonum purum. Id vero quod est
possibile esse per se non est bonum purum: ipsum enim per seipsum non est necessarium
esse, quia ipsum per se potest pati privationem; quicquid vero potest pati privationem aliquo
modo, ipsum non est omnibus suis modis expers malitiae et imperfectionis. Igitur bonitas
pura non est nisi necesse esse per se. Dicitur etiam bonitas id quod attribuit rebus suas per-
fectiones et suas bonitates. Iam autem claruit quod oportet ut necesse esse per se attribuat
omne esse et omnem perfectionem essendi; hoc igitur modo est etiam bonitas cui non subin-
trat imperfectio nec malitia.
Quicquid autem est necesse esse est veritas; veritas enim cuiusque rei est proprietas sui
esse quod stabilitum est ei; igitur nihil est dignius esse veritatem quam necesse esse. Iam
etiam dicitur veritas id de cuius esse est certa sententia; igitur nihil est dignius hac certitudine
quam id de cuius esse est sententia certa, et cum sua certitudine est semper et cum sua sempi-
temitate est per seipsum, non per aliud a se; ceterarum vero rerum quidditates, sicut nosti,
non merentur esse, sed prout sunt in seipsis, non considerata relatione earum ad necesse esse,
ri"RATfATO OTTAVO- SEZIONE SESTA 809

gna alcuna inesistenza- né l'inesistenza di sostanza, né l'inesistenza di qualcosa


che appartiene alla sostanza - ma che anzi è continuativamente in atto, è bene
puro; quel che invece è per sé possibilmente esistente non è bene puro, perché la
sua essenza per sé non comporta necessariamente che esso abbia per sé l' esisten-
za; la sua essenza, infatti, sopporta l'inesistenza 161 , e ciò che, sotto un certo aspet-
to, sopporta l'inesistenza non è privo di male e di mancanza in tutti quanti i suoi
aspetti. E dunque "bene puro" non è se non il Necessariamente Esistente per sé.
Si può dire "bene", tuttavia, anche di quel qualcosa che fa acquisire alle
cose le perfezioni e i beni e si è rivelato evidente che il Necessariamente
Esistente deve per sé far acquisire ogni esistenza e ogni perfezione d'esisten-
za. Così, anche sotto quest'aspetto il [Necessariamente Esistente], in cui non si
introduce né deficienza né male, è bene 162 •
E ogni [cosa che sia] necessariamente esistente è reale perché la realtà 163 di
ogni cosa consiste nel fatto che le sia propria l'esistenza che le è stabilita, cosic-
ché non vi è niente di più reale del Necessariamente Esistente. Ma poiché si può
dire "reale" anche di ciò della cui esistenza si è convinti con veridicità, niente ha
più diritto di una tale realtà di ciò della cui esistenza si è convinti con veridicità e
alla cui veridicità [si aggiunge] la continuità e alla cui durata continuativa il fatto
che è per sé, non per altro 164 • Ora, le quiddità di tutte le altre cose - come sai -
non hanno diritto all'esistenza. In se stesse, anzi - tolta la loro relazione con il
Necessariamente Esistente - esse hanno diritto all'inesistenza 165 • Perciò esse,
tutte, in se stesse sono vane, mentre sono reali in virtù del [Necessariamente
Esistente] e si attuano in relazione all'aspetto che segue da Esso; per questo "ogni
cosa è peritura, salvo il Suo volto" 166, e il [Necessariamente Esistente] ha più [di
ogni cosa] il diritto di essere reale.
Il Necessariamente Esistente è un'intelligenza pura, perché è un'essenza
separata dalla materia sotto ogni aspetto. Ora, tu sai già che sono la materia e
[le cose] legate ad essa la ragione per cui non si ha intellezione di qualcosa, e
non la stessa esistenza [della cosa]; l'esistenza formale, invece, è l'esistenza
intellettuale ed è quell'esistenza che, una volta stabilita riguardo a una data
cosa, per questa vi è un atto di intellezione ( 'aq/) 167 : quella che può ottenerlo è
un intelletto in potenza, quella che lo ottiene dopo la potenza è un intelletto in
atto, nel senso del perfezionamento; quella [357] per cui, invece, esso è la

merentur privationem; et ob hoc sunt omnes, prout sunt in seipsis, falsae, sed propter ipsum
est certitudo earum, et respectu faciei sequentis sunt acquisita, et ob hoc omnis res perit nisi
secundum id quod est versus faciem eius; et ideo dignius est ut sit ipse necesse esse et veritas.
[414] Et <est> intelligentia pura, quoniam est essentia separata a materia omni modo.
Iam autem nosti quod causa de hoc quod res non intelligitur, materia est et appendicia eius,
non esse rei; esse vero formale est esse intelligibile, et hoc est esse quod, postquam quiescit
in re, fit per illud rei intelligentia. Sed quod aptum est recipere illud, est intelligentia in
potentia quae, cum recipit illud, post potentiam fit intelligentia in effectu secundum viam
perveniendi ad perfectionem; id vero cuius essentia est intellìgentia, est intelligentia essen-
810 ·rov [357]

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tialiter et ideo est purum intellectum. Quod enim prohibet rem intelligi est hoc quod ipsa est
in materia et in eius appendiciis, et hoc est prohibens ne sit intelligentia, et iam notum est
tibi hoc; quod igitur liberum est a materia et ab eius appendiciis, quod certificatum est habe-
re esse separatum, id est intellectum per se. Sed, quia est intelligentia per se et est etiam
intellectum per se, tunc etiam est intellectum a se; igitur ipse est intelligentia apprehensionis
et intelligens apprehensor et intellectum apprehensum. Non quod ibi sint res multae: ipse
enim, inquantum est identitas spoliata, est intelligentia et, inquantum consideratur ipse quod
sua identitas spoliata est sibi ipsi, est intellectum a seipso et, inquantum consideratur ipse
quod ipse est sibi identitas spoliata, est apprehensor intelligens seipsum. Intellectum enim
apprehensum et scitum intelligibile est id cuius quidditas spoliata est alicui, et intelligens
apprehensor sciens est id cuius est quidditas quae spoliata [415] est alicui. Non est autem de
condicione huius rei ut sit ipsum vel aliud a se, sed aliquid absolute; aliquid vero absolute
communius est quam ipsum vel aliud. Primus igitur, secundum considerationem tuam quod
TRATIATO OTIAVO- SEZIONE SESTA 811

stessa essenza è un'intelligenza ('aql) per sé ed è allo stesso modo un intelligi-


bile puro. Ciò che impedisce a una cosa di essere intelligibile è, infatti, il fatto
che essa è nella materia e nei suoi vincoli che è, poi, anche ciò che le impedi-
sce di essere intelligenza. E questo ti è ormai evidente.
Ora, ciò che è privo della materia e dei vincoli con essa, ciò che ha realtà
secondo l'esistenza separata 168 è per sé intelligibile (ma'qiilli-d.iiti-hi) e poiché
è per sé (bi-çliiti-hi) un'intelligenza ed è anche per sé intelligibile, è un intelletto
della sua essenza (ma 'qill d.iiti-hi) e dunque la sua essenza è intelligenza e intel-
ligente e intelligibile [o intelletto], senza che in ciò vi siano cose molteplici 169 .
Ed ecco poi perché: in quanto è un'identità astratta [dalla materia], è intelligen-
za; in quanto lo si considera perché la sua identità astratta è della sua essenza, è
intelligibile (ma 'qiil) per se stesso; in quanto, poi, lo si considera perché la sua
stessa essenza che gli appartiene è un'identità astratta, è intelligente se stesso.
Ciò che è intelligibile [o intelletto] (ma' qii l) è infatti ciò la cui quiddità astratta
è di una cosa; ciò che è intelligente è ciò cui va la quiddità astratta di una cosa.
E per questa certa cosa non è una condizione essere essa stessa o un'altra, ma
solo essere una cosa in modo non determinato (muflaq), laddove essere una
cosa in modo non determinato è più generale del fatto di essere quella stessa
cosa o una diversa. Così, in considerazione del fatto che 170 ha la quiddità astrat-
ta di qualcosa, il Primo è intelligente; in considerazione del fatto che 171 la sua
quiddità astratta è di qualcosa- essendo questo qualcosa Esso stesso- è intelli-
gibile [o intelletto]. È intelligente, quindi, in quanto Gli appartiene la quiddità
astratta di qualcosa, che è poi la sua stessa essenza, ed è intelletto in quanto la
sua quiddità astratta è di qualcosa che è la sua stessa essenza 172 •
E chiunque si soffermi un poco a pensare sa che quel che è intelligente
esige che vi sia qualcosa di intelligibile, senza però che ciò implichi che que-
sto qualcosa sia altro o esso stesso. Anzi, lo stesso mobile, esige che vi sia
qualcosa che [lo] muova, ma non è che ciò comporti necessariamente che [a
muoverlo] sia esso stesso o un'altra cosa: a renderlo necessario è un altro tipo
di indagine. Ora, il fatto che è impossibile che ciò che muove sia la stessa cosa
che è mossa si è rivelato evidente 173 ; ma proprio per questo, fino al momento
in cui non si è stabilita la dimostrazione di tale impossibilità, a un nutrito

est ei quidditas rei spoliatae, est apprehensor intellector, sed, secundum considerationem
tuam quod sua quidditas spoliata est alìcui, est intellectum apprehensum, et haec res est
ipsemet. lgitur ipse est intellector apprehensor, eo quod sua quidditas spoliata est rei quae
est ipsemet, et est intellectum, eo quod sua quidditas spoliata est res quae est ipsemet.
Qui autem aliquantulum cogitaverit, sciet quod intellector innuit intellectum, sed haec
innuitio non dat intelligi quod illud sit aliud ve! illud, sicut id quod movetur, quamvis innuat
movens, haec ipsa tamen innuitio non facit debere illud esse aliud ve! ipsum, sed alius
modus inquisitionis facit debere hoc. Manifestum est autem absurdum esse ut id quod move-
tur sit principium sui motus tali manifestatione quae ignoratur naturaliter, sed acquiritur
argumentatione; et idcirco non fuit impossibile multis imaginare quod in rebus esset aliquid
812 [358]

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quod moveret se, usque ad tempus il!ius qui monstravit hoc esse impossibile. Sed imaginatio
de hoc quod aliquid movetur et movet non facit debere ut id quod movetur faciat motorem
esse absque condicione essendi [416] illud ve! aliud, ve! motor faciat debere ut id quod
movetur ab eo sìt absque condìcione essendì alìud ve! ìllud. Sìmilìter relativorum cognoscì-
tur anitas per aliquid, non per ipsam comparationem et relationem in intellectu positam.
Scimus enim certissime nos habere virtutem qua intelligimus res et virtus qua intelligimus
hanc virtutem, ve! est haec eadem virtus et sic ipsa eadem intelliget seipsam, ve! alia virtus
intelligit hoc, et sic erunt in nobis duae vires: una quae intelligit res, et alia qua intelligimus
ipsam virtutem, et concatenabitur verbum usque in infinitum, quia erunt in nobis vires infi-
nitae in effectu quae intelligunt res. Iam igitur claruit quod ipsam rem esse intellectam, non
facit debere ipsam intellectam esse ab aliquo quod si t aliud a se. Et per hoc etiam monstratur
quod intellector non facit debere se esse intellectorem alterius rei; omne autem a quo quiddi-
tas spoliata invenitur est intelligens, et omnis quidditas spoliata quae apprehenditur a se ve!
ab alio est intellecta, eo quod haec quidditas est intelligens seipsam et ipsa a seipsa est etiam
intellecta et ab omni quidditate spoliata quae differt ab ea.
Iam igitur intellexisti quod ipsum esse intelligentem et intellectum [417] non facit
necessario esse duo in essentia nec in respectu etiam, quia non acquiritur his duobus nisi
TRATTATO OTTAVO- SEZIONE SESTA 813

gruppo di persone non è stato impossibile rappresentarsi che, fra le cose, ve ne


fosse una che si muove da sé 174 . Infatti, non è il fatto stesso di rappresentarsi il
motore e il mosso a rendere necessaria questa [impossibilità]: quel che è
mosso comporta necessariamente che vi sia un principio che lo muove, in
assoluto (muf[aq), ma non a condizione che questo sia un altro o se stesso; e il
motore comporta necessariamente che vi sia una cosa che ne è mossa, ma non
a condizione che sia un'altra o esso stesso 175 .
[358] E analogamente la dualità delle [cose] relative si conosce per via di
un certo argomento (li-amnn) e non a causa dello stesso rapporto e della rela-
zione supposti nella mente. Infatti, noi sappiamo in modo certo di avere una
potenza in virtù della quale abbiamo intellezione delle cose: ora, o la potenza
in virtù della quale abbiamo intellezione di questa potenza è questa stessa
potenza- in modo tale che sarà essa stessa ad avere intellezione di se stessa -
oppure, ad averne intellezione sarà un'altra potenza; in questo modo noi
avremmo allora due potenze: una potenza in virtù della quale avremmo intel-
lezione delle cose e una potenza in virtù della quale avremmo intellezione di
questa stessa potenza. Ma così il discorso si concatenerebbe all'infinito: in
noi, cioè, vi sarebbero potenze che hanno intellezione di cose all'infinito, in
atto. È quindi evidente che il fatto stesso che una cosa sia intelletta non com-
porta necessariamente che essa sia intelletta da una cosa 176 , essendo tale cosa
altra [rispetto ad essa].
E con ciò è anche evidente che il fatto che vi sia un [ente] intelligente non
comporta che esso abbia intellezione di una cosa altra da sé. Anzi, tutto ciò la
cui quiddità esiste astratta è intelligente, e ogni quiddità astratta che esista è un
intelligibile (ma 'qui): esista [per la cosa stessa] o per qualcosa di diverso.
Infatti, questa quiddità è per se stessa intelligente e per se stessa è anche intel-
ligibile per ogni quiddità astratta, sia questa separata o meno da essa. Hai
quindi di certo capito che il fatto stesso che [ciò che è intelligente] sia intelli-
gibile e intelligente non comporta che vi siano due [entità], né per quanto
riguarda l'essenza né per quanto riguarda la considerazione che se ne ha. Porre
in essere le due cose non significa, infatti, se non considerare, da una parte,
che vi è una quiddità astratta per l'essenza [di ciò che è intelligente] e,
dall'altra, che esso è una quiddità astratta cui appartiene la sua essenza 177 ; qui
vi sono dunque un'anteriorità e una posteriorità che riguardano l'ordinamento
delle intenzioni, ma l'oggetto dato è una sola cosa, senza divisione 178 • E perciò
è evidente che il fatto che esso sia intelligente e oggetto di intellezione non vi
comporta alcuna molteplicità.

respectus quod quidditas sua per seipsam spoliata est sibi ipsi, et eo quod sua quidditas et
sua essentia spoliata est sibi ipsi, sed hic est prioritas et posterioritas in ordinatione intentio-
num. Intentio enim quae acquiritur manifesta est et una sine divisione. Iam igitur patuit quod
suum esse intelligentem et intellectum non facit debere esse multitudinem in eo ullo modo.
814 [359]

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Non potest autem esse ut necesse esse intelligat res per res. Si enim sic esset, tunc essentia
eius constitueretur ex eo quod intelligeret, et sic eius constitutio fieret ex rebus <... >. Et
esset quod, si non essent res extrinsecae, non esset cum hac dispositione, et esset ei disposi-
tio quae non proveniret si bi ex seipso, sed ex alio a se, et tunc ab al io a se fieret impressio in
ipsum; radices autem quae praemissae sunt destruunt hoc et quicquid simile est huic.
Sed quia ipse est principium omnis esse, tunc intelligit ex seipso id cui ipse est princi-
pium, et quod ipse est principium eorum quae sunt perfecta in singularitate sua, et eorum
quae sunt generata corruptibilia, secundum suas species, uno modo, et secundum sua indivi-
dua, alio [418] modo. Non potest autem esse ut ipse sit intellector istorum variorum cum sua
variatione secundum quod sunt variabilia, intellectu temporali individuali, sed alio modo
quem ostendimus. Non enim potest esse ut ipse aliquando intelligat intellectu temporali
quaedam ex eis esse, et aliquando intelligat intellectu temporali quaedam ex eis non esse,
quia tunc unicuique istorum duorum esset forma intelligibilis per se; nulla enim duarum for-
marum remanet cum secunda; tunc igitur necesse esse esset variabilis essentiae. ltem si cor-
ruptibilia non intelliguntur nisi secundum quidditatem spoliatam et secundum quod sequitur
ea id per quod non individuantur, tunc non intelliguntur secundum quod sunt corruptibilia.
TRATIATO OTIAVO- SEZIONE SESTA 815

Non è poi ammissibile che il Necessariamente Esistente abbia intellezione


delle cose a partire dalle cose stesse. Se così fosse, la sua essenza sarebbe
costituita da quel qualcosa di cui avrebbe intellezione e sussisterebbe, quindi,
in virtù delle cose; oppure, le "accadrebbe" di avere intellezione ed essa non
sarebbe necessariamente esistente sotto ogni aspetto, e questo è impossibile 179 .
Inoltre, se non vi fossero cose all'esterno, [il Necessariamente Esistente] non
sarebbe nello stato [di avere intellezione] e gli apparterrebbe così uno stato
che non conseguirebbe dalla sua essenza, ma da qualcosa di diverso da Esso,
perché qualcosa di diverso da Esso avrebbe influenza su di Esso. I principi che
si sono precedentemente stabiliti rendono tuttavia vana questa [ipotesi] [359] e
quanto le somiglia. Invece, poiché il [Necessariamente Esistente] è il principio
di ogni esistenza, Esso ha intellezione a partire da se stesso di ciò di cui è prin-
cipio ed è principio degli esistenti completi, nella loro singolarità, mentre
degli esistenti che si generano e si corrompono [è principio] nelle loro specie
in modo primario e, per mediazione di ciò, nei loro individui.
Ma anche sotto un altro aspetto non è ammissibile che [il Principio] abbia
intellezione di questi [enti] mutevoli con tutto il loro mutare, in quanto sono
mutevoli, e cioè con un'intellezione temporale e individuale; [è vero che ne ha
intellezione], invece, in un altro modo che mostreremo. Non è ammissibile,
infatti, che Esso abbia intellezione di [tali enti] avendo un'intellezione tempo-
ralmente determinata, così da avere intellezione del fatto che essi talvolta sono
esistenti, non inesistenti, e talvolta sono inesistenti, non esistenti. Così, infatti,
per ognuno dei due casi vi sarebbe una forma intelletta a parte 180 e, non per-
manendo nessuna delle due forme con l'altra, il Necessariamente Esistente
risulterebbe mutevole nell'essenza. Inoltre, se le [cose] che si corrompono
sono intellette nella [loro] quiddità astratta e in quel che di non individuato le
consegue, esse non sono intellette in quanto corruttibili; ma se, invece, venis-
sero percepite in quanto si accompagnano a una materia, alle cose che accado-
no a una materia, a un [determinato] tempo e a una [determinata] individua-
zione181, esse non sarebbero intellette, bensì .sentite o immaginate. Abbiamo
messo in evidenza in altri libri che ogni forma sensibile - e ogni forma imma-
ginativa- si percepisce, in quanto sensibile o immaginativa, soltanto con un
organo divisibile in partP 82 . E, come stabilire molti atti per il Necessariamente
Esistente [significherebbe] attribuirgli una mancanza, così sarebbe stabilire
molteplici intellezioni.

Cum enim apprehenduntur secundum quod commiscentur materiae et accidentibus materiae


et tempori et individualitati, tunc non sunt intellecta, sed sensata vel imaginata: nos autem
iam ostendimus in aliis libris quod omnis forma sensibilis et imaginabilis non apprehenditur
secundum quod est sensibilis et imaginabilis, nisi cum instrumento divisibili. Et, sicut attri-
buere aliquas ex multis actionibus ei quod est necesse esse est ei imperfectio, sic etiam attri-
buere ei multa ex modis intelligendi.
816 [360]

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Sed necesse esse non intelligit quicquid est, nisi universaliter, et tamen cum hoc non
deest ei aliquod singulare, et ideo "non deest ei id [419] quod minimum est in caelis et in
terra", et hoc est de mirabilibus quod non potest imaginare nisi qui fuerit subtilis ingenii.
Sed quomodo sit hoc, ratio haec est: quia enim ipse seipsum intelligit et quod ipse est princi-
pium omnis quod est, utique intelligit principia eorum quae sunt ab eo et quicquid nascitur
ab eis, et quod quicquid est ex rebus omnino est necessarium esse propter eum; et iam osten-
dimus hoc. Igitur istae causae reducentur ad ea quae proveniunt ex eis, quousque proveniant
ex eis res particulares. Quia enim primus novit causas et quae continentur sub eis, tunc
etiam novit necessario id ad quod reducuntur, et tempora quae sunt inter ea, et quotiens
reducuntur; impossibile est enim ut sciat illa et nesciat ista; est igitur apprehendens res parti-
culares inquantum sunt universales, scilicet inquantum habent proprietates. Si autem appro-
priatur eis individuum, hoc erit respectu temporis alicuius ve! dispositionis alicuius. Si vero
accipiatur illa dispositio cum proprietatibus suis, erit etiam in ordine eorum, sed abstrahetur
a principiis cuiusque eorum, scilicet sua species a suis individuis; unde abstrahetur a rebus
individualibus; iam autem diximus quod sic abstrahi iam ponit individuis descriptionem et
proprietatem eorum propriam. Si autem fuerit illa species sic ut etiam apud intellectum sit
[420] individuum, erit tunc intellectui via ad illud descriptum, et hoc est individuum quod
est unum in sua specie, cui non est alterum, sicut sol, verbi gratia, ve! Tupiter. Si vero fuerit
TRATIATO OTIAVO- SEZIONE SESTA 817

Piuttosto, dunque, il Necessariamente Esistente ha intellezione di ogni cosa


soltanto in modo universale e, nonostante ciò, non gli sfugge nessuna cosa
individua né gli sfugge un granello di polvere né nei cieli né sulla terra 183 . Ed
è questa una di quelle meraviglie che per esser rappresentate hanno bisogno di
un'intelligenza sottile.
Quanto a come ciò [accada] 184 , ebbene: quando [il Primo] ha intellezione
di Sé e di essere il principio (mabda ') di ogni esistente, ha intellezione dei
principi (awa'il) degli esistenti che provengono da Sé e di ciò che a partire da
questi si genera. Nessuna delle cose esiste se non in quanto, in ragione di
Esso, è divenuta sotto un certo aspetto necessaria; questo lo abbiamo già reso
evidente. Ora, sono queste cause (asbab) a far sì che- in virtù delle loro colli-
sioni - esistano [360] a partire da esse le cose particolari 185 ; e (wa) il Primo
conosce le cause e le loro corrispondenze 186 e conosce quindi obbligatoria-
mente ciò cui esse conducono 187 , i tempi che intercorrono fra di esse e le loro
ricorrenze. Non è, infatti, possibile che [il Primo] conosca quelle [cause] senza
conoscere tutto ciò; [il Primo], quindi, coglie le cose particolari in quanto uni-
versali; intendo dire in quanto hanno degli attributi; se [poi] con [tali attributi
le cose] vengono determinate individualmente, [ciò avviene] in relazione a un
tempo individuale o a uno stato individuale. Se tale stato si prendesse in consi-
derazione con i suoi attributi, si troverebbe al loro stesso livello, ma esso si
fonda su princip1 188 la specie di ognuno dei quali è nel loro individuo e si
fonda quindi su cose individuali; e abbiamo già detto che il fatto di essere fon-
dato [su di esse]i 89 può attribuire alle [cose] individuali una descrizione e una
qualificazione che valgono limitatamente per queste. Ora, se tale individuo è
qualcosa di individuale anche nell'intelligenza, [vuol dire che] per l'intelletto
vi è una via [d'accesso all'individuo] che è così descritto; esso allora è l'indi-
viduo che è unico nella sua specie e non ha eguale 190, come la sfera del sole
per esempio, o quella di Giove. Invece, se la specie si diffonde 191 in molti
individui, l'intelletto non ha una via per giungere a descrivere tale cosa 192 se
non in quanto essa è designata in principio, come sai 193 •
Torniamo [sull'argomento]. Tu conosci- diremo- tutti i movimenti cele-
sti e conosci così ogni eclissi, ogni congiunzione e ogni particolare separazio-
ne che avviene in concreto, e tuttavia [tutto ciò lo conosci] in modo universa-
le. A proposito di una certa eclissi dirai, infatti, che si tratta di un'eclissi che
avviene dopo il tempo di un certo movimento, che è da qui a lì, che è setten-
trionale, dimidiale, che da qui la luna si separa per raggiungere la posizione

species dilatata in individuis, tunc non erit via intellectui ad descriptionem alicuius sui indi-
vidui nisi prius designetur ei, sicut tu iam nosti.
Redibo igitur et dicam quod, si tu scires motus omnium caelestium, scires etiam omnem
eclipsim et omnem applicationem et disiunctionem quae est ei secundum modum universa-
lem, ita quod diceres de aliqua eclipsi quod, post tempus motus qui est de tali ad talem, erit
septentrionalis dimidialis, et quod luna discedens ab ea veniet ad oppositionem talem, et
818 [361]

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quod inter hanc et aliam eclipsim consimilem praeteritam ve! futuram erit tantum temporis,
et similiter scires quae est dispositio inter alias duas eclipses, ita quod non erit aliquid de his
quae accidunt his eclipsibus quod tu nescias, sed tu scires hoc universaliter. Haec enim
intentio potest dici de multis eclipsibus quia uniuscuiusque earum dispositio est haec dispo-
sitio; tu vero scies aliqua ratione quod illa eclipsis non est nisi una tantum, sed hoc non
removet universalitatem, si memor es eorum quae praediximus. Sed, cum omni hoc, fortasse
non poteris iudicare modo per hoc esse hanc eclipsim ve! non esse, nisi scieris singularia,
scilicet videndo motus sensibiliter, et [421] scieris quantum temporis est inter hanc ec!ipsim
visam et illam, sed tamen non est hoc te scire quod de moti bus est unus motus cuius disposi-
rio est talis qualem tu vidisti, et quod inter illam et eclipsim talem est tantum temporis; hoc
autem tu potes scire hoc modo sciendi, sed tamen tu non scies illud ea hora qua dubitabis de
eo an illae sint an non, sed oportet ut iam acquisitum sit tibi per visum aliquid assignatum ei
per quod scias dispositionem illius eclipsis.
Si autem negaverit aliquis hoc vocari cognitionem particularis modo universali, non
contendam cum eo; nostra enim intentio nunc alia est ab hoc, scilicet ad faciendum cogno-
scere quomodo res particulares sciuntur et apprehenduntur tali scientia et apprehensione
TRATIATO OTIAVO- SEZIONE SESTA 819

contraria, che tra questa eclissi e una simile che la precede o che la segue c'è
un determinato tempo e così analogamente tra lo stato [che separa) altre due
eclissi; in tal modo, tu non misuri 194 nessun accidente di tali eclissi se non per-
ché ne hai avuto scienza 195 , e tuttavia ne hai scienza 196 in modo universale.
Infatti, una tale determinazione potrebbe essere attribuita a molteplici eclissi la
cui situazione fosse, per ognuna, questa stessa situazione, anche se tu sai, per
via di una certa prova, che tale eclissi non è che una [361) nella sua identità.
Eppure ciò non esclude l'universalità, se ricordi quanto abbiamo sostenuto in
precedenza 197 • Ora, nonostante tutto ciò, non ti sarà possibile giudicare 198 in
questo momento dell'esistenza dell'eclissi o della sua non esistenza, a meno
che tu non conosca le particolarità dei movimenti, osservandoli in modo sensi-
bile, e non sappia, quindi, quale intervallo [di tempo] vi sia tra questo [feno-
meno], di cui sei testimone, e quella certa eclissi. Questa conoscenza non è la
stessa che tu hai del fatto che fra i movimenti ve ne è uno particolare, il cui
modo 199 è il modo di quelli che tu hai osservato [personalmente] o che fra esso
e questa seconda eclissi particolare vi è un tale [intervallo di tempo]; tutto
questo, infatti, puoi saperlo con questa specie di scienza, pur non sapendolo,
però, in quel certo momento in cui non si sa se [l'eclissi] si verifica; invece,
perché tu conosca lo stato [in cui si verifica] quell'eclissi, è necessario che tu
abbia appreso con l'osservazione qualcosa di designabile.
E se qualcuno considerasse impossibile chiamare questa una conoscenza
del particolare200 in quanto "universale", con lui non si discuterà. Infatti, quel
che noi ora ci proponiamo riguarda qualcosa di diverso. Noi [siamo intenti] a
far conoscere, cioè, come si abbia scienza e apprensione delle cose particolari
in modo tale che con esse muti il [soggetto] conoscente e come, invece, se ne
abbiano una scienza e un'apprensione 201 in cui colui che conosce non muta.
Ora, che tu conosca quel che riguarda le eclissi con .J.' esistenza che è la tua
-o persino essendo continuativamente esistente- avrai scienza non dell'eclis-
si assoluta202 , ma di ogni eclissi che si verifica, e tuttavia né l'esistenza di tale
eclissi, né la sua inesistenza produrranno in te alcun mutamento. La tua scien-
za in entrambi gli stati sarà una [stessa scienza] e consisterà [per esempio nel
sapere che] una certa eclissi esiste avendo tali attributi dopo un'altra o dopo
che il sole si è trovato in Ariete, in tal periodo, avvenendo dopo un tal [feno-
meno] ed essendovi dopo di esso il tale [altro fenomeno]; [stabilire] tale

quod per eas variatur sciens et quomodo sciuntur scientia et apprehensione quod per eas non
variatur sciens. Tu enim, si scires de eclipsi quomodo invenitur, et tu esses semper, profecto
esset tibi scientia non de eclipsi absoluta, sed de omni eclipsi quae fit, et tamen esse iJJam
eclipsim et non esse non variaret in te aliquid. Tua enim scientia in duabus dispositionibus
esset eadem, scilicet quod eclipsis, quae est cum talibus proprietatibus, esset post talem ecli-
psim ve! post esse solis in ariete taliter et tali momento, et quod esset post talem eclipsim et
820 T'" [362,1-11]

_,è '~.J .JI~j jj.>-~ 'd.s.iliJ.J\II.;s:J.J 'JI.J Jl.j ..:..:l.JI.J... '·~~~.,bi


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fJ-1,;-_~,.1\ Y'.J o..)'r:JI.J ~! r~ .J"'-' ,_,_~l~ ~o\ .illj

quod post eam esset talis, et haec sententia esset in te certa, scilicet quod esset ante illam
eclipsim et cum illa et post illam. Si autem, interposito tempore in hoc, cognosceres quod in
hoc instanti haec eclipsis non est, sed in alio, tunc non remanerct illa tua scientia quae tunc
est, sed fieret alia scientia, et esset quasi variatio quam praesignavimus, quia non potest esse
ut in hora qua removetur eclipsis sis secundum hoc quod [422] fuisti ante remotionem, et
hoc est quia es temporalis et momentaneus. Primus vero, qui non subest tempori nec eius
iudicio, multo remoti or est ab hoc ut ipse iudicet in hoc tempore, ve! in illo, secundum quod
eclipsis est in illo, et secundum quod iudicium de ea est novum vel cognitio nova. Scias
etiam quod tu non pervenisti ad scientiam eclipsium particularitJm, nisi per hoc quod com-
prehendisti omnes earum causas, et quod comprehendisti quicqtJid est in caelo de motibus;
postquam autem comprehendisti omnes causas et esse earum, movisti te ad omnia causata.
TRATIATO OTTAVO~ SEZIONE SESTA 821

nesso 203 da parte tua sarebbe cosa veridica prima de li' eclissi, contemporanea-
mente ad essa e anche dopo di essa.
Ma se invece in questa [conoscenza] introduci il tempo, apprendi in un
dato istante che questa data eclissi non è esistente e poi in un altro istante che
è esistente, cosicché questa tua conoscenza non permane tale in corrisponden-
za dell'esistenza [dell'eclissi]. Al contrario, per te si produce un'altra scienza,
perché in te vi è il mutamento cui abbiamo accennato. E nel momento in cui
[il fenomeno] cessasse non sarebbe valido [affermare] che tu sei come eri
[362] prima della sua cessazione, e questo in quanto tu sei nel tempo e
nell'istante. Ma il Primo 204 , che non entra nel tempo e nel suo statuto, è ben
lontano dal dare un giudizio in questo o quel tempo, quasi fosse nel [tempo] e
da parte sua vi fossero un nuovo giudizio e una nuova conoscenza205 •
Ora, [in tale ipotesi] - sappilo -tu giungevi a percepire le eclissi particola-
ri soltanto per via del fatto che avevi una conoscenza comprensiva di tutte le
loro cause e di ogni cosa che è nel cielo; se infatti la conoscenza è comprensi-
va di tutte le loro cause e della loro esistenza, a partire da esse si arriva a tutti
quanti i causati. Noi questo (lo1mostreremo a partire dagli argomenti già svol-
ti e vi aggiungeremo una spiegazione. Saprai allora come il Primo abbia scien-
za dell'Invisibile e come sappia, quindi, a partire da Se stesso ogni cosa e
saprai che ciò avviene perché è principio di ogni cosa e perché ha scienza
delle cose immediatamente206 • [Il Primo] è, infatti, principio di una o di più
cose i cui stato e movimento sono tali, e da cui consegue una data [altra cosa],
fino a quelle che ne seguono in dettaglio 207 ; e questo secondo quell'ordina-
mento che accompagna necessariamente le cose in dettaglio, come avviene
nelle relazioni causali 208 • Tali cose sono le chiavi dell'Invisibile che nessuno,
tranne il [Primo], conosce: Iddio conosce meglio il [mondo] dell'invisibile;
Egli conosce [il mondo] dell'invisibile come [il mondo di cui si dà] testimo-
nianza ed è il Potente e il Sapiente.

Nos autem adhuc a capite revolvemus haec cum additione explanationis ut scias quomo-
do Deus scit absentia, et inde scies quomodo primus scit principia omnium rerum, et quod
una earum est principium alterius rei, et illa altera principium alterius vel aliorum, et quod
earum dispositio et motus sunt tales, et quod ex eis nascitur tale usque ad novissimum post
quod non sequitur aliud, secundum ordinem qui comitatur illud novissimum secundum
posterioritatem et prioritatem, et hae res sunt claves de absentia.
822 [362, 12-18]

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VII
CAPITULUM DE COMPARATIONE INTELLECTORUM AD IPSUM ET DE OSTENSIONE QUOD
EJUS PROPRIETATES AFFIRMAT!VAE ET NEGAT!VAE NON FACIUNT DEBERE ESSE IN SUA ESSENT!A
MULTITUDINEM ET QUOD ILLI EST PULCHRITUDO MAXIMA ET GLORIA ALTISSIMA ET COLLAUDATIO
INFINITA ET DE DISCERNENDA DISPOSITIONE DELECTATIONIS INTELLIGIBILIS

[423] Post haec oportet te scire quod, cum primus dicitur intelligentia, dicitur secundum
intentionem simplicem quam nosti in libro De Anima: ipse enim intelligit res simul, ita ut
per eas non multiplicetur in sua substantia nec ut imaginetur certitudo suae essentiae esse
823

SEZIONE SETIIMA

A PROPOSITO DEL RAPPORTO DEGLI INTELLIGffiiLI CON IL PRIMO


E IN CUI SI CHIARISCE CHE I SUOI ATIRIBUTI, AFFERMATIVI E NEGATIVI,
NON COMPORTANO MOLTEPLICITÀ NELLA SUA ESSENZA E CHE SUOI SONO LO
SPLENDORE PIÙ GRANDE, LA MAGNIFICENZA PIÙ ALTA E LA GLORIA INFINITA.
IN DETIAGLIO SULLO STATO DEL PIACERE INTELLETIUALE

Si deve sapere, poi, che se del Primo si dice che è "intelligenza", lo si dice
in quel senso semplice che hai appreso nel Libro sull'anima: nel [Primo] infat-
ti non c'è una differenza di forme ordinate e distinte, come invece avviene
nell'anima secondo [l'altro] senso [363] che si è esaminato nello stesso Libro
sull'anima 209 • Il [Primo], perciò, ha intellezione delle cose d'un sol colpo,
824 [363]

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hoc quod ipse imaginet eas, sed quod fluunt formae earum ab eo intellectae; unde ipse aptior
est ad hoc ut sit intelligentia quam ipsae formae fluentes a sua intelligibilitate; et quod ipse
intelligit seipsum, et quod ipse est principium omnis quod est. Et scias quod intentio intel-
lecta aliquando sumitur de re quae est, sicut contingit cum nos sumimus de caelo per consi-
derationem et sensum formam eius intellectam, et aliquando forma intellecta non sumitur de
his quae sunt, sed e converso, sicut cum nos intelligimus formam artificialem quam adinve-
nimus et deinde forma illa intellecta movet nostra membra ad hoc ut sit in opere; igitur non
quia fuit ipsa deinde nos intelleximus [424] eam, sed quia intelleximus fuit ipsa. Talis igitur
est comparatio omnis quod est ad primum qui est necesse esse, quia intelligit suam essen-
tiam et quicquid facit debere esse sua essentia, et scit quomodo bonitas si t in omni quod est.
TRATI ATO OTTAVO- SEZIONE SETTIMA 825

senza moltiplicarsi in virtù di esse nella Sua sostanza o senza che esse venga-
no rappresentate nella realtà della Sua essenza secondo le loro forme: le loro
forme fluiscono, piuttosto, [dal Primo], intellette, ed Esso è più degno di esse-
re intelligenza di quanto non lo siano quelle forme che fluiscono dalla Sua
intellettualità. E poiché ha intellezione di Sé stesso e del fatto che è principio
di ogni cosa, il [Primo] ha intellezione da Sé stesso di ogni cosa210 •
Ora, sappi che l'intenzione intelligibile può esser ricavata dalla cosa esi-
stente, come a noi accade di ricavare dalla sfera [celeste] la sua forma intelli-
gibile, con l'osservazione e i sensi; oppure può anche essere che la forma
intelligibile non sia ricavata da ciò che esiste 211 , e che avvenga l'inverso, come
quando abbiamo intellezione di una forma architettonica che abbiamo escogi-
tato: è tale forma intelletta a muovere poi le nostre membra fino a che noi la
facciamo esistere; non è, quindi, che [la forma] fosse esistente e che noi ne
abbiamo poi avuto intellezione: invece ne abbiamo avuto intellezione così che
essa poi esiste. E questo è il rapporto del Tutto con la Prima intelligenza,
necessariamente esistente. [La Prima intelligenza], infatti, ha intellezione della
propria essenza e di ciò che essa rende necessario e a partire dalla propria
essenza sa come sia il bene nel Tutto. Ecco quindi che la forma delle cose esi-
stenti segue la forma intelletta212 secondo l'ordine che è intelletto presso [la
Prima intelligenza]. Non è che [la forma delle cose] segua come la luce segue
ciò che è luminoso e il riscaldamento ciò che è caldo. Invece [il Primo] sa
come sia l'ordinamento del bene nell'esistenza! Sa che esso proviene da Sé e
che da tale [Suo] stato di scienza fluisce l'esistenza, secondo l'ordinamento di
cui ha intellezione come bene e ordine213 •
[Il Primo] è amante della propria essenza la quale, in quanto è la sua essen-
za, è principio di ogni ordinamento e bene 214 , cosicché l'ordinamento del bene
viene ad essere [per il Primo] un amato per accidente, anche se [Il Primo] non
vi è mosso da un desiderio: Esso, infatti, non ne subisce affatto [l'azione] e
non desidera nessuna cosa, né la ricerca. Ed è questa la Sua volontà, priva di
una mancanza che possa procurargli un desiderio o di un turbamento [dovuto]
alla mira verso uno scopo 215 •

Sequitur ergo suam formam intellectam forma eorum quae sunt secundum ordinem intellec-
tum apud eum, non quod sint sequentes quemadmodum lux sequitur lucidum et calefactio
calidum, sed quia est sciens qualiter est ordo bonitatis in esse quoniam ex eo est. Et quod
ab ista scientia fluit esse secundum ordinem quem intelligit, scilicet ordinem rectum, et
quoniam ipse diligit seipsum qui est principium totius ordiuis bonitatis, inquantum ipse est
sic, fit ideo quod ordo bonitatis est dilectus ab eo accidentaliter, sed non movetur ad eum
dilectione: ipse enim non patitur ab eo nec concupiscit aliquid nec inquirit. Haec igitur est
voluntas eius quae est expers imperfectionis et immunis a desiderio et ab angustia intelli-
gendi aliquid.
826 [364]

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Nemo autem putet quod, quia intellecta apud eum habent formas et multitudinem, ideo
multitudo formarum quas intelligit sint pars suae essentiae. Nam quomodo esset hoc, cum
ipsae sint post suam essentiam? Quod enim ipse intelligit suam essentiam per suam essentiam
intellìgit, et per hoc intelligit quicquid est post ipsum. Hoc igitur quod intelligit suam essen-
tiam causa est intelligendi id quod est post suam essentiam. Suum igitur intelligi eius quod
est post suam essentiam causatum est eius quod ipse intelligit suam essentiam, [425] quamvis
intellecta guae sunt post suam essentiam non sunt intellecta eius nisi secundum modum intel-
Iectorum intelligibilem, non animalem. Et quod non est eorum ad ipsum nisi relatio principii,
scilicet secundum quod ex eo est, non in eo, sed relationes sunt secundum ordinem, quoniam
alia ex eis sunt ante alia, quamvis sint simul, quia nec praecedunt nec sequuntur se in tempo-
re, igìtur non est in eo permutatio in intellectis. Nec putet aliquis quod relatio intelligibilis ad
ea sit relatio ad ea secundum quod inveniuntur, alioquin, omne principium egeret forma et
materia: de natura enim illius formae est ut intelligatur secundum dispositionem aliquam, sci-
Iicet exspoliationis ve! alterius modi, ad hoc ut sit ipse intellectus in effectu. Sed haec relatio
eius ad illa est inquantum ipsa sunt in dispositione intellecta; si autem hoc esset inquantum
est esse eorum in singularibus, eveniret tunc quod ipse non intelligeret nisi quod invenitur in
unaquaque hora, nec intelligeret de eis quod privatum esset de eis in singularibus nisi post-
quam esset; et ita non intelligeret de seipso quod est principium illius rei secundum ordinem
TRATTATO OTTAVO- SEZIONE SETTIMA 827

[364] Che non si ritenga poi che, se gli intelligibili che sono presso [il
Primo] avessero forme e molteplicità, la molteplicità delle forme di cui Esso
avrebbe intellezione andrebbe a costituire parti diverse della Sua essenza.
Come potrebbe essere, se esse sono posteriori alla Sua essenza? Piuttosto, poi-
ché il Suo avere intellezione di Sé stesso è la Sua stessa essenza e a partire da
essa viene intelletto tutto ciò che è dopo di Sé216 , il Suo avere intellezione di
Sé stesso è causa del Suo avere intellezione di quel che è dopo di Sé e la Sua
intellezione di ciò che è dopo di Sé è un causato della sua intellezione di Sé.
Gli intelligibili e le forme che gli competono, essendo posteriori alla Sua
essenza, sono intelletti, comunque, soltanto come lo sono gli intelligibili
dell'intelligenza, non come lo sono quelli dell'anima. Nei loro confronti [il
Primo] ha soltanto la relazione del principio che è "ciò a partire da cui" e non
ciò "in cui": anzi, [il Primo ha nei loro confronti] relazioni che sono secondo
un ordinamento tale per cui alcuni sono prima di altri, anche se sono contem-
poranei e non si precedono o si succedono nel tempo: qui non c'è, infatti, alcu-
na trasposizione che riguardi gli intelligibili.
Né bisogna ritenere che la relazione intellettuale verso di essi si dia come
essi esistano; altrimenti, ogni principio di [astrazione] di una forma in una
materia, in quanto a tale forma spetta di per sé di essere intelletta secondo una
determinata disposizione- da un'astrazione o da altro- sarebbe un'intelligen-
za in atto. Al contrario, questa relazione si ha verso di essi, in quanto essi sono
nello stato di intelligibili217 • Infatti, se [tale relazione] si desse218 data la loro
concreta esistenza, [il Primo] avrebbe intellezione in ogni momento soltanto di
ciò che esiste e non avrebbe intellezione di quegli [intelligibili] che sono in
concreto inesistenti, fino a che non esistessero; Esso quindi, non avrebbe intel-
lezione da Sé stesso di essere principio di una tal cosa secondo l'ordinamento,
se non quando ne divenisse principio. Ma così, non avrebbe intellezione della
propria essenza, perché dalla Sua essenza fluisce per sé ogni esistenza: che [la
Sua essenza] percepisca che alla propria natura appartiene di essere tale rende
necessario che essa abbia percezione dell'altro, anche se questo non esiste
ancora. Così Colui che ha scienza ed è Signore abbraccia l'esistenza, sia quel-
la che si dà, sia quella possibile, e ha per sé una relazione verso [le cose] in
quanto esse sono intellette, non in quanto hanno una concreta esistenza.
Ti resta dunque da esaminare lo stato che riguarda l'esistenza delle [cose]
come intelligibili219 : [se esse] siano esistenti nell'essenza del Primo, come i

suum nisi cum fieret principium; et sic non intelligeret suam essentiam, quia natura suae
essentiae est ut fluat ab eo quicquid est. Et sua apprehensio de ipsis est inquantum natura
eorum est quod sunt sic: unde oportet ut sit etiam apprehendens alterum, quamvis non sit.
Igitur sciens divinum erit comprehendens id [426] quod iam est et quod possibile est esse,
cuius relatio ad ipsa erit inquantum sunt intellecta, non inquantum sunt in singularibus.
Remansit igitur considerare dispositionem essendi illa intellecta, scilicet an sint in
essentia primi, sicut comitantia quae sequuntur eum, an sit eis suum esse separatum ab eius
828 [365]

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essentia et ab essentia alterius praeter se, sicut forma separata secundum ordìnem posìta in
horizonte deitatis, an sint in intelligentia ve! in anima, ut, cum primus intelligit hanc for-
mam, describatur in qualibus earum, et tunc illa intelligentia ve! anima esset quasi subiec-
tum il\i formae intellectae, et esset intellecta inquantum est in aliqua illarum, et esset intel-
lecta a primo inquantum est ex eo, et intelligeret primus de seipso quod est principium eius.
De universitate igitur intellectorum quiddam est intellectum cuius primus est principium
nullo mediante, sed fluit esse eius ab eo principaliter, et quiddam est intellectum, cuius pri-
mus est principium aliquo mediante, et esse eius fluit ab eo secondario, et similìter est
dispositio de esse illorum intellectorum; quamvis enim eorum impressio sit in una re eorum,
tamen quaedam sunt prius et quaedam posterius secundum ordinem causae et causati. Cum
autem illa impressa in illa re fuerint de intellectis principaliter, tunc illa erunt de universitate
eorum quorum primus intelligit suam essentiam esse principium, et ita adventus eorum erit
ab eo non secundum quod dicimus, scilicet quod, cum intelligit bonitatem, statim est, ita ut
suum [427) intelligere bonitatem sit eam esse < ... > et ut ipsam esse si t ipsum intelligere
bonitatem; < ... > hoc enim esset quasi diceremus quod, quia intellexit ea, intelligit ea, ve\
quia sunt ab eo, sunt ab eo. Si autem posuerint haec intellecta esse partem suae essentiae,
continget ipsum multiplicari. Si vero posuerint ea sequentia suam essentiam, accidet suae
e&sentiae quod ex parte eorum non fit necesse esse propter applicationem sui ad possibile
TRATIATO OTTAVO- SEZIONE SETTIMA 829

conseguenti che [necessariamente] lo accompagnano, o se abbiano invece


un'esistenza separata dall'essenza [del Primo] e di ciò che è diverso da
Esso 220 , come forme separate e secondo un ordinamento, essendo poste [365]
nella regione della Signoria [divina] o, infine, se siano tali in quanto esistenti
in un'intelligenza o in un'anima221 • In quest'ultimo modo, quando il Primo
avesse intellezione di queste forme, esse si disegnerebbero nell'una o
nell'altra222 e tale intelligenza o tale anima sarebbero come dei soggetti per
queste forme intellette: per [tale intelligenza o tale anima queste forme] sareb-
bero degli intelligibili in quanto esisterebbero in esse, mentre dal Primo esse
verrebbero intellette in quanto ne proverrebbero, avendo il Primo da Sé intel-
lezione di esserne il principio. E così in tutto l'insieme di quegli intelligibili vi
sarebbe ciò che va concepito in quanto il [Primo] ne sarebbe il principio senza
mediazione e la cui esistenza ne fluirebbe anzi in modo primario, e ciò che va
concepito in quanto [il Primo] ne sarebbe il principio, ma in virtù di una
mediazione e che quindi ne fluirebbe in modo secondario.
E tale, infatti, è lo stato che riguarda l'esistenza di tali intelligibili: benché
essi si disegnino in una stessa cosa, tuttavia alcuni sono prima, altri dopo,
secondo l'ordinamento di quel che causa e di quel che è causato.
Poiché poi queste cose che si disegnano in tale intelligenza (say ') sono tra i
causati del Primo, esse entrano a far parte dell'insieme di quelle cose per le
quali il Primo intende che la propria essenza ne è il principio. Tali [cose] non
emanano dal [Primo] quindi - come abbiamo sostenuto - in quanto il fatto che
esse ne emanino è intelletto come un bene: esse sono, infatti, il suo stesso
avere intellezione del bene. Altrimenti, del resto, la cosa si concatenerebbe
[all'infinito] perché [il Primo] avrebbe bisogno di avere intellezione del fatto
che esse sono state intellette e così all'infinito; e poiché questo è impossibile,
ecco che esse sono la sua stessa intellezione del bene.
Quindi, quando abbiamo detto che esse, una volta intellette, esistono, non
essendovi con esse altra intellezione e non essendo la loro esistenza che lo
stesso essere intellette, è soltanto come se avessimo detto: poiché Esso ne ha
intellezione, ne ha intellezione, oppure poiché esse esistono a partire da Esso,
esse esistono a partire da Esso223 • Se, invece, di questi intelligibili si facesse-
ro224 delle parti della Sua essenza, a questa accadrebbe di moltiplicarsi mentre,
se se ne facessero dei concomitanti, alla Sua essenza accadrebbe, per quanto li
riguarda, di non essere necessariamente esistente, perché le aderirebbe quel
che è possibilimente esistente; se poi se ne facessero entità separate rispetto ad
ogni essenza, ne risulterebbero le forme platoniche; e se, infine, se ne facesse-
ro [entità] esistenti in un certo intelletto, anche in tal caso risulterebbe questa
stessa impossibilità che abbiamo prima menzionato.

esse. Si vero posuerint ea separata ab omni essentia, incident in ideas platonicas. Si vero
posuerint ea esse <in> intel\igentia aliqua, accidet etiam inconveniens quod diximus ante.
830 [366]

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Oportet igitur ut studeas evadere ab hac verisimilitudine et caveas ne multiplices eius


essentiam, nec cures si eius essentia accipiatur cum aliqua relatione ad possibile esse,< ... >
sed [si] inquantum est sua essentia. Scias etiam quod mundus divinus est valde immensus, et
scias quod differentia est inter fluere ab aliquo formam cuius natura est ut intelligatur, et
inter fluere ab aliquo formam intellectam inquantum est intellecta tantum absque additione
aliqua. Et scias quod ipse intelligit [428] suarn essentiam esse principium fluxus omnis intel-
lecti inquantum est intellectum causatum, sicut intelligit suam essentiam esse principium
fluxus omnis entis inquantum est ens causatum. Et stude considerare radices datas et dandas,
et aperietur tibi quod oportet aperiri.
Primus igitur intelligit suam essentiam et ordinationem bonitatis quae est in omni et
quomodo est; igitur illa ordinatio, ob hoc quod ipse intelligit eam, flui t, et fit, et est, et quod
scitur fieri et modus fiendi ex suis duobus principiis est bonitas non refugienda sequens
bonitatem essentiae principii et eius perfectionem, eo quod sunt delectabilia utraque per sei-
psa, ideo ipsum est volitum. Sed volitum primi non est secundum volitum nostrUm, ita ut in
eo quod est ex eo sit ei intentio (sed tu iam nosti destructionem huius et adhuc scies), quia
est volens secundum modum voluntatis intelligibilis purae.
TRATIATO OTIAVO- SEZIONE SEITIMA 831

[366] Ora, conviene indirizzare il tuo sforzo a sbarazzarti di questa diffi-


coltà e a vigilare a che non vi sia molteplicità nella Sua essenza; e non ti
preoccuperai225 del fatto che la Sua essenza sia presa in considerazione con
una certa relazione che è possibilmente esistente. Infatti, essa non è necessa-
riamente esistente in quanto è causa dell'esistenza di Zayd, ma lo è rispetto
alla sua stessa essenza. Il divino Sapiente- sappilo- è veramente sublime e vi
è una differenza tra il fatto che dalla cosa fluisca una forma alla quale appar-
tiene di essere intelletta, e che dalla cosa fluisca una forma intelletta in quanto
è intelletta, senza aggiunta. Esso ha intellezione di Sé come principio del fluire
di ogni intelligibile226 in quanto intelligibile causato, così come Esso è princi-
pio del fluire di ogni esistente in quanto esistente causato. Ti sforzerai, inoltre,
di riflettere sui principi dati e su quelli che daremo in futuro affinché ti si fac-
cia chiaro quel che conviene chiarire.
Il Primo, dunque, ha intellezione della propria essenza e dell'ordine del
bene esistente nel Tutto e di come esso sia in virtù di tale ordine, perché ne ha
intellezione, essendo esso qualcosa che fluisce, diviene, esiste227 •
E ogni [cosa] di cui il principio sa che sarà e di cui conosce come proverrà
dal proprio principio presso il proprio principio228 , essendo essa un bene- non
qualcosa da negare- segue la bontà dell'essenza del principio e la sua perfe-
zione, entrambe desiderate per se stesse; e tale cosa è qualcosa di voluto 229 .
Ma quel che è voluto dal Primo non è come quel che è voluto da noi, come se
il [Primo] trovasse uno scopo in ciò che proviene da Sé; d'altronde, che ciò sia
impossibile, a quanto sembra, l'hai già appreso e l'apprenderai. Al contrario,
[il Primo] è "volente" per sé secondo un modo di volontà intellettuale pura. E
la Sua stessa vita è in sé questo. La vita che è in noi si perfeziona, infatti, attra-
verso una percezione e un'azione- che è poi l'atto di far muovere- [due atti]
che provengono da due potenze differenti, mentre si è già affermato che il Suo
stesso oggetto di apprensione - ossia, ciò di cui, del Tutto, Esso ha intellezio-
ne - è la ragione del Tutto ed è identicamente il principio della Sua azione. E
tale è il far esistere il Tutto; infatti, una stessa intenzione del [Primo] è appren-
sione e via per il far esistere e la vita nel Primo non è qualcosa che abbia biso-
gno di due potenze, così da compiersi in virtù di due potenze, né è diversa
dalla scienza; e tutto Gli appartiene per sé.
Inoltre, se la stessa esistenza delle forme intelligibili che in noi si produco-
no come causa dell'esistenza delle forme artistiche 230 bastasse perché queste

Et vita eius est haec eadem etiam; vita enim quae est apud nos perficitur apprehensione
et actione, quae est motio, venientibus ex duabus diversis viribus. Certum est autem esse
animam apprehendentem; quod vero ipse intelligit omne, causa est omnis, et ipse est princi-
pium suae actionis, quod est dare esse omni; igitur una intentio de ilio est apprehensio viae
dandi esse. Unde vita eius non est egens duabus viribus ad hoc ut perficiatur duabus viribus,
nec vita eius est alia a scientia eius, quia hoc totum est ei per suam essentiam. Et etiam quia
forma inte!lecta quae fit in nobis causa est formae adinventae artificialis, si ipsum esse eius
832 [367]
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esset sufficiens ad essendum [429] illam formam artificialem, scilicet si formae essent in
effectu principia eorum quorum ipsae sunt formae, tunc intellectum apud nos esset ipsum
posse, sed non est ita. Nam suum esse non est sufficiens ad hoc, sed eget voluntate noviter
proveniente ex virtute desiderativa, propter quas duas simul movetur virtus motiva, quae
movet nervos et membra instrumentalia, et deinde movet instrumenta extrinseca et ad ulti-
mum movet materiam; unde esse ipsius formae intellectae non est ipsum posse nec voluntas.
Sed fortasse in nobis est posse apud principium movens, et haec forma est movens princi-
pium potentiae, et ideo est motor motoris. Unde voluntas eiu~ quod est necesse esse non est
altera in essentia ab eius scientia nec est altera ab eo quod intelligitur de eius scientia.
Iam igitur ostendimus quod scientia quae est ei est ipsa eadem voluntas quae est ei, et
similiter ostensum est quod posse quod est ei est ipsam suarn essentiam esse intelligentem
omne tali intellectu qui est principium omnium non sumptus ex omni, sed est principium per
suam essentiam non exspectans esse rei; et haec voluntas secundum modum quo certificavi-
mus eam, scilicet quod non certificatur propter intentionem fluendi esse ab ea, ut ipsa sit
aliud ab ipso fluere, est ipsamet liberalitas. Nos autem iam ostendimus de liberalitate quae-
dam, quorum si memineris, scies quod haec voluntas est ipsa liberalitas.
TRATTATO OTTAVO- SEZIONE SETTIMA 833

ne provenissero 231 , essendo le loro forme [367] principi in atto di ciò di cui
esse sono forme 232 , allora l'intelligibile in noi sarebbe lo stesso potere (qudra).
Ma non è così. La loro esistenza a tal [fine] non è sufficiente e ha invece biso-
gno di una volontà che si rinnova e che proviene da una potenza desiderativa;
è a partire da entrambe [queste facoltà] insieme che la potenza motrice si
muove e muove di conseguenza i nervi, le membra [che sono come] organi,
gli strumenti esterni e quindi la materia; perciò, la stessa esistenza di queste
forme 233 intelligibili non è né potere né volontà. Anzi, è possibile che il potere
che è in noi sia presso il principio motore e che tale forma sia ciò che muove il
principio del potere e sia, quindi, il motore del motore.
Ora, la volontà del Necessariamente Esistente non muta nell'essenza a
causa della Sua scienza, né muta nel contenuto (majhum) a causa della Sua
scienza. E infatti abbiamo già reso evidente che la scienza che Gli appartiene
propriamente è la stessa volontà che Gli appartiene, così come si è rivelato
evidente che il potere che Gli appartiene consiste nel fatto che la Sua essenza
sia tale da avere del Tutto un'intellezione intellettuale che sia principio del
Tutto, non essendo ricavata dal Tutto e che sia principio per sé, non dipenden-
do dall'esistenza di nulla234 •
Questa sua volontà è nel modo che abbiamo individuato: è indipendente da
uno scopo che riguardi il flusso dell'esistenza, non è diversa dallo stesso flusso
ed è la generosità. Della questione della generosità, del resto, abbiamo già chia-
rito qualcosa e, se la ricorderai, saprai che questa stessa volontà è generosità.
Se poi verifichi [quanto detto], ecco che il primo attributo del
Necessariamente Esistente sarà che Esso è e che è esistente; poi ciò che va
inteso 235 con gli altri attributi sarà, di alcuni, questo suo esistere insieme a una
relazione e, di altri, questo suo stesso esistere ma insieme a una negazione. E
neppure uno di essi comporterà nella Sua essenza molteplicità o mutamento,
in nessun modo. Infatti, le [cose] che si associano alla negazione consistono
[in questo]: se qualcuno dicesse del Primo 236 , senza riserve, che è una
sostanza, non intenderebbe altro che questo suo esistere, di cui si nega il fatto
di essere in un soggetto; e quando qualcuno dice [che Esso è] uno 237 , non
intende che questo stesso esistere, negandone la divisibilità nel senso della
quantità o della parola, o negando che abbia un associato; [368] e quando

Et cum certus fueris quod prima proprietas de necesse esse est quia [430) est et quia est
ens, scies deinde quod de aliis proprietatibus quaedam sunt in quibus intentio est esse cum
relatione et quaedam sunt hoc esse cum negatione; nulla autem harum duarum facit in sua
essentia debere esse multitudinem ullo modo nec variationem. Quae vero commixta sunt
negationi sunt haec: si quis dixerit de primo quod est substantia, non intelligat nisi hoc esse
a quo negatur esse in subiecto. Cum vero dicitur unus, non intelligitur nisi ipsum esse, nega-
ta ab eo divisione per quantitatem ve! per dictionem et negato ab eo comite. Cum vero dici-
834 [368]

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tur intelligentia et intellectum et intelligens, non intelligitur certe nisi quia ipse est ille qui
est spoliatus in se, et negatur ab eo commixtio materiae et eius appendicia cum consideratìo-
ne alicuius relatìonis. Sì autem dicitur de eo quod est primus, non intelligitur nisi relatio
huius esse ad omne. Cum vero dicitur potens, non intelligitur per hoc nisi quia necesse esse
relatum est ad hoc ut id quod debet esse aliud a se, non sit vere nisi per ipsum, secundum
modum quem praediximus. Cum autem dicitur vivus, non intellìgitur nìsi hoc esse< ... >, ex
hoc intellectu scilicet ut negetur materia ab ilio, et quod ipse est principium dispositionis
totius bonitatis, et quod ipse intelligit hoc: haec igitur composita sunt ex relatione et negatio-
ne. Cum vero dicitur liberalis, intelligitur quantum ad hanc relationem cum negatione, cui
addita sit [431] alia negatio, scilicet quia ipse non intendit intentionem sibi ipsi. Cum vero
dicitur bonus, non intelligitur nisi quia hoc esse liberum est a commixtione eius quod est in
TRATIATO OTTAVO- SEZIONE SETIIMA 835

qualcuno dice: intelligenza, intelligente e intelligibile non intende in realtà


altro che di questo [ente] puro 238 è negata la possibilità di mescolarsi alla
materia e ai suoi conseguenti, nonostante la considerazione di una certa rela-
zione239; e quando dice che è primo, non intende altro che la relazione di que-
sto esistere con il Tutto 240 ; quando dice che è potente, non intende altro che il
suo esser Necessariamente Esistente in relazione al fatto che è corretto [affer-
mare] che l'esistenza di quel che è diverso da Esso proviene soltanto da Esso
nella maniera che abbiamo ricordato; quando dice che è vivo, non intende altro
che questa stessa esistenza intellettuale241 , considerata con la relazione con il
Tutto che è intelletto anche secondariamente 242 : "vivo", infatti, è colui che
percepisce attivamente; quando dice che è volente, non intende altro che il
fatto che il Necessariamente Esistente, con la propria intellettualità - e cioè
negatane ogni materia- è principio dell'ordine del bene tutto, di cui ha intelle-
zione; e così questo [nome] è composto di relazione e negazione. E quando
dice di Esso che è generoso, il significato è che questa relazione è con la nega-
zione e con l'aggiunta di un'altra negazione: e cioè che Esso non cerca uno
scopo per sé 243 ; quando poi dice che è bene, non intende altro che il fatto che
questa sua esistenza è priva di qualunque mescolanza con la potenza e la man-
canza- e questa è una negazione - o il suo essere principio di ogni perfezione
e ordine - e questa è una relazione. E una volta che concepisci gli attributi del
Primo Reale sotto questo aspetto, non vi è nulla in essi che renda necessario
per la Sua essenza che vi siano parti o una molteplicità, sotto nessun aspetto.
Ed 244 è impossibile che vi siano una bellezza e uno splendore superiori [a
quelli che si hanno in quanto] la quiddità è intellettualità pura, bontà pura,
priva di ognuno dei modi della mancanza, una sotto [ogni] aspetto. Del
Necessariamente Esistente sono, quindi, la bellezza e lo splendore puro: esso è
principio della bellezza di ogni cosa e dello splendore di ogni cosa e la bellez-
za e lo splendore di ogni cosa 245 consistono nel suo essere come deve essere:
come sarà allora la bellezza di qualcosa che è come deve essere ed è nell'esi-
stenza necessaria? 246

potentia et imperfectione, et haec est negatio, vel si dixerit quod suum esse est principium
omnis perfectionis et ordinationis, et haec est relatio. Cum igitur intellexerint proprietates
primi et veri secundum hunc modum, profecto non invenietur de eis aliqua quae faciat debe-
re esse in eius essentia partes nec multitudinem aliquo modo.
Non potest autem esse pulchritudo vel decor omnino, nisi cuius quidditas est intelligibi-
lis pura, bona, immunis ab omni modo imperfectionis, et una omni modo. Igitur necesse
esse habet pulchritudinem et decorem purum, et ipsum est principium pulchritudinis omnis
rei; pulchritudo autem omnis rei et suus decor est ut sit quemadmodum convenit ei; quanto
maior est igitur pulchritudo eius, quod est quemadmodum debet esse quod est necesse.
836 [369]

Jl..;.L:l l~ t,' ~l l~ t . .Ct)J[ ~ -.!.ll.l !~-' ,._;~ --rY. _,.i .!lJJ...~_,


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~I;J\ cit.: .;\.l J.i"'. .s.il\ .IJI_,Ji.J:i_, J~J\ ~~<> J Y" .s.ill JY:"_,ll...,._o:-l_,l'i
o , :i.A_~ \.A... l_, l~!} J__,.;..l'_, Ji' ..ll J:..:: J , J..i.::ll rl·! J , J'J.:IJ .lr.IIJ
.!l\A ':il~ òllll 0~ \ .:~:~~).l'l t<-ÌJ J~J ,_;.;J, Fì ..,;\jJ ..,;\.i 0.§:;
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Cì_f:.._J , l:l.J .i':J J...aiì _,~ , .!!J..1. J.,a;\1 .!J:A J...aii! .!ly.1.. '-'L.,aiì J}~ 1 i
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Omnis enim pulchritudo et convenientia cum apprehenditur diligitur et delectat, cuius prin-
cipium est sua apprehensio vel sensibilis vel imaginabilis vel aestimabilis ve! putativa ve!
intelligibilis. Sed quia, quanto apprehensor est magis comprehendens et certior, et apprehen-
sum est pulchrius et nobilius in seipso, et ideo quod debet habere virtus apprehendens sua
delectatio in ilio est maior, tunc necesse esse, quod est in ultimo [432] perfectionis et pulch-
ritudinis et decoris, eo quod intelligit seipsum in tali ultimo perfectionis et pulchritudinis et
decoris, et cum perfectione intelligendi et cum intelligentia intelligentis et intellecti, et quod
unum sunt certissime, ideo ipse sui ipsius est maximus amator et amatum, et magis delec-
tans et delectatum, quoniam delectatio non est nisi apprehensio convenientis secundum quod
est conveniens; unde sensibilis delectatio est sensibilitas convenientis, et intelligibilis est ut
intelligat conveniens. Iam ergo primus est excellentior apprehensor cum excellentiore
apprehensione excellentioris apprehensi, et ideo est excellentior delectator cum excellentiore
delectatione in excellentiore delectato, et hoc est in quo nihil comparatur ei. Hae autem
intentiones non habent alia nomina nisi haec, sed quisquis respuerit haec, inducat alia, si
potest.
TRATTATO OTTAVO- SEZIONE SETTIMA 837

Ogni bellezza e ogni convenienza [369] e ogni bene percepito sono oggetto
d'amore e di desiderio e il principio di ogni [bene]247 è la sua percezione, che
sia sensibile, immaginativa, estimativa, opinativa o intellettuale. E più è forte
e penetrante la percezione, e più il percepito è perfetto e nobile nell'essenza,
più sono intensi l'amore e il piacere della potenza percipiente nei suoi con-
fronti. Così, l'essenza del Necessariamente Esistente, che è al culmine della
perfezione, della bellezza e dello splendore e che ha intellezione della propria
essenza in quanto è a quel culmine di splendore e di bellezza, avendone intel-
lezione in modo completo e con l'intellezione dell'intelligente e dell'intelletto
- e cioè nel senso che nella realtà i due sono una stessa cosa - è per sé ciò che
più desidera e più è desiderato, più trova piacere e più piace. Il piacere, infatti,
non è se non una percezione conveniente in quanto è conveniente: il piacere
sensibile è una sensazione conveniente, quello intellettuale un'intellezione
conveniente. E così, il Primo è il miglior percepiente per la miglior percezione
del miglior percepito ed è ciò che più eccellentemente ha piacere e piace,
nella qual cosa nulla Gli può esser comparato. Noi per questi concetti non
abbiamo nomi diversi da questi: chi li trovi inadeguati, ne utilizzi di diversi 248 .
Si deve sapere inoltre che la percezione che l'intelligenza ha di ciò che è
intelligibile è più potente di quella che i sensi hanno di ciò che è sensibile;
essa, infatti, -intendo l'intelligenza- ha intellezione e percepisce la cosa per-
manente e universale, si unifica ad essa e diviene sotto un certo aspetto quella
stessa, cogliendola dal suo intimo, non dalla sua apparenza esterna. Non così,
invece, sono i sensi per il sensibile. Ecco allora che il piacere che deve venirci
in quanto abbiamo intellezione di [qualcosa di] conveniente è superiore al pia-
cere che ci appartiene in quanto abbiamo sensazione di qualcosa di convenien-
te: tra i due non vi è rapporto, anche se può accadere che, a causa di alcuni
[fattori] accidentali, la potenza percettiva249 non provi piacere in ciò in cui
dovrebbe trovar piacere, così come il malato non trova piacere nel dolce e lo
detesta per via di un accidente. E così si deve sapere che tale è il nostro stato
fintanto che siamo nel corpo: quand'anche la perfezione in atto della nostra
potenza intellettuale si realizzasse, non troverebbe quel piacere che è necessa-

Oportet autem ut scias quod apprehensio qua intelligens apprehendit intellectum fortior
est quam apprehensio qua sentiens apprehendit sensatum, quia est intellectus qui intelligit et
apprehendit quicquid potest spoliari ab aliquo et unitur cum eo, et fit idipsum, et apprehendit
illud inquantum est ipsum, non id quod apparet de eo. Non est autem sic sensus sensato; igi-
tur delectatio quae est nobis de hoc quod intelligimus conveniens, maior est quam ea qua
sentimus conveniens, ita quod non est comparatio inter illas. Contingit autem quod virtus
apprehendens non delectatur in quo oportet delectari propter aliqua accidentia, sicut infir-
mus non delectatur in dulci et [433] respuit illud propter aliquid quod accidit. Similiter opor-
tet ut scias esse nostram dispositionem dum sumus in corpore; nos enim, quamvis nostrae
virtuti intelligibili sit acquisita sua perfectio in effectu, non tamen invenimus in ipsa re tan-
838 d.UI J..o.Ail- ~l:ll"l\.il.l '('V•
[370]

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turo delectationis quantum convenit ipsi rei, et hoc fit propter impedimentum corporis. Si
vero exueremur a corpore ad intelligendam nostram essentiam, ita ut ipsa fiat saeculum
intelligibile, cognoscendo et speculando ea quae sunt certissime et veras pulchritudines et
vera delectabilia, et sit coniuncta curo eis quemadmodum coniungitur unum intellectum curo
alio intellecto, profecto essemus tunc sic quod inveniremus delectationem et decorem infini-
tum. Sed nos ostendemus adhuc omnes has intentiones plenius.
TRATTATO OTTAVO- SEZIONE SETTIMA 839

rio250 rispetto alla cosa in se stessa, e questo [370] per un impedimento del
corpo: se ci isolassimo dal corpo, avremmo familiarità con la nostra essenza
che sarebbe divenuta un mondo intellettuale che corrisponde alle [cose] esi-
stenti reali e alle bellezze reali e ai piaceri reali, congiungendosi - come si
congiunge un intelligibile - con un intelligibile, e troveremmo infinito piacere
e splendore. Ma chiariremo in seguito tutti questi concetti.
Il piacere di ogni potenza- sappilo- sta nell'ottenere la propria perfezio-
ne: per i sensi, le [cose] sensibili convenienti; per la [potenza] irascibile, la
vendetta; per la speranza, la riuscita251 , e per ogni cosa, ciò che le è proprio:
per l'anima razionale il divenire infine un mondo intellettuale in atto 252 •
E il Necessariamente Esistente è intelletto, venga Esso intelletto o non
intelletto, ed è amato, venga Esso amato o non amato.

Scias autem quod delectatio cuiusque virtutis piena est acquisitio suae perfectionis, et
ideo sensui sensata convenientia, et irae vindicta, et spei consecutio, et unicuique rei id quod
est proprium, et animae rationali ipsam fieri saeculum intelligibile in effectu. Igitur necesse
esse est intellectum, sive intelligatur sive non, et dilectum, sive diligatur si ve non.
~Wl ~Wl

TRATTATO NONO

TRACTATUS IX
INTRODUZIONE

Sezione prima

Il IX trattato è incentrato sulla questione cosmologica che nel sistema avi,


cenniano si presenta strettamente saldata alla metafisica. [373] Il primo tem&
affrontato è la questione della dicibilità degli attributi del Principio necessario
cui Avicenna accosta il dato fondamentale della Fisica: l'esistenza di un moto
continuo dei cieli che è possibile spiegare solo a partire da una potenza infinit&
e inc01porea. È çuindi nel Principio necessario, immutabile ed eterno, che va
ricercata la causa dell'eterno moto celeste. A questa prima, essenziale, dedu-
zione, si aggiunge - come è tipico per la Metafisica - una serie di argomenti
tesi a confutare tutte le possibili obiezioni alla posizione appena presentata. In
tale contesto, Avicenna svela le condizioni a partire dalle quali si può parlare
della causalità nel tempo, e cioè di quella causalità che, nella terminologia già
tipica della teologia islamica, dà conto del venire all'essere (J:tudill) di qualco-
sa che prima non c'era e che è quindi dopo non essere stato (ba'da lam
yakun). È, infatti, solo una volta che si sia mostrato in che cosa effettivamente
consista la causalità nel tempo che è possibile dichiarare come, da un punto di
vista filosofico, il mondo non possa essere concepito altrimenti che eterno e
come, di conseguenza, si debbano assumere un movimento e un principio di
movimento per spiegare la generazione e la corruzione. Avicenna riprende, in
tal senso, la questione che ha già discusso nel trattato VIII (in particolare nella
terza sezione) e si dedica più precisamente alla questione del moto celeste.
[374,1-379,10] Poiché, in base ai principi aristotelici, ogni azione causale
si spiega a partire da una causa agente (che pone in essere l'azione) e da una.
causa "materiale" o ricettiva (che la riceve o subisce), se un'azione è per un
certo tempo non prodotta, per essere prodotta in un secondo momento (se dun-
que essa è dopo non essere stata), ciò può essere dovuto solo a quattro diverse
condizioni: l'assenza delle due cause; l'inazione dell'una o la non passione
dell'altra; l'assenza della causa ricettiva e non di quella agente; l'assenza della.
causa agente e non di quella ricettiva. Solo in un secondo momento Avicenna.
si adopererà a fornire in dettaglio l'esame delle ultime tre ipotesi (cfr. pp. 375,
14-376,9); quel che egli intende in primo luogo chiarire è che, comunque sia,
se una cosa avviene dopo non essere stata, è perché qualcosa è mutato nel rap-
porto tra la causa agente e la causa ricettiva. Ma poiché il mutamento nel rap-
844 TRATTATO NONO

porto tra due cause non può essere spiegato, se non con il ricorso a qualcosa di
distinto da esse che intervenga a mutarlo, bisogna supporre un terzo elemento,
distinto tanto dalla causa agente quanto da quella ricettiva; un elemento che
faccia "propendere" per il causare la causa che non causava, lasciando che la
preponderanza sia per l'esistenza piuttosto che per l'inesistenza. Avicenna
ricorre quindi ai termini della preponderanza (taraggul:z) che, anch'essi origi-
nariamente teologici, sono essenziali alla sua dottrina della causalità. Ora,
l'azione di un tale elemento può essere o immediata (''d'un colpo": daf'atan
wii/:zidatan), oppure tale da esplicarsi in modo graduale, nel tempo; e se l'azio-
ne è immediata, immediatamente e contemporaneamente si avrà il causato.
Non è però possibile che tutte le infinite cose che si danno nel mondo proven-
gano d'un colpo dalle cause, cosicché è evidente che i principi della genera-
zione vanno ricondotti a un qualcosa che si esplica nel tempo. È, cioè, a una
successione di cause che deve essere demandata la spiegazione della genera-
zione e della corruzione (Avicenna si appella espressamente all'idea della suc-
cessione "per prossimità e lontananza delle cause"), laddove il solo elemento
in grado di spiegare una successione di cause è il movimento. A precedere il
momento della generazione di una cosa deve quindi essere collocato un altro
movimento e, poiché una successione infinita di movimenti non servirebbe a
spiegare questo determinato movimento, è necessario pervenire a un Principio
primo che causi il movimento, dal quale dipende poi lo stesso tempo.
A questo punto, ciò che Avicenna deve dimostrare è l'eternità del moto e
del tempo: deve cioè risultare chiara l'impossibilità di concepire un movimen-
to che sia dopo non essere stato. Avicenna dimostra quindi, in primo luogo,
che supporre un moto che sia "dopo non essere stato" significa far dipendere il
moto da un altro moto: si ha cioè un semplice spostamento del problema. Del
resto, anche l'esame dettagliato dell'alternativa prima delineata (una causa
agente e una ricettiva, senza che se ne attui il rapporto di causalità) dimostra
che in ogni caso concepire un movimento nel tempo significa dover ricorrere a
un altro movimento [cfr. 375,14-376,9]. In secondo luogo, Avicenna passa a
considerare la stessa questione, direttamente a partire dal Necessariamente
Esistente. Se il Principio è necessario e immutabile, è infatti chiaro che non
Gli si può ascrivere alcun mutamento essenziale. Non è quindi possibile con-
cepire una volontà che lo determini a creare in un momento e non in un altro;
né servirebbe concepire (come sembravano volere alcuni teologi) una volontà
che sia al di fuori della sua essenza; il rapporto tra la volontà esterna e il prin-
cipio resterebbe, infatti, privo di spiegazione. In breve, il Principio necessario
non può passare dall'inattività all'attività, e una causalità del Primo che si
esplichi nel tempo è quindi inconcepibile. Avicenna lo ribadisce nel corso
della sezione, servendosi di diversi argomenti e conclude che all'"intelligenza
limpida" (al- 'aql al-~arìl:z) appare chiaro come solo un elemento di "preponde-
ranza" possa far passare una causa dall'inazione all'azione. L'intervento di un
tale elemento è però inconcepibile nella Causa prima: esso non può, infatti,
INTRODUZIONE 845

venire identificato con la natura della Causa (si sarebbe costretti ad ammettere
un inconcepibile mutamento in essa); non lo si può, tuttavia, identificare nep-
pure con la volontà (perché, infatti, essa si sarebbe manifestata in un momento
e non in un altro?); e, infine, non lo si può attribuire né a uno scopo né a un
utile, perché il Primo non può avere né scopo né utile (cfr. VI, 5). È poi lo
stesso carattere della temporalità a rendere impossibile una tale concezione. Se
infatti il Principio precedesse le proprie azioni solo per essenza, Esso sarebbe
a queste contemporaneo, con l'assurda conseguenza di un principio che ver-
rebbe ad essere dopo non essere stato; ma se, viceversa, il Primo le precedesse
nel tempo, vi sarebbe un tempo prima del tempo e un movimento prima del
movimento.
[379, 11-380,7] Avicenna esamina infine la stessa questione sottoponendo
direttamente all'esame della logica alcune specifiche espressioni linguistiche e
mostra come affermare che Dio era e non era la creazione (o era e non
creava) valga ammettere implicitamente un cambiamento nell'essenza del
Principio; era e non era la creazione significa infatti, in ultima analisi, che
l'essenza del Principio creatore, non essendo pienamente attuata, si sarebbe
poi attuata con la creazione. Nella determinazione verbale dell' "era" è impli-
cato necessariamente il tempo: "era" non indica quindi semplicemente l'esi-
stenza del Creatore e la non-esistenza delle cose.
Avicenna conferma, così, quanto aveva argomentato nel trattato preceden-
te, cioè a dire che la causalità temporalmente determinata dà ragione di
un'anteriorità soltanto relativa, quella temporale, e non serve a spiegare l'asso-
luta anteriorità del Primo. [380,8-fine] L'ultimo argomento presentato è una
diretta confutazione della posizione dei teologi: coloro che affermano la cau-
salità nel tempo devono ammettere che Dio avrebbe potuto creare prima del
mondo un altro "mondo"; ma da ciò si ricavano conseguenze assurde.

Sezione seconda

Vengono qui sviluppate le conclusioni cui si era giunti nella sezione prece-
dente. La questione specifica di questa sezione, introdotta fin dalle prime nota-
zioni, è il moto celeste: [381,15-383,13] il moto celeste non è naturale. Nessun
movimento, infatti, neppure quello "naturale", può definirsi naturale in assolu-
to: il moto naturale di un corpo ha sempre origine in uno stato non naturale da
cui il corpo, muovendosi, fugge. Il movimento circolare del corpo celeste,
consistendo in una continua fuga dallo stesso luogo cui il corpo tende poi a
ritornare, può quindi ancor meno degli altri tipi di moto essere definito "natu-
rale". Il suo statuto paradossale (non fuggire da un punto se non per ritomarvi)
presume infatti una "scelta" la quale rimanda all'anima della sfera e all'intelli-
genza. Così, con una serie di stringenti dimostrazioni, in cui sono chiamate in
causa nozioni specificamente fisiche quali l'intenzione (qa$d) del moto e
846 TRATTATO NONO

l'inclinazione (mayl) ad esso, Avicenna arriva a determinare a un tempo la


naturalità del moto e la portata metafisica di esso, saldando la metafisica alla
fisica e alla cosmologia: il moto celeste non è "naturale" ma è "per natura", ed
è come un "flusso", una sorta di concretizzazione delle rappresentazioni
dell'anima.
[383,14-387] Lo stesso flusso intellettuale che si origina dalle intelligenze
assume qui la caratteristica molto più concreta - e in fondo più vicina a quanto
ci si possa realmente rappresentare - di un flusso di immagini o rappresenta-
zioni psichi che che provengono dall'anima ininterrottamente, sostenendo al
contempo il suo desiderio di assimilazione - che non viene mai veramente
soddisfatto- e la continuità del moto dei cieli. L'anima ha una rappresentazio-
ne particolare e "sceglie" dunque l'inizio del moto e il suo passare da un punto
all'altro, anche se questa sua "scelta" è nella paradossale condizione di non
poter essere diversa da come è: non vi è, infatti, altra possibilità che quella del
moto circolare (l'unica imperfezione che il corpo celeste debba colmare
riguarda il suo sito).
È evidente che, date tali premesse, il principio del moto va fatto risiedere in
un'anima, cioè in un'intelligenza che abbia un qualche vincolo con la materia,
non in un'intelligenza pura, che non sarebbe in grado di scegliere- tra i punti
fra loro tutti equivalenti del cerchio- un punto piuttosto che un altro. Una scel-
ta talmente "irrazionale" come quella tra due punti equivalenti porta a porre un
principio che accetti il mutamento. II moto è infatti un continuo rinnovarsi di
rapporti e non può venire da qualcosa di stabile e di identico, come l'intelligen-
za. Si riconosce qui un'immagine efficace dell'indifferenza che l'intelligenza
avverte per ciò "la cui esistenza e la cui inesistenza" si equivalgono [p. 385]. Il
principio del moto - Avicenna lo dimostra con vari argomenti e risolvendo
diverse obiezioni - è una causa che si rinnova continuamente in virtù della
volontà, una volontà che muta in relazione alle rappresentazioni immaginative,
che sono particolari; è un principio in grado di percepire il proprio passaggio da
un limite a un altro ed è, in tal senso, legato al mondo corporeo.
[387,1-392,3] Al di sopra dell'anima c'è, tuttavia, un principio puramente
intellettuale che, costantemente illuminato dalla stessa luce divina cui guarda,
riceve una potenza infinita, la sola che possa spiegare l'infinito succedersi del
moto, un moto che deve la propria continua reiterazione alla trascendenza del
Principio irraggiungibile. Il principio intellettuale muove perché nel desiderio
di assimilarsi al Primo guarda ad Esso come al proprio oggetto d'amore, rea-
lizzando così la propria "scelta" e cioè guardando al bene "reale" dell'intelli-
genza. Il Primo, Necessariamente Esistente, muove quindi - e questo confor-
memente all'insegnamento di Aristotele - come muove l'amato, trascinando
nell'amore di sé ogni ente celeste.
Da questo punto di vista, il procedere del flusso emanativo (jay4) rivela
una sorta di interna cesura: se per il Primo principio il flusso è mera necessità,
a partire dalla Prima intelligenza (che sceglie il bene), e dalla Prima anima che
JNTRODUZIONE 847

in modo "irrazionale" sceglie - cominciando da un punto qualsiasi - di dare


inizio al movimento che dà poi origine al mondo, esso coinvolge la sfera della
volontà. Ogni ente celeste tenta, dunque, l'assimilazione al Primo come gli è
possibile: l'intelligenza con la propria stabilità, la sfera (costituita da un'anima
e da un corpo) con il moto continuo che le è proprio e che deriva dalle rappre-
Sentazioni dell'anima: un moto che, nella sua tensione al Primo, è quasi un
·~culto angelico o celeste". Si rivela così pienamente come la cosmologia avi-
cenniana sia solidale alla metafisica di cui è 1'espressione. In questa sezione
compaiono, dunque, quei principi che si possono definire posti a fondamento
del cosmo avicenniano: l'idea di assimilazione (tasabbuh) al Primo e quella,
fondamentale, che nega ogni attività del superiore in vista dell'inferiore. Il
s\Jperiore non agisce per l'inferiore (esplicitamente questo principio verrà
esposto nella sezione successiva) 1 e tuttavia da esso, in virtù dell'azione auto-
determinata che gli è propria, "deriva" 1' esistenza per qualcosa di inferiore. È
qui, del resto, che ha origine il processo discendente che a sua volta innesca
quello di "ritorno". [392,4-393,11] La conclusione della sezione è occupata da
una questione eminentemente cosmologica: la necessità di porre, accanto al
principio superiore e trascendente, che è principio di tutto il moto, anche un
principio proprio per ogni sfera e, al tempo stesso, la preoccupazione critica di
conciliare tale idea con l'insegnamento di Aristotele.

Sezione terza

[393,16-395,6] Il moto e in genere ogni azione celeste non possono essere


concepiti in vista del mondo sublunare e, in assoluto, in vista di ciò che è infe-
riore. L' incipit di questa sezione, in cui si ribadisce che l' intenzionalità del
moto celeste non può coinvolgere il mondo, è dedicato a confutare una posi-
zione (probabilmente un'interpretazione della dottrina di Alessandro
d' Afrodisia), secondo la quale il moto celeste, pur essendo come tale in vista
del principio, sarebbe, nella sua direzione, in vista del mondo sublunare (pro-
prio come a un uomo "buono" potrebbe accadere di scegliere una strada anzi-
ché un'altra per favorire qualcuno, pur dovendosi incamminare al solo scopo
di occuparsi dei propri affari). Ad Avicenna non sfugge come accettare tale
posizione significhi minare le fondamenta della propria dottrina: accogliere
per la direzione del moto una seconda intenzione in favore del mondo inferio-
re significa, infatti, poterlo fare per il moto stesso.

1 Cfr. lliih., IX, 3, p. 396; Liber de philos. prima, pp. 466-467; cfr. inoltre le Note di

Avicenna alla cosiddetta Teologia di Aristotele, in Arfstil... , p. 60, 9: <1a-inna al-af4ala la


yakilnu li-agli l-ai:Jass»; <<Ché il più nobile non è in vista del più ignobile>> (v. Notes ... , p.
384).
848 TRATTATO NONO

Per ribadire come il mondo superiore non agisca nei confronti di quello
inferiore e come, tuttavia, ciò non significhi l'assenza di una provvidenza,
Avicenna si sofferma allora su due concetti che emergono in tale contesto
come fondamentali: quello di intenzione e quello stesso di provvidenza.
[395,6-396, l O] L'intenzione (qa~d) mira sempre a qualcosa di superiore a sé
e non è tale da dare l'essere (quale causa agente), ma solo di predisporre ad
esso (e in questo, si noti, è contenuto il nucleo di un meccanismo che
Avicenna non pone solo alla base del moto celeste, ma della stessa causalità
sublunare: il medico intenziona la salute, ma può solo predisporre ad essa,
perché la forma della salute viene dal principio celeste, il datore delle forme
che di questa è la vera causa); in tal senso, l'intenzione intellettuale, rivolta al
bene reale, non può assolutamente essere rivolta al mondo. [396, 11-397 ,2] Il
concetto di provvidenza viene affrontato, invece, con una domanda centrale:
si può credere che il bene del mondo derivi da quello divino solo perché "il
bene fa acquisire il bene"? Avicenna affronta concisamente ma in modo ser-
rato questa tesi - che è poi quella del bonum dif.fusivum sui - e ne presenta le
interne difficoltà: se, da una parte, tale tesi (al di fuori di ogni intenzionalità)
è accettabile, dall'altra essa pone di fronte a un dilemma: se causare il bene è
una proprietà necessaria del Bene, e deve cioè darsi affinché il Bene sia tale,
ecco che il Bene finisce per essere un causato di tale sua proprietà, poiché in
certo modo ne dipende; se, d'altra parte, il dono del bene non costituisce
l'essere del Bene, esso non è necessario e il fondamento della Provvidenza
viene a mancare.
[397,3-399,3] Bisogna dunque esaminare se il bene non derivi dall'assi-
milazione al Primo. Ancora una volta, Avicenna scioglie l'azione celeste da
qualunque vincolo con il mondo: il bene è sì una conseguenza del gioco di
assimilazione al Principio messo in atto dal mondo celeste, ma non è affatto
voluto ossia "intenzionato", neppure in virtù di una seconda intenzione, ossia
in modo secondario; l'assimilazione è rivolta al "principio" così come esso è
(in altre parole: si tenderebbe ad assimilarsi al principio anche se non se ne
ricavasse alcun perfezionamento). Il moto celeste, inoltre, non serve a rag-
giungere alcuna perfezione: piuttosto esso è, nella sua continuità, la perfezio-
ne stessa. L'immagine della provvidenza che Avicenna ci consegna è, come
era stato notato già da Gardet e da Anawati, quella di una "provvidenza
necessaria" fondata sullo stesso principio autoreferenziale del mondo della
natura: i principi danno il bene in quanto ricercano la propria perfezione,
esattamente come l'acqua e il fuoco raffreddano e riscaldano per conservare
la propria natura. È quindi proprio il mondo della natura a fornire la spiega-
zione di quello celeste, che se ne differenzia solo per la comprensione (i/:liita)
e la soddisfazione (rhjii') che le sostanze superne avvertono per l'ordinamen-
to del bene che con la loro azione si stabilisce. Ogni ente aspira, dunque, alla
propria perfezione come ogni elemento è sempre solo la realizzazione di sé:
in ciò sta il meccanismo posto alla base dell'intero cosmo.
INTRODUZIONE 849

[399,4-fine] La conclusione è dedicata ancora una volta alla dinamica cele-


ste, perché è in essa che va individuato il principio della determinazione del
mondo: ogni sfera si assimila alla prima Intelligenza, in comune, e poi ciascu-
na a ciascuno dei principi che le è proprio; vi è così, nel moto, qualcosa di
comune e qualcosa di particolare e diverso a seconda delle varie sfere. Il moto
non può essere spiegato come assimilazione a un altro corpo (qui ancora una
volta viene sollevata e risolta un'obiezione) ed è, invece, l'ultima espressione
di un processo triadico che vede coinvolte le intelligenze e le sfere, con la loro
anima e il loro corpo. Ogni elemento di tale triade desidera e ama il proprio
principio, ognuno realizzando la tensione ad esso nel modo che gli è proprio
(l'intelligenza avendo intellezione del principio; l'anima avendone un deside-
rio che passa per delle rappresentazioni particolari; il corpo con il proprio
movimento del quale esso è al contempo strumento e soggetto, essendo al con-
tempo organo dell'anima celeste ed ente a questa congiunto).
Degno di nota, infine, è come Avicenna affermi espressamente che il rap-
porto tra intelligenze e anime celesti sia analogo a quello che l'intelligenza
agente istituisce con le nostre anime; in un certo senso, anche il rapporto che
le anime celesti hanno con i loro corpi è analogo a quello tra le anime e i corpi
umani. Ma questi temi sono ripresi nella sezione successiva.

Sezione quarta

[402,4-404,7] Il dato di partenza è qui costituito dall'assoluta inintenziona-


lità del Primo, dimostrata nella sezione precedente e necessaria a sostenerne
l'unità. La questione centrale è quella dell'emanazione: all'inintenzionalità del
Primo non può corrispondere un'emanazione che sia "per natura" e che sia,
cioè, un cieco procedere delle cose dal Primo senza consapevolezza o "soddi-
sfazione". Del resto, la consapevolezza che il Primo ha del procedere delle
cose da sé è garantita dalla sua propria auto-intellezione: il Primo intende se
stesso come Principio delle cose, come causa, e sa che la gloria che gli è pro-
pria esige l'emanazione del bene e dell'ordine del bene. La sfera gnoseologica
è fortemente vincolata a quella antologica e si pone in tal senso il problema
dell'anteriorità dell'una rispetto all'altra.
A costituire il vero oggetto di indagine di questa sezione è comunque il
Primo ente necessario: Avicenna illustra i concetti di perfezione (kamiil), glo-
ria (galiila) e soddisfazione del Principio (ja-l-awwalu rii4in bi-faya4ani l-
kulli 'an-hu) e propone una sorta di legge generale (v. p. 403): ogni essenza
che conosca ciò che emana da sé e per la quale non si dia alcun ostacolo è sod-
disfatta di ciò che ne emana. L'intellezione del Primo è totalmente "una" -
non è discorsiva, non passa cioè da un intelligibile all'altro- ma in questa sua
unità è assolutamente omnicomprensiva. Il Primo ha intellezione di tutto ciò
che ne emana perché ne è la causa. Chiaramente, sullo sfondo di questa affer-
850 TRATIATO NONO

mazione resta la questione qui non propriamente affrontata, della conoscenza


divina dei particolari: si tratta cioè di comprendere quanto i "dettagli" della
vita particolare siano ricompresi dall'intellezione e dalla provvidenza divina.
Lo sono in quanto causati o in quanto generali, afferma Avicenna; ma signifi-
ca questo che il Primo conosce ogni singolo ente nella sua particolarità?
Anche se, appoggiandosi al testo sacro, Avicenna ha affermato che a Dio non
sfugge neppure un granello di sabbia (cfr. VIII, 6, p. 359), è difficile risponde-
re affermativamente a questa domanda.
Data l'unità del Primo, alla sua intellezione (ta 'aqqul) si legano, o più esat-
tamente con essa coincidono, la sua scienza ( 'ilm), la sua volontà (in'ida) e il
suo potere (qudra). In tal senso, è solo con una sorta di giustapposizione che
Avicenna tenta qui di reintrodurre il piano della volontà nel Primo, quello stes-
so piano che egli aveva ricacciato rifiutando l'idea di una sua intenzionalità nei
riguardi del mondo (e cui aveva però dato una legittimazione logica in IV, 2,
pp. 172-173, con la discussione della nozione di "potere"). A questa giustappo-
sizione (la volontà del Primo è tale al di là dell'intenzionalità e dello stesso
fine), si affianca poi l'affermazione di una reale distinzione tra ciò che emana
dal Principio e il Principio stesso: il flusso è distinto (mubiiyin). L'assoluta
unità del Principio ha quale conseguenza prima la (relativa) unità del primo
causato, che non può che essere un'intelligenza pura: nella sua unità il Primo
ha un solo aspetto, un solo statuto e il principio dello ex uno non fit nisi unum
(esplicitato poco più avanti, v. p. 405) è già alla base di questo argomento.
[404,8-405,8] Avicenna ricusa, quindi, l'idea che il primo causato possa
essere una forma materiale. Due sono gli argomenti sollevati. In primo luogo,
se dal Primo provenisse una forma materiale, ossia una forma vincolata per
statuto alla materia, la materia stessa si vedrebbe assegnato il ruolo di causa
mediatrice nella formazione degli altri enti, e questo ruolo non può invece
assolutamente esserle affidato: la materia è ricezione pura e come tale non può
essere causa d'esistenza. In secondo luogo, il ruolo della mediazione non può
venire affidato neppure alla sola forma: la materia è in un certo qual modo
causa della forma poiché è causa della sua determinazione; la forma non può,
quindi, essere una causa autosufficiente della materia e ne è una causa solo
parziale (cfr. VI, 6, p. 259). Questi argomenti, dai quali riemerge l'ambiguo
statuto antologico della materia esaminato nel trattato II (cfr. II, 4), dimostra-
no come l'avvento del molteplice non possa esser concepito quale diretta
dipendenza del Primo e riaffermano, sul piano cosmologico, quella stessa
necessità della causa mediatrice che nel trattato VIII era stata sollevata sul
piano logico.
[405,9-407,8] È chiaro, tuttavia, che una volta posta l'unicità del primo
causato, si impone l'esigenza di altri due elementi: al principio dello ex uno
non fit nisi unum va accostato quello della successione - non sarebbe altrimen-
ti possibile spiegare la molteplicità degli enti celesti - e in virtù di questa va
introdotta una qualche dualità. L'unità del primo causato si rivela dunque in
INTRODUZIONE 851

tutta la sua relatività, diretta conseguenza del carattere relativo (''per altro")
della sua necessità. Successione e moltiplicità sono richiamati capovolgendo il
discorso: è la stessa esistenza dei corpi, possibili e molteplici in sé, a reclama-
re la necessità di una causa mediatrice per l'azione del Primo principio, una
causa mediatrice che viene riconosciuta nella duplicità della struttura antologi-
ca del primo causato, in sé possibile e necessario "per altro".
Alla struttura del primo causato corrisponde del resto la sua intellezione,
ossia la sua stessa operazione causale: il primo causato si pensa "necessario",
in quanto pensa il proprio principio, e si pensa "possibile" in quanto considera
semplicemente se stesso. La possibilità - ed è questo un punto che è opportu-
no sottolineare - è un qualcosa (amr) che pertiene per sé al causato, non qual-
cosa che gli proviene dalla causa prima (v. p. 406: amrun la-hu bi-diiti-hi la
bi-sababi l-awwali). La processione degli enti è quindi spiegata in base alla
successione determinata dalla processione intellettuale: sotto ogni intelligenza
vi sono tre cose nell'esistenza: un'intelligenza e poi una sfera con la sua
anima e il suo corpo, cioè la sua materia e la sua forma. Le tre entità sono il
risultato di una precisa dinamica noetica: l'intelligenza pensa il principio;
pensa quindi se stessa come necessaria per altro e infine se stessa come possi-
bile in sé. La processione, che è lo stesso flusso creatore divino, continua solo
fino all'intelligenza che "ci segue da vicino", la decima intelligenza agente,
datrice delle forme del mondo sublunare, il datar formarum della tradizione
latina. Avicenna non riesce, tuttavia, a spiegare veramente le ragioni
dell'esaurirsi del flusso e si limita a sostenere che, se la processione proviene
necessariamente dall'interna molteplicità dell'intelligenza causata, il discorso
non è convertibile: l'interna molteplicità dell'intelligenza causata non necessa-
riamente deve dar luogo a una processione. Nell'arrestarsi del flusso, che ne
scongiura comunque la prosecuzione all'infinito, resta così qualcosa di inspie-
gato; una legittimazione, debole tuttavia, viene dall'idea neoplatonica secondo
la quale il progressivo allontanamento dal principio comporta l'esaurirsi della
potenza creatrice delle intelligenze.
[407,9-fine) Avicenna riconsidera infine la stessa questione, mutandone
leggermente i termini: le sfere sono molteplici, e poiché il loro principio non
può essere corporeo, è necessario che esso sia una forma. Ora, le forme posso-
no essere o forme che hanno sussistenza e azione per i corpi e negli stessi
corpi - si tratta allora dì forme che agiscono solo per contatto, in virtù della
mediazione del corpo (come il sole e il fuoco agiscono su ciò che ha un qual-
che contatto con essi); o forme che agiscono in virtù della mediazione del
corpo e nel corpo, ma che hanno una sussistenza indipendente dal corpo.
Queste sono le anime e le anime celesti, le quali sussistono in sé, pur non
essendo completamente separate dal corpo (se lo fossero, non gli sarebbero in
alcun modo vincolate e sarebbero pure intelligenze).
Nella conclusione Avicenna mostra, da una parte, come nella gerarchia
degli enti le intelligenze pure siano al vertice della processione (successivi
852 TRATTATO NONO

sono le anime e i corpi delle sfere), e, dali' altra, come le anime vincolate ai
corpi umani, numericamente molteplici, non possano provenire che da un
principio vincolato al mondo sublunare.

Sezione quinta

[410-411,4] Una volta dedotto il procedere delle intelligenze e dei cieli,


resta da spiegare come si possa operare il passaggio dalla molteplicità "speci-
fica" del mondo celeste - che appare in sé stessa perfettamente legittimata
dalla processione del flusso intellettuale - a quella individuale del mondo
sublunare. Accanto al principio dello ex uno non fit nisi unum, e quindi accan-
to all'idea dello stesso flusso (jay4), è qui necessario porre un altro principio
causativo, un principio che sia in grado di giustificare, a un tempo, la moltepli-
cità individuale e la mutevolezza del mondo sublunare. Questo principio cau-
sativo è quello dell'influsso o dell'influenza (ta 'rrur o ta 'lfr) dei cieli.
Accanto alle intelligenze, e in particolare accanto alla decima intelligenza
agente, preposta specificamente al mondo sublunare, Avicenna accosta quindi
dei principì che chiama "preparatori" (mu 'iddiit) o "appropriatori" (mu!Ja$#$iit)
della materia: se all'intelligenza si deve il flusso uno della forma, al moto dei
cieli si deve l'appropriazione particolare della materia. La decima intelligenza
si dice datore di forme (wiihib al-$uwwar), ma poiché il flusso non può che
essere in sé uno, è chiaro che è alla ricezione di esso che deve essere deman-
data la distinzione di una forma dali' altra. Sono gli influssi (celesti, ma in
parte pertinenti allo stesso mondo sublunare) a giustificare il passaggio da una
generica preparazione o predisposizione della materia alle forme - ossia a
tutte le forme, anche a quelle fra loro contrarie - a una preparazione particola-
re, "completa", la preparazione a una determinata forma, per esempio, quella
dell'acqua. La preparazione completa è in tal senso il segno del fatto che una
forma possa prevalere sull'altra: la stessa materia può, infatti, essere acqua o
aria e senza la preponderanza di una forma sull'altra, ossia senza una specifica
determinazione, non vi sarebbe altro che pura possibilità di essere acqua o di
essere aria, non essendovi, cioè, nient'altro che materia.
Al moto celeste si devono, dunque, le differenze del mondo sublunare,
all'intelligenza celeste si deve l'unità. La donazione delle forme che così viene
spiegata finisce con il configurare il mondo sublunare come un eterno disegno
(rasm) che, nel modo della passività, e cioè della pura ricezione, rispecchia
quello del mondo celeste in cui lo stesso disegno è dato nel modo dell'attività
(ossia dell'attiva partecipazione al flusso "creato e creatore" del Primo). Su
questa stessa concezione si fonderanno la gnoseologia e l'escatologia avicen-
niane: la perfezione dell'anima umana sta nel divenire un mondo intellettuale
('iilam 'aqlf) (e intelligibile: 'iilam ma 'qill) in cui sia riconoscibile il disegno
del tutto (cfr. IX, 7, p. 425).
INTRODUZIONE 853

[411,5-412, 15] Quello affrontato, per altro brevemente, in questa sezione è


comunque uno dei maggiori problemi teoretici del sistema avicenniano: il pas-
saggio dall'uno al molteplice non è più risolvibile, come è invece nel mondo
celeste, nei termini della successione. II meccanismo della preparazione della
materia, tuttavia, introducendo accanto alla principale causalità del flusso divi-
no una seconda causalità - quella dell'influsso - comporta il rischio di delega-
re, almeno in parte, la determinazione della forma alla materia, la quale
dovrebbe essere, invece, pura ricettività. Se è l'influsso dei cieli a essere
responsabile della preparazione della materia, la causalità del flusso finisce
quasi per esserne soggiogata: in altre parole, se la ricezione della forma è pos-
sibile solo una volta determinata la materia, il momento dell'influsso sembra
in un certo qual modo determinare quello del fluire delle forme. Se, del resto,
il momento dell'influsso e dunque della ricezione e quello della donazione
viaggiassero in modo assolutamente parallelo, il cosmo avicenniano finirebbe
per fondarsi su una sorta di armonia prestabilita.
[413,1-414,5] L'ultima parte della sezione è dedicata, infine, alla confuta-
zione di una concezione naturalistìca o meccanicistìca dell'influsso dei cieli e
della formazione degli elementi che, secondo alcuni- probabilmente al-Kindi
(m. 873) e forse anche Abii Bakr MuJ:tammad ibn Zakariyya al-Razi (m. 935)
- sarebbe determinato dal riscaldamento dovuto al moto delle sfere.

Sezione sesta

Se il problema della sezione è quello dì spiegare come vada intesa la prov-


videnza divina (e come quindi in essa vi vada ricompreso il male), il dato da
cui la trattazione prende le mosse è l'assoluta indifferenza dei principi supe-
riori nei riguardi del mqndo: il superiore non agisce in vista dell'inferiore e la
provvidenza non può essere letta come "cura" di Dio nei riguardi del mondo.
Perciò, se comunque non è al caso che si può delegare il compito di fornire
una spiegazione per quel che proviene dal Principio (i "segni" nel mondo di
generazione e corruzione ossia le "tracce" dell'influsso divino sono meravi-
gliosi), il fondamento della provvidenza dovrà essere cercato nell'autocono-
scenza che il Principio necessario ha di sé, e nella conoscenza del mondo che
ne scaturisce. Il Principio conosce e percepisce se stesso come causa di ordine
e di bene e in ciò sta la ragione della realizzazione, "nei limiti del possibile",
dell'ordine e del bene del mondo. Offerta così la propria interpretazione della
provvidenza, Avicenna affronta direttamente la questione del male, con una
tecnica cui ricorre in tutta la sezione, tesa a mostrare l'interna relatività del
concetto di male, anche già su di un piano meramente linguistico (il male "si
dice" in molti modi).
[415-416] I primi significati del male sono la mancanza (dovuta alla man-
canza di qualcosa) e la sofferenza, che è dovuta invece alla presenza di una
854 TRAITATO NONO

causa, la quale può essere o distinta dalla cosa - come la nuvola dalla matura-
zione che pure da essa è impedita - o congiunta ad essa - come congiunta alla
persona che ne soffre è la ferita. Una volta introdotta l'idea del male come ine-
sistenza, Avicenna specifica tuttavia che il male non è un'inesistenza qualun-
que, ma solo l'inesistenza di quelle perfezioni che devono o dovrebbero appar-
tenere a un dato soggetto. Un'inesistenza assoluta, e quindi un male assoluto,
inoltre, non esistono che a parole; il male universale non può esistere, perché
il male è legato alla potenza e alla materia: è sì mancanza, ma lo è sempre in
relazione a qualcosa di esistente (d'altronde, se il male universale esistesse,
non vi sarebbe spazio per nessun bene).
[416-417] Il male si accompagna quindi alla materia e questo sia per sé-
la materia può per sé essere disposta a una cattiva complessione e la causa del
male è allora da cercare nel principio ricettore (a questo proposito, cfr. Liber
primus de naturalibus, l, 7, p. 66; Tab., pp. 38-39)- sia per via di una causa
ad essa esterna, che può o impedire il raggiungimento della perfezione (come
la nuvola impedisce la perfetta maturazione della semina) o annientarla (come
la grandine fa con il raccolto). Questa continua serie di distinzioni (i diversi
modi in cui si dice il male; le diverse cause del male che agiscono in vari
modi) permette, già da sola, di asserire la portata relativa del problema del
male stesso, mettendo in atto una relativizzazione del male che viene infine
esasperata dall'affermazione secondo la quale la causa del male è tutta ed
esclusivamente al di sotto della sfera della Luna. [417 -418] Inoltre, - continua
Avicenna- il male, che non riguarda le specie, colpisce solo gli individui e
mai la maggior parte e il male che è comune ai molti non è poi che una specie
di male: il male può infatti toccare sia ciò che è necessario alla perfezione
della cosa, sia ciò che è quasi necessario, sia ciò che è superfluo, ed esempio
di quest'ultima specie di male è l'ignoranza di una disciplina scientifica che,
sebbene sia cosa in sé deprecabile, è male in senso proprio solo in quell'indi-
viduo che abbia sviluppato la consapevolezza della necessità di conoscere tale
disciplina.
[418-419] A questa serie di argomentazioni- che si potrebbero definire
negative -Avicenna fa seguire una trattazione "positiva" del male, per
mostrare come esso rientri in effetti nel decreto divino. La prima posizione sta
nell'affermare che il male - poco e relativo così come esso si è dimostrato
nell'analisi appena conclusa- è un conseguente necessario del bene (letteral-
mente "del bisogno del bene") ed è in tal senso, "voluto" per accidente; esso è
dunque voluto come è voluto un conseguente necessario, laddove il bene è
voluto per sé. A illustrare la questione del male si trova spesso un esempio
nelle opere avicenniane: se il fuoco non fosse tale da bruciare anche il mantel-
lo di un uomo pio, non sarebbe utile, dato che non se ne potrebbero ricavare
tutti i beni che, di fatto, se ne ricavano.
Inizia qui - è opportuno sotto1inearlo - un'articolata trattazione in cui
Avicenna, chiarendo che cosa vada inteso con "bene assoluto" (!Jayr mu{laq)-
INTRODUZIONE 855

individua, grazie a due argomenti distinti, il fondamento etico dell'azione


emanativa del Principio. II bene del mondo è implicitamente definito un bene
relativo (vi si mescola del male, pur poco e insignificante che esso sia) ed esso
si oppone dunque al "bene assoluto", cioè al bene totale e puro del mondo
celeste dal quale esso pur sempre proviene. Il primo argomento cui Avicenna
ricorre consiste allora nell'affermare che il Principio non può rinunciare a un
male relativo perché questo comporterebbe non solo l'inesistenza del bene
relativo che gli è vincolato, ma anche quella del bene assoluto che lo causa
(per evitare un'inesistenza, se ne avrebbero due). II secondo argomento- che
non completa semplicemente ma piuttosto corregge il primo - consiste invece
nel mostrare come il bene "relativo" abbia una sua intrinseca necessità: il bene
del mondo sublunare (con il male che gli è connesso) in quanto possibile deve,
infatti, essere realizzato, in virtù di quel "principio di pienezza" che regola
l'intero sistema avicenniano. Avicenna afferma chiaramente che "anche se"
non si prestasse attenzione al calcolo "delle due inesistenze", il mondo sublu-
nare (il bene e il male che esso rappresenta) si dimostrerebbe necessario. È
chiaro, tuttavia, che in tal senso il vero bene "assoluto" non sta più in quello
celeste, bensì nella realizzazione del possibile che comprende sia il mondo
celeste sia quello posto al di sotto della sfera della Luna. In tal modo, il
mondo sublunare trova una legittimazione piena, ben superiore a quella che gli
veniva dallo statuto di "conseguente necessario" e voluto "per accidente".
All'emanazione è dato un fondamento in grado di legittimare, sul piano etico,
ogni grado dell'essere2 •
[419-420] Nella parte conclusiva Avicenna riafferma la relatività del male
e ne distingue ulteriormente i significati; il male si dice in molti modi: si dice
delle azioni e dei costumi morali; dei dolori e delle sofferenze; della mancanza
e della perdita. Esso è comunque vincolato all'inesistenza di qualcosa e, nel
caso, delle azioni morali, è tale solo in relazione a chi riceve I' azione, non alla
facoltà o potenza cui l'azione rimanda (l'ingiustizia che deriva da una prepo-
tenza è male per chi la subisce, ma non per la facoltà dell'agente che è volta
comunque all'ottenimento della vittoria). Il male, legato alla materia, è il pro-
dotto diretto dello statuto antologico della materia stessa che consiste nella
possibilità di accogliere i due contrari; in tal senso, l'idea del male come con-
seguente del bene è qui, ancora una volta, ribadita. Il male, infine, non è per lo
più, anzi è poco e in quanto conseguente al bene è voluto e rientra nel decreto
e nella determinazione divini. [421-fine] Il solo male esistente è quello che è
minore del bene e alla domanda che chiede perché il mondo non sia costituito
solo dal bene, non si può rispondere altro che con la risposta implicitamente
già data: se il mondo fosse solo bene, esso sarebbe il mondo celeste e non que-

2 Su questo e sull'inclusione dello stesso "errore" in questo meccanismo, importanti

considerazioni in MICHOT, La destinée ... , pp. 61-66 [cfr. infra, nota 4].
856 TRATTATO NONO

sto mondo sublunare e, inoltre, non si troverebbe realizzato tutto il possibile,


mentre il bene assoluto - come Avicenna ha prima dimostrato - sta proprio
nella realizzazione di tutto il possibile (e, dunque, paradossalmente, nella rea-
lizzazione di quel poco di male che lo accompagna).

Sezione settima

La questione centrale della trattazione, quella che dà il titolo alla sezione, è


quella del "ritorno", del ritorno a Dio delle anime umane e dello stato e statuto
che loro spetta una volta che, con la morte, esse si siano separate dal corpo. Il
termine con cui Avicenna indica tale ritorno - ma 'iid - e che letteralmente
vale "il luogo in cui si torna" rimanda alla dottrina escatologica dei teologi
dell'Islam; nei testi del neoplatonismo arabo è infatti utilizzato piuttosto il ter-
mine rugii'. Avicenna distingue comunque immediatamente due modalità del
"ritorno". La prima ci è trasmessa dalla legge religiosa e non può avere altra
giustificazione che la legge stessa; è un dato della fede, esce in tal senso dal
dominio della filosofia e, poiché riguarda il piacere e la sofferenza corporei,
non ha bisogno di essere illustrata3. La seconda è quella modalità del ritorno
cui si arriva con la riflessione razionale ('aql) e l'argomentazione dimostrativa
(al-qiyiis al-burhiinf), riguarda il piacere e la sofferenza intellettuali ed è
l'oggetto precipuo dell'intera sezione. Tra ciò che è dato trasmesso dalla
Legge (manqiil min al-sar') e ciò che è attingibile con l'intellezione e il ragio-
namento umani (mudrak bi-l- 'aql wa l-qiyiis al-burhiinl), Avicenna stabilisce
immediatamente una gerarchia: il secondo ritorno, che consiste nella vicinanza
delle anime al Primo principio "reale", è superiore, per il filosofo, a quello
coranico che, comunque, lo conferma.
Non si può dare qui che una sommaria ricapitolazione degli argomenti cui
Avicenna ricorre per stabilire leggi e realtà di questo ritorno filosofico 4 .
[423,14-425,14] Avicenna procede quindi in modo lineare: egli elenca una
serie di principì (u~iil) che riguardano il piacere delle facoltà percettive in
generale e passa poi a mostrare come questi stessi principì- ricavati dall'espe-
rienza medica di Avicenna, ma facilmente riconoscibili anche nell'esperienza
quotidiana- siano applicabili al piacere dell'anima razionale e offrano una
legittimazione all'argomento della separatezza dell'anima dal corpo. Con
quello che si potrebbe definire un artificio retorico, Avicenna - che al tempo

3 Per le pene e le gioie nell'aldilà secondo il Corano, cfr. per es. Cor., IV, 56; XLVII,

15; LXXVI, 13-21.


4
La più importante e intelligente trattazione dell'escatologia avicenniana si deve a J.
(YAI:IYA) MICHOT, La destinée de l'homme selon Avicenne. Le retour à Dieu (ma'iid) et
l'imagination, Peeters, Leuven 1986.
INTRODUZIONE 8<:7

stesso ribadisce costantemente l'assoluta incomparabilità della dimension.


intellettuale con quella corporea - giustifica la prima con la seconda, at ~<
buendo così al ritorno delle anime una speciale concretezza.
l) Il primo principio recita che ogni facoltà o potenza dell'anima ha un J . -
cere e un dolore che le sono propri: il piacere, che in ultima istanza risiede n
una percezione conveniente, non è che l'espressione del perfezionamento deùn
potenza stessa; 2) il secondo insiste sulla differenza dì grado (martaba: 1

"rango") che va riconosciuta alle varie potenze: alcune percepiscono più inten-
samente o a lungo di altre; 3) il terzo principio è prettamente psicologico: si
desidera propriamente solo ciò che sì conosce e sì conosce solo ciò dì cui sì
può avere esperienza: come l'impotente non può immaginarsi il piacere sessua-
le o il sordo quello dei suoni armoniosi, così noi non possiamo davvero conce-
pire il piacere intellettuale e spirituale del ritorno. Nella coscienza popolare,
infatti, gli angeli prossimi a Dio non provano piacere quando in realtà la loro
condizione è superiore e anzi incomparabile rispetto a quella di chi prova un
piacere terreno. 4) Anche il quarto principio ha carattere psicologico: se un
ostacolo lo impedisce, la peifezione della potenza può darsi senza essere avver-
tita o senza procurare il piacere che ne dovrebbe essere la diretta conseguenza:
a causa dello squilibrio della propria complessione, il malato non desidera i cibi
dolci, che trova detestabili; chi ha paura non riesce a trovare piacere nella vitto-
ria. Pur restando implicite, le conseguenze di tale discorso sul piano del!' escato-
logia sono chiare: come il malato, noi desideriamo i piaceri corporei invece che
quelli dello spirito che sarebbero per noi i più convenienti e naturali. 5) Il quinto
principio precisa ciò che quello precedente ha delineato: solo una volta rimosso
l'ostacolo che impedisce alla potenza percettrice di desiderare la propria perfe-
zione, essa avverte il proprio stato e il danno che ne ricava: chi ha le membra
congelate ne avvertirà il danno solo una volta cessato il freddo; il malato rico-
mincia a desiderare il dolce e detestare l'amaro, solo una volta guarito, ossia
una volta riacquistata la propria complessione equilibrata. Sarà quindi solo una
volta separata dal corpo che l'anima, che pure ha in sé un'inclinazione verso il
corpo, avvertirà il danno che da questa riceve.
[425,15-fine] Enucleati tali principi, Avicenna passa a descrivere in che
cosa consistano la perfezione e il piacere dell'anima: cogliere il senso delle
cose, divenire un mondo intellettuale nel quale trovi riflesso il flusso di essere
che determina e definisce il mondo intero (v. anche supra a proposito di IX,
5). Il piacere dell'anima si dimostra il piacere dal grado più alto; anzi esso è
talmente alto da non poter in effetti neppure essere propriamente paragonato
agli altri piaceri che sono sensibili. Chiusi nei nostri corpi, in questo nostro
"basso" mondo noi non ne abbiamo, tuttavia, percezione, se non pallidamente
(per esempio quando diamo soluzione a un problema sul piano intellettuale) e,
di conseguenza, non lo desideriamo.
Sulla base dei principì prima elencati, Avicenna passa quindi a delineare ì
diversi destini delle anime, le quali subiranno una pena o una ricompens ..
858 TRATIATO NONO

diversa a seconda che siano ignare o consapevoli del vero piacere intellettuale,
che l'abbiano o meno raggiunto e che abbiano o meno purificato e perfeziona-
to il loro lato "pratico". Veramente felici, ossia veramente in grado di godere
del piacere intellettuale, spirituale, dell'aldilà saranno solo quelle anime che,
avendo raggiunto la consapevolezza del piacere intellettuale già nella loro vita
corporea, si sono distaccate dall'abito a occuparsi del corpo e delle sue preoc-
cupazioni terrene. Ma felici - seppure di una felicità immaginale e quindi
ancora legata alla corporeità - saranno anche quelle anime semplici che, pur
non avendo potuto accostarsi al piacere intellettuale, hanno creduto negli inse-
gnamenti della loro religione e hanno avuto fede nelle pene e nelle gioie
dell'aldilà, così come queste venivano loro descritte. La prima via del ritorno,
quella di cui Avicenna aveva dichiarato di non voler trattare, trova quindi qui
una propria legittimazione filosofica: le anime semplici godranno della felicità
corporea (o soffriranno al contrario la pena del corpo) grazie alla corporeità
delle sfere celesti. E alla legge religiosa viene così garantita un'interpretazione
realista, laddove la dimensione simbolica è implicitamente scartata.
860 [373]

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iJ:.~ .!l~_;: tf ':il 'J.>r j .y! 1.. .!11.450 •l;.:t.:JI ~~\.h

CAP!TULUM DE PROPRIETATE ACT!VA PRIMI PR!NC!Pll

[434] Iam manifestum est nobis quod universitas habet principium quod est necesse
esse, non contentum sub genere, nec sub definitione, nec subest demonstrationi, expers qua-
litatis et quantitatis et quidditatis, ubi et quando et motus, nec est aliquid sibi simile nec
communicans nec contrarium, et quia est unum quod intelligitur multis modis, eo quod
ipsum est non divisibile, nec in partes in effectu, nec in partes positione nec aestimatione
sicut continuum, nec intellectu quasi essentia eius sit composita ex intentionibus intelligibi-
libus diversis ex quibus provenit unum coniunctum. Et quia est unum inquantum non est
communicans ei aliquid ullo modo in suo esse quod est ei, et ideo propter hanc unitatem est
impar. Et est etiam unum quia ipsum est perfectum esse, sic quod nihil deest ei quod speret
ad perfectionem sui. Iam autem erat hic unus ex modis dicendi unum; unus autem non dici-
tur ipse nisi modo negativo, quia non sicut unum quod est in (435] corporibus continuatione
861

SEZIONE PRIMA 1

SULL'ATTRIBUTO ATTIVO DEL PRINCIPIO PRIM0 2

Ci è dunque apparso manifesto che per il tutto vi è un principio necessaria-


mente esistente che non rientra in un genere né sottosta a una definizione o a
una dimostrazione, libero da quantità, qualità, quiddità, luogo, tempo e movi-
mento, che non ha né pari né socio né contrario e che è uno, sotto tutti gli
aspetti, perché non è divisibile: né in parti in atto, né in parti (esistenti] per
supposizione e nell'immaginazione (al-wahm) -come invece il continuo -e
neppure nell'intelletto, come sarebbe, al contrario, se la sua essenza fosse
composta da intenzioni intellettuali diverse da cui si formasse un insieme uni-
tario. (Ci è apparso manifesto] che Esso è uno in quanto nell'essere che Gli
appartiene nulla Gli si associa, affatto 3 . In virtù di tale unità, Esso è dunque un
singolo4 ed è uno perché è completo nell'essere e non Gli resta niente da atten-
dere per essere completo5 ; e questo è certo uno dei modi dell'uno che comun-
que in Esso non è se non nel modo negativo; non è come l'uno che (si dice]
dei corpi e che è dovuto alla continuità, all'aggregazione o a qualche altra di
quelle cose in cui l'uno si trova in virtù di un'unità che è qualcosa di (positi-
vo], di esistenziale e che si accompagna a una o più essenze6 .
Da ciò 7 che si è [detto] in precedenza nelle scienze naturali ti è chiaro poi
che esiste una potenza infinita, incorporea (gayr mugassama), che è principio
del movimento primario8 ; ti è apparso inoltre evidente che il movimento circo-
lare non si genera con una generazione temporale e, da un certo punto di vista,
ti è quindi evidente che [il moto] è un principio continuativamente esistente9 •
Ti è inoltre chiaro che il Necessariamente Esistente per sé è necessaria-
mente esistente sotto tutti gli aspetti e che 10 non può essere che gli appartenga
uno stato "nuovo" che [prima] "non era", come ti è chiaro con ciò che la causa
per sé rende necessario il causato e che, dunque, se essa perdura continuativa-
mente, continuativamente rende necessario il causato.

ve! coniunctione ve! alio huiusmodi, quod est unum unitate quae est intentio inventicia,
accidens essentiae ve! essentiis.
Iam autem patuit tibi ex his quae dieta sunt in scientiis naturalibus, quod virtus est infi-
nita, non corporata, quae est principium primi motus. Et claruit tibi quod motus circularis
non fit generatione incommunicante, et inde patuit tibi alio modo quod principium est aeter-
num esse. Et post hoc claruit tibi quod necesse esse per hoc est necesse esse omnibus suis
modis, quod non potest esse ei aliqua dispositio futura quae non erat. Et adhuc etiam patuit
tibi quod causa, quantum in se est, facit necessario esse causatum; quae, si fuerit semper,
862 [374]

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facit causatum necessario esse semper. Sed, si illa sufficerent ti bi, profecto non indigeres bis
quae adhuc ostensori sumus.
Nos tamen adhuc addemus tibi aliquid ad declarationem huius, dicentes iam tibi notum
esse quia omne quod coepit habet materiam; quod si ita est, tunc eius quod prius non fuit et
postea est necessario duae causae, scilicet activa et receptibilis, ve l non erant < ... >,ve! erant
sed ve! agens erat non movens et receptibilis non movebatur, vel erat agens sed non erat
receptibilis, ve! erat receptibilis sed non erat agens.
[436] Dicemus autem verbum generale, antequam incipiamus discutere hoc, scilicet
quod, si dispositiones fuerint in se sicut fuerunt, et non fuit factum aliquid a!iquo modo
quod non erat, tunc debitum fiendi aliquid ex eis ve! non fiendi erit sicut erat, et ita non
potest esse ut aliquid incepisset fieri. Si autem incepit esse quod non fuit, tunc necessario,
ve! coepit fieri ad modum eius cuius causa fit subito, non ad modum eius quod fit secundum
propinquitatem vel elongationem suae causae, ve! coepit fieri ad modum eius quod fit
1RATIATO NONO- SEZIONE PRIMA 863

Ora, se queste affermazioni ti fossero sufficienti, ti basterebbe ciò che


abbiamo appena spiegato a riguardo; noi comunque accresceremo [il tuo]
discernimento [374] e diremo che hai appreso che ogni [cosa] che viene ad
essere ha una materia e che così se, non essendo, è poi venuta ad essere, non si
sfugge all'alternativa: o le due cause- quella agente e quella ricettiva- non
c'erano, e poi sono venute ad essere; o c'erano, ma l'agente non muoveva e il
ricettore non era mosso; oppure c'era l'agente ma non c'era il ricettore, oppure
ancora c'era il ricettore ma non c'era l'agente.
In modo sommario, prima di tornare [sull'argomento] in modo dettagliato,
diremo allora che, quando gli stati delle cause permangono così come erano,
senza che si sia in alcun modo prodotto qualcosa che [prima] non c'era, la
necessità - o la non necessità - del fatto che ne provenga qualcosa permango-
no quelle che erano, e assolutamente nessun ente (kt'i'in) può venire ad essere.
Se, invece, si produce qualcosa che non c'era, si hanno due possibilità: o
[questo qualcosa] viene ad essere come ciò che è tale perché la sua causa si
produce d'un colpo - e non come quel che è tale per prossimità o lontananza
della propria causa - oppure, esso viene ad essere come quel che è tale per
prossimità o lontananza della propria causa. Nel primo caso è necessario che il
venire all'essere [della cosa] sia dovuto a quello della causa e che sia contem-
poraneo ad essa e per nulla posteriore ad essa. Infatti, se [prima] la causa non
fosse esistente e poi esistesse, oppure se fosse esistente ma il causato fosse ad
essa posteriore, ne conseguirebbe quel che abbiamo detto prima: sarebbe
necessario, cioè, che venga ad essere qualcos'altro, diverso dalla causa, eque-
sto qualcosa che verrebbe ad essere sarebbe la causa prossima. Tuttavia,
[come è chiaro], se la cosa procedesse sempre in questo modo, si dovrebbero
avere necessariamente cause ed enti tali da venire ad essere d'un colpo, infini-
ti, tutti insieme necessari. Ma noi conosciamo il principio che stabilisce in
modo decisivo la vanità di questa [ipotesi].
Resta dunque che le cause che si producono non sono tutte d'un colpo,
senza essere dovute alla prossimità - o alla lontananza - di una Causa prima e
che, quindi, i principi della generazione vanno ricondotti alla prossimità o alla
lontananza delle cause; e ciò in virtù del movimento.

secundum propinquitatem suae causae ve! elongationem. Sed pars prima, necessario est de
hoc cuius inceptio est propter inceptionem causae et cum ea, non post eam ullo modo. Si
autem causa prius non fuit et postea est, ve! prius fui t et causatum est post eam, sequetur id
quod diximus primo, scilicet debere fieri aliquid aliud praeter causam quod fit prius et sit
causa propinqua. Si autem durarent res secundum hunc modum, oporteret tunc ut causae et
ea quae fiunt essent subito et infinita, et oporteret ea esse simul. Hoc autem, secundum quod
nos assignavimus radicem iudicantem destructionem huius, est quod causae quae incipiunt
non fiunt ornnes subito, non propter propinquitatem ve! elongationem causae primae.
[437] Resta! ergo ut inceptio eius quod fit perveniat ad propinquiorem vellonginquio-
rem ex eis, sed hoc fit per motum.
864 '('V o
(375]

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lam ergo fuit motus ante motum, et ille motus perduxit causas ad hunc motum. Sunt igi-
tur quasi duo contingentia; sin autem, redibit quaestio iterum de tempore quod est inter illa
duo, hoc est quia, si illud tempus non impleverit motus, tunc ea quae fiunt ab eis infinita
erunt in uno instanti, eo quod non possunt esse in instantibus contingentibus et concurrenti-
bus. Sed oportet unum esse propinquius in ipsa re post elongationem ve! longinquius post
propinquationem, et tunc illud instans vel erit finis primi motus perducentis ad alium
motum, ve! aliquid aliud. Si autem fuerit perducens ad alium motum et fecerit debere esse,
tunc ille motus qui est quasi causa propinqua huìus motus erit contingens illum. Intentìo
autem huius contìngentiae satis intelligitur, praecipue cum non sit possibile tempus esse
ìnter duos motus et motum non esse interìm. Iam enim patuit ex naturalibus quod tempus
consequitur motum, sed tractare de ostensione huius facit nos scire quod motus praecedit
motum, nec tamen facit scire an ille motus sit causa fiendi hunc motum. Iarn igitur aperte
manifestum est quod motus non fit postquam non fuit, nisi propter a!iquid quod erat, et
[438] illud quod erat non coepit fieri nisi per motum contingentem istum alium motum. Non
curo autem quid fuerit illud quod erat antequam hoc fieret, scilicet an fuerit intentio agentis,
rttATfATO NONO- SEZIONE PRIMA 865

Perciò, prima del movimento vi sarà stato un movimento; tale movimento


avrà fatto pervenire le cause a questo [determinato] movimento, e i due [movi-
menti] saranno allora come contigui. Altrimenti, si dovrebbe tornare da capo a
discutere del tempo che sussisterebbe fra i due. Infatti, se [a un moto] non fosse
contiguo un altro moto 11 , [375] le [cose] che si producono a partire [da questo
movimento e] che sono infinite sarebbero tutte in uno stesso istante, non poten-
do essere in istanti adiacenti e contigui, e questo è impossibile. È invece neces-
sario che un [istante] si sia approssimato a tale istante dopo esserne stato a
distanza- o che se ne sia allontanato dopo esserne stato in prossimità 12, e ciò in
modo tale che questo dato istante sia il termine di un primo movimento, condu-
cendo a un altro movimento o a qualcos'altro. Così, se poi [questo] conduce a
un altro movimento, rendendolo necessario, il movimento che è come una
causa prossima di questo [secondo] movimento, sarà ad esso contiguo.
Il senso di tale contiguità è ben comprensibile: non è infatti possibile che
vi sia un tempo tra due movimenti senza che in esso vi sia un movimento;
nella Fisica ci si è infatti rivelato in modo evidente che il tempo segue il
movimento 13 • Tuttavia, impegnarci in una tale prova ci insegnava se un movi-
mento precede un movimento, ma non ci insegnava che questo dato movimen-
to è causa del prodursi del movimento ad esso immediatamente successivo
(hiid.ihi l-/:taraka al-la/:tiqa).
Ora, in modo chiaro e manifesto si è mostrato che il movimento non viene
ad essere dopo non essere stato se non per via di qualcosa che viene ad essere,
e che viene ad essere solo in virtù di un movimento contiguo a questo movi-
mento. Non ha importanza quale sia questa [data cosa] che viene ad essere:
uno scopo intenzionato (qa~d) da parte dell'agente, una volontà, una scienza,
uno strumento, una natura, il prodursi di un momento più adatto di un altro ad
operare, il prodursi - da parte del ricettore - di una disposizione, di una prepa-
razione che [prima] non c'erano, o il sopraggiungere di qualcosa che esercita
un influsso e che [prima] non c'era. Infatti, comunque sia, il suo venire ad
essere è vincolato al movimento, non essendo possibile altrimenti.
Torniamo ora a [esaminare le cose] in dettaglio e diciamo: se la causa
agente e quella ricettiva sono in se stesse entrambe esistenti, ma fra di esse
non c'è né azione né passione, allora c'è bisogno che tra le due si istituisca un
rapporto che renda necessarie l'azione e la passione.

vel voluntas, vel scientia, vel instrumentum, vel natura, vel acquisitio unius temporis conve-
nientioris actioni quam alterius, vel acquisitio praeparationis ve! aptitudinis recipientis quae
non erat, vel applicatio imprimentis quae non erat; quomodocumque enim fuerit, suum fieri
pendebit ex motu, nec potest aliter esse nisi sic.
Redeamus igitur ad discutiendum hoc et dicemus quod, si causa agens et receptibilis
fuerint in seipsis sic ut non sit actio vel passio inter illas, tunc necessarium erit ut interveniat
comparatio inter illas duas quae facit debere esse actionem et passionem; sed quantum ad
866 [376]

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agentem, est sicut voluntas quae facit debere esse actionem, ve! natura faciens debere esse
actionem, ve! instrumentum, ve! tempus; quantum vero ad receptibile, est sicut aptitudo
quae non erat; sed quantum ad utrumque, est sicut applicatio unius eorum ad alterum. Jarn
autem manifestum est totum hoc esse propter aliquem motum. Sed quod agens sit et non
receptibile ullo modo, hoc est impossibile, primo quod recepcibile, sicut ostendimus, non fit
nisi per motum qui habet continuationem, et sic motus est ante motum; secundo quia non
potest esse ut fiat quod non fuit quin praecedat illud esse receptìbilis quod est materia; eve-
niret enim quod receptibile iarn esset, et deinde fieret aliud receptibile. Si autem poneretur
quod receptibile est, sed agens non est, [439] tunc fiet agens, et sequitur illum fieri per cau-
sarn habentem motum, sicut praediximus.
fRA TIATO NONO- SEZIONE PRIMA 867

Da parte dell'agente, a rendere necessaria l'azione sarà qualcosa come unll


volontà o una natura 14 o uno strumento o un tempo; [376] da parte del ricetto·
re, qualcosa come una preparazione che non c'era; da parte di tutti e due 15
insieme, qualcosa come il fatto che l'uno raggiunga l'altro. Ed è chiaro che
tutto questo si ha in virtù di un certo movimento.
Che invece l'agente sia esistente senza che vi sia affatto un ricettore è
impossibile: in primo luogo, perché il ricettore - come abbiamo reso evidente
-non si produce se non in virtù di un movimento che sia continuo 16 , in modo
che prima del movimento vi sia stato un altro movimento; in secondo luogo,
perché non è possibile che una cosa venga ad essere senza che l'esistenza del
ricettore, e cioè la materia, l'abbia preceduta; si avrebbe allora che il ricettore,
per prodursi, dovrebbe già essere.
Se poi si pone il ricettore esistente e l'agente non esistente, sarebbe l'agen·
te a dover venire ad essere; ma di conseguenza esso verrebbe ad essere in virtù
di una causa in movimento, come abbiamo descritto.
Ancora: il principio del tutto è un'essenza necessariamente esistente e quel
che esiste a partire dal Necessariamente Esistente è necessario; altrimenti [il
Necessariamente Esistente] avrebbe uno stato che non Gli apparteneva e quin·
di non sarebbe necessariamente esistente sotto ogni aspetto. Perciò, se poni lo
stato che si dovrebbe produrre, non nella Sua essenza, ma fuori della Sull
essenza - come alcuni pongono la volontà - il discorso a proposito del produr·
si della volontà permane immutato: [un tale stato] si avrebbe, cioè, in virtù di
una volontà oppure per natura o per una qualunque altra cosa? E d'altronde,
comunque si ponga una cosa che viene ad essere dopo non essere stata, la si
pone o tale da prodursi nella Sua essenza o invece tale da non prodursi nella
Sua essenza, come una cosa che ne sia distinta; e il discorso dunque permane
immutato. Se 17 poi [una cosa] si producesse nella Sua essenza, questa sarebbe
mutevole, ma è già apparso in modo evidente che il Necessariamente Esistente
per sé è necessariamente esistente sotto ogni suo aspetto.

Et etiam quia principium omnium est essentia quam necesse est esse, et necesse esse est
sic quod quicquid est ab eo necessarium est quantum ad illud, alioquin, esset ei dispositio
quae non erat, et sic non esse! necesse esse ex omnibus suis partibus. Si autem dispositio
quae fit posita fuerit non in eius essentia, sed extra eius essentiam, sicut quidam eorum
ponunt voluntatem, tunc quaestio de hoc quod voluntas fit ab ipsa restabit adhuc, scilicet at1
sit per voluntatem, an per naturam, an per aliquid aliud, quicquid illud sit. Quomodocumque
autem posueris aliquid fieri quod non erat, ve! pones illud fieri in sua essentia, ve! non fieri
in sua essentia, sed erit aliquid discretum ab essentia eius, et remanebit adhuc quaestio. Si
enim fit in eius essentia, tunc ipsum est variabile: manifestum autem fuerat quod necesse
esse per se est necesse esse ex omnibus suis parti bus.
868 rvv [377]

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._...lk; !;~ ~ ~)kll "-:-·,1\ u"' .§.; tJ' : : \; i")6:1! jt( oli'\.) ù"' ~ Jl.:;. ..:...;~ é.ll

Item, si, cum fuerint ea guae sunt discreta ab eo, fuit ipse sicut erat antequam fierent et
nihil accidit ei ullo modo quod non erat, sed fuit ìpse sìcut erat cum nihìl erat ab eo: tunc
non est necesse aliquid esse ab eo, sed erit dispositio et res sicut erat. Unde necessarium est
cognoscere necessitatem essendi ab eo, an eligere esse ab eo fui t potius propter alìquid quod
esset medium, quod non erat cum erat prius non esse et [440] cessati o ab actione erat eius
dispositio, an hoc non fuerit aliquid quod esset extra eum. Nos autem Joquimur nunc de
inceptione eius quod fit ab eo. nullo mediante, an sit aliquid quod coepit, et per illud coepit
secundum, sicut dicunt de voluntate et volìto.
lntellectus autem purus et verus testatur quod essentia una si, sicut erat ante cum non erat
ab ea aliquid, modo etiam esset sic ex omnibus suis partibus, profecto modo etiam non esset
ab eo aiiquid. Si autem modo factum est ut fiat ab ea aliquid, tunc iam contigit in essentia illa
intentio ve! voluntas ve! natura ve! posse ve! aptitudo ve! aliquid aliud his simile quod non
erat. Qui autem negaverit hoc, iam discessit a vero intellectu lingua, sed redit ad illum propria
intentione, quoniam quod possibile est esse ve! non esse non exit ad effectum, nec fit electio
de eo ut si t potius esse< ... > ve! non esse absque inductore ve! utilitate ve! alio huiusmodi.
fRATTA TO NONO- SEZIONE PRIMA 869

[377] E ancora: se all'avvenire delle [cose] distinte da sé [il Necessariamente


Esistente] fosse come era prima del loro venire ad essere, senza che sia accaduto
assolutamente nulla che [prima] non era ed essendo lo stato di cose (al-amr)
così come era quando a partire dal [Necessariamente Esistente] non esisteva
nulla, ecco che niente ne deriverebbe necessariamente l'esistenza. Anzi, lo stato
di cose (al-/:ttil wa l-amr) sarebbe così come era. Si avrebbe quindi bisogno,
immancabilmente, di qualcosa che operi una distinzione 18 in favore della neces-
sità d'esistenza o di una preponderanza per l'esistenza a partire dal [Principio].
E ciò in virtù di qualcosa di avventizio, un medio che - allorché la preponderan-
za era in favore dell'inesistenza a partire dal [Principio] e il suo stato era l'assen-
za di attività- non c'era. Questo [medio], tuttavia, non potrebbe essere qualcosa
di esterno al [Principio]: noi, infatti, parliamo del venire ad essere di ciò che
viene ad essere a partire dal [Principio] stesso, non con la mediazione di qualco-
sa di avventizio grazie a cui - come alcuni sostengono a proposito della volontà
e di ciò che è voluto- verrebbe ad essere una seconda [cosa].
L'intelligenza limpida e che non subisce turbamenti è testimone del fatto che
da una medesima essenza una che sia ora, sotto ogni suo aspetto, così come era
[prima], non può esistere nulla se, nello stato in cui essa si trovava prima, non ne
derivava alcuna esistenza 19 : ora essa si troverebbe, infatti, nello stesso [stato in
cui era prima]. Perciò, se ora da questa sua essenza è venuto ad esistere
qualcosa 20 , vuoi dire che in essa si sono prodotte un'intenzione e una volontà 21 o
una natura o un potere e una capacità o qualcosa di simile a queste e che [prima]
non c'era. E chi lo nega, mentre con la lingua si separa da ciò che esige la sua
intelligenza, nell'intimo, con la mente, vi fa ritorno. Infatti, ciò che può esistere
o non esistere non passa all'atto e non ha una preponderanza ad esistere, se non
in virtù di una causa (sabab). Così, se questa data essenza- quella che appartie-
ne alla causa- è [ora] come era [prima], -non avendo una preponderanza né
essendo una qualche preponderanza necessaria a partire da essa, e non essendovi
poi neppure un invito, un interesse o qualcos'altro, ecco che si ha immancabil-
mente bisogno di qualcosa che, venendo ad essere, produca necessariamente in
essa - se questa essenza è davvero la causa agente - la preponderanza.
Altrimenti, il suo rapporto con questo possibile resta così come era prima, per
essa non si produce un altro rapporto, la cosa rimane nello stesso stato in cui era
e la possibilità resta nello stato di pura possibilità che le è proprio.
Se invece per [tale essenza] si produce un certo rapporto, si produce qual-
cosa che non può che darsi per la sua essenza e nella sua essenza. Infatti, se

Igitur necesse est ut fiat aliquid in hac essentia quae facit debere esse potius, cum ipsa
sit agens. Sin autem, comparatio eius ad illud possibile eri t sicut erat ante, quia, si non conti-
gerit ei aliqua com-[44l]paratio, adhuc esset res secundum suam dispositionem, et possibili-
tas esset pura possibilitas secundum suam dispositionem. Cum autem contigerit ei compara-
tio, tunc iam contingit ei aliquid et necesse est ut contingat suae essentiae et in sua essentia.
870 [378]

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Si enim fuerit extra suam essentiam, restabit adhuc quaestio et non eri t illa comparatio quae-
sita. Inquiremus enim comparationem quae facit debere esse quicquid est extra suam essen-
tiam, priusquam non fuit, totum simul, quasi sit una collectio, et dispositionem quae erat
ante cum non faceret esse aliquid; alioquin, exciperemus de collectione aliquid, scilicet
voluntatem, et oporteret considerare dispositionem eius quod est post illud < ... >, sed hoc est
absurdum; igitur quod fit a primo, secundum hanc dictionem, est in sua essentia, et hoc est
absurdum: quomodo enim potest esse ut in essentia eius fiat aliquid et a quo fiet? Iam autem
rnanifestum fuerat quod necesse esse per se unum est. Unde necesse est ut quicquid coepit,
sit ab eo; erit igitur quod non erit comparatio quaesita. Nos autem non quaerimus nisi com-
parationem quae facit necessario primum possibile exire ad effectum nec facit debere aliud
esse. Dictum est autem quod necesse esse unum est quod, si fuerit ab [442] alio, tunc illud
est causa prima et adhuc restabit quaestio. Deinde, quomodo potest esse ut in nihilo sit hora
cessandi et hora inchoandi et in quo erit hora diversa ab hora?
Item, postquam ostensum est quod omne quod fit non fit nisi quia aliqua dispositio con-
tingit principio, tunc non potest esse quin id quod fit fiat a primo, ve! per naturam, ve! per
intentionem in ilio ex voluntate ve! per voluntatem, postquam non est per violentiam neque
contingens. Si autem fuerit per naturam, tunc variata est natura; si vero fuerit per intentio-
fRATIATO NONO- SEZIONE PRIMA 871

fosse qualcosa di esterno alla sua essenza, il discorso permarrerebbe immutato


e questo non sarebbe il rapporto ricercato. Noi invece ricerchiamo [378] il rap-
porto che conviene per spiegare l'esistenza di tutto ciò che 22 , essendo esterno
all'essenza [del Principio], è dopo non essere stato, nella sua totalità, come se
si trattasse di un solo insieme che fosse in uno stato in cui non vi è nulla di esi-
stente; altrimenti, si sarebbe fatto uscire qualcosa dall'insieme e si sarebbe
guardato allo stato di quel che gli è successivo23 .
Ora, se il principio del rapporto è distinto rispetto ad esso, non si tratta del
rapporto che andava ricercato. [Sembra] quindi, secondo questo discorso, che
quel che per primo viene ad essere sia nell'essenza del Principio, e tuttavia
questo è impossibile. Infatti, come potrebbe avvenire qualcosa nella Sua
essenza e donde verrebbe, se è apparso evidente che il Necessariamente
Esistente per sé è uno? Si vede 24 [chiaramente] che questo qualcosa sarebbe
diverso da quel che viene ad essere dal Primo e che, quindi, non si avrebbe il
rapporto che va ricercato. Noi, infatti, ricerchiamo il rapporto che rende neces-
sario il passare all'atto del primo possibile: proviene forse esso 25 da un altro
"necessariamente esistente"? Ma si era detto che il Necessariamente Esistente
è uno. E comunque, se provenisse da un altro, quest'altro sarebbe la Causa
prima e il discorso si dovrebbe riproporre immutato a proposito di quest'altro.
Inoltre, come si potrebbe distinguere nella non-esistenza un momento di non-
azione (tark) e un momento di cominciamento? E in virtù di che cosa un
momento si differenzierebbe dali' altro?
Ancora: poiché è evidente che ciò che viene ad essere viene ad essere solo
in quanto nel principio si produce 26 un certo stato, allora senz'altro quel che
viene ad essere a partire dal Primo viene ad essere o per natura, o per un acci-
dente [che deriva] da qualcosa di diverso dalla volontà27 , o per la volontà:
certo non sarà, infatti, né per violenza né per caso.
Ora, se fosse per natura, la natura [del Principio] sarebbe mutata; altrimenti
sarebbe per accidente, ma allora [ne] sarebbe mutato l'accidente. Se fosse per
la volontà, tralasciamo [di chiederci]28 se essa si sia prodotta al suo interno o
al contrario sia distinta dal [Principio] e diciamo piuttosto che ciò che è voluto
dovrebbe essere o il fatto stesso di far esistere [il causato] oppure uno scopo e
un'utilità a questo successiva. Ora, se ciò che è voluto è per sé il fatto stesso di
far esistere [il causato], allora perché [il principio] non lo avrebbe fatto esiste-
re prima? Vedi forse 29 che ora vi trova un Suo interesse? O è forse venuto il
suo momento? O è adesso che ha il potere di farlo? E non ha senso [379) quel

nem, tunc variata est intentio. Sed si fueòt per voluntatem, ponamus illam fieò in ilio ve!
esse discretam ab ilio. Sed dico quod aut voluntas est ipsum facere esse, aut intentio et utili-
las post esse. Si autem ipsa voluntas fueòt ipsum facere esse per seipsam, tunc quare non
fecit esse ante? Vides quod nunc complacuit sibi illud facere vel advenit hora eius, aut quia
potuit super illud? Per hoc autem quod nunc dico, non intendo quod dixit aliquis, scilicet
872 [379]

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quod haec interrogatio inanis est eo quod haec in omni hora potest repeti; haec autem inter-
rogatio recta est ideo quod in unaquaque hora potest repeti et segui. Si autem fuerit propter
intentionem et utilitatem, notum est autem quia id cuìus esse et non esse agenti aequale est,
non est per [443] intentionem; quod autem agenti potius est esse quam non esse, illud est
si bi utile, verus autem prìmus, quia perfectus est essentia, ideo non est sibi aliquid utile.
Item primus, in quo praecedit ea quae incipiunt, per suam essentiam, ve! per tempus? Si
autem per suam essentiam tantum, sicut unum praecedit duo, quamvis sint simul, sed motus
rei motae est ut moveatur motu eius a quo movetur, quamvis sint simul, tunc necesse est ut
utraque sint incipientia, scìlicet et prìmus aeternus et quaecumque facta sunt ab ipso. Si
autem ipse praecedit non per suam essentiam tantum, sed per essentiam et tempus, videlicet
quod fui t solus et non mundus nec motus, sine dubìo autem hoc verbum fui t significa t id
quod praeteriit, non quod est modo, proprie sequitur tunc ut dicas post; igitur iam fui t aliqua
factura quae praeteriit antequam crearet creaturam, et illa factura est creata ab eo. Iam igitur
fuit tempus ante motum et tempus: praeteritum enim aut est per suam essentiam et hoc est
tempus, aut est per tempus et hoc est motus et quod est in eo et cum eo; et iam manifestum
TRATIATO NONO- SEZIONE PRIMA 873

che dice qualcuno e cioè che porre questa domanda è vano perché la domanda
si ripropone in ogni momento: al contrario, questa è una domanda reale pro-
prio perché si ripropone e consegue necessariamente in ogni momento.
E se, invece, [si dice che ciò che è voluto lo è] per uno scopo e un'utilità
ebbene, è noto che ciò che per una data cosa è tale che il suo essere e il suo
non essere sono sullo stesso piano non è dovuto a uno scopo, mentre [si sa
che] ciò il cui provenire da una data cosa è preferibile è utile. Ma il Primo
Reale è dall'essenza perfetta e in nulla trova utilità30 •
Inoltre, in virtù di che cosa il Primo avrebbe preceduto le proprie azioni,
che poi verrebbero ad essere: per la Sua stessa essenza o per il tempo?
Se fosse soltanto in virtù della Sua essenza- come è per l'uno rispetto al
due, anche se essi esistono contemporaneamente, o come avviene per il movi-
mento di quel che è mosso, in quanto, benché [sia il motore sia il mosso] esi-
stano contemporaneamente, [quel che è mosso] si muove in virtù del movi-
mento di ciò a partire da cui si muove31 - allora dovrebbero entrambi essere
tali da venire ad essere: il Primo pre-etemo e le azioni che ne provengono.
Se, invece, [il Primo] avesse preceduto [le proprie azioni] non soltanto in
virtù della Sua essenza, ma in virtù della Sua essenza e del tempo, in quanto
sarebbe stato solo, senza né mondo né movimento - e non v'è dubbio che
l'espressione "sarebbe stato" (kiina) indica qualcosa che è passato e che ora
non è, specialmente se in seguito dici "poi" (tumma) - allora, prima che [il
Principio] creasse, sarebbe già passato un certo "essere" (kawn) e questo
sarebbe, dunque, finito. Ma dunque prima del movimento e del tempo vi
sarebbe stato un tempo. Infatti, quel che è passato o è per sé - e allora è il
tempo - o è in virtù del tempo, e si tratta allora del movimento e di ciò che si
trova in esso e con esso. E questo per te è ormai evidente32 .
Se poi [il Principio] non avesse preceduto [la creazione] per via di qualco-
sa che, rispetto al primo momento in cui viene ad essere la creazione, è passa-
to, [il Principio] verrebbe ad essere contemporaneo al suo venire ad essere.
Ma, secondo gli assunti di costoro33 , come avrebbe potuto [il Principio] non
precedere per via di qualcosa il primo momento del creato, poiché "era già,
non essendovi creazione" e poi "era, essendovi creazione"?
Era e non vi era creazione non è affermabile una volta che [si dica che il
Principio] era e vi era creazione; e neppure era prima della creazione si può
affermare [dicendo] che è insieme alla creazione; era e non vi era creazione

est ti bi hoc. Si autem non praecedit per aliquid quod est praeteritum horae primae in qua est
factura creaturae, tunc ipse fit cum sua factura. Quomodo autem erit ut, secundum positio-
nem illorum, non praecedat per aliquid horam primam [444] creaturae, sed iam esset ipse et
non creatura, vel esset ipse et creatura? Sed non fuit ipse et non creatura provenit ex hoc
quodfuit ipse et creatura, et non suum esse ante creaturam provenit ex sui esse cum creatu-
ra. Hoc autem quod fuit ipse et non creatura non est ipsum esse solum, quia sua essentia
874 [380)

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iam est cum creatura. Quod autemfoit ipse et non creatura non est suum esse cum privatio-
ne creaturae nec est aliquid tertium; esse enim suae essentiae < ... >, et privatio creaturae dic-
tum est quod iam fuerat quod non est modo. Hoc enim verbum foit continet in se intentio-
nem intellectam praeter intellectum ex duabus praedictis. Cum enim tu dixeris esse essen-
tiam et privationem essentiae, non inte11igetur ex hoc prioritas, sed potest intelligì cum ea
posterioritas. Si enim privarentur res, posset esse suum esse cum privatione rerum, nec pos-
set dici hoc fuit, sed intelligetur prioritas cum condicione tertia. Naro esse essentiae est ali-
quid et privatio essentiae est aliquid et quod intelligitur per foit est esse aliud a duabus inten-
tionibus. Iam autem attribuerunt hanc intentionem creatori, protensam sine principio, et con-
cesserunt eum antea creasse qualecumque quod putaverunt esse creaturam. Si autem hoc ita
esset, tunc haec anterioritas esset quantitativa mensurata, et hoc est quod nos vocamus tem-
pus, scilicet prioritatem non mensurationem habentem situm nec stabilitatem, sed est secun-
dum viam successionis.
[445] Deinde, si volueris, considera quod diximus in naturalibus, ubi ostendimus quia id
quod significatfoit et erit contingit dispositioni non permanenti; dispositio vero non perma-
nens est motus. Cum autem certus fueris de hoc, scies quod primus non praecessit creatu-
ram, apud eos, prioritate absoluta tantum, sed prioritate temporis in quo est motus et corpus
ve! corpora. Et hi sunt haeretici qui abstulerunt Deo suam liberalitatem. Necesse est autem
TRATIATO NONO- SEZIONE PRIMA 875

non è [espressione] identica a Esso solo esisteva, dato che la sua essenza si
sarebbe data veramente [solo] dopo la creazione, né era e non vi era creazione
(esprime1la sua esistenza con l'inesistenza della creazione senza (implicare1 una
terza cosa: l'esistenza della sua essenza si sarebbe data, infatti, dopo la creazio-
ne, mentre l'inesistenza della creazione è definita in quanto era e adesso non è.
[380] Quando diciamo era, sottintendiamo un intelligibile che non è quello
delle altre due affermazioni. Infatti, quando dici: "esistenza di una data entità34
e inesistenza di una data entità", a partire da [questa tua espressione] non si
intende che una preceda l'altra; anzi, con ciò si potrebbe correttamente inten-
dere persino la posteriorità [dell'una rispetto all'altra]. Anche quando le cose
sono rese inesistenti è corretto [intendere] la Sua esistenza con l'inesistenza
delle cose, mentre non è corretto dire del [Principio] che "era". La precedenza,
al contrario, si comprende soltanto a condizione di una terza [cosa]. Infatti,
l'esistenza di una data entità è una cosa, e l'inesistenza di una data entità è
un'altra cosa, e ciò che va compreso con "era" è una cosa esistente diversa da
quel che significano queste due. Ora, questo significato [di precedenza] è stato
posto per il Creatore in senso esteso, non in relazione a un inizio, e per quanto
lo concerne si è ammesso che Esso potesse creare prima di una qualunque
creazione che si immagini tale. Ma se è così, questo Suo esser prima è misura-
bile e quantificabile ed è quel che noi chiamiamo il tempo; la misurazione
[che appartiene al tempo], infatti, non è quella di quel che ha una posizione né
di quel che è stabile, ma di ciò che si fa per via di rinnovamento.
Inoltre, se vuoi, medita sulle nostre affermazioni di scienza naturale.
Abbiamo mostrato evidente, infatti, che quel che significa "era e sarà" è qual-
cosa che accade a una disposizione non fissa 35 e che la disposizione non fissa
è il movimento. Perciò, se ne hai appurato 36 [il senso], sai che il Primo -
secondo costoro - avrebbe preceduto la creazione non in senso assoluto, ma
soltanto per un tempo insieme al quale dovrebbero esservi un movimento e, o
più corpi, oppure un corpo solo.
Costoro, i denudatori [degli attributi divinij3 7 , i quali hanno denudato
Iddio della Sua generosità, non sfuggono a queste possibilità: o ammettono
che, prima della creazione, Iddio avrebbe avuto il potere di creare un corpo
che ha movimenti - in proporzione ai momenti e ai tempi - terminanti al
momento della creazione del mondo, oppure [un corpo che], avendo avuto
fino al momento della creazione del mondo momenti e tempi delimitati, per-
marrebbe con la creazione del mondo; oppure ancora [affermano] che il

ut concedant quod Deus, antequam creasset hunc mundum, vel potens fuit creare aliquod
corpus habens motus cuius horae et tempora essent mensurata, quod duraret usque ad crea-
tionem huius mundi et cessaret ibi, vel permansit usque ad creationem huius mundi [ita ut
mora unius esset longior mora alterius] et usque ad creationem mundi fuerunt illi horae et
tempora terminata; vel non fuit potens Deus creare aliquod corpus nisi quando incepit; sed
876 [381,1-11]

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haec pars secunda est absurda quia facit necessario Deum permutari de potentia ad impoten-
tiam et permutari creaturas de possibilitate ad impossibilitatem sine causa. Prima autem pars
dividitur in duo. Dico enim necesse esse quod ve! Deus potuit creare aliud corpus praeter
illud corpus quod duraret usque ad creationem huius mundi pluribus motibus, ve! non potuit.
Absurdum est autem dicere quod non potuit, propter hoc quod iam praediximus. Si autem
potuit creare aliud, tu nc ve! potuit creare illud cum creatione illius primi [446] corporis,
quod supra nominavimus ante hoc corpus, ve! ante creationem eius. Quod autem potuerit
creare illud cum ilio iam essente creato, hoc est absurdum, quia non est possibile ipsum
inchoare duas creaturas aequalis motus in velocitate perveniendi usque ad creationem huius
TRATTATO NONO- SEZIONE PRIMA 877

Creatore non avrebbe potuto dare inizio alla creazione che al momento in cui
le ha dato inizio.
Questa seconda ipotesi 38 comporta necessariamente che il Creatore passi
dall'incapacità al potere, oppure che le cose create passino dall'impossibilità
alla possibilità senza una causa.
[381] La prima ipotesi 39 dà luogo, invece, ad altre due divisioni. Si dirà,
dunque che non si sfugge a due possibilità: o era possibile che il Creatore
creasse un corpo, diverso dal corpo [che ha creato], che avrebbe avuto termine
nella creazione del mondo, ma con un periodo più esteso e con più movimenti,
o non era possibile.
Ora, per via di quel che si è già chiarito, è assurdo che non fosse possibile.
E se Gli era possibile [creare un tale corpo], allora o Gli sarebbe stato possibi-
le crearlo insieme a quel primo corpo che abbiamo menzionato prima di que-
sto, oppure Gli sarebbe stato possibile crearlo soltanto prima di esso. Ora, che
potesse crearlo insieme, è assurdo; infatti, non è possibile che il punto di inizio
di due creazioni pari nel movimento, sia per quanto riguarda la velocità sia per
quanto riguarda la lentezza, si realizzi in modo tale che le due trovino termine
nella creazione del mondo ma che il periodo di una delle due sia più lungo
dell'altro. Che poi non potesse [crearlo] insieme a quel [corpo] ma che anzi la
possibilità di quello fosse distinta da questo, o anteriore o posteriore rispetto a
questo, [vorrebbe dire] misurare, nello stato dell'inesistenza, la possibilità- o
l'impossibilità - di creare qualcosa, e ciò in uno stato e non in un altro, essen-
do quello anteriore o posteriore; e, inoltre, un tale [ragionare procederebbe]
all'infinito.
È chiara allora la veridicità di quel che abbiamo presentato a proposito
dell'esistenza di un movimento che non ha inizio nel tempo. Esso ha inizio
soltanto da parte del Creatore e consiste nei movimenti celesti 40 • È poi neces-
sario sapere che la causa prossima del movimento primo è un'anima, non
un'intelligenza, e che il Cielo è un essere vivente che obbedisce a Dio, bene-
detto e altissimo 41 •

mundi < ... >. Si vero non potuit creare cum ilio, sed potuit creare divisim ab eo, scilicet ve!
prius ve! posterius eo, tunc in dispositione privationis possibile fuit creari creaturam alicuius
proprietatis, et non possibile esset in alia dispositione, et hic incideret prioritas et posteriori-
las, et ita iret hoc in infinitum.
lam igitur ostensa est certitudo eius quod praediximus, scilicet quod motus est qui non
habet initium in tempore et quod non est ei initium nisi ex parte creatoris, et quod hic est
motus caelestis; oportet autem ut causa propinqua primi motus sit anima, non intelligentia,
et quod caelum est animai oboediens Deo.
878 [381,12-16]

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II
CAPITULUM QUOD PROPINQUUS MOTOR CAELESTIUM NON EST NATURA NEC INTELLIGENTIA SED
ANIMA ET QUOD PRINCIPIUM LONGINQUUM EST INTELL!GENTIA

[447] Dicemus nos iam ostendisse in naturalibus quod motus non est naturalis corpori
absolute, scilicet corpori existenti secundum suam dispositionem naturalem, eo quod omnis
motus qui est per naturam potest separari ab eo cui inest per naturam propter aliquam dispo-
sitionem quae accidit; disposi ti o vero quae separat id quod est per naturam est dispositio non
naturalis sine dubio. Manifestum est igitur quod omnis motus proveniens a natura removetur
per dispositionem non naturalem. Et manifestum est quod omnis res cui est motus naturalis,
879

SEZIONE SECONDA42

SEZIONE A PROPOSITO DEL FATTO CHE IL MOTORE PROSSIMO DEI CIELI


NON È NÉ UNA NATURA, NÉ UN'INTELLIGENZA, MA UN'ANIMA
E CHE IL PRINCIPIO PIÙ REMOTO È UN'INTELLIGENZA

Diciamo, dunque - lo abbiamo già mostrato nella Fisica43 - che, quando il


corpo è nel suo stato naturale, il movimento non gli è assolutamente naturale.
Se infatti ogni movimento per natura è una certa qual separazione, per natura,
da uno stato [del corpo], e lo stato dal quale [il corpo] si separa [382] per natu-
ra è senz'altro uno stato non naturale, è manifesto come ogni movimento che
si origini per natura derivi da44 uno stato non naturale: se fosse la natura stessa
880 J\:11 J..ùll - ~\:li ~\.ili [382]

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quamdiu est in eo, semper deest sibi aliqua ex comparationibus motuum, ipsa permanente in
sua natura. Sed hic motus qui deest non advenit naturae nisi propter esse dispositionis non
naturalis, ve! in qualitate sicut aqua calefieri per violentiam, vel in quantitate sicut debilitas
sani per infirmitatem, vel in loco ut cum lapis iacitur sursum, et similiter motus est in aliis
praedicamentis. Causa [448] autem transmutationis motus in contrarium est transmutatio
dispositionis non naturalis et positio suae elongationis a fine.
Postquam autem res ita est, tunc motus circularis non est a natura; si enim esset, tunc
esset a dispositione non naturali ad dispositionem naturalem ad quam cum pervenisse! quie-
TRATTATO NONO - SEZIONE SECONDA 881

della cosa ad esigere i movimenti, anche solo in parte, nessuno dei vari rap-
porti del moto si vanificherebbe nell'essenza con il permanere della natura
[della cosa]. Quindi è piuttosto soltanto perché esiste uno stato non naturale
che la natura esige il movimento: o nella qualità, come quando l'acqua è
riscaldata per violenza; o nella quantità, come [quando] il corpo sano acquisi-
sce una secchezza foriera di malattia; o nel luogo, come quando la zolla di
terra è trasportata nella localizzazione propria dell'aria; e analogamente è per
quanto riguarda il movimento che può aversi in un'altra categoria. E la causa
del fatto che i movimenti si rinnovano, uno dopo l'altro, sta nel rinnovarsi
dello stato non naturale e nel fatto che vi sia una determinata distanza dal
punto finale.
Ora, se la cosa sta in questo modo, un movimento circolare non può esser
per natura, altrimenti, provenendo da uno stato non naturale per raggiungere
uno stato naturale, una volta raggiuntolo, si placherebbe. In esso non può
esservi un'intenzione (qa:;d) [a raggiungere] proprio quello stato non naturale,
perché la natura non agisce per scelta ma al modo della sottomissione e di quel
che consegue per essenza. Così, se fosse la natura a muovere secondo circola-
rità, essa senz'altro muoverebbe o a partire da un luogo non naturale o a parti-
re da una posizione non naturale, per fuga naturale da essi; ma ogni fuga natu-
rale è fuga da qualcosa, ed è quindi assurdo che questo qualcosa sia in se stes-
so un'intenzione (qa,çd) naturale da raggiungere. Il movimento circolare si
separa invece da ogni punto, lo abbandona, ma nell'abbandonarlo intenziona
proprio quel punto: non fugge da una cosa, se non intenzionandola, e non è,
dunque, naturale, [383] benché possa essere per natura45 • Il fatto, cioè, che nel

sceret nec posset, quantum in se est, redire ad dispositionem illam non naturalem. Naturalìs
enim non agit per electionem, sed ad modum servientis et ad modum eius quod comitatur
per essentiam. Si autem naturalis esset motus circularis, tunc ipsa moverentur vel a loco non
naturali, vel a situ non naturali, fuga naturali ab ipso. Omnis autem fuga naturalis ab aliquo
non potest ipsa eadem esse reditus naturalis ad ipsum. Motus autem circularis separatur ab
omni puncto et relinquit illum, et sic facit in singulis punctis, et non fugit ab aliquo ad quem
postea non redeat; igitur motus circularis non est naturalis. Sed tamen est per naturarn, idest,
882 [383]

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suum esse in suo corpore non est diversum a iudicio alterius naturae in suo corpore. Id enim
quod movet caelos, quamvis non sit virtus naturalis, est tamen res naturalis illi corpori, non
extranea ab eo, et est ei quasi natura.
Item nulla virtus movet nisi mediante inclinatione. lnclinatio autem est intentio quae
sentitur in corpore quod movetur; si quis enim [449] coegerit illud quiescere per violentiam,
sentietur illa inclinati o in eo, < ... > sicut resilitio utris in aqua contra submergentem, propter
inquisitionem motus. llla igitur inclinatio aliud est quam motus sine dubio, et aliud est quam
virtus movens; virtus enim movens est cum perfectione motus, et inclinatio non est; sic
etiam primus motus, cuius motor non cessat facere fieri in suo corpore inclinationem unam
post aliam, quae inclinatio non prohibetur vocari natura. Illa enim non est anima nec est ab
extrinsecus, nec habet voluntatem nec electionem, nec est possibile eam moveri nisi movea-
tur ad partem non terminatam, et cum hoc, non est ei contrarium quod conveniat naturae
illius corporis propinqui. Si autem vocaveris hanc intentionem naturam, poteris dicere quod
caelum movetur per naturam, sed natura eius est fluxus ab anima qui renovatur secundum
1'RATIATO NONO- SEZIONE SECONDA 883

corpo si abbia il moto circolare non è qualcosa di contrario a quel che esige
un'altra natura dello stesso corpo: la cosa che provoca il movimento46 , benché·
non sia una potenza naturale, è infatti per quel corpo qualcosa di naturale47 ,
non qualcosa di estraneo, e perciò è come se ne fosse la natura.
Inoltre, ogni potenza muove soltanto per mezzo dell'inclinazione. L'incli-
nazione è quell'intenzione che si avverte nel corpo in movimento e che, se [il
corpo] sta in quiete per violenza, si avverte come se, in virtù di essa, esso oppo-
nesse resistenza48 a ciò che lo fa stare in quiete, ricercando il movimento, pur
stando in quiete. L'inclinazione è senz'altro diversa sia dal movimento sia dalla
potenza motrice: una volta portato a compimento il movimento, infatti, la
potenza motrice esiste, mentre l'inclinazione non c'è49 . E anche il primo movi-
mento è in questo modo: il suo [principio] motore non cessa di produrre nel suo
corpo un'inclinazione dopo l'altra, un'inclinazione che non vi è impedimento50
a chiamare "natura", perché essa non è né un'anima, né proviene da qualcosa di
esterno, né ha volontà o scelta, né le è possibile non muovere o muovere verso
una determinata direzione diversa e, assieme a ciò, non è contraria a quel che
esige la natura di quel dato corpo, né è qualcosa di estraneo51 . Così, se chiami
questa intenzione "natura", dirai: "la sfera si muove per natura" 52 , sennonché,
la sua natura è un flusso che proviene da un'anima e che si rinnova53 in relazio-
ne all'attività di rappresentazione immaginativa dell'anima. E si rivela allora in
modo evidente che la sfera non è un principio di moto naturale, e poiché è già
parso evidente che essa non [muove] per violenza, ecco che senz'altro [muove]
a partire da una volontà.
E diremo ancora: non è possibile che il principio prossimo del movimento
[della sfera] sia una potenza intellettuale pura che non muta affatto e non
immagina54 i particolari. È come se nelle sezioni precedenti55 avessimo già
indicato tutti [gli elementi] che aiutano a conoscere questo punto: abbiamo
chiarito che il movimento è una realtà (ma 'nii) dai rapporti sempre nuovi in
cui ogni porzione è determinata in virtù di [particolari] rapportì 56 ; [tale realtà]
non ha quindi stabilità e non è affatto possibile che provenga soltanto da qual-
cosa di (ma 'nii) stabile: se provenisse da qualcosa (ma 'nii) di stabile, le si
dovrebbe, infatti, accompagnare necessariamente [384] una sorta dì cambia-

imaginationem ipsius animae. Iam igitur manifestum est tibi quod principium motus caeli
non est natura; sed iam ostensum fuerat non esse per violentiam; igitur est per voluntatem.
Dico etiam quod principium sui motus propinquum non potest esse virtus intelligibilìs
pura quae non variatur nec imaginat particularia. Nos autem iam assignavimus in capitulis
praecedentibus generaliter id quod pertinet ad cognitionem huius intentionis, cum loqueba-
mur quod [450] motus est intentio renovata comparationibus et quod unaquaeque pars eius
est appropriata comparatione, nam non est ei stabilitas nec potest esse stabilis intentionis
ullo modo. Si enim esset stabilis intentionis, oporteret ut sequeretur illud unus modus per-
mutationis dispositionum. Si autem a natura esset motus eius, oporteret ut unusquisque
884 [384]
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motus qui renovatur in eo, esset propter renovationem propinquitatis si ve elongationis a fine
et post finem quaesitum, et omnis pars eius habet comparationem quae privatur ab ea, scili-
cet id quod terminatum est ei de propinquitate et privatur finis. Si autem non esset illa reno-
vatio, non esset renovatio motus. Dixit autem magister primus quod a stabili, inquantum est
stabile, non est nisi stabile.
Si autem motus esset per voluntatem, oporteret tunc ut esset ex voluntate renovata parti-
culari. Voluntatis enim universalis comparatio ad unamquamque partem motus una est; unde
non oportet ut hic motus fiat singularis propter eam <et non alius> . Si autem voluntas uni-
versalis esset causa huius motus propter alium motum priorem eo ve! posteriorem privatum,
tunc privatum facit necessario esse privati; privatum autem non facit necessario esse aliquid,
quamvis privationes [451] sint causae privationum; quod autem privatum faciat necessario
esse aliquid hoc est impossibile. Si vero causa motus fuerit propter aliqua quae renovantur,
tunc quaestio de renovatione eorum remanebit adhuc, quia si renovatio fuerit naturalis,
sequetur inconveniens quod supra diximus. Sed si fuerit voluntaria quae permutatur secun-
fRA TIATO NONO- SEZIONE SECONDA 885

mento degli stati; e se poi il movimento provenisse da una natura, allora


necessariamente ogni movimento che si rinnovasse sarebbe dovuto al rinno-
varsi di prossimità e distanza dal termine ricercato e, analogamente, ogni
movimento57 che scomparisse sarebbe dovuto alla scomparsa di prossimità o
distanza dal termine; altrimenti, se non vi fosse tale rinnovarsi, il movimento
non si rinnoverebbe: da ciò che è stabile, infatti, in quanto è stabile, non pro-
viene se non qualcosa di stabile.
Se poi [il moto] provenisse da una volontà, dovrebbe provenire necessaria-
mente da una volontà che sempre si rinnova e che è particolare. Il rapporto
della volontà universale con qualunque porzione di movimento è, infatti, sem-
pre uno stesso rapporto e dunque non se ne potrebbe determinare in modo
necessario un dato movimento in luogo di un altro. Così, se [la volontà univer-
sale] fosse per sé causa di questo movimento, esso non potrebbe vanificarsi; se
poi fosse causa di questo movimento in ragione dì un altro movimento, ad
esso precedente o successivo e ora inesistente, allora l'inesistente sarebbe tale
da rendere necessario quel che è esistente; ma - anche se le inesistenze posso-
no essere causa delle inesistenze58 - quel che è inesistente non può rendere
necessario quel che è esistente: che qualcosa di inesistente possa rendere
necessario qualcosa, questo non è possibile.
Se poi la causa [del moto] fosse una causa59 dovuta a cose che si rinnova-
no, la questione sì riproporrebbe immutata a proposito del loro rinnovarsi. Se,
infatti, si trattasse di un rinnovarsi naturale, ne conseguirebbe necessariamente
l'assurdo che abbiamo indicato in precedenza; se, invece, si trattasse di un
[rinnovarsi] volontario, che mutasse in misura delle rappresentazioni immagi-
native che si rinnovano, si sarebbe stabilito quel che volevamo stabilire.
Ed ecco allora che si rivela evidente come la volontà che è intellettuale e
una non comporti affatto un movimento, mentre è possibile concepire che que-
sto sia dovuto a una volontà intellettuale discorsiva. Quando infatti l'intellì-
genza non è sotto ogni aspetto un'intelligenza in atto, può passare da un intel-
ligibile all'altro e, avendo- come abbiamo indicato- un'intellezione di specie
universale, può avere intellezione del particolare che è sotto la specie come
qualcosa di generico e di determinato da accidenti 60 . Perciò, è necessario 61
rappresentarsi un'intelligenza che abbia intellezione del movimento universale
e che lo voglia e che abbia poi intellezione del proprio passare da un limite a

dum imaginationes renovatas, tunc hoc est quod volumus. Iam igitur manifestum est quod
voluntas intelligibilis faciens esse nullo modo facit debere esse motum.
Potest autem putari quod illa voluntas est intelligibilis mobilis. Iam enim intellectus
potest moveri de intellecto ad intellectum, cum non fuerit intellectus omnino in effectu;
potest enim intelligere particulare contineri sub specie dilatatum et appropriatum accidenti-
bus, intellectu scilicet ad modum universalem, secundum quod nos iam assignavimus. Igitur
potest esse ut aestimemus intellectum esse qui intelligit motum universalem et appetit eum,
886 [385)

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et deinde intelligit permutationem de termino ad terminum et apprehendit illos motus et


eorum rerminos, modo ìntellìgìbili, sìcut iam ostendimus, et, sicut est noster usus, probabi-
mus quod, quia motus de hoc ad illud assignat initium aliquod universale ad extremum aliud
universale cum mensura aliqua descripta [452] universali, et sic quousque finiatur circulus,
tunc non est longe quin aestimemus quod reno vati o motus sequitur bune intellectum.
Dìcam igitur quod secundum hunc modum non potest compleri motus circularis; haec
enim impressio secundum hunc modum est proveniens ex voluntate universali, quamvis sit
secundum modum renovationis et transmutationis. Voluntas autem universalis, quomodo-
cumque fuerit, non est nisi respectu naturae communis in eis, quamvis sit voluntas cum
motu quam sequitur voluntas cum motu; hic autem motus qui est ab hoc bine ad illud illinc,
non est potior provenire ab illa voluntate huius motus qui est illinc ad tertium terminum.
lgitur comparatio omnium partium motus aequalium singularium ad unamquamque illarum
voluntatum intelligibilium mobilium eadem est; unde non est ibi pars quae dignior sit com-
paraci< ... > ad unam illarum imaginationum, ad hoc ut sit eius comparatio ad suum initium
< ... > una, quasi elongaverit se a suo initio propter possibilitatem, nec constat suum esse ab
eo potius esse quam suum non esse; sed quod <non> debet esse ex sua causa, hoc enim non
potest esse, sicut tu iam nosti.
tRATTATO NONO- SEZIONE SECONDA 887

un altro limite, che assuma tali movimenti e i loro limiti sotto una specie intel-
ligibile - come abbiamo chiarito e come stava a noi dimostrare - [385] e cioè
che vi sia un movimento da tale a tal altro punto in modo che [la cosa] vada da
tale a tal altro punto. Si avrà, dunque, in modo determinato, un certo principio
universale che conduce a un altro estremo universale, in una certa proporzio-
ne, immaginata62 e universale e così via, fino a che il cerchio non si sarà esau-
rito; e perciò non è inverosimile immaginare che il rinnovarsi del movimento
segua quello che è oggetto di intellezione.
Tuttavia - diremo - non è neppure in questo modo che la questione del
moto circolare può considerarsi compiuta. In questo modo, infatti, questo dato
influsso emanerebbe dalla volontà universale che, pur essendo secondo un rin-
novamento e un passaggio [da un punto a un altro, è universale]; ma la volontà
universale, comunque sia, è tale soltanto in relazione a una natura comune63,
[e questo] anche se alla volontà dì un movimento segue un'altra volontà di
movimento. Questo dato movimento, che va in modo determinato da qui a lì,
non sarebbe quindi più degno di provenire da una tale volontà di quanto lo
sarebbe quest'altro movimento, che va da lì a un terzo limite: il rapporto di
tutte le parti del movimento, che nella loro particolarità sono l'una equivalente
all'altra, con ognuna di quelle volontà particolari, intellettuali e discorsive,
sarebbe infatti uno stesso [rapporto] e nessuna sua parte64 sarebbe più degna di
essere messa in rapporto con una di quelle rappresentazioni di quanto sarebbe
di non esservi messa in rapporto. Il rapporto - e il non rapporto - [di una
parte] con il proprio principio sarebbero, infatti, una stessa cosa; [ogni parte]
sarebbe infatti ancora solo possibile per il proprio principio65 , senza essersi
distinta e senza che la sua esistenza abbia preponderanza rispetto alla sua non-
esistenza, e - come già hai appreso - tutto quel che a partire dalla propria
causa non è necessario, non è.
D'altronde, come si potrebbe validamente affermare che il movimento da
A aB segue una volontà intellettuale, mentre il movimento da Ba C un'altra
volontà intellettuale, senza che a ognuna di quelle volontà consegua qualcosa
di diverso da quel che consegue dall'altra? E, di converso, A, Be C sono simili
quanto alla specie e nessuna delle volontà universali è tale da individuare A e
non [386] B o B e non C: A non è più degno di essere individuato da quella

[453] Quomodo enim potest dici quod motus de a ad b proveniat a voluntate intelligibi-
li, et motus de b ad c proveniat ab alia voluntate intelligibili, et non sequatur ex unaquaque
illarum voluntatum aliud praeter id quod secutum est, et e converso? Quoniam a et b et c
consimiles sunt in sono, nulla autem voluntatum universalìum est quae assignet potius a
quam b, vel b potius quam c, igitur a non est dignior assignari quam b ex illa relatione si
888 Jl:ll J...a.All - ~\:Il 4.1\.il.l [386]

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fuerit intelligibilis motor caeli, nec b plus quam c, nisi fuerit animai singulare. Postquam
autem illi termini non assignantur in intelligentia, sed fiunt ter!1lini universales tantum, tunc
non poterit esse potior motus de a ad b quam de b ad c.
Deinde quomodo poterit poni in illa voluntas et imaginatio et deinde alia voluntas et
imaginatio quae differant in aliquo quod praeteriit et ut non ad]laereat uni proprio individuo
propter quod consideretur? Cum omni autem hoc, intellectui nostro non est possibile ponere
hanc transmutationem nisi communem imaginationi et sensui. Cum autem converterimus
nos ad intellectum purum, poterimus intelligere universitatem motuum et partes transmuta-
tionis secundum quod intelligimus circulum simul. Igitur secundum omnes dispositiones
necessarium est ut virtus animalis sit principium propinquum motui, [454] quamvis nos non
negamus ibi etiam esse virtutem intelligibilem quae moveatur hac transmutatione intelligibi-
li, sed postquam innititur similitudini imaginationis. Sed potentiae intelligibili spoliatae
omnibus modis variationis intellectum semper est praesens, sive ìntellectum eìus sit univer-
sale de universali, si ve si t universale de particulari, quemadmodum ostendimus.
TRATI ATO NONO - SEZIONE SECONDA 889

volontà - fintanto che essa è intellettuale - di quanto non lo siano B e C. E B


non lo è più di C, a meno che [la volontà] non venga ad essere psichica, parti-
colare. Fintanto che quei limiti nell'intelletto non si individualizzano ma resta-
no soltanto limiti universali, non è possibile che esista il movimento da A a B
piuttosto che quello da B a C; né A è più degno di essere individuato da quella
volontà66 , finché è intellettuale, di quanto non lo siano Be C, né B lo è più di C.
Inoltre, come potremmo supporre riguardo [a tale moto] una volontà e
un'attività di rappresentazione e poi un'altra volontà e un'altra attività di rap-
presentazione che differiscano in qualcosa di coincidente67 , senza che a questo
riguardo vi sia il supporto di un [elemento] appropriatore individuale, cui rap-
portare [tale relazione]?
In considerazione di tutto ciò, all'intelletto non è possibile supporre questo
passare [da un punto all'altro] se non in associazione all'immaginazione e ai
sensi; se poi torniamo all'intelletto limpido, non ci è possibile intendere l'insie-
me del movimento e le parti di questa operazione (intiqal) intellettuale68 , quan-
do al tempo stesso lo intendiamo come un cerchio 69 •
In tutti i modi, dunque, non possiamo fare a meno di porre una potenza
psichica che sia principio prossimo del movimento; e questo anche se non rite-
niamo impossibile che vi sia anche una potenza intellettuale che, dopo aver
fatto ricorso a qualcosa che è come un'attività immaginativa, passi da un
punto all'altro in modo intellettuale. La potenza intellettuale è però astratta da
tutti quanti i tipi di mutamento e ha quindi continuativamente presente l'intel-
ligibile, sia che il suo intelligibile sia un universale tratto da un universale, sia
che- come abbiamo chiarito70 - sia un universale tratto da un particolare.
Ora, se le cose stanno così, la sfera [celeste] si muove in virtù dell'anima
ed è l'anima il principio prossimo del suo movimento. Tale anima ha rappre-
sentazioni e volontà sempre nuove e ha rappresentazioni estimative 71 ; le
appartengono, cioè, una [capacità] di cogliere le cose mutevoli- come i parti-
colari - e una volontà che abbia ad oggetto cose in se stesse particolari; essa è
la perfezione del corpo della sfera e la sua forma. E se così non fosse, ed essa
fosse invece sussistente per sé sotto ogni aspetto, sarebbe un'intelligenza pura
che non muta né passa [da un punto a un altro] e cui non potrebbe mescolarsi
[387] quel che è in potenza.

Si autem ita fuerit in re, tunc caelum movetur per animam et anima est propinquum
principium sui motus, et in illa anima renovatur imaginatio et voluntas, et ipsa aestimat se
habere apprehensionem rerum variabilium particularium et voluntatem essendi ipsas res par-
ticulares, et ipsa est perfectio corporis caeli et eius forma. Si autem non esset sic, sed esset
existens per se omni modo, tunc esset intelligentia pura quae non variaretur nec permutare-
tur nec admisceretur ei aliquid quod est in potentia. Proximus autem motor caeli, quamvis
890 Y'IIV
[387]

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non sit intelligentia, oportet tamen ut sit prius eo intelligentia quae est prior causa motus
caeli. Iam autem nosti quod hic motus indiget virtute infinita, spoliata a materia quae non
movetur < ... > nec per intentionem. Anima vero quae movet caelum est, sicut iam notum est
tibi, corporalis, convertibilis, variabilis, nec est spoliata a materia; cuius comparatio ad cae-
lum est sicut comparatio nostrae animae animalis ad nos, cui est ut intelligat aliquo modo
intelligibilitate scilicet commixta materiae; et omnino suae aestimationes vel quae videntur
aestimationes sunt certae, et eius imaginationes et quae videntur imaginationes sunt < ... >,
sicut est intel-[455]lectus activus in nobis, qui omnino innititur corpori. Sed primus motor
eius est virtus libera a materia omnino et omni modo et, postquam non est possibile eam
moveri ullo modo inquantum ipsa movet, et facit varietates et est libera, sicut iam tibi inno-
tuit hoc, tunc oportet ut et ipsa moveat, quemadmodum motor movet, mediante motu alte-
rius motoris qui est actor motus ab initio suo, qui variatur propter eam, et hic est modus quo
movet motor motoris. Id autem quod movet motorem sine variatione sui nec per intentionem
nec per desiderium id est finis et intentio quam intendit id quod movetur, et id est amatum,
inquantum est amatum, et ipsum est bonitas apud amantem.
TRATIATO NONO- SEZIONE SECONDA 891

Anteriormente al motore prossimo della sfera, tuttavia, benché esso non sia
un'intelligenza 72, è necessario che vi sia un'intelligenza quale causa anteriore
del moto della sfera. Hai appreso, infatti, che questo movimento abbisogna di
una potenza infinita, lìbera73 dalla materia e che non si muove né per essenza
né per accidente.
Quanto all'anima motrice, essa - come ti è parso evidente - è corporea, can-
giante e mutevole e non è libera dalla materia; anzi il suo rapporto con la sfera è
lo stesso rapporto che l'anima animale che ci appartiene ha con noi, per quanto a
quest'ultima spetti sotto un certo aspetto di avere un'intellezione mescolata alla
materia. E insomma le rappresentazioni estimative [dell'animaF\ o ciò che ad
esse somiglia, sono veridiche e le sue rappresentazioni immaginative, o ciò che
ad esse somiglia, sono vere, come l'intelletto pratico in noi; e le sue percezioni
sono, insomma, in virtù del suo corpo.
Il primo motore [del motoF 5 è invece una potenza radicalmente immateria-
le, sotto tutti gli aspetti. E poiché, in quanto muove, non è possibile che si
muova sotto nessun aspetto- altrimenti, come ormai ti è evidente76, si altere-
. rebbe e sarebbe materiale - è necessario che muova come un motore muove in
virtù della mediazione di un altro motore: è tale altro motore a tentare il movi-
mento, a volerlo e a mutare in ragione di esso; e questo è il modo in cui muove
il motore del motore.
A muovere quel che muove senza mutare in virtù di un'intenzione (qa~d) e
di un desiderio è il fine e lo scopo verso il quale il motore si rivolge: è
l'amato, e l'amato in quanto è amato è il bene presso l'amante.
Diremo, anzi, che ogni [cosa] che si muova77 di un movimento che non è
per violenza procede verso un qualche termine e [si muove] per il desiderio
di una qualche cosa, financo la natura. Il desiderio della natura, infatti, è
qualcosa di naturale ed è la perfezione essenziale che appartiene al corpo, o
per quanto riguarda la sua forma, oppure per quanto riguarda il suo luogo e la
sua posizione; il desiderio della volontà è invece qualcosa di volontario ed è
volontà di qualcosa che viene ricercato e che è o sensibile, come il piacere; o
estimativo e immaginativo, come la vittoria; o opinativo, e questo è il bene
opinato tale. Ciò che ricerca il piacere è la concupiscenza, ciò che ricerca la
vittoria [388] è l'ira 78 , ciò che ricerca il bene opinato è l'opinione, ciò che

Sed dico quod omne quod movetur, motu non violento, ad aliquid est et desiderium ali-
cuius est, adeo quod naturae etiam est desiderium rei naturalis et hoc est perfectio essentialis
corpori vel in sua forma ve! in suo ubi vel in suo situ. Desiderium vero voluntatis est aliquid
voluntarium, ve! voluntas alicuius rei quaesitae sensibilis, sicut suavitas, ve! aestimabilis
imaginabilis, sicut victoria, ve! opinabilis, sicut bonitas putativa. Inquisitor autem suavitatis
est voluptas et inquisitor victoriae est ira, et inquisitor bonitatis putativae est opinio; inquisì-
892 '('M
[388]

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_,::r ~.J':" _,\ _ J\..411 Ji.ll _,..._, _ ()"u .._....;;\'~.li .,.._;.,1 u-- .S::U.I .~

tor vero bonitatis purae et verae est intellectus, et haec inquisitio [456] vocatur electio.
Voluptas vero et ira non sunt convenientia substantiae corporis quod non variatur nec pati-
tur, quia non convertitur ad dispositionem inconvenientem ut ab ea iterum rediens ad dispo-
sitionem convenientem delectetur, aut ut velit ulcisci propter id quod imaginat unde irasci-
tur, praesertim cum omnis motus ad suavitatem vel ad victori11m finitus sit, et etiam quia
plura eorum quae putantur non permanent putata semper. Necesse est igitur ut principium
huius motus sit electio vel voluntas bonitatis verae, et necesse est etiam ut illa bonitas sit
quae possit acquiri per motum et perveniri ad eam; vel si t bonitas cuius substantia non possit
acquiri ullo modo, sed si t remota ab eo.
Et necessario illa bonitas sit de perfectionibus substantiae quae movetur ut acquirat eam
per motum, sin autem, cessabit motus; nec poterit tunc moveri ad agendum aliquid quo
acquirat perfectionem, quemadmodum est natura eius qui vult esse largus ut propterea lau-
detur, vel honestet actiones suas ad hoc ut fiant habitus honestatis aut ut fiat nobilis. Id enim
quod factum est acquirit suam perfectionem ab eo a quo factum est; inconveniens est igitur
ut e converso perficiat substantiarn sui agentis; perfectio enim causati inferior est perfectio-
TRATTATO NONO- SEZIONE SECONDA 893

infine ricerca il bene reale, puro, è l'intelligenza, e tale ricerca si chiama


"scelta" 79 •
Ora, la concupiscenza e l'ira non si confanno alla sostanza di quel corpo
che non muta e non patisce, poiché esso non si altera in uno stato non conve-
niente così da dover tornare poi a uno stato conveniente e da provar piacere o
cercare riscatto a partire da un'immagine 80 e averne, quindi, brama; inoltre,
ogni movimento verso un piacere o una vittoria è finito e neppure il più opina-
to [dei piaceri] permane tale eternamente!
È necessario, quindi, che il principio di questo movimento sia una scelta,
una volontà di un bene reale. Un tal bene poi, a sua volta, non sfugge a una
delle due possibilità: o è qualcosa che si ottiene con il movimento e al quale si
può giungere, o invece è un bene la cui sostanza non è assolutamente qualcosa
che si possa ottenere, ma è anzi qualcosa di distinto81 •
Ora, non è possibile che quel bene sia una delle perfezioni che appartengo-
no alla sostanza in movimento, così da essere ottenuto82 in virtù del movimen-
to, altrimenti il movimento [stesso] si interromperebbe. E non è possibile nep-
pure che si dia del moto per fare un'azione che permetta di acquisire una per-
fezione, come invece a noi appartiene d'esser generosi per essere lodati e di
migliorare le [nostre] azioni per produrre in noi un abito virtuoso o per diveni-
re buoni; e questo perché ciò che è fatto acquista la propria perfezione83 a par-
tire dal proprio agente, ed è impossibile84 che si rivolga indietro a perfezionare
la sostanza del proprio agente. La perfezione del causato è, infatti, inferiore
rispetto alla perfezione della causa agente e l'inferiore non fa acquistare alcu-
na perfezione a quel che è più nobile e più perfetto85 , mentre può accadere cbe
l'inferiore disponga lo strumento e la materia per quel che è migliore, così cbe
quest'ultimo venga ad esistere, in alcune cose, a partire da un'altra causa. Del
resto, la lode che noi ricerchiamo e a cui aspiriamo non è una perfezione reale,
ma opinativa, e l'abito virtuoso che noi poniamo in atto con l'azione non è
dovuto ali' azione: l'azione, piuttosto, impedendone il contrario, dispone ad
esso, mentre tale abito si produce a partire dalla sostanza che porta a perfezio-
ne le anime degli esseri umani e che è l'intelligenza agente, oppure a partire
da un'altra sostanza [389] che le somiglia. In questo senso, se il caldo equili-

ne causae agentis. Id autem quod inferius est non acquirit id quod nobilius et dignius est, scd
fortasse id quod inferius est praeparat nobiliori suum instrumentum et suam materiam, quou-
sque ipsum nobilius habeat esse in aliqua rerum propter aliam causam. Laudatio autem quam
nos inquirimus et appetimus est perfectio non certa, sed putativa; habitus vero honesti quem
acquirimus per actionem causa non est actio, sed actio prohibet eius contrarium et adaptat 11d
illum, [457] ve! accidit hic habitus a substantia perficiente animas hominum, quae est intelli-
gentia agens, ve! substantia alia ei consimilis. Et secundum hoc, calor temperatus est occasio
894 [389]

\r!.? §JJ 'L_:l...<JI <.>_,Ali .:..Y':') '-:-!-- -:.Jx..ll o))-1 w~\.)... J"J ~ ~..:;_
'1'(~_r.l l!:<~ J•..iJI ~c l~[ ~l); L ( ' J~_,ll j V%) , ·~ y ~ o.:.U ~~·
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essendi vires animales, secundum quod est praeparans materiam, non faciens esse (noster
autem senno non est nisi de eo quod facit esse); et omnino, cum fuerit actio praeparans ad
habendam perfectionem, tunc, cum fuerit habita perfectio, finietur motus.
Restat igitur ut bonitas inquisita per motum sìt existens per se cuius natura non est ut
apprehendatur. Omnem autem bonitatem cuius haec est natura non inquirit intellectus, nisi
ut assimiletur ei secundum quod sibi possibile est; assimilari vero ei est intelligere de se
quod non est illi simile< ... >. Et ideo oportet ut permaneat semper, secundum quod perfec-
tius est, esse substantiae eius in suis dispositionibus et comitantibus ad modum illius; cui
potuit acquiri sua perfectio ultima in initio suo, et deinde assimilatur ei in perseverantia; cui
autem non potuit acquiri sua perfectio in initio suo, completur in eius assimilatione per
motum. Certitudo autem huius est quod motor [458] caelestis corporis movetur a virtute
infinita; virtus autem quae est suae animae corporeae finita est. lnquantum autem intelligit
primum, fluit de eius lumine et virtute super eam semper, et fit ipsa quasi habens virtutem
infinitam, < ... > sed intellectum de cuius lumine et virtute flui t super corpus caeleste est in
substantia sua secundum suam perfectionem ultimam, eo quod non remansit in sua substan-
tia aliquid quod sit in potentia. Similiter est et hoc in quantitate sua et qualitate, sed in suo
TRATTATO NONO- SEZIONE SECONDA 895

brato è una causa per l'esistenza delle potenze psichiche, lo è in quanto è qual-
cosa che predispone la materia e non qualcosa che fa esistere 86 , mentre il
discorso che [qui stiamo conducendo] riguarda ciò che fa esistere. E inoltre, in
breve: se l'azione predisponesse a far esistere una perfezione, una volta che
[questa] si fosse attuata, il movimento avrebbe termine.
Resta, dunque, che il bene ricercato in virtù del movimento sia un bene per
sé sussistente e che sia tale da non essere ottenuto. A un bene di tale natura
cerca di assimilarsi in misura del possibile soltanto l'intelligenza e assimilarsi
[ad esso per l'intelligenza significa] avere intellezione della propria essenza
nella sua perfezione e divenire, così, ad esso simile in quanto, come il suo
amato, essa ottiene tutta la perfezione che le è possibile ottenere nella propria
essenza. Permanere in modo sempiterno nel modo più perfetto possibile,
riguardo ai suoi stati e ai suoi conseguenti necessari, comporta, infatti, una
perfezione87 per la sostanza della cosa e perciò, ciò a cui è possibile attuare la
propria massima perfezione in modo primario porta a compimento la propria
assimilazione [al Primo] in virtù della stabilità, mentre ciò cui questo non è
possibile88 , la porta a compimento in virtù del movimento.
A verificare quel [che abbiamo detto] è che il motore della sostanza
celeste89 - lo si è ormai chiarito - muove a partire da una potenza infinita.
Ora, la potenza che appartiene alla sua anima vincolata al corpo (li-nafsi-hi al-
gismiiniyya) è finita 90 e tuttavia, in quanto [il motore della sostanza celeste] ha
intellezione del Primo, su di esso cade continuativamente il favore della Sua
luce e della Sua potenza, cosicché è come se gli appartenesse una potenza infi-
nita. Non è però che gli appartenga una potenza infinita; essa appartiene piut-
tosto a quel che viene intelletto e che su di esso fa cadere il favore della Sua
propria luce e della Sua propria potenza. Ed esso, cioè il corpo celeste, è nella
sua sostanza nella sua massima perfezione: nella sua sostanza non gli resta,
infatti, alcunché che sia in potenza, come [non gli resta nulla in potenza] nella
sua quantità e nella sua qualità; esso resta [in potenza] soltanto, in primo
luogo, riguardo alla sua posizione o al suo dove e, in secondo luogo, riguardo
a quelle cose che ne conseguono 91 : per la sua sostanza, infatti92 , l'essere in una
data posizione o in un dato "dove" non è più degno dell'essere in un'altra
posizione o in un altro "dove" che spettino egualmente alla sua localizzazione.
Nessuna delle parti della rotazione di una sfera [celeste] - o di un pianeta - è
più degna di essere in contatto con la [sfera] o con una sua parte di quanto non
lo sia un'altra; così, quando [la sfera celeste] è in atto riguardo a una certa
parte, [390] rimane in potenza riguardo a un'altra parte.

ubi et in suo situ, secundum quod primum secutum est suum esse de sitibus, stabile non est,
non quod ipsum esse in situ aliquo ve! ubi sit dignius substantiae suae quam in situ alio ve!
ubi in suo termino. Nulla enim pars cursus caeli ve! stellae dignior est occurrere sibi ve! ali-
cui suae parti quam alia pars; cum enim fuerit in una parte in effectu, erit in alia parte in
896 [390]

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potentia. Iam igitur accidit substantiae caeli quod est in poteJJtia sui situs et ubi. Assimilatio
vero bonitati ultimae facit debere semper permanere in perfectione quae plenior esse potest
rei semper. Et quia hoc non fuit possibile corpori caelesti in uno numero tantum, retinuit in
specie et per successionem; factus est igitur [459] motus retinens de hac perfectione id quod
fuit possibile, cuius principium est desiderium assimilandi boJlitati ultimae in permanendo in
perfectione ultima secundum possibilitatem suam. Principiu(Il autem huius desiderii est id
quod intelligitur de eo.
Cum autem tu consideraveris dispositionem corporum naturalium in suo desiderio natu-
rali ad essendum in effectu in suo ubi, non miraberis esse corpus desiderans tali desiderio ut
sit in aliquo suorum situum in quo possibile est ipsum esse, et ut sit virtutis quae perfectior
esse potest et ut sit motum et proprie. Et ex dispositionibus et ex diutumitate sui cursus
sequitur ipsum assimilaci primo secundum quod ab ilio fluunf bonitates; non quod illae sunt
intentio eius, ita ut motus sit propter illas, sed quia intentio eius est assimilaci primo, secun-
dum quod possibile est, ut sit secundum quod perfectius esse potest in seipso, quantum ad
fRAITATO NONO- SEZIONE SECONDA 897

Ora, dunque, alla sostanza della sfera accade, sotto l'aspetto della sua posi-
zione o del suo dove, qualcosa che è in potenza, mentre l'assimilazione al
sommo Bene rende necessario che la cosa permanga nella più piena perfezio-
ne che le appartiene, continuativamente; non potendo allora la sostanza celeste
[permanere] in tale [perfezione] nel numero, essa conserva [la propria perfe-
zione]93 nella specie e nella successione. In tal modo, il movimento diviene
qualcosa che conserva quel che, riguardo a questa perfezione, è possibile. Il
principio di [tale movimento] è il desiderio di assimilazione al Bene sommo
che riguarda il permanere nella perfezione più piena per quanto è possibile,
mentre il principio di tale desiderio è poi quel che viene intelletto del [Bene] 94 .
E se rifletterai sullo stato dei corpi naturali che hanno il loro naturale desi-
derio di essere in .atto in un dato dove 95 , non ti stupirai del fatto che vi sia un
corpo che desideri intensamente di essere in una delle varie posizioni che gli è
possibile assumere o di essere in movimento nel modo che è per esso il più
perfetto possibile96 . [Non te ne stupirai] soprattutto se gli stati e le misure che
ne fluiscono conseguono a qualcosa per cui ci si assimila al Primo - altissimo
-in quanto fa acquisire i beni 97 . [E questo] non nel senso che a essere inten-
zionate siano tali cose, in modo tale che il movimento sia in vista di esse, ma
invece nel senso che ciò che è intenzionato è la stessa assimilazione al Primo -
altissimo98 - nella misura del possibile99 e in quanto [ciò che si è assimilato] è
nel modo più perfetto, riguardo a se stesso e riguardo a quel che lo segue, pro-
prio in quanto si è assimilato al Primo e non in quanto ne emanano cose che
gli sono successive; [se così fosse] infatti, il movimento sarebbe primariamen-
te100 in vista di esse, e invece non è assolutamente così.
Io dico che è dallo stesso desiderio dell'assimilazione al Primo che, in
quanto è in atto, proviene il movimento planetare, proprio come una cosa pro-
viene dalla rappresentazione immaginativa che la rende necessaria, anche se
non è intenzionata in se stessa in modo primario (bi-l-qa~di l-awwal). Si tratta,
infatti, della rappresentazione di qualcosa in atto da cui si produce di conse-
guenza la ricerca di qualcosa in atto che sia più perfetto; e non potendo ciò
[realizzarsi] individualmente, [si realizza] in virtù della successione, che poi è
il movimento: fino a che dura l'individuo uno, non si dà infatti alcuna esisten-
za per i suoi simili, i quali permangono sempre in potenza. [391] Anche il

hoc quod sequitur illum et quantum ad hoc quod assimilatur primo et quantum ad ea quae
proveniunt ab ilio post illum. Igitur motus eri t propter illud principali intentione.
[460] Et dico quod ex ipso desiderio assimilandi primo, secundum quod est in effectu,
provenit motus caelestìs ad modum quo res provenit ab imaginatione quae facit illam debere
esse, quamvis illud non intendatur ab ipso principali intentione. Haec enim est imaginatio
eius quod est in effectu. Igitur inquiritur ab eo id quod in effectu est ei perfectius; sed, quia
hoc non est ei possibile in uno individuo, ideo est per successionem, et hoc est motus. Cum
enim unum individuum durat, non acquiretur ei aliud consimile, sed hoc permanet semper in
898 [391]

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potentia. Motus igitur sequitur illam imaginationem secundum hunc modum non quod hoc
sit eius intentio principalis, quamvis illam imaginationem unam sequantur imaginationes
particulares, quas dicimus et distinguimus, secundum quod proveniunt non secundum inten-
tionem principalem, et illas imaginationes particulares sequantur motus quibus permutantur
situs. Motus autem est perfectio quae mai or hic esse potest. Igitur desiderium primum est id
quod diximus, cetera vero quae sequuntur illud sunt fluxus. His autem rebus inveniuntur
similia, sed a Jonge, in nostris corporibus quae non omnino comparantur eis, quamvis ali-
quantulum conformentur eis; verbi gratia, cum desiderium fuerit vehemens ad acquirendum
quod amatur ve! [461] aliud, sequentur illud tunc in nobis imaginationes secundum quod
acciderit, quas sequuntur motus, non motus qui sunt apud ipsum desideratum, sed motus
apud aliquid aliud in via et cursu eius et in eo quod propinquius fuerit de ilio.
Igitur motus caelestis fit voluntate et desiderio secundum hunc modum. Huius autem
motus principium est desiderium et electio, non autem ut m()tus sit id quod intenditur princi-
paliter; hic enim motus est quasi servitium aliquod angelicm:n ve! caeleste. Non est autem de
condicione motus voluntarii ut sit intentus in se. Sed, cum virtus desiderativa fuerit ut desi-
TRATI ATO NONO- SEZIONE SECONDA 899

movimento, del resto, segue tale rappresentazione in questo modo, e cioè nel
senso che esso non è intenzionato in modo primario; [e questo] anche se vi
sono alcune rappresentazioni particolari - le abbiamo menzionate e analizzate
in dettaglio - che seguono quella rappresentazione, ma come una derivazione
e non nel modo di quel che è primo oggetto di intenzione. I movimenti con i
quali si passa da una posizione all'altra seguono tali rappresentazioni partico-
lari dato che la singola parte non può permanere nella propria perfezione in
questo modo (ji hadti al-btib); il primo desiderio è quindi come abbiamo ricor-
dato101, mentre tutte le altre [cose] che lo seguono ne sono delle derivazioni 102 .
Tali cose (asyti') possono avere delle lontane analogie nei nostri corpi, che
però non possono esser loro paragonati, anche se talvolta danno l'impressione
[di poter esser loro paragonati] e le imitano: per esempio, se il desiderio nei
confronti di un amico, o di un altro oggetto, si intensifica, ad esso seguono in
noi, per derivazione, alcune rappresentazioni immaginative alle quali seguono
poi dei movimenti che non sono i movimenti che vanno in direzione dello
stesso oggetto desiderato, ma moti che vanno verso qualcosa che sta sulla sua
strada o sul suo cammino e che è quel che c'è di più vicino ad esso.
È in questo modo, dunque, che il movimento celeste si origina in virtù
della volontà e del desiderio. Il principio di questo movimento è un desiderio e
una scelta, ma nel modo che abbiamo ricordato, non nel senso che il movi-
mento sia intenzionato in modo primario. E questo movimento è come se
fosse un certo culto angelico o celeste 103 •
Il fatto poi che esso sia intenzionato in se stesso non è una condizione
[necessaria] del movimento volontario; anzi, quando la potenza desiderativa
desidera un cetto oggetto, ne sorge un influsso che muove le membra: talvolta
esse si muovono in modo tale che in virtù di esso si raggiunga uno scopo,
talaltra- se [il moto] proviene da un'attività immaginativa- in un altro modo
simile o prossimo a quello; e non fa differenza, sia lo scopo qualcosa che si
può ottenere o qualcosa che si esige e sull'esempio del quale si debba agire e
al cui essere ci si assimili.
Quando [il causato] raggiunge il culmine del diletto, in quanto ha intelle-
zione del primo Principio - un'inteiiezione o percezione che può essere in
modo intellettuale o psichico - esso si distoglie da ogni altra cosa e da ogni
altro aspetto e tuttavia ne deriva qualcosa che gli è inferiore nel rango. [392]

deret aliquid, proveniet ei ex ea impressio propter quam moventur membra; et aliquando


movetur sic quod potest pervenire ad id quod intendit, aliquando alio modo consimili ve!
paene eodem, cum fuerit hoc per imaginationem, sive intentio sit aliquid quod assequatur,
sive sit assimilari ei in faciendo quod facit ve! in esse. Cum igitur delectatio pervenerit ad
intelligendum primum principium et ad id quod intelligitur de eo ve! apprehenditur de eo
secundum modum intelligibilem ve! animalem, tunc occupata circa hoc, retrahetur ab omni
alia re et ab omni al io modo, sed tamen proveniet ex hoc id quod est inferius eo in ordine, et
900 J81 J....Ull - ...... \.:l\ ~\il\ . [392]

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hoc est desiderium assimilari ei secundum possibilitatem. Sequetur igitur inquisitio motus,
non inquantum ipse est motus, sed inquantum est id quod diximus, et [462] sequetur hoc
desiderium amor et delectatio quae fluunt ab eo, et haec perfectio fluit a desiderio. Igitur
secundum hunc modum primum principium movet corpus caeli.
Ex his igitur omnibus iam manifestum est tibi etiam quod magister primus, cum dixit
caelum moveri per suam naturam, quid voluit intelligi, et cum dixit moveri per animam,
quid etiam voluit intelligi, et cum dixit etiam moveri illud per virtutem infinitam vel moveri
sicut amans movetur ab amato, qui d voluit intelligi, nec est in verbis eius contrarietas.
Item tu scies quod substantia huius bonitatis amatae primae una est nec potest esse ut
motor primus universitatis caelorum si t plus quam unus, quia igitur unaquaeque sphaerarum
caelorum habeat motorem proprium propinquum et desideratum amatum proprium, secun-
dum quod vidi t magister primus. Ideo qui secuti sunt eum ex sapientissimis Peripateticis non
removerunt multitudinem nisi a motore universitatis, et attribuerunt multitudinem motoribus
TRATI ATO NONO- SEZIONE SECONDA 901

Tale è il desiderio di assimilazione lal Primo] nella misura del possibile e la


ricerca del movimento consegue, dunque, non in relazione al movimento, ma
in virtù di quel che abbiamo detto 104 • Questo desiderio segue quell'amore e
quel diletto, derivandone, e il perfezionamento [che ne consegue] deriva dal
desiderio; è in questo modo, quindi, che il Principio primo muove il corpo del
cielo.
Da questo insieme di considerazioni ti si è poi già chiarito anche che cosa
intenda il Primo Maestro 105 quando dice che la sfera si muove per sua natura o
quando dice che essa si muove in virtù dell'anima o che si muove in virtù di
una potenza infinita che muove come muove l'amato e [sai] perciò che 106 nei
suoi discorsi non c'è né contraddizione né contrasto.
Inoltre, tu sai che la sostanza di questo Bene amato primo è una, e che,
benché per ognuna delle sfere del cielo vi sia un motore prossimo che le è pro-
prio e un proprio oggetto di desiderio e di amore, non è possibile - come del
resto hanno ritenuto il Primo Maestro 107 e chi lo ha seguito tra i più sapienti
dei peripatetici - che questo primo motore di tutti i cieli sia più di uno. [I più
sapienti], infatti, negano soltanto la molteplicità del motore del tutto, ma affer-
mano la molteplicità dei motori separati e non separati che sono propri di ogni
[cielo]; essi fanno così del primo degli enti separati propri il motore della
prima sfera, la quale, per coloro che hanno preceduto Tolomeo, è la sfera delle
[stelle] fisse mentre, per coloro che hanno appreso le scienze così come sono
apparse a Tolomeo 108 , è la sfera esterna a quella, che la circonda ed è priva di
pianeti 109 • E dopo quel [motore] vi è il motore della sfera 110 che segue la
prima, a seconda della divergenza delle due opinioni, e così via. E costoro
ritengono così che il motore del tutto sia una cosa unica e che dopo di esso vi
sia per ogni sfera un motore proprio.
Il Primo Maestro pone il numero delle sfere mosse in base a ciò che appa-
riva manifesto alla sua epoca, ritenendo che il numero dei principi separati ne
segua il numero, mentre qualcuno dei suoi discepoli, che è più giudizioso nella
dottrina, dichiara e afferma nella sua Epistola sui principi del tutto [393] che il

separatis et non separatis qui sunt proprii uniuscuiusque eorum. Posuerunt igitur primum ex
separatis propriis id quod movet sphaeram primam quae, secundum eos qui praecesserunt
Ptolemaeum, est sphaera fixarum stellarum, sed. secundum eum qui peritus est in scientiis
quas docuit Ptolemaeus, est sphaera praeter eam et circumdans eam non stellata, et post
hanc est motor sphaerae sequentis primam, secundum diversitatem duarum [463J sententia-
rum, et similiter in omnibus inferius. lsti igitur viderunt quod motor universitatis est quid-
dam, et quod post eum unaquaeque sphaera habet alium motorem proprium.
Magister vero primus posuit numerum sphaerarum quae moventur secundum quod
apparuit ei in suo tempore, et numerum earum sequitur numerus principiorum separatorum.
Quod autem firmius est in dictis suorum sociorum manifesta! et dicit, in sua epistola quae
902 [393,1-11]

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est de principiis omnium, quod motor universitatis caelorurn unus est nec possunt esse plu-
res, quamvis unaquaeque sphaera habeat motorem proprium et amatum proprium. Qui
autem exposuit libros primi magistri secundum brevitatem, quamvis non profunde intellige-
ret, tamen aperte dixit cuius haec est intentio quod melius et dignius est esse unum princi-
pium motus uniuscuiusque caeli qui est in eo, et esse principium motus proprium illi,
inquantum est amatum separatum. Et isti duo ex antiquioribus discipulis magistri primi sunt
magis circa aequalitatem viae.
TRATTATO NONO- SEZIONE SECONDA 903

motore dell'insieme del cielo è uno e che non può essere numericamente mol-
teplice, benché per ogni sfera vi siano un motore e un oggetto di desiderio che
le sono propri 111 • E colui che ha dato il miglior riassunto dei libri del Primo
Maestro, pur non approfondendone le nozioni 112 , dichiara e dice qualcosa il
cui significato è questo, e cioè che ciò che è più probabile e più degno [dì
affermazione] è che esista un principio del movimento che sia proprio di ogni
sfera, in quanto esiste al suo interno, e che esista un principio del movimento
che le è proprio, in quanto è un amato separato. Tra gli antichi discepoli del
Primo Maestro sono, questi due, i più prossimi alla giusta via.
Inoltre, è lo stesso ragionamento sillogistìco a comportare necessariamente
questa [affermazione]. Ci si è infatti mostrato valido, data la disciplina
dell'Almagestom, che i movimenti e le sfere celesti sono molteplici e differi-
scono nella direzione, nella velocità e nella lentezza. Per ogni movimento è
perciò necessario un motore che sia diverso da quello dell'altro e un amato
che sia diverso da quello dell'altro; altrimenti, perché dovrebbero differire le
direzioni e perché dovrebbero differire la velocità e la lentezza? Ci si è poi
rivelato evidente che questi oggetti di desiderio sono beni puri e separati dalla
materia, benché tutte le sfere e tutti i movimenti partecipino comunemente del
desiderio del Principio primo e così, in virtù di questo, della continuità e della
circolarità del movimento. Ma a ciò aggiungeremo un'altra prova 114 .

Et argumentatio etiam facit hoc esse necessarium. Certificatum enim [464] est nobis ex:
doctrina Almagesti quod motus et sphaerae caelestes sunt multi et diversi in plaga et veloci-
tate et tarditate, oportet igitur ut unicuique motui sit motor alius ab eo qui est alterius, et
desideratum sit aliud unius quam alterius, alioquin, quomodo essent diversae plagae et velo-
citas et tarditas? Iam autem ostendimus quod haec desiderata sunt bonitates purae, separatae
a materia, et quod motus et sphaerae omnes communicant in desiderio primi principii, et
ideo conveniunt omnes in diutumitate et revolutione motus.
904 [393,12-16]

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III
CAPITULUM QUALITER PROVENIUNT ACTIONES A PRINCIPIIS ALTIORIBUS UT PER HOC SCIATUR
QUOD OPORTEAT SCIRI DE MOTORIBUS SEPARATIS INTELLECTIS PER SE ET DESIDERATIS

Certificemus hoc et aperiamus illud secundum aliud exordium, dicentes quosdam homi-
nes fuisse qui, quia audierunt verbum iustioris ex praecipuis antiquis dicentis quod diversi-
tas horum motuum et harum plagarum videtur esse propter intentionem generandi res cor-
[465]ruptibiles quae sunt sub sphaera lunae, et non solum quia audierunt illum, sed etiam
quia cognoverunt argumentatione quod motus caelorum non potest esse propter aliquid nisi
905

SEZIONE TERZA

SU COME EMANINO LE AZIONI DAI PRINCIPI SUPREMI,


COSÌ CHE A PARTIRE DA CIÒ SI SAPPIA QUEL CHE È NECESSARIO SAPERE
DEI MOTORI SEPARATI, PER SÉ INTELLIGIBILI E AMATI 115

Passiamo dunque a verificare questa prova 116 , incominciando da un altro


punto: alcuni - diremo - quando udirono ciò che sostenne per il pubblico il
"migliore degli antichi" 117 , il quale avrebbe affermato che la differenza in que-
sti movimenti e in queste direzioni sembra dovuta alla provvidenza [394] nei
confronti degli enti generabili e corruttibili che sono sotto la sfera della luna,
avendo allo stesso tempo udito e appreso con il sillogismo che non può essere
906 [394]

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propter seipsum et quod non potest esse propter sua causata, voluerunt concordare utramque
sententiam, dicentes ut ipse motus non sit propter id quod est sub luna, sed ut assimiletur
bonitati purae desiderando eam. Diversitas vero motuum est ob hoc ut id quod fit ex unaqua-
que earum in mundo generationis et corruptionis differat tali diversitate per quam disponatur
perrnanentia specierum. Sicut si aliquis vir bonus velit ire propter negotium suum ad ali-
quem locum et offendat in duas vias, quarum una est propria et compendiosior ad locum sui
negotii et in alia est homo qui meretur sibi bene fieri, ipse vero secundum iudicium suae
bonitatis eligit ire hac secunda via, quamvis non fuerit motus eius ad hoc ut prodesset alii
sed ut si bi ipsi. Et dixerunt quod similiter est motus uniuscuiusque caeli: non enim est nisi ut
duret semper secundum suam perfectionem ultimam; motus vero ad hanc partem ve! ad
hanc, et huius velocitatis ve! illius, est ut prosit alii a se.
Primum igitur quod dicemus his, hoc est scilicet quod, si corporibus caelestibus potest
esse intentio aliqua in suis motibus propter res causatas, tunc est illa intentio in eligenda
TRATTATO NONO- SEZIONE TERZA 907

che i movimenti dei cieli siano in vista di una cosa diversa da loro stessi e che
non può neppure essere che essi siano in vista dei loro causati, vollero combi-
nare queste due dottrine. Dissero allora che il movimento come tale non è in
vista di ciò che è al di sotto della sfera della luna, ma è dovuto all'assimilazio-
ne al Bene puro e al desiderio di Esso; la differenza dei movimenti sarebbe
dovuta alla differenza che ognuno di essi produrrebbe nel mondo della genera-
zione e della corruzione e questo, in quanto, in virtù di tale differenza, si ordi-
nerebbe la permanenza delle specie.
[Accade, secondo costoro,] come a un uomo buono che, volendo passare,
per una sua necessità, per un certo luogo, vedesse presentarglisi due vie: una di
queste lo farebbe giungere al luogo opportuno allo scopo, mentre l'altra
aggiungerebbe a questo il fatto di procurare un utile a qualcuno che lo merita;
egli, pur essendo il suo movimento non in vista dell'utile di qualcun altro ma,
al contrario, in vista di se stesso - dato lo statuto della sua bontà - sceglierebbe
necessariamente la seconda via. Così, - dissero - per ogni sfera il movimento si
ha soltanto affinché ognuna permanga continuativamente secondo la propria
perfezione ultima, ma il movimento che è in questa determinata direzione e con
questa determinata velocità è per giovare a quel che è diverso da sé.
La prima [cosa] che diremo a costoro è che, se riguardo al movimento dei
corpi celesti si potesse produrre una certa intenzione (qa~dun ma) in vista di
qualcosa di causato, laddove tale intenzione riguardasse la scelta della direzio-
ne [del movimento], essa potrebbe prodursi e accadere a proposito del movi-
mento stesso. In tal modo, qualcuno potrebbe anche dire che pure in virtù
della quiete si sarebbe potuta portare a compimento una qualche bontà propria
dei [corpi celesti]l 18 ma che, non nuocendo il movimento alla loro esistenza, e
anzi essendo esso utile a qualcosa di diverso da essi e non essendo né [la quie-
te né il moto] l'una più facile o più difficile dell'altro, [i corpi celesti] hanno
scelto ciò che è più utile.
Ora, se la causa che impedisce che si dica che il movimento dei [corpi
celesti] è destinato all'utilità di altro è il fatto che è impossibile che la loro
intenzione (qa~d) sia effettivamente in vista di qualcuno dei causati, ecco che
tale causa esiste anche a proposito della stessa [395] intenzione della scelta
della direzione, come, d'altra parte, se tale causa non impedisce l'intenzione

parte, et est possibile fieri hoc et accidet hoc propter ipsum motum. Potest autem aliquis
dicere quod, [466] propter quietem similiter perficeretur eis bonitas quae esset ei propria,
nec motus obesset ei in esse et prodesset alii praeter se, et neutrum eorum esset ei facilius
vel difficilius quam alterum, sed de his elìgit id quod est utilius. Si autem fuerit causa prohi-
bens dicere quod motus eorum est ad hoc ut prosit aliis, removendo intentionem eorum in
agendo propter aliud quod est causatum, tunc haec causa est in ipsa intentione elìgendi pla-
gam. Si autem haec causa non prohibuerit ìntentionem elìgendi plagam, ita etiam nec prohi-
908 [395]

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bebit intentionem motus. Similiter est dispositio in intentione velocitatis et tarditatis; non est
autem hoc propter ordinem fortitudinis et debilitatis in circulis ex ordinatione eorum, scilicet
aliorum super alia secundum superius et inferius, ita ut propterea hoc ascribatur eis, sed hoc
est diversum.
Dicam autem quod nullus eorum potest esse propter generata nec propter intentionem
motus, nec propter intentionem plagae motus, nec propter mensurationem velocitatis et tar-
ditatis, nec propter intentionem agendi aliquid propter illa. Omnis enim ìntentio est propter
id quod intenditur et est minoris esse quam id quod intenditur. Omne autem propter quod est
aliud, est perfectioris esse quam ìllud aliud, inquantum ipsum et illud aliud sunt secundum
quod sunt, quoniam per ipsum perficitur aliud eo modo essendi qui ducit ad intentionem.
Impossibile est autem ut perfectius esse acquiratur ab eo quod est vilius; igitur nullo modo
est ei certa intentio causati sed [467] putata; sin autem, intentio esset acquirens et tribuens
esse quod est perfectius eo in esse. Per hoc autem quod necessarium est, non intelligitur nisi
id cuius intentio est praeparata ei et attribuens sibi suum esse quod est aliud, sicut medicus
TRATIATO NONO- SEZIONE TERZA 909

della scelta della direzione, non impedisce neppure l'intenzione del movimen·-
to; e analogamente è per lo stato dell'intenzione della velocità e della lentezza.
E neppure ciò può esser rapportato a come si ordinino la potenza e la debolez-
za nelle sfere, in ragione dell'ordinamento dell'una rispetto all'altra e secondo
l'alto e il basso. Si tratta, piuttosto, di qualcosa di diverso.
Diremo insomma: non può essere che dalle [sfere] provenga qualcosa irt
vista degli enti che si generano, né l'intenzione del movimento, né l'intenzio-
ne di una direzione del movimento, né la misura della velocità e della lentez-
za. Anzi, in vista [degli enti che si generano] non v'è assolutamente nessuml
intenzione di azione, perché ogni intenzione è in vista di ciò che viene inten-
zionato ed è quindi minore nell'essere rispetto a ciò che viene intenzionato:
ogni [cosa] in vista della quale si ha un'altra cosa è infatti più complet<l
dell'altra nell'essere, in relazione a ciò che sono sia l'una sia l'altra; ed è, anzi,
in virtù dell'una che per l'altra si porta a compimento quel modo d'essere che
[la] invita all'intenzione. Non può darsi che l'essere più perfetto si acquisisca
da qualcosa di più vile e dunque non vi è alcuna autentica intenzione nei
riguardi del causato, [alcuna intenzione che 1 non sia opinabile; altrimenti.
l'intenzione sarebbe tale da dare e far acquisire un essere che sarebbe più per-
fetto di essa nell'essere, e invece si intenziona necessariamente soltanto qual-
cosa cui l'intenzione predispone ma la cui esistenza è fatta acquisire da
un'altra cosa 119 • È come il medico per la salute 120 : il medico, infatti, non dà la
salute ma predispone ad essa la materia e lo strumento; la salute la fa acquisire
soltanto un principio che è più alto in dignità del medico e che è quello che dii
alla materia tutte le sue forme e la cui essenza è più nobile della materia 121 • E
se colui che intenziona intenziona un qualcosa che non è più nobile dell'inten-
zione, sbaglia nella propria intenzione, cosicché l'intenzione non sarà in vista
di [questo qualcosa] per natura, ma per errore.
Poiché, poi, per portare all'evidenza tutto ciò, si ha bisogno di dilungarsi
nel discorso e di verificare [le nostre affermazioni], e poiché a questo proposi-
to sussistono alcuni dubbi che non si risolvono se non con parole soddisfacen-
ti, rivolgiamoci pure al metodo che è più chiaro e diciamo: ogni intenzione ha
un oggetto intenzionato e [l'intenzione] intellettuale è quella in cui l'esistenza

est sanitati. Medicus enim non dat sanitatem, sed praeparat ad eam materiam et instrumen-
tum; non enim attribuit sanitatem nisi principium quod est excellentius sanitate, et hoc est
quod dat materiae omnes suas formas, cuius essentia est nobilior quam materia. Aliquando
autem intendens fallitur in sua intentione, scilicet cum non intendi! id quod nobilius est
intendere, et tunc intenti o propter hoc non est recta, sed erronea.
Sed quia haec ostensio eget prolixitate et certificatione quia sunt in ea quaestiones quae
non solvuntur nisi verbis sutficientibus, ideo redibimus ad viam evidentiorem. Et dicemus
quod omnis intenti o aliquid intendi t, sed quae est intelligibilis est illa cum id quod intendituf
ab intendente dignius est intendenti esse quam non esse ab eo; alioquin esset vana. Id auteiTI
910 [396]

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. Jl.J.I.~

guod dignius est rei acguirit aliguam perfectionem, scilicet si fuerit per certitudinem, erit
certa; si vero fuerit per putationem, erit putativa, sicut meritum laudis et ostentatio potestatis
et diuturnitas famae, guia haec et his similia sunt perfectiones putativae; sed lucrum ve!
salus ve! gratiae divinae adeptio ve! futuri mundi bonum meritum, haec et his similia sunt
perfectiones verae guae non complentur per solum intendentem. Igitur omnis [468] intentio
< ... >non est propter illam perfectionem. Illa enim guae vana est, videtur esse propter hoc:
in illa enim est delectatio ve! refrigeratio ve! aliguid aliud huitlsmodi. Absurdum est autem
ut causatum cuius esse perficitur per causam acguirat causae perfectionem guam non habe-
bat; ea autem in guibus putatur guod causatum acguirit suae causae perfectionem falsa sunt
ve! fallentia. Qui autem cornprehenderit ea guae praedicta sunt, non irnpedietur considerare
hoc et solvere.
Si guis autern dixerit guod bonitates faciunt debere hoc- bonus enirn facit acguiri boni-
tatern -, dicernus guod bonus acguirit bonitatern non secundum viarn intentionis et inguisi-
tionis ut sit hoc. Hoc enirn faceret debere esse irnperfectionem: omnis enim inguisitio et
intentio de aliguo est inguisitio de eo guod non habet intendens, sed guamdiu non est et non
TRA TI ATO NONO- SEZIONE TERZA 911

di quel che è intenzionato da parte di colui che intenziona è, per colui che
intenziona, più degna che la sua non esistenza; altrimenti, essa è vana 122 . Ora,
ciò che è più degno di qualcos'altro fa acquisire una certa perfezione: [396] se
è secondo realtà, [una perfezione] reale; se è secondo opinione, [una perfezio-
ne] opinativa, come meritare la lode, ostentare la potenza e poter essere ricor-
dati per sempre; queste, infatti, e cose simili, sono perfezioni opinative, mentre
il beneficio o l'integrità o la soddisfazione di Dio- che sia esaltato e santificato
- e il bene del Ritorno nell'aldilà, e oltre a queste, le cose che sono simili, sono
perfezioni reali che non si compiono solo per colui che le intenziona 123 •
Ogni intenzione che non sia futile fa dunque acquisire a colui che la inten-
ziona una certa perfezione e così se esso non la intenzionasse, tale perfezione
non sarebbe; sembra poi che persino quella futile sia così: in essa, infatti, si
trova piacere o riposo o altro o un'altra cosa di quelle che hai appreso o di
tutte le altre che ti si sono rivelate 124 . È poi impossibile che il causato, la cui
esistenza si perfeziona in virtù della causa, faccia acquisire alla causa una per-
fezione che prima non era; gli argomenti nei quali si opina che il causato fac-
cia acquisire alla propria causa una perfezione sono infatti menzogneri o falla-
ci e chi, come te, conosce tutte le discipline di cui si è trattato in precedenza,
non fatica a riflettere su questi [problemi] e a risolverli.
Se poi invece qualcuno dicesse che la bontà rende necessario tutto questo
perché il bene fa acquisire il bene 125 , si dirà che il bene fa acquisire il bene, ma
non nel senso di un'intenzione e di una ricerca affinché esso sia 126 ; ciò infatti
comporterebbe necessariamente la mancanza [nel bene], perché ogni ricerca e
intenzione di qualcosa è ricerca di qualcosa di inesistente, la cui esistenza per
l'agente [della ricerca] 127 è più degna della non-esistenza (min lii-wugild); e
finché è inesistente e non intenzionato, quel che è più degno per l'agente
[della ricerca] 128 non è, e questa è una mancanza.
Così, per la bontà, non si sfugge a una delle due possibilità129 : o essa è vera
ed esistente al di fuori di tale intenzione 130 e il fatto che tale intenzione esista
non interviene nella sua esistenza, ma allora, essendo lo stesso che dalla bontà
derivi o non derivi' 31 questa intenzione, la bontà non la rende necessaria e il
modo d'essere (/:tiil) di tutti gli altri conseguenti della bontà - quelli che le
conseguono per essenza, non a partire da un'intenzione che sia un'intenzione
-non sarà questo stesso modo d'essere 132 ; [397] oppure, [e questa è la secon-
da possibilità], la bontà si porta a compimento e sussiste in virtù di questa

intenditur, non est id quod convenientius est intendenti, et hoc est imperfectio. Bonitas eniiJl
non potest esse quin [469] ve! sit circa ens absque hac intentione, et tunc haec intentio nofl
facit eam esse ve! sit sic quod suum esse huius intentionis et suum non esse a bono erit eadem;
igitur bonitas non facit debere esse hanc intentionem, et dispositio aliorum comitantium boni-
tatem quae comitantur eam [ve!] non erit per seipsam nec per intentionem quae sit intentio
huius dispositionis. Ve! erit quod per hanc intentionem perficietur bonitas et constituetur; haec
igitur intentio erit causa perfectionis bonitatis et suae existentiae, non causata illius.
912 [397]

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Si quis autem dixerit quod hoc est assimilari causae primae in hoc quod bonitas eius
datur aliis et ut sit bonum secundum quod sequitur post eam, dicam quod, secundum quod
videtur, hoc concedi potest, sed secundum veritatem non est ita; assimilari enim illi est non
intendere aliquid sed facere propter seipsum, et quia ipse est secundum hunc modum fuit con-
venientia omnium sapientium. Acquisitio enim perfectionis per intentionem discreta est ab
assimilaci illi, nisi interim dixerint quod prima intentio est quiddam, et hoc est per intentio-
nem secundam ad modum consecutionis; unde necesse esset ut in electione plagae etiam id
quod intenditur intentione prima esset quiddam, et utilitas praedicta esset consequens illud
quod intenditur. Igitur plaga esset non intenta prima intentione, quantum ad ipsum quod
sequitur, sed oporteret ibi esse perfectionem in essentia rei quae consequeretur illam utilita-
tem quousque possint assimilari primo. Nos autem non prohibemus motum esse id quod
intenditur principaliter ad assi-[470]milandum se essentiae primi secundum modum quem
diximus, sed ut assimilari essentiae primi si t intenti o secunda secundum quod flui t ab eo esse,
postquam intentio prima aliud est, scilicet ut speculetur sursum. Sed speculari deorsum et
respectus < ... > ut intenti o si t ad plagam ad hoc ut sua assimilati o cum primo sit assimilati o in
proveniendo res ab ipso, hoc posset concedi in ipsa electione motus. Igitur motus esset prop-
TRATIATO NONO- SEZIONE TERZA 913

intenzione; ma allora, questa intenzione è causa della perfezione e della sussi-


stenza della bontà, e non un suo causato.
Ora, se qualcuno dicesse che questo 133 [bene è dovuto] all'assimilazione
alla Causa prima, in quanto la sua 134 bontà si comunica ed è tale che ne segua
un bene, diremo che questo [discorso] è accettabile in apparenza ma è da riget-
tare nella realtà. L'assimilazione [al Primo] si ha, infatti, in quanto non si
intenziona nulla ma, anzi, si è unicamente secondo la propria essenza 135 , e su
questo vi è accordo da parte di tutti gli uomini di scienza. II fatto che poi con
l'intenzione si acquisisca una perfezione, è qualcosa di distinto dall'assimila-
zione, a meno che non si dica che il primo oggetto di intenzione è una cosa e
che [I' acquisizione della perfezione] sì ha invece in virtù di una seconda inten-
zione, e per via dì conseguenza. Così, tuttavia, anche per quanto riguarda la
scelta della direzione [del movimento], l'oggetto dell'intenzione primaria
dovrebbe essere una cosa e l'utile che si è menzionato ne dovrebbe seguire; la
direzione del bene 136, cioè, non sarebbe intenzionata in modo primario a causa
di quella stessa [cosa] che ne seguirebbe; vi dovrebbe piuttosto essere un per-
fezionamento nell'essenza della cosa, a questo si farebbe seguire tale utilità 137
e in tal modo si avrebbe assimilazione al Primo.
Ora, noi non consideriamo impossibile che il movimento sia intenzionato,
in modo primario, come assimilazione all'essenza del Primo nel modo che
abbiamo descritto e, in modo secondario, come assimilazione all'essenza del
Primo in quanto ne fluisce l'esistenza, ma sempre se la prima intenzione è
un'altra cosa, [una cosa] in virtù della quale si guarda verso l'alto. Quanto
invece allo sguardo e alla considerazione verso il basso 138 , se essi potessero
cadere [sulla scelta] della direzione 139 con la prima intenzione- in modo tale
che l'assimilazione al Primo ne fosse una sorta di conseguenza - allora esse
potrebbero cadere sulla scelta dello stesso movimento; il movimento sarebbe
quindi in vista di quel che è inferiore e l'esistenza che ne fluirebbe non sareb-
be per assimilazione [al Primo] in quanto perfetto nell'esistenza e amato.
Invece, tutto ciò si ha soltanto per la Sua essenza in quanto tale, e l'esistenza
delle cose che ne provengono non interviene affatto a nobilitare la Sua essenza
e a perfezionarla. Anzi, quel che interviene è che Esso è nella sua massima
perfezione e in modo tale che ne derivi (yanba'it.u) 140 l'esistenza del tutto,
senza ricerca e senza intenzione. È quindi necessario che il desiderio di Esso
sia secondo assimilazione in questo modo, non secondo qualcosa per cui per il
Primo dipenderebbe una perfezione 141 •

ter id quod est inferius, ut fluat ab eo esse non assimilari ei inquantum est perfectum esse et
amatum eius; hoc autem non est suae essentiae nisi inquantum est sua essentia, et sic res esse
ab eo nihil ageret quantum ad nobilitatem suae essentiae et perfectionem, sed ageret quantum
ad hoc ut ipse secundum suam perfectionem sit id quod nobilius est et inquantum fluit ab eo
esse universitatis, non inquirendo nec intendendo. Oportet igitur ut sit ei desiderium ad illum
propter assimilandum iuxta hanc formam, non quod perfectio primi pendeat ex eo.
914 .:..~wt J..ùll - ~l:ll ~w t [398)

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Si quis autem dixerit quod sicut potest esse ut corpus caeleste acquirat bonitatem et per-
fectionem per motum et motus est ei actio quam intendit, similiter est in orrutibus suis actio-
nibus, respondebimus ad hoc quod motus non acquirit perfectionem nec bonitatem, alioquin
cessaret apud eum, sed est ipsamet perfectio quam assignavimus, et est certa permanentia
suae speciei quod est possibile esse corpori caelesti [471] in effectu, eo quod non est possi-
bilis permanentia individui. Hic igitur motus non est similis ceteris motibus qui inquirunt
perfectiones extra se, sed hic motus perficit id quod movetur per ipsum: ipse enim est per-
manentia situum et locorum secundum successionem. Oportet autem ut redeamus ad id quod
divisimus antea, cum ostendimus quomodo hic motus sequitur imaginationem desideratam
et quod hic motus similis est permanentiae.
Si quis autem dixerit quod haec dictio prohibet esse intentionem et curam generatorum
et dispositionem sapientissimam quae est in nobis, nos dicemus postea quod removebit hanc
quaestionem et faciemus sciri curam et intentionem creatoris circa omne quod est quomodo
est, et cura omnis causae eius quod est post ipsum qualiter est, et generatorum quae sunt
apud nos quomodo est cura primo principio et causarum quae sunt in medio. lam enim
ostensum est tibi ex his quae praediximus non posse aliquam causarum perfici per causatum
TRA TfA TO NONO- SEZIONE TERZA 915

[398] Se qualcuno poi dicesse che, così come è possibile che il corpo cele-
ste acquisisca un bene e una perfezione in virtù del movimento, che per [il
corpo celeste] è un atto intenzionato, allo stesso modo 142 è per tutte le altre sue
azioni, a ciò si dovrebbe rispondere che il movimento non è tale da acquisire 143
perfezione e bene, altrimenti, una volta raggiunta la [perfezione], si interrompe-
rebbe. [Il movimento], è, piuttosto, la stessa perfezione che abbiamo designato
e consiste in realtà in quella certa stabilità di specie che può appartenere in atto
al corpo celeste, al quale non può appartenere la stabilità dell'individuo 144 •
Questo movimento, infatti, non assomiglia agli altri movimenti, i quali ricerca-
no una perfezione esterna ad essi; piuttosto, con questo movimento - a partire
da esso e in virtù di esso- si perfeziona lo stesso mobile 145 : [il moto] è lo stes-
so permanere delle posizioni e dei "dove" secondo la successione.
Insomma, devi tomare 146 a ciò di cui abbiamo [discusso] in dettaglio nella
[trattazione] precedente, quando abbiamo mostrato come questo movimento
segua l'attività rappresentatrice di quel che desidera e come sia una sorta di
stabilità 147 •
E se qualcuno dicesse che questo discorso rende impossibile l'esistenza
della provvidenza nei riguardi delle cose che sono e il saggio governo che è in
esse, ebbene ricorderemo in seguito quanto fa decadere questa difficoltà; fare-
mo conoscere secondo quale via proceda la provvidenza del Creatore nei con-
fronti del tutto, secondo quale via proceda la provvidenza di ogni causa nei
confronti di quanto viene dopo di essa e come la provvidenza si eserciti nei
confronti delle cose che sono presso di noi a partire dai principì primi e dalle
cause (asbab) che ne sono il medio 148 . È comunque già chiaro 149 , per quel che
abbiamo spiegato, che nessuna causa potrebbe perfezionarsi in virtù del causa-
to- per sé non per accidente 150 - e che [nessuna causa potrebbe] intenzionare
un atto in vista del causato, anche se provasse soddisfazione per esso e ne
avesse conoscenza: piuttosto, come l'acqua si raffredda per sé in atto per con-
servare la propria specie, e non per raffreddare qualcosa di diverso da se stes-
sa, e tuttavia [dal fatto che si raffredda] consegue necessariamente che raffred-
di qualcosa di diverso da se stessa, e come il fuoco riscalda per sé in atto per
conservare la propria specie, non per riscaldare qualcosa di diverso da sé, ma
ne consegue necessariamente che riscaldi qualcosa di diverso da sé, e come la
potenza concupiscibile 151 brama il piacere della copula perché sia espulso
l'eccesso [di seme] 152 e con quella si compia il piacere -e non perché se ne

essentialiter nisi accidentaliter, et quod ìllae non intendunt aliquid agere propter causatum.
quamvis complaceat eis et sciant ìllud. Sed, sicut aqua infrigidatur per seipsam in effectu ad
conservandam suam speciem, non ut infrigidet aliquid alìud extra se, sed consequitur ut
infrigidet aliud extra se, et sicut ignis calescit per seipsum in effectu ad conservandam suam
speciem, non ut calefaciat aliquid alìud extra se, sed consequitur ut calefaciat aliud extra se,
virtus quoque appetitiva desidera! delectari coitu ad repellendum superfluum et completur
916 [399]

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. .s:r.i ~ 4\411

eius [472] delectatio, non ut per illum fiat filius; sanitas etiam est sanitas per seipsam, non ut
prosit ìntìrmo, sed consequitur eam prodesse infirmo; sic etiam est in causis praecedentibus,
sed ibi est eius comprehensio quod fit et cognitio qualiter est in eis ordinatio et bonitas et
quia est sicut debet, sed in istis non.
Postquam autem ita est in re, tunc corpora caelestia non communicaverunt in motu cir-
culari nisi propter desiderium amati communis, nec fuerunt diversa nisi quia eorum princi-
pia amata desiderabilia post illud primum sunt diversa. Non quod, si dubitaverimus quomo-
do ex unoquoque desiderio debeat esse virtus secundum hanc dispositionem, ideo debeamus
impediri ad cognoscendum quod motus sunt diversi propter diversitatem desideratorum.
Remansit autem nobis quiddam ad aestimandum, scilicet an desiderata diversa sint cor-
pora, non intelligentiae separatae, ita videlicet ut corpus quod est vilius velit assimilari cor-
pori quod est prius et nobilius, sicut putavit unus ex praecipuis modemorum [473] philo-
sophantium Sarracenorum qui deturpavit philosophiam quoniam non intellexit intentionem
antiquorum. Dico igitur hoc esse absurdum, quoniam assimilari ei facit debere habere
motum illi consimilem et plagam et finem quem intendit. Si autem aliquid impedierit ne
TRATTATO NONO- SEZIONE TERZA 917

generi un figlio, anche se necessariamente ne consegue un figlio -, e come la


salute [399] è salute in virtù della sua sostanza e della sua essenza, e non per-
ché giovi al malato, eppure consegue necessariamente che giovi al malato,
così accade per quanto riguarda le cause anteriori; sennonché, mentre in esse
vi è comprensione di quanto è e scienza di come sia il modo del!' ordinamento
e del bene, e che esso è come deve essere, tale comprensione in queste [altre
cause] non c'è.
Se dunque la cosa sta così, ecco che i corpi celesti hanno in comune nel
[loro] movimento circolare solo un desiderio verso un amato comune e differi-
scono soltanto perché i loro principi, amati e desiderati, dopo quello che è il
primo 153 , possono essere differenti. E non è che, se ci poniamo la questione di
come sia necessario che, in questo modo, un movimento provenga sempre da
un desiderio, ciò debba influire su quel che abbiamo appreso e cioè che i
movimenti sono differenti a causa della differenza degli enti desiderati.
Ci resta però una cosa [da esaminare] e cioè se sia possibile che i differenti
oggetti dì desiderio possano essere immaginati come corpi e non come intelli-
genze separate; in tal modo, per esempio, il corpo che è inferiore sarebbe tale
da assimilarsi al corpo che è anteriore e più nobile come ritenne, fra i moderni
filosofanti musulmani, quell'audace, facendo confusione in filosofia e non
avendo, dì fatto, compreso il proponimento degli Antichi 154 .
Ora, - diremo - ciò è impossibile. Infatti, l'assimilazione al [corpo] com-
porterebbe necessariamente un movimento simile al suo, una direzione simile
a quella del suo movimento e lo stesso fine cui esso tenderebbe. Se qualcosa si
deve al fatto di essere al di sotto del rango [di un corpo], ciò è solo la debolez-
za nell'agire, non la differenza nell'agire, e cioè non una differenza che renda
necessario che un dato [corpo] si muova in questa direzione e un altro in
un'altra. E neppure è possibile che si dica che la causa di questa differenza sta
nella natura di quel corpo, come se la natura di quel corpo gli impedisse di
muoversi da A a B, ma non gli impedisse di muoversi da B ad A: questo è
impossibile, perché il corpo in quanto tale non comporta nulla del genere e la
natura, in quanto è natura del corpo, ricerca il proprio luogo naturale, non una
posizione particolare; se ricercasse una posizione particolare, se ne spostereb-
be per violenza e nel moto della sfera entrerebbe l'intenzione della violenza.

possit assequi ordinem illius, non faciet debere hoc nisi debilitas actionis, non diversitas
actionis, videlicet ut hoc sit ad unam plagam et illud ad aliam. Non potest enim dici quod
causa huius diversitatis sit natura illius corporis, quasi natura illius corporis repugnet moveri
de a ad b et non repugnet moveri de b ad a. Hoc enim est impossibile: corpus enim ex hoc
quod est corpus non facit debere hoc. Natura etiam, ex hoc quod est natura corporis, petit
ubi naturale absque situ proprio. Si enim quaereret situm proprium, tunc moveri ab eo fieret
per violentiam, et sic in motu caeli esset violentia. Item cum unaquaeque partium caeli sit
918 .;...J\:.11 J.....«<l - ~\:11 ;ijUÌI [400]
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cf.' J_..~ J.JYI 4)...1\ 0§-;.J '<:.f.J ..!.l)j Y~J "-;<[ ..)J,.j '} \5" Wt.J '..!}).)

secundum omnem comparationem quae potest esse in natura caeli, tunc non oportet ut, si
remota fuerit una pars a plaga, pertranseat, et si remota fuerit ab alia plaga, non pertranseat
secundum naturam nisi fuerit hic natura alia quae faciat moveri ad plagam unam potius
quam ad aliam, et sic erit magis appetens illam plagam cum removetur a sua plaga. Iam
autem diximus quod principium huius motus non est naturale nec est etiam ibi natura quae
faciat debere ipsum situm nec plagas diversas. Item non est in substantia caeli natura quae
prohibeat animam movere ipsum caelum ad quamlibet plagam. Item non potest hoc esse ex
parte animae, ita ut natura eius sit velle [474] illam plagam tantum, nisi intentio motus fuerit
propriata ad illam plagam: voluntas enim sequitur intentionem, non intentio voluntatem. Si
autem hoc ita fuerit, tunc causa erit diversitas intentionum; non est igitur prohibens ex parte
corporeitatis nec ex parte naturae nec ex parte animae, nisi diversitas intentionis; violentiam
autem esse ibi est impossibilius. Igitur, si intentio esset assimilari post primum alicui corpori
caelestium, tunc motus esset ad modum illius corporis, non diversus ab eo nec velocior eo in
multis locis. Similiter esse t, si intenti o motoris huius caeli esset assimilari motori illius caeli.
lam enìm manifestum erat quod intentio in illis motibus non est aliquid ad quod perveniant
per motum et ibi quiescant, sed quiddam aliud, et ostensum est nunc quod non est corpus.
TRATTATO NONO- SEZIONE TERZA 919

[400] Inoltre, ognuna delle parti della sfera, sotto ogni rapporto, esiste in
modo [egualmente] concepibile per la natura della sfera 155 ; non può essere,
quindi, che quando una parte è rimossa da una direzione, si possa [dire] in
relazione alla semplicità 156 [della sfera] e, quando è rimossa da un'altra dire-
zione, non si possa dire in tal senso; a meno che non vi sia una natura che,
affrancata dalla propria [direzione] accetti 157 un movimento in una certa dire-
zione e vada quindi necessariamente in quella direzione e non in un'altra 158 .
Ma abbiamo già detto che il principio di questo moto non è la natura della
[sfera]; né vi è una natura che renda necessaria una determinata posizione e
non direzioni differenti: nella sostanza della sfera non vi è, infatti, una natura
che impedisca che l'anima la metta in moto verso una qualunque direzione
data. E neppure può essere che un tale [impedimento] si abbia a partire
dall'anima, come se fosse il suo carattere a volere senz'altro quella determina-
ta direzione; a meno che lo scopo del movimento non sia propriamente legato
a quella direzione: perché è la volontà a seguire lo scopo, non lo scopo a
seguire la volontà. Ma se così è, la ragione [della differenza dei movimenti]
risiede nella differenza dello scopo. Eccettuata la differenza nello scopo non vi
è, cioè, un impedimento né a partire dalla corporeità, né a partire dalla natura,
né a partire dall'anima; e quanto alla violenza, non c'è nulla di più lontano dal
possibile. Se poi lo scopo [del moto] fosse, dopo il Primo, l'assimilazione a
uno dei corpi celesti, il movimento sarebbe della stessa specie del movimento
di quel corpo e non sarebbe diverso da esso o di esso più veloce in molti pas-
saggi, e così [sarebbe anche) se lo scopo del motore di questa sfera fosse
l'assimilazione al motore di quell'altra sfera.
È inoltre ormai divenuto evidente che lo scopo di tali movimenti non è
qualcosa a cui si giunga con il movimento - altrimenti ne conseguirebbe
l'arresto- e che è, al contrario, qualcosa di distinto, a cui non si giunge 159 ; ed
è evidente che non si tratta di un corpo. Resta dunque che lo scopo per ogni
sfera sia l'assimilazione a qualcosa che è diverso dalle sostanze delle sfere, sia
nelle loro materie sia nelle loro anime 160 • E poiché è impossibile che siano gli
elementi e quel che da essi si genera, o che siano i corpi, o le anime diverse da
queste, resta che ognuna di esse si assimili 161 a una sostanza intellettuale sepa-
rata che le è propria e che i movimenti e gli stati differiscano per una differen-
za che viene ad essi a causa di tale [sostanza], anche se noi non sappiamo
come ciò sia necessariamente né perché 162 • E la Causa Prima è qualcosa di
desiderato 163 da tutto l'insieme [delle sostanze] [401] in comune. Questo è

Remansit igitur quod intentio uniuscuiusque caeli est assimilari rei quae est aliud a sub-
stantia caelorum, scilicet a materiis et animabus eorum; inconveniens est autem assimilari
elementaribus et ei quod generatur ex eis; non sunt autem corpora nec animae praeter hoc.
Restat igitur ut sit unicuique caelorum desiderium assìmilandì substantiae intelligibili sepa-
ratae quae est ei propria. Diversitas autem motuum et suarum dispositionum quam habent
caeli est propter hoc, quamvis nos nesciamus qualiter hoc debeat et quamdiu. Sed causa
920 [401]

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prima est desideratum universitatis communiter, et haec est intentio de hoc quod dixerunt anti-
qui quod universitas habet motorem unum amabilem. Sed unaquaeque sphaera habet motorem
suum qui est ei [4751 proprius et amatum quod est ei proprium. lgitur unicuique caelo est
anima movens quae intelligit bonitatem et, propter corpus, habet imaginationem, scilicet for-
mare particularia et habet voluntatem particularium. Sed id quod intelligit de primo et quod
intelligit de principio quod est sibi proprium et propinquum est principium sui desiderii motio-
nis. Unicuique autem caelo est intelligentia quae est princìpìum sìbi proprium et propinquum,
scilicet principium separatum, cuius comparatio ad eius animam est sicut comparatio intelli-
gentìae agentis ad nostras animas, et hoc est exemplum universale intelligibile speciei suae
actionis, et huic assimilatur ipsum. Et omnino, in omni quod movetur ab illis necesse est ut sit
intentio intelligibilis a principio intelligibili quod intelligit bonitatem primam, et eius essentia
est separata: iam autem nosti quod omne quod intelligit est separatae essentiae. Principium
vero motus est corporale, scilicet adhaerens corpori: igitur iam nosti quod motus caelestis est
animalis proveniens ab anima eligente, renovata electionibus continue suarum partium.
Unde numerus intelligentiarum separatarum post primum principium erit secundum
numerum motuum. Si autem circuii planetarum fuerint sic quod principium motus circulorum
uniuscuiusque planetarum sit virtus fluens a pianeta, tunc non erit longe quin separata sint
secundum numerum planetarum, non secundum numerum circulorum, et tunc earum numerus
erit decem post primum. Primum autem earum est intelligentìa quae non movetur, cuius est
movere sphaeram corporis ultimi. Deinde id quod sequitur est quod movet sphaeram fixarum.
TRATTATO NONO- SEZIONE TERZA 921

infatti il significato di quel che sostengono gli Antichi, che per il tutto c'è uno
stesso motore, amato, e che per ogni sfera (kura) c'è un motore che le è pro-
prio e un amato che le è proprio 164 •
Vi è, dunque, per ogni sfera [celeste] (jalak) un'anima motrice che ha
intellezione del bene e che, in ragione del corpo, ha un'immaginazione, cioè
una rappresentazione dei particolari e una volontà dei particolari. Il principio
del suo desiderio di muoversi sta in quel che essa intende del Primo e del prin-
cipio che le è proprio e che è il suo [principio] prossimo, e per ogni sfera
[celeste] vi è un'intelligenza separata il cui rapporto con la sua anima è il rap-
porto che l'intelligenza agente ha nei confronti delle nostre anime: essa è un
modello universale intellettuale per la specie della sua azione ed è ciò cui
[l'anima] si assimila. Insomma, per ognuna delle [sfere] che si muove per uno
scopo intellettuale, vi è immancabilmente bisogno di un principio intellettuale
che abbia intellezione del Bene primo e la cui essenza sia separata - come hai
appreso, infatti, qualunque cosa abbia intellezione è dall'essenza separata- e
di un principio corporeo del movimento, cioè di qualcosa che sia congiunto al
corpo 165 ; sai, infatti, che il movimento celeste è psichico ed emana da
un'anima che sceglie e che rinnova le proprie scelte secondo la continuità
delle sue particolarità 166 ; e così, il numero delle intelligenze separate successi-
ve al Principio primo è in relazione al numero dei movimenti.
Tuttavia, se per quanto riguarda le sfere [celesti] erranti il principio del movi-
mento delle sfere (kuriit) di ogni pianeta è soltanto una potenza che fluisce
(tafiqu) dai pianeti, non è inverosimile che le [intelligenze] separate siano nel
numero dei pianeti e non nel numero delle sfere (kuriit) e che il loro numero sia
di dieci dopo il Primo: la prima di esse è l'intelligenza motrice che non si muove
e la sua mozione è rivolta al corpo estremo; poi, vi è quella che è il suo analogo
per la sfera delle [stelle] fisse; poi quella che è il suo analogo per la sfera di
Satumo e così via, fino a che non si ha termine nell'intelligenza che fluisce sulle
nostre anime 167 : essa è l'intelligenza del mondo terreno e noi la chiamiamo
"intelligenza agente". Se non fosse così, ma per ogni sfera (kura) in movimento
vi fosse invece uno statuto per quanto riguarda il movimento di se stessa, e così
per ogni pianeta, questi [principi] separati sarebbero in numero maggiore. Dalla
dottrina del Primo Maestro consegue che siano circa cinquanta e più, essendo
l'ultima di esse l'intelligenza agente 168 ; e hai appreso da quanto abbiamo detto
nelle Matematiche la cifra massima che abbiamo assegnato a questo riguardo 169 •

Deinde sequitur quod movet sphaeram Satumi. Similiter est quousque [476] pervenitur ad
ìntellìgentiam a qua fluit super nostras animas, et haec est intelligentia mundi terreni, et voca-
mus eam intelligentiam agentem. Si autem non fuerit sic, sed fuerit quod unusquisque circulus
movetur ad illas iudicio motus sui ipsius, et similiter est unusquisque planetarum, tunc haec
separata erunt plura numero et sequetur, secundum sententiam magistri primi, quod sunt circi-
ter quinquaginta et amplius; sed ultima ex eis est ìntellìgentia agens. Iam autem nosti ex his
quae diximus in discìplinalibus quantum apprehendimus de numero earum.
922 t_l)l J.Uil - t...\:11 ~Wl [402]

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IV
CAPITULUM DE ORDINATIONE ESSE INTELLIGENTIAE ET ANIMARUM CAELESTIUM
ET CORPORUM SUPERIORUM A PRIMO

Iam certum est nobis ex supradictis quod necesse esse per se unum est et quod non est
corpus nec in corpore nec dividitur aliquo modo, et quod esse omnium quae sunt est ab eo et
quod non potest habere principium ullo modo nec causam, scilicet nec a qua est res, nec in
qua est res, nec per quam est res, nec propter quam est, ita ut ipse si t propter aliquid. Unde
non potest esse ut esse omnium ab ilio sit secundum viam intentionis ab illo, quemadmodum
est nobis intentio in [477] his omnibus quae fiunt a nobis: tunc enim ipse esset intendens
propter aliquid aliud praeter se. Iam autem expediti sumus ab hoc in aliis quae sunt extra
eum, scilicet quod nulla res intendit aliquid quod sit inferius se; in eo autem hoc evidentius
est. Sed quod proprium sit ei non habere intentionem ut esse omnium si t ab eo, ratio haec est
scilicet quia hoc induceret multitudinem in sua essentia. Tunc enim esset in eo aliquid prop-
ter quod intenderet, scilicet quia ve\ cognitio eius vel scientia eius faceret debere intendi
quia indigeret ea, vel bonitas quae esset in ea faceret debere hoc, denique intentio alicuius
923

SEZIONE QUARTA 170

SUL [MODO IN CUI], A PARTIRE DAL PRINCIPIO PRIMO, SI ORDINA IN RANGHI


L'ESISTENZA DELL'INTELLIGENZA 171 , DELLE ANIME CELESTI E DEI CORPI SUPERNI

Nella nostra precedente trattazione si è appurato che quel che è necessaria-


mente esistente per sé è uno, che non è un corpo né è in un corpo e che non è
divisibile sotto nessun aspetto. È a partire dal [Necessariamente esistente]
quindi che esistono tutte [le cose] esistenti, mentre esso non può avere alcun
principio, sotto nessun aspetto, e non può avere alcuna causa: né una causa
dalla quale provenire, né una causa nella quale o in virtù della quale essere o
per la quale essere, come se fosse in vista di qualcosa. Per questo non è possi-
bile che il tutto ne provenga come se Esso avesse un'intenzione- come noi ne
avremmo una- mirata a far essere ed esistere il tutto 172 : [se così fosse], infatti,
[il Necessariamente Esistente] sarebbe tale da avere un'intenzione in vista di
qualcosa di diverso da Sé.
Abbiamo già presentato in modo esauriente [gli argomenti] per stabilire
questo punto (hiid.a al-fa~l) in un altro [passaggio], ma qui ciò è ancora più
manfesto e per provare che è impossibile che Esso intenzioni l'esistenza del
tutto da Sé, specificheremo che ciò condurrebbe a moltiplicarlo nella Sua
essenza: [se avesse un'intenzione], infatti 173 , in Esso dovrebbe esservi qualco-
sa in ragione di cui avere un'intenzione e questo qualcosa dovrebbe consistere
nella sua conoscenza o nella scienza che Esso avrebbe della necessità
dell'intenzione 174 , oppure nella sua predilezione di essa- o nel bene [che vi
inerirebbe] e che la renderebbe necessaria- e quindi in un'intenzione; e inol-
tre, come abbiamo mostrato chiaramente prima, in un guadagno che l'inten-
zione Gli farebbe acquisire; e tutto questo è impossibile.
Che il tutto provenga dal [Primo] non è tuttavia neppure secondo natura 175,
come se il tutto non ne povenisse in virtù di una conoscenza né per una Sua
soddisfazione. E come potrebbe essere vero questo, se Esso è un'intelligenza
pura che ha intellezione della propria essenza? È necessario quindi che Esso
abbia intellezione del fatto che da Sé consegue necessariamente l'esistenza del
tutto, perché Esso non ha intellezione della propria essenza se non in quanto è

utilitatis quae prodesset ei, sicut iam praediximus. Hoc autem absurdum est. Omne enim
esse quod est ab eo non est secundum viam naturae ad hoc ut esse omnium sit ab eo non per
cognitionem nec per beneplacitum eius: quomodo enim hoc esse posset, cum ipse si t intelli-
gentia pura quae intelligit seipsum? Et ideo necesse est ut intelligat sequi ipsum ut esse
omnium sit ab eo < ... > inquantum ipse est principium eius, et in sua essentia non sit prohi-
924 [403]

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bens hoc eo quod eventus omnium sit ab eo, sic quod sua essentia est sciens quod sua per-
fectio et sua excellentia est ut [478] fluat ab eo bonitas, et hoc est de comi tanti bus suam glo-
riam quam ipse diligit per seipsum.
Omnis autem essentia quae scit quod provenit ex ea, nec admiscetur ei impedimentum
aliquod, sed est quemadmodum iam ostendimus, placet ei id quod provenit ex ea; igitur
primo placuit ut ex sua essentia flueret omne quod est. Veritatis autem primae non est sua
prima actio nisi per essentiam. Ipse enim intelligit suam essentiam et quod sua essentia est
principium ordinis bonitatis in esse,< ... > quemadmodum oportet esse, non intellectu proce-
dente de potentia ad effectum, nec intellectu qui movetur de uno intellecto ad aliud. Eius
enim essentia immunis est ab omni quod est in potentia omnino, sicut iam supra ostendimus,
sed ipse est intelligens omnia ut unum simul, et ex hoc quod intelligit, sequitur ordinatio
bonitatis in esse, et intelligit qualiter est possibile et qualiter est elegantius provenire esse
totius secundum iudicium sui intellecti. Certitudo autem intellecta apud eum est ipsa, sicut
nosti, scientia, potentia et voluntas. Nos enim ad exsequendum quod imaginamus, indige-
mus intentione, motu et voluntate ad hoc ut sit; in ipso autem hoc non est conveniens, nec
potest esse propter suam immunitatem a dualitate, in cuius probatione iam multum desuda-
vimus; igitur ipse intelligit se esse causam secundum quod intelligit illud.
[479] Esse autem quod est ab eo est secundum viam consequendi et comitandi eius esse,
non quod eius esse sit propter esse aliquid aliud a se, quoniam ipse est agens omne quod est
TRATTATO NONO- SEZIONE QUARTA 925

intelligenza pura e Principio primo. Esso ha intellezione del fatto che l'esisten-
za del tutto proviene da se stesso soltanto secondo il fatto che ne è il principio
e che nella Sua essenza non vi è alcunché che impedisca o che abbia ripugnan-
za a che il tutto emani da Sé. La Sua essenza conosce che la Sua perfezione e
la Sua elevatezza sono tali che da Esso fluisca [403] il bene e che ciò è fra i
conseguenti necessari della Sua gloria, che è per sé oggetto del Suo amore.
Ogni essenza che conosca ciò che emana da sé e alla quale non si mescoli
alcun ostacolo, ma che anzi sia come abbiamo chiarito, è soddisfatta di ciò che
ne proviene, cosicché il Primo è soddisfatto del fluire del tutto da Sé.
Tuttavia, l'azione che è prima e che appartiene per essenza al primo Reale
è quella di avere intellezione della propria essenza, che per sé è il principio
. dell'ordine del bene nell'esistenza. Esso, quindi, ha intellezione dell'ordine
del bene nell'esistenza e dì come conviene che sia; e ciò non con un'intelle-
zione che passi dalla potenza all'atto, né con un'intellezione che passi da un
intelligibile a un altro intelligibile - perché la Sua essenza, come abbiamo
chiarito nei passaggi precedenti, è da ogni punto di vista libera da qualcosa
che sia in potenza- ma anzi, con un'intellezione una [e simultanea]l 76 . E ciò
che [il Primo] intende dell'ordine del bene che riguarda l'esistenza fa necessa-
riamente sì che Esso abbia intellezione di come possa essere e di come sia che
l'esistenza del tutto si realizzi al meglio secondo quel che esige ciò che Esso
intende. Infatti, come hai appreso, la realtà intelligibile presso il [Primo] è,
nella sua stessa identità, scienza, potere e volontà 177 •
Ora, mentre noi nel compiere quel che ci rappresentiamo abbiamo bisogno
-per [farlo] esistere 178 - di un'intenzione, di un movimento e di una volontà,
ciò non conviene [al Primo] né è per Esso ammissibile, perché Esso, come 179
abbiamo ormai lungamente provato, è privo di duplicità. La Sua intellezione,
quindi, è causa dell'esistenza secondo ciò di cui ha intellezione, e l'esistenza
di quel che esiste a partire da Esso 180 necessariamente consegue e segue dalla
Sua esistenza 181 : la Sua esistenza non è in vista dell'esistenza di una cosa altra
da Sé. Esso è agente del tutto nel senso che è l'esistente da cui fluisce ogni
esistenza, come un flusso distinto dalla Sua essenza 182 • E poiché l'essere di
quel che proviene dal Primo è soltanto secondo conseguenza necessaria, è
valido affermare che il Necessariamente Esistente per sé è necessariamente
esistente sotto ogni aspetto - abbiamo affrontato tale questione in modo esau-
riente già in precedenza - e che perciò non può essere che i primi esistenti che
ne provengono - e cioè quelli instaurati - siano molteplici. [Non può essere che
lo siano] né numericamente, né in virtù della divisibilità in una materia e in una

hac intentione quia ipse est ens a quo fluit quicquid est, fluxu discreto ab eius essentia. Sed,
quod esse omnis eius quod fit a primo non est nisi secundum viam comitandi, si certum fue-
rit quod necesse esse per se est necesse esse omnibus suis modis (iam expediti sumus ab hoc
in praecedentibus), igitur ea quae primo sunt ab eo- et haec sunt creata- non possunt esse
multa nec numero nec divisione in materiam et formam, quoniam id quod sequitur ex eo, est
926 c;_ l)\ J.a-.411 - :1....\:11 "-IW.I [404]

: ~\_, :s~ l...r:. 0§:,. 0l:_l.,:.. 0~ J! ' i\_,A)h 01:..._1.,:.. .;'~ .._;.. ,J .)~
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ab eius essentia, non ab alio aliquo. Modus autem et iudicium de hoc quod est in eius essen-
tia, secundum quem sequitur ab eo hoc, non est modus et iudicium secundum quod sequere-
tur ex eo non hoc, sed aliud ab hoc. Si enim provenirent ab eo duae res discretae per existen-
tiam, ve! duae res discretae ex quibus fit unum, sicut materia et forma, comitantia simul, illae
non provenirent nisi ex duobus modis diversis in eius essentia. Si autem illi duo modi essent
non in eius essentia, sed comitantes eius essentiam, tunc remaneret quaestio de comitantia
istorum duorum, quousque essent de sua essentia, et sic ipsa esset divisibilis in intellectu: iarn
autem prohibuimus hoc antea et ostendimus destructionem eius. Manifestum est igitur quod
primum eorum quae sunt a causa prima unum numero est, et eius essentia et eius quidditas
est unitas, non in materia. Unde nihil corporum vel formarum quae sunt perfectiones corpo-
rum est causatum eius propinquum, quia primum causatum est intelligentia pura, quia est
forma non in materia, et ipsa est prima intelligentiarum [480] separatarum, quas numeravi-
mus. Videtur autem ipsa esse principium movens corpus ultimum secundum viam desiderii.
Potest autem aliquis dicere quia id quod fit a primo non prohibetur esse forma materia-
lis, sed ex ea sequitur esse suae materiae. Ad quod dico quod hoc faceret debere ut ea quae
sunt post hanc formam et hanc materiam, essent tertia in ordine causatorum, et esset eorum
esse mediante materia, et sic materia esset causa essendi formas corporum quae sunt multa
TRATTATO NONO- SEZIONE QUARTA 927

forma; [e questo] perché che ne consegua quel che ne consegue necessariamente


è a causa della Sua stessa essenza e non è dovuto ad altro 183 • L'aspetto e lo statu-
to che si hanno nella Sua essenza, dalla quale necessariamente consegue una
[prima] cosa, non sono lo stesso aspetto e lo stesso statuto che si avrebbero se da
essa conseguisse non questa prima cosa, ma qualcosa dì diverso da essa 184 •
[404] Se, infatti, da Esso conseguissero- pur simultaneamente- due cose
distinte nella sussistenza, oppure due cose distinte dalle quali ne provenisse poi
una sola, come da una materia e da una forma, esse potrebbero conseguire soltan-
to da due distinti aspetti della Sua essenza; e se questi due aspetti non fossero
nella Sua essenza, ma ne fossero dei conseguenti, ebbene, la domanda a proposito
del loro conseguire 185 permarrebbe immutata: finché i due provengono dalla Sua
essenza, la Sua essenza, infatti, è divisibile secondo l'intenzione, mentre già prima
abbiamo dichiarato che ciò è impossibile e ne abbiamo resa evidente la falsità.
È quindi evidente che il primo degli esistenti che proviene dalla Causa prima
è uno nel numero e che la sua essenza e la sua quiddità consistono in una cosa
una che non è in una materia 186 , cosicché nessuno dei corpi o delle forme che
sono le perfezioni dei corpi sono un causato prossimo del [Primo]. Il primo cau-
sato è, piuttosto, un'intelligenza pura perché è una forma che non è in una mate-
ria ed è la prima delle intelligenze separate che abbiamo enumerato; e sembra
che essa sia il principio 187 che muove il corpo estremo per via del desiderio 188 •
Qualcuno, però, potrebbe dire che nulla impedisce che a venire ad essere
dal Principio primo sia una forma materiale e che poi, da questa, consegua
l'esistenza della sua materia. Ebbene, [in risposta a questa obiezione], diremo
che, perché ciò possa essere, le cose posteriori a questa forma e a questa mate-
ria dovrebbero necessariamente 189 essere successive nel grado dei causati e la
loro esistenza dovrebbe darsi in virtù della mediazione della materia; così, tut-
tavia, la materia verrebbe ad essere una causa per l'esistenza delle forme dei
molteplici corpi che sono nel mondo e per le loro potenze 190, e questo è
ìmpossìbile 191 • L'esistenza della materia consiste, infatti, nell'essere soltanto
ricettiva e nel non essere causa dell'esistenza di nessuna cosa, se non secondo
la ricezione. Se una materia non fosse tale, sarebbe materia solo per omonimia
e così, se la cosa che è oggetto della supposizione fosse qualcosa di stabile,
non sarebbe al modo della materia se non per omonimìa, e solo per omonimia
il rapporto che il primo causato avrebbe con essa sarebbe analogo a quello di
una foma in una materia.

in mundo et suarum virium. Hoc autem est inconveniens, eo quod suum esse materiae est
esse receptibile tantum, nec est causa essendi aliquid nisi secundum viam receptionis. Si
autem aliqua ex materiis non est sic, tunc non est materia nisi communione nominis. Si
autem fuerit res posita stabilis non ad modum materiae nisi communione nominis, tunc
primi causati comparatio ad eum non erit inquantum est forma in materia nisi communione
nominis. Si vero fuerit hoc secundum sic ut eo modo quo ab eo est materia sit quiddam, et
928 [405]

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eo modo quo ab eo est forma sit quiddam aliud, ita ut alia forma non habeat esse mediante
materia, tunc forma materialis eri t sic quod aget actionem in qua non indiget materia; quicquid
autem agit suam actionem non indigens materia, ipsum per seipsum est non indigens materia.
Igitur forma materialis non indiget materia, et omnino, quamvis forma materialis sit causa
materiae extrahens eam ad effectum et perficiens eam, tamen materia habet impressionem in
esse illius, et hoc est ipsam appropriaci et signari. Si autem principium essendi fuerit de non
materia, sicut iam nosti, tunc sine dubio erit unumquodque eorum causa alterius secundum ali-
quid, et non uno modo. Si vero non fuerit ita, tunc destruetur formam materialem pendere de
materia ullo modo. Similiter etiam supradiximus quod ad suum esse materiae non sufficit
forma tantum, sed forma est ut partialis causa. Postquam autem ita est, tunc sola forma non
potest poni causa materiae omnino [481] sufficiens per se. Palam igitur non posse esse ut pri-
mum causatum si t forma materialis; sed quod non sit materia manifestius est. Necessarium est
igitur ut causatum primum sit forma non materialis omnino, scilicet intelligentia.
Tu scis autem quod hic sunt intelligentiae et animae separatae multae. Unde esse eorum
non potest esse acquisitum ab aliquo mediante quod non sit separatum. Item nosti quod, in
universitate eorum quae sunt a primo, sunt corpora, et nosti quod omne corpus est possibile
esse quantum in se, et quod necessarium est per aliud a se, et nosti non esse illis viam essen-
di a primo absque mediante aliquo: sunt igitur ex ipso, sed mediante aliquo, et nosti quod
medium non est unitas pura; nosti etiam quod ex uno, secundum quod est unum, non est nisi
TRATI ATO NONO- SEZIONE QUARTA 929

Se poi da questa seconda [cosa] provenisse a partire da un certo aspetto


l'esistenza di questa sua materia, e, da un altro aspetto, l'esistenza della forma
di un'altra cosa- in modo tale cioè che quest'altra forma non venisse ad esi-
stere in virtù della mediazione della materia - la forma materiale farebbe
un'azione per la quale non avrebbe bisogno della materia; ora, l'essenza di
una cosa che faccia la propria azione senza bisogno della materia è sempre
innanzitutto tale da fare a meno della materia, e così la forma materiale sareb-
be tale da non aver bisogno della materia.
[405] Insomma, benché la forma materiale sia causa della materia perché
la fa passare all'atto e la perfeziona, anche la materia ha un influsso sulla sua
esistenza e cioè il fatto di renderla propria e di determinarla 192 , anche se -
come hai appreso -il principio dell'esistenza non viene dalla materia 193 •
Ognuna delle due, in qualcosa, è causa dell'altra e le due non sono 194 sotto un
solo aspetto 195 : d'altronde, se non fosse così, la forma materiale non potrebbe
avere alcun vincolo con la materia, sotto nessun aspetto. Perciò, precedente-
mente abbiamo chiarito che ali' esistenza della materia non è sufficiente sol-
tanto la forma: la forma è, piuttosto, come una parte della causa 196 e se è così,
non è possibile che della forma si faccia, sotto ogni aspetto, una causa della
materia, per sé sufficiente. Ed è evidente che il primo causato non può assolu-
tamente essere una forma materiale e che non sia 197 una materia è ancor più
manifesto; è quindi assolutamente necessario 198 che il primo causato sia una
forma non materiale e sia, anzi, un'intelligenza.
E tu sai che vi sono molte intelligenze e molte anime separate [dalla materia]
e che è quindi impossibile che la loro esistenza si acquisisca con la mediazione
di qualcosa che non abbia un'esistenza separata; tuttavia, sai egualmente che fra
tutti gli enti che esistono a partire dal Primo vi sono anche dei corpi. Hai appre-
so, infatti, che ogni corpo, in se stesso 199 è possibilmente esistente, mentre è
necessario in virtù di qualcosa di diverso da sé, come hai appreso che non c'è
modo perché [un corpo] provenga dal Primo- altissimo - senza un medio. [I
corpi] provengono dal [Primo] in virtù di un medio e hai appreso che non può
essere che il medio sia una pura unità, senza che in esso vi sia una qualche dupli-
cità. E poiché hai appreso che dall'uno, in quanto è uno, esiste soltanto l'uno200 ,
[il medio] dovrà venire dai primi instaurati in ragione di una duplicità201 che
deve obbligatoriamente essere in loro, o di una certa molteplicità, comunque sia.
Ora, nelle intelligenze separate non può esservi alcuna molteplicità, se non
nel senso in cui dirò 202 e cioè che il causato è per sé possibilmente esistente,
mentre in virtù del Primo è necessariamente esistente. Poiché la necessità della

unum. Necesse est igitur ut ex primo causatis propter esse eorum sint alia in quibus oportet
esse necessitatem et multitudinem, quomodocumque evenerit. lntelligentiis enim separatis
non potest esse aliqua multitudo nisi quemadmodum dicam, quoniam causatum per se est
possibile esse in seipso, propter primum autem est necessarium esse. Sed necessitas sui esse
930 t_!JI J..Ull - ~\:l\ '.}\.il\ [406]

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est secundum quod est intelligentia, et intelligit seipsum et intelligit primum necessario. Unde
oportet ut sit in eo multitudo ex hoc quod intelligit se quod est possibile esse quantum in [482]
se, et ex hoc quod intelligit necessitatem sui esse a primo quod est intellectum per se <... >. Non
est autem ei multitudo ex primo. Nam possibilitas sui esse est ei quiddam propter se, non propter
primum, sed est ei a primo necessitas sui esse, et deinde multiplicatur per hoc quod intelligit pri-
mum et per hoc quod intelligit seipsum, tali multiplicatione quae est comitans esse suae unitatis
ex primo. Nos autem non prohibemus ex uno esse essentiam unam, quam postea sequatur multi-
tudo relativa quae non est ei in principio sui esse nec est intrans in principio suae constitutionis;
et potest concedi esse unum ex quo proveniat unum, et deinde hoc unum comitetur iudicium et
dispositio, ve! proprietas ve! causatum, et illud etiam fit unum. Sed, propter communicationem
illius comitantis, sequatur ex eo aliquid propter quod proveniat multitudo omnis varians eius
essentiam. Oportet igitur ut huiusmodi multitudo sit causa possibilitatis essendi aliam multitudi-
nem simul a causato primo. Si enim non esset haec multitudo, profecto non esset possibile esse
ab eo nisi unum, nec esset possibile esse ab eo corpus, et omnino non esset ibi possibilitas multi-
tudinis nisi hoc modo tantum. Iam autem manifestum est nobis ex praedictis quod intelligentiae
separatae sunt plures numero. lgitur non habent esse simul ex primo, sed necesse est ut excellen-
tior omnibus illis si t esse quod primum est ex eo, post quod sequitur intelligentia et intelligentia.
taATfATO NONO- SEZIONE QUARTA 931

sua esistenza si ha in quanto è un'intelligenza e ha intellezione di se stesso e ha


intellezione del Primo, obbligatoriamente, è necessario che [406] [nel causato]
Vi sia della molteplicità nel senso in cui esso ha intellezione della propria essen-
za che in sé è possibilmente esistente, della necessità della propria esistenza a
Partire dal Primo, che è per sé intelletto, e del suo aver intellezione del Primo.
B la molteplicità non gli viene dal Primo: la possibilità della sua esistenza è
infatti qualcosa che gli appartiene per sé, non in ragione del Primo. Anzi, dal
frimo gli viene la necessità della sua esistenza; poi vi è una molteplicità in
quanto ha intellezione del Primo e di se stesso, una molteplicità che consegue
necessariamente alla necessità dell' esistenza203 che gli viene dal Primo.
Noi infatti non consideriamo impossibile che da qualcosa di uno204 proven-
ga un'essenza una e che a questa faccia poi seguito una molteplicità relativa,
[una molteplicità] che non sia nella prima esistenza di [quel principio] uno né
sia interna al principio della sua sussistenza. Anzi, poiché può essere che
all'uno consegua qualcosa di uno e che poi a questo conseguano uno statuto e
uno stato- oppure un attributo o un causato- [e può essere] che anche questo
sia qualcosa di uno ma che poi, in virtù dell'associazione a un dato conseguen-
te, ne consegua un'altra cosa205 , ecco che [a quel principio] può far seguito una
molteplicità che consegue 206 interamente alla sua essenza. E quindi necessario
che sia una simile molteplicità ad essere la causa della possibilità dell'esistenza
della molteplicità che è nei [corpi 207 e che viene] dai primi causati.
Del resto, se questa molteplicità non vi fosse, dai [primi causati] non
potrebbe esistere altro che un'unità208 e perciò non ne potrebbe provenire un
corpo. Inoltre, lassù la molteplicità non può esservi che in questo modo soltan-
to e poiché da quel che si è osservato in precedenza ci è parso evidente che le
intelligenze separate sono numericamente molteplici, ecco che esse non esisto-
no tutte insieme a partire dal Primo 209 • È necessario, piuttosto, che la più ele-
vata di esse sia la prima ad avere esistenza dal Primo e che poi la segua
un'intelligenza e poi un'altra intelligenza. E poiché sotto ogni intelligenza vi è
una sfera con la sua materia e la sua forma- che è l'anima- e un'intelligenza
ad essa inferiore, sotto ogni intelligenza vi sono, per quanto riguarda l'esisten-
za, tre cose; necessariamente, poi, la possibilità dell'esistenza di queste tre
cose a partire dalla prima intelligenza, per quanto riguarda l'instaurazione, è in
ragione della triplicità210 che si è ricordata.
E il più nobile segue il più nobile sotto molti aspetti, così: in quanto la
prima intelligenza ha intellezione del Primo, ne consegue l'esistenza di

[483] Sub unaquaque autem intelligentia est caelum cum sua materia et sua forma, quae
est anima et intelligentia inferius ea. Igitur sub omni intelligentia sunt tria in esse; unde
oportet ut possibilitas essendi haec tria sit ab illa intelligentia prima in creatione propter tri-
nitatem quae est nominata in ea, et nobile sequitur ex nobiliore multis modis. Igitur ex prima
intelligentia. inquantum intelligit primum, sequitur esse alterius intelligentiae inferioris ea,
932 t •V [407,1-8]

•.)U\ .fft, lrf~ J.J\11 ;;_;s::,11 ~;.ç. (); ~{~ Jc:- ..,;1~ va~ L~JJA~' ~ 1)~
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et inquantum intelligit seipsam, sequitur ex ea forma caeli ultimi et eius perfectio et haec est
anima, et propter naturam essendi possibile quae est ei et quae est retenta inquantum intelli-
git seipsam, est esse corporeitatis caeli ultimi quae est contenta in totalitate caeli ultimi.
Unde ipsa et id quod est comrnune virtuti sunt sic quod ex ipsa sequitur intelligentia, et ex eo
quod est commune virtuti, inquantum appropriatur si bi ipsi secundum modum suum, sequitur
sphaera prima cum suis partibus duabus, scilicet materia et forma; materia autem est median-
te forma et consortio eius, sicut possibilitas essendi trahit ad effectum id quod est apud eam,
[484] scilicet formam caeli. Similiter est dispositio in intelligentia et intelligentia, et in caelo
et caelo, quousque pervenitur ad intelligentiam agentem quae gubemat nostras animas.
TRATTATO NONO- SEZIONE QUARTA 933

un'intelligenza che le è inferiore; in guanto ha intellezione di se stessa, ne con-


segue l'esistenza della forma della sfera estrema e la sua211 perfezione, che è
l'anima, mentre è in virtù della natura della possibilità dell'esistenza che si dà
per essa, ricompresa nell'intellezione della sua essenza, che ne consegue l'esi-
stenza della corporeità della sfera suprema, la quale è ricompresa nell'insieme
di quel che la sfera estrema ha per la sua specie; e questo è quel qualcosa che
si associa alla potenza 212 • In guanto [l'intelligenza] ha intellezione del
Primo 213 , [407] ne consegue poi necessariamente un'intelligenza e, in guanto
per sé le sono propri i suoi due aspetti 214 , ne consegue necessariamente la mol-
teplicità prima con le sue due parti, voglio dire la materia e la forma, laddove
la materia ne consegue con la mediazione della forma o in associazione ad
essa, come la possibilità dell'esistenza passa all'atto in virtù di guell' atto che
corrisponde alla forma della sfera. E tale è lo stato [della cosa], intelligenza
per intelligenza, sfera per sfera, fino a che non si ha termine nell'intelligenza
agente che governa le nostre anime 215 •
Non è necessario poi che questo processo (ma 'nii) vada all'infinito, in
modo che al di sotto di un [principio] separato si abbia sempre un [altro princi-
pio] separato. Infatti - diremo - se a partire dalle intelligenze consegue neces-
sariamente l'esistenza di una molteplicità, ciò è in ragione delle intenzioni di
molteplicità che vi si trovano, ma questo nostro discorso non è convertibile;
[non è cioè] come se dalla molteplicità di un'intelligenza in cui vi sia tale mol-
teplicità dovessero sempre conseguire questi causati; né queste intelligenze
sono della stessa specie, come se ciò che comportano le loro intenzioni fosse
identico 216 •

Non oportet autem ut hoc procedat in infinitum, ita ut sub unoquoque separato sit sepa-
ratum. Dico enim quod, si ex intelligentia provenit esse multitudinis, tunc erit hoc propter
intentiones multitudinis quae sunt in ea, sed convertitur ita ut in unaquaque intelligentia sit
haec multitudo et quod eius multitudinem sequantur haec causata, nec hae intelligentiae sunt
convenientes in specie ita ut iudicia suarum intentionum sint convenientia
934 [407,9-21]

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lgitur incipiamus ostendere hanc intentionem alio modo. Dico igitur quod caeli sunt
multi supra numerum qui est in primo causato, quantum ad multitudinem eius praedictam,
et praecipue cum unumquodque caelum dividitur in suam materiam et in suam formam.
Igitur non potest esse principium eorum unum quod si t causatum primum. Nec etiam potest
esse ut unumquodque corporum sit causa eius quo est prius: corpus enim ex hoc quod est
corpus non potest esse principium corporis. Nec ex hoc quod habet virtutem animalem,
potest esse principium animae in alio corpore: nos enim iam ostendimus quod anima cuiu-
sque caeli est eius perfectio et eius forma, nec est substantia separata; alioquin, esset intel-
ligentia, non anima, nec moveret ullo modo nisi ad modum desiderii, nec contingeret in ea
variatio ex motu corporis, nec ex consortio corporis contingeret imaginatio et aestimatio.
Consideratio autem iam perduxit nos ad stabiliendum has dispositiones in animabus caelo-
rum, sicut nosti.
TRATIATO NONO- SEZIONE QUARTA 935

Ora, incominciamo pure a mostrare che cosa questo significhi iniziando da


un altro punto e diciamo che le sfere sono molteplici, ben al di sopra del nume-
ro che, in relazione all'aspetto della sua molteplicità che si è ricordato, [si può
attribuire] al primo causato; e ciò specialmente essendo ogni sfera distinta nella
sua forma e nella sua materia. Non può essere, quindi, che il principio [delle
sfere] sia qualcosa di uno, ossia il primo causato, e neppure può essere che tra
le sfere ogni corpo (celeste] anteriore sia causa di quello che è posteriore: il
corpo in quanto tale non può essere principio di un altro corpo e, in quanto gli
appartiene una potenza psichica, non può essere principio di un corpo dotato di
un'altra anima. Abbiamo reso evidente, infatti, che un'anima, per una sfera, è
sempre la sua perfezione e la sua forma e non una sostanza separata; altrimenti
sarebbe un'intelligenza, non un'anima, non si muoverebbe affatto per
desiderio 217 , a partire dal movimento del corpo non vi si produrrebbe alcun
mutamento e dall'associazione con esso non le deriverebbero né immaginazio-
ne né estimazione. Invece, come sai, la riflessione ci ha già condotto a stabilire
l'esistenza di tali stati per le anime delle sfere, e stando così la questione, non
può essere che dalle anime delle sfere emanino azioni in altri corpi, diversi dai
loro corpi, se non in virtù della mediazione dei loro stessi corpi.
Le forme dei corpi e le loro perfezioni sono, infatti, di due tipi:
[a] o sono forme la cui sussistenza è in virtù delle materie dei corpi e allo-
ra, come la loro sussistenza si deve alle materie di tali corpi, così quel che
emana dalla loro sussistenza emana in virtù della mediazione delle materie di
tali corpi; per questa ragione, [per esempio], il calore del fuoco non riscalda
[408] qualunque cosa capiti, ma quel che è a contatto con la sua massa o quel
che in certo modo fa parte del suo corpo e, [per questa stessa ragione], il sole
non illumina ogni cosa, ma quel che si trova di fronte alla sua massa218 ;

[485] Si autem res ita fuerit, tunc non poterit esse ut ex animabus caelorum proveniant
actiones in aliis corporibus, nisi mediantibus suis corporibus. Formae enim corporum et
eorum perfectiones sunt duobus modis. Aut enim sunt formae quarum existentiae sunt prop-
ter materias corporum, et ideo existentia eorum est in materiis illorum corporum; et ob hoc,
calor ignis non calefacit quidlibet, sed quod fuerit obvians suo corpori ve! secundum compa-
rationem sui corporis; similiter, sol non illuminat quidlibet, sed quod fuerit oppositum suo
corpori.
936 [408]
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Aut sunt formae quarum existentiae sunt per seipsas, non propter materias corporum
sicut animae, quia unaquaeque anima non appropriatur corpori nisi quia eius actio est propter
illud corpus et in ilio; si autem anima esset separatae essentiae et actionis utriusque ab ilio
corpore, tunc esset anima omnis rei, non anima illius tantum corporis. Iam igitur manifestum
est secundum omnes modos quod vires caelestes quae sunt impressae in suis corporibus non
agunt nisi mediantibus suis corporibus. Absurdum est autem ut agant animam mediante cor-
pore: corpus enim non potest esse medium inter animam et animam. Si autem illae agunt ani-
mas absque mediantibus corporibus, tunc habent solitariam existentiam absque corpore et
appropriationem et actionem separatam a sua essentia et ab essentia corporis: hoc autem est
praeter propositum. Si autem non agit illud anima, tunc multo minus agit illud corpus caele-
ste; anima enim antecellit corpus in ordine et perfectione. [486) Quod autem in unoquoque
caelo ponatur aliquid ex quo in suo caelo proveniat aliquid et impressio sine infusione suae
essentiae cum occupatur circa illud corpus, sed eius essentia sit discreta in existentia et actio-
ne ab ilio corpore, nos non prohibemus hoc, quia hoc est quod nos vocamus intel\igentiam
spoliatam, ex qua ponimus ad venire id quod est post eam; sed est praeter patiens a corpore, et
TRATTATO NONO- SEZIONE QUARTA 937

[b] oppure, [le forme] sono forme la cui sussistenza è per sé, non con delle
materie dei corpi, come le anime; ed è solo dopo, allora, che ogni anima viene
appropriata per un corpo, in ragione del fatto che la sua azione è per quel
corpo ed è in esso; e se [l'anima] fosse separata da quel dato corpo, nell'essen-
za e insieme nell'azione, sarebbe l'anima di ogni cosa, non l'anima di quel
corpo soltanto. È infatti sotto ogni aspetto evidente che le potenze celesti che
sono impresse nei loro corpi non agiscono se non in virtù della mediazione del
loro corpo ed è impossibile che in virtù della mediazione del corpo facciano
un'anima, perché il corpo non è un medio tra un'anima e un'altra anima.
Dunque, se tali cose fanno un'anima senza la mediazione del corpo, ad esse
appartiene il fatto di sussistere isolatamente, senza il corpo, e di essere appro-
priate a fare qualcosa di separato dalla loro essenza e dall'essenza del
corpo 219 ; ma questa è una cosa diversa da quel che abbiamo menzionato. E
d'altra parte, se non facessero un'anima, non farebbero un corpo celeste, per-
ché l'anima è anteriore al corpo, nel rango e nella perfezione220 •
Se invece per ogni sfera si pone una cosa da cui, nella sfera, emani un
qualcosa e un influsso (aLar), senza che l'essenza [di questa] sia immersa
nell'occupazione di quel corpo e sia con esso, ma essendo invece la sua essen-
za distinta da quel corpo, sia nella sussistenza sia nell'azione, ebbene, noi ciò
non lo consideriamo impossibile: è questa cosa quel che chiamiamo "intelli-
genza libera" [dalla materia] e cui attribuiamo l'emanazione di ciò che è dopo
di essa; tuttavia, questa è qualcosa di diverso da ciò che patisce dal corpo e
che è in associazione con esso, che viene ad esserne una forma propria e che
proviene dall'aspetto di ciò di cui abbiamo discusso, quando abbiamo stabilito
l'esistenza dì quest'anima221 •
È chiaro ed evidente, allora, che le sfere hanno principi che non sono cor-
porei e che sono diversi dalle forme dei corpi; che a ogni sfera è proprio un
tale principio e che tutte [le sfere] compartecipano di uno stesso principio222 •
Fra ciò di cui non possiamo dubitare 223 c'è poi anche che vi siano delle intelli-
genze semplici, separate, che vengono ad essere con l'avvenire dei corpi degli
esseri umani e che non si corrompono ma permangono; questo lo si è mostrato
in modo evidente nelle scienze naturali 224 . Esse non emanano dalla Causa
prima perché, pur nell'unità della specie, sono molteplici e vengono ad essere
[409] e sono perciò dei causati del Primo in virtù di una mediazione.

praeter communicans ei, et praeter fonnam eius propriam, et praeter omne id quod diximus
cum stabilivimus animam. Iam igitur certificatum est quod caeli habent principia quae sunt
nec corporalia nec fonnae corporum, et quod unumquodque caelorum appropriatur alicui ilio-
rum principiorum; universitas autem eorum communicat in uno principio.
Non est autem dubium hic esse intelligentias simplices separatas quae fiunt cum factura
corporum humanorum, quae non corrumpuntur sed pennanent (iam autem hoc manifestum
est in scientiis naturalibus) quae nec proveniunt a primo principio, eo quod multae sunt,
quamvis sint una in specie. Sed, quia fiunt, sunt causatae primi mediante aliquo. Causae
938 [409,1-16]

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autem agentes mediae inter primum et illas non possunt esse inferiores eis in ordine, quia
non sunt intelligentiae simplices separatae; causae vero datòces esse sunt perfectiores in
esse, recipientes vero esse sunt inferiores in esse. Oportet igitur ut causatum primum sit
intelligentia una per essentiam, ex qua non potest esse multitudo conveniens in specie.
Intentiones enim quae multiplicantur in ea secundum quod omltitudo potest esse in ea, si
[487] fuerint diversae certitudinibus, tunc id quod provenit ex unaquaque earum aliud est in
specie ab eo quod provenit ab alia, et sic non comitabitur unumquodque eorum quod comi-
tatur alterum, sed alia natura. Si vero fuerint convenientes in certitudine, tunc in quo erunt
diversae et multae, cum non sit ibi divisio materiae? Igitur ex causato primo non potest esse
multitudo nisi diversa in specie. Igitur hae animae terrenae noll fiunt a causato primo absque
mediante alia causa iam essente.
Similiter fit ab omni causato primo sublimiore, quousque perveniatur ad causatum quod
fit cum factura elementorum receptibilium generationis et corruptionis quae multiplicantur
numero et specie simul. Igitur multitudo recipientis causa est multitudinis actionis principii
quod est unum in essentia. Et hoc est post completionem esse omnium caelestium, et sequi-
TRATIATO NONO- SEZIONE QUARTA 939

Ora, non può essere che le cause agenti mediatrici tra la [Causa] prima e
[le anime] siano inferiori a queste nel rango e non siano intelligenze semplici e
separate. Le cause datrici dell'esistenza sono, infatti, più perfette nell'essere,
mentre quelle che ricevono l'esistenza sono inferiori nell'essere. Bisogmt
quindi necessariamente che il primo causato sia un'intelligenza una per essen--
za. Non può poi neppure essere che ne provenga una molteplicità identic~l
nella specie225 , e questo perché, se le intenzioni molteplici, che essendo irt
esso, in esso renderebbero possibile l'esistenza della molteplicità, fossero dif-
ferenti nelle loro realtà, ognuna di esse esigerebbe, per quanto riguarda la spe--
cie, una cosa diversa da quel che esigerebbe l'altra, e da ognuna conseguireb--
be qualcosa di diverso da quel che conseguirebbe dall'altra226 ; anzi, ne conse--
guirebbe un'altra natura. Se, d'altra parte, [le intenzioni molteplici] fossero
identiche nelle realtà, in virtù di che cosa sarebbero differenti e molteplici, nort
essendovi divisione di materia? Dal primo causato, dunque, non può provenire
l'esistenza di un molteplice se non di specie diverse. Dunque neppure queste
anime terrene provengono dal primo causato senza la mediazione di un'altnt
causa che sia esistente; e così è a partire da ogni "primo causato" 227 elevate>
nel rango, fino a che non si abbia termine in un "primo causato" il cui essere è
con l'essere degli elementi che ricevono la generazione e la corruzione, i quali
sono molteplici al contempo nella specie e nel numero. E così, la molteplicità
dell'[elemento] che riceve sarà causa della molteplicità dell'azione del princi,
pio che è uno per essenza e questo, dopo che si sia portata a compimento l'esi,
stenza di tutti [gli enti] celesti.
Necessariamente dunque a un'intelligenza consegue un'intelligenza, un~
dopo l'altra, fino a che non si genera la sfera della luna; poi si generano gli
elementi, i quali si dispongono a ricevere dall'ultima intelligenza un influsso
che è uno nella specie ma molteplice nel numero. Quando la causa (sabab)
[della molteplicità] non è ne Il' agente, è infatti obbligatorimente necessario che
essa sia nel ricevente e perciò, a partire da ogni intelligenza dovrà necessaria,
mente venire ad essere un'intelligenza che è al di sotto di essa e [questo pro,
cesso] si arresterà quando è possibile che le sostanze intellettuali vengano ad
essere divise e molteplici per numero, per via della moltiplicazione delle
cause, in modo che si giunga al termine.

tur semper intelligentia post intelligentiam, quousque fiat sphaera lunae, et deinde fiant ele-
menta et aptantur recipere impressionem unam in specie, multam numero, ab intelligentiìl
ultima. Si enim causa multitudinis non fuerit in agente, debebit esse necessario in patiente.
Oportet igitur ut, ex unaquaque intelligentia, fiat intelligentia inferior ea et cesset tunc
quousque possint fieri substantiae intelligibiles divisibiles multae numero propter multitudi-
nem causarum, et usque huc perveniunt.
940 [409,17-20]

~ ...;\ _,-J ' 4:i _;..l~~ ' '-:=)\ j jcÌ _,., J-~ JS' .J\.J~ .>~l .UJ
W:.: -!Ili J,_;ç- ...,...~ -'\.) J.a...._ 1~ J , ...;J-' _,.:T J~ ,->':'" J o~.:.~ ...,...~ JJ \.il J-.<..:
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. I..L i\_,i 'j 't-·Ai o..)U\ .J"J, J.<.l~ lt=..)' .. .J.f._ .J'':l-~.

Iam igitur vere manifestum est quod ex omni intelligentia superiore in ordine, secundum
hoc quod intelligit primum, provenit esse alterius intelligentiae inferioris ea, sed, secundum
hoc [488] quod intelligit seipsam, provenient circuii per se tantum; corpus vero caeli fit ab
ea et permanet mediante anima caelesti; omnis enim forma causa est ut sua materia sit in
effectu: ipsa enim materia non habet existentiam.
TRATTATO NONO- SEZIONE QUARTA 941

È quindi chiaro ed evidente che ogni intelligenza che è superiore nel rango
lo è per via di un'intenzione che è in essa; in quanto, cioè, essa ha intellezione
del Primo deve necessariamente provenime un'altra intelligenza, ad essa infe-
riore; poi, in quanto ha intellezione della propria essenza, deve necessariamen-
te provenime una sfera, con la sua anima e il suo corpo. E il corpo della sfera
ne proviene e permane in virtù della mediazione dell'anima celeste: una
forma, infatti, è sempre una causa perché fa essere la propria materia in atto e
perché la materia stessa non ha una propria sussistenza.
942 [410]

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v
CAPITULUM DE DISPOSITIONE GENERATIONIS ELEMENTORUM A CAUSIS PRIMIS

Post assignatum numerum sphaerarum caelestium, secutum est necessario esse elemen-
torum; corpora autem elementaria sunt generata corruptibilia. Unde oportet ut principia
eorum propinqua sint res recipientes maneriam varietatis et motus, et ut id quod est intelli-
gentia pura non si t causa esse eorum sola: oportet autem ut iam certus sis de hoc per ea quae
iam saepe replicavimus a quibus iam expediti sumus. Haec autem elementa habent materiam
in qua conveniunt et formas quibus differunt; unde oportet ut ad esse diversitatem suarum
formarum cooperetur diversitas dispositionum caelorum, et ut ad esse convenientiam eorum
in materia cooperetur convenientia dispositionis caelorum; caeli enim conveniunt in natura
iudicii motus circularis, [489] Oportet igitur ut iudicium illius naturae sit adiuvans esse
materiae, et ut id in quo differunt sit principium praeparationis materiae ad formas diversas.
943

SEZIONE QUINTA

SUL MODO IN CUI GLI ELEMENTI SI GENERANO A PARTIRE DALLE CAUSE PRIME228

Una volta che le sfere celesti (al-kurrat al-samawiyya) abbiano completato


il loro numero, dopo di esse, esistono per necessaria conseguenza gli elementi.
Questo perché i corpi degli elementi sono generabili e corruttibili ed è quindi
necessario che i loro principì prossimi siano cose che ricevono una sorta di
mutamento e di movimento e che ad esser causa della loro esistenza non sia
solo quel che è un'intelligenza pura. E ciò è appurato necessariamente 229 a
partire dai principì che abbiamo spesso ripetuto ed esaurientemente stabilito.
Questi elementi hanno una materia della quale compartecipano e forme in
virtù delle quali differiscono; è dunque necessario che alla differenza delle
loro forme sia d'ausilio 230 una differenza negli stati delle sfere e che alla coin-
cidenza della loro materia sia invece d'ausilio una coincidenza231 negli stati
delle sfere. Ora, le sfere coincidono in quanto esigono per natura il movimento
circolare232 ; è quindi necessario che l'esigenza di tale natura aiuti l'esistenza
della materia, mentre ciò in cui [le sfere] differiscono sarà il principio della
disposizione della materia alle differenti forme. Tuttavia, le cose molteplici,
che compartecipano della specie o del genere 233 , da sole, senza associarsi a [un
principio] adiutore 234 , non possono essere causa di un'entità235 che sia in se
stessa identica e una 236 ma che sia fatta sussistere soltanto da qualcosa di
diverso da sé; tale [entità] una, dunque, non esisterà a partire dalle sfere se non
in virtù di un nesso con qualcosa che le riconduce a qualcosa di uno. Ed è dun-
que necessario che le intelligenze separate, anzi che l'ultima di esse, quella
che ci segue da vicino, sia ciò da cui fluisce - in associazione con i movimenti
celesti - qualcosa in cui vi è il disegno delle forme del mondo inferiore, nel
modo della passività, così come in tale intelligenza, o nelle altre, vi è il dise-
gno delle forme al modo dell'attività237 ; è da [tale intelligenza] che poi le
forme fluiscono [nella materia] in virtù dell'appropriazione: esse tuttavia non

Ea autem quae sunt multa convenientia in specie et genere non sunt sola, absque consor-
tio alterius adiuvantis, quod est causa essentiae, quod in seipsa est conveniens unum, nec
facit diversa, nisi quod est aliud ab ipsa. Hoc igitur unum non est ab ea, nisi propter ligatio-
nem alterius unius quod reducit eam ad unum aliquid. Oportet igitur ut illud sit una de intel-
ligentiis separatis, sed ultima earum quae sequitur nos, et ipsa est a qua, propter consortium
motuum caelestium, fluit aliquid in quo est descriptio formarum mundi inferioris secundum
modum patiendi, quemadmodum in illa intelligentia et in aliis intelligentiis est descriptio
formarum secundum modum agendi, a qua postea fluunt formae in hoc appropriantes ea,
944 [411]
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non per seipsas solummodo. Unum enim unum agit in unum, sicut nosti, sed propter consor-
tium corporum caelestium. Evenit igitur quod, cum haec res appropriaverit aliquam de
impressionibus caelestibus, absque mediante corpore elementari, ve! mediante ita ut ponat
illud secundum aptitudinem propriam post communionem quae erit in sua substantia, tunc
ab hoc separato fluet forma propria et describetur in illa materia.
Tu scis autem quod unum non appropriat unum, inquantum unumquodque eorum est
unum, per aliquid quod sit ei absque alio, sed indiget ut sint ibi appropriatores diversi.
Appropriatores vero materiae sunt eius praeparatores; praeparator vero est i!le a quo fit in
[490] praeparato quiddam cuius comparatio convenientior est ad illud quam ad aliquid aliud;
erit autem hic praeparatio eligens esse id quod est sibi dignius a primis datoribus formarum.
Si autem materia esset secundum aptitudinem primam, posset utique aptari duobus contra-
riis: quare enim magis eligeret unum quam aliud, nisi propter dispositionem qua differunt
imprimentes in ea? Et huius etiam diversitatis comparatio ad omnes materias una est. Unde
non oportet ut, quantum ad illud, approprietur una materia potius quam alia, nisi propter ali-
quid etiam quod est in illa materia, quod non est nisi aptitudo perfecta, nec est praeparatio
nisi comparatio perfecta ad ipsum ad quod est praeparata. Et hoc est sicut aqua quae, cum
TRATTATO NONO- SEZIONE QUINTA 945

provengono soltanto [dall'intelligenza], [411] poiché l'uno- come sai- fa


nell'uno un uno, e ne provengono invece in virtù dell'associazione dei corpi
celesti. Così, quando uno degli influssi celesti abbia reso appropriata questa
cosa - senza mediazione di un corpo elementare238 , oppure con una mediazio-
ne che renda [tale cosa] con una preparazione particolare, successiva a quella
generale che riguarda la sostanza - da questa [intelligenza] separata fluisce
una forma propria che si disegna in quella materia.
E tu sai che ciò che è uno non rende proprio qualcosa di uno - in quanto
ognuno dei due è un uno- se non con qualcosa che gli [appartiene]2 39 : si ha
bisogno perciò di diversi appropriatori e gli appropriatori della materia sono i
suoi "preparatori".
"Ciò che prepara" è ciò a partire da cui si produce una certa disposizione240
in ciò che viene preparato in modo tale che il rapporto di questo con una deter-
minata cosa venga ad essere, per via di tale disposizione 241 , più degno del suo
rapporto con un'altra cosa; questa preparazione è, cioè, qualcosa che rende
preponderante l'esistenza di una data cosa la quale viene così a essere più
degna di provenire dai principi datori di forme 242 • Se invece la materia restasse
nella disposizione iniziale, il suo rapporto verso due contrari si equivarrebbe e
nessuno dei due potrebbe essere preponderante, a meno che non vi fosse un
certo stato in virtù del quale le cause che esercitano il loro influsso non pre-
sentino qualche differenza243 • Anche così, tuttavia, tale differenza si rapporte-
rebbe a tutte le materie in uno stesso modo e per quel che la rende necessaria
non dovrebbe determinarsi una materia e non un'altra, a meno che non si aves-
se qualcosa anche in quella materia; qualcosa che non può essere se non la
preparazione perfetta.
La preparazione perfetta non è che un rapporto perfetto nei riguardi di una
determinata cosa che è ciò per cui [la materia] è preparata; è come [ciò che
accade con] l' acqua244 : quando si eccede nel riscaldarla, il calore estraneo e la
forma dell'acqua vengono a trovarsi insieme ed ecco: essa viene a rapportarsi
in modo remoto con la forma dell'acqua 245 ma in modo intenso con la forma
ignea. Così, quando infine questo fenomeno raggiunge il suo culmine e quel
rapporto si intensifica, la preparazione è più intensa fino a che non diviene
diritto della forma ignea fluire e di questa svanire 246 .
Poiché poi la materia non permane senza una forma, la sua sussistenza non
dipende solo da quei principi primi che vi si rapportano, ma da questi e dalla

nimium caluerit, iunguntur simul calefactio extranea et forma aqueitatis quae, coniuncta
sìmul, remota sunt a comparatione formae aqueitatis, sed sunt multae comparationis ad for-
mam igneam; quo plus enim hoc intenditur, intenditur etiam comparatio et augetur aptitudo,
et tìt de iure formae igneae ut fluat super eam, sed ius illius destruitur.
Sed quia materia non remanet sine forma, tunc non est eius existentia ex hoc solo quod
comparatur ei de primis principiis solummodo, sed ex hoc quod est ex seipsa et ex forma.
946 tH [412]

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Sed quia forma quae constituit hanc materiam modo, iam erat materia existens sine ea, tunc
non est eius existentia per formam solummodo, sed per eam et mediantibus principiis secun-
dariis vel mediantibus aliis illis [491) consimilibus. Si enim esset ex principiis primis solum-
modo, tunc non egeret forma alia,< ... > eo quod forma iam praecessit.
Sed quia conveniunt ibi in motu circulari, et differunt comitantia naturae quam consti-
tuunt naturae propriae cuiusque caeli, tunc materiam constituit hic cum natura communi ali-
qua naturarum propriarum, quae sunt formae; et sicut motus est vilior dispositio quae est ibi,
sic et materia est vilior essentia hic; et sicut ibi motus est sequens naturam eius quod est in
potentia, sic et materia hic conveni t cum eo quod est in potentia; et sicut ibi naturae propriae
TRATI ATO NONO- SEZIONE QUINTA 947

[412] forma; d'altra parte, poiché questa materia sussisteva già senza che vi
fosse la forma che adesso la fa sussistere, la sua sussistenza non deriva solo
dalla forma, ma da essa e dai principi permanenti, in virtù della mediazione [di
questa forma] o di un'altra che le è simile. Se, infatti, [la materia dipendesse]
dai soli principi primi, essa farebbe a meno della forma e se, viceversa, dipen-
desse dalla sola forma, non precederebbe la forma 247 • Piuttosto, come lassù, in
virtù di una coincidenza nel moto circolare, consegue una natura che è fatta
sussistere dalle nature proprie di ciascuna delle sfere, così, quaggiù, la materia
è fatta sussistere dalla natura comune e da quel che proviene dalle nature pro-
prie, e cioè dalle forme 248.
E come il movimento è il più vile degli stati lassù, così la materia è la più
vile delle entità 249 quaggiù; come il movimento lassù consegue a una certa
natura che è in potenza, così la materia quaggiù si accompagna250 a quel che è
in potenza; come le nature proprie e quelle comuni, lassù, sono principi o
adiutori 251 di una natura propria o comune quaggiù, così, quei rapporti diffe-
renti e variabili che hanno luogo in esse lassù a causa del movimento, e che
conseguono necessariamente alle nature proprie e a quelle comuni, sono,
quaggiù, un principio di mutamento e di sostituzione degli stati; e così la com-
mistione (imtiziig) del loro rapporto lassù è una causa - o un principio adiutore
-della commistione del rapporto dì questi elementì252 • E i corpi celesti hanno
un influsso sui corpi dì questo mondo in virtù delle qualità che sono loro pro-
prie e che da essi scorrono in questo mondo; e anche le loro anime hanno un
influsso sulle anime di questo mondo. E in virtù di queste intenzioni si sa che
la natura che governa questi corpi, in virtu della perfezione e della forma253 ,
viene ad essere a partire dall'anima che è diffusa nella sfera [celeste], oppure
in virtù del suo ausilio.

et communes sunt principia ve! adiuvantia naturam propriam ve! communem hic, sic et id
quod comitatur naturas proprias et communes ibi de comparationibus constellationum diver-
sis mutabilibus, provenientibus in eas propter motum, est principium varietatis dispositio-
num et permutationis earum hic, et similiter commixtio suarum comparationum ibi est causa
commixtionis comparationum istorum elementorum ve! adiuvans. Et a corporibus caelesti-
bus fiunt impressiones in corpora huius mundi propter qualitates quae sunt eis propriae, et
ab illis fluit in hunc mundum; et ab animabus etiam [492] illorum fiunt impressiones in ani-
mas huius mundi. Et ex his intentionibus scimus quod natura quae est gubernatrix istorum
corporum est quasi perfectio et formae, fiunt ab anima diffusa< ... > ve! adiutorio eius.
948 [413]

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Dixerunt autem guidam ex philosophantibus guod caelum, eo guod est volubile, debet
revolvi super aliguid guod sit stabile in eius plenitudine. Unde confricationem eius cum eo
seguitur calefactio in tantum guod convertitur in ignem; guod autem remotissimum est ab eo
remanet guietum, et guo magis accedet ad frigiditatem et spissitudinem est terra; quod vero
de ilio seguitur ignem est calidum, sed minus calidum guam ignis; sed guod de eo seguitur
terram, est spissum, sed minus spissum guam terra; parvitas autem caloris et parvitas spissi-
tudinis faciunt debere esse humiditatem; siccitas vero provenit ve! ex caliditate ve! ex frigi-
ditate ultimis; humiditas autem guae seguitur terram est frigidior, guae vero seguitur ignem
est calidior; haec est causa essendi elementa. Et hoc est quod dixerunt.
Non est autem hoc guod possit probari verbis syllogisticis, nec est firmum cum diligen-
ter consideratum fuerit. Videtur enim hoc esse aliter. Naro a corporibus caelestibus, scilicet
ve! a guattuor corporibus ex illis, ve! a numero contento in quattuor collectionibus, ex uno-
quogue eorum, fluit in hanc materiam guae fit propter [493] communicationem, aptitudo ad
formam corporis simplicis; guae, cum sit apta, recipit illas formas a datore formarum, ve! ut
hoc totum fluat ab uno corpore, sed sint ibi comparationes quae faciunt debere esse diversi-
tates a causis occultis in eam.
'J'RATIATO NONO- SEZIONE QUINTA 949

[413] Tuttavia, alcuni di coloro che hanno a che fare con questa scienza254
hanno sostenuto che la sfera- poiché è circolare - deve ruotare intorno a qual-
cosa di stabile nel suo pieno e che perciò dalla sua frizione con [questo qual-
cosa] consegue che essa si riscaldi così da trasformarsi in fuoco; quel che ne è
lontano permarrebbe invece in quiete, si raffredderebbe e condenserebbe,
diventando terra; quel che tien dietro al fuoco diverrebbe caldo, ma di un calo-
re minore del fuoco, e quel che tien dietro alla terra diverrebbe denso, ma di
una densità minore della terra; la scarsezza del calore e la scarsezza della den-
sità provocherebbero necessariamente l'umidità, poiché il secco viene o dal
calore o dal freddo, anche se l'umido che tien dietro alla terra è più freddo e
quello che tien dietro al fuoco è dal calore più intenso; e questa sarebbe la
causa della generazione degli elementi. Questo è quel che sostennero; si tratta
però di qualcosa che non può esser convalidato dal discorso sillogistico e che
neppure si rivela corretto una volta esaminato.
La cosa sembra invece rispondere a un'altra legge: sembra che in questa
materia, che si produce con l'associazione [dei principì celesti], fluisca a parti-
re dai corpi celesti - o a partire da quattro corpi, o a partire da un certo numero
raccolto in quattro insiemi - da ognuno di essi - qualcosa che dispone alla
forma di un corpo semplice. Una volta che vi sia preparazione, si ottiene la
forma dal datore delle forme. Altrimenti, tutto ciò fluirebbe da uno stesso
corpo e allora lassù dovrebbe esservi una causa, tra quelle che ci sono nasco-
ste, responsabile della divisione 255 •
Se vuoi conoscere in che cosa consista la debolezza di quel che hanno
sostenuto, medita quindi sul fatto che essi affermano che l'esistenza appartie-
ne in primo luogo al corpo, senza che esso abbia in sé - eccettuata la forma
corporea - una delle forme che lo fanno sussistere: il resto delle forme [il
corpo] lo acquisirebbe soltanto in un secondo [momento], in virtù del movi-
mento e della quiete. Noi però prima abbiamo mostrato in modo evidente che
questo è impossibile e abbiamo mostrato in modo evidente che per il corpo
non si porta a perfezione un'esistenza con la sola forma corporea, fintanto che
non la accompagna un'altra forma, e che la sua forma- la quale fa sussistere
la materia (hayilla) - non consiste soltanto nelle dimensioni, perché le dimen-
sioni seguono nella loro esistenza altre forme che a loro volta precedono le
dimensioni 256 .

Tu enim, cum scire volueris infirmum esse quod dixerunt, considera quod ipsi fecerunt
debere primum esse corpus quod non habeat aliquam ex formis constituentibus nisi formam
corporalem, nec acquirit aliquid praeter formam nisi < ... > quietem secundario. Nos autem
iam ostendimus destructionem huius, et ostendimus quod esse corporis non perficitur ex
sola forma corporeitatis, nisi cum ea intellexeris etiam aliam formam, non formam eius tan-
tum quae prima constituit dimensionem. Suum enim esse dimensionum sequitur alias for-
mas quae praeparant ipsas.
950 tìt [414,1-13]

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. yi,).. ,;,~\.J y~l::l ~.-L! ~~Il .!\lj ..,;S"'

Sin autem, considera dispositionem raritatis ex calore ve! spissitudinis ex frigiditate;


corpus enim non fit corpus calidum, nisi inquantum ipsum sequitur aliud in motu ad hoc ut
calefaciat illud consequentia illius motus consequentis, quem iam ostendimus non esse vio-
lentum sed naturalem. Sin autem, iam completa erat eius natura. Potest autem concedi ut,
cum completa fuerit eius natura, servetur in loco qui est aptior sibi ad conservandum illum;
calidum enim conservatur ubi est motus, et frigidum ubi est qvies.
[494] Deinde non cogitaverunt quare pars illius materiae debuit descendere ad centrum,
et alia pars eius vicinari sursum et accidit ei calar. Sed de causa huius, causa reddi potest; in
universitate enim est levitas et gravitas; sed de parte cuiusqve elementi, sic est quod post-
TRATTATO NONO- SEZIONE QUINTA 951

E se lo preferisci 257 , medita sullo stato della rarefazione [provocato] dal


calore e su quello della condensazione [provocato] dal freddo. Anzi, il corpo
non diviene caldo 258 , finché non è tale da seguirne un altro nel movimento,
[414] così che il fatto di riscaldarsi è una conseguenza del susseguirsi di quei
movimenti che - lo abbiamo mostrato chiaramente - non sono violenti, rrta
naturali; questo, a meno che la sua natura non sia completa259 , anche se può
essere che, quando la sua natura sia completa, [il corpo] si conservi nel più
adatto dei siti a conservarla. Ciò che è caldo, infatti, si conserva dove c'è
movimento, mentre ciò che è freddo si conserva dove c'è quiete. Inoltre,
costoro non riflettono sul perché sarebbe stato necessario che una parte di
quella materia cadesse verso il centro e ne risultasse quindi il freddo e una
parte andasse verso su. La causa di ciò, invece, ora è nota. In generale nelle
cose essa risiede nella leggerezza e nella pesantezza; poi, per quanto riguarda
le due parti di un solo elemento [naturale], essa è data dal fatto che è vero che
le parti degli elementi (agza' al- 'anii~ir) sono generabili e che, se la parte di
un [elemento]260 si genera obbligatoriamente in un certo sito, consegue che, se
e,.,.,X) .,;, muX),.e, ,.e,,.,X) "'X)})I"à, Wi\<1 "'\\<1 .,upe>fk\e \X) .,e,gu"à ,.e,,.,X) "'X)})><l, e.,.,end'0
quella superficie più degna di stare sopra di quanto lo sia l'altra superficie; e
per quanto riguarda il principio della generazione [dell'elemento], una siJa
superficie viene ad esser verso sopra e un'altra verso sotto, soltanto perché
con un certo movimento [l'elemento] si è senz'altro trasformato e il movimeo-
to gli ha assegnato obbligatoriamente una certa posizione.
Ciò che mi sembra più verosimile è la dottrina che abbiamo spiegato e
ritengo che colui che ha sostenuto quell'[altra teoria] a proposito della genera-
zione degli elementi (takawwun al-usfuqsiit) abbia voluto mettere la questione
alla portata di alcuni di quei volgari che ne avevano scritto; chi è venuto dopo
di lui ha così confermato tale dottrina, anche se chi aveva dato questa interpre-
tazione era molto esitante e niente affatto sicuro 261 .

quam certum est partes elementorum generatas esse, constat quod, cum generatur aliqva
pars eius in loco necessario, sequitur ut una superficies eius sit superior cum movetur sur-
sum, et illa superficies est convenientior superioritati quam alia; ex principio vero sulle
generationis non fuit una superficies eius deorsum et alia sursum, sed quia sine dubio tran-
smutata est propter motum aliquem, qui feci team habere situm aliquem.
Quod autem mihi magis videtur, hoc est quod sentimus. Puto enim quia ille qui hoc
dixit de generatione elementorum conatus est abbreviare hoc alicui scribenti sibi super hoc.
Et qui venit post eum confirmavit dictum eius; ipse vero qui scripsit hoc fuit homo confun-
dens et perturbans rem.
952 [414,14-18]

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VI
CAPITULUM DE CURA ET OSTENSIONE QUOMODO CONTINETUR RES SUB DIVINO IUDICIO

[495] Postquam pervenimus ad hoc, opus est nobis ostendere quae sit cura. Non dubitas
autem tibi iam fuisse manifestum ex praedictis quod causae altiores non conceduntur operari
propter nos id quod operantur, nec intendere aliquid propter nos nec inducit eas aliquid nec
accidit eis electio. Hoc autem quod multae impressiones mirabiles fiunt in hoc quod genera-
tur in hoc mundo, tum in partibus metallorum, tum in partibus vegetabilium et brutorum et
953

SEZIONE SESTA

SEZIONE SULLA PROVVIDENZA,


IN CUI SI RENDE EVIDENTE E SI SPIEGA
COME IL MALE RIENTRI NEL DECRETO DIVINo 262

Giunti a questo punto è bene stabilire che cosa dire della provvidenza. Non
vi è dubbio che, da quanto si è già osservato, ti si sia chiarito che non può
essere che le cause superiori operino come operano per noi o che, [415]
insomma, si interessino di una qualche cosa o che un motivo le inviti [ad
agire] o che accada loro di preferire qualcosa. Non hai modo però di negare i
segni (iitiir) meravigliosi che sono nella generazione del mondo, nelle parti dei
cieli 263 , nelle parti degli animali e delle piante. Tutto ciò non emana per caso
954 [415]
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hominum, et in hoc quod intelligitur de partibus caeli, non est tibi via dicere quod fiat per
casum, quia ratio induci t te ad iudicandum quod omnino fiunt ex gubematione et dispositio-
ne. Oportet enirn ut scias quod cura horum est ex hoc quod prirnus scit seipsum et quod ab
ipso est necessitas ordinationis bonitatis et quod sua essentia est causa bonitatis et perfectio-
nis secundum quod possibile est rebus et placent ei, sicut praedictum est. Intelligit igitur
ordinationem bonitatis secundum quod [496] possibile est esse melius. Unde ex hoc, quod
intelligit ordinem et bonitatem, quae melior esse potest secundum quod ipse intelligit eam,
fluit ipsa tali fluxu quo perfectius pervenitur ad ordinem secundum possibilitatem, et haec
est intenti o de cura.
Scias autern quod rnalurn est rnultis rnodis; dicitur enirn rnalurn ut defectus qui est igno-
rantia et debilitas et deforrnitas, et dicitur rnalurn ut dolor et tristitia in quibus est aliqua
apprehensio causae, non amissionis rei tantum. Causa autem removens bonitatem et prohi-
bens et faciens debere esse eius privationem, aliquando est separata, quarn non apprehendit
irnpeditus, sicut cum nubes obumbrant et prohibent radios solis cui opus est perfici per
solem; cum enim ille cui opus est fuerit apprehensor, apprehendet quod sol non prodest; sed,
TRATI ATO NONO- SEZIONE SESTA 955

ed esige, invece, un certo governo. È quindi necessario conoscere che la prov-


videnza consiste in ciò: che il Primo conosce per sé come sia l'esistenza
nell'ordine del bene, che Esso è causa da sé del bene e della perfezione, nei
limiti del possibile 264 , e che, nel modo che abbiamo menzionato, ne è soddi-
sfatto, in modo tale da avere intellezione dell'ordine del bene il più intensa-
mente possibile. Così da Esso fluisce ciò di cui ha intellezione come un ordine
e come un bene nel massimo modo di cui ha intellezione, come un flusso, nel
modo più completo per condurre all'ordine, nei limiti del possibile. Questo è il
significato della provvidenza.
Il male - sappilo - si dice in molti modi. Si dice, infatti, "male" quel che è
come la mancanza (al-naq~), che consiste nell'ignoranza, nella debolezza e
nella deformazione della costituzione, e si dice "male" anche quel che è come
il dolore e la sofferenza e che consiste non soltanto nella perdita di una causa,
ma in una percezione 265 dovuta a una data causa. La causa che nega il bene e
che lo impedisce, rendendone necessaria l'inesistenza, può essere, infatti,
qualcosa di distinto, in modo che ciò che è danneggiato non la percepisca; è
come la nuvola che, quando fa ombra, impedisce che il sole brilli su ciò che
dal sole ha bisogno di essere perfezionato: se colui che ha bisogno ne ha una
percezione è perché percepisce di non trarre alcun vantaggio 266 , ma in quanto
ha tale percezione, egli non percepisce che la nuvola si è frapposta [fra sé e il
sole]; di ciò egli ha percezione in quanto è vedente, anche se non è in quanto
vede che ne è danneggiato o che gli è arrecato un danno e che ha una mancan-
za, ma in quanto è qualcos'altro. [Oppure la causa] può essere congiunta e
allora ne avrà percezione chi percepisce la mancanza dell'integrità; come colui
che soffre a causa della perdita del congiungimento delle membra per via di
un calore [che ha un potere] lacerante: costui, infatti, in quanto percepisce la
perdita del congiungimento [delle membra] in virtù di una potenza che è in
quelle stesse membra, percepisce anche il caldo che gli è nocivo; si hanno in
tal modo al contempo due percezioni: una che è come abbiamo indicato in
precedenza, parlando del fatto che abbiamo percezione delle cose inesistenzia-
li, e una che è come quel che abbiamo indicato quando abbiamo parlato della
percezione che abbiamo delle cose esistenziali. E se un dato oggetto di perce-
zione esistenziale non è male [416] in se stesso ma in relazione a un'altra

inquantum apprehendit hoc, non apprehendit quod nubes interpositae sunt, sed inquantum
est videns; sed, secundum quod est videns, non est dolens impeditus propter hoc vel carens
eo, sed ex hoc quod est aliud. Aliquando autem est coniuncta, quam apprehendit apprehen-
sor privationis salutis, sicut cum dolet propter amissionem continuitatis membri ex calore
dissolvente; ipse enim, inquantum apprehendit amissionem continuitatis per virtutem quae
est in ipso membro, apprehendit etiam nocens calidum. Iam igitur coniuncta sunt hic cum
contingit, apprehensio secundum quod praediximus, scilicet apprehensio rerum privatarum,
et apprehensio secundum quod praediximus, scilicet apprehensio rerum quae sunt. Sed hoc
apprehensum in hoc quod est non est malum in seipso, sed est malum [497) respectu huius
956 [416]
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rei; privatio enim suae perfectionis et salutis non est malum respectu ipsius tantum, ita ut sit
ei esse, aut non sit comes aliud quia non est ipsius esse, nisi malum in ipso, et ex hoc quod
est, malum est. Caecitas enim non potest esse nisi in oculis, et inquantum est in oculis non
potest esse nisi malum, et non est ei alius modus per quem sit non malum. Calor autem,
verbi gratia, cum si t, quamvis quantum ad eum qui dolet propter eum malus si t, habet tamen
alium modum quo potest esse non malum.
Malum autem per essentiam est privatio nec est quaelibet privatio, nisi privatio iudicii
naturarum rerum a perfectionibus suae speciei et suae naturae. Sed malum per accidens est
privatum ve l retrahens a iure suae perfectionis; non est autem bonum ex privatione absoluta,
nisi ex nomine eius, nec est etiam malum quod sit: si enim ipsa esset aliquo modo, malum
esset commune. Nullum igitur esse, secundum suam perfectionem ultimam in quo non est
aliquid in potentia, sequitur malum. Non enim sequitur malum, nisi hoc in cuius natura est
aliquid in potentia, et hoc fit propter materiam; malum vero sequitur materiam propter ali-
quid primum quod si bi accidit, et propter aliquid novum quod postea advenit. Id autem quod
ex seipsa est, hoc est scilicet quia accidit alicui materiae, in initio sui esse, aliquid praeter
causas mali extrinsecas quae imprimunt in eam aliquam dis-(498jpositionem quae prohibet
eius propriam aptitudinem a perfectione, ex qua provenit malum circa il!am; sicut materia ex
qua generatur homo ve! equus, cum accidit ei ex causis contingentibus poni peioris com-
TRATIATO NONO -SEZIONE SESTA 957

cosa267 , la privazione della propria perfezione e della propria integrità, invece,


non è male soltanto in relazione ad altro, come se per essa potesse esservi
un'esistenza in virtù della quale non essere un male! Anzi, la sua stessa esisten-
za, in ciò in cui è, non è se non un male, ed è in quanto è un male: la cecità,
infatti, non può essere se non nell'occhio, e in quanto è nell'occhio, non può
essere se non un male e per essa non c'è un altro aspetto sotto il quale non esse-
re male. Invece, per esempio, se il calore viene ad essere un male in relazione a
ciò che ne soffre, vi è un altro aspetto sotto il quale esso non è un male.
Così, il male per sé è l'inesistenza268 ; non tuttavia ogni inesistenza, bensì
l'inesistenza di quelle perfezioni che devono appartenere stabilmente alla spe-
cie e alla natura della cosa e che i caratteri naturali della cosa esigono; il male
per accidente è invece ciò che è inesistente 269 oppure ciò che trattiene la perfe-
zione da quel che ne ha diritto.
Di un'assoluta inesistenza non si dà però alcuna predicazione270 , se non a
parole; essa, infatti, non è un male 271 che si dia e se si desse in un certo qual
modo, sarebbe il male universale.
Una cosa la cui esistenza sia secondo la sua perfezione suprema e in cui
non vi sia alcunché che sia in potenza non è infatti mai accompagnata da un
male: il male accompagna soltanto ciò nella cui natura vi è qualcosa in poten-
za, e questo per via della materia. Il male si accompagna alla materia a causa
di qualcosa di primario che le accade in sé e a causa di qualcosa che soprag-
giunge successivamente. Quel che è nella [materia] stessa consiste nel fatto
che a una certa materia siano giunte, già al primo suo esistere, alcune cause
esterne del male che le hanno procurato una certa disposizione, una disposi-
zione che le preclude [di raggiungere] la preparazione propria della perfezio-
ne; questa viene così affetta da un male che le è corrispondente; è come la
materia da cui si generano un uomo o un cavallo: se dalle cause esterne272 le
giunge qualcosa che la rende dalla complessione peggiore e dalla sostanza più
dura, essa non sopporterà di essere né disegnata, né configurata, né attuata
secondo rettitudine; la costituzione [naturale] sarà deformata273 e non esiste-
ranno quella perfezione della complessione e quella costituzione [fisica] di cui
si ha bisogno; e ciò non perché l'agente sia impedito, ma perché ciò che pati-
sce non riceve. Quanto alle [cause] che sopraggiungono dall'esterno, esse
sono una di queste due cose: o qualcosa che impedisce, che ostacola e allonta-
na la perfezione, oppure qualcosa di contrario, congiunto e che annienta la

plexionis et durioris substantiae, tunc non recipit lineationem et figurationem et rectitudi-


nem, et ideo deturpatur procreatio, non quia defuerit quod opus fuit ad perfectionem com-
plexionis et quod opus fuit ad formam et ideo agens fuit deficiens, sed quia patiens non
recepit. Id autem quod contingit extrinsecus est unum de duobus, scilicet ve! prohibens
interpositum et retrahens a perfectione, ve! contrarium adiunctum destruens perfectionem.
958 t\ V
[417]

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Exemplum primi sunt nubes multae sibi superpositae et spissitudo earum et umbrae altorum
montium prohibentes impressionem solis in arbores ad perfectionem. Secondi vero exem-
plum est casus gelu super herbas quod impedit earum perfectionem in tempore suo, adeo
quod destruit aptitudinem propriam et quicquid est cum ea. Omnes autem causae mali non
inveniuntur nisi in his quae sunt sub circolo lunae; quicquid autem est sub circolo lunae
paene nihil est comparatione ceterorum quae sunt, sicut nosti; deinde, malum non contingit
nisi in aliquibus et aliquando, speciebus eorum servatis; malum autem verum non contingit
in pluribus individuis, nisi aliqua species mali.
Scias autem quod malum ex intentione privationis, ve! est malum quantum ad id quod
est necessarium ve! utile prope necessarium, vel non est malum quantum ad hoc, sed est
malum quantum ad hoc quod possibile est in his quae sunt raro. Si autem inveniretur, tunc
esset sicut id quod est superfluum in perfectionibus quae sunt post perfectiones [499] fixas,
et non est in eo iudicium naturae possibilis; sed haec divisio est praeter id quod debemus
ostendere, nec etiam est malum quantum ad speciem, sed quantum ad id quod superadditur
supra debitum speciei, sicut ignorantia geometriae ve! philosophiae ve! aliarum huiusmodi.
TRATIATO NONO- SEZIONE SESTA 959

perfezione. [417] Esempio del primo caso è la presenza di molte nuvole, la loro
accumulazione o l'ombra di alte montagne che impediscono che l'influsso del
sole sui frutti sia secondo la perfezione; esempio del secondo caso, è il gelo
della grandine sulle piante, che le colpisce proprio al momento del loro perfe-
zionarsi e corrompe in tal modo la preparazione propria e quel che la segue.
E tutta quanta la causa del male esiste soltanto in quel che è sotto la sfera
della luna ma, come sai, -l'insieme di quel che è sotto la sfera della luna è
minima cosa in proporzione al resto dell'esistenza.
Il male, inoltre, colpisce soltanto alcuni individui, e in alcuni momenti,
mentre le specie si preservano; e ad esser comune a più individui non è il male
reale, ma una specie di male. Il male che è nel senso della privazione- sappilo
- è un male o in relazione a qualcosa di necessario o in relazione a un bene
(niifi ') che è quasi necessario; oppure non è male in relazione a questi, ma in
relazione a quel che è possibile nella minoranza dei casi e allora, anche se esi-
ste, è in relazione a qualcosa che è superfluo delle perfezioni che sono succes-
sive alle perfezioni seconde 274 e che non rappresenta l'esigenza della natura
del possibile in cui si trova. Questo caso, tuttavia, è diverso da quello di cui ci
occupiamo - ed è quello per cui si è posta l'eccezione 275 ; questo non è un
male in relazione alla specie, ma in relazione alla considerazione di quel che
eccede ciò che è necessario alla specie, come [per l'uomo] l'ignoranza della
filosofia o della geometria o di qualcos'altro del genere. [Cose simili], infatti,
non sono male in quanto siamo esseri umani, ma solo in relazione a una perfe-
zione che sarebbe auspicabile fosse a tutti comune 276 e, come saprai, sono
realmente un male solo quando ad esigere [la scienza] è un uomo individuale
o un'anima individuale. L'individuo, tuttavia, la esige non perché è semplice-
mente un uomo o un'anima, ma perché vi si è stabilita [la consapevolezza] del
fatto che [la scienza] è bene, cosicché egli la desidera e, come ti spiegheremo
in seguito, viene ad esserne preparato; prima di ciò, però, [la scienza} non è
qualcosa cui si inclini per permanere nella natura della propria specie, come
invece si inclina verso le perfezioni seconde che seguono la perfezione prima
e come se, non essendovi [scienza], si avesse una privazione di qualcosa che
rappresenta un'esigenza naturale 277 • Ed è per questo che il male nei singoli
esistenti è poco.

Hoc enim non est malum quantum ad hoc quod homines sumus, sed est malum quantum ad
habendam perfectionem eius quod prodest. Tu scies autem quod hoc non est vere malum,
nisi cum aliquis hominum vel aliqua anima fuerit apta ad hoc. Non est autem aptus aliquis
ex hoc quod est homo ve! anima, sed quia iam placuit ei pulchritudo illius rei et concupiscit
eam et adaptatur ad illam, sicut ego postea ostendam tibi; ante hoc autem, non est de natura
speciei accommodare se perfectionibus secundis quae sequuntur perfectionem primam, ita
ut, si non sit, fiat in aliquo privatio iudicii naturae. Igitur malum in his quae sunt parvissi-
mum est.
960 t \A [418]
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.r'"l;...l\ ,.J..,..)~ '~J.:\J[~'.l!:i...:';;JJ.r;,•I~'J\j_riiJ.J':"J.J~..!Jl.)C::.J
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Praeter hoc autem, esse illud malum in rebus necessario sequitur indigentiam boni. Haec
enim elementa, nisi essent repugnantia et patientia a dominante, non possent ex eis esse hae
species nobiles: si enim ex eis non esset ignis quem concurrentia quae accidunt in cursu
omnium necessario inducerent ad contingendum pannum a!icuius pauperis et non deberet
aduri, profecto in igne non esset utilitas communis. Debuit igitur necessario ut bonum quod
possibile est in his rebus non sit bonum, nisi postquam possibile est provenire huiusmodi
malum ex eo et cum eo. Fluxus autem bonitatis non facit debere [500] dimitti bonitatem
superabundantem propter aliquid malum raro contingens. Esset enim eius dimissio maius
malum quam illud malum; privatio enim illius quod esse possibile est in natura materiae,
cum est privatum, peior est quam privatio unius alicuius rei. Et ideo sapiens eligit comburi
in igne ea condicione ut evadat vivus quam mori sine dolore. Si autem praetermitteretur
haec natura bonitatis, tunc esset malum multo maius quam hoc malum quod est propter esse
eius. Quia igitur fuit in iudicio intelligentiae, comprehendentis qualitatem essendi ordinem
secundum continuationem bonitatis, ut intelligeret dignius esse huiusmodi rem esse tali esse
ex quo contingit aliquid quod conceditur esse malum, ideo oportuit ut fluat esse eius.
TRATIATO NONO- SEZIONE SESTA 961

[418] Con tutto ciò, l'esistenza del male nelle cose è un'obbligatoria con-
seguenza del bisogno del bene 278 . Infatti, se questi elementi non fossero tali da
opporsi come contrari e da subire l'azione di quello che vi è predominante,
non potrebbero generarsene queste nobili specie 279 ; e se, tra di essi, il fuoco -
una volta che le collisioni che hanno luogo nello scorrere del tutto lo abbiano
portato obbligatoriamente ad incontrare il mantello di un uomo nobile - non lo
bruciasse necessariamente, esso non sarebbe di comune utilità. È dunque
obbligatoriamente necessario che il bene possibile in queste cose sia soltanto a
seguito del fatto che da esso, e insieme ad esso, abbia luogo un male simile.
Il fluire del bene, infatti, non impone che sia necessario tralasciare un bene
predominante per un male che è raro: tralasciarlo sarebbe un male peggiore di
questo male, perché l'inesistenza ('adam) di ciò che può esistere nella natura
della materia - consistendo in due inesistenze - è peggio di una sola inesisten-
za280. È per questo che colui che è intelligente preferisce bruciarsi con il fuoco
a condizione di salvarsene restando vivo, piuttosto che morire senza provar
dolore. Se si tralasciasse questo tipo di bene, ciò sarebbe un male superiore al
male che si ha facendolo esistere, e l'intelligenza che comprende 281 come
necessariamente si abbia lla disposizione) in ranghi ne1ì' ordine de1 bene ha
certo intellezione del diritto all'esistenza di simili cose; permette [quindi] quel
male che con essa è d'obbligo, così che necessariamente ne fluisca l'esistenza.
E se qualcuno dicesse che, tuttavia, il Primo Governatore avrebbe potuto
far esistere un bene puro, privo di male, noi diremmo che questo non sarebbe
stato possibile in un'esistenza come [la nostra], benché sia possibile nell'esi-
stenza in senso assoluto; e ciò nel senso che un modo d'essere assoluto è privo
[di male] ma non è questo [nostro] modo ed è invece quel che certo fluisce
(qad facf,a) dal Primo Governatore ed esiste negli enti intellettuali, psichici e
celesti. Ora, restando questo [nostro] modo nella possibilità, non si è tralascia-
to di farlo esistere a causa di quel poco male che gli si confonde: se il suo
principio non fosse stato assolutamente esistente ed esso fosse stato tralasciato
affinché non vi fosse questo male, ciò sarebbe stato peggio del suo essere: che
esso sia è, infatti, il migliore dei due malF 82 . [Se esso non esistesse], non
potrebbero esistere neppure 283 quelle cause buone che sono anteriori a quelle
che conducono al male per accidente; l'esistenza di queste [seconde] è infatti

Si quis autem dixerit fuisse possibile ut primus dispositor daret esse bonitatem puram
immunem a malitia, dicetur quod hoc non potest concedi in tali maneria essendi, quamvis
possit concedi in esse absoluto: maneria enim esse absoluti immunis est ab hoc et non est ei
similis, et hoc est quod fluit a dispositione primi et invenitur in rebus intelligibilibus et ani-
malibus et caelestibus. Sed illa maneria remansit in possibilitate, nec est praetermissum fieri
illud esse propter malum quod admiscetur ei quod, si a suo exordio non esset omnino et esset
praetermissum, non contingeret hoc malum et esset deterius quam si esset, cum suum esse sit
melius illis duobus malis. Et eveniret hoc etiam quod non daret esse causis bonis quae sunt
priores his causis adducentibus malum accidentaliter; ex esse enim illarum sequitur esse
962 [419]

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[501] istarum, et sic esset maxima evacuatio in ordine bonitatis universalis. Quamvis autem
non respiciamus ad hoc, tamen, si converteremus considerationem nostram ad hoc quod pos-
sibilitas essendi dividitur secundum modos eorum quae sunt, diversa in suis dispositionibus,
inveniemus quod, quia fuit esse expers mali acquisitum, remansit maneria essendi quae
debuit esse huiusmodi qua non esse, quia peius est quam suum esse, fuit ideo necessarium ut
flueret eius esse ab eo unde fluit esse quod est optimum, et secundum modum praedictum.
Dico iterum quod malum dicitur multis modis. Malum enim dicitur opus abominabile, et
dicitur malum principium eius, scilicet mores, et dicitur malum dolor et tristitia et consimi-
lia, et dicitur malum defectus rei a sua perfectione et amissio rei quam naturaliter debebat
habere. Videtur autem quod, quamvis intentiones doloris et tristitiae habeant esse et non sint
privatoriae, ipsae tamen sequuntur privationes et defectus. Malum enim quod est in actioni-
bus, ve! est respectu eius qui amisit suam perfectionem propter adventum eius ad illum,
sicut iniuria, ve! respectu eius qui amisit perfectionem quam debet habere in gubematione
suorum ve! civitatis, sicut fomicatio. Similiter et mores non sunt mali nisi propter hoc quod
haec adveniunt ex illis et sunt coniuncta cum privationibus perfectionum animae quas opor-
tet eam habere. Nihil autem de actionibus invenitur dici malum quod non sit [502] perfectio
causae agentis eam, et fortasse non est malum nisi respectu causae recipientis, ve! respectu
alterius agentis qui prohibet eius actionem in illa materia in qua ipse est dignior hac actione.
lniuria autem provenit ex virtute quaerente victoriam quae est irascibilis, et victoria est eius
TRATIATO NONO -SEZIONE SESTA 963

consecutiva all'esistenza di quelle [prime]- e in ciò vi sarebbe un turbamento


ancora maggiore dell'ordine del bene universale.
Ma inoltre, se anche non rivolgiamo l'attenzione a quest'ultimo punto, fer-
mandola invece solo [419] su ciò in cui si riassume la possibilità per quanto
riguarda l'esistenza dei diversi ordini di enti, nei loro diversi stati, [ci accor-
giamo del fatto che], una volta che si sia già attuata l'esistenza priva di male,
restando un tipo di esistenza che può essere solo in questo modo e il cui non
essere è un male maggiore del suo essere, è necessario che la sua esistenza
fluisca; [e questo] in quanto [dal Principio] fluisce (min l:zaJlu yafiqu 'an-hu)
l'esistenza che è la più giusta (a$wab) e secondo il modo che si è detto284 •
Anzi - diciamo da capo - il male si dice in molti modi 285 : così, si dice
"male" delle azioni riprovevoli, si dice "male" dei costumi morali che di [tali
azioni] sono i principi, si dice "male" dei dolori, delle sofferenze e di [cose
simili] e si dice "male" della mancanza che ogni cosa ha rispetto alla propria
perfezione e della perdita di quel che di per sé le spetterebbe.
Ora, è come se i dolori e le sofferenze - anche se le loro realtà sono esi-
stenziali e non inesistenze - seguissero l'inesistenza e la mancanza; anche il
male che riguarda le azioni riguarda soltanto o chi perde la propria perfezione
perché gli sopraggiunge un dato [male], come l'ingiustizia, oppure qualcosa
che fa perdere una perfezione che è necessaria per il costume religioso 286 ,
come nel caso del rapporto illecito 287 . E così, i costumi morali sono mali solo
a causa del fatto che queste [azioni] ne emanano e si accompagnano al fatto
che per l'anima non esistono alcune perfezioni che [dovrebbero invece] neces-
sariamente appartenerle. Ma non troverai nessuna delle azioni di cui si dice
che è "male" che non sia [al contempo] una perfezione in relazione alla sua
causa, ossia al suo agente288 ; ed è perfino possibile che essa sia "male" soltan-
to in relazione alla causa che la riceve, oppure in relazione a un altro agente
che sia impedito ad agire in quella determinata materia, per la quale sarebbe
più degno di questa data azione289 . L'ingiustizia proviene, infatti, per esempio,
da una potenza che ricerca intensamente la vittoria, e cioè, per esempio, da
quella irascibile, la cui perfezione è la vittoria e che per questo è stata creata in
quanto irascibile; è stata creata, cioè, per essere rivolta verso la vittoria che
essa ricerca e della quale gioisce: ebbene, l'azione [di perseguire la vittoria]
per quanto la riguarda è un bene che le è proprio e così, se essa non ne è capa-
ce, per quanto la riguarda, questo è un male, mentre essa stessa è un male solo
per colui che subisce l'ingiustizia; oppure (è un male] in relazione all'anima
razionale, la cui perfezione consiste nello spezzare questa potenza e nel domi-

perfectio, et ob hoc creata est secundum quod est irascibilis, scilicet ut sit intendens ad quae-
rendam victoriam, et laetetur in ea; haec igitur actio, quantum ad ipsum, bona est; sed si
debilitatur in agendo illud, quantum ad hoc, est ei malum; nec est malum nisi iniuriato, ve!
animae rationali cuius est perfectio frangere hanc virtutem et dominari ei, quod, si non potest
964 tY•
[420]

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facere, est ei malum; et hoc est ei causa efficiens dolorem; alterum vero est, sicut cum ignis
adurit: adustio enim est perfectio ignis, sed est mala quantum ad eum a quo removetur salus
propter eam, ve! quia amisit id quod amisit. Malum autem cuius causa est defectus et penu-
ria quae accidit embryoni, non <quia> est agens aliquis qui fecerit illud, sed quia agens non
egit: hoc igitur certe non est bonum respectu alicuius rei.
Mala vero quae coniunguntur rebus bonis non sunt nisi ex duabus causis; una est ex
parte materiae inquantum est recipiens formam et privationem, altera est ex parte agentis ex
quo debuerunt esse materialia. Et, quia impossibile fuit ut materia haberet debitum esse
quod erat sibi opus et ut ageret actionem materiae, ideo non fui t recipiens formam sed priva-
tionem; fui t igitur impossibile eam non recipere opposita et fui t impossibile virtutibus agen-
ti bus non esse [503] actiones contrarias aliis actionibus, quarum esse cum iam fuerit acquisi-
tum, ipsae non agant suam actionem. Impossibile est enim ut creetur id quod intelligitur de
igne, et ipse non comburat. Item, quia universitas non est perfecta, nisi fuerit in ea calefac-
tum et nisi fuerit in ea calefactor comburens, fui t ideo necesse ut intenti o prodesset ad essen-
dum haec duo ex quibus provenirent nocumenta combustionis; combustio enim est sicut
cum ignis comburit membrum alicuius hominis religiosi.
Sed quod est saepius est inquisitio boni intenti in natura, similiter est etiam quod est
semper; sed saepius est quia plura ex individuis specierum sunt remota a combustione, sem-
TRATTATO NONO- SEZIONE SESTA 965

narla, tanto che nel caso in cui essa sia incapace [di dominarla], ciò è un male
per [l'anima]. E tale è la causa [420] per quel che, come il fuoco, procura i
dolori e la combustione 290 ; per esempio, quando [il fuoco] brucia, la combu-
stione ne è una perfezione ma, in relazione a chi si vede per questo negata la
propria incolumità, è un male per via della perdita di quel che si è perso. E
invece, il male la cui causa è una mancanza o una scarsezza che risiede nella
costituzione [stessa deJla cosa] e che non ha un agente che lo abbia provoca-
to291 ma che, anzi, si dà perché l'agente non lo ha provocato, non è in realtà un
bene in relazione a nulla.
I mali che sono congiunti a cose che sono beni dipendono poi soltanto da
due tipi di cause: una è dal lato della materia che è tale da ricevere la forma e
la privazione, e una è dal lato dell'agente.
Infatti, poiché è necessario che [dal principio] provengano le [cose] mate-
riali e poiché la materia non può avere un'esistenza che sia tale da avere tutto il
valore che ha la materia292 e da fare quel che fa la materia, se non in quanto
riceve la forma e la privazione, e poiché inoltre è impossibile che essa non sia
tale da ricevere gli opposti, mentre è impossibile che alle potenze attive spetti-
no azioni contrarie ad altre loro azioni - se così fosse, infatti, una volta attuatasi
la loro esistenza, esse potrebbero non agire come agiscono 293 - ecco che se il
fuoco non bruciasse, sarebbe impossibile che fosse creato quel che si è voluto
creare intenzionandolo. Inoltre, poiché il tutto è portato a compimento solo in
quanto vi è qualcosa di combustibile e qualcosa di riscaldabile 294 e in quanto vì
è un comburente e un [elemento] che riscalda, ecco allora che vi è stato imman-
cabilmente bisogno del fatto che ali' utile scopo d eli' esistenza di queste due
cose seguissero alcuni danni che derivano dal fatto di bruciare e dal fatto dì
essere bruciato, come il fatto che il fuoco bruci le membra di un uomo pio.
Tuttavia, ciò che si verifica "per lo più" è l'attuazione del bene che è inten-
zionato nella natura; ed egualmente [l'attuazione del bene] è ciò che si verifica
"sempre": "per lo più", perché la maggioranza degli individui delle diverse
specie sono al riparo e si salvano dal bruciarsi; e "sempre", perché molte spe-
cie non possono conservarsi sempiternamente, se non in virtù dell'esistenza dì
qualcosa di simile al fuoco, a condizione che esso bruci; ed è nel minor
[numero di casi] che a provenire dal fuoco sono danni 295 , e lo stesso avviene
per tutte le altre cause a queste simili.
Poiché, dunque, non è bene tralasciare il bene che è maggioritario e conti-
nuativo per via di pochi accidenti cattivi, ecco che i beni che provengono da
tali cose sono stati voluti con una volontà primaria; e perciò è valido

per vero est quia multae species non possunt servari semper nisi per esse quale est ignis ita
ut sit comburens; raro vero est sicut id quod provenit ab ignibus, scilicet nocumenta quae
proveniunt ab illis, similiter est in omnibus aliis causis quae sunt similes his; non erat autem
bonum praetermitti utilitates frequentes ve! sempiternas propter accidentia mala rara: igitut
966 tn [421]

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bonitates quae fiunt ex his rebus fuerunt volitae prima voluntate, secundum modum quo
convenit dici Deum velle res, et fuit volitum malum etiam, secundum modum qui est per
accidens et praescitum fuit illud futurum necessario, nec tamen curatum est de eo. Bonum
igitur iudicatum est per essentiam et malum iudicatum est per accidens, omne [504] autem
hoc est per providentiam. Similiter de materia, iam notum est quod ipsa deficit in aliquibus
et in ipsa deficiunt perfectiones aliquarum rerum, sed a Deo multa supplentur ei quod non
est comparatio eorum ad id quod sibi deficit. Postquam autem ita est, tunc non fuit sapien-
tiae divinae dimittere summas bonitates quae semper et saepe sunt, propter mala aliquorum
individuorum quae non sunt semper.
Dico autem quod res in aestimatione, aut sunt res quarum esse impossibile est esse nisi
malum absolute; aut sunt res quarum esse est bonum et impossibile est eas esse malas
imperfectas; aut sunt res in quibus praevalet bonitas [et] cum fuerint in suo esse nec est pos-
sibile aliter esse in naturis earum; aut sunt res in qui bus praevalet malum; aut sunt res aequa-
les ad utramque dispositionem. Sed < ... > malitia, iam invenitur in naturis; quod autem
totum est malum ve! in quo praevalet ve! est aequale, nondum invenitur; id vero in cuius
esse praevalet bonitas, convenientius est esse cum id quod praevalet in eo est bonum.
TRATIATO NONO- SEZIONE SESTA 967

affermare 296 che Iddio - altissimo - vuole le cose. Del resto, anche il male è
stato voluto 297 , [421] ma in quel modo che è per accidente; e poiché [Dio] sa
che è una necessità (qarilra), non gli dà importanza298 •
Il bene, dunque, si esige per essenza, mentre il male si esige per accidente,
ma tutto è per determinazione299 . E così, per quel che riguarda la materia, si è
appreso che essa di alcune cose è incapace mentre, riguardo ad altre, le man-
cano le perfezioni; tuttavia, ciò che vi trova compimento è incomparabilmente
di più di ciò che è in essa manchevole 300 •
Se è così, la sapienza divina non ha da tralasciare i beni superiori, che sono
sempre, e quelli che sono per lo più, in ragione di mali [che colpiscono] cose
individuali e che non sono sempre. Anzi - diremo - le cose si possono conce-
pire (jf l-wahm) o come cose che, una volta immaginate esistenti, non possono
che essere un male in assoluto; o come cose la cui esistenza è un bene, non
potendo essere cattive e manchevoli; oppure come cose nelle quali il bene, una
volta trovata esistenza, è predominante, e per le nature delle quali non si può
[dare] nulla di diverso; oppure come cose nelle quali è predominante il
male 301 ,: o ancora come cose in cui i due stati si equivalgono. Ora, ciò in cui
non vi è alcun male esiste nelle nature 302 , mentre ciò la cui totalità è male o in
cui [il male] è predominante o anche equivalente [al bene], non esiste 303 . E
quanto a ciò nel cui essere quel che è predominante è la bontà, se è il bene che
vi predomina, quel che è più conveniente, è che esista.
Se poi si chiedesse: perché il male non è impossibile in assoluto, in modo
che tutto sia bene? Ebbene, va detto che allora le [cose] non sarebbero state
quel che sono. Abbiamo detto, infatti, che la loro esistenza è quell'esistenza
che non potrebbe esistere senza che ne derivi un certo male. Se [le cose] fosse-
ro tali da non derivarne alcun male, la loro esistenza non sarebbe l'esistenza
che loro appartiene e sarebbe, piuttosto, l'esistenza di altre cose, cose che esi-
stono, sono diverse da esse e si danno in atto. Intendo dire [che le cose sareb-
bero] quel che è stato creato in modo primario, in modo tale che non ne conse-
gua alcun male. Un esempio di ciò [che sosteniamo] sta nel fuoco: se l'essere
del fuoco è di essere tale da bruciare e l'essere di ciò che è tale da bruciare
consiste nel fatto che, quando è in contatto con il vestito di un pover'uomo, lo
brucia, e il vestito del povero è tale da ricevere la combustione, e all'essere di
ognuno dei due accadono movimenti d'ogni tipo 304 , e i più diversi movimenti

Si autem dicitur: quare non fuit remotum malum ab eo omnino, ita ut totum esset
bonum, dicetur quod tunc ipsa res non esset ipsa, eo quod iam diximus quod esse eius est
tale esse quod impossibile est esse eiusmodi, quin accidat ex eo malum; sed, si poneretur
haec res sic ut non accidat ex ea malum, tunc esse eius non eri t esse quod est ei, sed eri t esse
aliarum rerum quae sunt aliud ab ea, et iam sunt aliquid, scilicet ut sic creetur quod non con-
sequatur eam malitia consecutione [505] prima. Cuius exemplum est ignis curo fuerit eius
esse sic ut sit comburens et fuerit esse comburentis sic ut curo tetigerit pannum alicuius
iusti, comburat euro, eo quod esse panni illius iusti tale est quod receptibile est combustio-
968 [422]

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nis, et fuerit esse uniuscuiusque eorum sic ut accidant ei motus diversi, et fuerit esse
motuum diversorum in rebus sic ut accidat ei concursus, et esse duorum concurrentium, sci-
licet agentis et patientis, fuerit sic ut comitetur illud naturaliter actio et passio; si autem non
fuerit secundaria, non erunt prima.
In universitate igitur non sunt ordinatae vires agentes et patientes, scilicet caelestes et terre-
stres, naturales et animales, nisi ad hoc ut conducant ad ordinem universalem cum hac impossi-
bilitate scilicet ut ipsa sint id quod sunt, et non inducant aliqua mala. Igitur, ex dispositionibus
mundi inter se adinvicem, sequitur ut fiat in anima forma pravae sententiae, ve! incredulitatis,
ve! alia malitia in anima ve! in corpore, ita ut si non esset sic, ordo universitatis non esset per-
fectus, et ideo neglectum fuit hoc nec essent attenta consequentia corrumpentia quae necessario
accidunt. Dictum est enim in lege: "creavi istos ad infemum, non curo; creavi istos ad paradi-
sum, non curo". Item dictum est quod "universitas parata est ad id ad quod creata est".
Si quis autem dixerit quod malum non est extraneum neque rarum, sed saepissimum,
dicimus quod non est ita; malum enim est multum, sed non saepissimum. Differentia est
autem inter saepe et multum; hic enim sunt multa quae sunt multa et non saepe, sicut lan-
guores qui sunt [506] multi et non saepe. Cum autem consideraveris istum modum dicendi
malum de quo nunc loquimur, invenies illum multo minus quam bonum quod est ei opposi-
TRATTATO NONO- SEZIONE SESTA 969

che esistono [422] nelle cose, e in questo modo, sono qualcosa cui accade di
incontrarsi con altro, e l'incontro che esiste tra l'agente e il paziente [tali] per
natura è un'esistenza da cui conseguono necessariamente l'azione e la passio-
ne, ecco che, se non vi fossero le [cose] secondarie, non vi sarebbero quelle
primarie. Ecco allora che, nel tutto, le potenze attive e quelle passive, celesti e
terrestri, naturali e psichiche, sono state ordinate [in ranghi] così da condurre
all'ordine universale, assieme al fatto che è impossibile che esse siano quel
che sono senza condurre ad alcuni mali.
Così, dagli stati del mondo, l'uno in relazione all'altro, consegue che in
una certa anima avvenga una forma di convinzione cattiva o di infedeltà o di
un altro male- in un'anima o in un corpo; e ciò in modo tale che, se così non
fosse, l'ordine del tutto non potrebbe stabilirsi; e [Dio] perciò non dà impor-
tanza, né presta attenzione, a ciò che consegue nel mondo corruttibile305 e che
pure accade con obbligatorietà. È stato detto: "quelli li ho creati per il fuoco, e
non me ne curo, e quelli li ho creati per il paradiso, e non me ne curo", così
come è stato detto: "a ciascuno è facilitata la via per la quale è stato creato" 306 .
Se poi qualcuno dicesse che il male non è una cosa rara o tale da riguardare
una minoranza, ma che è invece "per lo più", ebbene non è così; il male è molto,
ma non è per lo più307 . E vi è una differenza tra ciò che è molto e ciò che è per lo
più. Quaggiù vi sono, infatti, molte cose che sono appunto molte ma non sono
per lo più, come le malattie; esse sono molte, senza essere per lo più. E se riflet-
terai308 su questo tipo di male che menzioniamo, troverai che esso è davvero
meno del bene che gli è opposto e che si trova nella sua stessa materia e che, a
maggior ragione, è [di meno] in relazione agli altri beni, quelli eterni!
Certo, i mali che costituiscono delle mancanze per le terze perfezioni309 sono
una maggioranza, però essi non fanno parte dei mali di cui stiamo parlando. Tali
mali- come l'ignoranza della geometria e la mancanza di una splendente bellez-
za310 o altro- sono qualcosa che non danneggia le perfezioni primarie né le per-
fezioni che sono a queste successive e il vantaggio delle quali appare manifesto.
Tali mali non si devono ali' azione di un agente e si danno invece perché
l'agente non agisce in quanto il ricettore non è preparato [a riceveme l'azione]
o non si appresta a riceverla311 : questi mali sono inesistenze di beni che riguar-
dano l'eminenza e quel che è in più.

tum et quod invenitur in eius materia; quanto magis autem minus est comparatione bonita-
tum aliarum sempitemarum.
Verum est autem quod mala quae sunt defectus perfectionum secundariarum sunt sae-
pissima, sed non sunt de malis de quibus nos loquimur; et haec mala sunt sicut ignorantia
geometriae, et sicut defectus nimiae pulchritudinis et aliorum huiusmodi, quae non nocent
perfectionibus primis, nec perfectionibus quae sequuntur eas quantum ad utilitatem quae
apparet ex eis; et haec mala non sunt ex actione agentis, sed quia non agit agens, eo quod
recipiens non est paratus vel quia ipsa non moventur ad recipiendum; et haec mala sunt pri-
vationes bonitatum secundum superfluitatem et augmentum.
970 [423]

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VII
CAPITULUM DE PROMISSIONE DIVINA

Opus est ut certificemus hic dispositionem animarum humanarum cum sunt exutae a
corporibus suis, ad quam dispositionem perveniunt. Oportet autem te scire quod promissio
alia est quae fide recipitur, quia [507] non est via ad probandum eam nisi credendo testimo-
nio prophetae, sicut illa quae est de eo quod habebit corpus apud resurrectionem. Tu autem
iam scis delectationes corporum et gaudia quid sunt. Lex enim nostra quam dedit Mahometh
ostendit dispositionem felicitatis et miseriae quae sunt secundum corpus. Et alia est promis-
sio quae apprehenditur intellectu et argumentatione demonstrativa, et prophetia approbat; et
haec est felicitas et miseria animarum quae probantur argumentationibus, quamvis nostrae
aestimationes debiles sint ad imaginandum eas nunc propter causas quas ego ostendam.
Sapientibus vero theologis multo maior cupiditas fuit ad consequendum hanc felicitatem
quam felicitatem corporum, quae quamvis daretur eis, tamen non attenderunt eam, nec
appretiati sunt eam comparatione huius felicitatis quae est coniuncta primae veritati, sicut
paulo post ostendam de ea. Igitur faciam sciri dispositionem huius felicitatis, et miseriae
quae est ei contraria; corporalis autem felicitas iam assignata est in lege.
971

SEZIONE SEITIMA

SEZIONE SUL RITORN0 31 2

A questo punto conviene appurare quali siano gli stati propri delle anime
umane quando esse si separano dai loro corpi e a quale stato esse siano desti-
nate313. Diciamo, dunque, che si deve sapere che il "ritorno" 314 [è in due
modi]: o è quel che è tramandato 315 dalla Legge religiosa- e non v'è allora
modo per stabilirne l'esistenza se non la stessa via della Legge religiosa e
l'assenso a ciò che ci dice la profezia: questo è quello che riguarda il corpo al
momento della resurrezione, e i beni e i mali del corpo, essendo noti, non si ha
bisogno di conoscerli; la vera Legge religiosa, quella che ci ha dato il nostro
profeta e signore e maestro, Mul)ammad, - che Dio lo benedica e benedica
con lui la sua famiglia - ha del resto ben mostrato lo stato della felicità e della
miseria che sono in relazione al corpo.
Oppure [il ritorno] è qualcosa che si coglie con l'intelletto e con il sillogi-
smo dimostrativo e che la profezia conferma. Esso consiste nella felicità e
nella miseria che si stabiliscono con il sillogismo e che riguardano le anime; [e
ciò] benché le immagini che possiamo trame qui 316 siano adesso insufficienti a
darne una rappresentazione 317 , per via delle cause che spiegheremo. I "filosofi
divini" 318 bramano raggiungere questa felicità più di quanto non desiderino
raggiungere la felicità corporea; anzi, è come se essi a quest'ultima non rivol-
gessero affatto l'attenzione, foss' anche loro concessa; è come se non le accor-
dassero una grande importanza rispetto a quest'altra felicità che consiste
nell'essere prossimi al Primo Reale e che è come descriveremo fra poco319 .
Andiamo dunque a conoscere lo stato di questa felicità e lo stato della
miseria ad essa contraria; quanto a quelle corporee, ne tratta esaurientemente
la Legge religiosa320 .
Devi sapere - diremo - che per ogni potenza psichica vi sono un piacere e
un bene che le sono propri e un dispiacere 321 e un male che le sono propri. Per
esempio: il piacere e il bene della concupiscenza risiedono nel fatto che dai
cinque [sensi] le giunga una qualità sensibile conveniente, mentre il piacere
dell'ira è la vittoria322 , il piacere dell'estimativa è la speranza e il piacere della

Dico autem oportere ut scias quod omnis virtus animalis habet delectationem et bonum
quae sunt sibi propria, et habet nocumentum et malum quae sunt sibi propria; verbi gratia,
quia delectatio voluptatis et bonitas eius est ut perveniat ad eam qualitas sensibilis conve-
niens aliqua ex quinque, et delectatio irae est victoria, et [508] delectatio aestirnationis est
fiducia, et delectatio conservativae est recordatio rerurn convenientium. Nocumentum vero
972 [424]
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uniuscuiusque eorum est id quod erit contrarium his. Sed omnes conveniunt in uno commu-
ni, scilicet in percipere quod suum conveniens et sibi aptum est bonum, et delectatio quae
sunt eis propria; conveniens autem cuiusque eorum per essentiam et certitudinem est adeptio
perfectionis in effectu quae est quantum ad ipsam perfectio. Et haec est una radix.
Item hae vires, quamvis communicant in his intentionibus, tamen ordines earum certe
diversi sunt. Cuius autem perfectio est nobilior et abundantior, et cuius perfectio est mai or et
diutumior, et cuius perfectio est sibi vicinior et praeparatior, et cuius actio est perfectior et
nobilior, et apprehensio est in se fortior, illius delectatio quam habebit erit excellentior et
gloriosior sine dubio; et haec est alia radix.
< ... > eo quod suus exitus ad effectum in perfectione aliqua est ut sentiat illam fieri et
delectetur; secundum eius qualitatem enim non percipit delectationem interim dum non
habet, et dum non percipit illam, non concupiscit eam nec prosilit ad eam. Sicut frigidi natu-
raliter: certum est enim sibi quod coitus habet delectationem, sed ipse non desidera! eum nec
allicitur ad eum desiderio et illecebra quae sunt ei propria, sed alio desiderio, sicut cum desi-
dera! id quod fit in eo in quo [509] acquiritur apprehensio per illud, ve! habet aliquod nocu-
mentum, et omnino non imaginat illud. Similiter etiam est dispositio caeci nati circa pul-
fRAITATO NONO- SEZIONE SETTIMA 973

memoria sta nel ricordare le cose con cui siamo in accordo e che sono passate.
[424] Per ciascuna di esse il dispiacere è dato da quel che è loro contrario e
tutte hanno in comune in qualche sorta il fatto che, nell'aver coscienza di ciò
che è loro concorde e conveniente, stanno il bene e il piacere loro propri, e che
ciò che si accorda con ciascuna di esse, per essenza e realtà, è il fatto di otte-
nere la perfezione che, in rapporto a [ciascuna di esse P23 , è una perfezione in
atto; e questo è un principio324 .
E ancora: benché queste potenze abbiano in comune questi modi, nella
realtà esse differiscono nei ranghi 325 ; così, vi è quella la cui perfezione è
migliore e più completa, quella la cui perfezione è maggiore, quella la cui per-
fezione è più duratura, quella la cui perfezione è più raggiungibile e ottenibile,
quella la cui perfezione è in se stessa più perfetta in atto e migliore, e quella
che è più intensamente percepibile e il cui piacere, quindi, è senz'altro predo-
minante e più abbondante 326 ; e questo è un altro principio.
E ancora: il passare all'atto per quanto riguarda una certa perfezione si può
avere in quanto si sa che essa c'è ed è piacevole, pur non potendo rappresen-
tarsene la qualità né, finché essa non si sia attuata, avere coscienza del piacere
che le è proprio; finché non se ne ha coscienza in modo sensibile, tuttavia, non
la si desidera e non si aspira ad essa. È come per l'impotente: egli, infatti, è
convinto che vi sia un piacere nel rapporto sessuale, ma non lo brama e non vi
inclina con la brama e l'inclinazione che gli sarebbero propri: lo fa con un
altro desiderio, come brama chi tenta l'esperienza di qualcosa in quanto ne
avrà una percezione327, foss'anche spiacevole. Insomma, [l'impotente] non se
ne immagina [il piacere]. E tale è lo stato di chi è nato cieco rispetto alle
forme belle e di chi è sordo rispetto ai canti armoniosi.
Perciò, colui che è intelligente non deve immaginarsi che ogni piacere sia
come quello che è dell'asino- nel ventre e nei rapporti carnali- e che i prin-
cipì primi, prossimi al Signore dei Mondi, siano privi del piacere e del dilet-
to328 e che il Signore dei Mondi non abbia, nel Suo dominio e nella proprietà
dello splendore che Gli appartiene e nella Sua infinita potenza, qualcosa che è
al culmine dell'eccellenza, della nobiltà e della bontà e che noi consideriamo
troppo elevato perché lo si possa chiamare piacere, dato che uno stato di dilet-
to e di piacere vi è per l'asino e per le bestie. Assolutamente no! Anzi, quale
rapporto potrà avere quel che appartiene alle [realtà] sublimi con questi bassi
[piaceri]? Noi questo piacere lo immaginiamo e lo esperiamo, laddove quel

chram formam, similiter et surdi circa sonos ordinatos; et ideo oportet ut prudens homo non
putet quod omnis delectatio est sicut delectatio asini, et quod prima principia quae sunt
proxima Domino saeculorum careant ornni delectatione et gaudio, et quod propria pulchritu-
do Domini saeculorum quae est ei in regno suo et sua virtus quae est infinita, non sit ei in
ultimo nobilitatis et excellentiae et suavitatis, sed extollendo eum vocamus hoc delectatio-
nem improprie. Item asini et pecora habent delectationem et suavitatem. Sed quae compara-
tio potest esse superiorum ad haec vilia? Haec enim imaginamus et praesentantur nobis, illa
974 [425]

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vero non scimus perceptione sed argumentatione. Nostra igitur dispositio erga illa est sicut
dispositio surdi, qui numquam audivit, in sua privatione imaginandi delectationem harmo-
niatam, cum ipse sit certus de amoenitate eius. Et haec est alia radix.
Item perfectio et res conveniens praeparata est virtuti apprehendenti, sed si hic fuerit
prohibens ve! impediens animam, abhorrebit eam et eliget potius eius contrarium, sicut cum
infirmus aliquis abominatur [510] sapores dulces et desiderat sapores abominabiles malos
per essentiam; quod fortasse non est abominatio, sed est privatio delectationis, sicut cum
formidolosus invenit victoriam ve! delectationem, non percipit eam nec delectatur in ea. Et
haec est quarta radi x.
Item cum virtus apprehendens fuerit infecta contrario suae perfectionis, non sentiet illud
nec refugiet illud, quousque removeatur impediens, et tunc nocebit ei et redibit ad suam
naturam, quemadmodum amaricatus aliquando non sentit amaritudinem sui oris, quousque
reparetur eius complexio et mundentur membra eius, et tunc refugiet dispositionem quae
sibi accidit. Similiter est animai aliquando fastidiens cibu!ll et abhorrens illum, quamvis sit
ille qui est convenientior sibi, et durat in hoc longo tempore. Cum autem removetur impe-
diens, redit ad debitum suae naturae, et confortatur fames eius et suus appetitus cibi, ita ut
'J'RATfATO NONO- SEZIONE SETTIMA 975

diletto lo conosciamo [425] non in quanto ne abbiamo sensibilmente coscien-


za. bensì in virtù dell' analogia 329• Lo stato in cui noi ci troviamo rispetto ad
esso è infatti come lo stato del sordo che non ha assolutamente mai udito in
tutta la sua vita e che è nell'impossibilità di immaginare il piacere musicale
ma che, tuttavia, è convinto della sua soavità; e questo è un altro principio.
E ancora: può accadere che la perfezione - con la cosa che è conveniente .-
si dia alla potenza percettrice e che, tuttavia, essendovi un impedimento o
qualcosa che occupa l'anima, essa la detesti, preferendole il suo contrario,
come un malato detesta il cibo dolce e desidera invece i cibi cattivi, in se stessi
detestabili; o potrà anche non trattarsi di detestare, ma di non trovarvi alcun
piacere, come colui che ha paura trova la vittoria o il piacere senza averne né
coscienza sensibile né godimento 330 ; e questo è un altro principio.
E ancora: la potenza percettrice può essere affetta dal contrario di quel che
è la sua perfezione senza avere né sensazione né avversione per questo, fino il
che, una volta che l'ostacolo sia cessato e che essa tomi al proprio istinto, si
trova danneggiata331 ; è come colui che abbia dell'amaro [in bocca]: probabil-
mente egli non sentirà l'amarezza della propria bocca, finché la sua comples-
sione non sarà nuovamente a posto e le sue membra non saranno purificate;
solo allora proverà dell'avversione per lo stato che gli accade. E allo stesso
modo l'animale può non avere alcuna voglia di nutrirsi; anzi, può detestare [il
nutrimento], mentre questo è quanto di più concorde ad esso vi sia, e può
restare [senza nutrirsi] per un lungo periodo; ebbene, quando poi l'ostacolo
cessa, [l'animale] torna a quel che gli è necessario per natura, la sua fame si
intensifica e così il suo desiderio di nutrirsi, fino a non sopportarlo più e a
perire se gli viene a mancare [il nutrimento]. E può anche essere che si produ-
ca una causa di grande dolore -come la bruciatura da fuoco e il raffreddamen-
to da congelamento - ma che, essendo i sensi affetti da una malattia, il corpo
in ciò non avverta danno fino a che il malanno non cessi; solo allora avrà sen-
sazione dell'intenso dolore.
Una volta stabiliti questi principi, è necessario rivolgerei al punto cui ci
proponiamo di arrivare. E diremo, allora, che la perfezione propria dell'anima
razionale è di divenire un mondo intellettuale in cui si disegni la forma del
tutto, l'ordine intelligibile che è nel tutto e il bene che fluisce nel tutto; e ciò
iniziando essa dal principio del tutto, procedendo verso le sostanze [426] nobi-

non possit abstinere ab eo, sed destruitur cum amitti! illum. Huiusmodi autem res contingit
ex magno dolore, sicut ex adustione ignis et ex uredine glaciei laeditur sensus sic ut corpus
non sentiat illum, sed, cum removetur impediens, sentit nocumentum magnum. Postqua!Jl
autem iam assignavimus has radices, oportet redire ad id quod intendimus.
Dico igitur, quod sua perfectio animae rationalis est ut fiat saeculum intelligibile, et
describatur in ea forma totius et ordo intellectus in toto, et bonitas fluens in omne, et ut inci-
piens a principio totius procedat ad substantias excellentiores spiritales absolute, et deinde
976 C;.UI J,a.41\ - t.-1:1\ jJI.lll t.r, [426]

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ad spiritales pendentes aliquo modo ex corporibus, et deinde ad animas moventes corpora, et


postea ad corpora caelestia, et ut haec omnia sint descripta [5111 in anima secundum dispo-
sitiones et vires eorum, quousque perficiatur in ea disposìtio esse universitatis, et sic transeat
in saeculum intellectum instar esse totius mundi, cernens id quod est pulchritudo absolute et
bonitas absolute et decor verus, fiat unum cum ea, insculpta exemplo eius et dispositione
eius, et incedens secundum viam eius, conversa in similitudinem substantiae eius.
Sed hoc quomodo poterit comparari perfectionibus amabilibus aliarum virium, cum
turpe sit dicere eius ordinem esse nobiliorem vel perfectiorem ìstìs, quoniam istorum ad
illam nulla omnino comparatio est nec in excellentia, nec in perfectione, nec in multitudine,
nec in ceteris quibus perficitur delectatio apprehendentium, de quibus supra diximus? Sed
diuturnitas aeternitatis quomodo potest comparari diuturnitati variabili corruptibili? Vel
quae erit dispositio eius cuius applicatio est contingentia superficierum, comparatione eius
quod infunditur in substantiam sui receptibilis, ita quod sit ipsum idem sine discretione,
quoniam intelligentia et intelligens et intellectum sunt unum veJ paene unum. Sed quod
apprehensum a seipso sit perfectius quam hoc, hoc non est occultum, quia id quod est subti-
Jius apprehendens, quiddam est quod tu poteris cognoscere parva inspectione praedictorum;
anima enim rationalis plura numero [512] apprehendit, et plus scrutatur apprehensum, et
plus exspoliat illuda superadditis, quae non sunt in tra eius intentionem nisi accidentaliter, et
ipsa penetrat interiora apprehensi et exteriora. Quomodo igitur haec apprehensio poterit
TRATTATO NONO- SEZIONE SETTIMA 977

li, assolutamente spirituali, poi verso quelle spirituali vincolate in una qualche
sorta ai corpi, poi verso i corpi celesti, con le loro disposizioni e le loro poten-
ze, e così via, fino a che in se stessa non si esaurisca la disposizione di tutto
l'essere ed essa non si trasformi in un mondo intelligibile, parallelo a tutto
intero il mondo esistente; e ciò, contemplando quel che è la bontà assoluta, il
bene asssoluto, l'assoluta e reale bellezza, unificandosi a questa, imprimendo
in sé (muntaqisa) il modello e la disposizione di questa, percorrendo la sua via
e divenendo parte della sua sostanza332 •
E se 333 questa [perfezione] si rapportasse alle perfezioni amate che appar-
tengono alle altre potenze, essa si troverebbe in un rango tale che sarebbe
odioso dire che ne è migliore e più completa. Non vi è con esse alcun rappor-
to, sotto nessun rispetto: né in eccellenza, né in completezza, né in abbondan-
za, né per quanto riguarda tutte quelle altre [cose] in virtù delle quali si porta a
compimento il piacere delle [cose] percepibili 334 di cui abbiamo fatto menzio-
ne. Quanto poi alla durata, ebbene come si rapporterà la durata di quel che è
eterno alla durata di quel che è mutevole e corruttibile? E quanto all'intensità
del raggiungimento, come si potrà rapportare lo stato di quel che si raggiunge
in virtù del contatto tra delle superfici a ciò che scorre nella sostanza di quel
che lo riceve in modo tale da essere come quella [stessa sostanza]3 35 , senza
distinzione? L'intelligenza, l'intelligente e quel che è intelletto sono, infatti,
una stessa cosa o quasi una stessa cosa336 •
Quanto poi al fatto che colui che percepisce sia in se stesso più perfetto,
ebbene è qualcosa di evidente; che poi la sua percezione sia più intensa, anche
questo è qualcosa che conoscerai meditando e ricordando appena337 quel che
si è chiarito in precedenza. L'anima razionale, infatti, ha un numero maggiore
di percezioni, percepisce più intensamente quel che è percepibile e più inten-
samente lo astrae da quelle cose che vi si aggiungono e che non rientrano - se
non per accidente - nella sua intenzione. Ad essa appartiene di immergersi
nell'interno di quel che è percepito, come nell'esterno 338 . Anzi, come si
potrebbe rapportare questo modo di percepire a quell'altro, oppure come rap-
portare questo piacere al piacere provato in virtù del piacere sensibile e bestia-
le e irascibile? 339
Tuttavia, in questo nostro mondo e in questo nostro corpo, essendo noi
immersi nei vizi, non abbiamo sensazione di quel piacere, quand'anche si pro-
duca in noi qualcuna delle sue cause; e a ciò del resto abbiamo fatto allusione
in alcuni dei "principì" che abbiamo introdotto. Per questo non lo ricerchiamo
né ci rivolgiamo ad esso, a meno di non aver gettato via dalle nostre spalle il

comparari illi apprehensioni, ve! quomodo haec delectatio poteri! comparari delectationi
sensibili et bestiali et irascibili?
Sed quia nos in hoc nostro saeculo et nostro corpore demersi sumus in multa turpia, ideo
non sentimus illam delectationem cum apud nos fuerit aliquid de causis eius, sicut iam assi-
gnavimus in aliqua de praedictis radicibus, et ideo non inquirimus eam nec allicimur ad
978 [427]
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eam, nisi prius deposuerimus a cervicibus nostris iugum voluptatis et irae et sorores earum,
et degustemus aliquid illius delectationis, et sic fortasse imaginabimus de illa parum aliquid
tamquam per interpositum. Sed praecipue cum solutae fuerint quaestiones et revelata sibi
fuerint inquisita nobilia, tunc comparatio huius nostrae delectationis ad illam nostram delec-
tationem erit sicut comparatio delectationis sensibilis quae est odorandi odores gustatorum
delectabilium ad delectationem comedendi ea, sed illud etiam incomparabiliter est longius
ab hoc. Tu autem scis quod, cum intendis in aliquid quod nimis est tibi cordi, si praesentatur
tibi aliquid in quo est voluptas et fecerint te eligere unum de duobus, quod contemnes volup-
tatem, si fueris nobilis animi; animae [513] etiam vulgares dimittunt paratas voluptates et
sustinent labores et dolores magnos, ve! ne detegantur ve! ne erubescant, ve! propter ali-
quam varietatem, ve! propter desiderium alterius rei. Hae autem omnes sunt dispositiones
intelligibiles, quarum contraria praeponunt eis quae naturaliter debent eligere, et propterea
sustinent multa horrenda naturae. Ex quo scies quod, si fines intelligibiles pretiosissimi sunt
animae in rebus vilibus, quanto magis in rebus excellentioribus? Animae etiam viles sen-
tiunt bonum ve! malum quod accidit rebus vilibus, et non sentiunt quod accidit rebus excel-
lentibus, propter excusationes quae iam dictae sunt.
TRATIATO NONO- SEZIONE SETTIMA 979

giogo della concupiscenza e d~ll'ira e delle lo-o sorelle e di non aver in parte
gustato [quel piacere]! [427] E allora che ne abbiamo un'immagine, seppure
flebile e debole, specialmente quando si trova soluzione ai problemi [specula-
tivi] e si chiariscono le questioni ricercate dall'anima. Ma il rapporto di questo
nostro piacere, quaggiù, con il piacere che proveremmo lassù è il rapporto 340
che il piacere sensibile [che si ricava] inspirando341 profumi dai gusti piacevoli
ha con il piacere [procurato] dai loro sapori, e anzi è molto più lontano di
quello, di una distanza che non si può determinare 342 •
E tu sai che, se mediti su di un difficile [problema] che ti interessa e ti si pre-
senta un piacere (sahwa) [dei sensi] e devi scegliere tra le due condizioni343 , tu
metterai da parte il piacere [dei sensi], se sei di animo nobile. Persino le anime
comuni tralasciano i piaceri [sensibili] che sono passeggeri e, pur di [evitare]
un'ignominia, una vergogna, un'ingiuria344 o una calunnia345 , preferiscono gli
oneri e i dolori opprimenti. Tutti questi sono stati intellettuali i quali - con i
(loro) contrari- vengono preferiti 346 alle cose che [pure] si preferiscono tra quel-
le fisiche, e a causa di essi si sopportano con pazienza detestabili [sofferenze] 347
fisiche 348 • Perciò, se già da questo si apprende 349 che i fini intellettuali sono per
l'anima350 più nobili di quanto lo siano le cose vili, come sarà per ciò che riguar-
da le splendide cose elevate? Non è che un animo basso ad avere sensazione di
quel bene o male che si accompagna alle [cose] vili e a non avvertire quel che si
accompagna alle cose splendide; e questo, per gli impedimenti di cui si è parlato.
Poi, una volta distaccatici dal corpo, se la nostra anima, essendo ancora nel
corpo, si era risvegliata alla propria perfezione, che è il vero oggetto del suo
amore, ma non l'aveva raggiunta, sarà esposta al dolore a causa della perdita
di questa 351 • Avendo avuto in atto intellezione della sua esistenza, [l'anima,
infatti,] vi tenderà per natura, solo che - come si è detto - il fatto di essersi
occupata del corpo le avrà fatto dimenticare la sua propria essenza e quello
che è il vero oggetto del suo amore, proprio come la malattia fa dimenticare il
bisogno di sostituire ciò che si è dissolto e il piacere352 e il desiderio per le
cose dolci, facendo invece tendere il desiderio del malato a cose che sono in
realtà detestabili 353 . [Il dolore cui sarà esposta] è equivalente a quel piacere
che le accade [quando raggiunge la propria perfezione] e di cui abbiamo stabi-
lito necessariamente l'esistenza e abbiamo indicato l'entità. E in quel [dolore]
consisteranno una miseria e una pena cui non sono paragonabili neppure la

Sed postquam separati fuerimus a corpore, si anima nostra, dum fui t in corpore, animad-
vertit suam perfectionem sibi amabilem, quam non est adepta cum ipsa naturaliter tenderet
ad eam, intelligit quod erat in effectu, sed sua occupatio cum corpore, sicut diximus, facie-
bat eam oblivisci sui ipsius et eius quod amare debet, sicut infirmus qui obliviscitur eius
quod opus est restaurare pro eo quod resolvitur, de eo obliviscitur delectari in dulci et con-
cupiscere, et inclinatur ad concupiscendum quae sunt vere abominabilia, et tunc accidunt
animae dolor et tristitia propter amissionem eius, sicut accidit delectatio quam [514] fecimus
debere esse et probavimus magnitudinem sui ordinis. Igitur illud est infelicitas et labor non
980 [428]

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aequalis separationi continuationis ab igne et etiam corruptioni et permutationi complexionis


a glacie. Igitur tunc erit quasi paralysis, quam assignavimus in praedictis, quam scilicet agit
in eo ignis et glacies; sed materia quae est infecta in superficie sensus prohibet sentire eam
et perpendere. Si vero postea contigerit removeri impediens, sentit dolorem magnum. Cum
autem virtus intelligibilis fuerit consecuta veritatem termino perfectionis, secundum quod
sibi est possibile, tunc, cum separata fuerit a corpore, perficietur in ea perfectione quam sibi
possibile est consegui, ad similitudinem paralytici cui, cum praesentatur cibus concupiscibi-
lis et compellitur gustare cibum delectabilem, ipse non sentit, si vero removetur paralysis ab
eo, statim speculatur maximam delectationem. Sed illa delectatio non est de genere delecta-
tionis sensibilis et animalis ullo modo; immo est delectatio conveniens dispositioni naturali
quae est substantiis vivis puris, et est excellentior et nobilior omni delectatione.
Et haec est felicitas, illa vero alia est labor et infelicitas; sed hic labor non erit uniu-
scuiusque imperfecti, sed eorum qui per virtutem intelligibilem acquisierunt desiderium
suae perfectionis, ex hoc quod iam probatum est apud eos de natura animae esse ut
apprehendat quidditatem universitatis per adeptionem ignoti ex noto et perfectionis in effec-
tu, et quod hoc non est sibi ex natura prima, nec etiam ex [515] ceteris virtutibus, sed perce-
TRA TIATO NONO- SEZIONE SETIIMA 981

dissociazione della continuità [delle membra procurata dal] fuoco [428] o


l'alterazione della complessione [causata dal] gelo 354 . Il nostro caso, infatti, è
come il caso di colui che è intorpidito [nei sensi] -ne abbiamo già accennato
nel discorso precedente - e su cui hanno agito 355 fuoco o gelo: la materia che
riveste 356 la superficie dei sensi impedisce di avvertire [il caldo o il freddo], ed
egli dunque non ne riceve danno, ma poi accade che cessi I' ostacolo, ed egli
avverte una profonda sofferenza.
Se invece la potenza intellettuale ha raggiunto un certo limite della perfe-
zione dell'anima per cui le è possibile, quando si separa dal corpo, perfezio-
narsi del più completo perfezionamento che le è dato di raggiungere, il suo
caso è allora quello di colui cui, intorpidito [nei sensi], è stato fatto gustare il
cibo357 più dolce o è accaduto [di trovarsi] nella situazione più desiderabile,
senza averne propriamente coscienza: una volta che l'intorpidimento lo abbia
abbandonato, egli assaporerà d'un colpo quell'immenso piacere! Il piacere
[che toccherà all'anima] non è però in alcun modo dello stesso genere del pia-
cere sensibile e animale ed è, invece, un piacere che somiglia allo stato di
bontà che appartiene alle sostanze vive e pure ed è più magnificente e più
nobile 358 di qualunque altro piacere.
Ecco, tale sarà la felicità, e tale sarà la miseria. E tale miseria non sarà di
tutti coloro che sono manchevoli, ma solo di coloro che hanno acquisito per la
potenza intellettuale il desiderio 359 della perfezione che le è propria, essendo
stato loro dimostrato che alla natura dell'anima appartiene di percepire la quid-
dità del tutto 360, acquisendo l'ignoto dal noto, e di perfezionarsi in atto. Cosa,
questa, che né [nell'anima stessa], né nelle altre potenze, si ha in virtù di una
natura prima; anzi, alla maggior parte delle potenze, la coscienza della perfe-
zione che è loro propria avviene soltanto in seguito [all'azione di alcune] cause.
Quanto alle anime e alle potenze semplici e pure, esse è come se fossero
una materia prima (hayilla), sottomessa, che non ha affatto acquisito questo
desiderio; perché questo desiderio si produce e si imprime nella sostanza
dell'anima soltanto quando alla potenza psichica è dimostrato che vi sono cose
che la scienza acquisisce in virtù dei termini medi, come hai appreso. Ma
prima di ciò, dato che questo desiderio segue un'idea (ray') 361 , non c'è [alcun
desiderio]. Ogni desiderio, infatti, segue un'idea362 , e quest'idea per l'anima
non è primaria, ma acquisita. È infatti quando costoro acquisiscono quest'idea,
che all'anima consegue obbligatoriamente questo desiderio; e se essa si separa

perunt quod hae perfectiones non fiunt nisi post aliquas causas. Animae vero et vires simpli-
ces purae sunt quasi hyle subiecta, cum non acquirunt ullo modo hoc desiderium; hoc enim
desiderium non fit nec sigillatur in substantia animae, nisi postquam probatum est ei hic esse
res quarum scientia non acquiritur nisi per medios termìnos, sicut tu nosti; ante hoc autem
non erat, eo quod hoc desiderium sequitur sententias quae non sunt animae sententia prima,
sed sententia adepta. Cum igitur hi assequuntur hanc sententiam, comitatur animam necessa-
rio hoc desiderium, quae postquam separata fuerit, si nondum adepta fui t id quo post separa-
982 [429]

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tionem perveniat ad perfectionem, incidet in hanc maneriam laboris aetemi, eo quod princi-
pia habitus scientialis non acquiruntur nisi per corpus tantum, sed corpus iam non est. Isti
vero aut negligunt studere ad acquirendum perfectionem humanam aut adversantur aut
negant et defendunt sententias falsas quae sunt contrariae veris sententiis. Qui autem negant
sunt deterioris dispositionis, eo quod acquisierunt dispositiones contrarias perfectioni.
Sed quantum de imaginatione intelligibilium oporteat animam hominis acquirere ad hoc
ut petranseat terminum in quo est illa quae [516] incidit in hunc Jaborem, ita ut, cum per-
transierit illum terminum, habeatur fiducia illius felicitatis, non est mihi possibile certe
determinare. Sed est paene possibile, quia puto hoc esse scilicet ut anima hominis imaginet
principia separata verissime et credat illa esse credulitate verissima, eo quod sunt apud eam
per demonstrationem, et ut sciat causas finales [et] eorum quae incidunt in motus universa-
les absque particularibus non habentibus finem, et ut quiescat apud eam dispositio totius et
comparatio suarum partium inter se ad invicem et ordinatio proveniens a primo principio
usque ad ultimum eorum quae sunt et eorum quae incidunt inter ea, et ut imaginet curam et
qualiter est; et ut essentia quae praecedit omnìa certificetur quale est suum esse proprium et
qualis unitas, et qualiter potest sciri ita ut non comìtetur eam multìtudo et alteratio ullo
TRATTATO NONO- SEZIONE SETTIMA 983

[dal corpo], senza che con essa si produca qualcosa con cui, dopo il distacco
completo, essa possa raggiungere [la propria perfezione] [429], essa cade in
questa sorta di eterna miseria: i principi dell'abito conoscitivo erano infatti
acquisiti in virtù del corpo, non di altro, ed esso è ormai passato! 363
E costoro o sono manchevoli nell'impegnarsP 64 per acquisire la perfezione
più alta 365 , oppure sono degli ostinati che, empi, si attaccano fanaticamente
alle loro idee corrotte, contrarie a quelle che corrispondono alla realtà366 ; e gli
empi sono di un tipo peggiore per via delle disposizioni contrarie alla perfe-
zione che hanno acquisito.
Quanto poi a dire quante rappresentazioni degli intelligibili dovranno
attuarsi nell'anima dell'uomo affinché in virtù di esse egli superi quel limite in
cui dovrebbe cadere tale miseria e affinché, nell'arrivarvi e nel superarla,
possa sperare in tale felicità, non mi è possibile scriverlo, se non per approssi-
mazione367. Ritengo però che ciò consista nel fatto che l'anima dell'uomo368 si
rappresenti realmente i principi separati e che dia ad essi l'assenso in modo
certo per via del fatto che in essa 369 essi esistono in virtù della dimostrazione;
che conosca le cause finali delle cose che sono nei movimenti universali e non
nei particolari, che non hanno un termine ultimo; che in essa370 si abbia la
disposizione del tutto e le relazioni delle parti l'una verso l'altra e quell'ordine
che si assume a partire dal primo Principio fino all'infimo degli esistenti che
sono nel suo ordinamento; e che abbia rappresentazione della provvidenza, di
come essa sia, e che individui quale esistenza e quale unità siano proprie
all'Essenza che è a tutto anteriore; che individui come questa conosca in modo
che non le si accompagnino moltiplicazione e mutamento, sotto nessun rispet-
to, e come si ordini il rapporto che gli esistenti istituiscono con essa371 .
Inoltre, tanto più colui che specula aumenta in acume, tanto più aumenta
nella preparazione alla felicità; ed è come se l'uomo non si liberasse di questo
mondo e dei legami con esso, se non avendo saldo il legame con quell'altro
mondo, così che ecco, gli sopraggiungano un desiderio e un amore per quel
che si trova lassù e gli sia del tutto impedito di prestare attenzione a ciò che,
[rispetto a quel mondo], è posteriore.
Inoltre, diremo, questa felicità che è reale non si porta a compimento se
non in quanto viene riformata la parte pratica dell'anima. A quest'argomento
anteporremo un'introduzione che tuttavia è come se avessimo già menzionata

modo, et quomodo est ad eam comparatio ordinationis eorum quae sunt, et deinde quod spe-
culator, quanto plus addiderit speculationis, tanto plus addetur aptitudo ad felicitatem, et
quod non liberatur homo ab hoc mundo et ab eius illecebris, nisi postquam, totus suspensus
ab illo mundo, desideret id quod est ibi et amor eorum quae sunt ibi removeat eum omnino a
consideratione eius quod est post se.
Dico etiam quod haec verissima felicitas non perficitur nisi propter [517] rectitudinem
illius partis animae quae est practica, et praeponam ad hoc praepositionem, quamvis iam
dixerimus haec in praedictis. Dico ergo quod mores sunt habitus propter quem facile prove-
984 [430]
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niunt ab anima aliquae actiones absque praemeditatione. Iam autem praeceptum est in libro
de moribus ut teneatur mediocritas < ... > et acquiratur habitus mediocritatis; habitus autem
mediocritatis habet esse in virtute rationali et in virtute animali. Sed in virtute animali, est
cum acquiritur ei dispositio subiectionis; in virtute vero rationali, est cum acquiritur ei dispo-
sitio aptitudinis et <non> patiendi, quemadmodum habitus nimiae continentiae et nimiae
solutionis sunt in virtute rationali et virtute animali in utrisque qui sunt e contrario mediocri-
tatis. Notum est autem quod nimia continentia et nimia solutio sunt convenientiores virtuti
animali: cum enim confortatur virtus animalis et acquiritur ei habitus dominandi fit in anima
rationali dispositio subiectionis, et impressio passionis infligetur in anima rationali, cuius
natura est ponere animam nimis ligatam cum corpore et nimis affectam circa illud. Habitus
vero medìocritatis intelligitur esse liberatio hominis a dispositionibus subiectibilibus, qui con-
servat animam rationalem secundum naturam suam cum acquisitione [518] dispositionis eri-
gendi se et despiciendi hoc. Quod non est contrarium suae substantiae, nec est inclinans eam
ad partem corporis, sed a parte eius; mediocritas enim semper removet ab ea duo extrema.
Item substantiam animae corpus occupat et reddit stultam et facit eam oblìvisci sui desi-
deri/ proprii et inquirendi perfectionem quae sibi competit et percipiendi delectationem per-
fectionis, si eam habuerit, ve! percipiendi aliquid de perfectione, si non habuerit eam, non
quod anima sit impressa corpori vel submersa in eo, sed quia ligatio est inter illa duo, quae
TRATI ATO NONO- SEZfONE SETifMA 985

in quel che abbiamo osservato in precedenza. Diremo, allora, che il costume


morale 372 è un abito in virtù del quale dall'anima emanano con facilità alcune
azioni, senza che le preceda una riflessione; nei libri di etica si ordina di agire
secondo il giusto mezzo tra due costumi contrari, non nel senso che faremo
azioni 373 secondo il giusto mezzo senza avere conseguito l'abito del giusto
mezzo 374 [430] ma, piuttosto, nel senso che si deve [appunto] conseguire
l'abito del giusto mezzo 375 . L'abito alla medietà è un abito che è come se 376
appartenesse al contempo alla potenza razionale e alle potenze animali: alle
potenze animali, in quanto vi si ottiene la disposizione a sottomettersi e a pati-
re377; alla potenza razionale, in quanto in essa si ottiene la disposizione a
dominare 378 come, del resto, anche l'abito dell'eccesso o del difetto esistono al
contempo sia per la potenza razionale sia per le potenze animali, ma secondo
un rapporto inverso. È noto, infatti, che a comportare il difetto e l'eccesso
sono le potenze animali, e quando le potenze animali sono potenti e vi si pro-
duce l'abito a dominare, è nell'anima razionale 379 che vengono ad essere una
disposizione alla sottomissione e una traccia di passività che vi si fissa ferma-
mente: ad esse spetta per sé di fortificare l'anima razionale nel suo legame con
il corpo, facendola inclinare intensamente verso di esso.
L'abito del giusto mezzo ha il ruolo 380 di spogliare delle disposizioni di
docilità e di far permanere l'anima razionale nella sua costituzione originale,
facendole inoltre acquisire la disposizione a dominare e a non farsi contamina-
re, che è cosa non contraria alla sostanza [dell'anima] e che non la trascina
verso il lato del corpo 381 , ma la distoglie anzi da questo; il medio, infatti, nega
sempre da sé i due eccessi, nel più e nel meno.
Inoltre, è il corpo quello che avvolge la sostanza dell'anima, la distrae e la
distoglie dal desiderio che le è proprio, dalla ricerca della perfezione che le
compete e dalla coscienza del piacere della perfezione - quando la raggiunge
-o del dolore per la perfezione [perduta]- quando questa le viene meno; non,
tuttavia, perché l'anima sia impressa o sia immersa nel corpo 382 , ma [per] il
legame che c'è fra i due e che consiste nel desiderio costitutivo [della sostanza
de li' anima] di dirigere [il corpo] e di occuparsi delle tracce che esso [vi
lascia]383 , degli accidenti che vi si presentano e degli abiti che in essa si fissa-
no e il cui principio è il corpo 384 • Così, se l'anima 385 si separa ma in essa persi-
ste quell'abito che si consegue in ragione del suo congiungimento con il

est desiderium naturale gubemandi illud et agitandi affectiones eius et quicquid supervenit
ei ex accidentibus corporis et habitibus qui imprimuntur in ea, quorum principium est cor-
pus. Postquam autem separata est, remanet in ea habitus adeptus ex coniunctione sua cum eo
et est paene similis dispositioni suae in eo; quae, quanto plus minuitur, tanto plus removetur
oblivio motus desiderii suae perfectionis, quia per hoc quod de ilio remanet cum illa, est
interpositio ne coniungatur pure loco suae felicitatis, et ex his motibus perturbatis hic
magnificatur eius dolor. rtem, quod haec dispositio corporalis sit contraria suae substantiae
986 t l" l [431]

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~tr~ \)li, IJ__,....iiJ...il4c_J4y .J~.J!.:r ~~_,i,...ll.l\}l.:re\'J

et nociva, non facit non currere nisi corpus et nimia submersio eius in illud, sed, cum sepa-
ratur anima a corpore, sentit illam contrarietatem esse magnam et quia nocuit sibi multum.
Hoc autem nocumentum et hic dolor non est ex aliquo comitanti inseparabili, sed ex acci-
denti extraneo; accidens [519] vero extraneum non durat nec remanet, sed removetur et
destruitur cessantibus actionibus quae infligebant illam dispositionem assiduitate sua; ex
quo sequitur ut poena quae debetur huic non sit perennis, sed removeatur et deleatur paula-
tim, quousque purificata anima perveniat ad felicitatem sibi propriam.
Animae vero insipientes, quae non acquisierunt desiderium boni nec acquisierunt dispo-
sitiones malas, cum fuerint separatae a corpore, merebuntur aliquid de magnitudine miseri-
cordiae Dei, et aliquem modum refrigerii. Si quis vero acquisierit dispositiones corporis
malas, nec fuerit apud eam alia dispositio nisi haec nec intentio quae adversetur ei et refu-
giat, eius sine dubìo desiderium erit pronius ad iudicium cordis eius. Exuta igitur a corpore,
punietur poena forti propter amissionem corporis et iudicii corporis fraudulenta acquisitione
eius quod desideraverat: instrumentum eius enim iam destructum est, sed mores qui fuerant
ex affectione corporis adhuc permanent.
Videtur etiam esse verum id quod dixit quidam ex sapientibus, scilicet quod hae animae
quae sunt mundae, cum separantur a corpore, sed in fine inhaeret eis quidam modus fidei
TRATIATO NONO -SEZIONE SETTIMA 987

[corpo], essa è quasi prossima allo stato che le apparteneva quando era nel
corpo: in relazione a quel che di tale [abito] diminuisce, cessa la sua negligen-
za a muovere il desiderio verso la propria perfezione, mentre in relazione a
quel che ne permane con essa, [l'anima] è impedita al puro congiungersi con il
luogo della sua felicità; e allora si producono dei movimenti disordinati 386 che
ingigantiscono [431] il danno che essa ne ricava.
Inoltre, tale disposizione corporea è contraria alla sostanza [dell'anima] e
le è dannosa387 e a distrarla da essa [e dal danno che ne viene] sono ancora una
volta il corpo e il fatto che [l'anima] vi è completamente immersa. Quando
l'anima si separa dal corpo, essa avverte quindi sensibilmente l'enorme con-
trarietà di tale [disposizione] e ne subisce un gran danno, un danno e un dolore
che, tuttavia, non si devono a un qualche conseguente necessario 388 , ma a
qualcosa di accidentale e di estraneo, laddove ciò che accade e che è estraneo
non è né duraturo né permanente, ma cessa e svanisce quando si interrompono
quelle azioni che, con il loro ripetersi, andavano stabilendo tale disposizione;
ne consegue così, che l'ostacolo che le viene in relazione a questo [rapporto
con il corpo] non è eterno e che anzi cessa e viene meno poco a poco, fino a
che l'anima non è pura e non raggiunge la felicità che le è propria.
Quanto, invece, alle anime innocenti che non hanno acquisito il desiderio
[della perfezione], quando si separano dal corpo senza avere acquisito disposi-
zioni contrarie, esse sono accolte dalla misericordia di Dio - l'altissimo - e da
una sorta di riposo; se, invece, hanno acquisito quelle disposizioni corporee
contrarie [alla sostanza dell'anima] e non hanno in loro nessun'altra disposi-
zione né intenzione che sia contraria [al corpo] e lo neghi, sono senz' altro
afflitte dal loro desiderio di quel che esigono e soffrono intensamente per la
perdita del corpo e di tutte quelle cose che il corpo esigeva; e ciò senza tutta-
via ottenere ciò che desiderano, perché l'organo [per attenerlo] è svanito,
mentre il loro costume a vincolarsi al corpo permane389 .
Sembra, inoltre, che ciò che hanno sostenuto alcuni sapienti sia vero e cioè
che, se tali anime sono pure e si separano dal corpo, essendosi in esse radicata
una sorta di convinzione riguardo alla sorte che spetterebbe ad anime simili,
una volta separate dai corpi - come può essere che alle persone comuni si
narri [della resurrezione] e che nelle loro anime se ne dia una rappresentazione
-[esse vivono la resurrezione in cui hanno creduto]. Se si separano dai corpi,
non trovandosi in esse alcuna intenzione che le attiri verso il lato che è loro

quae est aliis sibi consimilibus, secundum quod solet dici vulgo et solet imaginari in anima-
bus eorum de hac, cum ipsi separantur a corpore, si non est eis intentio trahens eos ad supe-
riorem partem ad perfectionem ad hoc ut felicitentur illa felicitate, nec desiderium perfectio-
nis ad hoc ut aftligat [520] poena illa, sed omnes eorum dispositiones animales inclinantur
inferius et restringantur circa corpus, tunc non est prohibitum quin materiae caelestes sint
subiectae actionibus animae in seipsis. Dixerunt enim quod, quia ipsa imaginat quicquid cre-
debat de dispositionibus alterius mundi, ideo instrumentum eius per quod potest imaginari
988 [432]
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ea est aliquod ex corporibus caelestibus, et ideo videt quicquid dictum sibi fuit in hoc
mundo de dispositionibus sepulcri et de resurrectione eorum et de summis bonitatibus.
Animae vero malae vident etiam poenam quam imaginaverant in hoc mundo et affliguntur
ea. Forma enim imaginata non est debilior sensibili, sed est maior impressione et claritate,
sicut videmus in somnis; fortasse enim si somniatum maius est pro modo suo quam sensibi-
le, tunc quanto magis illud quod est in ali o saeculo fortius est quam quod est in somnis prop-
ter paucitatem impedientium et exspoliationem animae et claritatem recipientis. Forma enim
quae videtur in somnis vel quae sentitur in vigilia, sicut tu nosti, non est nisi descripta in
anima, sed una earum incipit ab interiori et descendit ad illud, altera vero incipit ab exteriori
et erigitur ad illud; cum autem describitur in anima, perficitur ibi apprehensio visa, sed non
facit delectari nec noceri certe nisi hoc quod est descriptum in anima, non quod est extra.
Quicquid autem describitur in anima agit suam actionem, quamvis non habeat causam
extrinsecus; causa enim essentialis est haec descriptio; extrinseca vero est causa per acci-
dens vel causa causae. Haec igitur felicitas et infelicitas viles sunt, quia sunt in comparatio-
ne animarum vilium.
[521] Animae vero sanctae longe sunt ab huiusmodi dispositionibus, quia coniunguntur
suae perfectioni per se, et immerguntur in delectationem verissimam, et liberantur a speculatio-
ne eius quod est post ipsas et a servitute in qua erant, omnimoda liberatione. Si autem remanse-
TRATIATO NONO- SEZIONE SETTIMA 989

superiore, non si dà perfezione390 in modo tale che esse possano assaporare


quella felicità, ma non si dà neppure desiderio di perfezione, di modo che esse
soffrano di quella miseria 391 . Piuttosto, tutte le loro disposizioni psichiche
sono rivolte verso il lato inferiore, attirate in direzione dei corpi3 92 e, non
essendovi alcun impedimento da parte delle materie celesti a fungere da sog-
getto per l'azione di un'anima che agirebbe in esse, ecco che- hanno sostenu-
to costoro- esse giungono a immaginare [432) tutti quegli stati dell'aldilà di
cui avevano convinzione.
Gli organi che renderebbero loro possibile tale immaginazione risiedono in
una parte (Say') dei corpi celesti; esse vivrebbero, così, tutto quel che è stato loro
detto nel mondo di quaggiù riguardo a come siano la tomba, la resurrezione e i
beni dell'aldilà393 • E anche le anime cattive vivrebbero la loro pena secondo ciò
che si era loro rappresentato in questo basso mondo e ne sarebbero afflitte 394 .
Le forme immaginative, infatti, non sono più deboli di quelle sensibili; anzi,
il loro influsso e la loro nitidezza sono maggiori, come si può osservare nel
sonno: ciò che viene sognato può infatti essere più intenso - nel genere che gli
compete- di ciò che è avvertito con i sensi; sennonché, [l'immagine) dell'aldilà,
in relazione alla scarsità di ostacoli, al fatto che l'anima è liberata (dal corpo] e
alla purezza di ciò che riceve, è ancor più stabile di quel che si ha nel sonno.
E la forma che si vede nel sonno e, anzi, anche quella di cui sia ha sensa-
zione nello stato di veglia, non sono - come sai - niente altro che [forme]
disegnate nell'anima; soltanto che la prima ha origine all'interno per discende-
re verso [l'anima], mentre la seconda ha origine all'esterno, per elevarsi fino
ad essa 395 ; così, quando (la forma] è disegnata nell'anima, si ha la completezza
della percezione visiva.
E in realtà a dar piacere o procurare danno è solo ciò che è disegnato
n eli' anima, non ciò che esiste all'esterno; quindi, qualunque cosa si disegni
nell'anima fa la propria azione, anche se non in ragione di una causa che viene
dall'esterno; la causa essenziale è, infatti, questo qualcosa che vi è disegnato e
quel che è esterno è una causa per accidente oppure è la causa della causa396 •
Queste sono dunque quella felicità e quella miseria vilP 97 che sono relative
alle anime vili. Le anime sante sono invece ben lontane da simili398 stati: si
congiungono alle loro perfezioni essenziali, si immergono nel reale piacere e
si disfano totalmente dello sguardo rivolto a ciò che è alle loro spalle e al
regno che loro apparteneva. E se in esse permanesse una traccia di [errati)
convincimenti o costumi, ne soffrirebbero un danno e a causa di essa non arri-
verebbero al grado di quelle superiori, fino a che [tale traccia) non sia da esse
cancellata399 •

rit in eis affectio de hoc, credibilis ve! moralis, nocebit eis, et retardabuntur propter eam a con-
seguendo gradu superiorum, quousque deleatur illa impressi o, et tunc consequetur illum.
TRATTATO DECIMO

TRACTATUSX
INTRODUZIONE

Sezione prima

Questa prima sezione riprende i temi cosmologici dei trattati VIII e IX e


introduce al contempo l'argomento proprio del trattato X: [435-436, 8] una
volta dato corpo al proprio sistema metafisico, Avicenna si occupa qui del
posto che in esso è riservato all'uomo e affronta quindi - su di un piano che è
emjnentemente fjJosofko - j temj deJJa vjta reJjgjosa, socjaJe e poJjtka
dell'uomo. Il processo discendente del flusso (jayq; la TTp6o8os dei neoplato·.
nìci) è nuovamente evocato ma lo è, qui, in vista di quello del ritorno (ma 'iid;
ÈmaTpo</>T,) che gli è complementare. Così, se a partire dal Primo l'essere nort
cessa di discendere e perciò di diminuire nei gradi - dalle intelligenze proven·.
gono le anime e poi i corpi delle sfere e quindi gli elementi del mondo mate·.
riale -, a partire dagli elementi del mondo sublunare si svolge un processc>
ascendente, un processo che è preludio e al tempo stesso già parte del "ritor·.
no": dagli elementi le piante, la vita animale e quella umana, nella quale il
mondo sublunare e quello celeste si trovano congiunti. La congiunzione dei
mondi sublunare e celeste è realizzata pienamente nella perfezione intellettua·.
le dell'uomo ed è massima nel profeta e cioè in colui che, eletto da Dio, a talt!
perfezione vede aggiungersi le proprietà delle perfezioni immaginative e cor-
poree e accede, di conseguenza, alla visione del mondo celeste (ode la paroht
di Dio e vede gli angeli).
Ora, se i due mondi si congiungono è, tuttavia, perché sono distinti e il
taglio ontologico che li separa ha una corrispondenza precisa nel processc>
genetico che ne dà conto: mentre le forme del mondo celeste "solo fluiscono''
(innama tafiqu) dal Primo- e cioè si originano per flusso divino- quelle dei
mondo sublunare si producono anche in virtù delle "collisioni", cioè degli
"scontri" (mu$iidamiit) o delle "mescolanze" (mu!pila{at) di cause che avven·.
gono tra le forze celesti e quelle terrestri. In altre parole, il mondo sublunare,
con i minuti avvenimenti che di volta in volta vi si generano, partecipa all~t
propria determinazione assieme al flusso (della decima intelligenza che "ci
segue da vicino") e all'influsso celeste (dei corpi e delle anime delle sfere).
[436,9-439,18] Il passo in cui Avicenna affronta la questione dell'influsso si
presenta in alcune sue parti corrotto (cfr. la lettura del passo corrispondentt!
994 TRATTATO DECIMO

nel Libro della salvezza, il K. al-Nagiit); è chiaro, tuttavia, che la determina-


zione degli eventi sublunari passa per un meccanismo più complicato della
semplice idea di un influsso celeste. Del resto, è proprio perché gli eventi
sublunari, infiniti, concorrono alla determinazione del mondo, che Avicenna
rifiuta l'astrologia, recusando l'idea che sia possibile, attraverso una tecnica di
calcolo, determinare in anticipo gli accadimenti. La partecipazione del mondo
sublunare alla determinazione degli stessi eventi che lo costituiscono - almeno
nelle intenzioni di Avicenna - non va a intaccare, tuttavia, il potere causale
divino: "tutto fluisce da sopra" e "il principio della natura viene da lassù". Si
comprende allora che è solo nel senso della preparazione alla ricezione di una
forma che gli accadimenti sublunari possono essere una sorta di concausa di se
stessi; essi non sono, cioè, una causa agente perché questa, come Avicenna ha
spiegato nel VI trattato, è ciò che "fa esistere" (mugid).
Il tema degli "scontri di cause" e del ruolo del mondo sublunare nella
determinazione del mondo - un tema che Avicenna affronta anche nella
Fisica, discutendo dello statuto della natura e del caso - costituisce lo sfondo
della questione. Il problema della libertà umana, e della conseguente responsa-
bilità morale dell'uomo, è invece appena sfiorato; sembra persino di avvertire
un certo imbarazzo da parte di Avicenna ne Il' affrontare tali questioni: la
libertà umana non è espressamente negata, ma neppure esplicitamente affer-
mata. Avicenna si limita a dire che, come è giusto stabilire un nesso tra la pre-
ghiera e l'implorazione e il loro esaudimento, così è giusto vedeme uno tra
male e castigo o bene e premio; è tuttavia solo "in un certo senso" o "da un
certo punto di vista" (bi-waghin mii) che il mondo sublunare è causa e ha, cioè,
un influsso sul mondo celeste (è solo in un certo senso che la preghiera viene
esaudita: il principio divino che esaudisce la preghiera è anche la causa della
preghiera stessa; cfr. MrcHOT, Destinée... , pp. 61-62, nota 17).
Il tema del determinismo è uno dei più dibattuti anche dalla critica e non si
possono avanzare qui che delle ipotesi interpretative. [435,19-fine] In tal
senso, sembra che nella distinzione dei due momenti del decreto divino, quello
assoluto del decreto (qaqii) e quello relativo, temporalmente determinato della
"determinazione" (qadr), Avicenna lasci la possibilità di una duplice modalità
del destino: una assoluta e divina, in cui il mondo sublunare non riesce ad
entrare se non come semplice sostrato ricettivo delle forme - ed è il destino
che disegna in modo universale l'eterno determinarsi delle specie- e una par-
ticolare, minima e sublunare che, come tale appare, al tempo stesso, marginale
e insignificante nel disegno dell'universo; in questa seconda modalità del
destino, quella della particolare determinazione degli individui delle specie e
del minuto svolgersi della loro vita, con il caso e il male che essa comprende,
entrano gli "scontri" di cause e, con essi, una qualche responsabilità o
"libertà" del mondo sublunare. Se questa interpretazione fosse corretta, trove-
rebbe una spiegazione anche la definizione della conoscenza e della causalità
del Primo necessariamente esistente, che nel IX libro Avicenna ha definito
INTRODUZIONE 995

"del particolare in quanto universale"; in tal senso, la conoscenza del Primo


sembra limitarsi all'individuo "generico" o "diffuso", ossia all'individuo che è
campione di una specie e non entra nella sua individualità di "particolare in
quanto particolare".

Sezione seconda

Più di un elemento è degno di interesse in questa densa trattazione: con


essa Avicenna offre una legittimazione filosofica della profezia, sia nella sua
funzione politica (la costituzione della società) sia nella sua funzione pretta-
mente religiosa (la fondazione della fede e dell'escatologia). In primo luogo,
si noterà come sia possibile distinguere nel discorso di Avicenna due momen-
ti; il primo [441-442,1] è teso a mostrare come la profezia sia necessaria al
fine divino della natura universale perché, fondando la vita sociale necessaria
alla permanenza della specie, ne è un suo conseguente necessario (qarilri: si
veda in proposito, Ilàh., VI, 5, pp. 289-290; la profezia sembra essere in tal
senso "obbligatoria" perché è causa del fine); il secondo [442,1-6] consiste nel
far emergere come la profezia, in quanto bene possibile, debba rientrare
nell'insieme di cose che esistono perché- ed è questo il principio di pienezza
della teoria emanazionista avicenniana- tutto ciò la cui esistenza è possibile e
la cui attuazione è necessaria al bene, deve essere realizzato (cfr. Ilàh., IX, 6,
pp. 418-419; Ta'lfqiit, p. 21).
Una volta stabilita, sotto questo duplice aspetto, la necessità metafisica
della profezia, Avicenna passa a considerare quella che si potrebbe definire la
sua necessità "politica" e a dedurre a partire da questa le diverse proprietà del
profeta. [442,6-9] Per vivere essendo propriamente "uomo", l'uomo deve
vivere in una società, è chiaro allora che la cooperazione, e quindi le leggi che
la permettono, dovranno essere necessarie; ma le leggi rimandano a loro volta
a un legislatore e perciò alla profezia stessa: se, infatti, chi fonda le leggi lo fa
sulla base dell'insegnamento divino, per mezzo della predicazione e in virtù
dei miracoli e delle proprietà che gli sono propri, gli uomini, riconoscendo in
lui il segno dell'alterità (cioè della trascendenza), ubbidiranno alle leggi da lui
istituite e il vivere comune - con la vita e la permamenza della specie che ne
costituiscono il fine- si troveranno garantiti. (442,9-443,12] Avicenna elenca
allora i fondamenti, le radici (u$ùl) del legiferare del profeta; il primo di essi
consiste nell'insegnamento dell'esistenza di un Creatore (un Artefice: Sani') e
nel proclamare che il Creatore - cui si deve obbedienza - ha apprestato un
"ritorno" e cioè una vita dell'aldilà che potrà essere di piacere o di sofferenza.
In tal senso, il primo contenuto della rivelazione appare per così dire strumen-
tale a quella che Avicenna preesenta come la prima funzione della profezia:
fondare la società umana secondo delle leggi che consentano la conservazione
della specie. Gli altri fondamenti della profezia indicano i modi e al tempo
996 TRATTATO DECIMO

stesso i limiti della predicazione: la massa degli uomini non può occuparsi di
teologia e il profeta non può perciò comunicare che le prime e più semplici
verità su Dio, tacendo le difficoltà teologiche e filosofiche che esse implicano.
In tal senso, il profeta farà uso di simboli e di immagini concrete che permette-
ranno all'uomo comune di capire il suo discorso e, al filosofo, di intravedervi
un altro contenuto e intraprendere l'indagine speculativa. È, infatti, in base
alla stessa necessità linguistica della profezia (parlare per simboli) che
Avicenna deduce, da una parte, il linguaggio delle immagini destinato alla
gente comune e, dall'altra, quello dei segni o delle indicazioni (Wiriit) che
legittimano l'interpretazione filosofica della rivelazione. Va notato, infine, che
il profeta e la religione che qui Avicenna considera non sono esclusivamente
quelli dell'Islam. Se nelle sezioni successive il discorso investe i precetti isla-
mici, dei quali Avicenna intende dare una legittimazione filosofica, il discorso
che egli conduce qui è, anche nei contenuti, ancora "universale".

Sezione terza

Un altro argomento in favore della necessità del ruolo politico della profe-
zia è aggiunto, qui, a quelli già portati nella sezione precedente: [443,16-
445, 10] poiché la complessione materiale atta a ricevere la forma perfetta del
profeta non può realizzzarsi che raramente, è necessario che le leggi istituite
dal Profeta siano durature e comprendano un sistema di atti finalizzati a ricor-
dare il Profeta stesso, la necessità delle sue leggi e, naturalmente, Dio. In que-
sto modo, con un innegabile razionalismo, Avicenna rintraccia una legittima-
zione alle varie pratiche del culto islamico; sebbene il suo discorso si presenti
come generale, è infatti sui doveri religiosi dell'Islam (le cinque preghiere
giornaliere, il digiuno, il pellegrinaggio e la "guerra santa") che si sofferma la
sua attenzione.
La preghiera, ravvicinata nel tempo e accompagnata dalla formulazione di
specifiche intenzioni ed espressioni verbali, ricorda all'uomo il suo Artefice,
avvicinandolo a Lui. Lo scopo degli atti di culto è quello di risvegliare l'atten-
zione dell'uomo a Dio, cosicché gli atti di culto possono consistere sia in azio-
ni (come la preghiera, con tutta la dimensione gestuale e corporea che la pre-
ghiera islamica implica), sia in inazioni (come il digiuno, che è "qualcosa di
privativa" o "inesistenziale"). Agli interessi della comunità, oltre che al ricor-
do di Dio, sono diretti poi il pellegrinaggio e la "lotta sulla via di Dio" (la
cosiddetta 'guerra santa', il gihiid. [445, ll-446, 16] In tale contesto, la nota-
zione più interessante riguarda la distinzione che Avicenna opera tra la massa
degli uomini e l'élite (al-{Jii~~a). Infatti, mentre a proposito della gente comu-
ne, Avicenna sottolinea l'utilità che i precetti religiosi rivestono per la stessa
vita terrena, nel caso dell'élite egli limita la loro utilità a quella della vita del
Ritorno: è solo in quanto gli atti di culto aiutano l'anima a liberarsi dal suo
INTRODUZIONE 997

vincolo con il corpo che essi servono a raggiungere la felicità de li' aldilà;
Avicenna accenna alla differenza che ha stabilito (in Ilah., IX, 7) tra il ritorno
"reale" e quello immaginale e sensibile; sullo sfondo resta, comunque, la con-
vinzione che il filosofo riesca a vivere la propria dimensione intellettuale e
"religiosa" anche senza ricorrere alle pratiche cultuali.

Sezione quarta

La trattazione è dedicata all'organizzazione della società e Avicenna vi


fornisce la legittimazione sul piano razionale degli altri precetti dell'Islam: il
divieto del prestito a interesse e del gioco d'azzardo, la legislazione sulle tasse
e sui bottini di guerra e, soprattutto, la regolamentazione del matrimonio,
l'invito a contrarlo e la giustificazione delle norme che permettono di scio-
glierlo. Il matrimonio è concepito come la base dei rapporti sociali (è fonda-
mentale per la prole, per le eredità, etc.), ma è anche riconosciuto nel ruolo
che ha per l'individuo: il matrimonio, pur pensato nelle regole islamiche della
poligamia, trova la sua ragione nel bisogno, che è tanto dell'uomo quanto
della donna, di raggiungere l'amore e la felicità e di soddisfare il proprio desi-
derio sessuale.

Sezione quinta

L'intento di Avicenna di fornire una legittimazione sul piano razionale alla


legge islamica, costruendo così una sorta di filosofia politica che dia ragione
dei precetti della religione, trova qui il suo compimento. Avicenna spiega le
ragioni della successione al potere (il califfato), le modalità della scelta del
califfo, e illustra i casi in cui esso è da considerarsi legittimo; egli passa poi a
spiegare tutti i piani del vivere sociale (la schiavitù, la proibizione del prestito
a interesse, la guerra e il rapporto con altre società "giuste"). Anche qui
Avicenna distingue ciò che è concepito in funzione della società e ciò che è
concepito in funzione dell'individuo e spiega la necessità di lasciare uno spa-
zio all'iniziativa giuridica, proprio sulla base della particolarità e della variabi-
lità della vita dei singoli individui (torna, sotto altre vesti, il tema dell'indivi-
duo generico o 'diffuso' nella specie vs. quello concretamente esistente).
Ancora una volta si è qui di fronte a un discorso che si vuole universale: è pro-
prio dalla sua universalità che scaturisce la legittimità della legge islamica.
998 [435]

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CAPITULUM DE PRINCIPIO ET DE PROMISSIONE GENERALITER ET DE INSPIRATIONIBUS


ET ORATIONIBUS EXAUDITlS ET FLAGELL!S CAELEST!BUS ET DE COMMEMORATIONE
DISPOSITIONUM PROPHETIAE ET DE DISPOSITIONE IUDICII DE STELLIS

[522] Postquam autem esse coepit a primo, tunc quicquid consequitur aliud est inferius
in ordine suo priore nec cessat descendere per gradus. In hoc autem primus gradus est ange-
lorum spiritalium spoliatorum qui vocantur intelligentiae. Post haec est ordo angelorum spi-
ritalium qui vocantur animae, et hi sunt angeli administratores. Postea est ordo corporum
caelestium, ex quibus aliud est nobilius alio sic usque quo perveniatur ad ultimum eorum.
Post hoc autem incìpit esse materiae recipìentis formas generatas corruptibiles, quae
primo investitur formis elementorum, et deinde gradatim informatur formis aliorum.
Primum igitur esse quod est inter illa est id quod vìlìus et inferius est eo quod sequitur; quod
autem est vilius inter ea est materia, postea elementa, deinde composita [523] congelata,
postea vegetabilia, deìnde anìmalia bruta, postea homo. Ex his autem nobilius est homo, et
999

SEZIONE PRIMA

SUL PRINCIPIO E SUL RITORNO IN MODO RIASSUNTIVO; SULLE ISPIRAZIONI E SUI


SOGNI, SULLE PREGHIERE ESAUDITE, SUI CASTIGHI CELESTI, SUGLI STATI DELLA
PROFEZIA E SULLO STATO DELL'ASTROLOGIA 1

Una volta che l'esistenza abbia avuto inizio a partire dal Primo, ogni cosa
che ne segue non cessa di scendere di rango dal Primo in poi e di diminuire nei
gradi 2 . Il primo di essi è quindi il grado degli angeli spirituali liberi [dalla
materia] che si chiamano "intelligenze", poi vi sono i ranghi degli angeli spiri-
tuali che si chiamano "anime" - e sono gli angeli che hanno una loro operazio-
ne pratica3 - poi vengono i ranghi dei corpi celesti, e l'uno è più nobile
dell'altro fino ad arrivare all'ultimo di essi4. Dopo di essi5, ha inizio l'esistenza
della materia ricettiva delle forme che si generano e si corrompono; [tale esi-
stenza] investe dapprima le forme degli elementi e poi procede per gradi, poco
a poco, cosicché il primo di essi a esistere è più ignobile e inferiore nel rango
di quello che lo segue. Ecco allora che il più ignobile è la materia, poi gli ele-
menti, poi i [corpi] composti solidi, poi i vegetali; e il più nobile fra questi
[gradi] è l'uomo; dopo di esso vengono gli animali e poi le piante. Il più nobile
degli esseri umani è poi colui la cui anima si porta a perfezione come intelletto
in atto e che è tale da avere attuato quei costumi che sono le virtù pratiche,
mentre il più nobile di coloro [che hanno tale perfezione] è colui che è prepara-
to al rango della profezia6 ed è colui che, fra le proprie potenze psichiche, ha
[le] tre proprietà che abbiamo ricordato 1; egli 8 udrà la parola di Dio, altissimo,
e vedrà i suoi angeli - che per lui si saranno trasformati in una forma che egli
potrà vedere. Abbiamo già mostrato come ciò avvenga e abbiamo messo in
evidenza che a un tal [uomo]- ossia a colui cui è resa rivelazione- gli angeli
appaiono come immagini, e che al suo udito si produce una voce che egli ode
provenire da Dio e dagli angeli, così da udirla senza [436] che essa sia parola
d'uomo o d'animale terrestre. Tale è colui cui è resa la rivelazione9 .

postea animalia, deinde vegetabilia. Sed ex hominibus ille est nobilior cuius anima fit intel-
ligentia in effectu et acquirit mores qui sunt honestates practicae; ex his autem ille excellen-
tior est qui est aptus ad ordinem prophetiae, et hic est ille in cuius viribus animalibus sunt
hae tres proprietates, scilicet ut audiat verbum Dei, et videat angelos transfiguratos coram se
in forma qua possint videri; iam autem ostendimus qualiter fiat hoc, et ostendimus quod,
ante eum cui fit haec revelatio, transformantur angeli; et fit in eius auribus vox quam ipse
audit, quae est ex parte Dei et angelorum, et audit eam quamvis non sit verbum hominum
nec animalis terreni, et hic est cui datur spiritus prophetiae. Et sicut id quod primum fit a
1000 t'l"'\ [436]
-------------------------------
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principio usque ad gradum materiae fuit intelligentia, deinde anima, postea corpus caeleste,
sic hic esse incepit esse a corporibus, postea ad animas, deinde ad intelligentias. Illa autem
forma non flui t omnino nisi ab illis principiis.
Ea vero quae fiunt in hoc mundo fiunt ex conflictibus virium agentium et patientium ter-
renarum sequentium conflictus virium agentium caelestium. Factura autem eius quod fit ex
viribus terrenis completur de duabus causis: una est vires agentes in eis, vel naturales ve!
voluntariae, alia est vires passivae, ve! naturales ve! anima]es. Sed [524] ex viribus caelesti-
bus fiunt impressiones in haec corpora quae sunt infra ea, tribus modis: unus eorum est ex
seipsis, secundum quod nihil de animalibus est causa in eo omnino, et hoc est ex natura suo-
rum corporum et suarum virium corporalium, secundum figurationes quae ex eìs concurrunt
cum viribus terrenis et comparationibus quae sunt inter ea; secundus est ex ipsarum naturis
TRATIATO DECIMO- SEZIONE PRIMA 1001

E, se tra gli enti che si originano dall'inizio fino al grado degli elementi, H
primo è un'intelligenza, poi [viene] un'anima, poi una massa corporea, qui
l'esistenza avrà invece inizio dai corpi, poi si produrranno anime, poi intelli-
genze. E mentre quelle forme solo fluiscono da quei principi, senz'altro, le
cose che vengono ad essere in questo mondo vengono ad essere a partire dalle
collisioni delle potenze attive celesti e [di quelle] passive terrestri, che seguo-
no alle collisioni delle potenze attive celesti. E ciò che viene ad essere delle
potenze terrestri si porta a compimento in ragione di due principi 10 : il primo
dei due è costituito dalle potenze attive che sono in esse, o naturali o volonta-
rie; il secondo, dalle potenze passive, o naturali o psichiche.
Quanto alle potenze celesti, i loro influssi (atiir) su questi corpi, che sono
sotto di esse, si producono in tre modi.
Il primo è a partire da esse stesse, in quanto le cose terrestri non hanno
alcuna causalità su di esse 11 , da nessun punto di vista; il secondo 12 o è a partire
dalle nature dei loro corpi e delle loro potenze corporee, in misura delle confi-
gurazioni che a partire da esse hanno luogo in corrispondenza (ma 'a) delle
~otenze terrestri e dei ra~~orti tra esse, o~Qure a Qartire dalle loro nature QSi-
chiche. Nel terzo modo 13, vi è una sorta di associazione con gli stati terrestri e
una [certa] causalità da un certo punto di vista in un modo di cui dirò. Ti si è
chiarito, infatti, che per le anime di quei corpi celesti vi è una sorta di capacità
di disporre delle cose particolari, nel senso che esse hanno una percezione non
puramente intellettuale e che a simili [anime] è dato di arrivare a percepire gli
[eventi] particolari 14 • E questo è possibile in ragione del fatto che esse percepi-
scono i singoli elementi separati 15 delle loro cause- quelle attive e quelle pas-
sive che si attuano in quanto cause- e quello cui esse conducono; [tali cause]
hanno sempre termine in una [causa] naturale o [anche] volontaria, ma neces-
sitante, [una causa che] non sia 16 volontaria e debole, non necessaria e non
decisiva 17 • Ed esse [percepiscono inoltre] che [le cause] non hanno termine
nella violenza; le [cause] violente, infatti, sono o una violenza [437] [che pro-

animalibus; tertius est communicatio aliqua quae est illis cum dispositionibus terrenis, et
haec non sunt omnino nisi eo modo quo dicam. lam enim notum est tibi quod animae corpo-
rum caelestium habent modum agendi in intentionibus particularibus secundum viam non
pure intelligibilem. Earum enim est pervenire ad comprehensionem eorum quae fiunt parti-
cularium per apprehensionem distinctionis suarum causarum quae iam sunt inquantum surtt
causae, et eius quod provenit ex eis. Non autem perveniunt nisi ad naturalia et voluntaria
quae debent esse etiam, non voluntaria fluctuantia quae non sunt firma nec perveniunt ad
violentiam: violentae enim, aut fiunt per violentiam naturae ve! per violentiam voluntatis, ad
1002 [437]
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quas pervenit resolutio in omnibus violentis. Deinde voluntates fiunt postquam non fuerunt,
et ideo habent causas ex quibus consequenter proveniunt facientibus eas esse debere. Non
est [525] autem voluntas a voluntate, alioquin, iret hoc in infinitum, nec a natura volentis,
alioquin, duraret voluntas quamdiu durare! natura; voluntates autem fiunt a causis quae fiunt
facientibus debere esse, et inducentibus et innitentibus terrenis vel caelestibus, quae faciunt
debere esse necessario illam voluntatem. Naturalia autem, postquam iam sunt constituta,
consta! quod, si fiunt, sine dubio pendent etiam ex rebus caelestibus et terrenis. Iam autem
nosti hoc ex praedictis, sed propter conflictum istarum causarum et impulsum earum et
propter reductionem earum, in ordinem retrahuntur sub motu caelesti.
Cum autem cognita tibi fuerint pòma, inquantum sunt prima, et dispositio eorum in suo
descensu ad sequentia, scies secunda necessario, et ex his nosti quod animae caelestes et
quod est supra eas sciunt particulaòa. Eius autem quod est supra eas cognitio de illis est
modo universali; ipsae vero sciunt modo particulari, sicut videns ve! inducens ad videndum
quod est praesens sensibus; igitur sine dubio sciunt ipsae id quod futurum est, et sine dubio
ipsae sciunt in plerisque particularium quid sit melius et aptius et propinquius bonitati abso-
lutae de duobus possibilibus. Iam autem ostendimus quod imaginationes quae sunt illis cau-
sis sunt pòncipia essendi illas formas hic cum fuerint possibiles, nec fuerint ibi causae cae-
TRATIATO DECIMO- SEZIONE PRIMA 1003

viene] da una natura, o una violenza che proviene da una volontà, e quindi,
infine, è in queste due che si risolve interamente l'analisi delle [azioni] violen-
te; inoltre, tutte le volontà sono dopo non essere state e hanno perciò cause
che, incontrandosi l'una con l'altra, le rendono necessarie 18 . Una volontà non
può esistere 19 in virtù di un'[altra] volontà- altrimenti si andrebbe all'infinito
-né [può esistere] a partire da una natura nel [soggetto] volente, altrimenti la
volontà sarebbe necessaria finché vi fosse [tale] natura. No! Piuttosto, le
volontà si producono in virtù del fatto che si producono cause che sono quelle
che [le] rendono necessarie e che ne sono i motivi; [cause] che si fondano su
[cause] terrestri e celesti e che d'obbligo rendono necessaria una data volontà.
Le [cause] naturali 20 poi, se sono stabili 21 , sono esse stesse un fondamento e
se, invece, sono [anch'esse] venute ad essere, allora senz'altro anch'esse si
fondano su [cause] celesti e terrestri.
Di tutto ciò sei già venuto a conoscenza da quel che si è precedentemente
[rilevato]. E 22 per il fatto che queste cause concorrono insieme serratamente,
collidono l'una con l'altra e si ripetono, c'è un ordine; [un ordine] che ha
corso in relazione al movimento celeste 23 , così che, conoscendo le prime
[cause], in quanto sono prime, e la disposizione del loro corso verso le secon-
de, conosceresti necessariamente (4aruratan) anche le seconde.
E così, da queste cose sappiamo che sia le anime celesti sia le cose che ne
sono al di ~opra conoscono i particolari; quelle che ne sono al di sopra conosco-
no i particolari in modo universale, mentre [le anime li conoscono] in un modo
particolare, come chi abbia un contatto diretto [con le cose] o chi arrivi ad averlo
o chi [delle cose] sia testimone con i sensi. Esse, quindi, conoscono senz'altro
quel che si genera, e nella maggior parte delle cose - tra due modi possibili (min
al-amrayn al-mumkinayn) 24 - conoscono senz'altro25 il modo26 che è il più esat-
to, il più valido e il più prossimo al Bene assoluto. Del resto, abbiamo già
mostrato evidente come le rappresentazioni che appartengono a tali cause siano,
quaggiù, principi dell'esistenza delle forme 27 , se esse sono possibili [e se] lassù
non vi sono cause celesti che siano più potenti di quelle rappresentazioni, tra
quel che è anteriore e che è secondo una delle due divisioni, delle tre, che è
diversa da questa terza. Ma se le cose stanno così, è necessario che una data cosa
possibile si attui come esistente, non a partire da una causa terrestre, né a partire
da una causa naturale nel cielo ma, piuttosto, a partire da un influsso che in un
certo qual modo si ha da queste cose nelle cose celesti28 ; [tuttavia] questo non è
realmente un influsso: l'influsso, piuttosto, è dovuto a quei principi, tra le cose
celesti, [cui si deve] l'esistenza di una data [cosa possibile].

lestes fortiores illis imaginationibus quae sunt priores eis, nec quod est in una parte divisio-
nis praeter hanc tertiam. Cum autem res ita fuerit, necessarium eri t esse id quod est possibi-
le, non ex causa terrena nec ex causa [526] naturali caeli, sed ex. impressione aliqua ab his
rebus in res caelestes; haec autem non est vera impressio, sed est impressio principiorum
1004 l'l"A
[438]

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essendi illam rem a rebus caelestibus. Cum enim illa intellexerint prima, tunc intelligent
illam rem, et cum intellexerint illam rem, intelligent id quod est convenientius esse; cum
autem intellexerint hoc, statim fiet, cum nihil fuerit in eo prohibens, scilicet ve! privati o cau-
sae naturalis terrenae ve! esse causae naturalis terrenae. Priv<uio vero causae naturalis terre-
nae est, verbi gratia, cum aliqua res est faciens esse calorem, sed non est virtus calefaciens
naturalis terrena; calefactio igitur illa fit imaginationi caelesti ob hoc quod bonum est esse
illam, quemadmodum sit in corporibus hominum ex causis imaginationum hominum, sicut
iam nosti ex praedictis; exemplum vero secundi non est prClhibens tantum privatio causae
calefactionis, sed esse causae infrigidationis; imaginationi igitur caelesti de esse calorem
adversatur id quod facit necessario esse frigidum propter vi(JJentiam infrigidandi, quemad-
modum nostram imaginationem irascendi comprimit in nobis causa infrigidans. Modi igitur
huius divisionis sunt permutationes rerum naturalium, ve! inspirationes additae inquirenti
ve! alii ab eo, ve! commixtio istorum quorum unum ve! plura ex eis simul inducant ad finem
utilem. Comparatio autem rogandi ad acquirendam illam virt11tem est sicut comparatio cogi-
tationis ad acquirendam manifestationem rei.
[527] Sed hoc totum fluit desuper, nec hoc totum sequitur ex imaginatione caelestium
tantum, sed quia primus verus novit hoc totum, secundum rnodum quem diximus esse illi
TRATTATO DECIMO- SEZIONE PRIMA 1005

Infatti, quando [tali principì] hanno intellezione delle prime [cause], hanno
intellezione di una data cosa, e quando hanno intellezione di una data cosa,
hanno intellezione di ciò che è più degno [438] di essere; e quando ne hanno
intellezione, non può esservi a questo riguardo alcun impedimento 29 , se non
l'inesistenza di una causa naturale terrestre o l'esistenza di una causa naturale
terrestre. Ora, l'inesistenza della causa naturale terrestre si ha, per esempio, se,
consistendo questa data cosa [di cui si è avuta intellezione] nel fatto che esista
il calore, non vi sia una potenza riscaldatrice naturale terrestre. Il riscaldamen-
to si produrrà allora a causa dell'attività di rappresentazione celeste, in quanto
in esso risiede il bene; d'altra parte, come hai appreso in precedenza, [il riscal-
damento] si produce allo stesso modo nei corpi umani a partire da cause [che
provengono] dalle rappresentazioni umane. L'esempio del secondo [caso si ha
quando] l'impedimento non consiste semplicemente nell'inesistenza della
causa che riscalda, ma piuttosto nell'esistenza di quella che raffredda. Anche
in questo caso, allora, [l'attività] di rappresentazione celeste, [che individua] il
bene nell'esistenza di qualcosa di contrario a ciò che sarebbe reso necessario
dalla I causa) che raffredda, eserdta una violenza su ciò che raffredda; I e ciò
così] come, del resto, la nostra attività di rappresentazione, irritata, esercita
una violenza sulla causa che raffredda che si trova in noi, così che di conse-
guenza si genera il caldo 30 •
Così, i modi [che rientrano] in questo caso31 sono trasformazioni di cose
naturali, ispirazioni che vanno ricondotte a colui che prega o ad altro, oppure
un insieme di tali [cose, in modo che] una di esse, oppure più cose messe
insieme, conducano al fine utile. E il rapporto dell'implorazione nei confronti
della richiesta di questa potenza è lo stesso rapporto che la cogitazione ha nei
confronti della richiesta di una prova evidente32 .
Ma tutto fluisce da sopra. E non è che questo segua le rappresentazioni
celesti, piuttosto, il Primo reale conosce tutto ciò nel modo che abbiamo detto
convenirgli ed è a partire dal [Primo] che ha inizio l'essere di tutto ciò che è,
anche se in virtù della mediazione. E la sua scienza è in questo stesso modo 33 •
È in ragione di queste cose, dunque, che si ha quel che si ricava di bene dalle
preghiere e dai sacrifici, e in particolare per quel che riguarda la richiesta di
pioggia e altre ancora. Perciò è necessario temere le punizioni proporzionate34 al
male e credere alle ricompense proporzionate35 al bene. Nel fatto che siano sta-
bilite reali 36, infatti, vi è un freno al male, ed esse sono stabilite reali perché si
manifestano i loro segni, e i loro segni sono l'esistenza dei loro particolari.

convenientem, ideo ab eo incipit esse omnis eius quod fit, sed mediante aliquo, et secundurn
hoc est scientia eius. Igitur propter has causas prosunt omnibus orationes et sacrificia, t:t
praecipue litaniae pro pluvia et alia huiusmodi; oportet ut timeas reddere malum pro male),
et studeas reddere bonum pro bono cuius rei certitudo faciet te refugere malum. Sed certitQ-
do huius est evidentia miraculorum eius; miracula vero eius sunt esse suorum particularium;
1006 [439]

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haec autem dispositio est intellecta apud principia: oportet igitur ut habeat esse. Si autem
non habet esse, tunc hic est secretum quod nos non apprehendimus, ve! est causa alia impe-
diens ne illud sit dignius esse quam hoc; esse autem illud et esse hoc simul est impossibile.
Cum autem volueris scire quod res quas intelligis utiles inducunt ad commoditates, et quod
sunt in natura secundum modum unitionis quem iam nosti et certus es, considera dispositio-
nem utilitatis membrorum in animalibus et plantis, et quomodo unumquodque eorum crea-
turo est, et non est ibi causa naturalis ullo modo, sed principium eius est sine dubio ex cura
divina, secundum quod tu iam [528] nosti curam. Similiter crede esse istarum intentionum
pendere ex cura, secundum quod tu iam nosti de cura, sicut illa pendent ex cura.
Scias etiam quia quod plus approbat vulgus et tenet et dici t verum est, nec refugiunt hoc
nisi illi qui volunt videri philosophi, eo quod ignorant causas et occasiones istorum; iam
autem in hac maneria fecimus librum de peccato et eius opposito. Inde ergo attende disposi-
rionero istorum omnium, et crede quod dicitur de divinis flagellis quae descendunt super
civitates flagitiosorum et super homines iniuriosos, et considera qualiter defenditur veritas.
Scias etiam quod causa orationis hic et eleemosynae et similium, et similiter eventus iniuriae
TRATI ATO DECIMO- SEZIONE PRIMA 1007

Questo stato è intelletto da parte dei principi ed è perciò necessario che


abbia esistenza; e se non esiste, è perché lassù vi è un segreto37 e una ragione
che non percepiamo, oppure un'altra ragione che fa da ostacolo e che è più
degna di esistere dello [stato che si crede necessario], essendo impossibile
l'esistenza dell'una e dell'altro insieme. E se vuoi conoscere che le cose che
sono state intellette come [439] utili e tali da condurre a un interesse sono state
fatte esistere, nella natura, nel modo di cui hai appreso e di cui hai colto la
realtà, rifletti sul caso dell'utilità delle membra che sono negli animali e nelle
piante e su come ognuna di esse sia stata creata. In ciò non vi è affatto una
causa naturale. Il principio di tutto ciò, piuttosto, è senz'altro la provvidenza
nel modo in cui hai appreso essere la provvidenza. Così va creduto38 nell'esi-
stenza di queste cose (ma 'ani): esse dipendono, infatti, dalla provvidenza nel
modo in cui hai appreso che la provvidenza le fa dipendere.
E sappi che la maggior parte di ciò che la massa sostiene, cui fa ricorso e dì
cui parla è vero, e a respingerlo, per via della loro ignoranza delle cause e delle
ragioni di tutto questo, sono solo quelli che vorrebbero sembrare filosofi.
Abbiamo già composto su tale [questione] il Libro della pietà e del peccato
(Kitab al-birr wa l-it.m)39 ; rifletti40 pure a partire da lì sulla spiegazione di queste
cose, credi a ciò che è riportato dei castighi divini che discendono sulle città cor-
rotte e sugli individui ingiusti e considera come la verità sia vincitrice! La ragio-
ne della preghiera da parte nostra - sappi anche [questo] - e dell'elemosina e di
altro41 , e allo stesso modo il prodursi dell'ingiustizia e del peccato, viene soltan-
to da Lassù. I principi di tutte queste cose, infatti, hanno termine nella natura e
nella volontà e nel caso. Ora, il principio della natura viene da Lassù; le volontà
che ci appartengono, invece, si generano dopo non essere state e ogni ente che sì
generi dopo non essere stato ha una causa; dunque, ogni volontà che ci appartie-
ne ha una causa e la causa di una data volontà non è una volontà, concatenando-
si la cosa all'infinito. Al contrario! [La causa sta in] cose che accadono
dall'esterno, terrestri o celesti; quelle terrestri hanno termine in quelle celesti e
perciò è tutto questo insieme a rendere necessaria l'esistenza della volontà.
Quanto al caso, esso si produce a partire dalle collisioni di queste [cause]. Una
volta risolte, dunque, tutte queste cose finiscono per essere fondate sui principi
che le rendono necessarie42 , i quali discendono43 da Dio, altissimo.

et peccati, non sunt nisi illinc. Principia enim horum omnium perveniunt usque ad naturam
ve! voluntatem ve! casum. Naturae vero principium est illinc. Sed voluntates quae sunt in
nobis, sunt postquam non fuerunt; quicquid autem est postquam non fuit, causam habet; igi-
tur omnis voluntas quae est in nobis causam habet. Causa autem huius voluntatis non tendit
ad infinitum, sed ad aliqua quae accidunt extrinsecus, terrena scilicet et caelestia, sed terrena
perveniunt ad caelestia; collectio igitur horum omnium provenit necessario ex necessitate
divinae voluntatis. Casus autem fit ex concursu horum [529] omnium; cum enim resolveris
omnia, profecto reducentur ad principia quorum necessitas descendit a Deo.
1008 J_,\11 j.,4411 - ;;_r\...11 j,)W.\ tt. [440, 1-10]

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Iudicium autem Dei est prima positio simplex, et mensuratio est id ad quod pervenit
iudicium gradatim, quemadmodum si faceret debere coniunctiones rerum simplicium, quae,
inquantum sunt simplices, referuntur ad iudicium et mandatum divinum primum. Si autem
possibile esset alicui hominum scire omnia ea quae fiunt in caelo et in terra et naturas
eorum, sciret utique quae et qualiter sunt futura. Unde astrologus iste actor iudiciorum, quo-
niam positiones eius primae et propositiones eius non innituntur demonstrationi, sed ali-
quando innituntur experimento vel prophetiae, et aliquando utitur argumentationibus poeti-
TRATI ATO DECIMO - SEZIONE PRIMA 1009

E il "decreto" di Dio, altissimo, è la prima posizione, quella semplice.


[440] La "determinazione" è ciò cui il decreto si dirige gradualmente; come se
essa fosse qualcosa che rende necessario che le cose semplici, che in quanto
sono semplici vanno rapportate al decreto e al Primo comando divino 44 , si
aggreghino.
E se anche a urto [solo] degli uomini fosse possibile venire a conoscere,
tutte insieme, le cose che vengono ad essere- [quelle] della terra e quelle del
cielo - e le loro nature, egli comprenderebbe come dovrebbe avvenire tutto
quel che avviene nel futuro. Ma [costui], questo tale astrologo che parla degli
oracoli [delle stelle ]45 - nonostante il fatto che le sue principali posizioni e le
sue premesse non si fondino su di una dimostrazione, anche se pretende persi-
no di avere avuto l'esperienza o la rivelazione di tali [cose] e per stabilirle
magari tenta dei sìllogismi come quelli della poesia o della retorica - ebbene,
costui si appoggia su prove che riguardano un solo genere di cause degli avve-
nimenti e cioè quelle che sono nel cielo46 ; e oltre a ciò, egli non garantisce in
cuor suo di abbracciare tutti insieme gli stati che sono nel cielo. Ma poi, se
anche potesse garantircelo e potesse comprenderli, non gli sarebbe possibile
fare che noi, e lui stesso, conoscessimo l'esistenza di tutti questi insieme, in
ogni momento; [e così sarebbe] anche se tutti questi fossero, nella loro azione
e nella loro natura, qualcosa di noto per lui: infatti, tutto ciò non sarebbe suffi-

cis vel rhetoricis in sua probatione, ideo non confidit nisi in signis unius generis ex causis
eorum quae fiunt, et hae sunt ea quae sunt in caelo, eo quod non promittat se comprehendere
omnes dispositiones, quae sunt in caelo; quamvis enim hoc promitteret nobis et impleret,
non tamen esset ei possibile ponere nos et seipsum sic ut comprehendamus esse omnium
illorum in unoquoque tempore, quamvis quantum ad actionem et naturam suam omnia illa
sint cognita apud nos; hoc enim non sufficit nisi sciatur an sint vel non sint, quemadmodum
1010 [440, 11-19]

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r-rt~..u.. ,j< \;;~t~ Cf: .Ji ~~::.. \;...\.. cJl.J ' ;l_,;i .}> .)~\ c).ll \;)
~.)\.,..~\

non sufficit tibi scire ignem esse calidum calefacientem et facientem hoc et hoc ad sciendum
quod iam calefecit, nisi prius [530] scìeris eum fuisse ibi. Quae est autem via astrologiae in
arithmetica quae possit nobis dare cognitionem eorum quae fiunt et contingunt in caelo? Si
enim ipse posset ponere nos et seipsum sic ut comprehenderemus hoc totum, non tamen
possemus per hoc praescire absentia. Absentia enim quae sunt in via fiendi non perficiuntur
nisi per commixtiones rerum caelestium, et ideo sustinemus dicere nos scire ea per comple-
tionem sui numeri< ... >, quia enim ex eis quaedam sunt praeterita, et quaedam sequentia, et
TRA TI ATO DECIMO - SEZIONE PRIMA 1011

ciente per conoscere se [una data cosa] è o non è esistita. Ed ecco perché: non
ti basta sapere che il fuoco è caldo e che riscalda e che agisce in tale o tal altro
modo per sapere se ha riscaldato, finché non sai che si è realizzato. E anche se
un qualsivoglia metodo di calcolo ci desse la conoscenza di ogni avvenimento
e di ogni innovazione che riguardi la sfera [celeste], foss'anche tale da render-
ci - noi e lui stesso - tali da conoscere l'esistenza di tutto ciò, non per questo
noi saremmo passati [nella condizione] di conoscere completamente le [cose]
nascoste.
Le [cose] nascoste, infatti, e cioè quelle che vengono ad essere, si portano
a compimento solo in virtù di mescolanze che hanno luogo tra le cose celesti -
e il loro numero concediamo si possa determinare perfettamente47 - e le cose
terrestri: quelle anteriori e quelle concomitanti, quel che di loro è l'agente e
quel che di loro è il paziente, quel che di loro è naturale e quel che di loro è
volontario. [Esse, cioè,] non si portano a compimento solo in virtù di quelle
celesti e perciò, finché non si abbraccia tutto l'insieme di quel che, delle due
cose [quelle celesti e quelle terrestri], è presente e ciò che ognuna di esse
rende necessario e, in particolare, quel che dipende da ciò che è nascosto, non
si può passare a [conoscere] quel che è nascosto. Noi quindi non ci affidiamo
alle asserzioni di costoro, anche se, con benevolenza, ammettiamo che tutte le
premesse della sapienza che ci forniscono, siano vere.

ex eis quaedam sunt agentia et quaedam patientia, et ex eis quaedam sunt naturalia et quae-
dam voluntaria, ideo non possunt compleri haec per sola caelestia, nisi comprehendatur
quicquid continetur in utrisque; necessitas autem uniuscuiusque eorum proprie est id quod
pendet ex absenti, et ideo non possumus comprehendere absentia. Unde non debemus
adhaerere omnino verbis eorum, quamvis concedamus pro beneplacito nostro quod quicquid
dant nobis ex suis propositionibus sapientialibus verum est.
1012 Hl [441]

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II
CAP!TULUM DE STABILIENDO PROPHETIAM ET QUALIS EST ORAT!O PROPHETAE
AD DEUM ALTISSIMUM ET DE PROMISSIONE

[531] Dico autem iam notum esse quod homo differt a ceteris animalibus in hoc quod
vita eius decora non esset, si unus solus esset; non enim solus posset sufficere gubernationi
sui ipsius sine consortio alicuius adiuvantis se in necessitatibus suorum negotiorum.
Necessarium est enim ut uni homini vacanti alius suae speciei ministret, quia, verbi gratia,
hic erit qui afferat illi aliquid, et ille qui oboediet huic, et ille qui consuet huic et illi afferat
acum iste. Curn igitur copulantur sic, fit vita eorum sufficiens et ob hoc etiam fuit necessa-
rium vinciri civitates et congregationes. Quicumque enim neglexerint vinciri civitates secun-
dum condiciones civitatis, sed conveniunt cum aliquibus vivere [532] contenti consortio
eorum tantum, isti tales videntur esse remoti a genere hominum privati perfectionibus
eorum, praesertim cum necessariurn sit sibi vel alii consimili copulaci et assimilari civibus.
1013

[SEZIONE SECONDA]

IN CUI SI STABILISCE LA PROFEZIA E COME SI DIANO L'APPELLO DEL PROFETA


A DIO, ALTISSIMO, E IL RITORNO A Dio48

E diremo, adesso, che è noto che l'uomo si distingue dal resto degli anima-
li in quanto non può ben vivere se è isolato e si occupa da solo, individual-
mente, di amministrare le proprie cose, senza che [un altro uomo] gli si associ
e lo aiuti a [soddisfare] le necessità dei suoi bisogni; [è noto] 49 , invece, l'uomo
deve trovare ciò che gli è sufficiente in un altro [individuo] della propria spe-
cie, in quanto ogni individuo trova in [un dato individuo] o in un suo simile
ciò che gli è sufficiente; così, per esempio, un [individuo] fornirà all'altro i
legumi, mentre questo gli farà il pane50 ; questo cucirà per quello51 e quello gli
fornirà l'ago in modo tale che, una volta messisi insieme, le loro necessità
siano soddisfatte in modo sufficiente. [Gli uomini] perciò, si sono trovati
obbligati a fondare le città e le società. Così, chi fra di essi non si preoccupa di
impegnarsi con la propria città secondo le condizioni della civiltà, limitandosi
semplicemente a dare luogo a un gruppo [formato] da sé e dai suoi compagni,
è disposto a un genere 52 [di vita] ben lontano dal somigliare a quello degli
esseri umani e privo delle perfezioni degli esseri umani; e con tutto ciò, simili
persone dovranno comunque raggrupparsi e assimilarsi ai cittadini.
Dunque, se ciò è manifesto, ecco che vi è immancabilmente bisogno, per-
ché l'uomo esista e permanga [come tale], che [viva] in società53 ; l'associazio-
ne non si porta a compimento se non con la cooperazione così come, poi, a
questo riguardo vi devono essere [anche] tutte le altre cause: per la coopera-
zione vi dovranno essere il retto costume54 e la giustizia, e perché vi siano il
retto costume55 e la giustizia, vi è immancabilmente bisogno di qualcuno che
fondi il retto costume56 e che stabilisca la giustizia. Costui dovrà essere tale da
parlare con oratoria alla gente e da farle seguire il retto costume57 ; sarà un
essere umano, e non potrà lasciare gli uomini con le loro opinioni riguardo alla
[giustizia], perché essi si troverebbero in contrasto [l'uno con l'altro] e ognuno

Quod postquam ita est, manifestum est tunc quod ad permanendum esse hominis neces-
saria est communicatio; communicatio autem non potest perfici nisi contractibus et aliis cau-
sis necessariis quae sunt eius. In contractibus autem necessariae sunt constitutiones et iusti-
tia. Ad constitutiones autem et iustitiam necessarius est constitutor et iustitiae executor.
Necesse est etiam ut hic sit qui persuadeat hominibus servare constitutiones, et necesse est
ut hic si t homo qui non permittat homines sequi suas sententias in hoc et dissentire in viden-
1014 [442,1-9]
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do unusquisque eorum quid sit sibi iustitia et quid iniuria. Unde necessarium est huiusmodi
hominem esse in genere hominum, cuius esse magis necessarium est quam nativitas pilorum
supercilii et palpebrarum, et quam concavitas plantarum et quam multa alia utilia, sed non
necessaria ad permanendum. Esse vero hominem aptum ad instituendum et exsequendum
iura, possibile est, sicut nos iam diximus; unde non potest [533] esse ut illa cura prima pro-
videat illas utilitates, et non provideat istam quae est fundamentum illarum, nec ut princi-
pium primum et angeli post ipsum sciant illas, et non sciant istam, nec ut sciant quid in ordi-
ne rerum possibiliter et necessario debet esse acquisitum ad stabiliendum ordinem bonitatis,
et hoc non sit. Quomodo autem potest esse ut non sit id ex cuius esse pendet eius esse quod
TRA TIATO DECIMO- SEZIONE SECONDA 1015

riterrebbe che quel che va a suo favore sia giusto, mentre quel che gli va con-
tro sia ingiusto.
Ecco allora che il bisogno di un tale uomo, perché la specie umana58 per-
manga e se ne realizzi l'esistenza, è più forte del bisogno [che si ha] del fatto
che cresca la peluria delle ciglia e delle sopracciglia o che la pianta dei piedi
sia cava o di altre cose tra quelle utili che non sono obbligatorie59 [442] per la
permanenza [della specie umana] e che al massimo [potranno] esserle [appun-
to] utili.
L'esistenza di un uomo che possa validamente fondare i costumi e la giu-
stizia è possibile, come si è rivelato [chiaramente] da ciò che abbiamo prece-
dentemente ricordato 60 ; e dunque non può essere che la Prima Provvidenza
esiga tali utilità senza esigere queste, che ne sono il fondamento. Né [può
essere] che il Primo Principio, e dopo di Esso gli angeli, conoscano61 quelle
senza conoscere queste; né [può essere] che quel che, riguardo all'ordine del
bene, [il Primo] conosce [come] possibilmente esistente e come tale da doversi
obbligatoriamente attuare per apprestare l'ordine del bene, non esista62 • Anzi,
come può essere che ciò non esista, se esiste ciò che dipende dalla sua esisten-
za e che sulla sua esistenza è edificato?
È quindi necessario che esista un profeta, è necessario che sia un essere
umano, ed è necessario che abbia una particolarità63 che non appartiene al
resto degli uomini, cosicché gli uomini avvertano che in lui vi è qualcosa che
per loro non esiste e che perciò egli se ne distingue; a lui, infatti, si dovranno i
miracoli di cui si è data notizia. Quando un tal uomo esiste, è poi necessario
che - con il permesso di Dio, altissimo, il Suo comando e la Sua rivelazione e
in virtù del fatto che su di lui sarà fatto discendere lo Spirito Santo64 - fondi
dei costumi [per gli uomini] riguardo ai loro affari.

est? Igitur necessarium est prophetam esse, et necessarium est ipsum esse hominem, et
necessarium est eum habere proprietatem quae non est ceteris hominibus, ita ut homines
percipiant in ipso esse quiddam per quod differat ab ipsis, et illud est miracula quae prae-
diximus.
Cum autem fuerit huiusmodi homo oportebit ut instituat hominibus iura in negotiis
eorum, praecepto Dei et auxilio et inspiratione eius et revelatione sancti spiritus, et ut pri-
1016 [442,10-20]

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~Jl L~;J . ~..ùl tu' .:r tJ..ai Jll ..:.-'-!,l.ùi.J ..:.-~'~' Jt I}_,...L:J r·

mum fundamentum eius quod instituit sit hoc scilicet ut assignet eis quod unum habent fac-
torem omnipotentem, scientem occultum et manifestum et quod de iure eius est ut oboedia-
tur praeceptis eius. Oportet enim ut oboediat mandatis eius cuius est creatura, et quod oboe-
dientibus si bi iam praeparavit promissionem felicem et inoboedientibus promissionem terri-
bilem, ita ut vulgus assuescat eis quae descendunt super linguam eius a Deo et angelis eius,
audiendo et oboediendo.
(534] Non oportet autem ut detineat eos circa cognitionem alicuius rei de Deo, nisi circa
hanc scilicet quod est unus, vivens, non habens similem. Sed si addiderit ut faciat eos crede-
re eum habere esse non signatum in loco, nec divisibile verbo, nec quod est extra mundum
TRATTATO DECIMO- SEZIONE SECONDA 1017

Il primo fondamento in quel che legifererà65 risiede nel fatto che farà loro
conoscere che essi hanno un Artefice - uno, potente - che conosce ciò che è
segreto e ciò che è manifestato e al cui comando di diritto si deve obbedire,
poiché è necessario che il comando spetti a Colui cui appartiene la
creazione66; [farà loro conoscere] che Egli ha predisposto per chi Gli obbedi-
sce il Ritorno che dà felicità e, per chi Gli disobbedisce, il Ritorno che dà sof-
ferenza; [e ciò], di modo che la massa accetti, ascoltando e ubbidendo, il dise-
gno67 che da Dio e dagli angeli è fatto discendere sulla sua bocca.
E conviene che, [riguardo] alla conoscenza di Dio, altissimo, non li faccia
preoccupare con niente che sia più del fatto che [Dio] è Uno, Reale, e che non
ha simili.
Quanto a pretendere da loro che essi credano nella Sua esistenza in quanto
Egli non è designabile in un luogo, né suscettibile di classificazioni verbali 68 ,
né è fuori dall'universo, né è interno ad esso e niente di questo genere, ebbene
ciò sarebbe già un lavoro troppo grande per loro e li sconvolgerebbe riguardo
alla religione che avranno ricevuto 69 • Li porrebbe in una [situazione] dalla
quale non [potrebbe] liberarsi che colui che è aiutato e benedetto [da Dio], e
l'esistenza di un [simile individuo] è straordinaria e rara. Infatti, non è possibi-
le che [gli uomini] si rappresentino tali stati sotto l'aspetto in cui essi sono
[realmente], se non con grande sforzo; solo pochi fra di essi [possono] rappre-
sentarsi la realtà di questa unicità [divina] e la negazione [degli attributiF 0 .
Perciò, [gli uomini] non tarderebbero a negare una simile esistenza e a cadere
nella disputa, dandosi a quelle discussioni e a quei ragionamenti analogici che
li allontanerebbero dalle loro opere nella città71 . O, forse, [simili discorsi] li
farebbero cadere [443] in opinioni contrarie al bene della città e tali da negare

ve! intra, nec quod est aliquid huius generis, tunc magis onerabit eos et turbabit in eis id
quod primum perceperant de fide, et mittet eos in id unde nemo poterit se expedire nisi ille
qui fuerit adiutus a Deo, quem raro contingit esse cui ista dicantur. Vulgus enim non potest
imaginare has dispositiones pro modulo suo; pauci enim ex illis possunt imaginare certitudi-
nem huius unitatis et singularitatis et, quia non credunt esse huiusmodi esse, ideo incident in
haereses et convertentur ad inquisitiones et argumentationes quae retrahunt eos a suis operi-
bus civilibus, et aliquando faciunt eos incurrere in sententias contrarias utilitatibus civitatis,
1018 [443]

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et contradicentes debito veritatis, et multiplicantur eis quaestiones et verisimilitudines, et


tunc legislatori difficile est eos coercere. Non enim fuit in sapientia divina ut omnia essent ei
facilia. Non debet autem legislator dicere vulgo se occultasse aliquid quod eis [535] non
revelaverit, quia non oportet eum esse facilem ad dicendum eis aliquid de his. Immo oportet
ut insinuet eis gloriam Dei et magnitudinem eius, aliquibus nutibus et parabolis sumptis a
rebus quae sunt apud eos gloriosae et magnificae, et cum hoc dicat eis quod non est sibi ali-
quid aliud comparve! simile.
TRATIATO DECIMO- SEZIONE SECONDA 1019

la necessità della verità. In essi si moltiplicherebbero allora i dubbi e le obie-


zioni e il compito di controllarli si farebbe più difficile per un uomo72 • Non
tutti, infatti, riescono facilmente nella divina sapienza73 .
E neppure è bene - per [un tale] uomo 74 - che sia manifesto che in cuor
suo egli [conosce] una verità che nasconde alla [gente] comune. Piuttosto è
necessario che non permetta che si rilevi nulla di simile e, anzi, è necessario
che faccia loro conoscere la maestà e l'immensità di Dio, altissimo, con sim-
boli e immagini a partire dalle cose che per loro sono maestose ed immense
ma che, insieme a ciò, riferisca loro solo questa misura [di cose] e cioè che
Egli non ha eguali e non ha associati e non ha simili75 .
E in questo stesso modo è necessario che per loro fissi la questione del
Ritorno in modo tale che essi possano avere rappresentazione di come sia e
che in ciò abbiano quiete le loro anime. Egli darà, quindi, - della felicità e
della sofferenza - esempi che essi sapranno comprendere e rappresentarsi. Ma
di quella che è la realtà a questo proposito non farà rilucere per loro che qual-
cosa di sommario e cioè che essa "è qualcosa che nessun occhio ha veduto né
orecchio ha udito" 76 e che lassù vi è un piacere che è un'immensa regalità e un
dolore che è un tormento permanente.
Iddio, altissimo, - sappilo - conosce che in ciò è il bene ed è necessario
che qualcosa che è conosciuto da Dio, altissimo, esista, nel modo che hai
appreso; e non vi sarà male, quindi, nel fatto che il discorso [del profeta] con-
tenga simboli e segni che invitino coloro che vi sono predisposti per costitu-
zione naturale a darsi all'indagine speculativa della sapienza77 •

Similiter etiam oportet ut affirmet eis id quod dicitur de promissione taliter ut possint
imaginare eius qualitatem, et quiescant in eo animae eorum, et ut felicitatis et terroris indu-
ca! exempla per quae ipsi intelligunt et imaginant de eis. Veritatem autem huius non detegat
eis nisi aliquid commune, scilicet quod est aliquid quod nec oculus vidit nec aurìs audivit, et
quod illic est regnum delectationis maximae, et doloris est horror aetemus.
Scias autem tu quod Deus sci t modum bonitatis esse in his quae dieta sunt; oportet igitur
ut id quod Deus scit faciat inveniri in hominibus pro modulo suo, sicut nosti; non est autem
malum si inducat in sua rhetorica aliqua capitula assignationum quae aptos naturaliter
moveant ad inquisitionem sapientialem.
1020 [443,13-18]

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III
CAPITULUM DE CULTU DEI ET UTILITATE EIUS IN HOC MUNDO ET IN FUTURO

[536) Hoc autem singulare quod est propheta non est tale cuius esse renovetur omni
tempore; materia enim recipiens perfectionem huiusmodi hominis in paucis complexionibus
invenitur. Unde oportet sine dubio ut propheta iam scripserit expositionem ut permaneat
quod instituit et promulgavit de his quae pertinent ad utilitates humanas; nec est dubium
causam huius rei esse scilicet ut successio hominum sentiat auctorem et promissionem, et
removeatur causa inducens oblivionem eius propter decessum generationis quae consecuta
est prophetam. Unde oportet ut iniungantur hominibus actiones et opera quae assuescant fre-
1021

[SEZIONE TERZA]

SUGLI ATTI DI CULTO E SULLA LORO UTILITÀ QUAGGIÙ E NELL' ALDILÀ 78

Inoltre, l'esistenza di un individuo come questo - e cioè del profeta - non


si ripete in ogni momento. La materia che riceve una perfezione come la sua si
realizza, infatti, in poche complessioni ed è perciò senz'altro necessario che il
profeta- su di lui la benedizione e il saluto di Dio - sia tale da aver ben prov-
veduto a che quei costumi e quelle leggi [religiose] che egli ha istituito, negli
interessi degli uomini, permangano.
[444] Non vi è dubbio che alla base di ciò c'è che gli uomini continuino
nel conoscere l'Artefice e il Ritorno e che sia scongiurata la causa che - con il
passare della generazione successiva a [quella] del Profeta- su di lui la bene-
dizione e il saluto di Dio - ne provocherebbe l'oblio a riguardo. Dunque è
1022 [444]
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quentare temporibus statutis, ad hoc ut suum tempus sit umbra consimilis ei quod iudicatur
ex ipso tempore, ut [537] redeat iterum recordatio rei, et ut non deleatur eius sententia obli-
vione, repetatur aliquid annuatim ve! frequenter. Oportet etiam ut hae actiones sint cognatae
ei quod facit reminisci Dei et promissionis; alioquin, nihil utilitatis est in eis; recordatio
autem ve! fiet verbis quae dicuntur ve! ex proprio corde recordante imaginationis; et ut dica-
tur eis quod hae actiones approximant ad Deum gloriosum et altissimum et faciunt promere-
ri bonitatem largissimam, et quod hae actiones vere su nt hoc modo. Hae autem actiones sunt
quasi divina obsequia, quae iniunguntur hominibus. Omnino enim oportet hic esse aliqua
quibus excitentur homines. Excitantia autem sunt ve! motus, ve! privationes motuum ducen-
tes ad motus; motus vero sunt ut orationes, privationes vero motuum sunt ut ieiunium quod,
quamvis sit res privatoria, movet tamen naturam motu forti qui facit percipere hominem
quod ipsum est unum de mandatis et quod non fit in cassum, et per hoc recordatur eius quod
intendi t et quia est appropinquatio ad Deum.
Oportet autem, si possibile fuerit, ut cum his dispositionibus commisceat alias commo-
ditates ad confortandum et exponendam consuetudinem; commoditates vero mundanae
hominibus sunt etiam [538] ut agant eas, sicut est expugnare infideles, et ire in peregrinatio-
nes; et ut designet !oca orationum, et quod ipsa sunt aptiora omnibus aliis locis ad servien-
TRATTATO DECIMO- SEZIONE TERZA 1023

necessario che agli uomini siano prescritte alcune azioni e alcune operazioni,
da reiterare in periodi [di tempo] ravvicinati, di modo che, una volta svanito il
tempo designato per l'una, sia vicinissimo quello per l'altra79 ; e così, in virtù
di tali [azioni], il ricordo si ripresenterà da capo e, prima che [un'azione]
scompaia, quella successiva le terrà immediatamente dietro. È necessario poi
che tali azioni siano accompagnate da qualcosa che ricordi Dio e il Ritomo 80 ;
altrimenti, in esse non vi sarebbe alcun guadagno. Ora, la rammemorazione 81
non si fa che per mezzo di espressioni che si pronunciano o di intenzioni 82 che
si formulano nell'immaginazione; ed è [necessario] che si dica loro che tali
azioni rendono prossimi a Dio - altissimo - e che, grazie a esse, si merita
generosa ricompensa83 [ed è anzi necessario] che tali azioni siano realmente in
questo modo.
Queste azioni sono come quegli atti di culto che si richiedono obbligatoria-
mente agli uomini 84 ; insomma: deve trattarsi di modi per tenere sveglia l'atten-
zione e [le azioni] che risvegliano l'attenzione o sono movimenti o assenze di
movimenti che implicano dei movimenti85 : i movimenti sono come la preghie-
ra; le assenze di movimenti sono come il digiuno. Infatti, pur consistendo in
una privazione86 , [il digiuno] suscita intensamente nella natura un moto e risve-
glia colui che digiuna al fatto che è in una situazione che non è priva di impor-
tanza87, in modo che egli si ricordi perché abbia da guadagnarvi, [tenendo a
mente] cioè l'esser prossimo a Dio, altissimo. E, se è possibile, è necessario
che a tali disposizioni si mescolino [anche] altri interessi per rinforzare ed
estendere il costume della legge88. E nel fare queste [cose stanno] per gli uomi-
ni anche le utilità del mondo di quaggiù; cose [simili] sono come la lotta [sulla
via di Dio] e il pellegrinaggio89 . In tal senso, alcuni siti del paese si determine-
ranno più degni di altri per il culto di Dio e propri di Dio - altissimo - e si
determineranno alcune azioni che gli uomini dovranno immancabilmente fare 90
e che riguarderanno lo stesso Dio- altissimo- come i sacrifici 91 ; essi, infatti,
sono a questo riguardo [cose] di grande aiuto. Se poi il luogo che, a questo
riguardo, avrà un'utilità di questo genere sarà quello che sarà servito al legisla-
tore come rifugio e abitazione, esso sarà anche tale da serbame il ricordo 92 ,
venendo però il ricordo che di lui [si deve avere] riguardo all'utilità menzionata
dopo il ricordo di Dio, altissimo, e degli angeli. E poiché non può essere che
uno [stesso] luogo di rifugio stia davanti agli occhi di tutta quanta la nazione, è
opportuno [445] che si prescriva di andarvi in migrazione e in viaggio 93 •

dum Deo, et quia sunt propria !oca Dei, et ut assignet actiones necessarias hominibus quae
pertinent ipsi Deo, ut sacrificia, eo quod multum valent ad hoc. Loca autem utiliora ad desi-
gnandum sunt ea in quibus conversatus est legislator et ubi habitavit, quia propter ea recor-
datur eius; utilitas autem huius recordationis consequens est utilitatem recordationis Dei et
angelorum. Sed quia hic unus locus prophetae non potest aequidistare ab omni populo, ideo
oportet iniungi iter peregrinationis ad illum.
1024 [445]
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Et oportet dici quod, ex his omnibus obsequiis, id est acceptabilius per quod agens paratur
quasi sit loquens in Deo et tendens in ipsum et ad ipsum factus quasi praesens ei, et hoc est
oratio. Unde oportet ut doctor doceat oratorem dispositiones quibus praeparatur ad orandum,
quemadmodum consuevit homo praeparare se ad occurrendum regi humano in munditia et
decore, et ut faciat assuescere munditiae et decori firma consuetudine, et instituat eum ad
modum hominis [539] praeparantis se in occursum regum cum humilitate, demisso vultu,
compressis membris, cessans a revolutione et omni perturbatione. Similiter debet instituere
doctrinas et descriptiones laudabiles serviendi Deo in unoquoque tempore. Hae enim disposi-
tiones prosunt vulgo ad imprimendum memoriam Dei in animabus eorum, et ut devotio
eorum circa legem et mores sit fmnior eis propter hoc. Si enim non essent eis huiusmodi com-
memorantia, obliviscerentur horum omnium post decessum unius generationis ve! duarum.
Haec etiam multum prosunt ad promissionem, quia laetificant animas eorum, sicut nosti,
sed haec omnia potius prosunt maioribus ad promissionem. Iam autem stabilivimus disposi-
tionem verae promissionis, et ostendimus quod felicitas alterius mundi acquiritur vacatione
animae et libertate et elongatione eius a contrahendo disposìtiones corporales quae sunt con-
TRATTATO DECIMO- SEZIONE TERZA 1025

È necessario, poi, che il più nobile degli atti di culto, sotto un [certo] aspet-
to, sia quello per cui si suppone che colui che vi si dedica si rivolga a Dio, altis-
simo, conversi in segreto con Lui, si indirizzi a Lui e stia al Suo cospetto; eque-
sta è la preghiera94 • Ed è quindi necessario che a colui che prega si diano per
costume le disposizioni con le quali prepararsi alla preghiera, come ciò che
l'uomo fa da sé, abitualmente, per quanto riguarda purezza e pulizia, in occasio-
ne dell'incontro con un re umano; [così è necessario] che, riguardo alla purezza
e alla pulizia, gli si diano per costume delle disposizoni gravi, assegnandogli per
costume ciò che abitualmente [un uomo] fa quando incontra i re, [e cioè] la
riverenza, il silenzio, la modestia dello sguardo, le membra giunte, l'astenersi
dal girare il dorso o dall'agitarsi; e così gli sarà dato costume [di mantenere], in
ognuno dei momenti del culto, un atteggiamento e dei gesti lodevoli.
Queste azioni, infatti, sono utili alle persone comuni per rinsaldare nelle
loro anime il ricordo di Dio, altissimo, e del Ritorno. È in ragione di tali [azio-
ni] che esse avranno un durevole attaccamento ai costumi95 e alle leggi [reli-
giose]; se non vi fossero 96 tali rammemorazioni, infatti, esse dimenticherebbe-
ro tutto quanto con il passare di una o due generazioni; queste [cose] sono loro
utili anche per il Ritorno, e di una grande utilità, in quanto con ciò le loro
anime si liberano, come sai 97 .
La maggiore utilità che i colti ed eletti trovano in tali cose concerne invece
il Ritorno. Abbiamo fissato quale sia il Ritorno che è reale e abbiamo stabilito
che la felicità nell'altra [vita] si acquisisce con la liberazione dell'anima; e
liberare l'anima consiste neli' allontanarla98 dali' acquisire le disposizioni cor-
poree contrarie alle ragioni della felicità. Ora, questa liberazione si ottiene con
i [buoni] costumi e i [buoni] abiti, e [buoni] costumi e [buoni] abiti si acquisi-
scono grazie ad alcune azioni che di per sé distolgono l'anima dal corpo e dai
sensi e la mantengono nel ricordo della sua sorgente; così, quando è tale da
tornare spesso alla sua propria essenza, essa non patisce gli stati corporei. Ora,
fra le azioni che [le] rammemorano tale [ritorno] e la aiutano in tal senso vi
sono quelle spossanti, estranee 99 al corso abituale della naturale costituzione
lfitra) e che sono, anzi, più prossime all'abnegazione (takalluj) 100 • Esse, infat-
ti, spossano il corpo e le potenze animali e mortificano 101 la loro volontà di
riposo, di ozio, di rifiuto [della necessità] di fare sforzi e di raffreddare l'istin-
tivo calore, nonché di scartare l'esercizio se non per arrivare a scopi [446]

trariae causis felicitatis. Haec autem libertas animae acquiritur moribus et habitibus; mores
vero et habitus acquiruntur actionibus quarum natura est retrahere animam a corpore et a
sensibus, et faciunt durare memoriam eius in minera ad quam pertinet; cum autem multum
fuerit retracta ad se, non patietur a dispositionibus corporalibus. Ad memorandum autem
ista, adiuvant [540] actiones laboriosae quae sunt praeter usum naturae et ultra vires; hae
autem affligunt corpus et vires animales et destruunt voluntates eorum, quae sunt quietis et
otii et subterfugiendi laborem et congelandi naturam et discedendi ab exercitio nisi acqui-
1026 [446)

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rendi intentiones bestiales. Naro propter exercitium illorum motuum venit in animam recor-
datio Dei et angelorum et saeculi felicitatis, velit nolit. Propter hoc igitur est infixa sibi
voluntas discedendi ab hoc corpore et ab eius impressionibus, et fit ei habitus dominandi
corpori et non patiendi ab eo; cui, si advenerint actiones corporales, non tamen agent in euro
dispositiones et habitus suarum impressionum quasi sit deditus eis et oboediens omni modo;
et ideo dix it propheta veritatis quod "eleemosynae tollunt peccata". Sed, si durat in homine
haec actio acquiret ei habitum intendendi ad partem veritatis et refugiendi falsitatem, et fit
avidissimus ad evadendum ad felicitatem post separationem sui a corpore.
TRATTATO DECIMO- SEZIONE TERZA 1027

[propri] dei piaceri bestiali. Ali' anima che si impegna in tali movimenti - lo
voglia o no - è imposto il ricordo di Dio 102 e degli angeli e del mondo della
felicità, così che in essa si fissa la disposizione d'avversione a quel [dato suo]
corpo e al suo influsso e [si fissa] l'abito a dominare il corpo in modo che essa
non ne patisca [l'azione]. Allora, se anche le accade [di compiere] azioni cor-
poree, queste non hanno influsso su di lei con quella disposizione e quell'abito
che avrebbero se essa vi fosse sottomessa e se ne lasciasse guidare sotto ogni
aspetto. Perciò, chi dice il vero ha affermato che "le buone azioni cacciano le
cattive" 103 .
Se tale modo di agire da parte dell'uomo è durevole, egli acquisisce l'abito
a rivolgersi al lato del Reale e a distogliersi dal vano e diviene intensamente
preparato a esser libero per la felicità dopo la separazione dal corpo. Se un
agente facesse tali azioni senza esser convinto che esse siano un obbligo che
viene da Dio ma (wa), nonostante tale sua convinzione, ad ogni azione fosse
costretto a ricordare Dio e a distogliersi da quel che è diverso da Lui, egli
sarebbe in parte già degno di arrivare a tale purezza; come [sarà], dunque, se
ad adoperarsi [a tali azioni] è chi sa che il Profeta viene da Dio, altissimo, e
che da Dio, altissimo, è inviato, e che la missione del [Profeta] è necessaria
nella sapienza divina 104 , e che tutto quel che è stato istituito è solo quel che da
parte di Dio è necessario istituire, e che tutto quel che è stato istituito viene da
Dio, altissimo? Così, al profeta è imposto da parte di Dio di imporre l'obbligo
degli atti di culto; e il guadagno che coloro che li praticano trovano in essi
consiste nel fatto che così il costume 105 e la Legge 106 [religiosi] - che sono
cause dell'esistenza degli [uomini] -permangono in loro e, per la loro purez-
za, al momento del Ritorno, li rendono prossimi a Dio 107 •
Inoltre, questo [tale] uomo [ossia il profeta] sarà dotato in modo da poter
governare i [diversi] stati degli esseri umani, così che trovino un ordinamento
le ragioni della vita [umana] come gli interessi del Ritorno degli [uomini a
Dio]. Egli sarà un uomo che, in virtù del suo [carattere] divino, si distingue dal
resto degli uomini.

Has autem actiones, si quis egerit et non crediderit eas esse a Deo, sed crediderit quod in
omni actione oportet eum recordari Dei et postponere cetera alia, hic aliquem gradum mer-
cedis consequetur per [541] hoc; quanto magis, cum agit eas ille qui scit quod propheta ex
Deo est et ex missione eius, et quod in sapientia divina necessarium est ipsum mitti, et quod,
quicquid constituit, non est nisi id quod apud Deum fuit ut constitueretur, et quod constituit
ex Deo est. Prophetae igitur iniunctum est a Deo ut stabiliat cultum eius, ex quo utilitas quae
provenit cultoribus, in hoc quod facit permanere legem et consuetudinem in illis quae sunt
causae esse eorum, et in hoc quod in tempore promissionis facit eos proximos Deo, est prop-
ter eius sanctas benedictiones.
1028 Hv [447]

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IV
CAPITULUM DE LIGATIONE CIVITATIS ET DE LIGATIONE DOMUS SCILICET DE COITU ET DE CONSTI-
TUTIONIBUS GENERALIBUS IN 1-IOC

[542] Oportet ut instituendo legem haec sit prima intentio, scilicet ordinare civitatem in
tres partes, dispositores et ministros et legis peritos, et ut in unoquoque ordine istorum ordi-
netur aliquis praelatus post quem ordinentur alii praelati inferiores eo consequenter, et post
hos iterum alii ordinentur consequenter, quousque perver,iatur ad paucos, ad hoc ut nullus
sit in civitate inutilis qui non habeat aliquem statum laudabilem, sed ab unoquoque prove-
niat utilitas civitati.
Et ideo prohibeat otiositatem et vacationem, ita ut nu\lus praetermittatur qui, secundum
quod sibi competit, non habeat aliquem supra se, nec sit a,Jiquis qui non oboediat alicui alii.
Huiusmodi enim homines omnino compescendi sunt; qui autem non patiuntur com-
[543]pesci, expellendi sunt a civitate. Cum autem causa ht)ius fuerit infirmitas ve! nocumen-
1029

[SEZIONE QUARTA)

SULL'ISTITUZIONE ('AQD) DELLA CITTÀ E SULL'ISTITUZIONE DELLA CASA E CIOÈ


SUL MATRIMONIO E SUI COSTUMI GENERALI ISTITUITI A QUESTO RIGUARDO

È necessario che il primo intento di colui che istituisce i costumi nel porre.
i [retti] costumi risieda nel dare un ordinamento [gerarchico] alla città 10$
secondo tre parti- i governanti, gli artigiani, i guardiani 109 ; [dovrà poi] ordina-·
re per ogni genere di essi un capo sotto al quale si ordinino [gerarchicamente J
altri capi che lo seguano, e ordinare sotto di essi 110 [ancora altri] capi che H
seguano, fino a terminare con il popolo comune. Così, nella città nessun uomo
resterà inattivo, senza avere un posto determinato; anzi, ogni uomo avrà una
tsua1 utilità nella città,
[Ancora, intento di colui che istituisce i costumi sarà] di vietare l'ozio e
l'inattività; a nessuno che sia inattivo e non gravato di un impegno dovrà esse(
permesso di aver modo di trarre da un altro quel che è indispensabile alla vita
dell'uomo. Coloro [che sono inattivi] è necessario che siano rifiutati in tutti i
modi; e se non si redimeranno, li si caccerà dal territorio. Se però la ragione di
una tale [inattività] è una malattia o un incidente, allora [a coloro che non pos-
sono lavorare] sarà riservato un luogo; in esso simili persone saranno [accolte]
e su di essi [veglierà] un intendente.
Ed è necessario che nella città vi sia del capitale comune; una parte di esso
verrà dai diritti che saranno dovuti 111 sui beni acquisiti e su quelli naturali,
come i frutti e i prodotti 112 ; una parte sarà dovuto alle pene [pecuniarie]; una
parte proverrà dalle ricchezze di coloro che si oppongono alla legge 113 , e cioè
dai bottini. Ciò costituirà una quantità [di denaro utile] agli interessi comuni, a
supplire alla mancanza ldi denaro] dovuta ai guardiani, i quali non sono occu-
pati a produrre, e a provvedere a coloro che hanno malattie e infermità croni-
che che impediscono loro di guadagnarsi da vivere. Fra gli uomini vi è chi ha
ritenuto che, fra [i malati], quelli che non hanno speranza di guarigione andas-
sero uccisi; ma questo è orribile: il fatto di doverli sostenere 114 non danneggia

tum aliquod, tunc constituendus est eis locus in quo permaneant huiusmodi homines et
deputetur eis procurator. Oportet autem ut in civitate si t quidam modus reipublicae quae par-
tim proveniat ex iure quod instituitur contractibus, partim ex his quae de terra ve! utero
nascantur, partim ex calumniis quae pro poena infliguntur, partim ex praedis rebellium, et ut
haec respublica sit praeparata communibus usibus, et ut de illa detur sumptus legis doctori-
bus et illis qui non possunt lucrari unde vivant propter infirmitatem. Quibusdam autem
visum fuit debere occidi eum de cuius languore desperatur, quod abominabile est. Expensa
1030 [448]
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enim eorum non gravat civitatem, nam, si aliquis eorum habet cognatos habentes superflua,
ipsi sustentent eum. Totam autem calumniam non cogatur persolvere solus ille qui peccat,
sed adiuvent eum sui proxiroi qui non custodierunt nec coroposuerunt euro, et leve sit quod
cogitur perso! vere, et hoc non cum severitate exigatur, sed cum mansuetudine; hoc autero sit
curo culpa perpetratur industria, quae non debet ignosci.
[544] Non solum autem debet prohibere otia, sed etiam studia propter quae amittuntur
haereditates et census, ita quod nulla utilitas provenit ex eis, sicut qui cupit vincere causa
a\icuius lucri ut \uctator vel aleator: hic enim accipit et non prodest civitati, sed oportet ut
qui accipit, accipiat pro studio afferente fructum ali i ut si t commercium, vel substantiae vel
alicuius alterius utilitatis, ve! commercium bonae famae vel aliorum huiusmodi quae enume-
rantur inter bona humana. Similiter etiam debet prohibere studia hominuro quae inducunt
contraria utilitatibus, sicut doctrina furandi et rapiendi et decipiendi et aliorum huiusmodi, et
ut prohibeat etiam actiones quae, si negliguntur, inducunt contrarium constructioni civitatis,
sicut fomicatio et sodomia quae retrahunt homines ab eo quod melius est in civitate, scilicet
coniugio.
TRATIATO DECIMO- SEZIONE QUARTA 1031

la città e se poi tali persone avranno fra i loro parenti chi possiede più del
necessario, gli si imporrà di farsene carico.
[448] Non tutte le ammende si riserveranno a chi è l'autore di un crimine;
bisogna invece che alcune di esse siano riservate a coloro che, avendo respon-
sabilità su di lui, o essendogli vicini, non Io dissuadono né Io controllano. E
[l'ammenda] che sarà loro riservata sarà alleggerita dal tempo [che si conce-
derà perché possano soddisfare] la richiesta. Questo è [quanto] si farà per i cri-
mini che hanno luogo per errore; infatti, benché abbiano luogo per errore, non
è possibile trascurare il problema [che essi rappresentano].
E come va proibito l'ozio, così è necessario proibire quelle attività in cui si
hanno trasferimenti di beni o di utili senza che in compenso vi sia un interesse
[comune], come è il gioco d'azzardo; infatti il giocatore prende senza dare
nulla di utile, mentre è necessario che chi prende prenda in virtù di un'attività
con cui [in cambio] offra un guadagno che sia una ricompensa: una ricompen-
sa che consista o in [qualcosa di] sostanziale, o in un'utilità o in un bel ricordo
o in qualcosa d'altro tra [quelle cose] che, per gli uomini, sono tenute in conto
come beni 115. E analogamente è necessario proibire quelle attività, come
apprendere a rubare, a fare brigantaggio, a capitanare [una banda] o altro, che
vanno contro i [comuni] interessi e le [comuni] utilità.
E si proibiranno anche quelle attività - come l'usura - che distolgono gli
esseri umani dall'apprendere quelle che entrano [nella costituzione] della
società; [l'usura] consiste, infatti, in una ricerca di maggior guadagno senza
che [a ciò corrisponda] un'occupazione per ottenerlo, [e questo] anche se essa
è 116 in cambio di una [qualche] utilità.
E si proibiranno anche quelle azioni che, quando vengono tollerate, condu-
cono al contrario di ciò su cui è fondata la città; [queste sono] come la fomica-
zione117 e la sodomia, le quali portano a fare a meno del miglior pilastro della
città, ossia del matrimonio.
Inoltre, la prima cosa su cui è necessario legiferare è la questione del
matrimonio 118 che conduce alla riproduzone; [è necessario] invitare e incitare
ad esso; in virtù del [matrimonio], infatti, [si realizza] la permanenza delle
specie, e la loro permanenza è una prova che indica l'esistenza di Dio- altissi-
mo; [si deve] ordinare [il matrimonio] in modo tale che esso abbia luogo in
modo pubblico 119 , perché non vi siano dubbi sulla progenitura e a causa di ciò
[non] si abbiano problemi riguardo al passaggio delle eredità, [449] che sono

Deinde quod primum debet instituere in civitate coniugium est, quod inducit generatio-
nem, et ut faciat illud nimis concupisci; per ipsam enim remanet species, cuius permanentia
signum est divinae clementiae. Et doceat ut manifeste fiat coniugium, ne de generatis con-
tinga! dubitatio et erubescentia, et eveniat ob hoc alienatio patri-[545]moniorum quae sunt
radices substantiae, quae est necessaria vitae. Substantia enim partim est ramus, partim
1032 [449]

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radix, sed radix est patrimonium, ve! aliquid quod est testamento legatum, ve! datum, ex
quibus tribus radicibus firmior est patrimonium, quia non est ex fortuna ve! ex casu, sed ex
consuetudine, sicut naturale. Ex occultatione autem coniugii contingunt aliquando nocumen-
ta aliis modis, sicut debitum unius sustentandi alium et adiuvandi se, et alia huiusmodi quae
si consideraverit sapiens, intelliget per se.
Oportet etiam ut doceat firma esse iura huius copulationis, ne ex unaquaque ira prove-
niat divortium, et sequatur inde divisio copulae quae coniungit filios et parentes, et in una-
quaque vice egeat alio coniugio, in quo sunt multae species nocumentorum. Maior autem
utilitas in his est amor; amor vero non acquiritur nisi consortio, sed consortium non acquiri-
tur nisi consuetudine; consuetudo vero non fit nisi diutina familiaritate. Hoc autem firmius
debet esse ex parte mulieris, ne habeat potestatem discedendi a viro quando voluerit; ipsa
TRATTATO DECIMO- SEZIONE QUARTA 1033

le radici delle ricchezze. La ricchezza, infatti, è indispensabile per vivere; e vi


sono ricchezze che sono [come] una radice e altre che sono [come] ramifica-
zioni. Quelle che sono la radice sono o ereditate oppure trovate oppure ricevu-
te in dono, e la più salda di queste tre è quella che si è ereditata perché non
deriva né da fortuna né da caso, ma passa al contrario per una via che è come
quella naturale.
A questo riguardo - e cioè nel tenere segrete le nozze - possono aversi dei
problemi anche sotto altri aspetti, come il fatto che uno potrebbe dover pagare
a un altro una pensione o che vi dovrebbe esser aiuto reciproco o [qualche]
altro [problema che] chi è intelligente conosce, se riflette su [tale questione].
È necessario che si affermi anche la stabilità di questo legame, in modo
tale che non possa esservi una separazione tutte le volte che ci si spazientisce,
e che l'unione che mette insieme i figli e i genitori non si disperda e non si
ripresenti così nuovamente il bisogno che ogni essere umano ha di sposarsi. In
ciò risiedono molti tipi di danno perché la maggior causa del bene è l'amore 120
e l'amore non si realizza che con la familiarità; questa si attua solo con l' abitu-
dine e a sua volta l'abitudine non si ha che per la lunga frequentazione. E la
conferma [di questo legame] da parte della donna si avrà in quanto non si
[lascerà] la decisione di tale separazione nelle sue mani; essa infatti, in realtà,
è fragile nell'intelletto 121 ed è portata a obbedire alla passione e all'ira. È
necessario, tuttavia, che vi sia una via per separarsi e che non se [ne] escluda
[la possibilità] in modo assoluto, perché rifiutare totalmente le ragioni della
separazione comporta molti danni e problemi, fra cui il fatto che alcuni carat-
teri [naturali] non possono stare insieme ad altri caratteri; così, tanto più si
tenti di riunirli, tanto più fra di essi crescono l'odio e l'avversione e la vita
diviene insopportabile 122 .
Fra questi vi è poi il fatto che alcuni hanno un coniuge incapace, che non
ha una buona condotta nella vita familiare o che ha la natura in avversione, e
questo può diventare uno stimolo a desiderarne un altro, perché il desiderio è
[qualcosa] di naturale; e ciò può condurre a [diversi] tipi di corruzione; oppure
potrà anche essere che i due sposi non collaborino per la prole mentre, sosti-
tuendo uno dei due, potranno collaborare; bisogna dunque che vi sia una via
per separarsi, ma bisogna essere severi a riguardo.

enim facilis est ad irascendum et ad concupiscendum. Unde oportet ut liceat viro aliquando
dimittere uxorem, alioquin, multa [546] damna provenient. Poterunt enim talis naturae esse
coniuges ut, quo magis coguntur simul manere, magis odiant se, et proveniet inde maximum
malum; aliquando enim erit aliquid inter eos quod abhorreat natura et hoc compellet eos
quaerere alia coniugia, quoniam voluptas naturalis est; aliquando vero coniuges erunt tales
quod non adiuvant se ad generandum, sed, si coniunguntur aliis, generabunt. Unde oportet
ut interveniat ibi separatio, sed oportet ut hoc difficile permittatur et ut uter eorum duorum
1034 [450]

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fuerit stultioris sensus et magis perversus, non habeat haiiC potestatem. Relinquatur autem
hoc arbitrio iudicis, quousque cognoscatur causa discordiae, et tunc separentur, ad hoc ut vir
persolvat aliquid mulieri. Et praeter hoc, quod melius est relinquere paci locum, et ut diffici-
lius sit ei ipsam revocare quam dimittere, unde praeceptum est in lege sic, ut postquam
dimissa fuerit, non possit revocari nisi prius alii nupserit; quod cum scierit vir, fiet ei diffici-
le uxorem dimittere, nisi fuerit vilis homo qui [547] parvipendit verecundiam propter delec-
tationem aliquam, sed nos non curamus de huiusmodi hominibus.
TRATTATO DECIMO- SEZIONE QUARTA 1035

[450] Quanto poi a quello che, dei due individui, sia il più debole d'intel-
letto o sia il più contraddittorio e confuso e volubile, non gli si attribuirà alcun
[diritto] a questo riguardo, anzi, si conferirà [un diritto] ai giudici, in modo
tale che questi, una volta informati della cattiva compagnia che viene all'altro
dal coniuge, decidano la separazione. Per l'uomo poi, ciò comporterà una
multa che non gli sarà inflitta che dopo averne stabilito [la colpa] e [mostrato]
che sotto ogni aspetto è giusto [infliggergliela] 123 .
E con [tutto] ciò, la cosa migliore è lasciare un modo per la riconciliazione
senza insistere in questa direzione perché non venga ad essere un'occasione di
obbedienza per chi è sconsiderato. Anzi, si farà in modo che ritornare [con il
coniuge] sia più duro che dare inizio [al matrimonio]. E quale saggezza vi è in
ciò che ha ordinato il migliore dei legislatori, e cioè che [a un uomo] non sia
concessa [una donna] dopo il terzo [ripudio] se non dopo che egli abbia
ingoiato un'amarezza sopra alla quale non c'è nulla, e cioè che permetta ad un
altro uomo di sposare la propria moglie - con un matrimonio valido, così che
quello abbia autentici rapporti con lei! 124 Infatti, se egli avrà una tale disgrazia
davanti ai suoi occhi, non ricorrerà alla leggera alla separazione, a meno che
non abbia deciso per la separazione definitiva; oppure vi sarà meschinità [in
lui]l 25 e allora non vedrà inconvenienti nel fatto che scoppi uno scandalo, pro-
vandone piacere; ma gente simile esce fuori dal novero di coloro dei cui inte-
ressi bisogna occuparsi.
La donna ha diritto a essere protetta perché [altri] possono associarsi al
desiderio che se ne ha 126 , e [perché] è molto attraente e, insieme a ciò, è più
facilmente sottomissibile [dell'uomo] e meno obbediente all'intelletto; l'asso-
ciazione riguardo [alla donna] dà luogo a disprezzo ed enorme vergogna- che
sono danni ben noti 127 - mentre l'associazione riguardo all'uomo non dà luogo
a vergogna ma a invidia, e ali' invidia non si [deve] fare attenzione perché essa
è obbedienza al diavolo 128 . Ora, per tutte [queste ragioni] si prescriverà per
legge riguardo [alla donna] che essa sia velata e al riparo dagli sguardi, e per-
ciò non conviene che la donna faccia parte- come l'uomo 129 - di coloro che
guadagnano e le si prescriverà per legge di essere mantenuta dall'uomo.
L'uomo dunque, dovrà provvedere [alle sue spese]; e tuttavia sarà necessario
che l'uomo riceva in cambio una ricompensa e cioè che egli la possieda senza
che ella [possa] possederlo, [451] così a lei non sarà concesso di sposarsi con

Iustum est autem ut mulier custodiatur; est enim parvi sensus et deceptibilis et magnae
voluptatis, ex cuius communione provenit ignominia et verecundia maxima; ex communio-
ne vero viri non provenit ignominia, sed invidia; et ideo debent custodiri portae et cortinae.
Debet etiam vir mulieri ministrare necessaria, quia pro hoc accipit retributionem, cum ipse
dominatur et ipsa si bi obtemperat. Licet etiam viro ducere quot voluerit, sed non licei mulie-
1036 [451,1-8]

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ri; utilitas vero coitus utrique communis est, sed portio mvlieris maior est et delectatio eius
in filiis maior est.
Oportet etiam ut parentes nutriant filios, ita ut mater praebeat quod est suum proprium
et pater ministret expensas. Doceat etiam ut tilius serviat et oboediat parenti bus et revereatur
et commendet eos: ipsi [548] enim sunt causa esse eius; pr<Jeter hoc autem, quia iam multum
laboris sustinuerunt propter eum.
TRATTATO DECIMO- SEZIONE QUARTA 1031

altri. L'uomo, invece, non ha divieti a questo riguardo, benché gli sia proibito
di superare un numero [di mogli] oltre il quale non gli sia possibile soddisfar~
le necessità di coloro che ha a carico 130 ; e in cambio di ciò vi sarà il possessO
del sesso della donna 131 • Con il possesso del sesso non intendo dire l'union~
sessuale; il godimento dell'unione sessuale è infatti condiviso dai due [coniu-·
gi] e il vantaggio che vi è per lei è anche maggiore di quello che si ha per lui
ed egualmente è per quanto riguarda la felicità di avere dei figli e di gioirne:
[con ciò] intendo, invece, che non sia dato modo di usare di lei 132 ad altri eh~
al marito.
Per quanto riguarda il figlio si prescriverà per legge che ognuno dei dut:-
genitori si faccia carico della sua educazione, la madre per quanto riguarda cièl
che le è proprio 133 e il padre per il mantenimento. E così anche al figlio si pre-·
scriverà per legge di servire, obbedire, rispettare e riverire ambedue [i genito-·
ri]. Ambedue infatti sono la ragione della sua esistenza e insieme a ciò hannc
sopportato l'impegno [di farlo crescere, cosa] che è talmente lampante che noli
vi è bisogno di darne una spiegazione.
1038 [451,9-17]

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CAPITULUM DE ELIGENDO SUCCESSORE ET SUMMO SACERDOTE
ET DE CONTRACTIBUS ET DE MORIBUS

Post hoc, oportet ut propheta constituat sibi successorem de genere suo, sed cum con-
sensu maiorum et vulgi, et ut talem eligat qui bene regere possit, et sit prudens et honesto-
rum morum, scilicet audax et mansuetus et peritus gubernandi et peritus legis, quo nullus sit
peritior, et hoc sìt manifestum omnibus. Si autem postea discordaverint in hoc, ita ut alium
velint eligere, iam negaverunt Deum. Et ideo debet [549] interponere iudicia in lege sua, ut
quisquis se intrudere voluerit potentia vel pecunia, tota civitas unanimiter irruat in eum et
occìdat; quod si potuerint facere et non fecerint, iam contradixerunt Deo et negaverunt, nec
est reus sanguinis qui interficit huiusmodi, ita tamen ut prius innotescat populo. Oportet
1039

SEZIONE QUINTA

SUL CALIFFO E L'IMAM E SULLA NECESSITÀ DI OBBEDIR LORO;


INDICAZIONI SULLE QUESTIONI POLITICHE, SOCIALI E MORALI 134

Inoltre è necessario che il legislatore esiga che si obbedisca a chi gli succe-
de e che la designazione del successore 135 non sia se non a partire da lui stes-
so, oppure per consenso degli anziani 136 , i quali garantiranno allora pubblica-
mente al popolo che è a questo determinato successore che appartiene di
governare, che egli è di acuta intelligenza e che in lui si trovano nobili virtù ~
come il coraggio, la temperanza, il senso de li' organizzazione - e che egli
conosce la Legge religiosa 137 come nessun'altro. [E ciò gli anziani] lo garanti-
ranno manifestamente e pubblicamente, ed essendo tutti unanimamente
d'accordo.
E [il legislatore] stabilirà che, quando divergano o dissentano per la passio-
ne o l'inclinazione [personale], oppure quando convergano [452] su qualcuno
in cui non vi è nobiltà e che non ha merito, abbiano peccato di infedeltà nei
confronti di Dio 138 . La designazione del successore sulla base del testo è più
giusta: essa infatti non conduce a disperdersi in piccoli gruppi, ad aprire diatri-
be e controversie. Inoltre, [il legislatore] dovrà stabilire nella sua legge 139 che
la città debba lottare contro colui che, essendo uscito [dalla legge] 140 , si sia
attribuito la successione 141 con il favore della forza e della ricchezza, e che
debba ucciderlo. E se, potendo, [i cittadini] non faranno questo, avranno
disobbedito a Dio e saranno stati infedeli. Sarà lecito far scorrere il sangue 142
1040 [452]
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etiam ut instituat quod post fidem prophetae nihil est Deo acceptabilius quam interfectio
istius qui se taliter intrudit. Si autem iste qui intrudit se probaverit illum non esse dignum,
sed se ad hanc dignitatem, et ostenderit in ilio vitia esse quae non sunt in se, tunc populus
faveat e i, et si t cum eo.
Oportet etiam ut instituat aliqua esse in solemnitatibus quae non possint impleri nisi per
successorem, sicut magnae solemnitates. Solemnitates enim magnae utiles sunt, eo quod
faciunt gentes congregari et dant eis audaciam et aemulationem, et orationes multitudinis
exaudiuntur et propter eas eveniunt benedictiones a Deo.
TRA TI ATO DECIMO - SEZIONE QUINTA 1041

di coloro che si sottraggono a questo [dovere), pur potendo [compierlo), dopo


che questa loro [colpa) sia stata constatata davanti a tutti. E [il legislatore)
dovrà prescrivere che, dopo la fede nel Profeta, non vi sia prossimità a Dio più
grande dell'annientamento di questo oppressore. Ma se, invece, colui che esce
[dalla legge) è nel vero [affermando) che colui cui è destinata la successione 143
non ne è degno poiché è affetto da una mancanza che presso colui che è uscito
[dalla legge) non c'è, allora quel che sarà più conveniente è che la città lo
segua. Ciò che è più importante per [chi accede al potere] è l'intelligenza e il
senso della politica; infatti, chi è medio nel resto, ma è avanti [agli altri) in
queste due [qualità]- certo non essendo sprovvisto del resto [delle qualità] né
essendo incline a quelle contrarie- è più degno di chi sia avanti [agli altri) nel
resto ma non sia al suo livello in queste due. Così, sarà necessario che colui
che tra i due ha più scienza si associ a colui che tra i due ha più intelligenza 144
e lo sostenga; e sarà necessario che colui che tra i due ha più intelligenza sia
sostenuto dall'altro e all'altro si rivolga [per chiedere consiglio), come fecero
'Umar e 'All 145 . Inoltre, è necessario che [il legislatore) prescriva per quanto
riguarda le pratiche di culto alcune [celebrazioni) (umùr) che non si compie-
ranno che in presenza del successore 146 , per celebrarlo e magnifìcarne la gran-
dezza147. Tali [celebrazioni) sono cose che si faranno in gruppo, come le feste.
Infatti, è necessario che prescriva riunioni come queste, perché in esse risiede
un invito alla gente a restare attaccata alla comunità, a ricorrere al coraggio e
al desiderio di emulazione; con esso sì acquistano le virtù; ed è nelle riunioni
che viene data risposta alle preghiere di richiesta e che le benedizioni scendo-
no su quegli stati di cui sei venuto a sapere dalle cose che abbiamo discusso. E
così è necessario che tra le transazioni sociali ve ne siano alcune a cui parteci-
pa148 l'imam e si tratterà di quelle transazioni che conducono a fondare i pila-
stri della città, come le nozze e le associazioni generali.
Inoltre, è necessario che, anche per quanto riguarda le transazioni che con-
ducono a dare e ad avere, [il legislatore) prescriva una legge 149 che impedisca
che si verifichino tradimenti 150 e ingiustizie, e che proibisca quelle transazioni
in cui vi è [possibilità) d'errore, e cioè quelle in cui le cose che vengono date
in cambio mutano [valore) prima che se ne esaurisca il riscatto o il pagamento,
come il cambio [di valuta], [453] la vendita a credito e altro. [Ed è necessario
che) prescriva per la gente la cooperazione, la protezione e la tutela dei loro
beni e delle loro stesse persone, senza che chi doni sia colpito [da una tassa)
per ciò che consegue al suo dono.

[550] Similiter etiam oportet ut in contractibus sint aliqua quae non possint fieri sine
summo sacerdote, sicut coniugia et fraternitates generales. Unde oportet ut removeat quic-
quid nocere potest in contractibus. Et doceat ut homines adiuvent se et defendant tam se
quam ea quae possident subveniendo sibi.
1042 [453]

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Contra inimicos autem legis sint unanimes ad expugnandum eos et occìdendum, sed
postquam revocaverint eos ad veritatem. Postquam auteJTI necesse est ut homines serviant
hominibus, tunc necesse est ut redigantur in servitutem civium. Similiter qui contrarii sunt
liberalitati naturaliter sunt servi, sicut Turci et Aethiopes, et omnino omnes qui nascuntur in
climatibus in quibus non possunt nasci homines bonae complexionis nec boni sensus. Si
autem alia civitas fuerit bonarum constitutionum, hoc noil adversatur ei, nisi tempus fecerit
debere non esse aliam legem nisi illam quae descendit, ctJius institutio, quoniam [551] opti-
ma est, tunc dilatanda est per totum mundum. Si autem aliqui fuerint inter eos qui in aliquo
a lege discordent, prius corrigantur ut resìpiscant; quod si facere noluerint, occidantur.
Debet autem intentare poenas gravissimas et contumelias non oboedientibus legi in hoc
mundo. Non enim omnis homo dimittit malefacere propter id quod timet in futuro pro eo
quod nocet alii. Si autem fecerit aliquid quod noceat si bi ipsi, non infligatur ei a Deo magna
poena, sed corrigatur.
TRATIATO DECIMO- SE2IONE QUINTA 1043

Quanto poi ;:.i nemici e a coloro che si oppongono alla legge 151 , è necessa-
rio che prescriva di combatterli e di distruggerli, ma dopo averli invitati ad
[accogliere] la verità; [r:rescriverà allora] di permettere [la confisca] delle loro
ricchez;:e e deH•! loro danne; infatti, se le ricchezze e le donne non sono ben
govemzte, secondo il gavem) della città virtuosa, da esse non si ricava quel
bene che va in ·~s~.e ricercato ed esse, al contrario, contribuiscono alla corru-
zione e al male.
[E poiché si ha immancabilmente bisogno del fatto che alcuni uomini siano
i servitori di altri, sarà necessario costringere simili individui a servire la gente
della città giusta. E così chi, fra la gente, sarà lungi dal seguire la virtù, sarà per
natura uno schiavo- come i Turchi e gli Etiopi 152 e, insomma, coloro che non
sono nati in regioni climatiche nobili dove, nella maggior parte dei casi, nasco-
no popoli dalle buone complessioni, con sano carattere e sana intelligenza.
E se vi è un'altra città che abbia una legge 153 lodevole, [il legislatore] non
la toccherà, a meno che il momento non renda necessario affermare che non vi
sia legge diversa da quella della legge rivelata. Infatti, se i popoli e le città
errano, deve esser loro prescritta una legge, ed è quindi necessario che se ne
affermi l'obbligatorietà. E una volta che se ne sia affermata l'obbligatorietà,
potrà esser necessario affermare che il mondo intero deve sostenerla. Ma, se
poi la gente di una tale città dalla buona condotta trova che anche questa sua
legge è buona e lodevole e ritiene che rinnovarla [significhi] far ritornare alla
salute le situazioni delle città corrotte e poi proclama che quest'altra legge 154
non ha diritto d'essere accettata, smentendo il legislatore nell'appello con cui
egli [sostiene] che essa è stata rivelata per tutte le città, in ciò [risiede un gran
male]: una grande debolezza si impadronirà della legge 155 e coloro che contra-
steranno [il legislatore] si riferiranno, per recusarla, al fatto che gli abitanti di
quella data città vi si rifiutano. Ecco, allora che sarà necessario ridurre alla
ragione costoro e rivolgere contro di loro la guerra 156 ; tuttavia, essa sarà una
guerra inferiore a quella che è rivolta contro la gente che è nell'errore assolu-
to; oppure, li si costringerà [a pagare] un'ammenda, secondo quanto essi pre-
feriscono; e si farà loro riconoscere che sono dei negatori [degli attributi di
Dio] 157 • E come [potrebbero] non esserlo, se si sono rifiutati di obbedire alla
Legge religiosa che Iddio- altissimo- ha rivelato? Così, se saranno messi a
morte, essi l'avranno meritato; nella loro morte risiede, infatti, la corruzione
delle loro persone, ma [anche] una permanente salute; specialmente quando la
nuova legge 158 sarà più completa e migliore. [454] Ma a loro riguardo si pre-
scriverà anche che - se si vuole - è possibile riappacificarsi con loro, in cam-
bio di un riscatto o di un tributo 159 • Insomma, è necessario non avere con essi
la stessa condotta [che si tiene] con gli altri. Ed è necessario prescrivere alcuni
castighi e alcune pene e alcuni precetti intimidatori per impedire con ciò che si
disobbedisca alla Legge [religiosa]; non tutti gli uomini, infatti, sono frenati
dal timore dell'altra vita.
1044 [454]
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Debet etiam docere quod propria iudicia quae habent unumquodque tempus, quandoque
debent permutari; sed quod magis est necessarium civitati est ordo legis peritorum, secun-
dum quod opus est eis et ab eis. Non ponat autem in civitate iudicia particularia, quia damna
proveniunt ex eis, eo quod variantur secundum varietatem temporum, sed generalia.
Institutio enim generalium non sufficit; unde oportet ut hoc reservetur deliberationi.
[552] Oportet etiam ut institutor ìnstituat mores et consuetudines ducentes ad aequita-
tem, quae est medìocritas in omnibus tribus vìribus animae, scilicet in concupiscibili et ira-
scibili, et in bona disposi tione sapientiae, et praecipue in practicis, ad hoc ut sit homo hone-
stus in hoc mundo, et postea liberetur anima eius ab hoc corpore mundissima. Caput autem
TRATI ATO DECIMO - SEZIONE QUINTA 1045

Necessariamente la maggor parte di queste [misure] dovrà concernere le


azioni che contrastano la legge 160 , quelle che invitano a corrompere l'ordine
della città - come il rapporto illecito 16 1, il furto, la complicità con i nemici
della città e altro. Quanto poi a quelle [azioni] che, fra queste, danneggiano
l'individuo in sé, è necessario che a loro riguardo vi siano correzioni che non
arrivino al punto delle prescrizioni obbligatorie; è necessario che la legge 162
riguardo agli atti di culto, ai matrimoni e ai precetti intimidatori sia equilibrata
e non sia riguardo ad essi né troppo dura né troppo hissa. Necessariamente si
lasceranno molti casi - specialmente per ciò che riguarda le transazioni sociali
-all'iniziativa giuridica 163 ; vi sono, infatti, dei giudizi per i [diversi] momenti
che non è possibile fissare con esattezza 164•
Poi, per ciò che riguarda la precisa pianificazione 165 della città, in quanto si
conosce l'ordinamento dei guardiani e se ne conoscono le entrate e le uscite, si
prepara l'apparato militare, [si predispongono] i diritti dovuti e le fortezze
delle vie di frontiera e altro, conviene che tutto questo spetti a colui che gover-
na in quanto è il successore 166 e a questo riguardo non si prescriveranno statuti
particolari. Infatti, nel prescriverli vi sarebbe della corruzione, perché essi
mutano con il mutare dei tempi e non è possibile prescriverli [in senso] uni-
versale con completa sicurezza. Necessariamente, quindi, ciò verrà attribuito
alla gente del consiglio.
È poi necessario che il legislatore emani anche a proposito dei costumi
morali e delle abitudini una legge 167 che inviti alla giustizia, la quale consiste
nella medietà; e la medietà va ricercata nei costumi e nelle abitudini in due
modi: o nel senso che in essi si rompe il dominio delle potenze [corporee] per
purificare l'anima, in modo particolare, per farle acquisire la disposizione a
dominare 168 , così che la sua liberazione dal corpo sia pura; [455] oppure, nel
senso che si ricorrerà a tali potenze, e ciò sarà negli interessi del mondo di
quaggiù: si ricorrerà ai piaceri [del corpo] in favore della permanenza dei
corpi e della progenie; al coraggio, per la permanenza della città.
1046 too [455]

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harum honestatum sunt sapientia, temperantia, fortitudo, et harum collectio est aequitas,
quae est praeter nobilitatem speculativam.
In quocumque autem convenerit cum illis sapientia speculativa, hic iam factus est felix;
et cui cum hoc datae fuerint proprietates (553] prophetiae, fortasse fiet Deus humanus, quem
licet adorari post Deum, qui a ipse est rex terreni mundi et est vicarius Dei in ilio.
TRATTATO DECIMO- SEZIONE QUINTA 1047

I vizi [che derivano] dall'eccesso vanno messi da parte per via dei danni
che [procurano] agli interessi degli uomini; quelli [che derivano] dal difetto
per i danni [che procurano] alla città.
Con la virtù della saggezza 169, che- con la temperanza e il coraggio- è la
terza [di una triade], non va intesa la sapienza speculativa - nella quale, infatti,
non si esige affatto la medietà - ma la sapienza pratica, la quale concerne le
azioni e i comportamenti di questo mondo. L' [eccessivo] scrupolo di impre-
gnarsene170 e l'impegno a dirigere tutti i [nostri] interessi, da ogni punto di
vista, e a mettere da parte le occasioni d'errore, da ogni punto di vista, in
modo tale che ne segua di giungere per gli altri al contrario di quel che si
ricerca per se stessi, o che ci si distragga dall'acquisire le altre virtù, è una
sciocchezza; d'altra parte, tener la mano al mento 171 è [come] se l'uomo spre-
casse se stesso, la propria vita, lo strumento della propria integrità e della pro-
pria permanenza fino al momento del [preteso] suo perfezionamento.
E poiché gli stimoli sono concupiscibili, irascibili e pratici, le virtù sono
tre: la disposizione alla medietà nella [potenza] concupiscibile, come il piacere
del matrimonio, del cibo, del vestire e del riposo e ancora altri piaceri sensibili
e immaginativi; la disposizione della medietà in tutte le [cose] della [potenza]
irascibile, come la paura, l'ira, la preoccupazione, l'orgoglio, l'odio, la gelosia
e altro; la disposizione della medietà negli affari pratici. E le principali di que-
ste virtù sono la temperanza, la saggezza, il coraggio, mentre il loro insieme è
la giustizia. Essa è esterna alla virtù speculativa, ma chi riunisca ad essa la
sapienza speculativa sarà certo felice; chi, insieme a essa, ha in più le pro-
prietà della profezia è quasi un signore degli uomini 172 e quasi sarà lecito ren-
dergli culto, dopo [averlo reso a] Dio- altissimo- e 173 sarà il dominatore del
mondo terreno e il successore di Dio sulla terra.
1306 NOTE SUL LESSICO

nell'esistenza (anche il possibile- mumkin -è "necessario" quando è posto in essere


da una causa), mentre con il secondo indica, in senso rigoroso, ciò che è necessario in
quanto opposto a "possibile"; si è quindi scelto (sulla scia di altre traduzioni) di distin-
guere sempre i due termini (cfr. Iliih., I, 4, nota 120 e la bibliografia ivi data). Il primo
connota l'essere del Principio, "Necessariamente Esistente" (al-wiigib al-wugud), il
secondo indica ciò che è necessario in senso astratto (cfr. per es. /liih., l, 4 p. 25 e l, 5,
p. 35). Per il Lexique ... di GOICHON, v. nn. 741-745, pp. 415-418; nn. 382-383, pp. 195-
196;670;672,pp.381-382.

quiddità
- miihiyya (quidditas), "quiddità; che cosa è; che cosa sia"; astratto da mii o da mii
huwa "che cosa è" (non da mii hiya come riteneva la Goichon, cfr. Lexique ... , n. 679,
pp. 386-387); nelle traduzioni miihiyya rendeva talvolta TÌ. EOTL (cfr. HUGONNARD-
RocHE, La tradition ... , p. 67). In Avicenna il termine indica la quiddità della cosa (ciò
che risponde alla domanda "che cosa è"); la quiddità è distinta dall'esistenza in senso
concettuale (se so che cosa è una cosa, non per questo so se essa esiste; v. ARIST., An.
Post., II, 89 b; 92 b), e in senso ontologico: l'esistenza di una quiddità possibile è ester-
na alla quiddità stessa ed è propriamente ciò che la quiddità riceve dal Principio che la
pone in essere; ciò non significa che "esistano" quiddità inesistenti: si danno solo quid-
dità esistenti che esistono, tuttavia, solo in quanto sono poste in essere dal Principio e
sono quindi "per altro" e "necessarie per altro". In tal senso, il Primo non ha una quid-
dità distinta dal proprio essere (anniyya) -e su ciò Avicenna costruisce la prova
dell'unicità del Primo (cfr. lliih., VIII, 4, pp. 344 e ss.) -mentre «ogni cosa dotata di
quiddità è un causato» (lliih., VIII, 4, pp. 344 e ss.) e un "doppio". Con "essenza" è
reso per lo più il termine d.iit (essentia, seipsum) "essenza, sé", termine che talvolta
vale in senso generico anche: "entità, cosa". Oltre alla bibliografia già richiamata per le
altre voci dell'essere e della esistenza, v. M.E. MARMORA, Quiddity and Universality in
Avicenna, in P. MoREWEDGE (ed.), Neoplatonism and /slamic Thought ... , pp. 77-87.

realtà
- /:laqlqa (certitudo, veritas, essentia, quidditas). "Realtà" di una cosa in opposizione alla
sua vanità o nullità (f:taqq si oppone a biitin "vano"); il termine è quindi vicino a quelli con
cui Avicenna indica l'essenza o la quiddità, ma ha una forte connotazione esistenziale; cfr.
per es. J. JOUVET, L'intellect selon Kindf, E.J. Brill, Leiden 1971, p. 90 in nota: «/:taqlqa
état réel d'une chose; f:taqq, vérité en un sens universel, jusqu'au point ou coincident la
réalité et la vérité la plus universelle, c'est-à-dire jusqu'à la source de la vérité et de la réa-
lité, Dieu [... ]; /:laqq, dans le Coran, est un nom divin>> (per questa stessa interpretazione
del termine f:taqq, v. anche VAJDA, Notes .... , ad es. p. 373) e JANSSENS, lbn Slnii's Ideas of
Ultimate Realities... , p. 268, che sottolinea l'influenza coranica sull'uso del termine in
Avicenna); per il termine in teologia, cfr. GIMARET, Les noms divins ... , pp. 141-142; oltre
al Lexique ... di GOICHON, nn. 167-174, pp. 80-86, cfr. AFNAN, Philosophical
Terminology ... , pp. 103-104.
INDICE GENERALE

Prefazione
di Pasquale Porro
Avicenna e la storia della metafisica v
Introduzione
di Olga Lizzini XXVII

Nota editoriale LXIII

Avicenna
METAFISICA

Trattato I
Introduzione 5
l. In cui si incomincia a ricercare il soggetto della filosofia
prima per rendere evidente il suo costituirsi come scienza 17
2. In cui si stabilisce il soggetto di questa scienza 31
3. Intorno all'utilità di questa scienza, al suo rango e al suo nome 45
4. A proposito dell'insieme [di questioni]
di cui si discute in questa scienza 61
5. In cui si dà indicazione dell'esistente, della cosa,
delle loro prime divisioni, per risvegliare
[l'attenzione] su ciò che ci si propone [in questa scienza] 69
6. Sezione in cui ha inizio la trattazione intorno al necessariamente
esistente e al possibilmente esistente: [in cui si afferma] che il
necessariamente esistente non ha causa, che il possibilmente
esistente è un causato e che il necessariamente esistente non è
nell'esistenza né omologo ad alcunché di diverso da sé
né dipendente da alcunché di diverso da sé 85
7. A proposito del fatto che il Necessariamente Esistente è uno 97
8. Sezione in cui si mette in evidenza
[che cosa sono] la verità e la veridicità.
Difesa delle prime asserzioni delle premesse vere 107
1308 INDICE GENERALE

Trattato II
Introduzione 123
l. In cui con un discorso generale
si fanno conoscere la sostanza e le sue divisioni 137
2. In cui si determina che cosa siano
la sostanza corporea e ciò di cui essa si compone 145
3. A proposito [del fatto] che
la materia corporea non si spoglia della fonna 167
4. Sull'anteriorità della forma
sulla materia nel rango dell'essere 183

Trattato III
Introduzione 205
l. In cui si indica ciò che conviene indagare dello stato
delle nove categorie e [si discute] della loro accidentalità 221
2. Discorso intorno all'uno 229
3. Sezione in cui si appura la realtà dell'uno e
del molteplice e si rende evidente che il numero è un accidente 243
4. A proposito del fatto che le estensioni sono accidenti 257
5. In cui si appura che cosa sia il numero, si definiscono
le sue varie specie e se ne portano all'evidenza i principì 273
6. Sull'opposizione tra l'uno e il molteplice 287
7. In cui si affenna che le qualità sono accidenti 303
8. Sulla scienza e sul suo essere un accidente 315
9. Intorno alle qualità che riguardano le quantità.
Se ne stabilisce [l'esistenza] 325
10. Sul relativo 339

Trattato IV
Introduzione 359
l. Sezione su ciò che è anteriore
e ciò che è posteriore e sul venire all'essere 367
2. Su potenza e atto, su potere e incapacità e sul fatto
che per ogni generato si deve stabilire [l'esistenza del]la materia 381
3. A proposito di quel che è completo e di quel che è manchevole,
di quel che è più che completo, del tutto e dell'insieme 413

Trattato V
Introduzione 427
l. Sezione sulle cose generali e su come se ne dia l'esistenza 443
INDICE GENERALE 1309

2. [In cui si discute] come sia l'universalità delle nature universali


e si completa il discorso a questo proposito e a proposito della
differenza tra il tutto e la parte e tra l'universale e il particolare 467
3. Sulla differenza tra il genere e la materia 479
4. A proposito della modalità con cui
le intenzioni esterne al genere entrano nella natura del genere 493
5. Sulla specie 509
6. In cui si fa conoscere e si determina
che cosa sia la differenza [specifica] 513
7. In cui si fa conoscere il rapporto tra definizione e definito 525
8. Sulla definizione 539
9. Sulla rapportabilità tra la definizione e le sue parti 549

Trattato VI
Introduzione 561
1. Su come si dividano le cause e quali ne siano gli stati 573
2. In cui si risolve un dubbio riguardo alla dottrina
dei partigiani del Vero secondo la quale ogni causa è con il
proprio causato e si verifica ciò che va detto della causa agente 587
3. Su come si rapportino le cause agenti e i loro causati 597
4. Sulle altre cause: materiali, formali e finali 619
5. In cui si stabilisce l'esistenza del fine, si risolvono
i dubbi che si sollevano per confutarla, si stabilisce
la differenza tra il fine e quel che è obbligatorio,
e si definisce sotto quale aspetto il fine è anteriore
a tutte le altre cause e sotto quale aspetto è ad esse posteriore 631

Trattato VII
Introduzione 669
l. Sui concomitanti dell'unità: l'identità e le sue divisioni;
sui concomitanti della molteplicità: la diversità e la differenza
e sui vari tipi di opposizione che si conoscono 677
2. In cui si riferiscono le dottrine dei più antichi filosofi
sulle idee e sui principi matematici;
si spiega la ragione che condusse a tali dottrine
e si mette in evidenza la radice dell'ignoranza
in cui sono caduti così da errare a causa di essa 691
3. Sezione in cui si confuta la dottrina
degli [enti] matematici e delle idee 705
1310 INDICE GENERALE

Trattato VIII
Introduzione 723
l. Sulla finitezza delle cause agenti e delle cause ricettive 745
2. Sui dubbi legati a ciò che si è detto e sulla loro soluzione 755
3. In cui si mostra in modo evidente la finitezza delle cause finali
e formali e si stabilisce [l'esistenza] del Principio Primo
in assoluto. Affermazione decisiva intorno alla causa che è
prima in senso assoluto e intorno alla causa che è prima
in senso condizionato; si dà prova evidente che quel
che è causa prima assoluta è causa di tutte le altre cause 773
4. Intorno ai primi attributi del Principio necessariamente esistente 781
5. In cui si conferma e si ripete ciò che si è detto
precedentemente a proposito dell'unicità
del Necessariamente Esistente e, a titolo di
conclusione si parla dell'insieme dei suoi attributi negativi 795
6. Che [il Primo] è completo, anzi più che completo,
che è bene e che dona a ogni cosa che è dopo di sé;
che è reale, che è un'intelligenza pura, che ha intellezione
di ogni cosa e come ciò avvenga; come conosca se stesso
e gli universali e i particolari e sotto quale aspetto
non è possibile dire che ne abbia apprensione 807
7. A proposito del rapporto degli intelligibili con il Primo
e in cui si chiarisce che i suoi attributi, affermativi e negativi,
non comportano molteplicità nella sua essenza e che suoi
sono lo splendore più grande, la magnificenza più alta
e la gloria infinita. In dettaglio sullo stato del piacere intellettuale 823

Trattato IX
Introduzione 843
l. Sull'attributo attivo del Principio primo 861
2. Sezione a proposito del fatto che il motore prossimo
dei Cieli non è né una natura, né un'intelligenza,
ma un'anima e che il principio più remoto è un'intelligenza 879
3. Su come emanino le azioni dai principi supremi,
così che a partire da ciò si sappia quel che è
necessario sapere dei motori separati, per sé intelligibili e amati 905
4. Sul [modo in cui], a partire dal Principio Primo, si ordina in ranghi
l'esistenza dell'intelligenza, delle anime celesti e dei corpi superni 923
5. Sul modo in cui gli elementi si generano a partire dalle cause prime 943
6. Sezione sulla provvidenza, in cui sì rende evidente e si spiega
come il male rientri nel decreto divino 953
7. Sezione sul ritorno 971
INDICE GENERALE 1311

Trattato X
Introduzione 993
1. Sul principio e sul ritorno in modo riassuntivo;
sulle ispirazioni e sui sogni, sulle preghiere esaudite, sui
castighi celesti, sugli stati della profezia e sullo stato dell'astrologia 999
2. In cui si stabilisce la profezia e come si diano
l'appello del profeta a Dio, altissimo, e il ritorno a Dio 1013
3. Sugli atti di culto e sulla loro utilità quaggiù e nell'aldilà 1021
4. Sull'istituzione ('aqd) della città e sull'istituzione della casa e cioè
sul matrimonio e sui costumi generali istituiti a questo riguardo 1029
5. Sul califfo e l'imam e sulla necessità di obbedir loro;
indicazioni sulle questioni politiche, sociali e morali 1039

Note e apparati

Note al Trattato I 1051


Note al Trattato II 1079
Note al Trattato III 1097
Note al Trattato IV 1127
Note al Trattato V 1143
Note al Trattato VI 1171
Note al Trattato VII 1197
Note al Trattato VIII 1207
Note al Trattato IX 1227
Note al Trattato X 1263

Notizia biografica 1279


Bibliografia essenziale 1283
Note sul lessico 1301

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